IL CAFFÈ 2 settembre 2012
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DiegoErba
Nella stessa mia classe, oltre a noi
grandicelli anche quelli dell’asilo
DIEGO
ERBA
Dalle elementari a
Orselina, a direttore
della divisione Scuola
e cordinatore
del Decs. Andrà in
pensione a dicembre
“Quel sano timore per la maestra
che ci ha aiutato a crescere dritti”
D
el suo primo giorno alle elementari di Orselina, Diego Erba ricorda il volto “autorevolmente sereno” della maestra Elena Zaccheo,
il suo posto nel primo banco in quella classe mista di
15 bambini dell’asilo e degli altri ragazzini che comincivano per davvero ad andare a scuola. Allora, era
la metà degli ‘50, Erba, che sognava di fare il giornalista sportivo, non avrebbe mai pensato che nella
scuola ci avrebbe passato una vita, finendo la sua car-
Sognava di fare il giornalista
sportivo, invece nel mondo
scolastico ci ha passato una vita
riera professionale come direttore della divisione
Scuola del Cantone e coordinatore del dipartimento
Cultura. “Per me il passaggio dall’asilo alla prima elementare non è stato traumatico - racconta -, mi sono
ritrovato nella stessa classe e con la stessa maestra.
Qualche trauma è venuto dopo”.
Se l’asilo nei ricordi di Erba coincide con l’immancabile taglio dei capelli, azzerando con suo gran dolore
una cascata di riccioli, quello della prima giornata
alle elementari si sovrappone con il “senso di responsabilità” di cui la maestra Zaccheo aveva subito
investito i ragazzi più grandi verso quelli dell’asilo.
GianfrancoFeliciani
Il parroco di Chiasso, con nostalgia e affetto,
sfoglia il diario dei suoi primi giorni di allievo
“Noi che eravamo grandicelli, ci diceva, dovevamo
stare attenti a loro. Era un ambiente familiari e ci sentivamo davvero responsabili, quasi che essere arrivati
alle elementari avesse segnato il passaggio nell’età
adulta. Con l’età dei doveri. E per la maestra nutrivamo un sano timore, quel timore che aiuta a crescere dritti. Del resto i genitori ci tenevano, eccome,
al rispetto, che era qualcosa da imparare anche a
scuola”. A ripensare quegli anni lontani si avverte subito quanto sia cambiato il mondo della scuola.
I traumi scolastici per Erba verranno dopo. E non saranno numeri, dettati o riassunti a provocarli. Dei
compiti a casa lo spaventavano le poesie da mandare
a memoria e ripetere in classe. “Ce le assegnavano il
venerdì sera e dovevamo studiarle, memorizzarle, tra
sabato e domenica. Lunedì dovevamo ripeterle come
un jukebox. Guai a sgarrare. Che ricordo quei pomeriggi passati a ripetere strofe su strofe. Quanti fine settimana con l’incubo di quelle poesie che col passare
degli anni si sarebbero fatte sempre più lunghe e difficili da ricordare”. Che tormento per lui che quei pomeriggi avrebbe voluto passarli giocando a calcio e
che pensava di studiare per diventare un grande giornalista sportivo. Ma la vita per Diego Erba ha preso un
altra piega, quasi una curva a gomito che di anno in
anno lo ha portato ai vertici della scuola ticinese.
l.d.a.
PelinKandemirBordoli
Dalla Turchia al Ticino, l’impatto
con una realtà completamente nuova
36 anni,
operatrice
sociale,
granconsiglie
ra e vice
presidente
del Partito
socialista
60 anni, ha
frequentato la
prima elementare
nella scuola di
Rancate nel ‘58.
Una classe
mista, con prima
e seconda
“Mi spostò nell’ultima fila
e io mi sentii discriminato”
“M
i ricordo benissimo il mio primo giorno
di scuola. Ma soprattutto i giorni seguenti. Me li ricordo con amarezza, anche se poi ho capito la ragione. Dopo qualche giorno
la maestra mi spostò nell’ultimo banco e io mi sentii
escluso, discriminato. Invece lo fece perché ero bravo,
imparavo bene, non era quindi necessario che mi tenesse d’occhio e voleva dare spazio a chi faticava o era
indisciplinato”. Anche don Feliciani, parroco a
Chiasso, apre per il Caffè il suo libro dei ricordi d’infanzia. Fruga nelle scatole e tira fuori una vecchia foto
di quando era scolaretto. “Era il 1958 e io avevo 6 anni
– racconta -. Avevo una paura tremenda perché i miei
continuavano a ripetermi ‘Vedrai, adesso a scuola
non potrai più giocare e divertirti. È finita la bella vita.
Cambia tutto, dovrai studiare, impegnarti e la maestra
sarà molto severa’. Insomma, ero impaurito quel
primo giorno di scuola, quando mia madre mi accompagnò”. E non nasconde di aver pianto. “Piangevano un po’ tutti – nota -. Forse ci siamo contagiati a
vicenda. Ma comunque c’era davvero parecchia
paura tra i bambini perché era un mondo totalmente
sconosciuto”. Anche se i fratelli più grandi di don Feliciani c’erano già passati, a lui restavano nelle orecchie
le parole dei genitori: “Vedrai...”
