I NOSTRI RIFUGI SONO APERTI TUTTO L’ANNO RIFUGIO SEL ROCCA-LOCATELLI m. 1300 - Piani Resinelli (Grignetta m. 2200). Sorge al termine della strada carrozzabile proveniente da Ballabio. Base per tutte le escursioni in Grigna. Tel. 0341 590.094 Custode: LUANA ZAPPA - cell. 331 3585487 RIFUGIO LUIGI AZZONI m. 1860 - Vetta del Resegone (Punta Cermenati m. 1875). Bellissimo punto di vista su tutta la Brianza e il lago. Funivia Lecco/Erna. Da lunedì a venerdì tel. 335 6361803 Sabato e domenica tel. 0341 285195 Custode: MAURIZIO VALSECCHI RIFUGIO ALBERTO GRASSI m. 2000 - Al Passo di Camisolo (Pizzo dei Tre Signori, m. 2544). Monumento alpino, ricorda tutti i Caduti della Patria. Tel. 348 8522784 Custode: ANNA BORTOLETTO www.rifugiograssi.it RIFUGIO SASSI-CASTELLI m. 1650 - Artavaggio (Gruppo Zuccone Campelli, m. 2170). Posto al centro dei campi da sci è importante punto di partenza per ascensioni e traversate. Funivia da Moggio. Tel. 0341 996084 - Tel. 338 3348920 Custode: DANIELE SERGIO ALUVISETTI sel “Poste Italiane - sped. in abb. postale - art. 2 comma 20/C legge 662/C Lecco” Notiziario SEL n. 1 Gennaio-Aprile 2012 NOI DELLA SEL SEL SOCIETA’ ESCURSIONISTI LECCHESI FONDATA NEL 1899 SEZIONE SCI DAL 1908 23900 LECCO via Roma 51 – Tel. e Fax 0341.283075 – e.m. [email protected] – www.sel-lecco.it • Elia Invernizzi si è aggiudicato il Primo Premio nel Concorso Diocesano Presepi per le Parrocchie. Ha ricevuto il Premio a Milano il 22 gennaio scorso. Il suo presepio allestito, ormai da anni in occasione del Natale, nella Chiesa Parrocchiale di San Giovanni, è stato visitato da centinaia di persone, riscuotendo grandi consensi e complimenti. Quest’anno, il presepio era ambientato nel rione lecchese di Pescarenico, in riva all’Adda, in piazza Era. Naturalmente con il Resegone sullo sfondo che, nell’arco della giornata, assumeva spettacolari colori e luci. • La sera di venerdì 16 dicembre, in una sede stipata di soci, Monsignor Franco Cecchin, Prevosto di Lecco, ha impartito la benedizione natalizia. La serata si è conclusa con brindisi, panettone e scambio di auguri. N. 1 GENNAIO/APRILE 2012 Gli scritti di questo numero del notiziario sono di: Danilo Aluvisetti, Piera Bonaiti, Ambrogio Bonfanti, Pippo Cattaneo, Paolo Fiocchi, Dino Piazza, Maurizio Pontiggia, Nipoti Corti, Cristina Nava, Giancarlo Valsecchi. • Il prato che dalla strada provinciale scende sul piazzale del rifugio SEL ai Piani Resinelli, è stato abbellito con aiuole d’erica e sempreverdi. Ha offerto il lavoro l’azienda “Punto Verde” dei Piani Resinelli. E’ stata posta, nel mezzo, per opera di Enrico Zappa, padre di Luana, gestore del rifugio, la statua di una Madonnina. Anche Luana, ormai provetta cuoca, ha riscosso complimenti e gratificazioni, organizzando pranzi a tema, assai frequentati. Si sono gustati squisiti bolliti, “busecca”, cacciagione e altre specialità. A fine pasto non manca mai la “miascia”, una dolcezza mandellese. Grazie a chi ci ha dato una mano, complimenti a tutti! • Alba Villa, storica segretaria della SEL, è passata in su. I soci, partecipando numerosissimi alle sue esequie hanno dimostrato quanto l’amassero. (articolo in altra parte del Notiziario). • Giovanni Canella, socio per molti anni, simpatico e cortese frequentatore delle nostre gite, instancabile camminatore, ci ha lasciato. • Valeria Bettocchi ha dovuto subire la perdita dell’amato padre Mosè, insostituibile sacrestano di Moggio Valsassina, memoria storica del paese, dispensatore di saggi