DIARIO
MARTEDÌ 12 GIUGNO 2007
annunci, news e strumenti
per chi cerca e offre lavoro
LA REPUBBLICA 45
annunci, news e strumenti
per chi cerca e offre lavoro
DI
DI
Le opportunità non aspettano!
Afferrale su
www.miojob.it
Le opportunità non aspettano!
Afferrale su
www.miojob.it
DALLA BIENNALE DI VENEZIA A KASSEL
Il panorama
contemporaneo è
sempre più
dominato
dal mercato
Gli oggetti,
le mode, i riti, gli
artisti. Con che
criterio si giudica
questo mondo?
“Fontana” di Marcel
Duchamp (1917)
trano destino quello della
parola estetica e della nozione che le è connessa! Inventata nel Settecento dai pensatori tedeschi per risolvere problemi tecnici interni al discorso
filosofico, ha un grande successo
nell’Ottocento e nel Novecento,
per finire oggi confusa dalla
maggior parte delle persone con
la cosmetica, la coiffure, la moda, la dietetica, il bodybuiding, il
packaging e altre cose simili,
nonché con quel settore della
medicina e della chirurgia, che si
occupa di dare un aspetto più
gradevole al corpo, rimediando
alle supposte imperfezioni della
natura e ai segni dell’invecchiamento. Sicché, considerandola
sulla base dell’opinione comune, la si potrebbe definire come
l’insieme delle pratiche che si occupano di dare un’immagine
piacevole alle persone e alle cose, col fine di rendere la vita quotidiana meno molesta e frustrante; questa definizione è tuttavia
ancora insufficiente perché
l’ambito di questa estetica allargata comprende anche l’udito
(l’altro senso nobile perché, come la vista, basato sulla distanza), nonché il gusto e l’odorato e
il tatto. In tal modo la categoria
della gradevolezza ha sostituito
completamente quella troppo
impegnativa e solenne di bellezza e l’estetica potrebbe prendere
come proprio motto quello di
una casa di tolleranza di lusso:
“make you feel happy and
comfortable!”. Tuttavia, come è
noto, a chi piace una cosa, a chi
un’altra: per cui non si può limitare l’offerta ad esperienze solo
gradevoli. L’ambito del sentire,
da cui proviene la parola estetica
(dal greco antico, aisthesis, sensazione) comprende anche le
esperienze spiacevoli: quindi
un’estetica allargata non può limitarsi al gradevole, ma deve includere anche le sensazioni forti,
come quelle fornite dalle perversioni e dalle tossicomanie.
In tal modo l’estetica, così come è intesa nella sua accezione
comune, finisce con invadere
tutto, identificandosi con la cultura del narcisismo e la società
dello spettacolo. Se all’epoca
della contestazione si diceva
“tutto è politico”, ora si potrebbe
sostenere che “tutto è estetico”.
A questa espansione irrefrenabile dell’orizzonte dell’esperienza
estetica corrisponde un ampliamento illimitato della branca del
sapere che la studia: ne consegue
che l’estetica, intesa come settore del sapere, finisce con l’essere
una teoria generale della cultura
che ingloba e intreccia conoscenze che provengono dalla
tradizione filosofica con molte
altre di carattere storico, sociologico, antropologico, psicologico
e massmediatico. Sembra così
che l’estetica abbia le caratteristiche interdisciplinari adatte
per condurre un discorso sulla
società contemporanea, la cui
caratteristica fondamentale dovrebbe essere individuata nella
complessità intesa come tessuto
di avvenimenti, azioni, reazioni,
determinazioni ed eventi casuali.
In altre parole, l’estetica si presenta oggi come un pot-pourri,
una mescolanza di conoscenze
provenienti da fonti disparate.
S
ARTE
Che fine ha fatto la bellezza
MARIO PERNIOLA
In un modo più elegante si dice
che essa è un meeting pointdi differenti saperi. Tuttavia fin dalla
sua nascita, nel Settecento, essa
era già un pot-pourri in cui confluivano problematiche disparate, le cui storie precedenti avevano poco che fare l’una con l’altra.
