ANNO V - N. 14
Novembre 2014
PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE
CULTURALE
“LA PIAZZA”
EDITORIALE
di Antonio Pasca
S
iamo da sempre in cammino, non
soltanto ora che abbiamo riscoperto, non da soli, questo impegno fatto di gratuità ed entusiasmi. Il
giornale era fermo da molto tempo e
solo l’incontro con nuovi compagni di
viaggio ne ha permesso la riedizione.
Abbiamo vissuto bei momenti nel
passato recente intenti, come eravamo, a riscoprire anche la forza e la bellezza dell’impegno civile e sociale.
Abbiamo affrontato anche i temi alti
della comunità confrontandoli con le
difficoltà del vivere, ponendo al centro
della nostra azione l’uomo e i suoi
insopprimibili diritti.
Nell’aprire il neonato numero di
novembre, oltre ad avere la possibilità
di fare un giro per la nostra città, posare lo sguardo su un territorio anche più
vasto, conoscere le varie iniziative che
l’associazione intraprende sul piano
della cultura, dell’ambiente, delle tradizioni più sentite e più vere, avrete
modo di apprendere che il giornale
oltre alla veste “di carta” ha anche una
forma più nuova e più confacente ai
tempi moderni. Certo, a me piace l’odore della stampa, del foglio appena
colorato di parole, ma c’è una stragrande parte di comunità che interagisce meglio con il computer, coi cellulari, che decide di esserci ogni giorno
aprendo il mondo che c’è nel palmo
della mano. Nasce così il sito internet
ufficiale de LA PIAZZA.
È il luogo ove il lettore ogni giorno
di quando vorrà potrà farci visita, leggere e commentare il giornale, scaricare i vecchi numeri e potrà, questo è l’aspetto nuovo nel quale più crediamo,
seguire gli eventi della città, pubblicare poesie o leggere le poesie dei lettori,
orientarsi tra la nostre proposte di lettura.
Certo, il nostro non è un percorso
facile, lo sappiamo un po’ tutti noi che
siamo coinvolti in questa nuova avventura de LA PIAZZA. I nostri impegni, i
nostri luoghi di lavoro soliti ci reclamano più spesso di prima, la nostra
“stanchezza” nei confronti delle “delusioni” si fa sempre più ampia. Ma cosa
può attendersi di diverso chi, con quella dose ampia di “umiltà che scava l’anima nel profondo, cerca di occuparsi
di uomo, di poesia e di cultura, specie
quando questo impegno lo si compie
gratuitamente?
Delusioni tante, quindi, specie
provenienti da un mondo che dovrebbe solo elargire, donare, testimoniare
“amore”. Delusioni che si stemperano
dinanzi
all’avvertimento
del
“Maestro”: “Un servo non è più grande
del suo padrone”.
Eppure, nonostante questi inciam-
Copia gratuita
[email protected]
www.la-piazza.webnode.it
IN CAMMINO
pi, non avremo paura di vivere, di sussurrare piano le nostre verità aperte al
dialogo delle verità altrui, sperimentando nuove strade da percorrere tutti
insieme.
Siamo stanchi di overdose di
informazioni superflue ed orfani di
fatti concreti, quasi fossimo intimoriti
dalle nostre stesse profondità d’animo.
Eppure, dovremmo saperlo che è
meraviglioso prestare ascolto alla
nostra sensibilità, affidarci alla nostra
umanità che non accetta questa stramaledetta logica del “più sei se più
hai”.
Per dirla tutta, noi non staremo a
guardare mentre la realtà d’intorno
soffoca la nostra voglia di pensare, di
credere che c’è un’alternativa di fronte
al ricatto di una società che promette
denaro e gloria in cambio di freddezza
d’animo, di indifferenza, di rinuncia al
pensiero e al nostro senso critico
Ma quando tutto sembra ormai
orientarsi verso la vacuità, ecco che un
“Pensiero” vivo, ecco una “madre”,
ecco una “Figlia”, a richiamarci alla
verità ed alla essenzialità del nostro
vivere. Pensando ad Anastasia, e tramite Lei a tutti i figli di questa terra
che ci hanno prematuramente lasciati,
osservando meravigliati ogni gesto
della mamma di Anastasia che, in
nome e nel ricordo della figlia, vuole
soccorrere ogni dolore, lenire ogni
affanno asciugare ogni lacrima dei
tanti, sempre troppi, uomini e donne
tribolati dal dolore e dalla sofferenza, il
nostro impegno ci appare più leggero e
dai contorni definiti.
Il risultato è questo giornale, è il
nostro impegno, è questa sollecitazione che rivolgiamo ad ognuno dei lettori a condividere le nostre proposte, il
nostro cammino, attivando un dialogo
fra le persone basato sulla sensibilità e
sui valori giusti della vita, raccontando
di noi tramite la poesia, i libri, gli eventi e le scoperte che ci apparterranno,
tanto da farci condividere emozioni,
impegno civile e sociale, esperienze e
sentimenti.
Ripartiamo, quindi, dalla “condivisione” con la convinzione che è bello
ricoprire la parte più buona di noi, riuscire a mostrare il meglio di ciò che ci
circonda, chiudere gli occhi per qualche istante e sognare di una realtà
come veramente è e non come ci dicono che sia, tanto da percepire l’ebbrezza di questi sorrisi che scorrono dentro
ed intorno a noi.
C’è tanto da fare, c’è un territorio
da conoscere, rispettare e vivere insieme, ci sono Testimoni del nostro
tempo coi quali confrontarsi, verità da
porre al centro del nostro agire. Ci
sono incontri programmati da organiz-
zare al meglio ed altri da mettere in
cantiere sui temi più vari. C’è un
mondo d’affetti da non dimenticare e,
anzi, da ricordare ogni giorno, sottraendolo alla polvere del tempo che
scorre.
“E quando le vecchie parole sono
morte, nuove melodie sgorgano dal
cuore; dove i vecchi sentieri son perduti, appare un nuovo paese meraviglioso!”
(Tagore)
Io credo che tutto questo sia possibile.
All’interno:
• La nuova tela della taranta
• Legno magico
• Intervista a Don Fernando
Vitali
• Incanto poetico
• Inserto - Affrettai il passo
• Le Edicole Votive di Taviano
• I nostri giochi, i loro giochi
• Cantina in festa
• Una particolare avventura
• Il Salento visto da fuori
In un volo bellissimo... Anastasia
Non abbiamo mai avuto sponsor, le pubblicità, per intenderci, nel momento della pubblicazione del giornale o
nella realizzazione dei tanti eventi dell’associazione. Ci manca la capacità di chiedere questo tipo di collaborazione.
Per cui tutto quello che realizziamo, lo facciamo nello spirito vero del volontariato: la gratuità e l’impegno personale.
Questa volta, per quest’unico numero, abbiamo deciso di cambiare, perché vogliamo raccogliere, oltre al nostro
contributo, anche la donazione di qualcuno che, insieme a noi, voglia condividere, il progetto di questa madre coraggiosa che è passata con grande forza e certamente con un dolore che sa tenere con nobiltà dentro il proprio animo,
dal pianto, dalla rassegnazione, all’impegno silenzioso, potente, infinito. Il nostro contributo, il contributo di chi vorrà,
per consentire allo spirito di Anastasia, a quello sguardo benedetto e ancora presente in mezzo a noi, di dispensare
sorrisi, condivisioni, gioie. Questa madre oggi rappresenta il meglio delle nostre comunità e le nostre speranze per
un futuro migliore. Ad Anastasia e a sua madre Antonella è dedicato questo numero.
Antonio Pasca
“…in un volo bellissimo
in un mare bellissimo
e mi sembra bellissimo
sopra un mare bellissimo…”
(da “Notti senza cuore” di Gianna Nannini)
U
n volo di farfalla, un soffio di
vento leggero o il tocco morbido di una piuma: questa era l’aria che si respirava in casa di
Anastasia. Un silenzio dignitoso,
un’atmosfera quasi surreale, ma
teneramente avvolgente, sicuramente non semplice da spiegare con
parole.
“Non è così che passa in fretta questa
dolce malattia…”
Sono passati appena dieci mesi,
troppo pochi per consentire al tempo
di lenire ed alleviare il dolore. ..troppi
senza i suoi sorrisi.
Lungo il tragitto eravamo entrambi immersi nel nostro pensare travolti
Continua a pag. 2
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N. 14 - Novembre 2014 •
Chiedevo spesso ad Augusta D’Ambrosio di tratteggiarmi, quando ne avesse più voglia, la vita e la personalità di qualche tavianese illustre o di qualche persona che lei ricordava meglio e che
avesse fatto qualcosa d’importante per il territorio. Conservo
alcuni manoscritti con i quali ella mi ha descritto persone che, tramite lei, e questo giornale, non saranno dimenticate.
Antonio Pasca
TAVIANESI DA RICORDARE
Amleto Scategni, Ingegnere, fratello di Guido, dirigente del
dal timore di violare l’intimità di una
famiglia che pian piano sta imparando a convivere con il dolore di un’assenza fortemente presente e sta tentando con tutte le forze di riemergere alla vita di tutti i giorni e che non
sarà mai più la stessa di prima senza
di lei. Una bambina di undici anni
strappata alla vita con la violenza di
un uragano. Lei, proprio lei così innamorata della vita, così allegra e solare, dolce e altruista. Nel suo cuore
una sola passione: la ginnastica ritmica.
Arrivati lì, un interminabile attimo di esitazione ha fermato la mano
che si apprestava a suonare il campanello. Ci siamo guardati negli
occhi, come a darci forza l’un l’altro.
Non volevamo in alcun modo far
rivivere ad Antonella quei momenti
duri, crudeli “…da far tremare il
cielo….”
Desideravamo soltanto accostarci silenziosamente senza entrare nel
cuore di quel dolore.
Antonella parla con noi di sua
figlia al presente. Le da il buongiorno
al mattino e la buonanotte al calar
della sera. Non piange perché
“Anastasia non vuole vedermi piangere”. - Lei c’è, è qui con me - continua Antonella - non mi abbandona
mai. - “…a parlare agli angeli qualcuno sentirà…”
E Anastasia sente, sente la sua
voce e risponde, in vario modo: un
cuore, un farfalla che magicamente
svolazza vicino a lei. Ha il sorriso
sulle labbra Antonella, ma gli occhi
non ce la fanno a sorridere se il
cuore piange e i suoi raccontavano la
tristezza della sua anima.
Ci racconta dei sogni di
Anastasia, di quella bambina speciale che, pur avendo appena subito
una tracheotomia, vedendo dei
bambini ammalati nel reparto oncologico del “Gaslini” di Genova, riusciva a dire: - Mamma, diciamo una
preghiera per quei bambini che soffrono. - Anastasia minimizza il suo
dolore rendendosi partecipe delle
sofferenze altrui. Cosa strana per
una ragazzina di quell’età, ma lei era
speciale, anzi, è speciale.
È riuscita a fare una cosa grandiosa: regalare ad Antonella uno
scopo per poter andare a vanti e
ricominciare a vivere, proprio quando la vita sembrava non avere più
senso.
Prima affiancando l’associazione
benefica “Cuore e mani aperte” ora
con una propria associazione, “Gli
amici di Anastasia”, Antonella cerca
di realizzare un sogno: acquistare
attrezzature ospedaliere, offrire un
supporto economico alle famiglie
che si trovano a vivere la stessa terribile situazione vissuta da lei, affrontando viaggi pieni di speranza e di
sofferenza insieme. Sono nobilissime
iniziative, ma Antonella non si ferma
qui. Si sta occupando della gestione
di un magazzino per le famiglie bisognose in cui vengono distribuiti, gratuitamente, vestiario, scarpe ed altri
accessori oltre a materiale scolastico. Non è sola però in questa sua
opera benefica, ci sono persone
volontarie che, con grande partecipazione, condividono questo bellissimo lavoro di angeli silenziosi per chi
ha davvero bisogno di aiuto o semplicemente di una parola di speranza
o di un sorriso.
“…Gli occhi sopra le nuvole aspettando…”
Lei aspetta il cuore tra le nuvole,
il cuore che mamma Antonella, ogni
cinque del mese, fa volare verso il
cielo in un volo bellissimo, perché sa
che la sua bambina sorride tra le
nuvole magicamente trasformate in
un volto sorridente.
Antonella, nonostante il dolore
per ciò che ha perso non l’abbandoni mai, continua in questo impegno
sociale che le dà forza e le dà la certezza che Lei sia orgogliosa della sua
mamma, perché in quel volo bellissimo e in quel sogno bellissimo c’è
ancora lei: Anastasia.
Chiunque volesse sostenere
Antonella e l’Associazione “Gli amici
di Anastasia”, può effettuare una
donazione oppure diventare socio
tramite tesseramento al costo di 10
euro annui.
Codice IBAN
IT35L0200880091000103360136
Alessia S. Lorenzi
Renato De Capua
Genio civile della provincia di Lecce. Progettò ed eseguì i lavori di
bonifica della zona acquitrinosa Gallipoli – Ugento.
Creò dei tondi laghetti artificiali, collegati l’uno all’altro con canali sfocianti al mare per il ricambio con acqua marina. Lavoro
costoso, per il recupero del quale s’impose una tassa ai possessori di terreni bonificati.
Sposò una ricca signora di Ugento, Giuseppina Milone, ed ebbe
una figlia che si addottorò in lettere. Per l’insegnamento si trasferì in Toscana e sposò un collega, tal Bartolini.
Nel 1942,mentre si recava a scuola, perì sotto i bombardamenti
lasciando il marito con figli maschi piccoli. Era tempo di guerra,
un tempo micidiale.
