LA COSTITUZIONE EUROPEA Testo e Articoli Storico-Filosofici IL TESTO COSTITUZIONALE PRESENTAZIONE A Roma, il 29 ottobre 2004, 25 Paesi europei hanno firmato il Trattato che adotta la Costituzione europea. Durante il vertice di Bruxelles del 18 giugno 2004, i 25 Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea avevano già approvato la Costituzione per l'Europa. Un risultato storico che consente di gettare basi solide e importanti per l'Unione europea e dare uno nuovo slancio al cammino comunitario. Il testo del Trattato costituzionale europeo unifica in un documento organico tutti i precedenti trattati, da quelli più lontani di Roma del 1957 fino ai più recenti di Maastricht e Nizza. La Costituzione europea dovrà essere ratificata da tutti i 25 Paesi membri dell'Unione: alcuni Stati lo faranno per via parlamentare, altri con referendum popolari. La Costituzione, una volta ratificata da tutti gli Stati, entrerà in vigore il 1° novembre Il testo della Costituzione approvato lo scorso 18 giugno, prevede maggiori poteri per il Parlamento europeo rispetto al passato. Come avviene oggi, esso eserciterà, insieme al Consiglio europeo, la funzione legislativa e quella di bilancio, ma avrà l'ultima parola su tutte le spese dell'Unione. Elegge il presidente della Commissione europea e ratificherà la nomina del ministro degli Esteri e dei membri della Commissione. Mantiene il potere esclusivo di censura sulla Commissione, come avvenne 5 anni fa con la Commissione Santer. Una novità rispetto alla bozza presentata dalla Convenzione guidata da Valery Giscard d'Estaing, è che il Parlamento europeo potrà raggiungere al massimo 750 parlamentari - quando entreranno 3 nuovi Stati membri. Inoltre è stato fissato un numero mimino e massimo di deputati per ciascun Paese: 6 e 96. LE TAPPE CHE HANNO PORTATO ALL’ APPROVAZIONE DELLA COSTITUZIONE Dicembre 2001 - Consiglio di Laenken Viene approvata la "dichiarazione di Laenken" che istituisce la Convenzione incaricata di preparare una bozza di Costituzione europea. La Convenzione riunisce i principali soggetti interessati al dibattito sul futuro dell'Unione, tra cui i rappresentanti di tutti gli Stati membri e dei Paesi candidati all'adesione, nonché i 16 rappresentanti del Parlamento europeo. La Convenzione, presieduta da Valery Giscard d'Estaing, ha adottato lo stesso modus operandi che il Parlamento europeo aveva 28 febbraio 2002 - inizio dei lavori della Convenzione Nella sede del Parlamento europeo di Bruxelles si tiene la riunione costitutiva della Convenzione. 20-21 giugno 2003 - Consiglio europeo di Salonicco Al vertice nella città greca, Valery Giscard d'Estaing presenta formalmente ai Capi di Stato e di Governo il testo delle prime due Parti del Progetto di Trattato costituzionale elaborato dalla Convenzione. Il Vertice europeo convoca la Conferenza Intergovernativa incaricata di mettere a punto il testo definitivo della Costituzione. 10 luglio 2003 - Chiusura dei lavori della Convenzione La Convenzione conclude i suoi lavori e adotta per consenso il testo completo della Costituzione per l'Europa. 18 luglio 2003 - Consegna del testo elaborato dalla Convenzione Giscard d'Estaing consegna all'Italia, presidente di turno dell'Ue, il testo definitivo che dovrà essere discusso dalla CIG, la Conferenza Intergovernativa. 4 ottobre 2003 - Al via la CIG a Roma. La prima riunione della Conferenza Intergovernativa si tiene a Roma, sotto la Presidenza italiana dell'Ue. Secondo il Parlamento europeo il testo finale da adottare si sarebbe dovuto discostare il meno possibile dal progetto adottato dalla Convenzione. I capi di Stato e di Governo adottano la Dichiarazione di Roma. 12-13 dicembre 2003 - Vertice europeo I Capi di Stato e di Governo riuniti a Bruxelles, non raggiungono un accordo sulla Costituzione europea il cui Testo uscito dalla Convenzione è stato rivisto e corretto. Ci sono problemi soprattutto sulla formula del voto a maggioranza qualificata e sulla sua applicazione, ma anche sulla composizione della Commissione e su alcuni temi economici. Il testimone passa alla presidenza irlandese dell'Ue. 25-26 marzo 2004 - Vertice europeo I leader dei paesi dell'Ue, riuniti a Bruxelles, si impegnano formalmente a ricercare un accordo per dare all'Unione una Costituzione entro giugno. 17-18 giugno - Vertice europeo Dopo un primo accordo fra i Ministri degli Esteri dei 25, i Capi di Stato e di Governo dei 25 raggiungono un compromesso sui punti ancora aperti del testo della Costituzione europea. Durante il vertice di Bruxelles del 18 giugno 2004, i 25 Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea, hanno approvato la Costituzione per l'Europa. 29 ottobre 2004. Firmata a Roma la Costituzione Europea. IL PREAMBOLO INIZIALE ED I PRIMI DIECI ARTICOLI: PREAMBOLO SUA MAESTÀ IL RE DEI BELGI, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CECA, SUA MAESTÀ LA REGINA DI DANIMARCA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI ESTONIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ELLENICA, SUA MAESTÀ IL RE DI SPAGNA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE, LA PRESIDENTE DELL'IRLANDA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI CIPRO, LA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI LETTONIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI LITUANIA, SUA ALTEZZA REALE IL GRANDUCA DEL LUSSEMBURGO, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI UNGHERIA, IL PRESIDENTE DI MALTA, SUA MAESTÀ LA REGINA DEI PAESI BASSI, IL PRESIDENTE FEDERALE DELLA REPUBBLICA D'AUSTRIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI POLONIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PORTOGHESE, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI SLOVENIA, IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SLOVACCA, LA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI FINLANDIA, IL GOVERNO DEL REGNO DI SVEZIA, SUA MAESTÀ LA REGINA DEL REGNO UNITO DI GRAN BRETAGNA E IRLANDA DEL NORD, ISPIRANDOSI alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, e dello Stato di diritto; CONVINTI che l'Europa, ormai riunificata dopo esperienze dolorose, intende avanzare sulla via della civiltà, del progresso e della prosperità per il bene di tutti i suoi abitanti, compresi i più deboli e bisognosi; che vuole restare un continente aperto alla cultura, al sapere e al progresso sociale; che desidera approfondire il carattere democratico e trasparente della vita pubblica e operare a favore della pace, della giustizia e della solidarietà nel mondo; PERSUASI che i popoli d'Europa, pur restando fieri della loro identità e della loro storia nazionale, sono decisi a superare le antiche divisioni e, uniti in modo sempre più stretto, a forgiare il loro comune destino; CERTI che, "Unita nella diversità", l'Europa offre ai suoi popoli le migliori possibilità di proseguire, nel rispetto dei diritti di ciascuno e nella consapevolezza delle loro responsabilità nei confronti delle generazioni future e della Terra, la grande avventura che fa di essa uno spazio privilegiato della speranza umana; RISOLUTI a proseguire l'opera compiuta nel quadro dei trattati che istituiscono le Comunità europee e del trattato sull'Unione europea, assicurando la continuità dell'acquis comunitario; HANNO DESIGNATO COME PLENIPOTENZIARI: SUA MAESTÁ IL RE DEI BELGI IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CECA SUA MAESTÁ LA REGINA DI DANIMARCA IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI ESTONIA IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ELLENICA SUA MAESTÁ IL RE DI SPAGNA IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE LA PRESIDENTE DELL'IRLANDA IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI CIPRO LA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI LETTONIA IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI LITUANIA SUA ALTEZZA REALE IL GRANDUCA DEL LUSSEMBURGO IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI UNGHERIA IL PRESIDENTE DI MALTA SUA MAESTÁ LA REGINA DEI PAESI BASSI IL PRESIDENTE FEDERALE DELLA REPUBBLICA D'AUSTRIA IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI POLONIA IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PORTOGHESE IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI SLOVENIA IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SLOVACCA LA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI FINLANDIA IL GOVERNO DEL REGNO DI SVEZIA SUA MAESTÁ LA REGINA DEL REGNO UNITO DI GRAN BRETAGNA E IRLANDA DEL NORD I QUALI, dopo avere scambiato i loro pieni poteri, riconosciuti in buona e debita forma, hanno convenuto le disposizioni che seguono: PARTE I, TITOLO I DEFINIZIONE E OBIETTIVI DELL'UNIONE ARTICOLO I-1 Istituzione dell'Unione 1. Ispirata dalla volontà dei cittadini e degli Stati d'Europa di costruire un futuro comune, la presente Costituzione istituisce l'Unione europea, alla quale gli Stati membri attribuiscono competenze per conseguire i loro obiettivi comuni. L'Unione coordina le politiche degli Stati membri dirette al conseguimento di tali obiettivi ed esercita sulla base del modello comunitario le competenze che essi le attribuiscono. 2. L'Unione è aperta a tutti gli Stati europei che rispettano i suoi valori e si impegnano a promuoverli congiuntamente. ARTICOLO I-2 Valori dell'Unione L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a una minoranza. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini. ARTICOLO I-3 Obiettivi dell'Unione 1. L'Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli. 2. L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne e un mercato interno nel quale la concorrenza è libera e non è falsata. 3. L'Unione si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. L'Unione combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri. Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo. 4. Nelle relazioni con il resto del mondo l'Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all'eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo ARTICOLO I-4 Libertà fondamentali e non discriminazione 1. La libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali e la libertà di stabilimento sono garantite dall'Unione ed al suo interno in conformità della Costituzione. 2. Nel campo d'applicazione della Costituzione e fatte salve le disposizioni particolari da essa previste, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità. ARTICOLO I-5 Relazioni tra l'Unione e gli Stati membri 1. L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti alla Costituzione e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. 2. Secondo il principio di leale cooperazione, l'Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dalla Costituzione. Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dalla Costituzione o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione. Gli Stati membri facilitano all'Unione ARTICOLO I-6 Diritto dell'Unione La Costituzione e il diritto adottato dalle istituzioni dell'Unione nell'esercizio delle competenze a questa attribuite prevalgono sul diritto degli Stati membri. ARTICOLO I-7 Personalità giuridica L'Unione ha personalità giuridica. ARTICOLO I-8 I simboli dell'Unione La bandiera dell'Unione rappresenta un cerchio di dodici stelle dorate su sfondo blu. L'inno dell'Unione è tratto dall'"Inno alla gioia" della Nona sinfonia di Ludwig van Beethoven. Il motto dell'Unione è: "Unità nella diversità". La moneta dell'Unione è l'euro. La giornata dell'Europa è celebrata il 9 maggio in tutta l'Unione. TITOLO II DIRITTI FONDAMENTALI E CITTADINANZA DELL'UNIONE ARTICOLO I-9 Diritti fondamentali 1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali che costituisce la parte II. 2. L'Unione aderisce alla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nella Costituzione. 3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, ARTICOLO I-10 Cittadinanza dell'Unione 1. È cittadino dell'Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce. 2. I cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nella Costituzione. Essi hanno: a) il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri; b) il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato; c) il diritto di godere, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui hanno la cittadinanza non è rappresentato, della tutela delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato; d) il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al mediatore europeo, di rivolgersi alle istituzioni o agli organi consultivi dell'Unione in una delle lingue della Costituzione e di ricevere una risposta nella stessa lingua. Tali diritti sono esercitati secondo le condizioni e i limiti ARTICOLI STORICOFILOSOFICI Libertà di religione e Costituzione Europea Il caso dell’Italia Le seguenti considerazioni derivano dalla nostra esperienza di cittadini italiani: l’art. 7 della nostra Costituzione stabilisce che il Concordato con la Chiesa cattolica non può essere sciolto se non per accordo di entrambe le parti. La Repubblica italiana e la Chiesa cattolica sono quindi poste sullo stesso piano e ciò conferisce alla Chiesa cattolica un ruolo ufficiale che comporta una serie nefasta di conseguenze. La prima di tali conseguenze è la violazione dell’art. 3 della Costituzione che stabilisce che tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge. In realtà non lo sono: i cittadini di religioni o comunità di fede diverse dalla cattolica e i cittadini senza appartenenza religiosa (atei, agnostici, liberi pensatori, persone che non hanno nessuna fede religiosa) sono de facto discriminati in molti ambiti quali l’insegnamento della religione nella scuola, l’esposizione di simboli religiosi in tutti gli edifici pubblici, il finanziamento pubblico di oratori, di istituti e di Ong a carattere religioso, la presenza di rappresentanti delle religioni a cerimonie pubbliche, il tempo dedicato dalla radio e dalla TV pubbliche al Papa le cui dichiarazioni sono spesso anteposte a quelle del Presidente della Repubblica, agli eventi religiosi, ai miracoli, alle madonne piangenti, ai preti esorcisti e così via. Il Concordato del 1984 e il Governo Berlusconi hanno accresciuto ulteriormente i privilegi della Il Ministro della pubblica istruzione ha nominato un cardinale come consulente del Ministero per le questioni attinenti all’etica. La presenza ufficiale nel processo di governo di un consulente religioso ottunde e mina le basi della democrazia, perché la legittimità di un Governo risiede esclusivamente nel mandato ricevuto dal popolo sovrano e il ricorso a una fonte di legittimità esterna ad esso rappresenta un suo inequivocabile indebolimento. Tanto più se la fonte esterna in questione è l’esponente di una religione che, in quanto tale, basa la propria etica su un messaggio trascendente che solo i suoi seguaci possono essere in grado di apprezzare. Inoltre, essendo la Chiesa cattolica una teocrazia la cui gerarchia non è eletta - né è responsabile dei propri atti - non dovrebbe essere considerata allo stesso livello di un governo democraticamente eletto. È attualmente all’esame del Parlamento un disegno di legge sulla libertà religiosa che, per la prima volta, riconosce esplicitamente la libertà di non avere alcuna religione. Ci auguriamo che abbia come effetto di legittimare i non credenti e le loro associazioni presso le istituzione della Repubblica poiché, fino a ieri, ogni richiesta, da parte dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR), di essere sentiti su questioni quali l’insegnamento della religione nelle scuole è stata da esse ignorata o respinta perché…non siamo una religione! L’UAAR ha condotto una campagna di L’Europa e la libertà religiosa L’Articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali assicura la libertà di religione e la libertà di cambiare religione ma non menziona la libertà di non avere religione alcuna. Ci sono due possibili interpretazioni di tale omissione: a) che questa libertà è ovvia e non necessita di essere esplicitata e, b) che ai cittadini senza religione tale libertà non si applica. Una simile omissione sarebbe inconcepibile nella Costituzione europea, sia per le ragioni esposte in precedenza, sia perché tutti gli stati membri hanno firmato e ratificato le Conclusioni dell’Incontro di Vienna del 1986 sulla sicurezza e la cooperazione in Europa1 la quale afferma che i governi si impegnano a favorire l’effettiva eguaglianza tra credenti e non credenti e a promuovere un clima di tolleranza e rispetto reciproci tra cittadini di differenti comunità religiose e tra credenti e non credenti. La maggioranza dei cittadini europei sono, tutt’al più, indifferenti alla religione e al credo religioso.2 Alcuni appartengono ad associazioni filosofiche e non confessionali, alcuni a comunità di pensiero o di fede, ma la grande maggioranza di essi non sentono il bisogno di associarsi su temi che ritengono essere di natura strettamente privata. Confidano che il loro parlamento e il loro governo raggiungeranno la migliore soluzione di compromesso, rispettosa di tutti, su temi etici che riguardano la cittadinanza nel suo complesso. Si tratta di un rapporto di fiducia giusto e prezioso, l’essenza della democrazia. Tuttavia se a una religione fosse permesso di fare pressione o di pronunciarsi ufficialmente su tematiche riguardanti il processo decisionale, ciò creerebbe un privilegio per i cittadini appartenenti a quella religione. Tale privilegio comporterebbe inevitabilmente la discriminazione dei non credenti e dei cittadini appartenenti a minoranze religiose, cioè della maggior parte della popolazione europea. I nostri Paesi hanno sottoscritto il principio secondo il quale lo Stato è tenuto ad assicurare ai cittadini l’esercizio effettivo dei propri diritti; quindi essi sono tenuti ad attribuire lo stesso peso ai credenti e ai non credenti, ai cittadini singoli e a quelli associati. Pertanto, le associazioni religiose e le associazioni filosofiche non confessionali devono godere degli stessi benefici relativi alla libertà religiosa La Costituzione europea Una Costituzione non è un documento filosofico e perciò ogni riferimento alla storia - comunque soggetto a interpretazioni di parte - è superfluo. Inoltre, considerato che i futuri allargamenti dell’UE ci trasformeranno in una popolazione più ricca, variegata e differenziata di 480 milioni di abitanti, sarà necessario che la Costituzione ne tenga conto, evitando ogni privilegio e conseguente discriminazione. La citazione nella Costituzione di un “patrimonio religioso”,3 accettabile per chi ritiene che il Diritto e la Legge ci vengano da una autorità o una ispirazione celeste, è estranea ai principi della democrazia parlamentare; va comunque ricordato che, fino alla prima metà del ventesimo secolo, la Chiesa cattolica si è opposta a molti dei grandi principi fondanti della nostra democrazia. In ogni caso, il dibattito attuale sulle “radici cristiane” d’Europa è mal impostato per due ragioni. La prima è che nessuno nega l’influsso del Cristianesimo, sebbene pochi ricordino che tale influsso è stato spesso assai deprecabile - come i troppo scarsi pentimenti del Papa testimoniano - e non è assolutamente unico, dal momento che è al Rinascimento e all’Illuminismo che dobbiamo la libertà di religione e i valori della nostra politica cui teniamo maggiormente. Inoltre, la storia ci insegna che l’intolleranza religiosa - e quindi le guerre di religione - sono un prodotto delle religioni monoteistiche che ancora oggi affermano di essere le uniche a detenere la verità. La dichiarazione Dominus Jesus della Congregazione vaticana per la diffusione della fede (agosto 2000)4 è illuminante in questo senso. La seconda ragione è che un riferimento alle radici cristiane dell’Europa equivarrebbe, all’atto pratico, al riconoscimento del ruolo ufficiale delle religioni nel processo pubblico europeo. Ciò non solo aprirebbe la via alle richieste da parte degli esponenti delle chiese di considerare come diritti acquisiti i loro attuali privilegi, ma consentirebbe loro di opporsi ad ogni misura considerata contraria alla dottrina, in particolare nell’ambito della libertà di coscienza, famiglia, educazione, vita sessuale (La Santa Sede ha condannato il Field Manual dell’Alta Commissariato per i Rifugiati dell’ONU utilizzato nei campi profughi perché raccomanda la contraccezione), ricerca scientifica, ecc. L’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti richiede la vostra piena attenzione sui temi sopra trattati. Aprile 2002 NOTE 1. CONCLUSIONS de la réunion de Vienne 1986 des représentants des Etats qui ont participé à la Conférence sur la sécurité et la coopération en Europe, convoquée sur la base des dispositions de l’Acte final relatif aux suites de la Conférence. [...] (16) Afin d’assurer la liberté des individus de professer et de pratiquer une religion ou une conviction, les Etats membres, entre autre: (16.1) adopteront des mesures efficaces tendant à empêcher et éliminer toute discrimination basée sur la religion ou la conviction des individus et des communauté pour ce qui est de la reconnaissance, l’exercice et la jouissance des droits de l’homme et des libertés fondamentales dans tous les secteurs de la vie civile, politique, économique, sociale et culturelle et assureront l’égalité effective entre croyants et non croyants; (16.2) favoriseront un climat de tolérance et de respect réciproque entre les croyants des différentes communautés ainsi qu’entre croyants et noncroyants; (17)...Dans leurs lois et règlements et dans leur application (les Etats) assureront la mise en œuvre pleine et effective de la liberté de pensée, de conscience, de religion ou conviction; 2. Dall’accordo del 1984 al disegno di legge sulla libertà religiosa, edito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma 2001: «Le identità, infatti, non possono che essere fuse nei calchi dei principi supremi di uguaglianza e libertà che la Costituzione ha predisposto, né possono, ove si dovesse “esaltare” qualsiasi tipo di diversità in quanto religiosa , creare spazi di privilegio per i “credenti” a scapito non di altri “credenti” (tutti in un sistema ottomano potrebbero ottenere il privilegio della specialità), ma di quei “non credenti” che - lo si voglia o non - sono in realtà la vera maggioranza dell’Europa occidentale del Duemila». 