ANNO V - N. 14 Novembre 2014 PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE “LA PIAZZA” EDITORIALE di Antonio Pasca S iamo da sempre in cammino, non soltanto ora che abbiamo riscoperto, non da soli, questo impegno fatto di gratuità ed entusiasmi. Il giornale era fermo da molto tempo e solo l’incontro con nuovi compagni di viaggio ne ha permesso la riedizione. Abbiamo vissuto bei momenti nel passato recente intenti, come eravamo, a riscoprire anche la forza e la bellezza dell’impegno civile e sociale. Abbiamo affrontato anche i temi alti della comunità confrontandoli con le difficoltà del vivere, ponendo al centro della nostra azione l’uomo e i suoi insopprimibili diritti. Nell’aprire il neonato numero di novembre, oltre ad avere la possibilità di fare un giro per la nostra città, posare lo sguardo su un territorio anche più vasto, conoscere le varie iniziative che l’associazione intraprende sul piano della cultura, dell’ambiente, delle tradizioni più sentite e più vere, avrete modo di apprendere che il giornale oltre alla veste “di carta” ha anche una forma più nuova e più confacente ai tempi moderni. Certo, a me piace l’odore della stampa, del foglio appena colorato di parole, ma c’è una stragrande parte di comunità che interagisce meglio con il computer, coi cellulari, che decide di esserci ogni giorno aprendo il mondo che c’è nel palmo della mano. Nasce così il sito internet ufficiale de LA PIAZZA. È il luogo ove il lettore ogni giorno di quando vorrà potrà farci visita, leggere e commentare il giornale, scaricare i vecchi numeri e potrà, questo è l’aspetto nuovo nel quale più crediamo, seguire gli eventi della città, pubblicare poesie o leggere le poesie dei lettori, orientarsi tra la nostre proposte di lettura. Certo, il nostro non è un percorso facile, lo sappiamo un po’ tutti noi che siamo coinvolti in questa nuova avventura de LA PIAZZA. I nostri impegni, i nostri luoghi di lavoro soliti ci reclamano più spesso di prima, la nostra “stanchezza” nei confronti delle “delusioni” si fa sempre più ampia. Ma cosa può attendersi di diverso chi, con quella dose ampia di “umiltà che scava l’anima nel profondo, cerca di occuparsi di uomo, di poesia e di cultura, specie quando questo impegno lo si compie gratuitamente? Delusioni tante, quindi, specie provenienti da un mondo che dovrebbe solo elargire, donare, testimoniare “amore”. Delusioni che si stemperano dinanzi all’avvertimento del “Maestro”: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Eppure, nonostante questi inciam- Copia gratuita [email protected] www.la-piazza.webnode.it IN CAMMINO pi, non avremo paura di vivere, di sussurrare piano le nostre verità aperte al dialogo delle verità altrui, sperimentando nuove strade da percorrere tutti insieme. Siamo stanchi di overdose di informazioni superflue ed orfani di fatti concreti, quasi fossimo intimoriti dalle nostre stesse profondità d’animo. Eppure, dovremmo saperlo che è meraviglioso prestare ascolto alla nostra sensibilità, affidarci alla nostra umanità che non accetta questa stramaledetta logica del “più sei se più hai”. Per dirla tutta, noi non staremo a guardare mentre la realtà d’intorno soffoca la nostra voglia di pensare, di credere che c’è un’alternativa di fronte al ricatto di una società che promette denaro e gloria in cambio di freddezza d’animo, di indifferenza, di rinuncia al pensiero e al nostro senso critico Ma quando tutto sembra ormai orientarsi verso la vacuità, ecco che un “Pensiero” vivo, ecco una “madre”, ecco una “Figlia”, a richiamarci alla verità ed alla essenzialità del nostro vivere. Pensando ad Anastasia, e tramite Lei a tutti i figli di questa terra che ci hanno prematuramente lasciati, osservando meravigliati ogni gesto della mamma di Anastasia che, in nome e nel ricordo della figlia, vuole soccorrere ogni dolore, lenire ogni affanno asciugare ogni lacrima dei tanti, sempre troppi, uomini e donne tribolati dal dolore e dalla sofferenza, il nostro impegno ci appare più leggero e dai contorni definiti. Il risultato è questo giornale, è il nostro impegno, è questa sollecitazione che rivolgiamo ad ognuno dei lettori a condividere le nostre proposte, il nostro cammino, attivando un dialogo fra le persone basato sulla sensibilità e sui valori giusti della vita, raccontando di noi tramite la poesia, i libri, gli eventi e le scoperte che ci apparterranno, tanto da farci condividere emozioni, impegno civile e sociale, esperienze e sentimenti. Ripartiamo, quindi, dalla “condivisione” con la convinzione che è bello ricoprire la parte più buona di noi, riuscire a mostrare il meglio di ciò che ci circonda, chiudere gli occhi per qualche istante e sognare di una realtà come veramente è e non come ci dicono che sia, tanto da percepire l’ebbrezza di questi sorrisi che scorrono dentro ed intorno a noi. C’è tanto da fare, c’è un territorio da conoscere, rispettare e vivere insieme, ci sono Testimoni del nostro tempo coi quali confrontarsi, verità da porre al centro del nostro agire. Ci sono incontri programmati da organiz- zare al meglio ed altri da mettere in cantiere sui temi più vari. C’è un mondo d’affetti da non dimenticare e, anzi, da ricordare ogni giorno, sottraendolo alla polvere del tempo che scorre. “E quando le vecchie parole sono morte, nuove melodie sgorgano dal cuore; dove i vecchi sentieri son perduti, appare un nuovo paese meraviglioso!” (Tagore) Io credo che tutto questo sia possibile. All’interno: • La nuova tela della taranta • Legno magico • Intervista a Don Fernando Vitali • Incanto poetico • Inserto - Affrettai il passo • Le Edicole Votive di Taviano • I nostri giochi, i loro giochi • Cantina in festa • Una particolare avventura • Il Salento visto da fuori In un volo bellissimo... Anastasia Non abbiamo mai avuto sponsor, le pubblicità, per intenderci, nel momento della pubblicazione del giornale o nella realizzazione dei tanti eventi dell’associazione. Ci manca la capacità di chiedere questo tipo di collaborazione. Per cui tutto quello che realizziamo, lo facciamo nello spirito vero del volontariato: la gratuità e l’impegno personale. Questa volta, per quest’unico numero, abbiamo deciso di cambiare, perché vogliamo raccogliere, oltre al nostro contributo, anche la donazione di qualcuno che, insieme a noi, voglia condividere, il progetto di questa madre coraggiosa che è passata con grande forza e certamente con un dolore che sa tenere con nobiltà dentro il proprio animo, dal pianto, dalla rassegnazione, all’impegno silenzioso, potente, infinito. Il nostro contributo, il contributo di chi vorrà, per consentire allo spirito di Anastasia, a quello sguardo benedetto e ancora presente in mezzo a noi, di dispensare sorrisi, condivisioni, gioie. Questa madre oggi rappresenta il meglio delle nostre comunità e le nostre speranze per un futuro migliore. Ad Anastasia e a sua madre Antonella è dedicato questo numero. Antonio Pasca “…in un volo bellissimo in un mare bellissimo e mi sembra bellissimo sopra un mare bellissimo…” (da “Notti senza cuore” di Gianna Nannini) U n volo di farfalla, un soffio di vento leggero o il tocco morbido di una piuma: questa era l’aria che si respirava in casa di Anastasia. Un silenzio dignitoso, un’atmosfera quasi surreale, ma teneramente avvolgente, sicuramente non semplice da spiegare con parole. “Non è così che passa in fretta questa dolce malattia…” Sono passati appena dieci mesi, troppo pochi per consentire al tempo di lenire ed alleviare il dolore. ..troppi senza i suoi sorrisi. Lungo il tragitto eravamo entrambi immersi nel nostro pensare travolti Continua a pag. 2 2 N. 14 - Novembre 2014 • Chiedevo spesso ad Augusta D’Ambrosio di tratteggiarmi, quando ne avesse più voglia, la vita e la personalità di qualche tavianese illustre o di qualche persona che lei ricordava meglio e che avesse fatto qualcosa d’importante per il territorio. Conservo alcuni manoscritti con i quali ella mi ha descritto persone che, tramite lei, e questo giornale, non saranno dimenticate. Antonio Pasca TAVIANESI DA RICORDARE Amleto Scategni, Ingegnere, fratello di Guido, dirigente del dal timore di violare l’intimità di una famiglia che pian piano sta imparando a convivere con il dolore di un’assenza fortemente presente e sta tentando con tutte le forze di riemergere alla vita di tutti i giorni e che non sarà mai più la stessa di prima senza di lei. Una bambina di undici anni strappata alla vita con la violenza di un uragano. Lei, proprio lei così innamorata della vita, così allegra e solare, dolce e altruista. Nel suo cuore una sola passione: la ginnastica ritmica. Arrivati lì, un interminabile attimo di esitazione ha fermato la mano che si apprestava a suonare il campanello. Ci siamo guardati negli occhi, come a darci forza l’un l’altro. Non volevamo in alcun modo far rivivere ad Antonella quei momenti duri, crudeli “…da far tremare il cielo….” Desideravamo soltanto accostarci silenziosamente senza entrare nel cuore di quel dolore. Antonella parla con noi di sua figlia al presente. Le da il buongiorno al mattino e la buonanotte al calar della sera. Non piange perché “Anastasia non vuole vedermi piangere”. - Lei c’è, è qui con me - continua Antonella - non mi abbandona mai. - “…a parlare agli angeli qualcuno sentirà…” E Anastasia sente, sente la sua voce e risponde, in vario modo: un cuore, un farfalla che magicamente svolazza vicino a lei. Ha il sorriso sulle labbra Antonella, ma gli occhi non ce la fanno a sorridere se il cuore piange e i suoi raccontavano la tristezza della sua anima. Ci racconta dei sogni di Anastasia, di quella bambina speciale che, pur avendo appena subito una tracheotomia, vedendo dei bambini ammalati nel reparto oncologico del “Gaslini” di Genova, riusciva a dire: - Mamma, diciamo una preghiera per quei bambini che soffrono. - Anastasia minimizza il suo dolore rendendosi partecipe delle sofferenze altrui. Cosa strana per una ragazzina di quell’età, ma lei era speciale, anzi, è speciale. È riuscita a fare una cosa grandiosa: regalare ad Antonella uno scopo per poter andare a vanti e ricominciare a vivere, proprio quando la vita sembrava non avere più senso. Prima affiancando l’associazione benefica “Cuore e mani aperte” ora con una propria associazione, “Gli amici di Anastasia”, Antonella cerca di realizzare un sogno: acquistare attrezzature ospedaliere, offrire un supporto economico alle famiglie che si trovano a vivere la stessa terribile situazione vissuta da lei, affrontando viaggi pieni di speranza e di sofferenza insieme. Sono nobilissime iniziative, ma Antonella non si ferma qui. Si sta occupando della gestione di un magazzino per le famiglie bisognose in cui vengono distribuiti, gratuitamente, vestiario, scarpe ed altri accessori oltre a materiale scolastico. Non è sola però in questa sua opera benefica, ci sono persone volontarie che, con grande partecipazione, condividono questo bellissimo lavoro di angeli silenziosi per chi ha davvero bisogno di aiuto o semplicemente di una parola di speranza o di un sorriso. “…Gli occhi sopra le nuvole aspettando…” Lei aspetta il cuore tra le nuvole, il cuore che mamma Antonella, ogni cinque del mese, fa volare verso il cielo in un volo bellissimo, perché sa che la sua bambina sorride tra le nuvole magicamente trasformate in un volto sorridente. Antonella, nonostante il dolore per ciò che ha perso non l’abbandoni mai, continua in questo impegno sociale che le dà forza e le dà la certezza che Lei sia orgogliosa della sua mamma, perché in quel volo bellissimo e in quel sogno bellissimo c’è ancora lei: Anastasia. Chiunque volesse sostenere Antonella e l’Associazione “Gli amici di Anastasia”, può effettuare una donazione oppure diventare socio tramite tesseramento al costo di 10 euro annui. Codice IBAN IT35L0200880091000103360136 Alessia S. Lorenzi Renato De Capua Genio civile della provincia di Lecce. Progettò ed eseguì i lavori di bonifica della zona acquitrinosa Gallipoli – Ugento. Creò dei tondi laghetti artificiali, collegati l’uno all’altro con canali sfocianti al mare per il ricambio con acqua marina. Lavoro costoso, per il recupero del quale s’impose una tassa ai possessori di terreni bonificati. Sposò una ricca signora di Ugento, Giuseppina Milone, ed ebbe una figlia che si addottorò in lettere. Per l’insegnamento si trasferì in Toscana e sposò un collega, tal Bartolini. Nel 1942,mentre si recava a scuola, perì sotto i bombardamenti lasciando il marito con figli maschi piccoli. Era tempo di guerra, un tempo micidiale. *** Ofelia Scategni, sorella di Guido, unica donna fra tanti maschi. Sposò Rocco Burlizzi che fu il coordinatore delle ferrovie Sud Est che si allacciavano a quelle nazionali di Brindisi. Amleto e Ofelia risiedevano a Lecce in due villette e spesso quando noi studiavamo a Lecce ci invitavano a pranzo. Villette scomparse, perché, col nuovo piano regolatore, vennero sostituite da palazzine a diversi piani nella zona presso il Politeama. Augusta D’Ambrosio La foto rappresenta due “giovani“ tavianesi che da più di 75 anni vivono insieme. Il matrimonio, come si sa, oltre a far fiorire l’amore negli sposi, porta con sé anche amarezze, dolori unitamente alle gioie solite della vita. Anna e Filomeno non si sono fatti mancare nulla perché il tempo è stato prodigo di giorni con loro. Hanno affrontato il dramma della perdita di un loro figliolo, ma hanno visto crescere gli altri loro figli e hanno visto sempre forte il loro rapporto. È bello oggi offrire a tutti voi lettori questo esempio di nobile esistenza, che noi auguriamo continui con la stessa gioia e con la stessa voglia di futuro. 