***
Ofelia Scategni, sorella di Guido, unica donna fra tanti maschi.
Sposò Rocco Burlizzi che fu il coordinatore delle ferrovie Sud Est
che si allacciavano a quelle nazionali di Brindisi.
Amleto e Ofelia risiedevano a Lecce in due villette e spesso quando noi studiavamo a Lecce ci invitavano a pranzo. Villette scomparse, perché, col nuovo piano regolatore, vennero sostituite da
palazzine a diversi piani nella zona presso il Politeama.
Augusta D’Ambrosio
La foto rappresenta due “giovani“ tavianesi che da più di 75
anni vivono insieme. Il matrimonio, come si sa, oltre a far fiorire l’amore negli sposi, porta con sé anche amarezze, dolori unitamente alle gioie solite della vita.
Anna e Filomeno non si sono fatti mancare nulla perché il
tempo è stato prodigo di giorni con loro. Hanno affrontato il
dramma della perdita di un loro figliolo, ma hanno visto crescere gli altri loro figli e hanno visto sempre forte il loro rapporto. È bello oggi offrire a tutti voi lettori questo esempio di
nobile esistenza, che noi auguriamo continui con la stessa
gioia e con la stessa voglia di futuro.
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• N. 14 - Novembre 2014
In un tempo non molto lontano...
di Carlo Pasca
I
n un tempo non molto lontano l’attività
politica aveva i suoi luoghi, le sue piazze e una maniera di coinvolgere gli elettori totalmente diversa da ora.
In quel tempo non molto lontano ogni
piccolo Comune italiano aveva le sezioni
dei partiti rappresentati in Parlamento, i
segretari cittadini e i membri del direttivo
che si impegnavano quotidianamente per
diffondere le tesi proposte dal partito a
livello nazionale e proteggere e sostenere i
rappresentanti dei vari consigli comunali.
Con questi ultimi, ovviamente, il rapporto
era molto stretto e c’era un confronto
costante, utile anche a informare i cittadini
dell’attività svolta in Consiglio attraverso
gli incontri in sezione o con il dialogo per le
strade del paese, magari in un bar.
In un tempo non molto lontano la politica era appunto confronto, dialogo, anche
scontro verbale e talvolta anche fisico. Ma
il tutto avveniva tramite contatto diretto
tra le persone, tra eletto ed elettore.
Quel tempo non molto lontano oggi
però sembra distante anni luce. Nell’ultimo
ventennio è cambiato tutto e si è passati dal
contatto personale e fisico a quello virtuale. Non c’è più l’incontro diretto con gli
elettori, c’è invece il forum o il blog sul
quale interagire, scambiare opinioni, litigare. E’ la politica 2.0, figlia di internet e dei
tanti social network, che a qualcuno piace
anche ma che non gode del fascino di quella politica lontana ricca di passione.
Tutto ebbe inizio con una mail partita
da un pc che raggiunse milioni di elettori
americani. Correva l’anno 1992 e il mittente di quella mail era il futuro presidente
degli Stati Uniti d’America Bill Clinton. E’a
lui e al suo staff che si deve riconoscere la
primogenitura di questa nuova forma di
comunicazione politica che oggi vanta
diverse forme di interazione oltre alla già
citata mail. Siti personali, forum dedicati
per arrivare ai social network come Twitter
e Facebook dove ogni utente ha l’opportunità di scambiare opinioni e porre l’attenzione su un determinato argomento.
Questo nuovo modo di “fare” politica prende sempre più piede. Non c’è giorno, infatti, che gli italiani non vengono messi a
conoscenza di un tweet di Renzi o di un
post di Beppe Grillo sul suo sito. E la stampa nazionale dedica da tempo ormai delle
rubriche all’attività informatica dei rappresentanti politici. Ma la politica 2.0 non
riguarda solo i vari Renzi, Grillo o Alfano.
Quel che accade a livello nazionale è spesso
inferiore, per mole di post o tweet, rispetto
a quello che si verifica nelle piccole realtà
locali. Si sprecano i gruppi e le pagine che
trattano argomenti politico-amministrativi, spesso però conditi da accuse gravi e
non dimostrabili, offese gratuite perlopiù
lanciate da personaggi non identificabili
che celano la propria identità dietro un
profilo fasullo.
Nella modernità c’è sempre qualcosa di
poco bello, purtroppo. E se internet ha
cambiato il mondo, e lo ha fatto, questo è
uno degli aspetti negativi. Non l’unico,
ovviamente. Le false identità brulicano e
feriscono. E fanno tornar la voglia di quella politica reale, passionale, vera che c’era
in un tempo non molto lontano.
Andrea De Siena...talento salentino
U
na delle punte di diamante
della
scorsa
edizione
della“Notte della Taranta”, è
stata Andrea De Siena, talentuoso ballerino di 20 anni ed originario di San
Vito dei Normanni. Ha calcato con passione e destrezza la scena del palco di
Melpignano, facendosi guidare dai
ritmi incalzanti suonati egregiamente
dall’orchestra. Comincia a muovere i
suoi primi passi nella danza, quando
aveva già l’età di 8 anni, frequentando
un laboratorio scolastico extracurriculare. Rimase affascinato da quel ballo
che esprime l’essenza vera e misterica
del nostro sud e da allora coltiva con
dedizione proficua questa sua passione
che lo ha portato a raggiungere tra-
guardi importanti . Gli abbiamo voluto
chiedere che cosa abbia significato per
la sua formazione professionale ed
umana questa esperienza...
Ecco la sua risposta:
Foto di G. Alberto Passante
di Renato De Capua
“ Sicuramente è stata un’ esperienza
fondamentale. Lavorare con il coreografo Miguel Angel Berna mi ha dato
tanto ,un patrimonio di nozioni che
custodirò per la vita. Credo inoltre che
questa manifestazione sia importante
per poter consentire alla danza popolare salentina di acquisire il posto di
merito che le spetta, al pari di altre
danze popolari del mondo.”
Ringraziando Andrea per il suo contributo ed augurandogli un doveroso
“ad maiora” per la sua carriera artistica,invitiamo il lettore a riflettere anche
su un patrimonio artistico significativo
e degno di nota che il Salento possiede
e che deve fa conoscere anche ad un
pubblico più vasto e cosciente della
grande importanza della realtà salentina.
4
N. 14 - Novembre 2014 •
La nuova tela della Taranta 2014
Dopo la fantastica serata nel concertone della Notte della Taranta,
l’orchestra vola fino a… Betlemme passando per Amman
di Alessia S. Lorenzi
C
ome ogni anno, anche
quest’anno si è ripetuto lo
straordinario successo del
concerto de “La Notte della
Taranta”.
Se dovessi descrivere in poche
parole il concerto a cui ho assistito, direi “Concerto incredibilmente
indescrivibile e sicuramente incancellabile” e ringrazio i miei amici
Gabriella e Renato che hanno
aderito al mio invito accompagnandomi in questa esperienza.
Chi non ci è mai stato, non può
nemmeno immaginare l’emozione
che si prova a stare lì, avvolti dalla
musica che, come un vortice magico, ti avvolge e coinvolge.
do “La tabaccara” facendo riflettere sulla difficile situazione a cui
erano costrette le donne che lavoravano il tabacco. Infine rallegra
tutti col suo mitico brano
“Samarcanda”, arrangiato con l’introduzione dei nostri tamburelli.
Rinnovato nella prima strofa che
viene cantata in griko salentino.
Bravissimi anche gli altri fantastici
ospiti della serata come Antonella
Ruggiero, il grintoso cantautore
romano Alessandro Mannarino, il
percussionista statunitense Glen
Velez, il mandolinista Avi Vital, la
vocalist americana Lori Cotler, le
splendide voci femminili di questo
territorio come Enza Pagliara,
Alessia Tondo e Ninfa Giannuzzi.
Grande, come sempre Antonio
Castrignanò. Suggestivi i fratelli
proprio dall'ambasciata italiana in
Giordania, in un periodo di grandi
tensioni sulla scena mediorientale.
Il repertorio della musica salentina
è stato affidato alle voci di Antonio
Castrignanò, Alessia Tondo e
Enza Pagliara che si sono esibiti
insieme ad altri
musicisti
dell’Orchestra. Sul palco del meraviglioso scenario dell’Odeon
Theatre anche le ballerine Laura
De Ronzo e Laura Boccadamo.
E non si ferma lì, perche per il
23 dicembre la “nostra” orchestra
vola
a
Betlemme
e
a
Gerusalemme. La nostra musica
salentina diventa sempre più internazionale.
******
Quattro chiacchiere con...
di Alessia S. Lorenzi
A parole è davvero difficile
descrivere le emozioni provate
ascoltando quegli artisti straordinari. I musicisti iniziavano a
suonare e calava il silenzio tra il
pubblico, poi “entrava in scena” il
ritmo incalzante dei tamburelli e
l’atmosfera cambiava. Era come
se all’improvviso il battito del cuore
dei presenti scandisse un tempo
diverso, il tempo dell’allegria. Un
ritmo che toglieva il respiro e
trasmetteva una carica e una sfrenata voglia di ballare e sentirsi
parte di quella musica.
Un’orchestra immensa guidata,
per il secondo anno consecutivo,
da uno strepitoso Giovanni
Sollima.
Bravissimo Roberto Vecchioni
che inizia la sua esibizione cantan-
Mancuso vincitori alla Mostra del
cinema di Venezia con una colonna sonora.
Alle coreografie di accompagnamento alla nostra musica c'erano i danzatori diretti dal coreografo
Angel Miguel Berna. Tra i ballerini,
il nostro Andrea De Siena col
quale abbiamo scambiato due
parole (si veda intervista “Andrea
De Siena talento... salentino”).
Ma l’orchestra de “La Notte
della Taranta” non si ferma sul
palco di Melpignano, la tela della
Taranta arriva fino ad Amman. Il 15
settembre, anche in Giordania, il
ritmo frenetico della "pizzica"
salentina ha entusiasmato i presenti. "Ipame antama", in griko
"andiamo insieme", è stato il messaggio associato all'evento, voluto
Incontriamo due protagonisti
eccezionali de “La Notte della
Taranta” uno “nostro”, un salentino
verace, Antonio Castrignanò, tamburo e voce dell’orchestra de “La
Notte della Taranta” e l’altro,
un’ospite che viene da fuori, ma
innamorato di questa nostra Terra
Salentina
che
è
Roberto
Vecchioni.
Roberto Vecchioni
“…In questo disperato sogno
tra il silenzio e il tuono
difendi questa umanità
anche restasse un solo uomo…”
L’anno scorso a Otranto ho
assistito a un suo concerto e
osservavo, ragazzini e persone
adulte cantare con lo stesso entu-
siasmo le sue canzoni. Come
riesce ad abbracciare i gusti di
generazioni così lontane?
Le leggi del sentimento sono
sempre uguali e non variano da
persona a persona, e nemmeno in
base all’età. Quando si parla di
amore, un ragazzo come una persona più avanti con gli anni, si
emozionano allo stesso modo,
sempre che si tratti di sentimento
sincero.
Lei ha partecipato al Festival di
Sanremo nel 1968 e poi lo ha vinto
nel 2011, come ha vissuto questa
vittoria?
La vittoria a Sanremo è stata
una vittoria corale, una gioia da
condividere con le persone che mi
hanno televotato e che sono state
tantissime. E’ stata un’emozione
indescrivibile.
Vorrei sapere come lei ha unito
la conoscenza del mondo classico,
l’amore per la letteratura e la passione per la musica?
Sono riuscito ad unire la passione per questi tre mondi
innamorandomi di ciò che studiavo ed unendo alla storia del passato un forte grido di speranza e di
riscatto che non moriranno mai.
Non a caso credo di aver vinto
Sanremo con “Chiamami ancora
amore” che può essere considerata sicuramente la continuazione di
“Sogna, ragazzo sogna”, di quell’umanità che auspica una speranza per un mondo migliore, che
sposta “i fiumi con il pensiero” e
che sa “parlare con il cielo”.
In tanti anni di carriera ha realizzato sicuramente tanto, cosa non
5
• N. 14 - Novembre 2014
rifarebbe e cosa invece, che non
ha ancora fatto, vorrebbe fare?
Sono soddisfatto di quello che
ho realizzato e non rinnego nulla di
ciò che ho fatto, ma i progetti che
devo ancora realizzare sia musicalmente che letterariamente,
saranno sicuramente i più belli.
Nello scrigno dei suoi ricordi,
delle sue emozioni, quali parole tra
le sue poesie evocano ancora un
grande significato per lei?
Preferisco che rimangano custodite nello scrigno “segreto” dei
miei ricordi.
Che cosa significa per lei salire
sul palco della Notte della Taranta
e quali emozioni, oltre a questa
notte un po’ particolare, le regala il
Salento?
Sono veramente onorato di
aver partecipato a “La Notte della
Taranta”, una manifestazione che
ho seguito sempre con molto interesse, perché non è solo musica,
la canzone popolare esprime la
lotta di un popolo, lo straordinario
amore per la propria terra. È meraviglioso.
Cosa mi regala il Salento? E’
una terra che amo. Adoro la musica, il cibo, le consuetudini, la
gente, il suo silenzio. A volte, al di
là degli impegni professionali,
vengo qui a rifugiarmi come un
turista qualunque.
Antonio Castrignanò
Antonio Castrignanò, musicista, tamburellista, cantante e
showman in tutte le serate estive
salentine, come fai a riunire così
tanta gente?
Lo scopo principale è riuscire a trasmettere alla gente
quello che provo in prima persona.... se poi il pubblico di
fronte apprezza, mi rende
felice.