3. Dall’ufficio stampa del Vaticano (da Internet) - 23 febbraio 2002 3. La mia preoccupazione più grande per l'Europa è che essa conservi e faccia fruttificare la sua eredità cristiana. Non si può, infatti, negare che il continente affondi le proprie radici, oltre che nel patrimonio greco-romano, in quello giudaico-cristiano, che ha costituito per secoli la sua anima più profonda. Gran parte di quello che l'Europa ha prodotto in campo giuridico, artistico, letterario e filosofico ha un'impronta cristiana e difficilmente può essere compreso e valutato se non ci si pone in una prospettiva cristiana. Anche i modi di pensare e di sentire, di esprimersi e di comportarsi dei popoli europei hanno subito profondamente l'influsso cristiano. Purtroppo, alla metà dello scorso millennio ha avuto inizio, e dal Settecento in poi si è particolarmente sviluppato, un processo di secolarizzazione che ha preteso di escludere Dio e il cristianesimo da tutte le espressioni della vita umana. Il punto d’arrivo di tale processo è stato spesso il laicismo e il secolarismo agnostico e ateo, cioè l'esclusione assoluta e totale di Dio e della legge morale naturale da tutti gli ambiti della vita umana. Si è relegata così la religione cristiana entro i confini della vita privata di ciascuno. Non è significativo, da questo punto di vista, che dalla Carta d'Europa sia stato tolto ogni accenno esplicito alle religioni e, quindi, anche al cristianesimo? Ho espresso il mio rammarico per questo fatto, che ritengo antistorico e offensivo per i Padri della nuova Europa, tra i quali un posto preminente spetta ad Alcide De Gasperi, a cui è dedicata la Fondazione che voi qui rappresentate. 4. Il «vecchio» continente ha bisogno di Gesù Cristo per non smarrire la sua anima e per non perdere ciò che l'ha reso grande nel passato e ancora oggi lo impone all'ammirazione degli altri popoli. E' infatti in virtù del messaggio cristiano che si sono affermati nelle coscienze i grandi valori umani della dignità e dell'inviolabilità della persona, della libertà di coscienza, della dignità del lavoro e del lavoratore, del diritto di ciascuno a una vita dignitosa e sicura e quindi alla partecipazione ai beni della terra, destinati da Dio al godimento di tutti gli uomini. Indubbiamente all'affermazione di questi valori hanno contribuito anche altre forze al di fuori della Chiesa, e talora gli stessi cattolici, frenati da L'Europa pacifista tra Kant e Machiavelli di EUGENIO SCALFARI Rispondo, perché direttamente chiamato in causa anche se non nominato con una "pudicizia" di cui mi sfugge il senso, all'articolo di Ernesto Galli Della Loggia pubblicato come fondo dal "Corriere della Sera" di domenica 23 febbraio con il titolo "Europa e America, il grande freddo". In esso il Della Loggia riassume molto bene un mio articolo di domenica 16 febbraio, all'indomani dei grandi cortei sulla pace svoltisi il giorno prima in tutta Europa e in molte altre parti del mondo e pone la seguente questione: il pacifismo europeo - che ha con sé la grande maggioranza dello spirito pubblico del continente - è nato dopo le due grandi guerre che sconvolsero i nostri territori e li insanguinarono con milioni e milioni di morti. Da allora gli europei bandirono la guerra e anche la politica (così sempre Della Loggia) dal proprio orizzonte mentale affidando le loro sorti alle forze socialdemocratiche e cattoliche, intrinsecamente pacifiste, e s'incamminarono verso la meta di un'Europa unita e pacifica. La quale prosegue il Nostro - non riesce tuttavia a compiersi poiché, come ogni soggetto istituzionale e politico, non può fondarsi su un sentimento di pacifismo assoluto e antipolitico. E' quindi una favola quella di un popolo europeo che dal basso superi le riserve dei governi nazionali e imponga speditamente l'unità politica del continente. Questa unità, avendo come base un pacifismo ideologico e quindi antipolitico, è impensabile per definizione. "In senso profondo prefigurerebbe un vero e proprio rovesciamento della stessa storia europea: la rivincita di Kant su Machiavelli. Ma in un mondo che continuerebbe ad ispirarsi al grande Conclusione: diverso sarebbe se una determinata guerra viene rifiutata con specifiche motivazioni sulle quali si può consentire e dissentire. Ma se il rifiuto comprende tutte le guerre e quindi il concetto stesso di guerra in quanto tale, ciò esclude l'esercizio della sovranità che fa tutt'uno con l'uso della forza. Il preteso popolo europeo pacifista ad oltranza è dunque una fanfaluca ideologica che si dimostrerà impotente a produrre alcunché di costruttivo e di duraturo. Fin qui la tesi del mio contraddittore che, come spesso gli accade, volendo dimostrare troppo finisce col dimostrare assai poco se non nulla affatto. * * * E' vero: dal 1945 ad oggi e presumibilmente per molti e molti anni a venire lo spirito pubblico europeo ha rifiutato il concetto di mattatoio che aveva tristissimamente sperimentato sulle proprie carni e ha spinto in vari modi i propri governi nazionali a fare proprio il motto: [ab]mai più guerre tra di noi[bb]. Quel mattatoio - sia qui incidentalmente ricordato - non era cominciato nel 1914 e poi ripreso nel '39; aveva radici infinitamente più antiche ed aveva regalato all'Europa secoli e secoli di guerre, carestie, pestilenze e uno sterminato ossario di vittime, con insulse anche se non ideologiche motivazioni dinastiche e/o religiose. Non starò ad enumerare le tappe del mattatoio che presumo siano note a tutti e che finì poi per estendersi anche ad altre parti del mondo come proiezione della politica di potenza della Spagna, della Francia, delle Provincie Unite, dell'Inghilterra, dell'Austria, della Prussia, della Russia. La prima vera guerra ideologica fu quella della Francia repubblicana e poi napoleonica (altri milioni di morti) che cominciò come difensiva, si trasformò in strumento di diffusione della libertà e della democrazia contro i regimi assolutistici, per divenire infine guerra imperiale e imperialistica. Naufragò a Sant'Elena, ma il mattatoio, purtroppo, continuò su scala industriale, anzi tecnologica. Questa situazione è stata rovesciata - mi auguro per sempre - sessant'anni fa. Da chi? Lo dice anche il Della Loggia: dallo spirito pubblico europeo che decise di rifiutare la guerra. Quale guerra, questa, quella, quell'altra? No: ogni guerra che insanguinasse ancora il continente. E con quali mezzi quello spirito *** La Francia repubblicana dell'Ottantanove volle esportare la Repubblica e la democrazia nell'Europa ancora feudale, anzi assolutistica. Ci riuscì? Propongo la questione perché è quanto mai attuale alla vigilia d'una guerra "preventiva" che si propone obiettivi analoghi e altrettanto "filantropici" di liberazione di popoli oppressi. Ebbene sì, ci riuscì. Ma dove? Ci riuscì nei Paesi Bassi, nelle regioni economicamente evolute al di là del Reno, nell'Italia padana. Non ci riuscì in Brandeburgo, nell'Italia del Sud, nella Spagna sanfedista, in tutti i paesi che, al di là dell'Elba, non conoscevano né borghesia né capitalismo ma soltanto latifondo, burocrazia, "anime morte" e poteri per censo e diritto divino mescolati insieme. Se c'è da trarre una morale (con tutte le cautele del caso) è questa: un sistema politico si può esportare in paesi con condizioni sociali consimili a quelle del paese esportatore, altrimenti l'innesto non attecchisce. La Camera dei Comuni era impensabile nell'India castale e infatti gli inglesi non ci pensarono neppure. E così accadde dovunque nel periodo coloniale. Affinché l'innesto attecchisca bisogna non dico abolire ma mitigare la povertà e tutto quanto ne segue. Si vuol sapere perché si è contrari (chi lo è) all'imminente guerra irachena? Una ragione è questa: non si innesta la libertà politica in culture completamente diverse e dove il reddito è sotto il livello della sussistenza. Non ha funzionato neppure in Egitto, né in Siria, né in Giordania, né nella penisola arabica, né in Afghanistan, né in Pakistan. E neppure in Algeria e in Marocco, dove pure una borghesia c'è e il * ** Personalmente sono da sempre un cultore del Machiavelli. Anche del Guicciardini. E sono assai devoto del pensiero kantiano (e non dell'hegeliano). Kant deriva per filo diretto dall'Illuminismo, anzi fu un grandissimo illuminista. Hegel nient'affatto. Kant laicizzò il divino, Hegel lo rimise in trono. "Decapitaro Immanuel Kant Iddio/Massimiliano Robespierre il Re": era un po' approssimativo il Carducci e ci andava giù di grosso ma spesso coglieva il punto. Che cosa vuol dire il Della Loggia quando si avventura su Kant e su Machiavelli? Che la politica, cioè il Potere, ignorano l'etica? Che il fine giustifica i mezzi? Che Platone è una testa di rapa? Che la colpa del mattatoio è dei giacobini e i giacobini essendo figli di Voltaire o meglio di Rousseau, spetta dunque al povero Rousseau la responsabilità del Gulag? Alcune di queste cose le ha scritte più volte, altre le ha sottintese; del resto non è stato il solo. Ma mi permetto di dire che sono baggianate. Machiavelli si era posto un problema e si era fatto una domanda: quali fossero i modi per rendere efficiente il Potere e per conquistarlo, e aveva risposto: commisurare i mezzi al fine, calcolare diremmo noi oggi - i costi e i benefici. Lo stesso Machiavelli si pose, in altre stanze del suo pensiero, altre domande tra le quali anche domande sull'etica, cioè sul bene comune, cioè sui fini del Potere e non soltanto del Potere come fine. Infatti piaceva sia al De Sanctis che al Croce. Perché distingueva. Affrontava distintamente problemi distinti. Non si pose mai, il Machiavelli, la domanda sui rapporti tra l'etica e la politica. Analizzava, non cercava la sintesi. Kant, dal canto suo, studiò, anzi inventò la conoscenza e la logica trascendentali. Ogni persona dotata di buonsenso capisce che non si tratta di parteggiare per l'uno o per l'altro, che sarebbe poi l'ennesima baggianata. Si tratta invece di sapere che nella cultura moderna e in particolare nella cultura democratica moderna il Potere non può esimersi da un rapporto con l'etica. Questo, almeno questo, lo dobbiamo a Rousseau e a Diderot. Ed anche ad Adam Smith e alle sue considerazioni morali. Mi permetto di usare un esempio terra terra perché ho sempre il timore di non essere capito bene: Aznar ha oggi buone ragioni di temere che alle prossime elezioni i socialisti (pacifisti senza né "se" né "ma") di Zapatero riconquisteranno il governo del Paese. Anche Blair in casa propria qualche guaio ce l'ha. Berlusconi, da quel formidabile venditore di tappeti che è, questi pericoli li ha già avvistati per primo; infatti è preoccupatissimo e naviga a vista sperando almeno nell'"imprimatur" dell'Onu. Con questo non voglio identificare il pacifismo con l'etica ma * * * Comunque: non mi sento un Gino Strada; tra l'altro lui fa una vita meritoria quanto impossibile; confesso che non sono un apostolo e quella vita non saprei né vorrei farla. Per dire: non credo alla fine della storia e quindi neppure al pacifismo integrale che sarebbe il paradiso in terra. Ma credo che anche le grandi utopie, oltre che i grandi interessi, muovano il corso della storia e il pacifismo integrale (o ideologico come sento dire con schifiltoso disprezzo) è una grande utopia che può muovere la storia e forse ha già cominciato a muoverla. E credo, per venire a noi, che questa guerra