DIARIO MARTEDÌ 12 GIUGNO 2007 annunci, news e strumenti per chi cerca e offre lavoro LA REPUBBLICA 45 annunci, news e strumenti per chi cerca e offre lavoro DI DI Le opportunità non aspettano! Afferrale su www.miojob.it Le opportunità non aspettano! Afferrale su www.miojob.it DALLA BIENNALE DI VENEZIA A KASSEL Il panorama contemporaneo è sempre più dominato dal mercato Gli oggetti, le mode, i riti, gli artisti. Con che criterio si giudica questo mondo? “Fontana” di Marcel Duchamp (1917) trano destino quello della parola estetica e della nozione che le è connessa! Inventata nel Settecento dai pensatori tedeschi per risolvere problemi tecnici interni al discorso filosofico, ha un grande successo nell’Ottocento e nel Novecento, per finire oggi confusa dalla maggior parte delle persone con la cosmetica, la coiffure, la moda, la dietetica, il bodybuiding, il packaging e altre cose simili, nonché con quel settore della medicina e della chirurgia, che si occupa di dare un aspetto più gradevole al corpo, rimediando alle supposte imperfezioni della natura e ai segni dell’invecchiamento. Sicché, considerandola sulla base dell’opinione comune, la si potrebbe definire come l’insieme delle pratiche che si occupano di dare un’immagine piacevole alle persone e alle cose, col fine di rendere la vita quotidiana meno molesta e frustrante; questa definizione è tuttavia ancora insufficiente perché l’ambito di questa estetica allargata comprende anche l’udito (l’altro senso nobile perché, come la vista, basato sulla distanza), nonché il gusto e l’odorato e il tatto. In tal modo la categoria della gradevolezza ha sostituito completamente quella troppo impegnativa e solenne di bellezza e l’estetica potrebbe prendere come proprio motto quello di una casa di tolleranza di lusso: “make you feel happy and comfortable!”. Tuttavia, come è noto, a chi piace una cosa, a chi un’altra: per cui non si può limitare l’offerta ad esperienze solo gradevoli. L’ambito del sentire, da cui proviene la parola estetica (dal greco antico, aisthesis, sensazione) comprende anche le esperienze spiacevoli: quindi un’estetica allargata non può limitarsi al gradevole, ma deve includere anche le sensazioni forti, come quelle fornite dalle perversioni e dalle tossicomanie. In tal modo l’estetica, così come è intesa nella sua accezione comune, finisce con invadere tutto, identificandosi con la cultura del narcisismo e la società dello spettacolo. Se all’epoca della contestazione si diceva “tutto è politico”, ora si potrebbe sostenere che “tutto è estetico”. A questa espansione irrefrenabile dell’orizzonte dell’esperienza estetica corrisponde un ampliamento illimitato della branca del sapere che la studia: ne consegue che l’estetica, intesa come settore del sapere, finisce con l’essere una teoria generale della cultura che ingloba e intreccia conoscenze che provengono dalla tradizione filosofica con molte altre di carattere storico, sociologico, antropologico, psicologico e massmediatico. Sembra così che l’estetica abbia le caratteristiche interdisciplinari adatte per condurre un discorso sulla società contemporanea, la cui caratteristica fondamentale dovrebbe essere individuata nella complessità intesa come tessuto di avvenimenti, azioni, reazioni, determinazioni ed eventi casuali. In altre parole, l’estetica si presenta oggi come un pot-pourri, una mescolanza di conoscenze provenienti da fonti disparate. S ARTE Che fine ha fatto la bellezza MARIO PERNIOLA In un modo più elegante si dice che essa è un meeting pointdi differenti saperi. Tuttavia fin dalla sua nascita, nel Settecento, essa era già un pot-pourri in cui confluivano problematiche disparate, le cui storie precedenti avevano poco che fare l’una con l’altra. Quattro erano gli oggetti di studio che l’estetica si proponeva di fondere in un unico sapere: il bello, l’arte, la conoscenza sensi- bile e gli stili di vita. I poeti e gli artisti furono i primi a rifiutare l’abbraccio dei filosofi e, a partire dallo Sturm und Drang, iniziarono una polemica contro l’estetica che si manifestò nell’Ottocento, con Heine e Baudelaire, e si espresse in