Sostanzialmente sono sempre alla ricerca di un linguaggio
che mi appartenga e che possa
aiutarmi a comunicare in
maniera più efficace le mie le
emozioni, le mie vibrazioni
attraverso la musica. E quando
devo scegliere una canzone da
incidere o eseguire nei concerti
è proprio quello che cerco;
qualcosa che arrivi al cuore
delle persone facendole partecipare perché emotivamente
coinvolte.
Ho notato che ai concerti ti
diverti tantissimo e si vede, ma
la cosa che mi ha colpito molto
è la tua grinta, la tua
carica…non ti fermi mai. Un’ora
e mezzo di concerto, passando
da un tamburello all’altro, senza
un attimo di tregua.
Non riuscirei a fermarmi,
anche se lo volessi. C’è chi suggerisce di risparmiare un po’ di
energie…. forse ha ragione, ma
non so ancora come fare.
Arriverà il tempo! Per ora è la
musica a comandare.
In alcuni concerti in cui ho
avuto il piacere di ascoltarti, ti
ho sentito sempre ringraziare o
nominare Uccio Aloisi. Che
ruolo ha avuto nella tua formazione musicale?
È stato un perso naggio
importante non solo per me ma
per la musica salentina in
genere. Io ho avuto la fortuna di
vivere
alcune
esperienze
insieme lui. Molti anni fa, circa
venti, esisteva ancora questo
gruppo di vecchietti, “Li Ucci”
formato da Uccio Aloisi e da
altri anziani cantori e musicisti
(Uccio
Bandello,
Uccio
Casarano, ecc) che in varie
occasioni portavano in giro le
canzoni più belle della nostra
musica. Con il mio gruppo
Aramirè, che era anche una
casa editrice, facevamo delle
ricerche
accostandoci
in
maniera
molto naturale a
queste persone; andavamo in
casa loro, in campagna, e ci
raccontavano delle storie legate
alla loro vita. Una ricerca istintiva, anche senza un metodo scientifico; così vivevamo alcuni
aspetti della quotidianità con
persone piene di ricchezza
umana, di saggezza e di grande
capacità comunicativa che mi
hanno dato tanto. Alcune di
queste persone ho la fortuna di
frequentarle ancora.
Quindi continui ancora ad
assimilare, a “studiare” la storia
della musica popolare attraverso un contatto diretto con la
gente depositaria e interprete di
un’antica tradizione musicale?
Certo, non sicuramente in
maniera metodica. Non come
farebbe un etnomusicologo,
insomma. Avendo degli amici
anziani, gli dedico del tempo.
Nei tuoi concerti, ti ho seguito
in diverse serate in giro per il
Salento, ho visto che hai fatto un
accostamento che potrebbe sembrare “azzardato”ai “puristi” della
nostra musica: musica orientale e
salentina e, devo dire, che è
abbastanza suggestivo il risultato, un’ atmosfera molto coinvolgente che attrae anche chi, come
me, non si era mai avvicinata a
questo tipo di musica.
Quello che volevo: coinvolgere anche persone che si
tenevano lontane da questa
musica, non per snobismo, ma
solo perché non trovavano
qualcosa che le emozionasse.
Nel mio ultimo progetto
discografico Fomenta (ponderosa 2014), si racconta un
Salento che vive, cambia e
sopravvive attraverso l’incontro
con una tradizione musicale
importante, quella Turca e
mediorientale. La ricerca di un
suono attuale credo che sia la
strada da percorrere per far
arrivare tra i giovani la musica
di tradizione e colmare la frattura che c’è con le nuove generazioni. Alimentare il repertorio
con testi e nuove storie è un
altro
passo
obbligato.
L’importante è conservarle l’identità, l’autenticità e la dignità
che merita. Cerco comunque di
trovare sempre un linguaggio
sonoro che mi faccia stare
bene, sorridere, viaggiare con il
corpo e la mente e incontrare
quell’attimo di emozione forte.
Un’ultima domanda: Cosa
ha significato per te salire sul
palco della Notte della Taranta?
Dal punto di vista professionale tanto. Perché significa
condividere e scambiarsi competenze che la tradizione orale,
nei suoi ambienti di “bottega”,
non ti può dare. Lì trovi l’essenza, la forza, il nettare, ma i modi
e la professionalità per comunicarla si costruisce anche con
l’esperienza sui palchi. Lo spettacolo è altra cosa. In questo, la
Notte della Taranta, è un “laboratorio” importantissimo. Mi ha
dato la possibilità negli anni di
confrontarmi
con
grandi
musicisti della scena mondiale.
Niente di più produttivo e stimolante.
6
N. 14 - Novembre 2014 •
Legno...magico
Un soffio e via la polvere dalle vecchie memorie
stata un’esperienza favolosa che ci ha
arricchito molto.
Un plauso riconoscente va a “mastro”
Giovanni che, con la sua arte, è riuscito ad
emozionarci facendoci entrare nel suo
mondo e a cui auguriamo di continuare
ancora a far rivivere la magia e il calore del
legno.
di Renato De Capua - Gabriella Mercuri
E
ntriamo e in un attimo dimentichiamo la tecnologia che con la sua velocità si impone nella nostra esistenza
impedendoci di cogliere alcune sfumature
che sono essenza di vita. Il profumo inconfondibile del legno ci avvolge e ci fa entrare
in una dimensione nuova e quasi surreale.
Sembra di essere fuori dal tempo eppure le
abili mani di alcuni artigiani riescono
ancora a sorprenderci creando opere che
nessuna macchina riuscirà mai ad eguagliare in bellezza e fascino.
Abbiamo incontrato nel suo laboratorio
artigiano, Giovanni Mosticchio, un vero e
proprio “maestro del legno”, che ha saputo
fondere abilità, ingegno e arte, conferendo
sempre ai suoi lavori un tocco di pregevole
originalità.
L’inizio della sua attività ha radici lontane nel tempo.
Siamo a Taviano negli anni sessanta, in
una bottega di via Matteotti, molto particolare perché condivisa con un parrucchiere
ed un falegname, parenti di Giovanni.
É proprio qui che Giovanni comincia ad
innamorarsi di questo lavoro, muovendo i
primi passi da falegname, osservando con
molta attenzione il lavoro dello zio e
cogliendone tutte le sfaccettature fino a
diventare egli stesso un artista molto
apprezzato.
Come spesso accade, dalla necessità di
svolgere un lavoro, può nascere una vera e
propria passione che si esprime attraverso
la creatività e la voglia di ricercare il nuovo
attraverso la bellezza e l’arte.
Giovanni è proprio questo: un vero
mastro falegname che sottrae dalla polvere
le vecchie memorie di ceppi a cui infonde
vita e fisionomia.
Attraverso le sue mani l’ulivo sembra
riprendere vita attraverso creazioni e
forme diverse, alcune veramente particolari e inedite. Incredibile la scultura “Testa
d’Orso, simboleggiante una fortezza che
esiste realmente sulla costa tirrenica in
Sardegna; simbolica la “Smorfia, statua che
illustra ciò che può incontrare ognuno di
noi sul suo cammino. Al suo interno la viva
luce di una candela, tra le ombre che si
prendono gioco di noi, mette in luce una
figura che spaventa ed atterrisce con il suo
sguardo.
E non manca in questa bottega un
accessorio silenzioso che accoglie gli indumenti stanchi delle nostre giornate : “Il
servo muto”.
Trovarci in questo mondo e conoscere
questa realtà che non pensavamo potesse
ancora far parte del nostro tempo, cogliere
l’emozione che si può sprigionare da un
mestiere semplice, svolto però con una
dedizione e una passione incredibili, è
7
• N. 14 - Novembre 2014
Intervista a
don Fernando Vitali
A cura di Renato De Capua e Paride Napolitano
Il giorno in cui Don Fernando celebrò la prima
messa a Taviano io c’ero. Da quel momento questo
giovane
profondo
nelle
sue
manifestazioni,aggiungeva alla nostra comunità
una ricchezza, che era data dalla sua capacità di
farci sentire la parte più intima della nostra fede,
come se ogni nostro gesto,ogni nostro pensiero si
rivelasse una preghiera.
Forse proprio questa sua capacità di interiorizzare, di vivere nel profondo la propria fede, lo
ha portato a solitudini naturali, ad incomprensioni
solite, per chi non si presta a seguire canoni prestabiliti.
Oggi, finalmente, Don Fernando ha raggiunto
una sintonia straordinaria con la sua Comunità
che, grazie a lui, non è più una comunità occasionale oppure stagionale, ma compie gesti ed iniziative che hanno del meraviglioso.
Oggi ha i capelli bianchi, ma sono convinto
che dentro di lui finalmente, sta emergendo l’anima del fanciullo che sa, che crede, che contagia
con il suo sorriso i tanti fedeli .
Lo abbiamo incontrato nella sua parrocchia,
intento a programmare incontri con fanciulli, con
anziani, con il coro. Lui sempre così schivo. Ne
esce una bella intervista grazie alla quale lo conosciamo di più, ma, come era suo intento, conosciamo ancora di più questa comunità di
Mancaversa che sa cogliere le profezie del tempo
presente.
costruire la cappella dedicata
alla Madonna di Lourdes che
potete ammirare nella parte
stante alle spalle della parrocchia. Sono state rinnovate
anche le porte d’entrata rivestite
dal logo del 2013, l’anno della
fede .E’ stato bello riscontrare
quanto questi cambiamenti
siano stati apprezzati dall’intera
comunità e anche da fedeli di
paesi diversi.
Sono sicuramente accorgimenti
importanti che adornano la Casa
del Signore, ma bisogna soprattutto ricordare che il fine di un
parroco è quello di riuscire a portare le anime dei fedeli al
Signore.
Che cosa intende lei per “vocazione”?
Parto subito col dirvi che il termine “vocazione”
non deve essere correlato soltanto a coloro che
decidono di intraprendere un cammino di fede
devozionale, come i sacerdoti o le suore. Ma dobbiamo anche intendere la vita, l’esistenza stessa
dell’uomo come “vocazione”. Per esempio anche
i nostri genitori ad un certo punto della loro vita si
sono sentiti chiamati a formare una famiglia, di
avere dei figli ed inculcare loro saldi valori etici. Se
uno non si sentisse chiamato ad adempiere alla
realizzazione di un fine più alto, sicuramente
vivrebbe una vita sterile e vuota.
Quali sono stati i cambiamenti innovativi
che ha voluto apportare alla struttura della
parrocchia? Da quale esigenza sono nati?
Chiarito efficacemente questo concetto,
potremmo soffermarci un poco sulla storia
della sua vocazione?
Innanzitutto ho voluto rendere gli spazi della parrocchia più utilmente funzionali, creando anche
un’entrata centrale che assieme a quelle laterali
converge verso il centro della chiesa, favorendo
anche una maggiore illuminazione. Ho inoltre
fatto installare l’impianto delle campane, ho fatto
Non è semplice ricostruire il processo che mi ha
portato ad accogliere la chiamata da parte del
Signore . Ricordo già che quando avevo l’età di
dieci anni, vedendo alcuni seminaristi, aspiravo
con quell’innocente invidia di un bambino, a
diventare uno di loro. Però, devo dire che la mia
risposta non fu immediata, poiché non
mi sentivo mai pronto a dedicare pienamente la mia vita al Signore, un po’
come fece Sant’Agostino. Pur sentendomi chiamato, avevo paura e quindi
rimandai la mia entrata in seminario
alla fine della III media. Passarono poi
altri cinque anni... presi la licenza superiore e mi iscrissi all’università, decidendo che sarei entrato in seminario
dopo essermi laureato. Ma poi entrò il
Signore direttamente in azione, rincorrendomi, non dandomi tregua, rendendomi la vita quasi opprimente e difficile.
Ad un certo punto mi arresi infatti .
Un giorno mi trovavo a Casarano con il
mio motorino, entrai per la prima volta
nella chiesa matrice, ammirando le sue
bellezze. Siccome ero molto teso, mi
inginocchiai davanti a Gesù, cominciai
a piangere e dopo queste lacrime
catartiche mi alzai, pregando e sentendomi sereno, dopo una lunga tempesta
interiore. Poi andai dal vescovo che
forse per mettermi alla prova mi consigliò di prestare il servizio militare e
dopo un anno circa il vescovo mi
mandò in un seminario per coloro che
hanno ricevuto la vocazione da adulti e nel 1973
sono divenuto un sacerdote.
In quali paesi è stato da parroco?
Dunque sono stato a Taviano, due anni a
Melissano, a Mancaversa, a Racale per ben 13
anni.
Cosa deve avere, secondo lei, un buon sacerdote per poter svolgere al meglio la sua missione?
Tutte le missioni sono difficili, per cui è necessario
prima di tutto credere e poi investire tutto te stesso su quello in cui credi. Non bisogna tirarsi indietro dinanzi ai sacrifici, anche al rischio di perderci
la faccia, mettendoti completamente in gioco,
davanti agli occhi della gente che spesso forse
non comprende il grande travaglio interiore di un
sacerdote. Essere un sacerdote significa: soffrire
, amare e donarsi, sapendo accettare con molta
forza qualsiasi tipo di giudizio, critica o pregiudizio.
C’è qualche figura sacerdotale a cui lei è stato
particolarmente legato?
La figura che ha lasciato in me un segno indelebile è stata quella di Don Gennaro De Lorenzis, parroco della Parocchia dell’Addolorata di Racale.
Ricordo che spesso dispensava 1000 lire alle
famiglie bisognose, che non potevano permettersi di comprare gli alimenti, andando incontro alle
necessità delle persone.