3 • N. 14 - Novembre 2014 In un tempo non molto lontano... di Carlo Pasca I n un tempo non molto lontano l’attività politica aveva i suoi luoghi, le sue piazze e una maniera di coinvolgere gli elettori totalmente diversa da ora. In quel tempo non molto lontano ogni piccolo Comune italiano aveva le sezioni dei partiti rappresentati in Parlamento, i segretari cittadini e i membri del direttivo che si impegnavano quotidianamente per diffondere le tesi proposte dal partito a livello nazionale e proteggere e sostenere i rappresentanti dei vari consigli comunali. Con questi ultimi, ovviamente, il rapporto era molto stretto e c’era un confronto costante, utile anche a informare i cittadini dell’attività svolta in Consiglio attraverso gli incontri in sezione o con il dialogo per le strade del paese, magari in un bar. In un tempo non molto lontano la politica era appunto confronto, dialogo, anche scontro verbale e talvolta anche fisico. Ma il tutto avveniva tramite contatto diretto tra le persone, tra eletto ed elettore. Quel tempo non molto lontano oggi però sembra distante anni luce. Nell’ultimo ventennio è cambiato tutto e si è passati dal contatto personale e fisico a quello virtuale. Non c’è più l’incontro diretto con gli elettori, c’è invece il forum o il blog sul quale interagire, scambiare opinioni, litigare. E’ la politica 2.0, figlia di internet e dei tanti social network, che a qualcuno piace anche ma che non gode del fascino di quella politica lontana ricca di passione. Tutto ebbe inizio con una mail partita da un pc che raggiunse milioni di elettori americani. Correva l’anno 1992 e il mittente di quella mail era il futuro presidente degli Stati Uniti d’America Bill Clinton. E’a lui e al suo staff che si deve riconoscere la primogenitura di questa nuova forma di comunicazione politica che oggi vanta diverse forme di interazione oltre alla già citata mail. Siti personali, forum dedicati per arrivare ai social network come Twitter e Facebook dove ogni utente ha l’opportunità di scambiare opinioni e porre l’attenzione su un determinato argomento. Questo nuovo modo di “fare” politica prende sempre più piede. Non c’è giorno, infatti, che gli italiani non vengono messi a conoscenza di un tweet di Renzi o di un post di Beppe Grillo sul suo sito. E la stampa nazionale dedica da tempo ormai delle rubriche all’attività informatica dei rappresentanti politici. Ma la politica 2.0 non riguarda solo i vari Renzi, Grillo o Alfano. Quel che accade a livello nazionale è spesso inferiore, per mole di post o tweet, rispetto a quello che si verifica nelle piccole realtà locali. Si sprecano i gruppi e le pagine che trattano argomenti politico-amministrativi, spesso però conditi da accuse gravi e non dimostrabili, offese gratuite perlopiù lanciate da personaggi non identificabili che celano la propria identità dietro un profilo fasullo. Nella modernità c’è sempre qualcosa di poco bello, purtroppo. E se internet ha cambiato il mondo, e lo ha fatto, questo è uno degli aspetti negativi. Non l’unico, ovviamente. Le false identità brulicano e feriscono. E fanno tornar la voglia di quella politica reale, passionale, vera che c’era in un tempo non molto lontano. Andrea De Siena...talento salentino U na delle punte di diamante della scorsa edizione della“Notte della Taranta”, è stata Andrea De Siena, talentuoso ballerino di 20 anni ed originario di San Vito dei Normanni. Ha calcato con passione e destrezza la scena del palco di Melpignano, facendosi guidare dai ritmi incalzanti suonati egregiamente dall’orchestra. Comincia a muovere i suoi primi passi nella danza, quando aveva già l’età di 8 anni, frequentando un laboratorio scolastico extracurriculare. Rimase affascinato da quel ballo che esprime l’essenza vera e misterica del nostro sud e da allora coltiva con dedizione proficua questa sua passione che lo ha portato a raggiungere tra- guardi importanti . Gli abbiamo voluto chiedere che cosa abbia significato per la sua formazione professionale ed umana questa esperienza... Ecco la sua risposta: Foto di G. Alberto Passante di Renato De Capua “ Sicuramente è stata un’ esperienza fondamentale. Lavorare con il coreografo Miguel Angel Berna mi ha dato tanto ,un patrimonio di nozioni che custodirò per la vita. Credo inoltre che questa manifestazione sia importante per poter consentire alla danza popolare salentina di acquisire il posto di merito che le spetta, al pari di altre danze popolari del mondo.” Ringraziando Andrea per il suo contributo ed augurandogli un doveroso “ad maiora” per la sua carriera artistica,invitiamo il lettore a riflettere anche su un patrimonio artistico significativo e degno di nota che il Salento possiede e che deve fa conoscere anche ad un pubblico più vasto e cosciente della grande importanza della realtà salentina. 4 N. 14 - Novembre 2014 • La nuova tela della Taranta 2014 Dopo la fantastica serata nel concertone della Notte della Taranta, l’orchestra vola fino a… Betlemme passando per Amman di Alessia S. Lorenzi C ome ogni anno, anche quest’anno si è ripetuto lo straordinario successo del concerto de “La Notte della Taranta”. Se dovessi descrivere in poche parole il concerto a cui ho assistito, direi “Concerto incredibilmente indescrivibile e sicuramente incancellabile” e ringrazio i miei amici Gabriella e Renato che hanno aderito al mio invito accompagnandomi in questa esperienza. Chi non ci è mai stato, non può nemmeno immaginare l’emozione che si prova a stare lì, avvolti dalla musica che, come un vortice magico, ti avvolge e coinvolge. do “La tabaccara” facendo riflettere sulla difficile situazione a cui erano costrette le donne che lavoravano il tabacco. Infine rallegra tutti col suo mitico brano “Samarcanda”, arrangiato con l’introduzione dei nostri tamburelli. Rinnovato nella prima strofa che viene cantata in griko salentino. Bravissimi anche gli altri fantastici ospiti della serata come Antonella Ruggiero, il grintoso cantautore romano Alessandro Mannarino, il percussionista statunitense Glen Velez, il mandolinista Avi Vital, la vocalist americana Lori Cotler, le splendide voci femminili di questo territorio come Enza Pagliara, Alessia Tondo e Ninfa Giannuzzi. Grande, come sempre Antonio Castrignanò. Suggestivi i fratelli proprio dall'ambasciata italiana in Giordania, in un periodo di grandi tensioni sulla scena mediorientale. Il repertorio della musica salentina è stato affidato alle voci di Antonio Castrignanò, Alessia Tondo e Enza Pagliara che si sono esibiti insieme ad altri musicisti dell’Orchestra. Sul palco del meraviglioso scenario dell’Odeon Theatre anche le ballerine Laura De Ronzo e Laura Boccadamo. E non si ferma lì, perche per il 23 dicembre la “nostra” orchestra vola a Betlemme e a Gerusalemme. La nostra musica salentina diventa sempre più internazionale. ****** Quattro chiacchiere con... di Alessia S. Lorenzi A parole è davvero difficile descrivere le emozioni provate ascoltando quegli artisti straordinari. I musicisti iniziavano a suonare e calava il silenzio tra il pubblico, poi “entrava in scena” il ritmo incalzante dei tamburelli e l’atmosfera cambiava. Era come se all’improvviso il battito del cuore dei presenti scandisse un tempo diverso, il tempo dell’allegria. Un ritmo che toglieva il respiro e trasmetteva una carica e una sfrenata voglia di ballare e sentirsi parte di quella musica. Un’orchestra immensa guidata, per il secondo anno consecutivo, da uno strepitoso Giovanni Sollima. Bravissimo Roberto Vecchioni che inizia la sua esibizione cantan- Mancuso vincitori alla Mostra del cinema di Venezia con una colonna sonora. Alle coreografie di accompagnamento alla nostra musica c'erano i danzatori diretti dal coreografo Angel Miguel Berna. Tra i ballerini, il nostro Andrea De Siena col quale abbiamo scambiato due parole (si veda intervista “Andrea De Siena talento... salentino”). Ma l’orchestra de “La Notte della Taranta” non si ferma sul palco di Melpignano, la tela della Taranta arriva fino ad Amman. Il 15 settembre, anche in Giordania, il ritmo frenetico della "pizzica" salentina ha entusiasmato i presenti. "Ipame antama", in griko "andiamo insieme", è stato il messaggio associato all'evento, voluto Incontriamo due protagonisti eccezionali de “La Notte della Taranta” uno “nostro”, un salentino verace, Antonio Castrignanò, tamburo e voce dell’orchestra de “La Notte della Taranta” e l’altro, un’ospite che viene da fuori, ma innamorato di questa nostra Terra Salentina che è Roberto Vecchioni. Roberto Vecchioni “…In questo disperato sogno tra il silenzio e il tuono difendi questa umanità anche restasse un solo uomo…” L’anno scorso a Otranto ho assistito a un suo concerto e osservavo, ragazzini e persone adulte cantare con lo stesso entu- siasmo le sue canzoni. Come riesce ad abbracciare i gusti di generazioni così lontane? Le leggi del sentimento sono sempre uguali e non variano da persona a persona, e nemmeno in base all’età. Quando si parla di amore, un ragazzo come una persona più avanti con gli anni, si emozionano allo stesso modo, sempre che si tratti di sentimento sincero. Lei ha partecipato al Festival di Sanremo nel 1968 e poi lo ha vinto nel 2011, come ha vissuto questa vittoria? La vittoria a Sanremo è stata una vittoria corale, una gioia da condividere con le persone che mi hanno televotato e che sono state tantissime. E’ stata un’emozione indescrivibile. Vorrei sapere come lei ha unito la conoscenza del mondo classico, l’amore per la letteratura e la passione per la musica? Sono riuscito ad unire la passione per questi tre mondi innamorandomi di ciò che studiavo ed unendo alla storia del passato un forte grido di speranza e di riscatto che non moriranno mai. Non a caso credo di aver vinto Sanremo con “Chiamami ancora amore” che può essere considerata sicuramente la continuazione di “Sogna, ragazzo sogna”, di quell’umanità che auspica una speranza per un mondo migliore, che sposta “i fiumi con il pensiero” e che sa “parlare con il cielo”. In tanti anni di carriera ha realizzato sicuramente tanto, cosa non 5 • N. 14 - Novembre 2014 rifarebbe e cosa invece, che non ha ancora fatto, vorrebbe fare? Sono soddisfatto di quello che ho realizzato e non rinnego nulla di ciò che ho fatto, ma i progetti che devo ancora realizzare sia musicalmente che letterariamente, saranno sicuramente i più belli. Nello scrigno dei suoi ricordi, delle sue emozioni, quali parole tra le sue poesie evocano ancora un grande significato per lei? Preferisco che rimangano custodite nello scrigno “segreto” dei miei ricordi. Che cosa significa per lei salire sul palco della Notte della Taranta e quali emozioni, oltre a questa notte un po’ particolare, le regala il Salento? Sono veramente onorato di aver partecipato a “La Notte della Taranta”, una manifestazione che ho seguito sempre con molto interesse, perché non è solo musica, la canzone popolare esprime la lotta di un popolo, lo straordinario amore per la propria terra. È meraviglioso. Cosa mi regala il Salento? E’ una terra che amo. Adoro la musica, il cibo, le consuetudini, la gente, il suo silenzio. A volte, al di là degli impegni professionali, vengo qui a rifugiarmi come un turista qualunque. Antonio Castrignanò Antonio Castrignanò, musicista, tamburellista, cantante e showman in tutte le serate estive salentine, come fai a riunire così tanta gente? Lo scopo principale è riuscire a trasmettere alla gente quello che provo in prima persona.... se poi il pubblico di