Quattro erano gli oggetti di studio che l’estetica si proponeva di
fondere in un unico sapere: il
bello, l’arte, la conoscenza sensi-
bile e gli stili di vita. I poeti e gli artisti furono i primi a rifiutare
l’abbraccio dei filosofi e, a partire dallo Sturm und Drang, iniziarono una polemica contro l’estetica che si manifestò nell’Ottocento, con Heine e Baudelaire, e
si espresse in modo virulento
nelle avanguardie del Novecento. Arthur Rimbaud nel suo poema più famoso scrive: «Una sera,
ho preso sulle ginocchia la Bel-
PAUL VALÉRY
“
LE NOSTRE Arti Belle sono state
istituite, e il loro tipo e il loro uso sono stati fissati in un’epoca ben distinta dalla nostra e da uomini il cui potere d’azione
sulle cose era insignificante rispetto a quello di cui
noi disponiamo. Ma lo stupefacente aumento dei nostri mezzi, la loro duttilità e la loro precisione, le idee
e le abitudini che essi introducono garantiscono
cambiamenti imminenti e molto profondi nell’antica
industria del Bello.
In tutte le arti si dà una parte fisica che non può
venir più considerata e trattata come un tempo, e
che non può venir sottratta agli interventi della conoscenza e della potenza moderne. Né la materia
né lo spazio, né il tempo non sono più, da vent’anni in qua, ciò che erano da sempre. C’è da aspettarsi che novità di una simile portata trasformino
tutta la tecnica artistica, e che così agiscano
sulla stessa invenzione, fino magari a modificare meravigliosamente la nozione stessa di
Arte.
ARTE
lezza. – E l’ho trovata amara. – E
l’ho ingiuriata». Paul Valéry, nel
suo discorso inaugurale ad un
Congresso Internazionale di
estetica esprime forti perplessità
circa l’effettiva conoscenza che i
filosofi estetici hanno dell’oggetto del loro sapere. Tuttavia già
molto precocemente dall’interno della filosofia ci si rifiuta di
mettere insieme cose tanto disparate: per Hegel e per Schel-
ling la parola estetica doveva essere sostituita con quella di filosofia dell’arte. Benedetto Croce,
che invece ha contribuito non
poco al successo novecentesco
del termine, escludeva la natura
dall’orizzonte della bellezza, sostenendo che il bello non appartiene alle cose, ma all’attività spirituale dell’essere umano. Freud
e Heidegger, due grandi inventori di nuovi modi di pensare e di
sentire che hanno esercitato una
enorme influenza sulla filosofia,
per motivi differenti, ritenevano
il punto di vista dell’estetica del
tutto inadeguato, se non inutile
ed erroneo. Gli ultimi grandi eredi della tradizione estetica moderna, tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, sono
Lukács, Adorno e Marcuse. Del
resto quasi nessuno dei tanti filosofi che hanno scritto opere di
estetica nel periodo aureo di
questa disciplina erano riusciti a
tenere insieme le quattro problematiche che in essa dovevano
confluire: chi si occupava del
bello, aveva una grande difficoltà a parlare dell’arte contemporanea, chi considerava l’estetica come una scelta di vita, difficilmente nutriva un qualche interesse nei confronti dei problemi epistemologici.
Se dunque la tradizione estetica del passato e l’approccio culturalistico attuale possono essere entrambi considerati come
mescolanze di questioni disparate, tra i due esiste tuttavia una
differenza importante. Il potpourri della tradizione moderna
aveva un carattere solenne ed
era retto dalla logica degli opposti: il bello era il contrario del
brutto, l’arte era essenzialmente
opposta alla non-arte, la conoscenza sensibile restava separata dalla conoscenza concettuale,
lo stile di vita estetico era retto da
un’etichetta anche quando assumeva carattere dandistico e
trasgressivo. Il pot-pourri di oggi
ha invece carattere ordinario e
tende a confondere tutto con
tutto: anything goes, una cosa vale l’altra, purché sia attuale o sia
spacciata come tale. Non a torto
perciò sembra a molti che sia
scomparso sia il passato che il futuro, e che si viva in un solo tempo, il presente. Lo storico francese François Hartog ha inventato
la nozione di presentismo, per
definire l’attuale regime di storicità. Da questo punto di vista l’estetica sarebbe un discorso sul
sentire presente, nel quale sono
venute meno le due emozioni
che hanno fortemente permeato
la modernità, la nostalgia e l’utopia.