Un’altra figura essenziale per la mia formazione
sacerdotale è stata sicuramente quella di Don
Pompeo Cacciatore e la sua splendida semplicità.
Ricordiamo che inoltre fu proprio lui il fondatore
della parrocchia di Mancaversa.
Com’è il volto attuale della comunità parrocchiale?
Questa parrocchia è animata da poche famiglie
effettive...essendo in una località balneare nel
periodo invernale sono pochi i fedeli che vi si
recano. I banchi si riempiono specialmente d’estate, grazie all’affluenza dei tavianesi che si
spostano dalla città e ai turisti. Quindi è sicuramente l’accoglienza una delle colonne portanti
di questa parrocchia. Un evento sicuramente
determinante è stato l’arrivo in questa parrocchia e per la prima volta nel Salento delle reliquie di Santa Rita. è stato un avvenimento
importante che ha suscitato l’attenzione di molte
persone, sia vicine che lontane.
8
N. 14 - Novembre 2014 •
Incanto poetico
Commento della poesia n°5 tratta da
” La luna dei Borboni e altre poesie “
di Vittorio Bodini
Cade a pezzi a quest'ora sulle terre del Sud
un tramonto da bestia macellata.
L'aria è piena di sangue,
e gli ulivi, e le foglie del tabacco,
e ancora non s'accende un lume.
Un bisbigliare fitto, di mille voci,
s'ode lontano dai vicini cortili:
tutto il paese vuole far sapere
che vive ancora
nell'ombra in cui rientra decapitato
un carrettiere dalle cave. Il buio,
com'è lungo nel Sud! Tardi s'accendono
le luci delle case e dei fanali.
Una poesia per riflettere …
Eugenio Giustizieri era l’intestazione di una busta che mi arrivava di
tanto in tanto a casa con dentro un piccolo libretto manoscritto contenente delle poesie bellissime, stupende. Non ho mai conosciuto quell’
uomo che faceva dono a me ed al giornale di componimenti di intensa
intimità e di grande spessore poetico e ho sempre rispettato quella sua
evidente voglia di riservatezza. Solo l’anno scorso ho saputo che era un
docente di storia dell’arte e che, purtroppo, era venuto a mancare da
poco. Mi restano oggi questi libretti che sono il segno di una attenzione
che Giustizieri riservava a questo giornale, ritenendolo un modesto
interlocutore del suo cammino poetico che oggi apprezzo ancor di più.
Pubblichiamo una poesia che, tra le tante, rappresenta in maniera più
evidente la nostra voglia e il nostro bisogno di esistere anche quando
non ne avremmo nessuna ragione.
Antonio Pasca
“Tu c’eri…”
Le bambine negli orti
ad ogni grido aggiungono una foglia
alla luna e al basilico.
Uno dei ritratti più limpidi e veritieri del nostro Sud, può essere
senza dubbio rintracciato in questo
magnifico componimento del grande poeta Vittorio Bodini(19141970),che è stato anche uno dei
più raffinati interpreti italiani della
letteratura spagnola, avendo
preso direttamente parte alle
numerose e multiformi espressioni
delle tendenze letterarie del
Novecento. È triste dover constatare come questo importante
esponente poetico della letteratura
italiana sia poco noto e valorizzato,assieme a molti altri poeti meridionali. Uno degli scopi di questa
rubrica sarà proprio quello di mettere in luce la loro importanza, affinchè la loro voce incisiva
possa essere ascoltata ed interpretata sia dalle odierne generazioni che da quelle di domani.
Il primo soggetto della poesia è “un tramonto da bestia macellata”, che lentamente si sgretola e mette in risalto quell’aria dilaniante e fosca ,”piena di sangue”, quel silenzio sordo e oscuro
che si aggira tra “ gli ulivi e le foglie del tabacco”.Nella seconda
strofa poi viene raffigurata la suggestiva immagine dell’emersione di “un bisbigliare [...] di mille voci”, da una muta ombra avvolgente, quasi un grido di riscatto inneggiante alla vita,portavoce
di “tutto il paese[che] vuole far sapere che vive ancora”, nelle
sue movenze quiete ma complesse. Il buio “è lungo nel Sud”,ma
non eterno. Le sue genti sono consapevoli che un’aurora tardiva li sorprenderà e rischiarerà i loro animi che hanno impresso
il marchio infuocato del sacrificio,della fame e della sete. La
poesia si conclude con un’immagine quasi giocosa delle “bambine negli orti”,che già nella loro tenera età sono coscienti di
quel significato amaro della vita che solitamente si apprende
soltanto nell’età adulta, dove talvolta la si vede,citando la celebre poesia “Meriggiare,pallido e assorto” di Eugenio Montale,
come” una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”.
Renato De Capua
Tu c’eri nelle nebbie vicine,
in tutte le distanze
prima che il vento svegliasse
i verdi paradisi
dentro cui io dolce sprofondo.
Con te ho imparato l’allegria
D’inquietudini e turbamenti,
tra gli alberi inabissati
ho giocato a girotondo
laddove ogni giorno mi perdo.
Eugenio Giustizieri
In questo angolo del giornale dedicato alla poesia, presentiamo
sotto una luce diversa il dottore Gino Stella. Di lui abbiamo sempre
saputo che è un medico molto amato e stimato, un professionista
serio e sensibile che da più di trent’anni lavora nel reparto di
Cardiologia dell’ospedale di Gallipoli. Quello che non sapevamo è
che avesse anche una vena poetica. Qui di seguito una delle sue
poesie, mentre vi anticipiamo che nel prossimo numero racconteremo del suo impegno umanitario e dei suoi viaggi in Tanzania come
medico volontario con l’associazione Arcobaleno su Tanzania.
A mio padre di Gino Stella
Su quelle mani robuste
e su quelle rughe
il tempo ha scolpito se stesso.
Ma lo sguardo è sì
acuto e pensoso
sebbene fiacca è la presa,
e ad esso ho piegato
con rispetto e timore
ed ancor oggi immutato,
riempie il mio cuore
di forza ed orgoglio.
Alessia S. Lorenzi
9
• N. 14 - Novembre 2014
Passeggiando
“Il mondo è un libro
e chi non viaggia ne conosce
solo una pagina.”
***
È con questo aneddoto di Sant’
Agostino che introduco la seconda parte
dell’inserto nato nel precedente numero
de “La Piazza”. È senz’ombra di dubbio
importante, fondamentale ed illuminante
viaggiare per vari e disparati luoghi del
mondo, ma certamente è essenziale conoscere per prima cosa le nostre origini, la
microstoria dei nostri luoghi, che, anche
indirettamente, designa alcuni dell’identità individuale di ciascuno di noi.
E così, continua in queste pagine quel
viaggio che indietreggia sul fluire del tempo
e trasporta le nostre menti in una Taviano
di un’epoca lontana, facendoci gustare il
sapore di dinamiche profondamente diverse da quelle odierne, scandite da un ritmo
meno frenetico e più cadenzato.
La prima parte della storia si era conclusa con l’immagine di Immacolata (la protagonista immaginaria) che s’apprestava a
tornare a casa dalla sua passeggiata domenicale, essendosi ripromessa di proseguirla
un altro giorno.
Avendo la necessità di recarsi, per lavoro, in un abitazione molto distante dalla
propria, Immacolata ne approfitta per proseguire la sua passeggiata, condividendola
con Francesca, la sua migliore amica, che
non aveva avuto modo d’incontrare nei
giorni precedenti, affaccendata com’era
nella cura della casa insieme a sua nonna.
Aveva proprio bisogno di prendersi una
pausa da tutti quegli impegni domestici che
avevano limitato allo stremo il suo tempo
libero.
I personaggi che verranno illustrati sono
tanti e alcuni di loro vi faranno sorridere.
Particolarmente di spicco risulta essere la
figura dell’eccentrico e creativo fotografo
Amedeo Giannuzzi, un uomo “alto, magro,
diritto, [che indossava] occhiali tondi da
intellettuale[ e] vestiva sempre con giacca
nera e pantaloni all’inglese...” così descritto da Pompeo Lupo nel suo libro “Stoppie Ricordi tavianesi”.
Non voglio svelare altro ... vi sottrarrei il
gusto della lettura della storia, intrecciata
brillantemente dalla creativa ed abile scrittura dell’autrice salentina Alessia S.
Lorenzi.
Rinnoviamo con stima e gratitudine i
ringraziamenti all’Avvocato Romano Macrì,
sempre pronto ed aperto a contribuire con
la sua memoria alla salvaguardia di un
patrimonio civile e cittadino che altrimenti
sfumerebbe nelle ceneri del non ricordo e
del non essere. Concludo porgendo ai lettori un augurio: che questo inserto possa
vivificare quel senso di appartenenza e di
amore che ognuno dovrebbe custodire in
sé per la propria città, per non essere vittime di una realtà d’ignavia e di alienazione.
Affrettai il passo e imboccai via...
Immaginando luoghi, atmosfere e profumi di un tempo (II episodio)
di Alessia S. Lorenzi
Era contenta della passeggiata fatta qualche giorno prima e
non vedeva l’ora che arrivasse la
domenica per continuare il suo
giro nei vicoli e nelle piazze del
centro.
Quando era rientrata quel
giorno, la nonna l’aveva un po’
rimproverata, perché era stata
in pena per lei: non aveva mai
fatto così tardi, soprattutto in
giorno festivo. La domenica,
che si mangiava un po’ più presto, lei era solita dare una mano
in casa anche perché la nonna
invitava la zia con la sua famiglia
e i figlioletti erano talmente irrequieti che a lei veniva affidato,
ahimè, il compito di tenerli a
bada con giochi, racconti e filastrocche di ogni tipo. Tutto era
consentito purché li tenesse lontano dalla cucina dove le donne
si davano da fare per preparare
il pranzo. - Cosa c’è di male a
farli stare qui? - aveva osato dire
una volta. La risposta non era
difficile. Affamati com’erano,
intingevano di continuo pezzetti
di pane nella pentola in cui cuoceva il sugo, lasciando cadere
dentro grosse briciole che infastidivano il nonno quando se le
ritrovava nel piatto.
Quella mattina aveva un
appuntamento con una sarta
molto amica di sua madre, che
aveva promesso alla nonna di
farla andare tutti i pomeriggi da
lei per imparare il mestiere. Lei
non era molto d’accordo, ma
non se la sentiva di dire di no,
anche perché la nonna si occupava di lei mentre i suoi erano in
Svizzera.
Uscì poco prima delle dieci e
si diresse verso piazza San
Martino, dove abitava una sua
amica. La sarta Giovanna Barone
(Mescia Nina) abitava un po’
distante da lì, ma lei aveva
intenzione di gironzolare un po’
per il centro con Francesca
prima di andare a quell’appuntamento fissato per le undici e
trenta. Non aveva molto entusiasmo né di andare a parlare
con quella signora, né di trascorrere tutti i pomeriggi tra stoffe,
forbici, aghi e fili. Non si sentiva
portata per quel genere di lavoro, ma lo aveva promesso alla
nonna e…. ora si sentiva intrap-
INSERTO
di Renato De Capua
INSERTO
10
polata. Accelerò il passo: avrebbe avuto più tempo per passeggiare se fosse arrivata presto. In
un cortile una giovane donna,
seduta davanti ad un telaio
grande cui era agganciata una
stoffa bianca, era china sul tessuto intenta a ricamare. Si
fermò un attimo ad osservare: la
mano destra era talmente veloce a prendere l’ago e a rimetterlo dentro la stoffa, che la fece
sorridere. Anche lei aveva imparato a ricamare. Sua nonna le
aveva comprato della stoffa di
lino che aveva sistemato su un
piccolo cerchietto in legno, del
cotone in vari colori e le aveva
insegnato a ricamare. Ma osservare la velocità di quella signorina e immaginare la sua lentezza
nel cercare di infilare l’ago al
punto giusto del disegno, la fece
sorridere ancora.
Arrivata in piazza sentì il
suono dell’orologio che rintoccava le dieci. Si fermò a guardarlo e ripensò al racconto di suo
nonno sul trasporto della campana nuova e sulle difficoltà che
avevano accompagnato il trasporto di un carico così pesante.
Il bar di Tottò Peschiulli era
aperto e non potè fare a meno
di ricordare una domenica di
qualche anno prima, quando
insieme ai suoi genitori era passata da lì e aveva notato, proprio davanti al bar, una cosa
insolita per quel tempo: tavolini
e sedie fuori e una grande lampada ad illuminare. Si erano
seduti e suo padre, che era un
po’ goloso, aveva ordinato un
dolce freddo e duro di forma
tonda, “pezzu turu” (Un gelato
tipo spumone, con canditi e nocciole tritate). Era inserito in un
contenitore di metallo che il
barista aveva tirato fuori e diviso
a metà con un grande coltello
un po’ caldo. Un sapore buonissimo che non aveva mai dimenticato.
La sua amica le venne incontro uscendo da un cortile di una
stradina che portava in piazza. Si
salutarono e lei, ancora immer-
N. 14 - Novembre 2014 •
sa nel ricordo del sapore di quel
gelato, propose di entrare nella
della
signora
bottega
Mauramati (meglio nota come
“Paramati”) a comprare qualcosa di dolce. Nel suo negozio,
situato all’angolo nel punto in
cui via Colonna confluiva in piazza, si trovava di tutto, dalle caramelle tanto care ai bambini, ai
dolci, alle paste per il latte ed
altre specialità. Tutto era venduto sfuso, c’erano grandi e piccoli
sacchi contenenti, caramelle,
confetti, zucchero, biscotti e
tanti altri dolciumi. Scelsero
delle caramelle colorate e la
signora, molto gentile, le mise in
un cartoccio, pagarono e prima
ancora di essere fuori lo aveva-
domande su questo o quel luogo
e lui le spiegava, con dovizia di
particolari, tutto quanto, soddisfacendo la sua sana e infantile
curiosità. Passando vicino alla
tabaccheria, ricordò che alla sua
domanda di cosa fosse quello
stemma sul muro proprio sopra
al portone di entrata, il nonno le
raccontò che prima lì c’era la
farmacia di Luigi Macrì, un chimico farmacista che lui conosceva bene. Raccontò che, ad un
certo punto, a causa del diabete
che lo aveva colpito, era diventato cieco e aveva dovuto vendere tutto ad un altro proprietario. Ricordò che la fece entrare
nella tabaccheria per mostrarle i
mobili antichi, scaffali in legno
no già aperto e avevano cominciato a mangiarne avidamente.