fronte apprezza, mi rende felice. Sostanzialmente sono sempre alla ricerca di un linguaggio che mi appartenga e che possa aiutarmi a comunicare in maniera più efficace le mie le emozioni, le mie vibrazioni attraverso la musica. E quando devo scegliere una canzone da incidere o eseguire nei concerti è proprio quello che cerco; qualcosa che arrivi al cuore delle persone facendole partecipare perché emotivamente coinvolte. Ho notato che ai concerti ti diverti tantissimo e si vede, ma la cosa che mi ha colpito molto è la tua grinta, la tua carica…non ti fermi mai. Un’ora e mezzo di concerto, passando da un tamburello all’altro, senza un attimo di tregua. Non riuscirei a fermarmi, anche se lo volessi. C’è chi suggerisce di risparmiare un po’ di energie…. forse ha ragione, ma non so ancora come fare. Arriverà il tempo! Per ora è la musica a comandare. In alcuni concerti in cui ho avuto il piacere di ascoltarti, ti ho sentito sempre ringraziare o nominare Uccio Aloisi. Che ruolo ha avuto nella tua formazione musicale? È stato un perso naggio importante non solo per me ma per la musica salentina in genere. Io ho avuto la fortuna di vivere alcune esperienze insieme lui. Molti anni fa, circa venti, esisteva ancora questo gruppo di vecchietti, “Li Ucci” formato da Uccio Aloisi e da altri anziani cantori e musicisti (Uccio Bandello, Uccio Casarano, ecc) che in varie occasioni portavano in giro le canzoni più belle della nostra musica. Con il mio gruppo Aramirè, che era anche una casa editrice, facevamo delle ricerche accostandoci in maniera molto naturale a queste persone; andavamo in casa loro, in campagna, e ci raccontavano delle storie legate alla loro vita. Una ricerca istintiva, anche senza un metodo scientifico; così vivevamo alcuni aspetti della quotidianità con persone piene di ricchezza umana, di saggezza e di grande capacità comunicativa che mi hanno dato tanto. Alcune di queste persone ho la fortuna di frequentarle ancora. Quindi continui ancora ad assimilare, a “studiare” la storia della musica popolare attraverso un contatto diretto con la gente depositaria e interprete di un’antica tradizione musicale? Certo, non sicuramente in maniera metodica. Non come farebbe un etnomusicologo, insomma. Avendo degli amici anziani, gli dedico del tempo. Nei tuoi concerti, ti ho seguito in diverse serate in giro per il Salento, ho visto che hai fatto un accostamento che potrebbe sembrare “azzardato”ai “puristi” della nostra musica: musica orientale e salentina e, devo dire, che è abbastanza suggestivo il risultato, un’ atmosfera molto coinvolgente che attrae anche chi, come me, non si era mai avvicinata a questo tipo di musica. Quello che volevo: coinvolgere anche persone che si tenevano lontane da questa musica, non per snobismo, ma solo perché non trovavano qualcosa che le emozionasse. Nel mio ultimo progetto discografico Fomenta (ponderosa 2014), si racconta un Salento che vive, cambia e sopravvive attraverso l’incontro con una tradizione musicale importante, quella Turca e mediorientale. La ricerca di un suono attuale credo che sia la strada da percorrere per far arrivare tra i giovani la musica di tradizione e colmare la frattura che c’è con le nuove generazioni. Alimentare il repertorio con testi e nuove storie è un altro passo obbligato. L’importante è conservarle l’identità, l’autenticità e la dignità che merita. Cerco comunque di trovare sempre un linguaggio sonoro che mi faccia stare bene, sorridere, viaggiare con il corpo e la mente e incontrare quell’attimo di emozione forte. Un’ultima domanda: Cosa ha significato per te salire sul palco della Notte della Taranta? Dal punto di vista professionale tanto. Perché significa condividere e scambiarsi competenze che la tradizione orale, nei suoi ambienti di “bottega”, non ti può dare. Lì trovi l’essenza, la forza, il nettare, ma i modi e la professionalità per comunicarla si costruisce anche con l’esperienza sui palchi. Lo spettacolo è altra cosa. In questo, la Notte della Taranta, è un “laboratorio” importantissimo. Mi ha dato la possibilità negli anni di confrontarmi con grandi musicisti della scena mondiale. Niente di più produttivo e stimolante. 6 N. 14 - Novembre 2014 • Legno...magico Un soffio e via la polvere dalle vecchie memorie stata un’esperienza favolosa che ci ha arricchito molto. Un plauso riconoscente va a “mastro” Giovanni che, con la sua arte, è riuscito ad emozionarci facendoci entrare nel suo mondo e a cui auguriamo di continuare ancora a far rivivere la magia e il calore del legno. di Renato De Capua - Gabriella Mercuri E ntriamo e in un attimo dimentichiamo la tecnologia che con la sua velocità si impone nella nostra esistenza impedendoci di cogliere alcune sfumature che sono essenza di vita. Il profumo inconfondibile del legno ci avvolge e ci fa entrare in una dimensione nuova e quasi surreale. Sembra di essere fuori dal tempo eppure le abili mani di alcuni artigiani riescono ancora a sorprenderci creando opere che nessuna macchina riuscirà mai ad eguagliare in bellezza e fascino. Abbiamo incontrato nel suo laboratorio artigiano, Giovanni Mosticchio, un vero e proprio “maestro del legno”, che ha saputo fondere abilità, ingegno e arte, conferendo sempre ai suoi lavori un tocco di pregevole originalità. L’inizio della sua attività ha radici lontane nel tempo. Siamo a Taviano negli anni sessanta, in una bottega di via Matteotti, molto particolare perché condivisa con un parrucchiere ed un falegname, parenti di Giovanni. É proprio qui che Giovanni comincia ad innamorarsi di questo lavoro, muovendo i primi passi da falegname, osservando con molta attenzione il lavoro dello zio e cogliendone tutte le sfaccettature fino a diventare egli stesso un artista molto apprezzato. Come spesso accade, dalla necessità di svolgere un lavoro, può nascere una vera e propria passione che si esprime attraverso la creatività e la voglia di ricercare il nuovo attraverso la bellezza e l’arte. Giovanni è proprio questo: un vero mastro falegname che sottrae dalla polvere le vecchie memorie di ceppi a cui infonde vita e fisionomia. Attraverso le sue mani l’ulivo sembra riprendere vita attraverso creazioni e forme diverse, alcune veramente particolari e inedite. Incredibile la scultura “Testa d’Orso, simboleggiante una fortezza che esiste realmente sulla costa tirrenica in Sardegna; simbolica la “Smorfia, statua che illustra ciò che può incontrare ognuno di noi sul suo cammino. Al suo interno la viva luce di una candela, tra le ombre che si prendono gioco di noi, mette in luce una figura che spaventa ed atterrisce con il suo sguardo. E non manca in questa bottega un accessorio silenzioso che accoglie gli indumenti stanchi delle nostre giornate : “Il servo muto”. Trovarci in questo mondo e conoscere questa realtà che non pensavamo potesse ancora far parte del nostro tempo, cogliere l’emozione che si può sprigionare da un mestiere semplice, svolto però con una dedizione e una passione incredibili, è 7 • N. 14 - Novembre 2014 Intervista a don Fernando Vitali A cura di Renato De Capua e Paride Napolitano Il giorno in cui Don Fernando celebrò la prima messa a Taviano io c’ero. Da quel momento questo giovane profondo nelle sue manifestazioni,aggiungeva alla nostra comunità una ricchezza, che era data dalla sua capacità di farci sentire la parte più intima della nostra fede, come se ogni nostro gesto,ogni nostro pensiero si rivelasse una preghiera. Forse proprio questa sua capacità di interiorizzare, di vivere nel profondo la propria fede, lo ha portato a solitudini naturali, ad incomprensioni solite, per chi non si presta a seguire canoni prestabiliti. Oggi, finalmente, Don Fernando ha raggiunto una sintonia straordinaria con la sua Comunità che, grazie a lui, non è più una comunità occasionale oppure stagionale, ma compie gesti ed iniziative che hanno del meraviglioso. Oggi ha i capelli bianchi, ma sono convinto che dentro di lui finalmente, sta emergendo l’anima del fanciullo che sa, che crede, che contagia con il suo sorriso i tanti fedeli . Lo abbiamo incontrato nella sua parrocchia, intento a programmare incontri con fanciulli, con anziani, con il coro. Lui sempre così schivo. Ne esce una bella intervista grazie alla quale lo conosciamo di più, ma, come era suo intento, conosciamo ancora di più questa comunità di Mancaversa che sa cogliere le profezie del tempo presente. costruire la cappella dedicata alla Madonna di Lourdes che potete ammirare nella parte stante alle spalle della parrocchia. Sono state rinnovate anche le porte d’entrata rivestite dal logo del 2013, l’anno della fede .E’ stato bello riscontrare quanto questi cambiamenti siano stati apprezzati dall’intera comunità e anche da fedeli di paesi diversi. Sono sicuramente accorgimenti importanti che adornano la Casa del Signore, ma bisogna soprattutto ricordare che il fine di un parroco è quello di riuscire a portare le anime dei fedeli al Signore. Che cosa intende lei per “vocazione”? Parto subito col dirvi che il termine “vocazione” non deve essere correlato soltanto a coloro che decidono di intraprendere un cammino di fede devozionale, come i sacerdoti o le suore. Ma dobbiamo anche intendere la vita, l’esistenza stessa dell’uomo come “vocazione”. Per esempio anche i nostri genitori ad un certo punto della loro vita si sono sentiti chiamati a formare una famiglia, di avere dei figli ed inculcare loro saldi valori etici. Se uno non si sentisse chiamato ad adempiere alla realizzazione di un fine più alto, sicuramente vivrebbe una vita sterile e vuota. Quali sono stati i cambiamenti innovativi che ha voluto apportare alla struttura della parrocchia? Da quale esigenza sono nati? Chiarito efficacemente questo concetto, potremmo soffermarci un poco sulla storia della sua vocazione? Innanzitutto ho voluto rendere gli spazi della parrocchia più utilmente funzionali, creando anche un’entrata centrale che assieme a quelle laterali converge verso il centro della chiesa, favorendo anche una maggiore illuminazione. Ho inoltre fatto installare l’impianto delle campane, ho fatto Non è semplice ricostruire il processo che mi ha portato ad accogliere la chiamata da parte del Signore . Ricordo già che quando avevo l’età di dieci anni, vedendo alcuni seminaristi, aspiravo con quell’innocente invidia di un bambino, a diventare uno di loro. Però, devo dire che la mia risposta non fu immediata, poiché non mi sentivo mai pronto a dedicare pienamente la mia vita al Signore, un po’ come fece Sant’Agostino. Pur sentendomi chiamato, avevo paura e quindi rimandai la mia entrata in seminario alla fine della III media. Passarono poi altri cinque anni... presi la licenza superiore e mi iscrissi all’università, decidendo che sarei entrato in seminario dopo essermi laureato. Ma poi entrò il Signore direttamente in azione, rincorrendomi, non dandomi tregua, rendendomi la vita quasi opprimente e difficile. Ad un certo punto mi arresi infatti . Un giorno mi trovavo a Casarano con il mio motorino, entrai per la prima volta nella chiesa matrice, ammirando le sue bellezze. Siccome ero molto teso, mi inginocchiai davanti a Gesù, cominciai a piangere e dopo queste lacrime catartiche mi alzai, pregando e sentendomi sereno, dopo una lunga tempesta interiore. Poi andai dal vescovo che forse per mettermi alla prova mi consigliò di prestare il servizio militare e dopo un anno circa il vescovo mi mandò in un seminario per coloro che hanno ricevuto la vocazione da adulti e nel 1973 sono divenuto un sacerdote. In quali paesi è stato da parroco? Dunque sono stato a Taviano, due anni a Melissano, a Mancaversa, a Racale per ben 13 anni. Cosa deve avere, secondo lei, un buon sacerdote per poter svolgere al meglio la sua missione? Tutte le missioni sono difficili, per cui è necessario prima di tutto credere e poi investire tutto te stesso su quello in cui credi. Non bisogna tirarsi indietro dinanzi ai sacrifici, anche al rischio di perderci la faccia, mettendoti completamente in gioco, davanti agli occhi della gente che spesso forse non comprende il grande travaglio interiore di un sacerdote. Essere un sacerdote significa: soffrire , amare e donarsi, sapendo accettare con molta forza qualsiasi tipo di giudizio, critica o pregiudizio. C’è qualche figura sacerdotale a cui lei è stato particolarmente legato? La figura che ha lasciato in me un segno indelebile è stata quella di Don Gennaro De Lorenzis, parroco della Parocchia dell’Addolorata di Racale. Ricordo che spesso dispensava 1000 lire alle famiglie bisognose, che non potevano permettersi di comprare gli alimenti, andando incontro alle necessità delle persone. Un’altra figura essenziale per la mia formazione sacerdotale è stata sicuramente quella di Don Pompeo Cacciatore e la sua splendida semplicità. Ricordiamo che inoltre fu proprio lui il fondatore della parrocchia di Mancaversa. Com’è il volto attuale della comunità parrocchiale? Questa parrocchia è animata da poche famiglie effettive...essendo in una località balneare nel periodo invernale sono pochi i fedeli che vi si recano. I banchi si riempiono specialmente d’estate, grazie all’affluenza dei tavianesi che si spostano dalla città e ai turisti. Quindi è sicuramente l’accoglienza una delle colonne portanti di questa parrocchia. Un evento sicuramente determinante è stato l’arrivo in questa parrocchia e per la prima volta nel Salento delle reliquie di Santa Rita. è stato un avvenimento importante che ha suscitato l’attenzione di molte persone, sia vicine che lontane. 