modo virulento nelle avanguardie del Novecento. Arthur Rimbaud nel suo poema più famoso scrive: «Una sera, ho preso sulle ginocchia la Bel- PAUL VALÉRY “ LE NOSTRE Arti Belle sono state istituite, e il loro tipo e il loro uso sono stati fissati in un’epoca ben distinta dalla nostra e da uomini il cui potere d’azione sulle cose era insignificante rispetto a quello di cui noi disponiamo. Ma lo stupefacente aumento dei nostri mezzi, la loro duttilità e la loro precisione, le idee e le abitudini che essi introducono garantiscono cambiamenti imminenti e molto profondi nell’antica industria del Bello. In tutte le arti si dà una parte fisica che non può venir più considerata e trattata come un tempo, e che non può venir sottratta agli interventi della conoscenza e della potenza moderne. Né la materia né lo spazio, né il tempo non sono più, da vent’anni in qua, ciò che erano da sempre. C’è da aspettarsi che novità di una simile portata trasformino tutta la tecnica artistica, e che così agiscano sulla stessa invenzione, fino magari a modificare meravigliosamente la nozione stessa di Arte. ARTE lezza. – E l’ho trovata amara. – E l’ho ingiuriata». Paul Valéry, nel suo discorso inaugurale ad un Congresso Internazionale di estetica esprime forti perplessità circa l’effettiva conoscenza che i filosofi estetici hanno dell’oggetto del loro sapere. Tuttavia già molto precocemente dall’interno della filosofia ci si rifiuta di mettere insieme cose tanto disparate: per Hegel e per Schel- ling la parola estetica doveva essere sostituita con quella di filosofia dell’arte. Benedetto Croce, che invece ha contribuito non poco al successo novecentesco del termine, escludeva la natura dall’orizzonte della bellezza, sostenendo che il bello non appartiene alle cose, ma all’attività spirituale dell’essere umano. Freud e Heidegger, due grandi inventori di nuovi modi di pensare e di sentire che hanno esercitato una enorme influenza sulla filosofia, per motivi differenti, ritenevano il punto di vista dell’estetica del tutto inadeguato, se non inutile ed erroneo. Gli ultimi grandi eredi della tradizione estetica moderna, tra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, sono Lukács, Adorno e Marcuse. Del resto quasi nessuno dei tanti filosofi che hanno scritto opere di estetica nel periodo aureo di questa disciplina erano riusciti a tenere insieme le quattro problematiche che in essa dovevano confluire: chi si occupava del bello, aveva una grande difficoltà a parlare dell’arte contemporanea, chi considerava l’estetica come una scelta di vita, difficilmente nutriva un qualche interesse nei confronti dei problemi epistemologici. Se dunque la tradizione estetica del passato e l’approccio culturalistico attuale possono essere entrambi considerati come mescolanze di questioni disparate, tra i due esiste tuttavia una differenza importante. Il potpourri della tradizione moderna aveva un carattere solenne ed era retto dalla logica degli opposti: il bello era il contrario del brutto, l’arte era essenzialmente opposta alla non-arte, la conoscenza sensibile restava separata dalla conoscenza concettuale, lo stile di vita estetico era retto da un’etichetta anche quando assumeva carattere dandistico e trasgressivo. Il pot-pourri di oggi ha invece carattere ordinario e tende a confondere tutto con tutto: anything goes, una cosa vale l’altra, purché sia attuale o sia spacciata come tale. Non a torto perciò sembra a molti che sia scomparso sia il passato che il futuro, e che si viva in un solo tempo, il presente. Lo storico francese François Hartog ha inventato la nozione di presentismo, per definire l’attuale regime di storicità. Da questo punto di vista l’estetica sarebbe un discorso sul sentire presente, nel quale sono venute meno le due emozioni che hanno fortemente permeato la modernità, la nostalgia e l’utopia. C’è tuttavia una tendenza contraria a questo atteggiamento che si rifiuta di formulare qualsiasi giudizio e apprezza solo ciò che appare qui ed ora. L’emergere delle nozioni di pertinenza e di reputazione nel vocabolario di Internet sembrano esprimere la necessità di fare