Dalla piazza si diressero
verso via Matteotti. Dei ragazzini giocavano vicino al piazzale
antistante la chiesa; il loro vociare allegro e spensierato le fece
voltare. Sotto l’occhio vigile di
don Gennaro, fermo sul portone
della chiesa che le salutò con un
gesto della mano, i ragazzini correvano dietro a un pallone
improvvisato realizzato in fretta
e furia per soddisfare la voglia di
una partitella.
Loro sorrisero, tentate dalla
voglia di fermarsi e godere di
tutta quella allegria.
Continuarono a sgranocchiare le caramelle che avevano
acquistato poco prima, mentre
Francesca raccontava del suo
abito nuovo che la sarta le aveva
cucito per il matrimonio di suo
fratello.
Come ogni volta, quando
percorreva le viuzze del centro
storico, le venivano in mente i
racconti del nonno. Lei, come
tutti i bambini, faceva mille
scuro, che erano appartenuti al
vecchio farmacista. La signora
che era dietro al banco, l’aveva
presa in braccio e l’aveva portata nel retro del negozio per farle
vedere altri oggetti, poi le aveva
regalato un quaderno e offerto
una caramella. Sorrise, ricordando che appena fuori, indicando il
quaderno, aveva domandato al
nonno: - E che ci faccio con que-
sto?- Lui le aveva spiegato che
poteva fare dei disegni, o scrivere qualcosa e promise che lui le
avrebbe insegnato a fare i conti.
Tutta felice col quaderno
sotto il braccio, si era sentita
grande e importante: avrebbe
imparato a scrivere!
- Immacolata! Non dobbiamo
entrare qui? Ma a che pensi? Ti
parlo e non mi rispondi…- la
voce di Francesca l’aveva richiamata alla realtà. Cercò nella borsetta qualcosa. La nonna le
aveva dato un elenco delle cose
da acquistare e lei le aveva
annotate su un foglietto di carta.
Entrarono nella macelleria Rainò
(Puccia) per prendere degli ossibuchi per il brodo. Il locale era
vuoto, chiamarono il proprietario che subito comparve col suo
grembiule bianco con macchie
di sangue rappreso dovute al
suo continuo maneggiare pezzi
di carni macellate. Le servì velocemente, avvolse tutto in un
cartoccio e lo consegnò a
Immacolata che prontamente
afferrò. Salutarono e ripresero
la passeggiata.
Fecero pochi passi e si fermarono nuovamente nella bottega
di Cosimo Chetta (Cosi Tara) per
acquistare altri generi alimentari indicati nella “lista” della
nonna. Nel negozio c’era di
tutto: pane, pasta, zucchero,
farine, salumi, stoccafisso accatastato in una cassetta, del baccalà in una vaschetta posta in un
angolo del piccolo locale.
Entrando si sentiva un forte
miscuglio di odori provenienti
dai diversi contenitori aperti
colmi di alimenti di vario genere.
Acquistarono il necessario e
schizzarono via. - Basta acquisti!
- disse. Ora andiamo dalla sarta.
Arrivate in Piazza del Popolo,
11
• N. 14 - Novembre 2014
nuovamente in Piazza del
Popolo.
Si incamminarono dirette
verso via Matino ad incontrare
la signora Giovanna.
Un signore magro dal portamento elegante, con dei tondi
occhiali e con un cappello chiaro
veniva verso di loro e, vedendole, sorrise. Si avvicinò e le chiese
notizie del padre. Domandò se
contava di tornare in Italia presto e lei cercò di spiegare che il
padre non avvertiva mai del suo
arrivo. Le disse che era diventata davvero una bella ragazza e
che quando voleva poteva passare dal suo studio per una bella
fotografia. Le ricordò il giorno
della sua prima comunione e di
quanto fosse felice di posare per
una foto. Chiacchierarono un
po’ e, prima di allontanarsi, le
confidò che la sua fotografia del
giorno della Prima Comunione
era ancora in bella mostra nel
suo studio.
- Posso venire a vederla? chiese. - Da piccola devo aver
fatto più di un pasticcio con le
fotografie e mamma dice che
molte le ho smarrite e quelle
sopravvissute sono piene di scarabocchi. - Con piacere signorina l’accompagnerò nel mio studio! - fu
la risposta di don Amedeo.
Don Amedeo era un bravissimo fotografo, molto bravo e
ricercato. Andare nel suo studio
per fare una foto era quasi un
lusso. Sapeva fare incredibili
fotomontaggi: era un vero artista della fotografia. In quel
periodo c’era l’usanza di fare le
foto ai funerali, fotografare quel
triste momento e tutti coloro
che prendevano parte al dolore
dei parenti del defunto. Lui, a
volte, faceva dei fotomontaggi
per aumentare il numero dei
partecipanti di qualche unità e
dare, quindi, una soddisfazione
ai familiari che gioivano della
tanta partecipazione della
gente. Si racconta che un tale,
notando di essere presente
nella fotografia in due punti
diversi, gli chiese, indicando col
dito la fotografia:
- Don Amedeo, come mai io
mi trovo qui e anche qui?- Vuol dire che ti sei mosso! fu la divertente risposta del
fotografo.
Era anche un bizzarro inventore. Aveva inventato un apparecchio cattura-mosche, molto
Via Toledo (Via Corsica)
INSERTO
si fermarono a chiacchierare con
sua zia che, prima di salutarle,
disse di passare da casa: le
avrebbe dato dei dolci, appena
preparati, da portare a casa. Ho fatto delle pittèddhe e so che
a te piacciono molto. - disse
rivolta a Immacolata. Lei fece i
salti di gioia: era il suo dolce preferito. Erano semplici dolci di
pasta di farina e acqua, di forma
tonda, con gli orli sollevati e
ripiene di marmellata di uva o di
cotogne.
Acconsentirono e stavano
per allontanarsi quando un
signore chiamò Immacolata. Si
voltarono e vicino al largo
Sant’Anna c’era il signor Giannì,
fabbro (Mesciu Lindu) che faceva cenno di avvicinarsi.
Tornarono indietro ed entrarono nel suo laboratorio. Oggetti
in di varie forme e dimensioni
erano abilmente lavorati.
Pentole, catini in ferro e vari
altri accessori tutti decorati a
mano con grande maestria.
Dopo averle salutate, le disse di
avvertire la nonna che i treppiedi per il fuoco erano pronti e che
avrebbe potuto mandare qualcuno a ritirarli oppure avrebbe
provveduto lui a farglieli recapitare. Gli disse che ne avrebbe
parlato appena rientrata, salutarono e in pochi secondi furono
INSERTO
12
geniale per l’epoca. Si trattava di
un attrezzo assai utile che portò
addirittura al riconoscimento
del brevetto e un istituto di credito locale ne finanziò la produzione e la sua immissione sul
mercato. Ma non inventò solo
questo singolare oggetto, tante
piccole invenzioni hanno messo
in risalto la sua creatività e
intelligenza.
Entrati nello studio, piccolo
ma ordinato, si avvertiva un sottile odore di acido e inchiostro.
Vari portafotografie
erano
appesi al muro o poggiati su
mobili e un giovanotto seduto
ad un tavolo era intento a sistemare qualcosa. Lui lo chiamò e
dopo aver fatto le presentazioni,
gli indicò la macchina fotografica.
- Pippi, prepara la macchina
che facciamo una bella fotografia a queste signorine. Che gioia quella volta che suo
padre l’aveva portata lì per fare
la fotografia! Ricordava ancora il
vestito nuovo che indossava
quel giorno. Era in primavera e
lei aveva appena ricevuto la
Prima Comunione. Il suo abitino
era in chiffon bianco con dei fiorellini rosa posti intorno al colletto in pizzo. Il vestito non era
proprio nuovo, sua cugina Anna
lo aveva indossato prima di lei,
ma sua madre era stata bravissima nell’adattarlo alla sua misura
e ad aggiungere degli accessorio
che lo avevano reso speciale. Lo
aveva adornato di fiorellini rosa
N. 14 - Novembre 2014 •
e lei era rimasta a bocca aperta
quando lo aveva visto.
- Ti porterò da don Amedeo a
fare una bella fotografia! - aveva
detto suo padre, osservandola,
mentre la mamma le faceva l’ultima prova prima del grande
giorno.
Lei le era saltata al collo felicissima.
Annusò l’aria: lo stesso identico odore che aveva sentito
quella volta. Odore di foto appena stampate, di carta, di….arte.
Ringraziò don Amedeo della
proposta di fare una fotografia
scusandosi per non avere il
tempo di fermarsi e gli chiese di
vedere la foto della sua Prima
Comunione. Lui si diresse verso
un mobile basso in legno scuro,
aprì un cassetto e tirò fuori
diverse fotografie; cominciò a
esaminarle tutte, poi ne prese
una e si avvicinò a loro. Lei la
osservò attentamente: era da
tanto che non la vedeva e quasi
le dispiaceva restituirla. La
mostrò alla sua amica e poi la
ridiede indietro. Lui comprese e,
senza che lei dicesse nulla, le
salutò promettendo che il giorno successivo ne avrebbe sviluppata un’altra e gliela avrebbe
regalata.
Uscirono e, una volta notato
l’orario, si diressero spedite alla
volta di Via Toledo (Via Corsica)
per raggiungere la sarta in Via
Matino.
La signora Giovanna che tutti
conoscevano come Mescia Nina,
era una sarta molto professionale e abile nelle tecniche di cucito
con particolare attenzione ai
dettagli che conferivano all’abito una vestibilità perfetta. In
quel periodo di grande crisi e di
ricostruzione, quale era quello
degli anni cinquanta, erano in
molti a ricorrere alla confezione
artigianale dei capi di abbigliamento, non potendosi permettere di acquistare nei rari e
costosi negozi di abiti. Più una
sarta era brava e preparata,
maggiore era il numero delle
ragazze che chiedevano di essere prese per imparare. E lei era
una molto in gamba. Nel suo
“laboratorio” aveva diverse
ragazze che si recavano lì con la
speranza di imparare il mestiere
di sarta. E magari essere, un
giorno, brave come lei.
Arrivate, bussarono alla
porta e sentirono subito un
vociare allegro. Venne ad aprire
una ragazza che le annunciò alla
sarta. L’ambiente era pulito ed
accogliente e si sentiva odore di
tessuti nuovi. Su un tavolo abiti
impunturati pronti per essere
cuciti, carta da taglio, metri da
sarta, macchina da cucire in funzione e tanti tessuti di diversi
colori, pronti per essere trasformati in abiti. La signora la accolse con un sorriso e le disse che
aveva stentato a riconoscerla
perché era molto cresciuta dall’ultima volta che l’aveva vista.
Chiacchierarono un po’, le
mostrò gli abiti alle quali le
ragazze stavano lavorando sottolineando l’importanza della
precisione sia nel taglio, sia nella
confezione del capo. Prima di
salutarsi, le disse che avrebbe
potuto cominciare già dalla settimana successiva. Fu un incontro breve, ma sufficiente per
farle capire che si sarebbe trovata bene: le ragazze intente a
lavorare, avevano il volto sorridente e canticchiavano sottovoce un canzone in coro. Uscì,
contenta di aver trovato un
ambiente piacevole in cui trascorrere i successivi pomeriggi.
Era tardi e si avviarono a
passo svelto verso casa.
(Continua….)
13
• N. 14 - Novembre 2014
TAVIANO - Le edicole votive datate di via Corsica
di Antonio Piccinno
Era da tempo che il caro amico Antonio
Piccinno mi aveva consegnato il contributo che
tra poco leggerete. Antonio rappresenta l’anima
più nobile di una cultura cittadina che ha valorizzato e difeso i temi sempre attuali del territorio, della storia locale, dell’ambiente, dell’ecologia.
Restano memorabili le sue battaglie contro
la grossa e grassa deturpazione della città e dei
simboli più importanti del nostro patrimonio
storico e religioso. Battaglie sempre in solitario
quelle di Antonio, perché non è facile guerreggiare, dir la verità in faccia ai poteri forti. Lui lo
ha fatto sempre, lo ha fatto anche a costo di
malevole e pretestuose critiche, lo ha fatto
anche per noi che ci apprestiamo a leggerlo, perché, se Taviano oggi ha una nobile convinzione
ambientale, lo deve innanzitutto ad Antonio
Piccinno, ed io che, allora giovane, mi occupavo
della neonata “Italia Nostra”, associazione pioneristica nel Salento grazie all’intuito e allo sforzo del “nostro”, posso dire di essermi abbeverato alla sua passione, e forse, se Antonio me lo
consente, posso dire oggi di seguirla non più da
solo.
Ma Antonio ancora continua insieme a noi
questo impegno.
Antonio Pasca
U
na delle espressioni più note della religiosità popolare meridionale è costituita
dalle edicole devozionali (“Le Cuneddhe”,
così volgarmente chiamate dagli anziani di
Taviano).