8 N. 14 - Novembre 2014 • Incanto poetico Commento della poesia n°5 tratta da ” La luna dei Borboni e altre poesie “ di Vittorio Bodini Cade a pezzi a quest'ora sulle terre del Sud un tramonto da bestia macellata. L'aria è piena di sangue, e gli ulivi, e le foglie del tabacco, e ancora non s'accende un lume. Un bisbigliare fitto, di mille voci, s'ode lontano dai vicini cortili: tutto il paese vuole far sapere che vive ancora nell'ombra in cui rientra decapitato un carrettiere dalle cave. Il buio, com'è lungo nel Sud! Tardi s'accendono le luci delle case e dei fanali. Una poesia per riflettere … Eugenio Giustizieri era l’intestazione di una busta che mi arrivava di tanto in tanto a casa con dentro un piccolo libretto manoscritto contenente delle poesie bellissime, stupende. Non ho mai conosciuto quell’ uomo che faceva dono a me ed al giornale di componimenti di intensa intimità e di grande spessore poetico e ho sempre rispettato quella sua evidente voglia di riservatezza. Solo l’anno scorso ho saputo che era un docente di storia dell’arte e che, purtroppo, era venuto a mancare da poco. Mi restano oggi questi libretti che sono il segno di una attenzione che Giustizieri riservava a questo giornale, ritenendolo un modesto interlocutore del suo cammino poetico che oggi apprezzo ancor di più. Pubblichiamo una poesia che, tra le tante, rappresenta in maniera più evidente la nostra voglia e il nostro bisogno di esistere anche quando non ne avremmo nessuna ragione. Antonio Pasca “Tu c’eri…” Le bambine negli orti ad ogni grido aggiungono una foglia alla luna e al basilico. Uno dei ritratti più limpidi e veritieri del nostro Sud, può essere senza dubbio rintracciato in questo magnifico componimento del grande poeta Vittorio Bodini(19141970),che è stato anche uno dei più raffinati interpreti italiani della letteratura spagnola, avendo preso direttamente parte alle numerose e multiformi espressioni delle tendenze letterarie del Novecento. È triste dover constatare come questo importante esponente poetico della letteratura italiana sia poco noto e valorizzato,assieme a molti altri poeti meridionali. Uno degli scopi di questa rubrica sarà proprio quello di mettere in luce la loro importanza, affinchè la loro voce incisiva possa essere ascoltata ed interpretata sia dalle odierne generazioni che da quelle di domani. Il primo soggetto della poesia è “un tramonto da bestia macellata”, che lentamente si sgretola e mette in risalto quell’aria dilaniante e fosca ,”piena di sangue”, quel silenzio sordo e oscuro che si aggira tra “ gli ulivi e le foglie del tabacco”.Nella seconda strofa poi viene raffigurata la suggestiva immagine dell’emersione di “un bisbigliare [...] di mille voci”, da una muta ombra avvolgente, quasi un grido di riscatto inneggiante alla vita,portavoce di “tutto il paese[che] vuole far sapere che vive ancora”, nelle sue movenze quiete ma complesse. Il buio “è lungo nel Sud”,ma non eterno. Le sue genti sono consapevoli che un’aurora tardiva li sorprenderà e rischiarerà i loro animi che hanno impresso il marchio infuocato del sacrificio,della fame e della sete. La poesia si conclude con un’immagine quasi giocosa delle “bambine negli orti”,che già nella loro tenera età sono coscienti di quel significato amaro della vita che solitamente si apprende soltanto nell’età adulta, dove talvolta la si vede,citando la celebre poesia “Meriggiare,pallido e assorto” di Eugenio Montale, come” una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”. Renato De Capua Tu c’eri nelle nebbie vicine, in tutte le distanze prima che il vento svegliasse i verdi paradisi dentro cui io dolce sprofondo. Con te ho imparato l’allegria D’inquietudini e turbamenti, tra gli alberi inabissati ho giocato a girotondo laddove ogni giorno mi perdo. Eugenio Giustizieri In questo angolo del giornale dedicato alla poesia, presentiamo sotto una luce diversa il dottore Gino Stella. Di lui abbiamo sempre saputo che è un medico molto amato e stimato, un professionista serio e sensibile che da più di trent’anni lavora nel reparto di Cardiologia dell’ospedale di Gallipoli. Quello che non sapevamo è che avesse anche una vena poetica. Qui di seguito una delle sue poesie, mentre vi anticipiamo che nel prossimo numero racconteremo del suo impegno umanitario e dei suoi viaggi in Tanzania come medico volontario con l’associazione Arcobaleno su Tanzania. A mio padre di Gino Stella Su quelle mani robuste e su quelle rughe il tempo ha scolpito se stesso. Ma lo sguardo è sì acuto e pensoso sebbene fiacca è la presa, e ad esso ho piegato con rispetto e timore ed ancor oggi immutato, riempie il mio cuore di forza ed orgoglio. Alessia S. Lorenzi 9 • N. 14 - Novembre 2014 Passeggiando “Il mondo è un libro e chi non viaggia ne conosce solo una pagina.” *** È con questo aneddoto di Sant’ Agostino che introduco la seconda parte dell’inserto nato nel precedente numero de “La Piazza”. È senz’ombra di dubbio importante, fondamentale ed illuminante viaggiare per vari e disparati luoghi del mondo, ma certamente è essenziale conoscere per prima cosa le nostre origini, la microstoria dei nostri luoghi, che, anche indirettamente, designa alcuni dell’identità individuale di ciascuno di noi. E così, continua in queste pagine quel viaggio che indietreggia sul fluire del tempo e trasporta le nostre menti in una Taviano di un’epoca lontana, facendoci gustare il sapore di dinamiche profondamente diverse da quelle odierne, scandite da un ritmo meno frenetico e più cadenzato. La prima parte della storia si era conclusa con l’immagine di Immacolata (la protagonista immaginaria) che s’apprestava a tornare a casa dalla sua passeggiata domenicale, essendosi ripromessa di proseguirla un altro giorno. Avendo la necessità di recarsi, per lavoro, in un abitazione molto distante dalla propria, Immacolata ne approfitta per proseguire la sua passeggiata, condividendola con Francesca, la sua migliore amica, che non aveva avuto modo d’incontrare nei giorni precedenti, affaccendata com’era nella cura della casa insieme a sua nonna. Aveva proprio bisogno di prendersi una pausa da tutti quegli impegni domestici che avevano limitato allo stremo il suo tempo libero. I personaggi che verranno illustrati sono tanti e alcuni di loro vi faranno sorridere. Particolarmente di spicco risulta essere la figura dell’eccentrico e creativo fotografo Amedeo Giannuzzi, un uomo “alto, magro, diritto, [che indossava] occhiali tondi da intellettuale[ e] vestiva sempre con giacca nera e pantaloni all’inglese...” così descritto da Pompeo Lupo nel suo libro “Stoppie Ricordi tavianesi”. Non voglio svelare altro ... vi sottrarrei il gusto della lettura della storia, intrecciata brillantemente dalla creativa ed abile scrittura dell’autrice salentina Alessia S. Lorenzi. Rinnoviamo con stima e gratitudine i ringraziamenti all’Avvocato Romano Macrì, sempre pronto ed aperto a contribuire con la sua memoria alla salvaguardia di un patrimonio civile e cittadino che altrimenti sfumerebbe nelle ceneri del non ricordo e del non essere. Concludo porgendo ai lettori un augurio: che questo inserto possa vivificare quel senso di appartenenza e di amore che ognuno dovrebbe custodire in sé per la propria città, per non essere vittime di una realtà d’ignavia e di alienazione. Affrettai il passo e imboccai via... Immaginando luoghi, atmosfere e profumi di un tempo (II episodio) di Alessia S. Lorenzi Era contenta della passeggiata fatta qualche giorno prima e non vedeva l’ora che arrivasse la domenica per continuare il suo giro nei vicoli e nelle piazze del centro. Quando era rientrata quel giorno, la nonna l’aveva un po’ rimproverata, perché era stata in pena per lei: non aveva mai fatto così tardi, soprattutto in giorno festivo. La domenica, che si mangiava un po’ più presto, lei era solita dare una mano in casa anche perché la nonna invitava la zia con la sua famiglia e i figlioletti erano talmente irrequieti che a lei veniva affidato, ahimè, il compito di tenerli a bada con giochi, racconti e filastrocche di ogni tipo. Tutto era consentito purché li tenesse lontano dalla cucina dove le donne si davano da fare per preparare il pranzo. - Cosa c’è di male a farli stare qui? - aveva osato dire una volta. La risposta non era difficile. Affamati com’erano, intingevano di continuo pezzetti di pane nella pentola in cui cuoceva il sugo, lasciando cadere dentro grosse briciole che infastidivano il nonno quando se le ritrovava nel piatto. Quella mattina aveva un appuntamento con una sarta molto amica di sua madre, che aveva promesso alla nonna di farla andare tutti i pomeriggi da lei per imparare il mestiere. Lei non era molto d’accordo, ma non se la sentiva di dire di no, anche perché la nonna si occupava di lei mentre i suoi erano in Svizzera. Uscì poco prima delle dieci e si diresse verso piazza San Martino, dove abitava una sua amica. La sarta Giovanna Barone (Mescia Nina) abitava un po’ distante da lì, ma lei aveva intenzione di gironzolare un po’ per il centro con Francesca prima di andare a quell’appuntamento fissato per le undici e trenta. Non aveva molto entusiasmo né di andare a parlare con quella signora, né di trascorrere tutti i pomeriggi tra stoffe, forbici, aghi e fili. Non si sentiva portata per quel genere di lavoro, ma lo aveva promesso alla nonna e…. ora si sentiva intrap- INSERTO di Renato De Capua INSERTO 10 polata. Accelerò il passo: avrebbe avuto più tempo per passeggiare se fosse arrivata presto. In un cortile una giovane donna, seduta davanti ad un telaio grande cui era agganciata una stoffa bianca, era china sul tessuto intenta a ricamare. Si fermò un attimo ad osservare: la mano destra era talmente veloce a prendere l’ago e a rimetterlo dentro la stoffa, che la fece sorridere. Anche lei aveva imparato a ricamare. Sua nonna le aveva comprato della stoffa di lino che aveva sistemato su un piccolo cerchietto in legno, del cotone in vari colori e le aveva insegnato a ricamare. Ma osservare la velocità di quella signorina e immaginare la sua lentezza nel cercare di infilare l’ago al punto giusto del disegno, la fece sorridere ancora. Arrivata in piazza sentì il suono dell’orologio che rintoccava le dieci. Si fermò a guardarlo e ripensò al racconto di suo nonno sul trasporto della campana nuova e sulle difficoltà che avevano accompagnato il trasporto di un carico così pesante. Il bar di Tottò Peschiulli era aperto e non potè fare a meno di ricordare una domenica di qualche anno prima, quando insieme ai suoi genitori era passata da lì e aveva notato, proprio davanti al bar, una cosa insolita per quel tempo: tavolini e sedie fuori e una grande lampada ad illuminare. Si erano seduti e suo padre, che era un po’ goloso, aveva ordinato un dolce freddo e duro di forma tonda, “pezzu turu” (Un gelato tipo spumone, con canditi e nocciole tritate). Era inserito in un contenitore di metallo che il barista aveva tirato fuori e diviso a metà con un grande coltello un po’ caldo. Un sapore buonissimo che non aveva mai dimenticato. La sua amica le venne incontro uscendo da un cortile di una stradina che portava in piazza. Si salutarono e lei, ancora immer- N. 14 - Novembre 2014 • sa nel ricordo del sapore di quel gelato, propose di entrare nella della signora bottega Mauramati (meglio nota come “Paramati”) a comprare qualcosa di dolce. Nel suo negozio, situato all’angolo nel punto in cui via Colonna confluiva in piazza, si trovava di tutto, dalle caramelle tanto care ai bambini, ai dolci, alle paste per il latte ed altre specialità. Tutto era venduto sfuso, c’erano