preventiva contro l'Iraq sia una grande imbecillità. Monsignor Tauran, segretario di Stato vaticano agli Esteri, ha detto l'altro ieri che questa guerra sarebbe un crimine. Lui se lo può permettere perché ha il Vicario di Cristo in casa. Io mi limito UN PARADOSSO? UNA COSTITUZIONE EUROPEA SENZA RICHIAMI AL CRISTIANESIMO Perché nella Costituzione Europea è assente il riferimento alle radici cristiane del continente? Perché non si fa neanche cenno al Cristianesimo nella futura costituzione Europea? Forse in nome di quell'illuminismo che viene considerato come patrimonio di idee di una rinascita del pensiero e della ragione, come se prima essi non fossero stati presenti nella nostra storia? E' stato forse l'Illuminismo a fare l'Europa? O forse perché si vuole sgomberare il campo a future incomprensioni con nazioni che vogliono entrare nella nuova Europa? Eppure grandi uomini di pensiero hanno dato il loro contributo di idee per la nascita di una nuova comunità Europea che sappia costruire il futuro guardando al passato storico. Basti pensare a Goethe che così diceva: «La lingua materna dell'Europa è il cristianesimo». Oppure a Emmanuel Kant più esplicito sul collante che ha unito tanti popoli diversi in un unico grande sogno: «Il Vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra civiltà». Cosa vogliamo fare? Per facilitare la strada alle altre nazioni, di religioni diverse, che ambiscono ad entrare nel Sogno Europeo, già da ora vogliamo mettere da parte le nostre radici? La nostra memoria storica? Quel "Pensare" al passato ed al suo patrimonio di cultura e tradizione religiosa senza il quale non esiste futuro? Vogliamo scendere a compromesso per facilitare un certo amalgama tra etnie diverse, culture diverse e popoli diversi? Fino a che punto pensiamo di essere fedeli alle linee dei padri d'Europa: i De Gasperi, gli Shumann e gli Adenauer? Non dimentichiamo ciò che ha detto Papa Giovanni Paolo II ai partecipanti al convegno "Verso una Costituzione Europea", tenutosi dal 20 al 22 giugno 2002: "...occorrerà perciò ispirarsi, con fedeltà creativa, a quelle radici cristiane che hanno segnato la storia europea. Lo esige la memoria storica, ma anche, e soprattutto, la missione dell'Europa, chiamata, ancora oggi, ad essere maestra di vero progresso, a promuovere una globalizzazione nella solidarietà e senza marginalizzazioni, a concorrere all'edificazione di una pace giusta e duratura al suo interno e nel mondo intero, ad intrecciare tradizioni culturali diverse per dar vita a un umanesimo in cui il rispetto dei diritti, la solidarietà, la creatività permettano ad ogni uomo di realizzare le sue più nobili aspirazioni". Già un altro pontefice, prima di lui, aveva detto che l'Europa «nasce dalla croce, dal libro e dall'aratro». Anche il Patriarcato ortodosso di Mosca ha preso posizione per la difesa dei valori cristiani in Europa. Per la prima volta a fianco della Chiesa cattolica il patriarcato ha definito la bozza di Carta «deplorevolmente inaccurata dal punto di vista storico», criticando «i pregiudizi ideologici» di natura laicista e antropocentrica che ne sarebbero posti alla base, oltre che l’assenza di riferimenti espliciti alle radici cristiane del continente. «Escludendo le radici dell’eredità culturale, religiosa e umanistica dell'Europa, essa ignora completamente il periodo storico compreso tra il IV e il XVIII secolo, quando la Cristianità esercitò un influsso decisivo sullo sviluppo dei Paesi europei», così la nota del Patriarcato di Mosca, che aggiunge: «Questo significa riscrivere la storia sulla base di Non dimentichiamo ciò che affermò Martin Heidegger nella sua opera Sentieri interrotti: «Il tempo della notte del mondo è il tempo della povertà, perché il mondo diventa sempre più povero. È già diventato tanto povero da non poter riconoscere la mancanza di Dio come mancanza». Possibile che sia vero ciò che Fëdor Michajlovic Dostoevskij con veemenza gridava: «L'Europa ha rinnegato Cristo. È per questo, è solo per questo che sta morendo». Da questo sito apolitico, dedicato a Gesù Cristo, non si può non riflettere su un'evidenza storica: il rappresentante del governo italiano Fini ed il Partito popolare europeo hanno presentato degli emendamenti volti a inserire nel preambolo della bozza della futura costituzione Ue un riferimento alle «radici giudaico-cristiane» dell’Europa. "Un fattore qualificante dell'identità di questo continente - ha detto recentemente il Papa - è la Chiesa fondata da Gesù Cristo. "Non c'è dubbio che, nella complessa storia dell'Europa, il cristianesimo rappresenti un elemento centrale e qualificante, consolidato sul saldo fondamento dell'eredità classica e dei molteplici contributi arrecati dagli svariati flussi etnico-culturali che si sono succeduti nei secoli. La fede cristiana ha plasmato la cultura del continente e si è intrecciata in modo inestricabile con la sua storia, al punto che questa non sarebbe comprensibile se non si facesse riferimento alle vicende che hanno caratterizzato prima il grande periodo dell'evangelizzazione, e poi i lunghi secoli in cui il cristianesimo, pur nella dolorosa divisione fra Oriente ed Occidente, si è affermato come la religione degli Europei stessi" (Motu Proprio, Spes aedificandi, n. 1). In questo contesto non c'è dubbio che un chiaro riferimento a Dio e alla fede cristiana nella Costituzione europea in corso di elaborazione significa il riconoscimento di una realtà storica e culturale che opera nel presente e dalla quale gli europei traggono la propria identità"(DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II ALL’AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA PRESSO LA SANTA SEDE - Venerdì, 13 settembre 2002) Un Cristianesimo senza l'Europa vive, perché è poggiato sulla ROCCIA che è Gesù Cristo. Un'Europa senza Cristianesimo è come una mela marcia su un La Pace Perpetua, in Europa, oggi di Antonella Succurro È difficile accettare la realtà devastante e devastata che ogni giorno ci si mostra, rischiando a volte di tramutarsi in show, in televisione. Viene spontaneo chiedersi se sia veramente così difficile volere la pace, pretenderla tanto ardentemente da poterla realizzare. Nello scritto Nazionalismo e Federalismo, Mario Albertini (1919-1997) denunciava la mancanza in Europa (in tutto il mondo) di una «cultura della pace», una ``cultura'' (intesa come «orientamento delle società umane») che ponesse la pace come obiettivo supremo della politica, dal momento che ormai guerra significa autodistruzione del genere umano. Ebbene, il mondo odierno (in fondo il mondo di sempre, un poco più sviluppato) è caratterizzato invece dalla «cultura della guerra», che altro non è che la quotidiana «cultura del comportamento nazionale»: Albertini parlava di «mondo della guerra», formato da «Stati come società nazionali chiuse, esclusive, armate», e governato dalla ragion di stato, cioè con l'uso della forza. E qui sorge il problema del pacifismo di oggi: un pacifismo che, per quanto possa essere sentito, non si propone di distruggere - attraverso la rinuncia della propria sovranità (anche militare) auspicata da Luigi Einaudi (nell'articolo Chi vuole la pace?, del 1948) il mondo della guerra, ma che pensa di poter contrastare questa cultura così radicata introducendo «un po' più di liberalismo, di democrazia o di socialismo nel proprio Stato nazionale». Lord Lothian direbbe che «il pacifismo non basta». O almeno non questo pacifismo ingenuo e utopistico, il pacifismo tradizionale definito da Albertini come privo di «nerbo metafisico o senso storico», che deriva proprio dalla denunciata mancanza di una cultura della pace. Ma nella tradizione c'è un pensiero che spicca, non unico ma sicuramente più alto e luminoso, ed è quello che ha analizzato con chiarezza la realtà alla base di una simile situazione del pensiero politico: Immanuel Kant (1724-1804) vedeva la pace come l'esito di un processo di trasformazione dello ``stato naturale'' in un ordine controllato dalla volontà dell'intero genere umano. Lontano da ogni ingenuità, Kant auspicava un futuro nel quale «la nostra civiltà avrà raggiunto il punto di perfezione, il solo di cui questa pace [la pace perpetua] potrebbe essere la conseguenza». Egli era anche consapevole che «al grado di civiltà cui il genere umano è pervenuto la guerra è un La filosofia della storia di Kant traccia proprio il quadro storico del mancato sviluppo di quella cultura della pace che, dopo una serie di tentativi imperfetti, avrebbe dovuto portare al superamento della ``libertà selvaggia'' degli Stati (lo stato di natura è uno stato di guerra, e quindi uno stato ingiusto) attraverso una ``federazione di popoli'' che prevede l'unione dei popoli sotto un pactum societatis e non sotto un pactum subiectionis, che equivale a istituire un superstato. La teoria kantiana della pace perpetua si costituisce di sei articoli preliminari, una sorta di pars destruens che denuncia l'assolutismo monarchico, il sistema dei rapporti internazionali regolati dalla ragion di stato e la natura precaria dei trattati di pace, che non sono in grado di eliminare possibili pretesti di guerre future; e di tre articoli definitivi, la pars construens in cui si pongono le condizioni per la pace perpetua. Il primo di questi tre articoli definitivi prevede che la Costituzione di tutti gli Stati sia repubblicana: per Kant infatti solo Stati tra loro omogenei possono riconoscersi nella pace, e lo Stato repubblicano è lo Stato giuridico che meglio di ogni altro garantisce la libertà all'interno e la pace all'esterno, in quanto solo al cittadino viene richiesto l'assenso per decidere se la guerra debba o non debba essere fatta. Infatti «che cosa è un monarca assoluto? È colui che quando comanda: ``la guerra deve essere'', la guerra segue. Cosa è invece un monarca limitato? Colui che chiede prima al popolo se la guerra debba esseri o meno, e se il popolo dice: ``la guerra non deve esserci'', essa non segue». Il passo successivo, descritto nel secondo articolo, è quindi la federazione dei popoli, di cui la repubblica è condizione necessaria, ma non sufficiente: il pacifismo politico di Kant confluisce qui nel pacifismo giuridico, che vede nella struttura giuridica degli Stati nazionali, gelosi della propria sovranità, la causa principale della guerra, eliminabile unicamente nel sistema federale. Il diritto internazionale deve quindi fondarsi su di una federazione di liberi Stati, che si distingue sia da un'associazione di Stati sotto un "superstato" sia, visto il proposito di porre fine a tutte le guerre e per sempre, da un puro e semplice trattato di pace. Nel terzo ed ultimo articolo Kant giunge, in una sorta di climax, alla dimensione individuale: il diritto cosmopolitico di universale ospitalità, che ricapitola nel soggetto singolo i rapporti tra gli Stati. Questo diritto, che spetta a tutti gli uomini in virtù del possesso comune originario di tutta la superficie della terra, pone nuova attenzione (anche critica nei confronti degli europei del XVIII secolo) sulla persona del cittadino, in quanto diretta ai rapporti tra uno Stato e i cittadini degli altri Stati, mentre il diritto internazionale regolava solamente i rapporti tra gli Stati. Dopo tutto ciò