C’è tuttavia una tendenza
contraria a questo atteggiamento che si rifiuta di formulare qualsiasi giudizio e apprezza solo ciò
che appare qui ed ora. L’emergere delle nozioni di pertinenza e di
reputazione nel vocabolario di
Internet sembrano esprimere la
necessità di fare una valutazione. Riemerge così un orientamento, nato nella cultura anglosassone del Settecento, nella
quale si adoperava la parola criticism per indicare l’orizzonte
concettuale che i filosofi tedeschi hanno circoscritto inventando la parola estetica. Questo
orientamento, che attribuisce
all’estetica il compito di formulare un giudizio valutativo, è rimasto sotterraneo nella tradizione moderna: solo pochi filosofi come Herbart, Santayana e
Wittgenstein lo hanno seguito.
E’ tuttavia in questa direzione
che si sta muovendo l’estetica
più recente, la quale perciò si
configura come un campo di
battaglia per la determinazione
dei criteri sulla cui base si può
esprimere una valutazione.
Repubblica Nazionale
“
46 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
MARTEDÌ 12 GIUGNO 2007
DIARIO
IL RINASCIMENTO
Dopo la rivoluzione prospettica di
Brunelleschi, Donatello e Masaccio, l’arte
è segnata dalle figure di Leonardo e di
Michelangelo. La “Gioconda” incarna
l’ideale della bellezza rinascimentale
GRECI
L’arte si lega all’ideale di armonia
incarnato da opere come la Venere di Milo
o l’Apollo del Belvedere. La sua funzione
era per lo più pubblica e i privati
commissionavano solo opere funerarie
BAROCCO E ROMANTICISMO
Caravaggio, Rubens e Velázquez: il ’600
predilige i contrasti di luci e ombre. Dopo il
ritorno al classico del ’700. Pittori come
Friedrich, Delacroix e Turner esprimono la
carica emotiva del Romanticismo
PARLA PIERRE ROSENBERG, EX DIRETTORE DEL MUSEO DEL LOUVRE DI PARIGI
L’OCCHIO CHE SERVE
PER LEGGERE UN’OPERA
ANTONIO GNOLI
I LIBRI
PAUL
VIRILIO
L’arte
dell’accecamento
Raffaello
Cortina 2007
FRANCESCO
BONAMI
Lo potevo
fare anche io,
Mondadori
2007
ANGELO
CAPASSO
Opera d’arte
a parole,
Meltemi 2007
FLAVIO
CAROLI
LODOVICO
FESTA
Tutti i volti
dell’arte
Mondadori
2007
JOSÉ
JIMÉNEZ
Teoria
dell’arte
Aesthetica
2007
ACHILLE
BONITO
OLIVA
L’arte e le sue
voci
Allemandi
2007
EDOUARD
POMMIER
L’invenzione
dell’arte
nell’Italia del
Rinascimento
Einaudi 2007
ROBERTO
TERROSI
Storia del
concetto
d’arte
Mimesis 2007
RENATO
BARILLI
Storia
dell’arte
contemporanea in Italia
Bollati
Boringhieri
2007
ROBERTO
CALASSO
Il rosa Tiepolo
Adelphi 2006
JACQUES
DERRIDA
La verità in
pittura
Newton
Compton
2005
a sì, l’arte non è più quella di una volta. E il successo che si espande e
cresce attorno ad essa sembra il
frutto ambiguo di un ripensamento radicale dei modi in cui in
passato l’arte si è imposta ai diversi pubblici, alle committenze,
ai collezionisti. Pur nelle differenze di generi, stili e scuole era
sufficientemente chiara la nascita di un’opera, il suo percorso, il
suo destino. Vi era una luce che
l’occhio dello storico sapeva cogliere. Oggi, con qualche tono
drammatizzante, qualcuno parla di accecamento. L’arte si è messa al riparo del
pensiero? C’è
una grande faglia
che divide il Novecento dai secoli che l’hanno
preceduto. E ci
sono innumerevoli fratture che il
ventesimo secolo ci ha lasciato in
eredità. Che dire?