consigli ad una numerosa folla di nipoti. In agosto aveva tagliato il traguardo dei 100 anni. Le fotografie sono di: Ambrogio Bonfanti, Giovanni Bonfanti, Pippo Cattaneo, Fotoottica Lariana, Gruppo Gamma, Mauro Lanfranchi, Cristina Nava, Dino Piazza, Angelo Ripamonti, Giancarlo Valsecchi, Archivio SEL. In copertina. Notturno invernale al rifugio Alberto Grassi, Passo di Camisolo m 2000, a guardia del Pizzo dei Tre Signori m 2554. Fotografia di Mauro Lanfranchi. • Monsignor Melezio Mauri, amico del Presidente Stefano Giudici, è salito in Paradiso. Lo ricordiamo per le numerose sue Messe celebrate ad Artavaggio e al Rifugio Sel Rocca Locatelli, in occasione di diverse nostre manifestazioni. Per tanti anni Rettore del Collegio Arcivescovile di Porlezza. Nel 1970 fu chiamato in Curia a Milano, dove assunse incarichi nell’ufficio amministrativo; tornò poi ad impegnarsi nella realtà lecchese e in stretto rapporto con l’allora Arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, promosse l’esperienza della “Casa del Clero” realizzata recuperando Villa Aldè, una donazione che era stata lasciata alla Curia e che ospita tuttora i sacerdoti anziani. Attualmente, Monsignor Mauri, 90 anni compiuti, ne era l’amministratore. • Rosy Fiocchi, moglie dell’ingegner Riccardo e mamma di Silvia, Costantino, Barbara e Luisa, ha dovuto soccombere alla malattia che la crocifiggeva da dieci anni. La sua vita è stata sintetizzata in “buon senso e cuore”. Ne aveva tanto, sia di cuore che di buon senso, spesi anche generosamente come consorella della Conferenza di San Vincenzo. • Luigi Milani è in lutto per la perdita improvvisa della moglie Giuseppina. La “Pina” com’era per gli amici, sarà ricordata per la sua simpatia e generosità, spesa anche nell’assistenza agli ammalati e per l’impegno nel sociale. Era conosciuta per essere stata una delle prime imprenditrici donne di Galbiate, avendo dato vita nel 1973 alla ditta metallurgica tuttora fiorente. • L’architetto Aurelio Bergonzi ha perso l’amata moglie Giuditta Rossi. Notiziario SEL n. 1 Gennaio/Aprile 2012 Direttore Responsabile Ambrogio Bonfanti, e.m. [email protected] Autorizzazione Tribunale di Lecco 15/04/1948 – Stampa Editoria Grafica Colombo SRL - Valmadrera Eleviamo un mesto pensiero a ricordo di coloro che ci hanno lasciato ed esprimiamo ai familiari le più sentite condoglianze. UN RITO CHE SI RINNOVA DA 113 ANNI E siamo ancora qui. Nella sala gentilmente concessa dall’Associazione Piccole e Medie Industrie di Lecco, che si ringrazia sentitamente per l’ospitalità che viene data da tanti anni, per sentire quello che il Consiglio della SEL ha combinato nel trascorso anno 2011 e, se è il caso, rinnovarne la fiducia. E’ la sera del 10 febbraio, nonostante il freddo pungente la sala è al completo. Molti soci non hanno avuto paura e sono arrivati. C’è anche da rinnovare il Consiglio direttivo per il corrente triennio 2012-14, si sussurra che ci sarà un sostanziale cambiamento, si lascino lavorare i giovani. La riunione inizia regolarmente con la nomina del Presidente dell’Assemblea: Mario Dell’Era. Egli, dopo l’approvazione del verbale della precedente Assemblea, dato per letto perché non c’è e non si sa dove sia finito, da subito la parola al Presidente uscente, Pier Antonio Mangioni che legge la Relazione morale dell’anno 2011 “Cari amici anche quest’anno iniziamo con il ricordo dei nostri amici che ci hanno preceduto: Dionigi Minonzio, Ercole Regondi, Umberto Panzeri, Giuseppe Rocchi, Enrico