grandi e piccoli sacchi contenenti, caramelle, confetti, zucchero, biscotti e tanti altri dolciumi. Scelsero delle caramelle colorate e la signora, molto gentile, le mise in un cartoccio, pagarono e prima ancora di essere fuori lo aveva- domande su questo o quel luogo e lui le spiegava, con dovizia di particolari, tutto quanto, soddisfacendo la sua sana e infantile curiosità. Passando vicino alla tabaccheria, ricordò che alla sua domanda di cosa fosse quello stemma sul muro proprio sopra al portone di entrata, il nonno le raccontò che prima lì c’era la farmacia di Luigi Macrì, un chimico farmacista che lui conosceva bene. Raccontò che, ad un certo punto, a causa del diabete che lo aveva colpito, era diventato cieco e aveva dovuto vendere tutto ad un altro proprietario. Ricordò che la fece entrare nella tabaccheria per mostrarle i mobili antichi, scaffali in legno no già aperto e avevano cominciato a mangiarne avidamente. Dalla piazza si diressero verso via Matteotti. Dei ragazzini giocavano vicino al piazzale antistante la chiesa; il loro vociare allegro e spensierato le fece voltare. Sotto l’occhio vigile di don Gennaro, fermo sul portone della chiesa che le salutò con un gesto della mano, i ragazzini correvano dietro a un pallone improvvisato realizzato in fretta e furia per soddisfare la voglia di una partitella. Loro sorrisero, tentate dalla voglia di fermarsi e godere di tutta quella allegria. Continuarono a sgranocchiare le caramelle che avevano acquistato poco prima, mentre Francesca raccontava del suo abito nuovo che la sarta le aveva cucito per il matrimonio di suo fratello. Come ogni volta, quando percorreva le viuzze del centro storico, le venivano in mente i racconti del nonno. Lei, come tutti i bambini, faceva mille scuro, che erano appartenuti al vecchio farmacista. La signora che era dietro al banco, l’aveva presa in braccio e l’aveva portata nel retro del negozio per farle vedere altri oggetti, poi le aveva regalato un quaderno e offerto una caramella. Sorrise, ricordando che appena fuori, indicando il quaderno, aveva domandato al nonno: - E che ci faccio con que- sto?- Lui le aveva spiegato che poteva fare dei disegni, o scrivere qualcosa e promise che lui le avrebbe insegnato a fare i conti. Tutta felice col quaderno sotto il braccio, si era sentita grande e importante: avrebbe imparato a scrivere! - Immacolata! Non dobbiamo entrare qui? Ma a che pensi? Ti parlo e non mi rispondi…- la voce di Francesca l’aveva richiamata alla realtà. Cercò nella borsetta qualcosa. La nonna le aveva dato un elenco delle cose da acquistare e lei le aveva annotate su un foglietto di carta. Entrarono nella macelleria Rainò (Puccia) per prendere degli ossibuchi per il brodo. Il locale era vuoto, chiamarono il proprietario che subito comparve col suo grembiule bianco con macchie di sangue rappreso dovute al suo continuo maneggiare pezzi di carni macellate. Le servì velocemente, avvolse tutto in un cartoccio e lo consegnò a Immacolata che prontamente afferrò. Salutarono e ripresero la passeggiata. Fecero pochi passi e si fermarono nuovamente nella bottega di Cosimo Chetta (Cosi Tara) per acquistare altri generi alimentari indicati nella “lista” della nonna. Nel negozio c’era di tutto: pane, pasta, zucchero, farine, salumi, stoccafisso accatastato in una cassetta, del baccalà in una vaschetta posta in un angolo del piccolo locale. Entrando si sentiva un forte miscuglio di odori provenienti dai diversi contenitori aperti colmi di alimenti di vario genere. Acquistarono il necessario e schizzarono via. - Basta acquisti! - disse. Ora andiamo dalla sarta. Arrivate in Piazza del Popolo, 11 • N. 14 - Novembre 2014 nuovamente in Piazza del Popolo. Si incamminarono dirette verso via Matino ad incontrare la signora Giovanna. Un signore magro dal portamento elegante, con dei tondi occhiali e con un cappello chiaro veniva verso di loro e, vedendole, sorrise. Si avvicinò e le chiese notizie del padre. Domandò se contava di tornare in Italia presto e lei cercò di spiegare che il padre non avvertiva mai del suo arrivo. Le disse che era diventata davvero una bella ragazza e che quando voleva poteva passare dal suo studio per una bella fotografia. Le ricordò il giorno della sua prima comunione e di quanto fosse felice di posare per una foto. Chiacchierarono un po’ e, prima di allontanarsi, le confidò che la sua fotografia del giorno della Prima Comunione era ancora in bella mostra nel suo studio. - Posso venire a vederla? chiese. - Da piccola devo aver fatto più di un pasticcio con le fotografie e mamma dice che molte le ho smarrite e quelle sopravvissute sono piene di scarabocchi. - Con piacere signorina l’accompagnerò nel mio studio! - fu la risposta di don Amedeo. Don Amedeo era un bravissimo fotografo, molto bravo e ricercato. Andare nel suo studio per fare una foto era quasi un lusso. Sapeva fare incredibili fotomontaggi: era un vero artista della fotografia. In quel periodo c’era l’usanza di fare le foto ai funerali, fotografare quel triste momento e tutti coloro che prendevano parte al dolore dei parenti del defunto. Lui, a volte, faceva dei fotomontaggi per aumentare il numero dei partecipanti di qualche unità e dare, quindi, una soddisfazione ai familiari che gioivano della tanta partecipazione della gente. Si racconta che un tale, notando di essere presente nella fotografia in due punti diversi, gli chiese, indicando col dito la fotografia: - Don Amedeo, come mai io mi trovo qui e anche qui?- Vuol dire che ti sei mosso! fu la divertente risposta del fotografo. Era anche un bizzarro inventore. Aveva inventato un apparecchio cattura-mosche, molto Via Toledo (Via Corsica) INSERTO si fermarono a chiacchierare con sua zia che, prima di salutarle, disse di passare da casa: le avrebbe dato dei dolci, appena preparati, da portare a casa. Ho fatto delle pittèddhe e so che a te piacciono molto. - disse rivolta a Immacolata. Lei fece i salti di gioia: era il suo dolce preferito. Erano semplici dolci di pasta di farina e acqua, di forma tonda, con gli orli sollevati e ripiene di marmellata di uva o di cotogne. Acconsentirono e stavano per allontanarsi quando un signore chiamò Immacolata. Si voltarono e vicino al largo Sant’Anna c’era il signor Giannì, fabbro (Mesciu Lindu) che faceva cenno di avvicinarsi. Tornarono indietro ed entrarono nel suo laboratorio. Oggetti in di varie forme e dimensioni erano abilmente lavorati. Pentole, catini in ferro e vari altri accessori tutti decorati a mano con grande maestria. Dopo averle salutate, le disse di avvertire la nonna che i treppiedi per il fuoco erano pronti e che avrebbe potuto mandare qualcuno a ritirarli oppure avrebbe provveduto lui a farglieli recapitare. Gli disse che ne avrebbe parlato appena rientrata, salutarono e in pochi secondi furono INSERTO 12 geniale per l’epoca. Si trattava di un attrezzo assai utile che portò addirittura al riconoscimento del brevetto e un istituto di credito locale ne finanziò la produzione e la sua immissione sul mercato. Ma non inventò solo questo singolare oggetto, tante piccole invenzioni hanno messo in risalto la sua creatività e intelligenza. Entrati nello studio, piccolo ma ordinato, si avvertiva un sottile odore di acido e inchiostro. Vari portafotografie erano appesi al muro o poggiati su mobili e un giovanotto seduto ad un tavolo era intento a sistemare qualcosa. Lui lo chiamò e dopo aver fatto le presentazioni, gli indicò la macchina fotografica. - Pippi, prepara la macchina che facciamo una bella fotografia a queste signorine. Che gioia quella volta che suo padre l’aveva portata lì per fare la fotografia! Ricordava ancora il vestito nuovo che indossava quel giorno. Era in primavera e lei aveva appena ricevuto la Prima Comunione. Il suo abitino era in chiffon bianco con dei fiorellini rosa posti intorno al colletto in pizzo. Il vestito non era proprio nuovo, sua cugina Anna lo aveva indossato prima di lei, ma sua madre era stata bravissima nell’adattarlo alla sua misura e ad aggiungere degli accessorio che lo avevano reso speciale. Lo aveva adornato di fiorellini rosa N. 14 - Novembre 2014 • e lei era rimasta a bocca aperta quando lo aveva visto. - Ti porterò da don Amedeo a fare una bella fotografia! - aveva detto suo padre, osservandola, mentre la mamma le faceva l’ultima prova prima del grande giorno. Lei le era saltata al collo felicissima. Annusò l’aria: lo stesso identico odore che aveva sentito quella volta. Odore di foto appena stampate, di carta, di….arte. Ringraziò don Amedeo della proposta di fare una fotografia scusandosi per non avere il tempo di fermarsi e gli chiese di vedere la foto della sua Prima Comunione. Lui si diresse verso un mobile basso in legno scuro, aprì un cassetto e tirò fuori diverse fotografie; cominciò a esaminarle tutte, poi ne prese una e si avvicinò a loro. Lei la osservò attentamente: era da tanto che non la vedeva e quasi le dispiaceva restituirla. La mostrò alla sua amica e poi la ridiede indietro. Lui comprese e, senza che lei dicesse nulla, le salutò promettendo che il giorno successivo ne avrebbe sviluppata un’altra e gliela avrebbe regalata. Uscirono e, una volta notato l’orario, si diressero spedite alla volta di Via Toledo (Via Corsica) per raggiungere la sarta in Via Matino. La signora Giovanna che tutti conoscevano come Mescia Nina, era una sarta molto professionale e abile nelle tecniche di cucito con particolare attenzione ai dettagli che conferivano all’abito una vestibilità perfetta. In quel periodo di grande crisi e di ricostruzione, quale era quello degli anni cinquanta, erano in molti a ricorrere alla confezione artigianale dei capi di abbigliamento, non potendosi permettere di acquistare nei rari e costosi negozi di abiti. Più una sarta era brava e preparata, maggiore era il numero delle ragazze che chiedevano di essere prese per imparare. E lei era una molto in gamba. Nel suo “laboratorio” aveva diverse ragazze che si recavano lì con la speranza di imparare il mestiere di sarta. E magari essere, un giorno, brave come lei. Arrivate, bussarono alla porta e sentirono subito un vociare allegro. Venne ad aprire una ragazza che le annunciò alla sarta. L’ambiente era pulito ed accogliente e si sentiva odore di tessuti nuovi. Su un tavolo abiti impunturati pronti per essere cuciti, carta da taglio, metri da sarta, macchina da cucire in funzione e tanti tessuti di diversi colori, pronti per essere trasformati in abiti. La signora la accolse con un sorriso e le disse che aveva stentato a riconoscerla perché era molto cresciuta dall’ultima volta che l’aveva vista. Chiacchierarono un po’, le mostrò gli abiti alle quali le ragazze stavano lavorando sottolineando l’importanza della precisione sia nel taglio, sia nella confezione del capo. Prima di salutarsi, le disse che avrebbe potuto cominciare già dalla settimana successiva. Fu un incontro breve, ma sufficiente per farle capire che si sarebbe trovata bene: le ragazze intente a lavorare, avevano il volto sorridente e canticchiavano sottovoce un canzone in coro. Uscì, contenta di aver trovato un ambiente piacevole in cui trascorrere i successivi pomeriggi. Era tardi e si avviarono a passo svelto verso casa. (Continua….) 