una valutazione. Riemerge così un orientamento, nato nella cultura anglosassone del Settecento, nella quale si adoperava la parola criticism per indicare l’orizzonte concettuale che i filosofi tedeschi hanno circoscritto inventando la parola estetica. Questo orientamento, che attribuisce all’estetica il compito di formulare un giudizio valutativo, è rimasto sotterraneo nella tradizione moderna: solo pochi filosofi come Herbart, Santayana e Wittgenstein lo hanno seguito. E’ tuttavia in questa direzione che si sta muovendo l’estetica più recente, la quale perciò si configura come un campo di battaglia per la determinazione dei criteri sulla cui base si può esprimere una valutazione. Repubblica Nazionale “ 46 LA REPUBBLICA LE TAPPE MARTEDÌ 12 GIUGNO 2007 DIARIO IL RINASCIMENTO Dopo la rivoluzione prospettica di Brunelleschi, Donatello e Masaccio, l’arte è segnata dalle figure di Leonardo e di Michelangelo. La “Gioconda” incarna l’ideale della bellezza rinascimentale GRECI L’arte si lega all’ideale di armonia incarnato da opere come la Venere di Milo o l’Apollo del Belvedere. La sua funzione era per lo più pubblica e i privati commissionavano solo opere funerarie BAROCCO E ROMANTICISMO Caravaggio, Rubens e Velázquez: il ’600 predilige i contrasti di luci e ombre. Dopo il ritorno al classico del ’700. Pittori come Friedrich, Delacroix e Turner esprimono la carica emotiva del Romanticismo PARLA PIERRE ROSENBERG, EX DIRETTORE DEL MUSEO DEL LOUVRE DI PARIGI L’OCCHIO CHE SERVE PER LEGGERE UN’OPERA ANTONIO GNOLI I LIBRI PAUL VIRILIO L’arte dell’accecamento Raffaello Cortina 2007 FRANCESCO BONAMI Lo potevo fare anche io, Mondadori 2007 ANGELO CAPASSO Opera d’arte a parole, Meltemi 2007 FLAVIO CAROLI LODOVICO FESTA Tutti i volti dell’arte Mondadori 2007 JOSÉ JIMÉNEZ Teoria dell’arte Aesthetica 2007 ACHILLE BONITO OLIVA L’arte e le sue voci Allemandi 2007 EDOUARD POMMIER L’invenzione dell’arte nell’Italia del Rinascimento Einaudi 2007 ROBERTO TERROSI Storia del concetto d’arte Mimesis 2007 RENATO BARILLI Storia dell’arte contemporanea in Italia Bollati Boringhieri 2007 ROBERTO CALASSO Il rosa Tiepolo Adelphi 2006 JACQUES DERRIDA La verità in pittura Newton Compton 2005 a sì, l’arte non è più quella di una volta. E il successo che si espande e cresce attorno ad essa sembra il frutto ambiguo di un ripensamento radicale dei modi in cui in passato l’arte si è imposta ai diversi pubblici, alle committenze, ai collezionisti. Pur nelle differenze di generi, stili e scuole era sufficientemente chiara la nascita di un’opera, il suo percorso, il suo destino. Vi era una luce che l’occhio dello storico sapeva cogliere. Oggi, con qualche tono drammatizzante, qualcuno parla di accecamento. L’arte si è messa al riparo del pensiero? C’è una grande faglia che divide il Novecento dai secoli che l’hanno preceduto. E ci sono innumerevoli fratture che il ventesimo secolo ci ha lasciato in eredità. Che dire? Pierre Rosenberg è uno degli ultimi grandi storici dell’arte in circolazione è stato a lungo prima direttore del dipartimento dei dipinti e poi presidente-direttore del museo del Louvre di Parigi, è considerato uno dei massimi esperti della pittura francese tra il Sei e il Settecento. Ha curato mostre importanti come quelle su Poussin e Fragonard. È appena rientrato da una visita alla Biennale di Venezia ed è in partenza per la mostra di Kassel. Professor Rosenberg è ancora possibile una definizione plausibile di che cosa è l’arte. «Una domanda così netta oggi non ha più senso. Ma anche riferita al passato la questione non è semplice. Sappiamo bene che opere d’arte che oggi riteniamo dei capolavori non lo erano nel momento in cui furono prodotte. E dipinti che consideriamo decisamente minori hanno avuto un successo istantaneo, un’aura straordinaria. La parola arte ha coperto nel corso del tempo molte cose e talvolta in contraddizione tra loro. Il che non ci impedisce di stabilire regole e criteri con cui ci si accosta al mondo della produzione artistica». Ritiene che per uno storico d’arte la suddivisione tra arte antica, medievale, moderna e contemporanea abbia ancora senso, o