Il parroco di Chiasso si ritrova in una classe che ospita
una prima e una seconda elementare. Mista, ma le
femmine da una parte, con un serio grembiule nero, e
i maschi dall’altra, con una blusa nera. “La mia maestra era molto anziana perché all’epoca potevano insegnare solo le donne nubili. E siccome non erano
tantissime la loro età cresceva sempre più. Alcune di
loro erano costrette a insegnare anche fino a 70 anni”.
E con nostalgia ricorda ancora quel volto che dalla
cattedra guardava gli allievi senza un sorriso. “Si chiamava Angela Torriani, era severa, ma giusta. Detto al-
“Era il 1958, avevo 6 anni e una
paura tremenda. I miei genitori
ripetevano: ‘Vedrai cosa ti aspetta’”
trimenti, aveva una dolcezza severa. In classe non volava una mosca, silenzio assoluto. Persino a tossire
avevamo paura. Anche se la maestra diceva ‘Tossire si
può’. C’era un grande senso di raccoglimento, molto
piacevole che mi faceva stare bene. Mi rendo conto
che a quei tempi la scuola era davvero un altro mondo
rispetto a oggi. Nessuna confidenza con i docenti. Anche alcuni miei compagni di allora, con cui ho mantenuto i contatti, ancora se la ricordano la maestra. Con
lei hanno imparato a scrivere e a far di conto parecchie generazioni”. Tanti bei ricordi, insomma. Ma ancora una cosa brucia e di tanto in tanto riemerge dalla
memoria. “Se non fosse per quel trasferimento nell’ultimo banco…”, ripete don Feliciani.
p.g.
“Le mie due
‘prime volte’
che mi hanno
resa più forte”
G
rembiule nero, aula spoglia e una certa rigidità
nell’insegnamento. Ricorda così Pelin Kandemir Bordoli, 36 anni, granconsigliera Ps, il suo
primo approccio coi banchi di scuola. “Ero ancora in
Turchia e mi sentivo impaurita, non capivo bene cosa
dovevo fare e perché ero lì, c’era molta confusione –
spiega la vicepresidente del partito socialista -. Sono
la prima di tre fratelli, non avevo nessuno che aveva
già fatto l’esperienza e potesse tranquillizzarmi. In
compenso avevo tanti cugini già rodati che in qualche modo mi hanno aiutata”.
Ma il primo giorno di scuola non è stato solo uno. S’è
ripetuto cinque anni dopo. Quando Pelin, a 11 anni,
con la famiglia è arrivata a Bellinzona, con il diploma
della quinta elementare in tasca. Ma invece di iniziare le medie, proprio per la lingua, le è stato proposto di ripetere la quinta elementare. “Due ‘prime
volte’, potrei dire, che mi hanno resta più forte - commenta -. Una sorta di ri-inizio scolastico, anche se in
un’aula più colorata e senza una divisa addosso.
Unica turca in quella sede, attorno a me c’era un tanta
curiosità. Arrivata da pochi giorni in Ticino non conoscevo una parola di italiano, mi sentivo spersa e in
un contesto completamente differente da quello a
cui ero abituata”. Ma la giovane Kandemir non si
perde d’animo. Tenace e volitiva si mette d’impegno
e, grazie al sostegno dei docenti e alla vicinanza di alcuni compagni, con cui ha mantenuto l’amicizia, rie-
sce ad integrarsi abbastanza facilmente. “La mia fortuna è stata anche quella di essere ospite, i primi
mesi, di un professore di latino che, paziente, correggeva di continuo i miei errori - aggiunge Kandemir -.
Alla fine ho ingranato, tanto da riuscire abbastanza
bene a seguire il programma. Ricordo ancora l’osservazione di un docente che sul libretto ha scritto:
‘quando Pelin capisce il problema riesce bene’”.
“Arrivata a Bellinzona ho ripetuto
la 5a elementare perché non
sapevo una parola d’italiano”
Insomma, non tutto rose e fiori gli esordi scolastici di
Kandemir. Con ritmi e abitudini completamente diverse rispetto alla Turchia. “Un esempio è quello del
mercoledì pomeriggio – riprende -. Non sapevo che
c’era vacanza e puntuale, alle 13.30 ero a scuola. Ma
non c’era nessuno e non capivo. Ecco, ho vissuto situazioni anche un po’ frustranti per una ragazzina”.
Ma forse proprio l’aver dovuto affrontare questi inizi
più duri e difficili rispetto ai compagni hanno contribuito a renderla così determinata. “Impegnarsi sin da
piccoli per superare le difficoltà rende più forti”, nota.
Ma nel suo caso anche più attenta agli altri vista la
professione di operatrice sociale.
p.g.
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Quel sano timore per la maestra che ci ha aiutato a