13 • N. 14 - Novembre 2014 TAVIANO - Le edicole votive datate di via Corsica di Antonio Piccinno Era da tempo che il caro amico Antonio Piccinno mi aveva consegnato il contributo che tra poco leggerete. Antonio rappresenta l’anima più nobile di una cultura cittadina che ha valorizzato e difeso i temi sempre attuali del territorio, della storia locale, dell’ambiente, dell’ecologia. Restano memorabili le sue battaglie contro la grossa e grassa deturpazione della città e dei simboli più importanti del nostro patrimonio storico e religioso. Battaglie sempre in solitario quelle di Antonio, perché non è facile guerreggiare, dir la verità in faccia ai poteri forti. Lui lo ha fatto sempre, lo ha fatto anche a costo di malevole e pretestuose critiche, lo ha fatto anche per noi che ci apprestiamo a leggerlo, perché, se Taviano oggi ha una nobile convinzione ambientale, lo deve innanzitutto ad Antonio Piccinno, ed io che, allora giovane, mi occupavo della neonata “Italia Nostra”, associazione pioneristica nel Salento grazie all’intuito e allo sforzo del “nostro”, posso dire di essermi abbeverato alla sua passione, e forse, se Antonio me lo consente, posso dire oggi di seguirla non più da solo. Ma Antonio ancora continua insieme a noi questo impegno. Antonio Pasca U na delle espressioni più note della religiosità popolare meridionale è costituita dalle edicole devozionali (“Le Cuneddhe”, così volgarmente chiamate dagli anziani di Taviano). Queste nascono da una esigenza di devozione religiosa personale del committente proprietario verso un santo piuttosto che da un evento drammatico che implica la richiesta e il soddisfacimento di un voto per grazia ricevuta. Le edicole devozionali più antiche che si trovano sulla strada sono ubicate a Taviano su via Corsica, che in antico si chiamava via Toledo, raffigurano la “ Madonna Immacolata, San Leonardo e un’altra “Madonna Immacolata, molto vicina all’incrocio di Via San Martino. Le edicole devozionali su citate sono le uniche a essere datate che si trovano, nel centro storico di Taviano, solo su via Corsica. Le tre “cuneddhe” sotto lo stile tipologico, formale, architettonico sono semplici di stile mistilineo formate da archi di circonferenza interrotta da una piccola risega che fuoriesce delimitando con segmenti di retta la base dell’affresco. Le edicole devozionali sono dipinte a tempera e ricavate sul muro esterno di due abitazioni private alla profondità di 5 cm circa . Le tre opere, che sono state dipinte da maestranze locali, che tutt’oggi si possono ammirare, deteriorate un po’ dal tempo e dagli agenti atmosferici. La prima “Cuneddha” della “Madonna Immacolata” è ricavata sul prospetto del fabbricato , sito su Via Corsica, degli eredi di D’Amilo Martino, tutt’oggi abbandonato ed è rivolta a Nord non lontano dall’incrocio di via San Martino, n.c. 72. La Madonna poggia gli arti inferiori (piedi) su di una mezzaluna, alla base si legge la seguente data: A.D. 1871. La seconda “Cuneddha”, che rappresenta una seconda “Madonna Immacolata “, caratterizza insieme ad un’altra, di medie dimensioni, il prospetto del palazzo del defunto dott. Mario Miggiano, n.c. 125; essa è situata sul lato sinistro del prospetto che guarda via Nizza a sud e collocata sul prolungamento di via Corsica; anche questa Edicola è stata dipinta da maestranze locali e presentava molto chiari i danni del tempo e delle intemperie. Aveva il volto, la corona e parte del fondo superiore ricoperto da sali, mentre le pieghe dell’abito erano mancanti e consumate. All’interno dell’arco, sulla volta, è dipinta la data dell’Edicola risalente al 1830. La terza “ Cuneddha “: facente parte dello stesso proprietario Miggiano, insistente a destra del palazzo, il dipinto pittorico a tempera rappresenta “ San Leonardo “, protettore dei carcerati e dei malviventi , si presentava abbastanza visibile solo che alcuni tratti delle linee, che lo racchiudevano, erano anch’esse in parte mancanti e sbiadite dal tempo. Anche questa edicola presenta le stesse caratteristiche costruttive e archi- tettoniche della precedente. All’interno dell’arco, sulla volta, è dipinta la seguente scritta : “San Leonardo 1830”. Queste tre “Edicole devozionali“ probabilmente hanno subito dei restauri nei primi del secolo. In origine ,infatti , la prima “ Madonna Immacolata” – Abitazione D’Amilo – era monocromatica, dipinta con una semplice linea di pennello di colore marrone rossiccio, il quale è stato ricoperto prima da una tempera celeste poi, con un secondo intervento, il manto è stato colorato di azzurro nascondendo le linee originali. per i dipinti appartenenti alla famiglia Miggiano, gli interventi di restauro erano visibili solo su “San Leonardo“ dove vi erano state aggiunte, nella parte alta, delle nuvole di colore celeste. L’ultimo intervento di restauro risale al mese di ottobre 1990 eseguito dalla restauratrice Michela Verdesca di Lecce, dietro l’autorizzazione della Soprintendenza di Bari, su interessamento dell’Associazione di “ Italia Nostra – Salento Sud “ di Taviano, con la collaborazione economica di alcuni sponsor locali compreso il sottoscritto. Le “Edicole“ appartengono alla categoria delle opere senza tempo perché la loro origine è presente nelle più autentiche civiltà in quanto testimonianze della semplicità religiosa della fede dell’uomo e del suo desiderio di rapportarsi direttamente con la divinità. La penisola salentina, è ricca di Edicole devozionali, che sono presenti in tutto il suo territorio, in quanto è stata luogo di incontro di popoli di provenienza diversa e ha costituito un ponte naturale per diverse civiltà, che qui hanno lasciato segni evidenti del loro passaggio attraverso le testimonianze dei loro culti. 14 N. 14 - Novembre 2014 • I nostri giochi... I loro giochi di Gabriella Mercuri Ancora la strada, nostra alleata di giochi e spensieratezza, ospita le nostre fantasie e la voglia di sfida che accomuna la nostra gioventù. - Dai ragazzi! - disse Paolo - cambiamo gioco, giochiamo a “ Strega Comanda Colore” !! -Un sì accorato da tutto il gruppo approvò la scelta. Paolo inizia la spiegazione del gioco elenca le regole ed insieme si decide chi sarà la strega o lo stregone. Si delimitano gli ampi spazi, quasi tutta la strada, si fa la conta dei concorrenti che non ha un numero limite. Il gioco avrà inizio non appena la strega, o lo stregone designato, indicherà al resto dei partecipanti, recitando la formula “Strega Comanda Colore”, il colore prescelto e, appena svelato, ogni ragazzo dovrà correre alla ricerca del colore che può essere rappresentato da qualsiasi oggetto o indumento (non valgono vestiti propri). Chi non riesce a trovare oggetti del colore corrispondente, viene preso dalla strega che lo accompagnerà nella sua prigione. L’ultimo ragazzo che rimane in gara vince aggiu- dicandosi l’applauso e l’ammirazione dei compagni. Concentrazione e prontezza d’intuito e si dà il via al gioco… Risuona ancora la voce di Paolo : “allora pronti ragazzi , si comincia il gioco….” Strega Comanda Colore …. INDACO come il cielo..” Stupore tra molti, proteste tra alcuni : - Non vale! Che colore è questo indaco?Oppure …- Come faccio ad arrivare fino al cielo? Si scatena la corsa, confusione e risate tra ragazzi intenti a trovare il colore indicato , spintoni e prese in giro e la strada prende vita, colore , allegria . Si andava avanti per ore , si era in tanti nel gruppo e gioco, al suo tempo libero? Hanno inventato un gioco, appare nella pubblicità in tv, promette “movimento” “allegria”: La Wii. Un “Controller”, dei telecomandi tra le mani, dei led ad infrarossi tanti i colori che la natura ci offre. E oggi , il Paolo di oggi come si muove tra le ore del giorno dedicate al per percepire l’inclinazione e la rotazione, tasti e freccette per dare imput ai comandi e tanti altri accessori… parola d’ordine: giocare! Paolo gioca così oggi e tanti altri ragazzi come lui; intenti a mimare azioni e “sentirle” attraverso vibrazioni . Si gioca a tennis, si può pescare, ballare, dirigere un’orchestra, giocare a calcio fianco a fianco con il giocatore del cuore ed una miriade di giochi in un mondo virtuale che ci possa far compagnia e dare emozioni. I tempi sono proprio cambiati! Ognuno di noi, a secondo dell’età, li vive come vuole ma una cosa è certa, nessun telecomando può farci sentire il profumo dell’aria aperta, nessun video può farci vedere il vero colore del cielo, nessun tasto può azionare le risate del cuore e nessun led può farci sentire il calore della vera amicizia. Al prossimo gioco..... 15 • N. 14 - Novembre 2014 Giornalista per un giorno Inizia in questo numero la rubrica “Giornalista per un giorno” rivolta ai giovani che abbiano voglia di raccontare passioni, hobby, esperienze di vita. In questo numero, “giornalista” è Luca Serio. Cellulari, vantaggi e effetti…collaterali C di Luca Serio ome tutti sappiamo il telefono cellulare è un dispositivo elettronico utile per restare in contatto con chiunque chiamando o inviando un semplice SMS. Queste sono le funzioni generali che ci offre il telefono. Ormai da alcuni anni esistono gli smartphone. Essi ormai sono i compagni fedeli di adolescenti e adulti. Grazie alle molteplici applicazioni è possibile ricevere news, raggiungere posti con facilità grazie alle mappe, ricevere aggiornamenti sui propri contatti sui social network, ascoltare musica e moltissime altre funzioni. Miliardi di persone, infatti, ogni giorno comunicano a grande distanza utilizzandolo anche per scambiarsi email, “twittare” o anche semplicemente aggiornare il profilo di Facebook. Sembra tutto bello, tutto nuovo, tutto fantasticamente magico. E ti viene spontaneo domandarti: ma come facevano i ragazzi di una volta senza questi “gioielli” della tecnologia? Già, come vivevano? Forse vivevano nel significato più completo del termine. E, sicuramente, non subivano gli “effetti collaterali” di queste piccoli oggetti magici. Ma quali sono gli effetti nei rapporti sociali? Tanti, tantissimi, purtroppo. E non mi riferisco al fatto che molti incidenti stradali siano causati da conducenti che utilizzano il cellulare in auto senza il vivavoce, né al fatto che, essendo fortemente radioattivo, causa un incremento del rischio di tumori. Mi riferisco all’impoverimento e al deterioramento dei rapporti tra i ragazzi. Il primo è sicuramente la dipendenza che esso causa. Sembra che non averlo generi un’insicurezza insuperabile. Spegnere il cellulare sembra quasi come diventare trasparenti, invisibili e incapaci di entrare in altro modo in relazione con gli altri. Il rischio che si corre, ma più che un rischio credo sia ormai una certezza, è che il cellulare, piuttosto che diventare uno strumento di sostegno per affrontare le difficoltà di un confronto diretto con gli altri, diventi uno strumento per gestire normalmente le relazioni. Può accadere, allora, che la “comunicazione telefonica” sostituisca la “comunicazione reale”, che lo strumento tecnico prenda il sopravvento e finisca per sostituirsi alla realtà. Può capitare di vedere ragazzi in pizzeria seduti attorno a un tavolo in attesa dell’arrivo del cameriere che, anziché chiacchierare, scambiarsi opinioni, raccontarsi qualcosa della giornata, interagire insomma, li si veda nel più assoluto silenzio e concentrati, ognuno col proprio smartphone, ad inviare sms a chissà chi, che si trova in chissà quale città. O famiglie riunite attorno al tavolo e “presenti” solo….fisicamente. O, ancora, ragazzi per strada con lo sguardo basso sul proprio cellulare intenti a navigare nel web e non si accorgono di chi gli arriva di fronte. Comunicano con persone a distanza e non parlano con chi gli cammina affianco. Sembra un paradosso, ma è la realtà. Allora viene spontaneo chiedersi: Ma è positivo tutto questo? Che cosa stanno perdendo i ragazzi di oggi? La gioiosa risata al telefono tra amici è sostituita da una faccina sorridente su whatsapp: ma non è la stessa cosa! Le chiacchierate al telefono tra due innamorati sono sostituite da interminabili ore a chattare su un display e a scambiarsi faccine ed emoticons di ogni genere. Fa un po’ tristezza tutto questo! La speranza è che ognuno di noi possa riflettere e decida di utilizzare la tecnologia che, è inutile negarlo, aiuta tantissimo, ricordando sempre che due parole, un sorriso o una pacca sulla spalla, hanno un effetto diverso di una faccina sul display. Luca Serio è nato a Poggiardo e vive ad Alliste, in provincia di Lecce, con la sua famiglia. Frequenta il terzo anno dell’Istituto Tecnico Industriale di Casarano, ma il suo sogno è quello di entrare nell’accademia aeronautica. Ama ascoltare musica, in particolare Old School Rap, Hip-Hop. Il suo sport preferito è il calcio e ha la passione per gli aerei militari e civili. 