Pierre Rosenberg è uno degli
ultimi grandi storici dell’arte in
circolazione è
stato a lungo prima direttore del
dipartimento dei
dipinti e poi presidente-direttore del museo del
Louvre di Parigi,
è considerato
uno dei massimi
esperti della pittura francese tra
il Sei e il Settecento. Ha curato mostre importanti come quelle su
Poussin e Fragonard. È appena
rientrato da una visita alla Biennale di Venezia ed è in partenza
per la mostra di Kassel.
Professor Rosenberg è ancora
possibile una definizione plausibile di che cosa è l’arte.
«Una domanda così netta oggi
non ha più senso. Ma anche riferita al passato la questione non è
semplice. Sappiamo bene che
opere d’arte che oggi riteniamo
dei capolavori non lo erano nel
momento in cui furono prodotte.
E dipinti che consideriamo decisamente minori hanno avuto un
successo istantaneo, un’aura
straordinaria. La parola arte ha
coperto nel corso del tempo molte cose e talvolta in contraddizione tra loro. Il che non ci impedisce di stabilire regole e criteri con
cui ci si accosta al mondo della
produzione artistica».
Ritiene che per uno storico
d’arte la suddivisione tra arte
antica, medievale, moderna e
contemporanea abbia ancora
senso, o è solo una ingenuità manualistica?
«Per quanto possa apparire generica, la classificazione dei vari
periodi dell’arte è un criterio dal
quale non si può prescindere. Abbiamo bisogno di punti fissi che
la storia e le date ci possono fornire. Diffido di coloro che dicono
che tutto è uguale, che le civiltà
sono uguali e che le opere hanno
tutte lo stesso valore. Non si fa
buona ricerca se si finisce col
mettere tutto sullo stesso piano.
Due secoli messi a confronto
pongono differenze a volte immense».
Si parla molto di Novecento e
della sua arte. Quando si è verificata la prima rottura con l’Otto-
M
‘‘
‘‘
DEFINIZIONE
CRIMINALI
La parola arte ha coperto nel corso
del tempo molte cose, talvolta in
contraddizione fra loro. Il che non
ci impedisce di stabilire regole e
criteri per accostarci ad essa
Duchamp è stato il grande
“criminale” dell’arte
contemporanea, egli ha distrutto
tutto ciò che in fatto di arte
il passato aveva creato
,,
,,
PICABIA
“L’Oeil
Cacodylate”,
olio su tela
con collage di
foto, cartoline
e ritagli di
carta del 1921
BELLE ARTI
Il manifesto
per una
esposizione di
Belle Arti
aperta a
Barcellona nel
1896
cento?
«È difficile stabilirlo con certezza. Ma potrei risponderle che
l’ultimo dipinto dell’Ottocento è
stato I saltimbanchi di Picasso e il
primo del Novecento Les demoiselles d’Avignon sempre di Picasso. Lui è un buon esempio per
mostrare la fine della tradizione e
l’inizio della modernità».
Picasso non è anche un nostro
contemporaneo?
«Per molti versi lo è. Del resto la
sua produzione si è spinta con
svolte anche radicali dentro tutto
il Novecento. Ma la contempora-
neità, per come la intendo io, non
nasce con Picasso nasce con Duchamp. Lui è stato il grande criminale dell’arte contemporanea».
Criminale?
«È chiaro che l’espressione criminale va messa tra virgolette.
Con la sua immensa intelligenza
e gusto della provocazione, Duchamp ha distrutto tutto ciò che
il passato in fatto di arte aveva
creato e imposto. In passato l’arte rispondeva a certi requisiti di
natura tecnica. Occorreva conoscere il disegno, conoscere le tec-
CHARLES BAUDELAIRE
niche della pittura, della fusione
della modellazione. Ancora oggi
per scrivere un romanzo occorrono le parole, per fare della musica necessitano le note. Non è
più così per le arti plastiche: Duchamp per primo ha fatto saltare
tutte le regole».