è solo una ingenuità manualistica? «Per quanto possa apparire generica, la classificazione dei vari periodi dell’arte è un criterio dal quale non si può prescindere. Abbiamo bisogno di punti fissi che la storia e le date ci possono fornire. Diffido di coloro che dicono che tutto è uguale, che le civiltà sono uguali e che le opere hanno tutte lo stesso valore. Non si fa buona ricerca se si finisce col mettere tutto sullo stesso piano. Due secoli messi a confronto pongono differenze a volte immense». Si parla molto di Novecento e della sua arte. Quando si è verificata la prima rottura con l’Otto- M ‘‘ ‘‘ DEFINIZIONE CRIMINALI La parola arte ha coperto nel corso del tempo molte cose, talvolta in contraddizione fra loro. Il che non ci impedisce di stabilire regole e criteri per accostarci ad essa Duchamp è stato il grande “criminale” dell’arte contemporanea, egli ha distrutto tutto ciò che in fatto di arte il passato aveva creato ,, ,, PICABIA “L’Oeil Cacodylate”, olio su tela con collage di foto, cartoline e ritagli di carta del 1921 BELLE ARTI Il manifesto per una esposizione di Belle Arti aperta a Barcellona nel 1896 cento? «È difficile stabilirlo con certezza. Ma potrei risponderle che l’ultimo dipinto dell’Ottocento è stato I saltimbanchi di Picasso e il primo del Novecento Les demoiselles d’Avignon sempre di Picasso. Lui è un buon esempio per mostrare la fine della tradizione e l’inizio della modernità». Picasso non è anche un nostro contemporaneo? «Per molti versi lo è. Del resto la sua produzione si è spinta con svolte anche radicali dentro tutto il Novecento. Ma la contempora- neità, per come la intendo io, non nasce con Picasso nasce con Duchamp. Lui è stato il grande criminale dell’arte contemporanea». Criminale? «È chiaro che l’espressione criminale va messa tra virgolette. Con la sua immensa intelligenza e gusto della provocazione, Duchamp ha distrutto tutto ciò che il passato in fatto di arte aveva creato e imposto. In passato l’arte rispondeva a certi requisiti di natura tecnica. Occorreva conoscere il disegno, conoscere le tec- CHARLES BAUDELAIRE niche della pittura, della fusione della modellazione. Ancora oggi per scrivere un romanzo occorrono le parole, per fare della musica necessitano le note. Non è più così per le arti plastiche: Duchamp per primo ha fatto saltare tutte le regole». Se saltano le regole ciascuno può dire ciò che vuole? «Non è esattamente quello che penso. Ma è pur vero che esiste il campo della storia dell’arte dove troviamo regole, sviluppi, scoperte. È il campo della pittura antica, che per quanto vasto non WALTER BENJAMIN L’arte pura è la creazione di una magia che accoglie l’oggetto e il soggetto, il mondo esterno dell’artista e l’artista nella sua soggettività Uno dei compiti principali dell’arte è stato da sempre quello di generare esigenze che non è in grado di soddisfare attualmente L’arte filosofica 1855 L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità 1936 MARTIN HEIDEGGER ANDY WARHOL Dove e in quale modo sussiste l’arte? L’arte è ormai solo più una parola a cui non corrisponde nulla di reale Dicono sempre che l’arte nuova per un po’ è brutta, e questo è un rischio: questo è il prezzo che devi pagare per la fama L’origine dell’opera d’arte 1936 La filosofia di Andy Warhol 1975 presenta più buchi e incomprensioni. Ogni aspetto - dalla riscoperta dei primitivi, al barocco alla pittura accademica dell’Ottocento, per fare solo degli esempi ha il suo difensore. La pittura antica vive un momento di grande universalismo. Non può dirsi lo stesso per quella contemporanea, dove l’improvvisazione critica è molto più forte». Nella pittura odierna mancano le grandi committenze del passato, come la Chiesa per esempio. «La Chiesa ha svolto un ruolo indiscutibile. Ma non esagererei neanche troppo sulla sua forza. La committenza variava a seconda dei paesi e dei secoli. La pittura olandese e quella francese del Settecento non ha visto la Chiesa protagonista. I quadri fiamminghi e olandesi di nature morte nascono grazie all’intervento di ricchi privati». C’è però tutta l’immensa produzione di dipinti a