16 N. 14 - Novembre 2014 • Matrimoni omosessuali: perché in Italia no di Maurizio Nicchiarico Il tema dei matrimoni tra persone dello stesso sesso sta impegnando la nostra società, con distinguo, nuove aperture e sensibilità, con atteggiamento idi chiusura tristemente vecchie, che ci riportano indietro nel tempo, quando, dinanzi alle diversità, c’era solo freddezza ed insensibilità , se non proprio il dileggio . Abbiamo chiesto a Maurizio di sintetizzare i diritti che sono all’attenzione del legislatore e delle comunità civili e religiose. Ne viene un approfondimento che ritengo possa aiutarci a comprendere meglio il tema. Antonio Pasca V icenda che ha fatto molto discutere l’ opinione pubblica è stata quella di Bruno Boileau (30 anni) e Vincent Autin (40 anni): due ragazzi francesi che, dopo tanto tempo e tanta attesa per una legge soggetta ad un iter molto lungo, hanno coronato il sogno di sposarsi civilmente, al Municipio di Montpellier, di fronte a familiari ed amici evidentemente commossi per l’ avvenimento. Bruno e Vincent hanno potuto fare ciò grazie alla Legge Taubira (dal nome del Ministro della Giustizia francese), promossa dal Presidente della Repubblica francese Hollande e approvata dall’ Assemblea Nazionale, il 23 aprile 2012, con 331 voti favorevoli e 225 contrari. La Legge Taubira è stata definita la più grande riforma della società in Francia, dopo l’ abolizione della pena di morte del 1981, ma a questo punto una domanda sorge spontanea: dato che la Francia è stato il quattordicesimo Paese al mondo ad aver approvato le nozze gay, quando (e se) arriverà il momento della nostra Italia? Quali sono, nel nostro Paese, gli ostacoli giuridici che impediscono a persone come Bruno e Vincent di potersi sposare? Facendo una premessa, bisogna sottolineare che la Convenzione Europea sui Diritti dell’ Uomo, la Carta di Nizza e le diverse risoluzioni del Parlamento Europeo hanno sancito, per molti anni, la necessità di evitare discriminazioni, sulla base dell’ orientamento sessuale, nel diritto ad avere una famiglia. Nonostante ciò, tali Carte rimettono alla discrezione dei singoli stati membri dell’ Unione Europea il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. D’ altro canto risulta essere emblematica la sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 15/04/2010 (con le due ordinanze seguenti), alla quale si rimetteva la questione di legittimità costituzionale concernente l’ esclusione delle coppie omosessuali dall’ accesso all’ istituto matrimoniale, così come disciplinato dall’ ordinamento italiano. In ciascuna occasione, l’ incidente di costituzionalità era ori- ginato dal diniego di pubblicazioni matrimoniali opposto da ufficiali dello stato civile a coppie di cittadini del medesimo sesso; diniego motivato in ragione dell’ indefettibilità del requisito della necessaria diversità di sesso tra i coniugi, che connoterebbe il matrimonio disciplinato dal Titolo VI del Codice Civile. La risposta della Corte Costituzionale sarà molto chiara: premettendo che il matrimonio civile, così come configurato nell’ ordinamento vigente, riguarda unicamente l’ unione stabile tra uomo e donna, quale paradigma di una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio (il riferimento alla consuetudine è più che evidente), lo scrutinio su cui la Corte si incentra riguarda la presunta violazione dei suddetti articoli della Costituzione. Una volta specificato il parere della Corte Costituzionale, evidentemente contrario ai matrimoni omosessuali, ma incline ad una regolamentazione della coppia gay, intesa come formazione sociale ex art. 2 della Costituzione, un ultimo riferimento occorre farlo al parere della Chiesa sulla suddetta unione, il quale, per quanto non vincolante delle decisioni istituzionali italiane, ha un peso non irrilevante all’ interno dell’ opinione pubblica. In particolare, dopo il matrimonio tra Bruno e Vincent, Benedetto XVI (il quale, già il 21 dicembre 2012, al suo discorso alla Curia Romana, definiva il matrimonio gay come un attentato alla famiglia) ha scritto come, ad essere in gioco, non solo la famiglia, ma ciò che in realtà significa essere uomini, dal momento che la profonda erroneità di questa rivoluzione antropologica porta l’ uomo a pensare di poter creare da sé la propria natura. In conclusione, possiamo ammettere che, evidentemente, la decisione della Corte Costituzionale si basa su una supposizione, riguardante un presunto riferimento dei costituenti ai soli matrimoni eterosessuali, al momento della scrittura della Costituzione, della quale non avremo mai la certezza. A prescindere da quanto ritiene la Chiesa, un’ opinione accorda tutti i giuristi, i legislatori italiani e la Corte Costituzionale stessa: la nostra Costituzione ha una grave lacuna riguardante non una disciplina del matrimonio omosessuale (questione tuttora discussa), ma una disciplina generale che regoli e tuteli la coppia omosessuale. La nostra unica speranza, da persone con profondo senso civico, è che tale materia possa essere regolata in modo corretto e non sacrificando taluni diritti fondamentali dell’ uomo e del cittadino; da uomini e donne, solidali e tolleranti, infine, dobbiamo sperare che tutte le coppie omosessuali, in un immediato futuro, possano trovare, anche nel nostro Stato, la stessa felicità che Bruno e Vincent hanno trovato nel loro. 17 • N. 14 - Novembre 2014 CANTINA IN FESTA di Laura Rizzo In occasione del 53° anniversario dalla fondazione della Cooperativa Produttori Agricoli di San Pancrazio Salentino, la nostra amica Laura ci fa una cronaca dei festeggiamenti e ci racconta i tanti anni di storia e di successi di questa cantina, orgoglio e vanto del suo paese. Buon compleanno e mille di questi giorni! Chiunque venga in San Pancrazio Sal.no in questo periodo, non può fare a meno di respirare una “frizzante” aria di festa. Infatti, proprio in questi giorni, la” Cooperativa Produttori Agricoli” ha festeggiato i suoi primi 53 anni della fondazione. La Cantina infatti, è sorta nel 1961 su iniziativa di 14 operatori agricoli della zona, inizialmente con sede a Trepuzzi (LE) e attualmente alla via del mare in San Pancrazio Sal.no, provincia di Brindisi. La prima struttura utilizzata per la lavorazione delle uve, fu quella di un antico stabilimento vinicolo, il cui titolare era il Cavaliere Antonio Bianco, imprenditore vinicolo a livello nazionale e proprietario di vastissime estensioni di vigneti e al quale è stata dedicata una delle sale principali della cantina. Dopo circa 10 anni, l’attività di lavorazione e trasformazione delle uve, fu trasferita nell’attuale sede di San Pancrazio Sal.no. La cooperativa, conta circa 900 soci conferenti i cui vigneti si estendono per 1000 ettari complessivi tra le province di Brindisi e Lecce. I vini prodotti derivano prevalentemente da uve di varietà negramaro e malvasia nera, ma anche di primitivo, malvasia bianca, lambrusco, cabernet sauvignon, montepulciano e chardonnay. Uno dei punti forza della cooperativa è senza dubbio la capacità di coniugare tradizione ed innovazione nel processo di vinificazione, ed è così riuscita ad ottenere vini di eccellente qualità e che riscuotono ottimi successi a livello nazionale. E’ proprio l’adeguamento degli impianti della cooperativa alle innovazioni tecnologiche e l’accurata selezione delle uve, che concorrono ad ottenere vini eccellenti, nel rispetto delle vecchie tradizioni. D’altronde, è risaputo che la viticultura salentina ha una tradizione millenaria, e ciò trova conferma nei numerosissimi rinvenimenti archeologici sia su terra ferma che nel mare di Porto Cesareo di anfore per il trasporto del vino che risalgono addirittura all’epoca romana. E allora, non lasciamoci sfuggire l’occasione per degustare un buon bicchiere di vino e alzando i calici, brindiamo alla salute di questa cantina, affinché possa continuare ad avere vita lunga, piena di successi e soddisfazioni come è avvenuto finora. Numerosi premi infatti sono stati riconosciuti alle diverse tipologie di vini prodotti nella nostra cantina e nello specifico hanno vinto la medaglia d ’oro al 53° concorso nazionale dei vini doc-igt a Pramaggiore (Venezia) il “Rivo di Liandro” riserva del 2009, “Campo Appio” primitivo del 2013, “Campo Appio” negramaro 2012 e il “Rivo di Liandro” rosso 2012. Il rosso “Campo Appio” primitivo 2013 ha inoltre ricevuto il riconoscimento” Gran Menzione” al Concorso Internazionale Vinitaly 2014; mentre il rosso “Campo Appio” negramaro, il rosso “Rivo di Liandro” e il rosato “Rosalbore” hanno vinto medaglia d’oro e d’argento al Concorso Internazionale la “Selezione del Sindaco” 2014. Un grazie di cuore, quindi, al presidente Avv. Tommaso Conte, al suo vice Oronzo Pati, agli amministratori tutti, al dottor Salvatore Ripa nostro stimatissimo sindaco, e agli enologi che con il loro costante impegno, fanno della cantina di San Pancrazio motivo di vanto e di orgoglio per il nostro Paese. Auguri cantina e al prossimo traguardo! 18 N. 14 - Novembre 2014 • Una particolare avventura d’amore di Pasquale Scategni - Renato De Capua La storia che stiamo per raccontare, risulterà essere ai vostri occhi una preziosa trama d’altri tempi, con usi e costumi ormai lontani dalla nostra concezione di vita,ma che ancora oggi fa riflettere. Questo racconto è frutto della feconda memoria del nostro concittadino Pasquale Scategni, nipote di quel Guido Scategni che ha tanto contribuito a dare piena fisionomia all’anima di questa città ,sottolineando quanto siano importanti i valori della solidarietà e del mutuo soccorso che vengono ancora oggi richiamati con forte eco dalla Società operaia che proprio nel 2012 ha compiuto i suoi cent’anni di vita. Le date riportate nell’articolo sono prettamente indicative e la redazione si preoccuperà di convalidare la loro effettiva veridicità. * * * * * D on Alessandro Scategni nacque a Taviano il 20 aprile del 1805 da Don Giuseppe Donato e Donna Cristina Petruzzi, originaria di Trepuzzi, alcuni tra i più noti esponenti dell’aristocrazia locale dell’epoca. La sua famiglia,per ragioni lavorative, si spostava spesso da Taviano allo sfarzoso palazzo di Napoli di loro proprietà, città in cui era nato suo padre nel 1785. Purtroppo l’infanzia del piccolo Alessandro è costellata da un episodio drammatico che ritornerà spesso nella sua mente ,perfino in età adulta. Suo padre infatti muore nel 1820,lasciando il figlio orfano,quando aveva l’età di quindici anni,proprio nel periodo adolescenziale,quello più determinante e delicato per la formazione etica ed umana di un giovane che si appresta ad entrare in contatto con la vita reale e le sue implicazioni. Così, l’educazione del giovane Alessandro viene interamente affidata al severo rigore di Donna Cristina,che con molta minuzia cerca di controllare le vicende personali del figlio, facendogli notare quanto sia per lei essenziale il valore dell’ubbidienza e del rispetto della sua figura genitoriale. E così gli anni passano, quel “garzoncello scherzoso” (direbbe Giacomo Leopardi) , compie gli studi superiori e successivamente quegli universitari nella città di Napoli che gli era molto familiare in quanto l’avvertiva come una seconda dimora,ricordando quando da bambino giocava e scorrazzava per i lunghi corridoi ed il grande giardino del suo castello. Come spesso accade, da un incontro casuale,da un attimo ,da un sorriso o da una parola,ci si invaghisce o ci si innamora della bellezza di una persona,non solo di quella esteriore,ma anche di quella che porta dentro di sé. Un giorno di settembre infatti,sulle movenze di un tramonto infuocato, il virtuoso Alessandro ,immerso nella lettura di un libro avvincente, urtò una bellissima fanciulla che portava in mano un mazzo di fiori di campo appena raccolti da regalare a sua madre, amante delle piante . Nell’urto il composito mazzolino cadde,spargendosi sul selciato e così il protagonista della nostra storia,dopo Storia di Turisti Speciali di Katia Pulice e Daniele Rizzo Da un po’ di anni ormai il Salento vede approdare tantissimi turisti, attirati dalla genuinità del nostro territorio. Anche questa volta “Lu Sule, lu Mare, lu Ientu”, ha attirato le persone in quella rete di magie che il Salento sa regalare. Tra i tanti turisti ce ne sono stati due davvero speciali: Katia e Daniele. Sono una coppia di giovani fidanzati che abitano a Mullheim in Svizzera, ma lasciamo a Katia il racconto della sua avventura per realizzare il loro sogno più bello. Mi chiamo Katia, amo la danza, in particolare il flamenco, adoro viaggiare e leggere, mio marito si chiama Daniele, ama il calcio, il nuoto e, come me, ama viaggiare. Ha un compagno inseparabile: il suo labrador nero Cicia. Abitiamo a Mullheim in Svizzera. Siamo ragazzi semplici, essersi scusato con la ragazza per quello che era successo, si chinò insieme a lei per ricomporre quel magnifico dono della natura. Ed è proprio nel compiere quel gesto ,nell ‘ immensità di quegli attimi, che i loro sguardi si incrociarono e si riflettendosi nei loro occhi,illuminati dalla forza cristallina di un amore nascente. Così i due cominciarono a vedersi e a conoscersi,uniti da un legame d’intesa sempre più forte. Sembrerebbe proprio un armonioso quadretto di una love story, una di quelle che terminano con la celeberrima formula del “ e vissero per sempre insieme felici e contenti” . E forse sarebbe stato così,se non fosse stato per l’intervento dell’astuta donna Cristina che, avendo segretamente incaricato un monaco napoletano d’informarla su ogni movimento del figlio, si adirò per la nascita di questo rapporto e pensò quindi di prendere in mano la