Se saltano le regole ciascuno
può dire ciò che vuole?
«Non è esattamente quello che
penso. Ma è pur vero che esiste il
campo della storia dell’arte dove
troviamo regole, sviluppi, scoperte. È il campo della pittura antica, che per quanto vasto non
WALTER BENJAMIN
L’arte pura è la creazione
di una magia che accoglie
l’oggetto e il soggetto, il
mondo esterno dell’artista e
l’artista nella sua soggettività
Uno dei compiti principali
dell’arte è stato da sempre
quello di generare esigenze
che non è in grado di
soddisfare attualmente
L’arte filosofica
1855
L’opera d’arte nell’epoca
della sua riproducibilità 1936
MARTIN HEIDEGGER
ANDY WARHOL
Dove e in quale modo
sussiste l’arte?
L’arte è ormai solo più
una parola a cui non
corrisponde nulla di reale
Dicono sempre che l’arte
nuova per un po’ è brutta, e
questo è un rischio: questo
è il prezzo che devi pagare
per la fama
L’origine dell’opera d’arte
1936
La filosofia di Andy Warhol
1975
presenta più buchi e incomprensioni. Ogni aspetto - dalla riscoperta dei primitivi, al barocco alla pittura accademica dell’Ottocento, per fare solo degli esempi ha il suo difensore. La pittura antica vive un momento di grande
universalismo. Non può dirsi lo
stesso per quella contemporanea, dove l’improvvisazione critica è molto più forte».
Nella pittura odierna mancano le grandi committenze del
passato, come la Chiesa per
esempio.
«La Chiesa ha svolto un ruolo
indiscutibile. Ma non esagererei
neanche troppo sulla sua forza.
La committenza variava a seconda dei paesi e dei secoli. La pittura olandese e quella francese del
Settecento non ha visto la Chiesa
protagonista. I quadri fiamminghi e olandesi di nature morte nascono grazie all’intervento di ricchi privati».
C’è però tutta l’immensa produzione di dipinti a soggetto religioso.
«È vero. Lungi da me l’idea di
trascurare questo aspetto. Ma la
difficoltà di oggi e leggere è capire questi soggetti religiosi. Ricordo di aver curato nel 1994 una
mostra di quadri di Poussin. C’erano due grandi studiosi che non
sono riusciti a mettersi d’accordo
sul fatto se Poussin era un credente oppure no e se i suoi dipinti a soggetto religioso dipendevano dalla sua fede o da qualche cosa d’altro».
E cosa ne ha concluso?
«Personalmente non sono
convinto che Poussin fosse un
credente. E comunque non penso che la sua fede contasse più
della sua pittura. Voglio dire che
il ruolo della Chiesa è stato fondamentale, come del resto lo è
stato quello dei mecenati e dei
collezionisti. Ma alla fine ciò che
conta è l’opera».
Intende dire che il soggetto di
un quadro non è così rilevante
come alcuni ritengono?
«Sì e no. È indubitabile che le
condizioni storiche in cui un dipinto viene prodotto vanno conosciute e spiegate. Esse svelano
alcuni aspetti di un’opera che altrimenti resterebbe muta. Ma è
sufficiente? Si pensi, per fare un
esempio, a Cézanne. Improvvisamente questo artista ci fa vedere la natura con altri occhi. E questo sguardo diverso influenza anche il nostro modo di leggere og-
Repubblica Nazionale
MARTEDÌ 12 GIUGNO 2007
LA REPUBBLICA 47
LE AVANGUARDIE STORICHE
Picasso, Braque, Duchamp, Picabia, Klee,
Kandinsky, Magritte, Tanguy, Dalì
mandano in frantumi i vecchi codici
dell’arte: cubismo, astrattismo e
surrealismo rivoluzionano l’arte del ’900
OGGI
Dopo la Pop Art, il minimalismo le
performance e la Transavanguardia, si è
aperta la cinquantaduesima Biennale di
Venezia: “Pensa con i sensi - Senti con la
mente”, curata da Robert Storr
DA PLATONE A NIETZSCHE: LA VERITÀ DELL’ARTE E IL SUO TRAMONTO
IL MOSTRUOSO
DENTRO DI NOI
FRANCO RELLA
a sapienza della verità, scrive
Platone nel Fedro, non può
essere colta direttamente,
ma essa, per così dire, traluce nella
bellezza che è dunque «ciò che più
è manifesto e più degno d’amore».