Queste nascono da una esigenza di devozione
religiosa personale del committente proprietario
verso un santo piuttosto che da un evento drammatico che implica la richiesta e il soddisfacimento di un voto per grazia ricevuta.
Le edicole devozionali più antiche che si trovano sulla strada sono ubicate a Taviano su via
Corsica, che in antico si chiamava via Toledo, raffigurano la “ Madonna Immacolata, San Leonardo
e un’altra “Madonna Immacolata, molto vicina
all’incrocio di Via San Martino.
Le edicole devozionali su citate sono le uniche
a essere datate che si trovano, nel centro storico
di Taviano, solo su via Corsica.
Le tre “cuneddhe” sotto lo stile tipologico,
formale, architettonico sono semplici di stile
mistilineo formate da archi di circonferenza interrotta da una piccola risega che fuoriesce delimitando con segmenti di retta la base dell’affresco.
Le edicole devozionali sono dipinte a tempera
e ricavate sul muro esterno di due abitazioni private alla profondità di 5 cm circa .
Le tre opere, che sono state dipinte da maestranze locali, che tutt’oggi si possono ammirare,
deteriorate un po’ dal tempo e dagli agenti atmosferici.
La prima “Cuneddha” della
“Madonna Immacolata” è ricavata sul
prospetto del fabbricato , sito su Via
Corsica, degli eredi di D’Amilo Martino,
tutt’oggi abbandonato ed è rivolta a
Nord non lontano dall’incrocio di via San
Martino, n.c. 72.
La Madonna poggia gli arti inferiori
(piedi) su di una mezzaluna, alla base si
legge la seguente data: A.D. 1871.
La seconda “Cuneddha”, che rappresenta una seconda “Madonna
Immacolata “, caratterizza insieme ad
un’altra, di medie dimensioni, il prospetto del palazzo del defunto dott. Mario
Miggiano, n.c. 125; essa è situata sul lato
sinistro del prospetto che guarda via
Nizza a sud e collocata sul prolungamento di via Corsica; anche questa Edicola è
stata dipinta da maestranze locali e presentava molto chiari i danni del tempo e
delle intemperie. Aveva il volto, la corona e parte del fondo superiore ricoperto
da sali, mentre le pieghe dell’abito erano
mancanti e consumate.
All’interno dell’arco, sulla volta, è
dipinta la data dell’Edicola risalente al
1830.
La terza “ Cuneddha “: facente parte
dello stesso proprietario Miggiano, insistente a destra del palazzo, il dipinto pittorico a tempera rappresenta “ San
Leonardo “, protettore dei carcerati e
dei malviventi , si presentava abbastanza
visibile solo che alcuni tratti delle linee,
che lo racchiudevano, erano anch’esse in
parte mancanti e sbiadite dal tempo.
Anche questa edicola presenta le
stesse caratteristiche costruttive e archi-
tettoniche della precedente.
All’interno dell’arco, sulla volta, è dipinta la
seguente scritta : “San Leonardo 1830”.
Queste tre “Edicole devozionali“ probabilmente hanno subito dei restauri nei primi del
secolo.
In origine ,infatti , la prima “ Madonna
Immacolata” – Abitazione D’Amilo – era monocromatica, dipinta con una semplice linea di pennello di colore marrone rossiccio, il quale è stato
ricoperto prima da una tempera celeste poi, con
un secondo intervento, il manto è stato colorato
di azzurro nascondendo le linee originali.
per i dipinti appartenenti alla famiglia
Miggiano, gli interventi di restauro erano visibili
solo su
“San Leonardo“ dove vi erano state aggiunte,
nella parte alta, delle nuvole di colore celeste.
L’ultimo intervento di restauro risale al mese
di ottobre 1990 eseguito dalla restauratrice
Michela Verdesca di Lecce, dietro l’autorizzazione
della Soprintendenza di Bari, su interessamento
dell’Associazione di “ Italia Nostra – Salento Sud “
di Taviano, con la collaborazione economica di
alcuni sponsor locali compreso il sottoscritto.
Le “Edicole“ appartengono alla categoria delle
opere senza tempo perché la loro origine è presente nelle più autentiche civiltà in quanto testimonianze della semplicità religiosa della fede dell’uomo e del suo desiderio di rapportarsi direttamente con la divinità.
La penisola salentina, è ricca di Edicole devozionali, che sono presenti in tutto il suo territorio,
in quanto è stata luogo di incontro di popoli di
provenienza diversa e ha costituito un ponte
naturale per diverse civiltà, che qui hanno lasciato segni evidenti del loro passaggio attraverso le
testimonianze dei loro culti.
14
N. 14 - Novembre 2014 •
I nostri giochi... I loro giochi
di Gabriella Mercuri
Ancora la strada, nostra alleata di giochi e spensieratezza, ospita le nostre
fantasie e la voglia di sfida che accomuna la nostra gioventù.
- Dai ragazzi! - disse Paolo - cambiamo gioco, giochiamo a
“ Strega
Comanda Colore” !! -Un sì accorato da
tutto il gruppo approvò la scelta.
Paolo inizia la spiegazione del gioco
elenca le regole ed insieme si decide chi
sarà la strega o lo stregone. Si delimitano gli ampi spazi, quasi tutta la strada, si
fa la conta dei concorrenti che non ha un
numero limite.
Il gioco avrà inizio non appena la strega, o lo stregone designato, indicherà al
resto dei partecipanti, recitando la formula “Strega Comanda Colore”, il colore prescelto e, appena svelato, ogni
ragazzo dovrà correre alla ricerca del
colore che può essere rappresentato da
qualsiasi oggetto o indumento (non valgono vestiti propri). Chi non riesce a trovare oggetti del colore corrispondente,
viene preso dalla strega che lo accompagnerà nella sua prigione. L’ultimo
ragazzo che rimane in gara vince aggiu-
dicandosi l’applauso e l’ammirazione dei
compagni.
Concentrazione e prontezza d’intuito
e si dà il via al gioco…
Risuona ancora la voce di Paolo :
“allora pronti ragazzi , si
comincia il gioco….” Strega
Comanda Colore …. INDACO come il cielo..”
Stupore tra molti, proteste
tra alcuni : - Non vale! Che
colore è questo indaco?Oppure …- Come faccio
ad arrivare fino al cielo? Si scatena la corsa, confusione e risate tra ragazzi
intenti a trovare il colore indicato , spintoni e prese in giro
e la strada prende vita, colore
, allegria .
Si andava avanti per ore ,
si era in tanti nel gruppo e
gioco, al suo tempo libero? Hanno
inventato un gioco, appare nella pubblicità in tv, promette “movimento” “allegria”: La Wii. Un “Controller”, dei telecomandi tra le mani, dei led ad infrarossi
tanti i colori che la natura ci offre.
E oggi , il Paolo di oggi come si
muove tra le ore del giorno dedicate al
per percepire l’inclinazione e la rotazione, tasti e freccette per dare imput ai
comandi e tanti altri accessori… parola
d’ordine: giocare!
Paolo gioca così oggi e tanti altri
ragazzi come lui; intenti a mimare azioni e “sentirle” attraverso vibrazioni .
Si gioca a tennis, si può pescare, ballare, dirigere un’orchestra, giocare a calcio fianco a fianco con il giocatore del
cuore ed una miriade di giochi in un
mondo virtuale che ci possa far compagnia e dare emozioni.
I tempi sono proprio cambiati!
Ognuno di noi, a secondo dell’età, li vive
come vuole ma una cosa è certa, nessun
telecomando può farci sentire il profumo
dell’aria aperta, nessun video può farci
vedere il vero colore del cielo, nessun
tasto può azionare le risate del cuore e
nessun led può farci sentire il calore
della vera amicizia.
Al prossimo gioco.....
15
• N. 14 - Novembre 2014
Giornalista per un giorno
Inizia in questo numero la rubrica
“Giornalista per un giorno” rivolta ai
giovani che abbiano voglia di raccontare passioni, hobby, esperienze di
vita. In questo numero, “giornalista”
è Luca Serio.
Cellulari, vantaggi e
effetti…collaterali
C
di Luca Serio
ome tutti sappiamo il telefono cellulare è un dispositivo elettronico utile per
restare in contatto con chiunque chiamando o inviando un semplice SMS. Queste
sono le funzioni generali che ci offre il telefono. Ormai da alcuni anni esistono gli
smartphone. Essi ormai sono i compagni
fedeli di adolescenti e adulti. Grazie alle
molteplici applicazioni è possibile ricevere
news, raggiungere posti con facilità grazie
alle mappe, ricevere aggiornamenti sui propri contatti sui social network, ascoltare
musica e moltissime altre funzioni. Miliardi
di persone, infatti, ogni giorno comunicano
a grande distanza utilizzandolo anche per
scambiarsi email, “twittare” o anche semplicemente aggiornare il profilo di Facebook.
Sembra tutto bello, tutto nuovo, tutto
fantasticamente magico. E ti viene spontaneo domandarti: ma come facevano i ragazzi di una volta senza questi “gioielli” della
tecnologia? Già, come vivevano? Forse vivevano nel significato più completo del termine. E, sicuramente, non subivano gli “effetti
collaterali” di queste piccoli oggetti magici.
Ma quali sono gli effetti nei rapporti
sociali?
Tanti, tantissimi, purtroppo. E non mi
riferisco al fatto che molti incidenti stradali
siano causati da conducenti che utilizzano il
cellulare in auto senza il vivavoce, né al fatto
che, essendo fortemente radioattivo, causa
un incremento del rischio di tumori. Mi riferisco all’impoverimento e al deterioramento
dei rapporti tra i ragazzi. Il primo è sicuramente la dipendenza che esso causa.
Sembra che non averlo generi un’insicurezza
insuperabile. Spegnere il cellulare sembra
quasi come diventare trasparenti, invisibili e
incapaci di entrare in altro modo in relazione con gli altri.
Il rischio che si corre, ma più che un
rischio credo sia ormai una certezza, è che il
cellulare, piuttosto che diventare uno strumento di sostegno per affrontare le difficoltà di un confronto diretto con gli altri, diventi uno strumento per gestire normalmente
le relazioni. Può accadere, allora, che la
“comunicazione telefonica” sostituisca la
“comunicazione reale”, che lo strumento
tecnico prenda il sopravvento e finisca per
sostituirsi alla realtà.
Può capitare di vedere ragazzi in pizzeria
seduti attorno a un tavolo in attesa dell’arrivo del cameriere che, anziché chiacchierare,
scambiarsi opinioni, raccontarsi qualcosa
della giornata, interagire insomma, li si veda
nel più assoluto silenzio e concentrati,
ognuno col proprio smartphone, ad inviare
sms a chissà chi, che si trova in chissà quale
città. O famiglie riunite attorno al tavolo e
“presenti” solo….fisicamente. O, ancora,
ragazzi per strada con lo sguardo basso sul
proprio cellulare intenti a navigare nel web
e non si accorgono di chi gli arriva di fronte.
Comunicano con persone a distanza e non
parlano con chi gli cammina affianco.
Sembra un paradosso, ma è la realtà. Allora
viene spontaneo chiedersi: Ma è positivo
tutto questo?
Che cosa stanno perdendo i ragazzi di
oggi? La gioiosa risata al telefono tra amici è
sostituita da una faccina sorridente su whatsapp: ma non è la stessa cosa!
Le chiacchierate al telefono tra due innamorati sono sostituite da interminabili ore a
chattare su un display e a scambiarsi faccine ed emoticons di ogni genere. Fa un po’
tristezza tutto questo!
La speranza è che ognuno di noi possa
riflettere e decida di utilizzare la tecnologia
che, è inutile negarlo, aiuta tantissimo, ricordando sempre che due parole, un sorriso o
una pacca sulla spalla, hanno un effetto
diverso di una faccina sul display.
Luca Serio è nato a
Poggiardo e vive ad Alliste,
in provincia di Lecce, con la
sua famiglia. Frequenta il
terzo anno dell’Istituto
Tecnico Industriale di
Casarano, ma il suo sogno è
quello di entrare nell’accademia aeronautica.
Ama ascoltare musica, in particolare Old
School Rap, Hip-Hop. Il suo sport preferito è
il calcio e ha la passione per gli aerei militari
e civili.
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N. 14 - Novembre 2014 •
Matrimoni omosessuali: perché in Italia no
di Maurizio Nicchiarico
Il tema dei matrimoni tra persone dello stesso sesso sta
impegnando la nostra società, con distinguo, nuove aperture e sensibilità, con atteggiamento idi chiusura tristemente vecchie, che ci riportano indietro nel tempo, quando, dinanzi alle diversità,
c’era solo freddezza ed insensibilità , se non proprio il
dileggio . Abbiamo chiesto a
Maurizio di sintetizzare i diritti che sono all’attenzione del
legislatore e delle comunità
civili e religiose. Ne viene un
approfondimento che ritengo
possa aiutarci a comprendere
meglio il tema.
Antonio Pasca
V
icenda che ha fatto
molto discutere l’ opinione pubblica è stata quella di Bruno Boileau (30 anni) e
Vincent Autin (40 anni): due
ragazzi francesi che, dopo tanto
tempo e tanta attesa per una
legge soggetta ad un iter molto
lungo, hanno coronato il sogno
di sposarsi civilmente, al
Municipio di Montpellier, di
fronte a familiari ed amici evidentemente commossi per l’
avvenimento. Bruno e Vincent
hanno potuto fare ciò grazie alla
Legge Taubira (dal nome del
Ministro della Giustizia francese), promossa dal Presidente
della Repubblica francese
Hollande e approvata dall’
Assemblea Nazionale, il 23 aprile 2012, con 331 voti favorevoli
e 225 contrari.