situazione personalmente. Decise di recarsi personalmente a Napoli per rimproverare drasticamente Alessandro, e porre fine all’infatuazione per quella donna che definiva spesso e volentieri “inetta”,proprio perché non le andava proprio a genio. Dopo un lungo viaggio in carrozza , tormentata da controverse preoccupazioni,giunse nella splendida capitale della Campania,pronta ad impartire una delle sue amare lezioni a quel ragazzo un po’ ribelle e sregolato . Essendo anche esaustivamente informata dei luoghi maggiormente frequentati dal figlio, si reca in un caffè ,certa di trovarlo lì seduto con la giovane fanciulla ed altri amici, per passare un rilassante pomeriggio. con il sogno di realizzarci, costruirci un futuro ed essere felici. Lo scorso anno siamo venuti nel Salento a trovare dei parenti di Daniele e mi sono subito innamorata di questi luoghi, del mare, dei sapori, dei profumi e di quel trascorrere con semplicità le giornate. Con la tenacia che mi contraddistingue, ho iniziato a coltivare il sogno di sposarci nella Marina di Mancaversa. Ornata di tutto punto e col volto coperto da un velo scuro, donna Cristina entrò nel locale, adocchiò subito il posto in cui era seduto Alessandro, guardandolo con occhi iracondi. Si diresse da lui con la velocità di una lepre fulminea e gli diede due forti e tonanti ceffoni sulle guance. Altamente basito ed indignato, la povera “vittima” guardando il suo “aggressore”, esclamò infuriato: Chi è colei che osa schiaffeggiare Alessandro Scategni? – E la donna rispose in maniera rapida ed incisiva,con due sole parole: Tua madre! – Così un’aria di incredulità e di stupore si diffuse in quel luogo ,e la giovane innamorata ,messa in imbarazzo da quella situazione inaspettata, lasciò il caffè ed anche le redini della storia che stava cominciando ad avere con il giovane Alessandro. Egli poi, tornato a Taviano,dopo essersi laureato brillantemente in giurisprudenza, esercitò la professione di giureconsulto sia a Lecce che a Napoli,come fece a suo tempo lo zio Onofrio. Nel 1843, il neolaureato convolò a nozze con Maria Antonietta Caputo, tavianese di 24 anni e sua vicina di casa. Abitavano entrambi sull’attuale Corso Vittorio Emanuele II . Ebbero una numerosa famiglia formata da sei figli, due femmine e quattro maschi. La vita di Alessandro si spense l’8 dicembre 1856,quando aveva l’età di 71 anni,circondato dai suoi affetti più cari. Ma è pur vero che nessuno muore davvero, fino a quando vive nell’avvolgente tepore di un ricordo. Con Daniele al mio fianco che condivideva questo sogno, abbiamo pensato a tutto, senza trascurare nessun particolare, almeno ci abbiamo provato, curando nei minimi dettagli l’organizzazione della cerimonia. Con largo anticipo, infatti, abbiamo affittato una casa adatta ad ospitare genitori e parenti. Da sempre innamorata del mare, ho scelto il simbolo che ci avrebbe accompagnati nel nostro giorno più importante, una bellissima stella marina e tanta semplicità. La mattina del fatidico giorno mi ha trovata emozionata ancor di più; ho indossato il mio abito bianco è sono uscita, dando il braccio a mio papà, da una casa che non mi aveva vista crescere, mi circondavano luoghi lontani dal mio mondo, ma si sa che l’amore non ha confini e, vicino al mare, che entrambi amiamo, in questi luoghi ricchi di semplicità e magia, si è avverato il nostro sogno. Ci siamo sposati il 5 Agosto nella chiesa della “Beata Vergine Maria Addolorata” di Taviano ed il Salento ora fa parte del nostro mondo. 19 • N. 14 - Novembre 2014 IL SALENTO VISTO DA …FUORI Turisti d’eccezione raccontano il loro amore per questa terra Ti rapisce e te ne innamori di Simona Eden P arlare del Salento per me è semplice. La mia conoscenza con questa magnifica terra risale a circa 18 anni fa. Sono approdata per la prima volta nei pressi di Gallipoli, precisamente a Torre Suda ed è stato amore a prima vista. Quel mare blu dalle coste rocciose, quella sinergia di colori, odori, sapori e suoni per me era tutto famigliare. Il Salento non è solo una Terra di Mare ma è sopratutto una Terra da amare! Si è sempre parlato del sud come fosse un luogo privo di bellezze, come se fosse all’ultimo posto d’Italia, magari fosse circondata l’ Italia di luoghi così belli ed accoglienti!!! La cosa che mi ha colpito in particolar modo è la gente del posto...gente vera, genuina, ospitale...quelle persone dalla stretta di mano forte, che ti fanno sorridere e ti trasmettono allegria...Sanno coinvolgerti e farti sentire a casa. Dopo poco avverti il morso della Taranta e non hai più scampo. Ogni volta che ci torno mi sembra più bella questa terra che continua a suscitare in me forti emozioni. Io mi sento figlia del Salento ormai...E’ la mia terra di adozione dove ho riposto il cuore, dove lascio amici importanti e sorrisi mai spenti. Ho tanta nostalgia del mio Salento...Lo dice una romana verace: quando sono lì non vorrei più tornare a casa. Unico neo? Ti rapisce….però non chiede riscatto. Ti amo Salento! Simona Eden, romana, lavora in ambito musicale come cantante pop e blues. Voce spettacolare! Le sue passioni sono tutte artistiche: musica e poesia. Mescolando insieme queste sue due grandi passioni ha realizzato bei testi musicali. Di ricordo in ricordo... nel respiro del Salento di Daniela Bagatin C he io in Salento abbia lasciato delle piccole schegge del mio cuore lo devo subito premettere. Che io debba tornare per trovarle è una certezza che nutro. Le piccole schegge si chiamano AMICI, tanti splendidi amici che mi hanno accolto nella loro terra con l’orgoglio di appartenere a questo piccolo paradiso proteso tra il Mar Adriatico e lo Jonio, che mi hanno trasmesso il desiderio di viverlo in tutti i suoi aspetti e mi hanno contagiato con la loro voglia di condividere le innumerevoli ricchezze naturali-artistiche-storiche con chi ha l’umiltà e l’entusiasmo di entrare con rispetto in una terra spettacolare. Ricordo come fosse ora il loro abbraccio di benvenuto nella Piazza di Gallipoli sotto il nitido e sorridente sole nelle chiare ore del mattino e ho ancora in me il sapore del mio primo “approccio” con il tipico Pasticciotto, assaporato con una buona crema di caffè fredda in uno dei tanti accoglienti locali-bar che si affacciano sul lungomare, tra il vociare sottile e allegro della gente che si apprestava a vivere una solare giornata di mare e rilassatezza. Il sapore morbido e dolciastro del dolce tipico leccese, così come quello più sorprendente (nelle sue varie farciture) della “Puccia” hanno dato vivacità al mio risveglio e alle mie giornate in questa terra, insieme all’odore pungente delle tamerici e degli ulivi, a quello selvatico dell’origano e del rosmarino. E che dire dell’odore salmastro del pesce fresco al Porto della Città Vecchia dove, verso sera, viene offerto ai turisti un delizioso aperitivo a base di pesce, appena pescato? La trasparenza e la limpidezza delle acque del mare sono ancora vivide in me, nella tranquillità delle sue splendide baie e dei suoi sabbiosi lidi, circondati da meravigliose pinete. E che dire delle innumerevoli escursioni ad esplorare i dintorni? A vedere il primo sole che sorge nella nostra penisola presso la poderosa e spettacolare città di Otranto con la sua fortezza e le sue antiche mura. Oppure a godere del suggestivo abbraccio del Mar Jonio e del Mar Adriatico dall’alto del maestoso faro di Santa Maria di Leuca. E poi lei...la perla del barocco, la città in cui ho lasciato il cuore...LECCE.. accogliente di giorno così come di sera con il suo anfiteatro, le sue chiese lavorate con il tufo leccese, le sue strade illuminate... e pasticcerie, e ristoranti eccelsi per accontentare anche i palati più raffinati. Da grande appassionata della musica e della danza ho addosso ancora il ritmo delle serate trascorse ad assaporare e vivere il ritmo tipico della terra salentina con le sue danze folkloristiche: la Pizzica e la Taranta. Questo, di ricordo in ricordo, è ciò che ho respirato in Salento. E ancora molto di più. Grazie amici, grazie luminosa terra salentina. Daniela Bagatin è nata a Chieri (To) e fin dall’ adolescenza ha sentito l’esigenza di viaggiare per conoscere luoghi nuovi. Ha studiato Lingue Straniere e attualmente insegna Inglese e Italiano nella Scuola Primaria. Adora leggere e scrivere (ama particolarmente la poesia) e ha una grande passione per la musica. Il Salento visto dal... di Stefano Ciancarelli … visto dal cuore! E sì, perché per guardare un paesaggio, un tramonto, occorrono gli occhi, ma parlando della terra Salentina, occorre usare il cuore o meglio è il cuore stesso che prevarica sul resto. Otranto, Gallipoli, Lecce, S. Maria di Leuca, Porto Cesareo sono solo alcune delle numerose località che fin da subito affascinano il viaggiatore che percorrendo le loro strade, rimane attratto dai terreni separati da muretti a secco, con le pietre che accompagnano il cammino. Di tanto in tanto sono le masserie che fanno capolino, dignitose e ricche di storia, la storia delle origini e delle radici degli abitanti di questo meraviglioso territorio. Abbracciate alla calda e rossa terra, racchiudono all’interno dei loro muri il vociare dei tempi passati, degli incontri, degli amori, della fatica, e soprattutto della gioia nello stare insieme! E’ difficile poter descrivere questi luoghi, più facile visitarli, per poter percepire l’odore di “buono”, qui non manca nulla, dall’ottima cucina con i suoi piatti tipici, tra cui la pitta di patate, pizza bassa con patate, cipolle, rape e pomodoro, oppure la puccia tipi- co pane con le olive, il rustico, insomma l’imbarazzo della scelta tra il salato e il dolce con il pasticciotto, fino ad essere rapiti dalla musica della pizzica, questa danza popolare forte ed energica, che ritrovi nelle piazze sotto un cielo stellato e l’eco del mare color smeraldo che fa da cornice a questo splendido quadro. Questo è il Salento, quello che non si dimentica a fine estate, quello che porti con te, nei suoi profumi, i suoi colori, il sorriso riversato alla sua gente… e la voglia di tornare a farne parte! Stefano Ciancarelli è nato a Rieti. Fin da subito scopre la passione per la scrittura e soprattutto la poesia. Ha avuto esperienze teatrali , sia come attore che come regista in recital musicali, ha partecipato come autore a festival canori e collaborato con articoli su varie riviste. Attualmente lavora in campo editoriale. Recentemente ha pubblicato da poco il suo primo lavoro letterario dal titolo “Sguardi Diversi” Ed.Varzi. Iscritto nel Registro della Stampa del Tribunale di Lecce n. 942 del 27/10/2006 Direttore Responsabile: Gabriele Vergallo Editore: Associazione Culturale “La Piazza” Redazione: c/o Associazione “La Piazza” Taviano (LE) [email protected] Sito: www.la-piazza.webnode.it Grafica e Stampa: GRAFEMA Servizi di Augusto Spiri TAVIANO (LE) - Tel 336 327642 20 N. 14 - Novembre 2014 • Amedeo sapeva di essere ammalato, e si era ormai rassegnato: “sai Antonio, ho avuto bei giorni, ho conosciuto persone bellissime, ho una bella famiglia. Non mi è mancato nulla.” Ed io che lo ammiravo sempre di più. Mi lesse questo piccolo racconto umoristico, basato su una sua esperienza vissuta. E se chiudo gli occhi mi rivedo con lui a sbellicarci entrambi dalle risate. In quel momento la malattia gli concesse un attimo di tregua. Lo ricordo così il mio amico. Antonio Pasca UMORISMO FLASH !! TEMA: una passeggiata in campagna. Riflessioni. Approfittando di una bellissima giornata di primavera, il signor maestro ha condotto tutta la scolaresca nella vicina campagna. Alberi fioriti, cinguettii degli uccelli, profumo di fiori e di zagare. Giunti sul posto, abbiamo progettato di fare il gioco del nascondino. Io mi sono nascosto sotto una folta siepe a pancia in su. Cip… Cip… un uccellino si è posato su un ramo della siepe, in direzione del mio viso, mollando in un attimo tutto il suo solido organico. Cip… cip… allegramente è volato via, lasciandomi in serio imbarazzo. RIFLESSIONI (come comanda il tema): menomale che non volano le vacche!!!! Amedeo Nicchiarico Da questo numero è partita la rubrica “GIORNALISTA PER UN GIORNO” rivolto a giovani che abbiano voglia di raccontare passioni, hobby, esperienze varie di vita vissuta e altro... Per informazioni contattare la Redazione del giornale all’indirizzo mail [email protected] oppure al sito internet www.la-piazza.webnode.it Un’immagine del nuovo sito “La Piazza” La Redazione de “La Piazza”; da sinistra: Renato De Capua, Carlo Pasca, Alessia S. Lorenzi, Antonio Pasca, e Gabriella Mercuri.