Questa è la bellezza, attraverso i secoli e per tutto l’Occidente, propria dell’arte e non solo dell’arte: la
via per giungere alla verità e, con la
verità, all’essere. Flaubert si teneva disperatamente ancorato a
questa idea, che era diventata per
lui una fede. Baudelaire ha però già
dichiarato il carattere duplice e ambiguo della bellezza, che Rimbaud definisce “amara” e mostruosa.
Dostoevskij nei Fratelli Karamazov afferma che la
bellezza è indefinibile e al
contempo terribile, in
quanto in essa stanno tutti
i possibili: il bene e il male,
la corruzione e la salvezza.
È a questo punto che si
inaugura ciò che possiamo
definire il “Moderno”. La
spinta decisiva verso ciò
che è stato definito il “rovesciamento del platonismo” viene però da Nietzsche. Nietzsche libera l’arte da qualsiasi responsabilità nei confronti della bellezza e anche dell’“idea” di
verità, investendo l’arte di
una responsabilità ancora
più grande. Tutto è casualità, tutto e frammento in
un mondo in cui non c’è
più Dio, vale dire un fondamento su cui basare le nostre certezze. E dunque,
egli scrive nello Zarathustra, «il senso del mio operare è che io immagini come un poeta e ricomponga
in uno ciò che è frammento e enigma e orrida casualità». Pochi anni dopo, nel
1888, Nietzsche va oltre e
parla di una metafisica dell’arte, di una metafisica
tragica dell’arte. L’arte diventa la via attraverso cui
giungere agli interrogativi
radicali dell’uomo, alle
contraddizioni che lo abitano e lo costituiscono all’interno di un mondo in
cui non c’è trascendenza in
una verità ulteriore, ma in
cui dobbiamo costruire le
nostre verità parziali nel
tessuto stesso di ciò che appare e
che è soltanto nella sua apparenza.
L’arte senza bellezza, l’arte in
luogo della filosofia. Nietzsche su
questo fronte resiste anche a quella che Calasso, nel suo bellissimo
saggio su Ecce homo, ha definito la
“subdola ingiustizia” di Heidegger, che ha cercato di riconvertire
Nietzsche in un filosofo, in un
“dotto”.
Tutta l’arte del ventesimo secolo si muove all’interno della responsabilità conoscitiva che gli è
stata attribuita da Nietzsche. Il
problema della verità diventa il
problema del senso. Se nulla garantisce la verità di ciò che enuncio, di ciò a cui do forma, la responsabilità dell’enunciato, del
senso delle forme che si producono ricadono interamente sul soggetto che enuncia, sul soggetto che
produce delle forme. Questo è il significato della terribile conclusione de L’innominabile di Beckett:
«bisogna dirle delle parole, intanto
che ci sono, bisogna dirle fino a
quando esse non mi trovino, (…)
forse mi hanno già detto, forse mi
hanno portato (…) davanti alla
porta che si apre sulla mia storia,
L
‘‘
,,
TENSIONE
ciò mi stupirebbe, se si apre, sarò
io, sarà il silenzio, là dove sono non
so, non lo saprò mai, dentro il silenzio non si sa, bisogna continuare e io continuerò».
Ci sono state certamente, nel
ventesimo secolo, riemergenze
del platonismo, per esempio in
Kandinskij, ma nessuno, mi pare,
ha messo in dubbio, il carattere
sperimentale e conoscitivo dell’arte riproponendo una bellezza
che la garantisca, e che sia dunque
la manifestazione della verità.