La Legge Taubira è stata definita la più grande riforma della
società in Francia, dopo l’ abolizione della pena di morte del
1981, ma a questo punto una
domanda sorge spontanea: dato
che la Francia è stato il quattordicesimo Paese al mondo ad
aver approvato le nozze gay,
quando (e se) arriverà il momento della nostra Italia? Quali
sono, nel nostro Paese, gli ostacoli giuridici che impediscono a
persone come Bruno e Vincent
di potersi sposare?
Facendo una premessa, bisogna sottolineare che la
Convenzione Europea sui Diritti
dell’ Uomo, la Carta di Nizza e le
diverse
risoluzioni
del
Parlamento Europeo hanno sancito, per molti anni, la necessità
di evitare discriminazioni, sulla
base dell’ orientamento sessuale, nel diritto ad avere una famiglia. Nonostante ciò, tali Carte
rimettono alla discrezione dei
singoli stati membri dell’ Unione
Europea il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto.
D’ altro canto risulta essere
emblematica la sentenza della
Corte Costituzionale n. 138 del
15/04/2010 (con le due ordinanze seguenti), alla quale si
rimetteva la questione di legittimità costituzionale concernente
l’ esclusione delle coppie omosessuali dall’ accesso all’ istituto
matrimoniale, così come disciplinato dall’ ordinamento italiano. In ciascuna occasione, l’ incidente di costituzionalità era ori-
ginato dal diniego di pubblicazioni matrimoniali opposto da
ufficiali dello stato civile a coppie di cittadini del medesimo
sesso; diniego motivato in ragione dell’ indefettibilità del requisito della necessaria diversità di
sesso tra i coniugi, che connoterebbe il matrimonio disciplinato
dal Titolo VI del Codice Civile.
La risposta della Corte
Costituzionale sarà molto chiara: premettendo che il matrimonio civile, così come configurato
nell’ ordinamento vigente,
riguarda unicamente l’ unione
stabile tra uomo e donna, quale
paradigma di una consolidata e
ultramillenaria nozione di matrimonio (il riferimento alla consuetudine è più che evidente), lo
scrutinio su cui la Corte si incentra riguarda la presunta violazione dei suddetti articoli della
Costituzione.
Una volta specificato il parere della Corte Costituzionale,
evidentemente contrario ai
matrimoni omosessuali, ma
incline ad una regolamentazione
della coppia gay, intesa come
formazione sociale ex art. 2
della Costituzione, un ultimo
riferimento occorre farlo al
parere della Chiesa sulla suddetta unione, il quale, per quanto
non vincolante delle decisioni
istituzionali italiane, ha un peso
non irrilevante all’ interno dell’
opinione pubblica. In particolare, dopo il matrimonio tra Bruno
e Vincent, Benedetto XVI (il
quale, già il 21 dicembre 2012, al
suo discorso alla Curia Romana,
definiva il matrimonio gay come
un attentato alla famiglia) ha
scritto come, ad essere in gioco,
non solo la famiglia, ma ciò che
in realtà significa essere uomini,
dal momento che la profonda
erroneità di questa rivoluzione
antropologica porta l’ uomo a
pensare di poter creare da sé la
propria natura.
In conclusione, possiamo
ammettere che, evidentemente,
la decisione della Corte
Costituzionale si basa su una
supposizione, riguardante un
presunto riferimento dei costituenti ai soli matrimoni eterosessuali, al momento della scrittura della Costituzione, della
quale non avremo mai la certezza. A prescindere da quanto
ritiene la Chiesa, un’ opinione
accorda tutti i giuristi, i legislatori
italiani
e
la
Corte
Costituzionale stessa: la nostra
Costituzione ha una grave lacuna riguardante non una disciplina del matrimonio omosessuale
(questione tuttora discussa), ma
una disciplina generale che
regoli e tuteli la coppia omosessuale.
La nostra unica speranza, da
persone con profondo senso
civico, è che tale materia possa
essere regolata in modo corretto e non sacrificando taluni diritti fondamentali dell’ uomo e del
cittadino; da uomini e donne,
solidali e tolleranti, infine, dobbiamo sperare che tutte le coppie omosessuali, in un immediato futuro, possano trovare,
anche nel nostro Stato, la stessa
felicità che Bruno e Vincent
hanno trovato nel loro.
17
• N. 14 - Novembre 2014
CANTINA IN FESTA
di Laura Rizzo
In occasione del 53° anniversario
dalla fondazione della Cooperativa
Produttori Agricoli di San Pancrazio
Salentino, la nostra amica Laura ci fa
una cronaca dei festeggiamenti e ci racconta i tanti anni di storia e di successi
di questa cantina, orgoglio e vanto del
suo paese.
Buon compleanno e mille di questi
giorni!
Chiunque venga in San Pancrazio
Sal.no in questo periodo, non può fare a
meno di respirare una “frizzante” aria di
festa.
Infatti, proprio in questi giorni, la”
Cooperativa Produttori Agricoli” ha
festeggiato i suoi primi 53 anni della fondazione.
La Cantina infatti, è sorta nel 1961 su
iniziativa di 14 operatori agricoli della
zona, inizialmente con sede a Trepuzzi
(LE) e attualmente alla via del mare in
San Pancrazio Sal.no, provincia di
Brindisi. La prima struttura utilizzata per
la lavorazione delle uve, fu quella di un
antico stabilimento vinicolo, il cui titolare era il Cavaliere Antonio Bianco,
imprenditore vinicolo a livello nazionale
e proprietario di vastissime estensioni di
vigneti e al quale è stata dedicata una
delle sale principali della cantina.
Dopo circa 10 anni, l’attività di lavorazione e trasformazione delle uve, fu trasferita nell’attuale sede di San Pancrazio
Sal.no.
La cooperativa, conta circa 900 soci
conferenti i cui vigneti si estendono per
1000 ettari complessivi tra le province di
Brindisi e Lecce.
I vini prodotti derivano prevalentemente da uve di varietà negramaro e
malvasia nera, ma anche di primitivo,
malvasia bianca, lambrusco, cabernet
sauvignon, montepulciano e chardonnay.
Uno dei punti forza della cooperativa
è senza dubbio la capacità di coniugare
tradizione ed innovazione nel processo
di vinificazione, ed è così riuscita ad ottenere vini di eccellente qualità e che
riscuotono ottimi successi a livello nazionale. E’ proprio l’adeguamento degli
impianti della cooperativa alle innovazioni tecnologiche e l’accurata selezione
delle uve, che concorrono ad ottenere
vini eccellenti, nel rispetto delle vecchie
tradizioni.
D’altronde, è risaputo che la viticultura salentina ha una tradizione millenaria,
e ciò trova conferma nei numerosissimi
rinvenimenti archeologici sia su terra
ferma che nel mare di Porto Cesareo di
anfore per il trasporto del vino che risalgono addirittura all’epoca romana.
E allora, non lasciamoci sfuggire l’occasione per degustare un buon bicchiere
di vino e alzando i calici, brindiamo alla
salute di questa cantina, affinché possa
continuare ad avere vita lunga, piena di
successi e soddisfazioni come è avvenuto finora. Numerosi premi infatti sono
stati riconosciuti alle diverse tipologie di
vini prodotti nella nostra cantina e nello
specifico hanno vinto la medaglia d ’oro
al 53° concorso nazionale dei vini doc-igt
a Pramaggiore (Venezia) il “Rivo di
Liandro” riserva del 2009, “Campo
Appio” primitivo del 2013, “Campo
Appio” negramaro 2012 e il “Rivo di
Liandro” rosso 2012.
Il rosso “Campo Appio” primitivo
2013 ha inoltre ricevuto il riconoscimento” Gran Menzione” al Concorso
Internazionale Vinitaly 2014; mentre il
rosso “Campo Appio” negramaro, il
rosso “Rivo di Liandro” e il rosato
“Rosalbore” hanno vinto medaglia d’oro
e d’argento al Concorso Internazionale
la “Selezione del Sindaco” 2014.
Un grazie di cuore, quindi, al presidente Avv. Tommaso Conte, al suo vice
Oronzo Pati, agli amministratori tutti, al
dottor Salvatore Ripa nostro stimatissimo sindaco, e agli enologi che con il
loro costante impegno, fanno della cantina di San Pancrazio motivo di vanto e
di orgoglio per il nostro Paese.
Auguri cantina e al prossimo traguardo!
18
N. 14 - Novembre 2014 •
Una particolare avventura d’amore
di Pasquale Scategni - Renato De Capua
La storia che stiamo per raccontare, risulterà essere ai
vostri occhi una preziosa trama
d’altri tempi, con usi e costumi
ormai lontani dalla nostra concezione di vita,ma che ancora
oggi fa riflettere. Questo racconto è frutto della feconda
memoria del nostro concittadino Pasquale Scategni, nipote di
quel Guido Scategni che ha
tanto contribuito a dare piena
fisionomia all’anima di questa
città ,sottolineando quanto
siano importanti i valori della
solidarietà e del mutuo soccorso che vengono ancora oggi
richiamati con forte eco dalla
Società operaia che proprio nel
2012 ha compiuto i suoi cent’anni di vita. Le date riportate
nell’articolo sono prettamente
indicative e la redazione si
preoccuperà di convalidare la
loro effettiva veridicità.
* * * * *
D
on Alessandro Scategni nacque a
Taviano il 20 aprile del 1805 da Don
Giuseppe Donato e Donna Cristina
Petruzzi, originaria di Trepuzzi, alcuni tra i
più noti esponenti dell’aristocrazia locale
dell’epoca. La sua famiglia,per ragioni
lavorative, si spostava spesso da Taviano
allo sfarzoso palazzo di Napoli di loro proprietà, città in cui era nato suo padre nel
1785. Purtroppo l’infanzia del piccolo
Alessandro è costellata da un episodio
drammatico che ritornerà spesso nella
sua mente ,perfino in età adulta.
Suo padre infatti muore nel
1820,lasciando il figlio orfano,quando
aveva l’età di quindici anni,proprio nel
periodo adolescenziale,quello più determinante e delicato per la formazione etica
ed umana di un giovane che si appresta ad
entrare in contatto con la vita reale e le
sue implicazioni.
Così, l’educazione del giovane
Alessandro viene interamente affidata al
severo rigore di Donna Cristina,che con
molta minuzia cerca di controllare le
vicende personali del figlio, facendogli
notare quanto sia per lei essenziale il valore dell’ubbidienza e del rispetto della sua
figura genitoriale.
E così gli anni passano, quel “garzoncello scherzoso” (direbbe Giacomo
Leopardi) , compie gli studi superiori e
successivamente quegli universitari nella
città di Napoli che gli era molto familiare
in quanto l’avvertiva come una seconda
dimora,ricordando quando da bambino
giocava e scorrazzava per i lunghi corridoi
ed il grande giardino del suo castello.
Come spesso accade, da un incontro
casuale,da un attimo ,da un sorriso o da
una parola,ci si invaghisce o ci si innamora della bellezza di una persona,non solo
di quella esteriore,ma anche di quella che
porta dentro di sé.
Un giorno di settembre infatti,sulle
movenze di un tramonto infuocato, il virtuoso Alessandro ,immerso nella lettura
di un libro avvincente, urtò una bellissima
fanciulla che portava in mano un mazzo di
fiori di campo appena raccolti da regalare
a sua madre, amante delle piante .
Nell’urto il composito mazzolino
cadde,spargendosi sul selciato e così il
protagonista della nostra storia,dopo
Storia di Turisti Speciali
di Katia Pulice e Daniele Rizzo
Da un po’ di anni ormai il Salento vede approdare tantissimi turisti, attirati dalla genuinità del
nostro territorio. Anche questa volta “Lu Sule, lu
Mare, lu Ientu”, ha attirato le persone in quella
rete di magie che il Salento sa regalare.
Tra i tanti turisti ce ne sono stati due davvero
speciali: Katia e Daniele. Sono una coppia di giovani fidanzati che abitano a Mullheim in Svizzera,
ma lasciamo a Katia il racconto della sua
avventura per realizzare il loro sogno più bello.
Mi chiamo Katia, amo la danza, in particolare
il flamenco, adoro viaggiare e leggere, mio marito si chiama Daniele, ama il calcio, il nuoto e,
come me, ama viaggiare. Ha un compagno inseparabile: il suo labrador nero Cicia. Abitiamo a
Mullheim in Svizzera. Siamo ragazzi semplici,
essersi scusato con la ragazza per quello
che era successo, si chinò insieme a lei per
ricomporre quel magnifico dono della
natura.
Ed è proprio nel compiere quel gesto
,nell ‘ immensità di quegli attimi, che i loro
sguardi si incrociarono e si riflettendosi
nei loro occhi,illuminati dalla forza cristallina di un amore nascente. Così i due
cominciarono a vedersi e a
conoscersi,uniti da un legame d’intesa
sempre più forte.
Sembrerebbe proprio un armonioso
quadretto di una love story, una di quelle
che terminano con la celeberrima formula
del “ e vissero per sempre insieme felici e
contenti” .
E forse sarebbe stato così,se non
fosse stato per l’intervento dell’astuta
donna Cristina che, avendo segretamente
incaricato un monaco napoletano d’informarla su ogni movimento del figlio, si
adirò per la nascita di questo rapporto e
pensò quindi di prendere in mano la situazione personalmente.
Decise di recarsi personalmente a
Napoli per rimproverare drasticamente
Alessandro, e porre fine all’infatuazione
per quella donna che definiva spesso e
volentieri “inetta”,proprio perché non le
andava proprio a genio.