soggetto religioso. «È vero. Lungi da me l’idea di trascurare questo aspetto. Ma la difficoltà di oggi e leggere è capire questi soggetti religiosi. Ricordo di aver curato nel 1994 una mostra di quadri di Poussin. C’erano due grandi studiosi che non sono riusciti a mettersi d’accordo sul fatto se Poussin era un credente oppure no e se i suoi dipinti a soggetto religioso dipendevano dalla sua fede o da qualche cosa d’altro». E cosa ne ha concluso? «Personalmente non sono convinto che Poussin fosse un credente. E comunque non penso che la sua fede contasse più della sua pittura. Voglio dire che il ruolo della Chiesa è stato fondamentale, come del resto lo è stato quello dei mecenati e dei collezionisti. Ma alla fine ciò che conta è l’opera». Intende dire che il soggetto di un quadro non è così rilevante come alcuni ritengono? «Sì e no. È indubitabile che le condizioni storiche in cui un dipinto viene prodotto vanno conosciute e spiegate. Esse svelano alcuni aspetti di un’opera che altrimenti resterebbe muta. Ma è sufficiente? Si pensi, per fare un esempio, a Cézanne. Improvvisamente questo artista ci fa vedere la natura con altri occhi. E questo sguardo diverso influenza anche il nostro modo di leggere og- Repubblica Nazionale MARTEDÌ 12 GIUGNO 2007 LA REPUBBLICA 47 LE AVANGUARDIE STORICHE Picasso, Braque, Duchamp, Picabia, Klee, Kandinsky, Magritte, Tanguy, Dalì mandano in frantumi i vecchi codici dell’arte: cubismo, astrattismo e surrealismo rivoluzionano l’arte del ’900 OGGI Dopo la Pop Art, il minimalismo le performance e la Transavanguardia, si è aperta la cinquantaduesima Biennale di Venezia: “Pensa con i sensi - Senti con la mente”, curata da Robert Storr DA PLATONE A NIETZSCHE: LA VERITÀ DELL’ARTE E IL SUO TRAMONTO IL MOSTRUOSO DENTRO DI NOI FRANCO RELLA a sapienza della verità, scrive Platone nel Fedro, non può essere colta direttamente, ma essa, per così dire, traluce nella bellezza che è dunque «ciò che più è manifesto e più degno d’amore». Questa è la bellezza, attraverso i secoli e per tutto l’Occidente, propria dell’arte e non solo dell’arte: la via per giungere alla verità e, con la verità, all’essere. Flaubert si teneva disperatamente ancorato a questa idea, che era diventata per lui una fede. Baudelaire ha però già dichiarato il carattere duplice e ambiguo della bellezza, che Rimbaud definisce “amara” e mostruosa. Dostoevskij nei Fratelli Karamazov afferma che la bellezza è indefinibile e al contempo terribile, in quanto in essa stanno tutti i possibili: il bene e il male, la corruzione e la salvezza. È a questo punto che si inaugura ciò che possiamo definire il “Moderno”. La spinta decisiva verso ciò che è stato definito il “rovesciamento del platonismo” viene però da Nietzsche. Nietzsche libera l’arte da qualsiasi responsabilità nei confronti della bellezza e anche dell’“idea” di verità, investendo l’arte di una responsabilità ancora più grande. Tutto è casualità, tutto e frammento in un mondo in cui non c’è più Dio, vale dire un fondamento su cui basare le nostre certezze. E dunque, egli scrive nello Zarathustra, «il senso del mio operare è che io immagini come un poeta e ricomponga in uno ciò che è frammento e enigma e orrida casualità». Pochi anni dopo, nel 1888, Nietzsche va oltre e parla di una metafisica dell’arte, di una metafisica tragica dell’arte. L’arte diventa la via attraverso cui giungere agli interrogativi radicali dell’uomo, alle contraddizioni che lo abitano e lo costituiscono all’interno di un mondo in cui non c’è trascendenza in una verità ulteriore, ma in cui dobbiamo costruire le nostre verità parziali nel tessuto stesso di ciò che appare e che è soltanto nella sua apparenza. L’arte senza bellezza, l’arte in luogo della filosofia. Nietzsche su questo fronte resiste anche a quella che Calasso, nel suo bellissimo saggio su Ecce homo, ha definito la “subdola ingiustizia” di Heidegger, che ha cercato di riconvertire Nietzsche in un filosofo, in un “dotto”. Tutta l’arte del ventesimo secolo si muove all’interno della responsabilità conoscitiva che gli è stata attribuita da Nietzsche. Il problema della verità diventa