Ma c’è una svolta, che
matura intorno agli anni
Ottanta del secolo scorso,
che apre una fase in cui oggi stiamo vivendo. Teorici e
artisti, come afferma George Steiner, sembrano ballare ilari e felici intorno all’arca vuota del significato. È
l’attacco che viene portato
al soggetto e alla sua responsabilità conoscitiva. Il
soggetto è per Foucault
uno spazio vuoto che si
riempie per l’incidenza dei
dispostivi che agiscono su
di lui da fuori, fino a diventare esso stesso un dispositivo. Deleuze va oltre trasformando il soggetto in un
“corpo senza organi” che
dilaga rizomaticamente. Il
soggetto “neutro” che ne
emerge è un soggetto neutralizzato, e dunque deresponsabilizzato non solo
nei confronti della verità in
senso platonico, ma anche
della sua volontà di conoscere. È un soggetto, nella
versione italiana di questo
versante filosofico, in
Gianni Vattimo, debole. È il
soggetto di un pensiero debole.
La drammatica tensione
attraverso le cose spinte alla loro oltranza che porta
Fontana a cercare oltre la
superficie del quadro; il gesto con cui Rothko cala sulla finestra del quadro una
inattraversabile cortina
opaca, segnando una sorta
di tragico “non oltre”, sembrano essersi per lo più dissolti. Assistiamo a una sovradeterminazione estetica, o al terribile e all’orrendo presentati senza alcun
pathos, o ancora a un ricorso all’allegoria che è di fatto la fine
del potere simbolico dell’arte. Il
senso di queste operazioni non sta
nelle opere stesse, ma nel luogo
che le accoglie e che le consacra come arte. Sappiamo tutti che se il direttore del Beaubourg apre le porte ai giocolieri che stazionano nel
cortile antistante al museo questi
diventano immediatamente
performers. Sappiamo che qualsiasi cosa varchi quella porta è arte. Sappiamo che questo è il potere incontestato del “sistema dell’arte”, che prescinde da bellezza e
da conoscenza.
Il mondo è ancora, anzi ancor
più, frammento e orrida casualità.
Ancora e ancor più grande è dunque la responsabilità di dare forma
e senso a questi frammenti e a questa casualità. L’arte, lo ha detto
Adorno, è apparenza, ma questa
apparenza riceve il suo inaggirabile carattere di necessità da ciò che
è privo di apparenza, dal senso nascosto e enigmatico del mondo. È
in questa apparenza che si esprime la tensione metafisica al senso,
e persino alla verità. È sul filo di
questa tensione che riappare sulla
scena persino il profilo di Platone.
Le cose spinte al loro
limite portano Fontana
a cercare oltre la
superficie del quadro
MANIFESTO
A sinistra, il
manifesto
di una mostra
del futurista
Balla a Roma
gi la pittura antica»
Lei ha spesso esaltato l’occhio
dello storico dell’arte. Ritiene
che sia davvero lo strumento
principale?
«L’occhio è l’essenza stessa
della storia dell’arte. Senza l’occhio la conoscenza dell’arte diventa un’attività rispettabile ma
del tutto marginale. È ciò che fa la
differenza rispetto agli altri mestieri. Uno storico dell’arte è come un medico che sa riconoscere
dai primi sintomi una malattia.
Intendo dire che l’esercizio dell’occhio non deve richiedere ec-
cesso di riflessione, è un istinto
immediato. Come quando si riceve una lettera scritta a mano e
dalla calligrafia se ne riconosce
l’autore».
Un occhio va guidato, sorretto
da una teoria. O no?
«È evidente che la teoria è importante. Ma diffiderei dall’eccesso di teorizzazione. Il marxismo, lo strutturalismo, la fenomenologia, il femminismo hanno rappresentato, a seconda delle mode, una chiave di interpretazione dell’opera. E non ho nulla
in contrario a che ciò accada. Ma
GLI AUTORI
I DIARI ON LINE
Il testo del Sillabario di Paul Valéry è
tratto da Scritti
sull’arte (Guanda). Mario Perniola insegna
Estetica a Roma
Tor Vergata, ha
scritto Contro la
comunicazione
(Einaudi). Franco
Rella insegna
Estetica all’Istituto Universitario di
Architettura di
Venezia, ha scritto
Dell’esilio (Feltrinelli). Pierre Rosenberg, accademico di Francia, è
stato direttore del
museo del Louvre,
ha scritto da Raffaello alla Rivoluzione (Skira).