che è stato detto, è impossibile non accorgersi dell'incredibile attualità del pensiero kantiano. Tornando al tema del mancato sviluppo di una vera cultura della pace: nel considerare la L’ EUROPA DI MOTESQUIEU, VOLTAIRE E KANT Europeismo o Nazionalismo Nell'Illuminismo Montesquieu e Voltaire insistono sull'identità e sulla centralità dell'Europa nell'epoca moderna sia sul piano economico sia su quello politico. La scoperta dell'America legò all'Europa l'Asia e l'Africa. L'America fornì all'Europa le merci necessarie per il commercio con le Indie orientali e i traffici marittimi con l'Africa furono indispensabili perché essa forniva uomini per il lavoro nelle miniere e nei campi dell'America. L'Europa divenne il centro dei commerci e raggiunse così un grado di potenza molto elevato superiore anche a quello dell'Asia. L'unica differenza tra Europa e Asia era che nella prima c'era la libertà mentre nella seconda c'era dispotismo. La radice dell'idea d'Europa come terra della libertà nacque nell'epoca greca perché l'Europa era sede di governi fondati sulle leggi a differenza dell'Asia, terra di dispotismo. Con l'epoca romana si introdusse anche il concetto d'uniformità politica, pur nella diversità e molteplicità dei popoli sottomessi a Roma, e questo concetto rimase anche dopo la fine dell'impero attraverso il diritto romano e l'idea di legalità ad esso legata. Con il Cristianesimo si aggiunse quello d'unità spirituale e l'Europa divenne la Cristianità. La spaccatura portata dalla Riforma protestante contribuì a sostituire alla unità religiosa quella culturale d'Europa: la particolarità dell'Europa è quella di essere un "corpus a sé" con proprie caratteristiche politiche, sociali, culturali e con una propria tradizione. Intorno all'XVIII - XIX secolo queste diverse radici vennero riprese dagli studiosi grazie anche all'Illuminismo. Voltaire, uno di questi filosofi, riconosce che l'Europa costituisce anche un'unità politica, nel senso d'avere principi di diritto pubblico e di politica, sconosciuti nelle altre parti del mondo e fra questi il principio d'equilibrio fra gli Stati. Con l'idea illuminista di sovranità popolare e, dopo l'avvento di Napoleone, con l'esigenza di liberazione da un dominio straniero, si afferma il concetto di Nazione. Questo però accade solo nel primo '800 perché nella cultura dell'antico regime l'idea che lo Stato dovesse coincidere con una Nazione era sostanzialmente estranea. L'idea moderna di Nazione si rafforzò con Rousseau e con la sua concezione dello stato come espressione di un popolo capace di esprimere una volontà comune. Rousseau infatti era contrario all'europeismo e per questo si contrappone a Montesquieu e a Voltaire. Questa concezione venne diffusa grazie alla rivoluzione francese e alle guerre napoleoniche in tutta Europa. Con la diffusione dell'idea di nazione nacquero molti problemi legati alle due concezioni di Europa e di Nazione. In Italia erano presenti due studiosi come Carlo Cattaneo e Giuseppe Mazzini che avevano idee differenti sulle diverse concezioni, ma comuni nello spirito della libertà e del progresso. Cattaneo aveva una concezione federale di Europa perché era convinto che la libertà avvicinasse i popoli e li spingesse ad associarsi in una federazione europea di Stati. Mazzini invece, esaltava la patria, la nazione ponendola in connessione strettissima con l'umanità. Nell'appello Ai giovani in Italia del 1859 la nazione non era solamente fine a se stessa ma era anche mezzo per il compimento del fine supremo, vale a dire l'umanità. Quest'ultima si esprimeva nell'Europa per questo il pensiero di Mazzini era rivolto alla giovane Europa, all'Europa dei popoli. Mazzini dice anche che ogni popolo ha avuto da Dio una missione, "l'insieme di tutte quelle missioni compiute in bella armonia per il bene comune, rappresenterà un Lo "Sprito delle Leggi" (1748) La scoperta dell'America ha intensificato il commercio tra Europa Asia e Africa. L'Europa al centro del commercio mondiale. Il commercio interno favorisce quello estero. La religione cristiana si oppone all'assolutismo e contribuisce alla felicità terrena al contrario di quella maomettana. Secondo Montesquieu l'Europa sarebbe il fulcro del commercio internazionale; questo perché grazie alla scoperta dell'America l'Europa è riuscita ad emergere sugli altri mercati. Infatti l'America ha fornito all'Europa merce necessaria al suo commercio con l'Asia, come l'argento, materiale molto usato per gli scambi di mercato. Oltre all'America anche l'Africa ha contribuito molto al potenziamento dell'Europa, infatti dall'Africa arrivano gli schiavi da far lavorare nelle miniere e nelle piantagioni dell'America. Questa potenza dell'Europa si nota soprattutto dall'immensità delle spese (anche certe volte inutili) che venivano affrontate in questo arco della storia. Su questo fatto però non era d'accordo il padre Duhalde che affermava invece la supremazia dell'Asia sull'Europa. A questa provocazione Montesquieu risponde dicendo che questo fatto potrebbe essere anche vero solo se il commercio estero dell'Europa non facesse aumentare anche quello interno. Inoltre Montesquieu per concludere dice che l'Europa svolge anche il commercio ed i traffici marittimi delle altre tre parti del mondo. Con questo discorso Montesquieu fa affiorare notevolmente la potenza dell'Europa e soffoca così le inutili proteste fatte dal padre Duhalde. Al contrario nella religione cristiana esistono principi che contano sul loro popolo e vengono ammirati e stimati da esso. Con questo discorso Montesquieu fa notare che la religione cristiana, preoccupandosi della felicità nell'altra vita, contribuisce a rendere migliore anche la vita terrena. "Spirito delle leggi" di Montesquieu (documento originale collegato) Il risultato della scoperta dell'America fu di legare all'Europa l'Asia e l'Africa. L'America fornì all'Europa la merce necessaria per il suo commercio con quella gran parte dell'Asia che si suole chiamare le Indie orientali. L'argento questo metallo così utile al commercio sotto forma di moneta, fu inoltre la base, come merce di scambio, del commercio più grande dell'universo. Infine i traffici marittimi con l'Africa divennero necessari, perché essa forniva uomini per il lavoro nelle miniere e nei campi dell'America. L'Europa ha raggiunto un grado così elevato di potenza da non trovar riscontro nella storia, se si considerano l'immensità delle spese, la grandezza degli impegni, il numero delle truppe e la continuità del loro mantenimento, anche quando sono del tutto inutili e non sono altro che oggetto di ostentazione. Il padre Duhalde afferma che il commercio interno della Cina è maggiore di quello di tutta l'Europa. Ciò potrebbe anche darsi se il nostro commercio estero non facesse aumentare il volume di quello interno. L'Europa svolge il commercio e i traffici marittimi delle altre tre parti del mondo, come la Francia, l'Inghilterra e l'Olanda svolgono quasi tutto il commercio e la navigazione dell'Europa. (Libro XXI, cap. XXI) La religione cristiana è ben lungi dal puro dispotismo poiché, essendo la mitezza totalmente raccomandata nel Vangelo, essa si oppone al furore dispotico con il quale il principe si farebbe giustizia ed eserciterebbe le sue crudeltà. Poiché questa religione proibisce la pluralità delle mogli, i principi sono meno chiusi, meno separati dai loro sudditi, e di conseguenza più uomini; sono più disposti a darsi delle leggi e più inclini ad accorgersi che non possono tutto. Mentre i principi maomettani danno continuamente la morte e la ricevono, la Le "Lettere Persiane" (1721) - Artificiosità e raffinatezza della vita di Parigi - Passione di arricchirsi da parte di tutti, a partire dagli artigiani sino ai signori - Dinamismo individuale, caratteristiche tipicamente europee - Un sovrano per essere potente deve provvedere non solo al necessario per la vita, ma anche a ogni sorta di superfluo. Parigi è una città dalla vita artificiosa. L'estensore della lettera la definisce la più sensuale del mondo, in quanto i piaceri sono i più raffinati, ma è anche la città in cui si conduce una vita più dura, perché un uomo per vivere deliziosamente ha bisogno che altri cento lavorino per lui senza tregua. Da questa situazione è sorto l’ardore da parte dell’uomo per il lavoro e per l’arricchimento. Questa mentalità domina non solo una persona, ma addirittura tutta la nazione. A Rhedi, l'altro corrispondente che accusa il popolo francese di essere effeminato, si risponde che l’accusa non è valida perché dovunque non si vede altro che lavoro e se una nazione non pensasse ad arricchirsi non sarebbe che la più miserabile del mondo e soprattutto la più vulnerabile agli attacchi del nemico. A conclusione della lettera Montesquieu afferma che il sovrano per essere potente deve sostenere il popolo Dalle "Lettere persiane" (1721) (testo originale collegato) […] Parigi è forse la città del mondo più sensuale e dove i piaceri sono più raffinati; ma è forse quella in cui si conduce una vita più dura. Perché un uomo possa vivere deliziosamente, bisogna che cento altri lavorino senza tregua […] Quest'ardore per il lavoro, questa passione di arricchirsi passa di condizione in condizione, dagli artigiani ai signori. Nessuno ama esser più povero di colui che ha visto immediatamente dietro di sé. Voi vedete a Parigi un uomo che ha da vivere fino al giorno del giudizio, lavorare senza posa e correr rischio di abbreviarsi la vita per ammassare, dice lui, di che vivere. Il medesimo spirito domina la nazione: noi non vediamo che lavoro e industria; dove è dunque questo popolo effeminato del quale mi parli tanto? Immaginiamo, Rhedi, che in uno Stato siano tollerate solamente quelle arti, e sono numerose, che sono necessarie alla coltivazione delle terre e che si escludano quelle che servono solamente ai godimenti e alla fantasia; ebbene, questo Stato sarebbe il più miserabile del mondo. Quando gli abitanti avessero tanto coraggio da fare a meno di tante cose necessarie ai loro bisogni, il popolo deperirebbe ogni giorno di più e lo Stato diventerebbe così debole, che non vi sarebbe piccola potenza incapace di conquistarlo. […] Onde bisogna concludere, o Rhedi, che un sovrano per essere potente deve procurare che i suoi sudditi vivano nelle delizie; bisogna ch'egli si adoperi affinché non manchi loro non solamente ciò che è necessario alla vita, ma "Il secolo di Luigi XIV", di Voltaire L’Europa cristiana viene vista come una specie di grande repubblica divisa in più Stati, tutti pressappoco simili - Questi Stati hanno tutti gli stessi principi di diritto pubblico e di politica sconosciuti nelle altre parti del mondo. - In base a questi princìpi abbiamo la garanzia che i prigionieri non sono fatti schiavi, gli ambasciatori nemici sono rispettati - Gli stati europei praticano una sola politica per mantenere un eguale equilibrio di potere fra loro attraverso continue negoziazioni e ambascerie (la diplomazia), ma anche attraverso spie che possono dare l’allarme a tutta Europa nel caso di invasione. "Il secolo di Luigi XIV" (1738-51) (documento originale collegato). L’Europa supera in ogni campo le altre parti del mondo […]. [Si può] vedere l’Europa cristiana (ad eccezione della