il problema del senso. Se nulla garantisce la verità di ciò che enuncio, di ciò a cui do forma, la responsabilità dell’enunciato, del senso delle forme che si producono ricadono interamente sul soggetto che enuncia, sul soggetto che produce delle forme. Questo è il significato della terribile conclusione de L’innominabile di Beckett: «bisogna dirle delle parole, intanto che ci sono, bisogna dirle fino a quando esse non mi trovino, (…) forse mi hanno già detto, forse mi hanno portato (…) davanti alla porta che si apre sulla mia storia, L ‘‘ ,, TENSIONE ciò mi stupirebbe, se si apre, sarò io, sarà il silenzio, là dove sono non so, non lo saprò mai, dentro il silenzio non si sa, bisogna continuare e io continuerò». Ci sono state certamente, nel ventesimo secolo, riemergenze del platonismo, per esempio in Kandinskij, ma nessuno, mi pare, ha messo in dubbio, il carattere sperimentale e conoscitivo dell’arte riproponendo una bellezza che la garantisca, e che sia dunque la manifestazione della verità. Ma c’è una svolta, che matura intorno agli anni Ottanta del secolo scorso, che apre una fase in cui oggi stiamo vivendo. Teorici e artisti, come afferma George Steiner, sembrano ballare ilari e felici intorno all’arca vuota del significato. È l’attacco che viene portato al soggetto e alla sua responsabilità conoscitiva. Il soggetto è per Foucault uno spazio vuoto che si riempie per l’incidenza dei dispostivi che agiscono su di lui da fuori, fino a diventare esso stesso un dispositivo. Deleuze va oltre trasformando il soggetto in un “corpo senza organi” che dilaga rizomaticamente. Il soggetto “neutro” che ne emerge è un soggetto neutralizzato, e dunque deresponsabilizzato non solo nei confronti della verità in senso platonico, ma anche della sua volontà di conoscere. È un soggetto, nella versione italiana di questo versante filosofico, in Gianni Vattimo, debole. È il soggetto di un pensiero debole. La drammatica tensione attraverso le cose spinte alla loro oltranza che porta Fontana a cercare oltre la superficie del quadro; il gesto con cui Rothko cala sulla finestra del quadro una inattraversabile cortina opaca, segnando una sorta di tragico “non oltre”, sembrano essersi per lo più dissolti. Assistiamo a una sovradeterminazione estetica, o al terribile e all’orrendo presentati senza alcun pathos, o ancora a un ricorso all’allegoria che è di fatto la fine del potere simbolico dell’arte. Il senso di queste operazioni non sta nelle opere stesse, ma nel luogo che le accoglie e che le consacra come arte. Sappiamo tutti che se il direttore del Beaubourg apre le porte ai giocolieri che stazionano nel cortile antistante al museo questi diventano immediatamente performers. Sappiamo che qualsiasi cosa varchi quella porta è arte. Sappiamo che questo è il potere incontestato del “sistema dell’arte”, che prescinde da bellezza e da conoscenza. Il mondo è ancora, anzi ancor più, frammento e orrida casualità. Ancora e ancor più grande è dunque la responsabilità di dare forma e senso a questi frammenti e a questa casualità. L’arte, lo ha detto Adorno, è apparenza, ma questa apparenza riceve il suo inaggirabile carattere di necessità da ciò che è privo di apparenza, dal senso nascosto e enigmatico del mondo. È in questa apparenza che si esprime la tensione metafisica al senso, e persino alla verità. È sul filo di questa tensione che riappare sulla scena persino il profilo di Platone. Le cose spinte al loro limite portano Fontana a cercare oltre la superficie del quadro MANIFESTO A sinistra, il manifesto di una mostra del futurista Balla a Roma gi la pittura antica» Lei ha spesso esaltato l’occhio dello storico dell’arte. Ritiene che sia davvero lo strumento principale? «L’occhio è l’essenza stessa della storia dell’arte. Senza l’occhio la conoscenza dell’arte diventa un’attività rispettabile ma del tutto marginale. È ciò che fa la differenza rispetto agli altri mestieri. Uno storico dell’arte è come un medico che sa riconoscere dai primi sintomi una malattia. Intendo dire che l’esercizio dell’occhio non deve richiedere ec- cesso di riflessione, è un istinto immediato. Come