Tutti i numeri
precedenti di
“Diario” di Repubblica sono
consultabili in
Rete sul sito
www.repubblica.it, cliccando
direttamente
dalla homepage
sul menu Supplementi. Qui i
lettori potranno
consultare le pagine divise per
annate, comprensive di tutte
le illustrazioni,
di questo importante strumento
di approfondimento sulle parole chiave del
nostro tempo
dal 2003 a oggi.
non accetto la violenza del giudizio dei teorici che con sufficienza
banalizzano lo storico che si affida allo sguardo».
Come si educa l’occhio?
«In modi molto diversi. Per la
musica ci vuole l’orecchio, così
per l’arte occorre una predisposizione, un occhio appunto. Poi si
deve andare nei musei, vedere
mostre, leggere libri, impadronirsi delle tecniche. Per teorizzare occorre prima saper vedere».
C’è differenza tra lo storico
dell’arte e il critico?
«La distanza è immensa. La
Francia è un paese soprattutto di
critici. Anche grandissimi, come
Diderot e Baudelaire. Ma in fondo sono scrittori che mettono
l’arte al loro servizio. Uno storico
fa esattamente il contrario: si
mette al servizio dell’opera d’arte».
A volte l’attività dello storico e
quella del critico coincidono,
come nel caso di Roberto Longhi, non le pare?
«I grandi storici dell’arte possono essere anche grandi scrittori. E Longhi ne è la riprova. Anche
se le sue conoscenze dell’arte
moderna risentirono di certe
mancanze. A Longhi mancò per
esempio tutta l’esperienza dell’arte americana, fondamentale
se si vuole dare un giudizio sul secondo Novecento. Ma ciò a cui
volevo alludere è che in Francia
tutti gli scrittori vogliono scrivere
d’arte. Non c’è nessuno che non
voglia fare un libretto su Fragonard e le donne»
Lei diceva all’inizio che Duchamp ha rotto le regole. Cosa
intendeva dire?
«Ha deciso che un orinatoio
potesse essere un’opera d’arte.
Diciamo che le regole le ha stravolte. Dire che non ci sono regole
non significa però che non c’è più
arte».
Chi decide che un oggetto è arte?
«Tutti e nessuno. Può decidere
il mercato, il grande collezionista, i media. Le cose d’arte si muovono ormai con grande libertà».
L’arte non ha più responsabilità?
«Gli artisti dicono il contrario.
Vogliono avere una responsabilità verso il mondo. Ascoltarne le
inquietudini. Matisse non aveva
responsabilità nella sua pittura.
Come Bonnard del resto. Ma oggi quella pittura è stata completamente dimenticata».
‘‘
,,
REALTÀ
Il mondo è ancora,
anzi ancora di più,
frammento e orrida
casualità
LA BIENNALE
Il manifesto di
Gian Rossetti
per la XXIV
edizione della
Mostra
Internazionale
d’Arte del
1948
I LIBRI
EMILIO
GARRONI
L’arte e
l’altro
dall’arte
Laterza 2003
GIULIO
CARLO
ARGAN
Storia
dell’arte
italiana
Sansoni
2002
GIULIANO
BRIGANTI
Racconti di
storia
dell’arte
Skira 2002
WALTER
BENJAMIN
L’opera
d’arte
nell’epoca
della sua
riproducibilità
tecnica
Einaudi 2000
MARTIN
HEIDEGGER
L’origine
dell’opera
d’arte,
Marinotti
2000
GIORGIO
MANGANELLI
Salons,
Adelphi
2000
FEDERICO
ZERI
Giorno per
giorno nella
pittura,
Allemandi
2000
Dietro
l’immagine,
Neri Pozza
1998
JEAN
BAUDRILLARD
Illusione,
disillusione
estetiche,
Pagine
d’Arte 1999
FRIEDRICH
HEGEL
Arte e morte
dell’arte,
Bruno
Mondadori
1997
ERNST H.
GOMBRICH
Riflessioni
sulla storia
dell’arte,
Einaudi 1991
Repubblica Nazionale
Scarica

“ “ Che fine ha fatto la bellezza