Russia) come una specie di grande repubblica divisa in più Stati, gli uni monarchici, gli altri misti, alcuni aristocratici, altri popolari: ma tutti press’a poco simili, avendo tutti uno stesso fondo di religione, sebbene diviso in più sètte; e tutti hanno gli stessi princìpi di diritto pubblico e di politica, sconosciuti nelle altre parti del mondo. È in base a questi princìpi che le nazioni europee non fanno schiavi i loro prigionieri, e rispettano gli ambasciatori dei loro nemici, e riconoscono la supremazia e i diritti di certi principi, come dell’imperatore, dei re e degli altri meno potenti, e soprattutto si accordano, nella saggia politica di mantenere tra loro, nel limite del possibile, un eguale equilibrio di potere, impiegando continuamente le negoziazioni, anche nel mezzo di una guerra, e mantenendo gli uni presso gli altri ambasciatori o, meno onorevolmente, spie, che possono tutti sovvertire il corso dei piani di uno solo, dare contemporaneamente l’allarme a tutta Europa e garantire i più deboli nel caso di invasioni che il più forte è sempre pronto a intraprendere. (Prefazione) […] Si è visto che una repubblica letteraria si era insensibilmente stabilita in Europa, nonostante le guerre, e nonostante le diversità di religione. Tutte le scienze, tutte le arti hanno così goduto di scambievoli aiuti; le accademie han creato tale repubblica. La letteratura ha unito l’Italia colla Russia; gl’inglesi, i tedeschi, i francesi andavano a studiare a Leida. Il celebre medico Bourhave veniva consultato a un tempo e dal papa e dallo zar. I suoi migliori allievi attiravano allo stesso modo gli stranieri, e son diventati in certa guisa i medici delle nazioni: i veri scienziati, in ogni ramo del sapere, hanno stretto i legami di quella grande società degli spiriti, dappertutto diffusa, e dappertutto indipendente. Tale carteggio dura ancora, ed è una delle consolazioni dei mali che l’ambizione e la politica procurano all’umanità. [...] Siam debitori di tali progressi a un piccol numero di saggi e di genî apparsi in alcune regioni d’Europa, quasi tutti per lungo tempo oscuri, e spesso perseguitati; essi hanno rischiarato e consolato la terra mentre le guerre la desolavano. In altre opere si posson trovare gli elenchi di tutti coloro che "Per la pace perpetua" di Immanuel Kant - Il diritto internazionale deve fondarsi sopra una federazione di liberi Stati. - Differenza tra il concetto di federazione di popoli e Stato di popoli. - Ogni Stato dovrebbe uscire dalla sua forma selvaggia. - Il sovrano vuole accrescere il numero dei sudditi per avere più strumenti in guerra. - La forte morale dell’ uomo porta la parola "diritto" in tutti gli Stati. - Distinzione tra la "lega di pace" e il "patto di pace". - Rinunciare alla selvaggia libertà per formare uno Stato di popoli - Il diritto internazionale deve fondarsi sopra una federazione di liberi Stati. - Non bisogna confondere una federazione di popoli con uno Stato di popoli; poiché dobbiamo considerare il diritto dei popoli tra loro in quanto essi costituiscono altrettanti Stati diversi che non devono confondersi in un solo e unico Stato. - Ogni uomo preferisce essere libero rimanendo allo stato selvaggio piuttosto che sottoporsi ad una coazione legale - Ogni popolo civile dovrebbe uscire dallo stato degradante di selvaggio. Anche gli Stati europei, che pur si distinguono dai selvaggi per la loro civiltà, non si sottopongono ad una coazione legale esterna per vivere in concordia poiché ogni sovrano cura il proprio potere e preferisce accrescere il numero dei suoi sudditi per aumentare la quantità di strumenti da usare in guerra. La differenza tra i selvaggi d’America ed i "selvaggi" d’Europa consiste nel fatto che i primi divorano i propri nemici mentre i secondi li usano per accrescere il loro potere. Attraverso lo spirito filosofico e diplomatico, testimoniato da uomini celebri, possiamo vedere che nell’uomo si riscontra una morale talmente forte, anche se assopita, da essere destinata a prendere il sopravvento sopra il principio del male, e a portare così la parola "diritto" in tutti gli Stati. - Bisogna saper distinguere tra la "lega della pace" (foedus pacificum) e il "patto di pace" (pactum pacis) perché "Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico" (1784), di Immanuel Kant (documento originale collegato) TESI QUINTA - Il più grande problema alla cui soluzione la natura costringe la specie umana è di pervenire ad attuare una società civile che faccia valere universalmente il diritto. Poiché solo nella società, e precisamente in quella società in cui si attui, da un lato, la massima libertà, e quindi un generale antagonismo dei suoi membri e, dall’altro, la più rigorosa determinazione e sicurezza dei limiti di tale libertà affinché essa possa coesistere con la libertà degli altri: poiché, ripeto, solo in una società siffatta il supremo fine della natura, cioè lo sviluppo di tutte le facoltà, può essere nell’umanità raggiunto, la natura vuole ancora che l’umanità debba attuare da sé così questi come tutti gli altri fini della sua destinazione. Perciò una società, in cui la libertà sotto leggi esterne vada congiunta nel più alto grado possibile con un potere irresistibile, cioè con una costituzione civile perfettamente giusta, è il compito supremo della natura nei riguardi della specie umana. [...] TESI SETTIMA - Il problema di instaurare una costituzione civile perfetta dipende dal problema di creare un rapporto esterno tra gli Stati regolato da leggi, e non si può risolvere il primo senza risolvere il secondo. La natura [...] mediante la guerra, mediante gli armamenti sempre più estesi e non mai interrotti, per la miseria che da ciò deriva a ogni Stato anche in tempo di pace, sospinge a tentativi dapprima imperfetti, e da ultimo, dopo molte devastazioni, rivolgimenti, e anche per il continuo esaurimento interno delle sue energie, spinge a fare quello che la ragione, anche senza così triste esperienza, avrebbe potuto suggerire: cioè a uscire dallo Stato eslege di barbarie ed entrare in una federazione di popoli, nella quale ogni Stato, anche il più piccolo, possa sperare la propria sicurezza e la tutela dei propri diritti non dalla propria forza o dalle proprie valutazioni giuridiche, ma solo da questa grande federazione di popoli (foedus amphictyonum), da una forza collettiva e dalla deliberazione secondo leggi della volontà comune. "Per la pace perpetua. Progetto filosofico" (1795-96) (documento originale collegato) Lo stato di pace tra gli uomini assieme conviventi non è affatto uno stato di natura (status naturalis). Questo è piuttosto uno stato di guerra, nel senso che, se anche non vi sono sempre ostilità dichiarate, è però continua la minaccia che esse abbiano a prodursi. Dunque lo stato di pace dev’essere istituito, poiché la mancanza di ostilità non significa ancora sicurezza. [...] Secondo articolo definitivo per la pace perpetua: "Il diritto internazionale deve fondarsi sopra una federazione di liberi Stati". [...] Questa sarebbe una federazione di popoli, ma non dovrebbe però essere uno Stato di popoli. In quest’ultima idea vi sarebbe una contraddizione, poiché ogni Stato implica un rapporto di un superiore (legislatore) con un inferiore (colui che obbedisce, cioè il popolo), mentre molti popoli in uno Stato costituirebbero un sol popolo, ciò che è contrario al presupposto (poiché qui dobbiamo considerare il diritto dei popoli tra loro in quanto essi costituiscono altrettanti Stati diversi e non devono confondersi in un solo e unico Stato). Come l’attaccamento dei selvaggi alla loro libertà senza legge, che li spinge a preferire di azzuffarsi di continuo tra loro piuttosto che sottoporsi a una coazione legale da loro stessi stabilita, a preferire una folle libertà a una libertà ragionevole, noi lo riguardiamo con profondo disprezzo e lo consideriamo barbarie, rozzezza, degradazione brutale dell’umanità, così si dovrebbe pensare che i popoli civili (di cui ognuno forma uno Stato per sé) dovrebbero affrettarsi ad uscire al più presto possibile da uno stato così degradante. Al contrario ogni Stato ripone piuttosto la sua maestà (poiché maestà del popolo è un’espressione insulsa) nel non sottoporsi a coazione legale esterna di sorta, e lo splendore del sovrano si fa consistere nell’avere al suo comando, senza che egli stesso si esponga al pericolo, molte migliaia di uomini pronti a sacrificarsi per una causa di cui ad essi non importa nulla. La differenza tra i selvaggi dell’Europa e quelli dell’America consiste soprattutto in questo: che in [...] Sono ancora sempre candidamente citati, a giustificazione di una guerra di aggressione, Ugo Grozio, Pufendorf, Vattel e altri (i quali non sono che assai deboli incoraggiatori), sebbene il loro codice, redatto con spirito filosofico e diplomatico, non abbia o anche solo possa avere la minima forza legale (poiché gli Stati come tali non sono sottoposti a una coazione esterna comune) e non si dia l’esempio di uno Stato che sia mai stato indotto a desistere dal suo proposito da argomenti avvalorati da testimonianze di uomini tanto celebri. Questo omaggio, che ogni Stato rende (almeno a parole) all’idea di diritto, dimostra che si riscontra nell’uomo una disposizione morale più forte, anche se presentemente assopita, destinata a prendere un giorno il sopravvento sopra il principio del male che è in lui (cosa che egli non può negare) e a fargli sperare che ciò avvenga anche negli altri, poiché altrimenti la parola diritto non verrebbe mai sulla bocca degli Stati che vogliono arrendersi, se non per prendersi gioco di essa, come quel principe gallo che affermava: "È privilegio che la natura ha concesso al più forte sul più debole, che questo debba a quello obbedire". [...] La ragione, dal suo trono di suprema potenza morale legislatrice, condanna in modo assoluto la guerra come procedimento giuridico, mentre eleva a dovere immediato lo stato di pace, che tuttavia non può essere creato o assicurato senza una convenzione di popoli. Di qui la necessità di una lega di natura speciale, che si può chiamare lega della pace (foedus pacificum), da distinguersi dal patto di pace (pactumpacis) in ciò: che quest’ultimo si propone di porre termine semplicemente a una guerra, quello invece a tutte le guerre e per sempre. [...] Per gli Stati che stanno tra loro in rapporto reciproco non vi è altra maniera razionale per uscire dallo stato naturale senza leggi, che è stato di guerra, se non rinunciare, come i singoli individui, alla loro selvaggia libertà (senza leggi), sottomettersi a leggi pubbliche coattive e formare uno Stato di popoli (civitas gentium), che si estenda sempre più, fino ad abbracciare da Italia e Europa nel Pensiero di Mazzini Mazzini porta nell’ottocento il concetto di dovere, quello di costruire una nazione. Nel saggio "Fede e Avvenire", Mazzini, partendo dalla visione religiosa di un Dio unificatore e creatore prospetta una nuova legge morale fondata sulla associazione e sulla solidarietà. Dio ha dato a ciascun uomo una coscienza rivolta alla costruzione della nazione, unico mezzo del progresso civile. Si tratta di una missione di fratellanza che spetta a ciascun uomo per un'unica unione. Il dovere di ogni nazione è