quando si riceve una lettera scritta a mano e dalla calligrafia se ne riconosce l’autore». Un occhio va guidato, sorretto da una teoria. O no? «È evidente che la teoria è importante. Ma diffiderei dall’eccesso di teorizzazione. Il marxismo, lo strutturalismo, la fenomenologia, il femminismo hanno rappresentato, a seconda delle mode, una chiave di interpretazione dell’opera. E non ho nulla in contrario a che ciò accada. Ma GLI AUTORI I DIARI ON LINE Il testo del Sillabario di Paul Valéry è tratto da Scritti sull’arte (Guanda). Mario Perniola insegna Estetica a Roma Tor Vergata, ha scritto Contro la comunicazione (Einaudi). Franco Rella insegna Estetica all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, ha scritto Dell’esilio (Feltrinelli). Pierre Rosenberg, accademico di Francia, è stato direttore del museo del Louvre, ha scritto da Raffaello alla Rivoluzione (Skira). Tutti i numeri precedenti di “Diario” di Repubblica sono consultabili in Rete sul sito www.repubblica.it, cliccando direttamente dalla homepage sul menu Supplementi. Qui i lettori potranno consultare le pagine divise per annate, comprensive di tutte le illustrazioni, di questo importante strumento di approfondimento sulle parole chiave del nostro tempo dal 2003 a oggi. non accetto la violenza del giudizio dei teorici che con sufficienza banalizzano lo storico che si affida allo sguardo». Come si educa l’occhio? «In modi molto diversi. Per la musica ci vuole l’orecchio, così per l’arte occorre una predisposizione, un occhio appunto. Poi si deve andare nei musei, vedere mostre, leggere libri, impadronirsi delle tecniche. Per teorizzare occorre prima saper vedere». C’è differenza tra lo storico dell’arte e il critico? «La distanza è immensa. La Francia è un paese soprattutto di critici. Anche grandissimi, come Diderot e Baudelaire. Ma in fondo sono scrittori che mettono l’arte al loro servizio. Uno storico fa esattamente il contrario: si mette al servizio dell’opera d’arte». A volte l’attività dello storico e quella del critico coincidono, come nel caso di Roberto Longhi, non le pare? «I grandi storici dell’arte possono essere anche grandi scrittori. E Longhi ne è la riprova. Anche se le sue conoscenze dell’arte moderna risentirono di certe mancanze. A Longhi mancò per esempio tutta l’esperienza dell’arte americana, fondamentale se si vuole dare un giudizio sul secondo Novecento. Ma ciò a cui volevo alludere è che in Francia tutti gli scrittori vogliono scrivere d’arte. Non c’è nessuno che non voglia fare un libretto su Fragonard e le donne» Lei diceva all’inizio che Duchamp ha rotto le regole. Cosa intendeva dire? «Ha deciso che un orinatoio potesse essere un’opera d’arte. Diciamo che le regole le ha stravolte. Dire che non ci sono regole non significa però che non c’è più arte». Chi decide che un oggetto è arte? «Tutti e nessuno. Può decidere il mercato, il grande collezionista, i media. Le cose d’arte si muovono ormai con grande libertà». L’arte non ha più responsabilità? «Gli artisti dicono il contrario. Vogliono avere una responsabilità verso il mondo. Ascoltarne le inquietudini. Matisse non aveva responsabilità nella sua pittura. Come Bonnard del resto. Ma oggi quella pittura è stata completamente dimenticata». ‘‘ ,, REALTÀ Il mondo è ancora, anzi ancora di più, frammento e orrida casualità LA BIENNALE Il manifesto di Gian Rossetti per la XXIV edizione della Mostra Internazionale d’Arte del 1948 I LIBRI EMILIO GARRONI L’arte e l’altro dall’arte Laterza 2003 GIULIO CARLO ARGAN Storia dell’arte italiana Sansoni 2002 GIULIANO BRIGANTI Racconti di storia dell’arte Skira 2002 WALTER BENJAMIN L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica Einaudi 2000 MARTIN HEIDEGGER L’origine dell’opera d’arte, Marinotti 2000 GIORGIO MANGANELLI Salons, Adelphi 2000 FEDERICO ZERI Giorno per giorno nella pittura, Allemandi 2000 Dietro l’immagine, Neri Pozza 1998 JEAN BAUDRILLARD Illusione, disillusione estetiche, Pagine d’Arte 1999 FRIEDRICH HEGEL Arte e morte dell’arte, Bruno Mondadori 1997 ERNST H. GOMBRICH Riflessioni sulla storia dell’arte, Einaudi 1991 Repubblica Nazionale