Dopo un lungo viaggio in carrozza ,
tormentata da controverse preoccupazioni,giunse nella splendida capitale della
Campania,pronta ad impartire una delle
sue amare lezioni a quel ragazzo un po’
ribelle e sregolato .
Essendo anche esaustivamente informata dei luoghi maggiormente frequentati dal figlio, si reca in un caffè ,certa di trovarlo lì seduto con la giovane fanciulla ed
altri amici, per passare un rilassante
pomeriggio.
con il sogno di realizzarci, costruirci un futuro ed
essere felici. Lo scorso anno siamo venuti nel
Salento a trovare dei parenti di Daniele e mi sono
subito innamorata di questi luoghi, del mare, dei
sapori, dei profumi e di quel trascorrere con semplicità le giornate. Con la tenacia che mi contraddistingue, ho iniziato a coltivare il sogno di
sposarci nella Marina di Mancaversa.
Ornata di tutto punto e col volto
coperto da un velo scuro, donna Cristina
entrò nel locale, adocchiò subito il posto
in cui era seduto Alessandro, guardandolo
con occhi iracondi.
Si diresse da lui con la velocità di una
lepre fulminea e gli diede due forti e
tonanti ceffoni sulle guance.
Altamente basito ed indignato, la
povera “vittima” guardando il suo
“aggressore”, esclamò infuriato:
Chi è colei che osa schiaffeggiare
Alessandro Scategni? –
E la donna rispose in maniera rapida
ed incisiva,con due sole parole:
Tua madre! –
Così un’aria di incredulità e di stupore
si diffuse in quel luogo ,e la giovane innamorata ,messa in imbarazzo da quella
situazione inaspettata, lasciò il caffè ed
anche le redini della storia che stava
cominciando ad avere con il giovane
Alessandro.
Egli poi, tornato a Taviano,dopo
essersi laureato brillantemente in giurisprudenza, esercitò la professione di giureconsulto sia a Lecce che a Napoli,come
fece a suo tempo lo zio Onofrio.
Nel 1843, il neolaureato convolò a
nozze con Maria Antonietta Caputo, tavianese di 24 anni e sua vicina di casa.
Abitavano entrambi sull’attuale Corso
Vittorio Emanuele II .
Ebbero una numerosa famiglia formata da sei figli, due femmine e quattro
maschi.
La vita di Alessandro si spense l’8
dicembre 1856,quando aveva l’età di 71
anni,circondato dai suoi affetti più cari.
Ma è pur vero che nessuno muore
davvero, fino a quando vive nell’avvolgente tepore di un ricordo.
Con Daniele al mio fianco che condivideva
questo sogno, abbiamo pensato a tutto, senza
trascurare nessun particolare, almeno ci abbiamo provato, curando nei minimi dettagli l’organizzazione della cerimonia. Con largo anticipo,
infatti, abbiamo affittato una casa adatta ad ospitare genitori e parenti. Da sempre innamorata del
mare, ho scelto il simbolo che ci avrebbe accompagnati nel nostro giorno più importante, una
bellissima stella marina e tanta semplicità.
La mattina del fatidico giorno mi ha trovata
emozionata ancor di più; ho indossato il mio abito
bianco è sono uscita, dando il braccio a mio
papà, da una casa che non mi aveva vista crescere, mi circondavano luoghi lontani dal mio
mondo, ma si sa che l’amore non ha confini e,
vicino al mare, che entrambi amiamo, in questi
luoghi ricchi di semplicità e magia, si è avverato
il nostro sogno.
Ci siamo sposati il 5 Agosto nella chiesa della
“Beata Vergine Maria Addolorata” di Taviano ed il
Salento ora fa parte del nostro mondo.
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• N. 14 - Novembre 2014
IL SALENTO VISTO DA …FUORI
Turisti d’eccezione raccontano il loro amore per questa terra
Ti rapisce e te ne innamori
di Simona Eden
P
arlare del Salento per me è semplice. La mia conoscenza con
questa magnifica terra risale a
circa 18 anni fa. Sono approdata per la
prima volta nei pressi di Gallipoli, precisamente a Torre Suda ed è stato
amore a prima vista. Quel mare blu
dalle coste rocciose, quella sinergia di
colori, odori, sapori e suoni per me era
tutto famigliare. Il Salento non è solo
una Terra di Mare ma è sopratutto una
Terra da amare! Si è sempre parlato del
sud come fosse un luogo privo di
bellezze, come se fosse all’ultimo posto
d’Italia, magari fosse circondata l’ Italia
di luoghi così belli ed accoglienti!!! La
cosa che mi ha colpito in particolar
modo è la gente del posto...gente vera,
genuina, ospitale...quelle persone dalla
stretta di mano forte, che ti fanno sorridere e ti trasmettono allegria...Sanno
coinvolgerti e farti sentire a casa. Dopo
poco avverti il morso della Taranta e
non hai più scampo. Ogni volta che ci
torno mi sembra più bella questa terra
che continua a suscitare in me forti
emozioni. Io mi sento figlia del Salento
ormai...E’ la mia terra di adozione dove
ho riposto il cuore, dove lascio amici
importanti e sorrisi mai spenti. Ho tanta
nostalgia del mio Salento...Lo dice una
romana verace: quando sono lì non vorrei più tornare a casa.
Unico neo? Ti rapisce….però non
chiede riscatto. Ti amo Salento!
Simona Eden, romana, lavora in ambito
musicale come cantante pop e blues.
Voce spettacolare! Le sue passioni sono
tutte artistiche: musica e poesia.
Mescolando insieme queste sue due
grandi passioni ha realizzato bei testi
musicali.
Di ricordo in ricordo... nel
respiro del Salento
di Daniela Bagatin
C
he io in Salento abbia lasciato
delle piccole schegge del mio
cuore lo devo subito premettere.
Che io debba tornare per trovarle è una
certezza che nutro.
Le piccole schegge si chiamano
AMICI, tanti splendidi amici che mi
hanno accolto nella loro terra con l’orgoglio di appartenere a questo piccolo
paradiso proteso tra il Mar Adriatico e
lo Jonio, che mi hanno trasmesso il
desiderio di viverlo in tutti i suoi aspetti
e mi hanno contagiato con la loro voglia
di condividere le innumerevoli ricchezze naturali-artistiche-storiche con chi
ha l’umiltà e l’entusiasmo di entrare
con rispetto in una terra spettacolare.
Ricordo come fosse ora il loro abbraccio
di benvenuto nella Piazza di Gallipoli
sotto il nitido e sorridente sole nelle
chiare ore del mattino e ho ancora in
me il sapore del mio primo “approccio”
con il tipico Pasticciotto, assaporato
con una buona crema di caffè fredda in
uno dei tanti accoglienti locali-bar che
si affacciano sul lungomare, tra il vociare sottile e allegro della gente che si
apprestava a vivere una solare giornata
di mare e rilassatezza. Il sapore morbido e dolciastro del dolce tipico leccese,
così come quello più sorprendente
(nelle sue varie farciture) della “Puccia”
hanno dato vivacità al mio risveglio e
alle mie giornate in questa terra, insieme all’odore pungente delle tamerici e
degli ulivi, a quello selvatico dell’origano e del rosmarino. E che dire dell’odore salmastro del pesce fresco al Porto
della Città Vecchia dove, verso sera,
viene offerto ai turisti un delizioso aperitivo a base di pesce, appena pescato?
La trasparenza e la limpidezza delle
acque del mare sono ancora vivide in
me, nella tranquillità delle sue splendide baie e dei suoi sabbiosi lidi, circondati da meravigliose pinete. E che dire
delle innumerevoli escursioni ad esplorare i dintorni? A vedere il primo sole
che sorge nella nostra penisola presso
la poderosa e spettacolare città di
Otranto con la sua fortezza e le sue
antiche mura. Oppure a godere del suggestivo abbraccio del Mar Jonio e del
Mar Adriatico dall’alto del maestoso
faro di Santa Maria di Leuca. E poi
lei...la perla del barocco, la città in cui
ho lasciato il cuore...LECCE.. accogliente
di giorno così come di sera con il suo
anfiteatro, le sue chiese lavorate con il
tufo leccese, le sue strade illuminate...
e pasticcerie, e ristoranti eccelsi per
accontentare anche i palati più raffinati. Da grande appassionata della musica
e della danza ho addosso ancora il
ritmo delle serate trascorse ad assaporare e vivere il ritmo tipico della terra
salentina con le sue danze folkloristiche: la Pizzica e la Taranta. Questo, di
ricordo in ricordo, è ciò che ho respirato in Salento. E ancora molto di più.
Grazie amici, grazie luminosa terra
salentina.
Daniela Bagatin è nata a Chieri (To)
e fin dall’ adolescenza ha sentito l’esigenza di viaggiare per conoscere luoghi
nuovi. Ha studiato Lingue Straniere e
attualmente insegna Inglese e Italiano
nella Scuola Primaria. Adora leggere e
scrivere (ama particolarmente la poesia) e ha una grande passione per la
musica.
Il Salento visto dal...
di Stefano Ciancarelli
… visto dal cuore! E sì, perché per
guardare un paesaggio, un tramonto,
occorrono gli occhi, ma parlando della
terra Salentina, occorre usare il cuore o
meglio è il cuore stesso che prevarica
sul resto. Otranto, Gallipoli, Lecce, S.
Maria di Leuca, Porto Cesareo sono solo
alcune delle numerose località che fin
da subito affascinano il viaggiatore che
percorrendo le loro strade, rimane
attratto dai terreni separati da muretti
a secco, con le pietre che accompagnano il cammino. Di tanto in tanto sono le
masserie che fanno capolino, dignitose
e ricche di storia, la storia delle origini e
delle radici degli abitanti di questo
meraviglioso territorio. Abbracciate alla
calda e rossa terra, racchiudono all’interno dei loro muri il vociare dei tempi
passati, degli incontri, degli amori, della
fatica, e soprattutto della gioia nello
stare insieme! E’ difficile poter descrivere questi luoghi, più facile visitarli,
per poter percepire l’odore di “buono”,
qui non manca nulla, dall’ottima cucina
con i suoi piatti tipici, tra cui la pitta di
patate, pizza bassa con patate, cipolle,
rape e pomodoro, oppure la puccia tipi-
co pane con le olive, il rustico, insomma
l’imbarazzo della scelta tra il salato e il
dolce con il pasticciotto, fino ad essere
rapiti dalla musica della pizzica, questa
danza popolare forte ed energica, che
ritrovi nelle piazze sotto un cielo stellato e l’eco del mare color smeraldo che
fa da cornice a questo splendido quadro. Questo è il Salento, quello che non
si dimentica a fine estate, quello che
porti con te, nei suoi profumi, i suoi
colori, il sorriso riversato alla sua
gente… e la voglia di tornare a farne
parte!
Stefano Ciancarelli è nato a Rieti. Fin
da subito scopre la passione per la
scrittura e soprattutto la poesia. Ha
avuto esperienze teatrali , sia come
attore che come regista in recital musicali, ha partecipato come autore a festival canori e collaborato con articoli su
varie riviste. Attualmente lavora in
campo editoriale. Recentemente ha
pubblicato da poco il suo primo lavoro
letterario dal titolo “Sguardi Diversi”
Ed.Varzi.
Iscritto nel Registro della Stampa del
Tribunale di Lecce n. 942
del 27/10/2006
Direttore Responsabile:
Gabriele Vergallo
Editore:
Associazione Culturale “La Piazza”
Redazione:
c/o Associazione “La Piazza”
Taviano (LE)
[email protected]
Sito: www.la-piazza.webnode.it
Grafica e Stampa:
GRAFEMA Servizi di Augusto Spiri
TAVIANO (LE) - Tel 336 327642
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N. 14 - Novembre 2014 •
Amedeo sapeva di essere ammalato, e si era ormai rassegnato: “sai Antonio, ho avuto
bei giorni, ho conosciuto persone bellissime, ho una bella famiglia. Non mi è mancato
nulla.” Ed io che lo ammiravo sempre di più. Mi lesse questo piccolo racconto umoristico, basato su una sua esperienza vissuta. E se chiudo gli occhi mi rivedo con lui a
sbellicarci entrambi dalle risate. In quel momento la malattia gli concesse un attimo di
tregua. Lo ricordo così il mio amico.
Antonio Pasca
UMORISMO FLASH !!
TEMA: una passeggiata in campagna. Riflessioni.
Approfittando di una bellissima giornata di primavera, il signor maestro ha
condotto tutta la scolaresca nella vicina campagna.
Alberi fioriti, cinguettii degli uccelli, profumo di fiori e di zagare.
Giunti sul posto, abbiamo progettato di fare il gioco del nascondino.
Io mi sono nascosto sotto una folta siepe a pancia in su.
Cip… Cip… un uccellino si è posato su un ramo della siepe, in direzione del
mio viso, mollando in un attimo tutto il suo solido organico.
Cip… cip… allegramente è volato via, lasciandomi in serio imbarazzo.
RIFLESSIONI (come comanda il tema): menomale che non volano le vacche!!!!
Amedeo Nicchiarico
Da questo numero
è partita la rubrica
“GIORNALISTA
PER UN GIORNO”
rivolto a giovani che abbiano
voglia di raccontare passioni,
hobby, esperienze varie
di vita vissuta
e altro...
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contattare la Redazione
del giornale all’indirizzo mail
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oppure al sito internet
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Un’immagine del nuovo sito “La Piazza”
La Redazione de “La Piazza”; da sinistra: Renato De Capua, Carlo Pasca,
Alessia S. Lorenzi, Antonio Pasca, e Gabriella Mercuri.
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