quella di creare un’unione tra le varie nazioni, vista come un’associazione di popoli. Tale unione di popoli per Mazzini è possibile perché egli crede in un unico Dio, motore dell’esistenza, in un’unica legge immutabile che lega tutte le persone e quindi nella " Santa Alleanza dei Popoli", determinata dalla libertà e dall’uguaglianza. "Fede e Avvenire", di G. Mazzini (documento originale collegato) L’elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega…Per esso si fonda l’associazione …Noi salutiamo…quell’immenso avvenire, la cui leva avrà a punto di appoggio la Patria, per fine l’Umanità, quando i popoli stringeranno un patto comune e definiranno fratelli la missione di ciascuno nel futuro, l’ufficio che spetta a ciascuno nell’associazione generale, governata da una legge per tutti, da un Dio per tutti. Spetta a noi d’affrettare il momento in cui la campana a stormo dei popoli, la Rivoluzione, convocherà una Convenzione che sia un vero Concilio generale …Noi crediamo in un Dio solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto ...Crediamo in un’unica Legge immutabile …Crediamo nell’Umanità, ente collettivo e continuo nella quale si manifesta più che altrove il pensiero di Dio sulla terra.. Crediamo nella Associazione come nella sola via esistente di perfezionamento.. Crediamo nella Santa Alleanza dei popoli, come quella che è la più vasta formula di associazione possibile nell’epoca nostra, nella libertà e nella uguaglianza dei popoli senza le quali non ha vita associazione vera, nella “nazionalità”, ch’è la coscienza dei popoli e che assegnando ad essi la loro parte di lavoro nell’associazione, il loro ufficio nell’umanità, costituisca la loro missione sulla "Gli Stati Uniti d'Europa". Carlo Cattaneo letto da Arturo Momigliano Per Cattaneo la sola forma di unità tra popoli liberi è il patto federale "Io non spero mai nella nuda unità; per me la sola possibile forma di unità tra popoli è un patto federale", nella convinzione che la libertà avvicina i popoli e li spinge ad associarsi. Secondo Momigliano il principio federale di Cattaneo doveva unire l'Europa tramite il principio morale dell' uguaglianza e della libertà. Per Cattaneo quando le nazioni tendono ad avvicinarsi, ad avere qualcosa in comune, il commercio, le leggi, la scienza; devono iniziare a mettere da parte le vecchie discordie e stringere un patto di fratellanza, sottomettendosi ad un unico codice di un'unica giustizia. Il testo presenta il pensiero di Cattaneo ed in particolare la sua concezione federale per l’Europa. La soluzione del problema italiano, per i federalisti repubblicani, come per i mazziniani unitari, comporta la soluzione del problema della libertà per tutta Europa. Nella convinzione che la libertà avvicina i popoli e li spinge ad associarsi, Cattaneo sostiene la scelta federale, garanzia di libertà, e scrive nel 1860 in una lettera ad un amico siciliano: “Io non spero mai nella nuda unità; per me la sola possibile forma di unità tra liberi popoli è un patto federale. Il potere deve essere limitato e non può essere limitato se non dal potere”. (pag.48) Commenta Momigliano: “L’associazione delle nazioni non era che l’estensione del principio federale che doveva annodare le nazioni, non con l’unità materiale del dominio, ma col principio morale dell’uguaglianza e della libertà”(pag. 53) Scrive Cattaneo sul giornale Il Cisalpino nel 1948: “No, quando le nazioni tendono d’ogni parte verso la comunanza dei viaggi, dei commerci, delle scienze, delle leggi; quando il vapore trae sulle terre e sui mari moltitudini nel nome della fratellanza e della pace; quando la parola vibra veloce nei fili elettrici da un capo all’altro dei continenti… è tempo che le discordi tradizioni delle genti si costringano ad un patto di mutua tolleranza e di amicizia, si sottomettano ad un codice di un’unica giustizia…” (pag. 54) Il significato del "Progetto di pace perpetua" di Kant per l'uomo contemporaneo Lucio Levi (Docente di Politica Comparata - Università di Torino. Direzione Nazionale Movimento Federalista Europeo) 30 agosto 2004 1. La pace attraverso la Federazione mondiale Il progetto di una federazione o di una repubblica mondiale è stato concepito e formulato da Kant nel suo saggio sulla pace perpetua nel 1795. Il sogno della pace universale è una vecchia idea. Essa risale alla filosofia stoica e al cristianesimo. E’ stato ripreso nel Medio Evo da Dante che identificava nell’Impero l’istituzione da costruire per realizzare la pace. Ma il progetto di Kant, elaborato durante la Rivoluzione francese, alle soglie dell’era della democrazia e del nazionalismo, è profondamente differente da tutti i progetti precedenti. Esso non era concepito come una proposta da sottomettere a un imperatore capace di unire un gruppo di Stati entro le frontiere di un impero o a governi o diplomatici per realizzare un migliore equilibrio di potere. Kant sostiene l’idea che la pace universale e permanente presuppone il superamento della sovranità degli Stati e dell’anarchia internazionale e la 2. La visione della pace secondo Kant Kant non concepisce semplicemente la pace come la sospensione delle ostilità nell’intervallo tra due guerre (pace negativa). Questa nozione della pace è ancora dominante, a parte qualche eccezione, nella cultura politica contemporanea. Lo stato di pace, secondo Kant, non è uno stato naturale, piuttosto è qualcosa che deve essere istituito attraverso un ordine legale imposto da un’autorità mondiale superiore a ogni singolo Stato (pace positiva). Definendo la pace come l’organizzazione politica che mette fine a tutte le guerre e per sempre, Kant identifica con precisione il fattore che differenzia la pace dalla guerra e situa la tregua – situazione nella quale, una volta terminate le ostilità, permane la minaccia che esse possano riaprirsi – sul versante della guerra. 3. I pre-requisiti della pace All’epoca di Kant, la Federazione mondiale era un lontano fine ultimo. Ma l’importanza del suo approccio alla pace risiede nell’identificazione dei pre-requisiti essenziali che solo oggi ci avvicinano alla pace universale e permanente: a) il primo pre-requisito sarebbe stato acquisito quando l’esperienza della devastazione della guerra avrebbe spinto le nazioni a rinunciare alla libertà selvaggia (senza legge) e alla situazione intollerabile di anarchia internazionale; b) il secondo, quando lo sviluppo del commercio, dal momento che la terra è un globo, avrebbe obbligato l’umanità a rassegnarsi a vivere a stretto contatto; c) il terzo, quando l’evoluzione dell’umanità avrebbe raggiunto lo stadio della formazione di una costituzione civile repubblicana, 4. Il problema della pace nel mondo contemporaneo Tutto ciò mostra che Kant non era un utopista. Egli era cosciente che l’imperativo della ragione non era sufficiente a persuadere gli uomini a cercare la pace: a) le guerre mondiali e le armi nucleari mostrano che Kant aveva ragione quando predisse che soltanto l’esperienza della distruttività della guerra avrebbe persuaso gli Stati a rinunciare alla loro libertà selvaggia e a sottomettersi a una legge comune; b) per di più, il processo di globalizzazione ha comportato l’erosione della sovranità nazionale e il bisogno di nuovi poteri a livello regionale e mondiale; c) inoltre, dopo la caduta dei regimi fascisti e comunisti, una maggioranza di Stati membri delle Nazioni Unite è retta da regimi di democrazia rappresentativa, che costituisce il pre-requisito per l’estensione della democrazia alle relazioni tra gli Stati, cioè per la realizzazione della democrazia internazionale. Il Parlamento europeo è il laboratorio di questa nuova forma di democrazia; d) infine, grazie ai mass media, noi siamo informati ogni giorno degli avvenimenti che accadono ovunque nel mondo. Ciò costituisce la base per la formazione di un’opinione pubblica e di una società civile globali. Questi fenomeni sono aspetti del processo di globalizzazione, che cancella la distinzione tra politica interna e politica estera. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la Corte penale internazionale sono due esempi della tendenza ad applicare agli individui il diritto internazionale. Questi esempi mostrano che l’ordine internazionale è cambiato e che può cambiare ancora più radicalmente. 5. L’attualità del pensiero di Kant Se quanto sopra è corretto, allora possiamo trarre un conclusione importante. La tradizione kantiana, rimasta latente durante l’era del nazionalismo, è stata rilanciata nella nuova fase della storia del mondo iniziata con la fine della guerra fredda. Numerosi studiosi, come Jürgen Habermas, David Held e Otfried Hoffe , sostengono che l’idea di Kant di una Repubblica federale mondiale costituisce la risposta ai problemi posti 6. La globalizzazione e la crisi del paradigma realistico Il paradigma realistico è basato sull’ipotesi che la vita politica è divisa in due sfere: la politica interna, dove i conflitti possono essere risolti con mezzi legali, e la politica internazionale, nella quale i conflitti sono risolti con gli strumenti della violenza ogni volta che la diplomazia fallisce nella composizione pacifica delle controversie internazionali. Mentre entro i confini degli Stati i governi dispongono del monopolio della forza, a livello internazionale, il potere è distribuito tra una pluralità di Stati sovrani. E’ dunque la struttura del sistema internazionale degli Stati, caratterizzato dall’assenza di un’autorità politica mondiale, che conduce i governi nazionali a privilegiare la ricerca della sicurezza e a ricorrere alla guerra quando i negoziati falliscono. La principale priorità che ispira la condotta degli Stati a livello internazionale è la ricerca della sicurezza, alla quale, se necessario, tutti gli altri obiettivi (osservanza dei valori morali e delle regole del diritto) debbono essere sacrificati. L’ipotesi discutibile del paradigma realistico, è che la natura delle relazioni internazionali non può cambiare. Gli Stati sovrani sono concepiti come le sole istituzioni che sovrintendono alla sicurezza e all’ordine pubblico e sono i protagonisti esclusivi della politica internazionale. Il fatto è che il potere, l’interesse nazionale e la sicurezza sono concetti relazionali e storici. Il processo di globalizzazione favorisce il successo degli sforzi per superare la divisione del mondo in Stati sovrani. La globalizzazione determina un arretramento dello Stato, per utilizzare un’espressione impiegata da Susan Strange nel titolo di un libro che costituisce uno dei più importanti contributi alla comprensione dell’evoluzione attuale delle relazioni internazionali. Nel mondo contemporaneo, non si può più definire la società civile come un sotto-sistema dello Stato, come avveniva nel XIX secolo nella Filosofia del diritto di Hegel. Oggi lo Stato sta diventando progressivamente un sottosistema della società globale, che è costituita da attori non statali, come le società multinazionali, le ONG, i mass media, le organizzazioni criminali e 7. La globalizzazione e la crisi dello Stato sovrano La globalizzazione non è solamente promossa da incentivi economici, ma anche, e specificamente, da una forza storica irresistibile più potente della volontà di qualsiasi governo o di qualsiasi partito politico: la forza scatenata dall’evoluzione del modo di produrre. Essa ha creato l’ambiente materiale e culturale nel quale si sviluppano gli Stati e le relazioni internazionali. Ogni stadio dell’evoluzione del modo di produrre cerca di soddisfare bisogni umani fondamentali, secondo una forma specifica della divisione del lavoro. Il materialismo storico si fonda sull’ipotesi che la prima condizione della storia umana consiste negli individui concreti che producono i loro mezzi di sussistenza. Se si utilizza questa concezione della storia semplicemente come un “canone di interpretazione storica” - espressione coniata da Benedetto Croce -, la determinazione esercitata dal modo di produrre non è concepita come il solo fattore che influenza la natura dei fenomeni politici, giuridici, culturali ecc. Secondo questo schema esplicativo, la determinazione non procede in una sola direzione (determinismo economico), ma è compatibile con l’influenza reciproca dei fattori politici, giuridici, culturali sulla produzione materiale. Per esempio, Max Weber, che ha definito il materialismo storico come un fruttuoso tipo ideale che può orientare il lavoro degli scienziati sociali, ha messo in luce nei suoi lavori sulla sociologia della religione come l’etica delle religioni abbia influenzato l’evoluzione dei sistemi economici. Se si accetta l’idea di un’influenza reciproca tra differenti fattori che contribuiscono a determinare il corso della storia, si può considerare il modo di produzione come il fattore che ha un’influenza decisiva sulla struttura e la dimensione dello Stato e le relazioni internazionali. Più specificamente si può stabilire una relazione tra il modo di produzione e la dimensione dello Stato e in particolare tra il modo di produzione agricolo e la città-stato, tra la prima fase del modo di produzione industriale (impiego del carbone e della macchina a vapore) e lo Stato nazionale, tra la seconda fase del modo di produzione industriale (impiego dell’elettricità, del petrolio e del motore a combustione interna) e lo Stato di dimensioni grandi come un’intera regione del mondo. Con la rivoluzione scientifica della produzione materiale (e quella delle telecomunicazioni e dei trasporti) la Federazione mondiale diviene 8. Integrazione europea e globalizzazione Ciò significa che l’integrazione europea e la globalizzazione appartengono a due stadi differenti dell’evoluzione del modo di produrre: rispettivamente la seconda fase del modo di produzione industriale e il modo di produzione scientifico. Nel XIX secolo, durante il primo stadio della rivoluzione industriale, la società non poteva organizzarsi sul piano regionale né su quello mondiale. Di conseguenza, lo Stato e il regime democratico non potevano che essere organizzati a livello nazionale. Il secondo stadio del modo di produzione industriale ha determinato il declino degli Stati nazione e spinto al vertice della gerarchia del potere mondiale gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, che avevano acquisito la dimensione di grandi regioni del mondo. Nel libro The Expansion of England (1883), John Robert Seeley pose in modo chiaro i termini del problema: “Gli Stati Uniti e la Russia ... sono... esempi della tendenza moderna verso la costituzione di aggregati politici enormi, cosa che sarebbe stata impossibile senza le invenzioni moderne che riducono le difficoltà legate al tempo e allo spazio”. Egli formulò dunque questa previsione straordinaria: entro “una cinquantina di anni....la Russia e gli Stati Uniti sorpasseranno in potenza gli Stati considerati importanti allo stesso modo che gli Stati territoriali del XVI secolo sopravvanzarono Firenze”. Allo stesso modo, il processo di integrazione europea ha indebolito i governi nazionali, li ha costretti a cooperare per risolvere insieme i problemi cui essi erano incapaci di fare fronte separatamente, ha creato una società civile europea accanto alle società civili nazionali, ha creato istituzioni europee che rappresentano un meccanismo decisionale che ha svuotato progressivamente le istituzioni nazionali. Il processo è arrivato a uno stadio così avanzato che la guerra tra gli Stati membri dell’Unione europea è diventata inconcepibile e la Costituzione europea è oggi al centro del dibattito politico in Europa. In altre parole, lentamente e imperfettamente, qualcosa di simile a una federazione europea sta prendendo forma. Mentre il processo di integrazione europea è in corso e tutte le regioni del mondo sono coinvolte, con un ineguale grado di sviluppo, in un analogo processo di integrazione, queste ultime sono coinvolte in un processo complessivo di integrazione a livello mondiale. C’è un numero crescente di problemi importanti che anche lo Stato più potente è incapace di risolvere da solo. E’ là che affondano le radici della crisi dello Stato sovrano e il bisogno che ne deriva di cooperazione internazionale e di sviluppo di organizzazioni internazionali. D’altra parte esiste una rete fitta di organizzazioni internazionali, dall’Onu, al Fondo monetario internazionale, all’Organizzazione mondiale del commercio. Anche se con costituiscono un governo mondiale, esse lo anticipano, proprio come la Comunità europea e l’Unione europea sono istituzioni precorritrici della Federazione europea. La Corte 9. L’Unione europea e le nuove forme di statualità a livello internazionale Affinché le decisioni prese a livello internazionale siano efficaci e democratiche occorre creare nuove forme di governo democratico al di sopra dei governi nazionali. E’ la via che è stata aperta dall’Unione Europea, anche se il processo dell’unificazione europea non è ancora compiuto. Per esempio, la politica commerciale è una competenza esclusiva dell’Unione europea esattamente come lo è la politica monetaria per gli Stati che hanno adottato l’euro. In questi campi l’Unione europea si comporta più o meno come uno Stato. Inoltre, per assicurare la libera concorrenza, la Commissione europea è dotata di un’autorità anti-trust. Se si considera che una moneta unica è la condizione essenziale per impedire la speculazione internazionale e che l’azione pubblica di un’autorità anti-trust costituisce un rimedio alle distorsioni di concorrenza condotte dai monopoli e dagli oligopoli, si può concludere che ciò è quanto ci occorre a livello mondiale per governare la globalizzazione. 10. Il bisogno di democrazia internazionale La democrazia, proprio perché è frammentata tra numerosi Stati nazionali troppo piccoli per assicurare lo sviluppo economico e lacerati da conflitti internazionali, non è abbastanza forte da impedire la degenerazione autoritaria delle sue istituzioni. Solo la democrazia potrebbe sottomettere al controllo del popolo le relazioni internazionali, che sono ancora il terreno di conflitti diplomatici e militari tra le nazioni. La democrazia e l’indipendenza non possono essere realmente conciliate che nel quadro di istituzioni federali da creare a livello regionale e mondiale. L’analisi delle strutture delle organizzazioni internazionali mostra che esse sono macchine diplomatiche all’interno delle quali i governi praticano la cooperazione. Ma recentemente alcune di esse si sono arricchite di strutture parlamentari che costituiscono la risposta dei parlamenti nazionali al processo di globalizzazione e all’erosione del loro potere. In altre parole, esse rappresentano il tentativo di spostare a livello internazionale il controllo parlamentare nei confronti dei governi. La maggior parte di queste strutture parlamentari sono composte da parlamentari nazionali, ma il Parlamento europeo, che rappresenta l’evoluzione più avanzata di questa categoria di assemblee internazionali, è eletto direttamente. Il Parlamento europeo è quindi il laboratorio della democrazia internazionale . Dopo la sua elezione diretta ha aumentato non solo i suoi poteri legislativi, ma anche quelli di controllo sulla Commissione, intesa come il potenziale governo europeo. Questo significa che la democratizzazione dell’Unione europea è stato uno strumento potente del rafforzamento delle istituzioni europee. Nell’insieme, la lezione che si può tirare dalla storia (per utilizzare per la riforma dell’ONU) è che il 11. L’Unione europea: paese-guida della democrazia internazionale Non si può nascondere il fatto che il progetto di porre la globalizzazione sotto controllo democratico incontra un’opposizione formidabile, non solo da parte dei regimi autoritari, ma principalmente dal governo degli Stati Uniti che non permetterà che la sua potenza subisca limitazioni da parte di organizzazione internazionali alle quali essi appartengono né da parte dei movimenti della società civile globale. Ciò significa che non è sufficiente che un governo sia democratico per essere capace di promuovere la democrazia internazionale. E’ una condizione necessaria ma non sufficiente. Gli Stati Uniti hanno impegni strategici mondiali così gravosi che sono incapaci di promuovere un tale progetto. Per battere l’opposizione degli Stati Uniti, occorre che emerga un centro di potere capace di sostenere il progetto di un ordine mondiale democratico. E’ ragionevole credere che l’Europa potrebbe giocare tale ruolo. Il significato dell’unificazione europea risiede nel superamento dello Stato nazionale, una forma di organizzazione politica che sviluppa rapporti di forza nei confronti di altri Stati. E’ per questo che si può stimare con certezza che l’Unione europea, né in futuro la Federazione europea, non avrà ambizioni egemoniche Sebbene l’Unione europea aspiri a essere indipendente dagli Stati Uniti, il suo obiettivo non sarà quello di sostituirsi agli Stati Uniti nel ruolo di stabilizzatore dell’ordine politico ed economico del mondo. L’Europa perseguirà piuttosto una politica di cooperazione con gli Stati Uniti nella prospettiva di una gestione comune dell’ordine mondiale, aperto alla partecipazione di altri raggruppamenti di Stati (l’unificazione delle grandi regioni che si costituiscono nel mondo). L’Europa avrà una potenza sufficiente per sollevare gli Stati Uniti da alcune delle loro schiaccianti responsabilità mondiali ed avrà l’autorità per persuaderli a sostenere la riforma democratica dell’ONU. Tuttavia, per potere parlare con una sola voce, l’Europa deve prima di tutto completare il processo di unificazione federale. Con un Parlamento eletto a suffragio universale, l’Unione europea può diventare il paese-guida della democrazia internazionale. E’ prevedibile che essa sarà anche più disponibile di altre organizzazione politiche a promuovere questa esperienza nelle altre regioni del mondo, così come a livello mondiale (democratizzazione dell’ONU). "Dato che l’interdipendenza (più o meno stretta) tra i popoli della terra si è estesa a tal punto, che la violazione del diritto in un punto della terra è avvertita dovunque, l’idea di un diritto cosmopolitico non è affatto una rappresentazione fantastica ed esagerata del diritto, ma un necessario completamento del codice non scritto, che al di là del diritto statale e internazionale tende verso un diritto pubblico dell’umanità, e BIBLIOGRAFIA: www.governo.it/costituzione_europe a/presentazione.html www.europa.eu.int/constitution/inde x_it.htm