Maroni, Natale Brambilla, Armando Pirovano, Gianfranco Mauri, Piero Riva ed Emma Rocca Bonfanti. Per festeggiare i 113 anni della nostra associazione ci siamo ritrovati, come ormai da consuetudine, alla Casa sul Pozzo per una simpatica cena. Avremmo desiderato festeggiare il nostro socio e valido aiuto Valerio Valsecchi, ma sfortunatamente proprio quel giorno si è ammalato. Non appena starà meglio gli consegneremo un segno di ringraziamento che abbiamo fatto fare per lui. Ospiti della serata sono stati il consigliere comunale Casto Pattarini, in rappresentanza del sindaco Virginio Brivio, e l’ing. Paolo Fiocchi, a nome della sua famiglia che ha sempre sostenuto la nostra associazione. Mariagrazia, Giusi e Paola hanno presentato tutti gli incartamenti per poter partecipare ad un bando regionale sui rifugi che promette di finanziare diversi lavori di adeguamento. La Comunità montana ha esaminato le pratiche e ci ha comunicato che le nostre domande sono state tutte ammesse. Ora aspettiamo di conoscere quale e quanto finanziamento la regione Lombardia ci assegnerà. Le domande per partecipare a questi bandi sono state fatte per avere la possibilità di mettere a norma e risanare i nostri rifugi. Tutte queste pratiche hanno richiesto un notevole impegno da parte dei nostri tecnici. Li ringraziamo per il loro assiduo dedicarsi alla società. I nostri rifugi sono sempre al primo posto nei nostri pensieri. La novità di quest’anno è stata il cambiamento della gestione del rifugio Sassi Castelli: in giugno Danilo Aluvisetti ha inaugurato il rifugio insieme a Massimo e Serena. Questo cambio ci ha, chiaramente, costretti a mettere a norma i locali: ab- biamo provveduto all’allacciamento dell’acqua potabile e al rifacimento dell’impianto di riscaldamento generale che ora funziona a GPL. Per il nuovo generatore del riscaldamento e per un altro generatore, più piccolo, per l’acqua calda, è stato necessario adattare a locale macchine e servizi uno spazio coperto sul retro del fabbricato con accesso dall’esterno. Inoltre per la mezza stagione sono state installate due stufe a pellet (nel bar e nel ristorante); abbiamo provveduto a modificare ed aggiornare l’impianto elettrico per metterlo a norma. Abbiamo inoltre provveduto ad asportare l’eternit che ricopriva la parete nord dell’edificio e l’abbiamo sostituito con materiale di lamiera imbottita di poliuretano espanso. E’ stato completamente rifatto un muro di sostegno sotto il terrazzo e relativa balaustra, creando così un allargamento dello spazio per gli ospiti. Ciò si è reso necessario anche per impedire lo scivolamento del terreno a valle. Il soffitto della sala da pranzo era rovinato ed abbiamo provveduto a rifarlo con materiale coibentato, insonorizzato ed ignifugo. Abbiamo rivestito di pietre una parete del locale bar per nascondere delle bruciature. Tutti questi lavori sono stati seguiti da Paola Frigerio e Giusi Negri che essendo ingegneri edili ci hanno aiutato anche nell’espletamento delle pratiche. A loro va il nostro ringraziamento per il lavoro svolto e anche per quello che le impegnerà nel futuro. I nostri volontari ci hanno sostenuto in tutti questi lavori offrendoci il loro tempo. Ringraziamo Valerio, Augusto, Angelo Riva, Angelo Limonta, Francesco, Domenico e i nuovi acquisti Paolo, Leonardo e Tommaso. Alcuni amici di Monguzzo ed Erba hanno realizzato per la Sassi Castelli sei tavoli che abbiamo già posizionato sul terrazzo del rifugio: anche a loro va il nostro grazie, speriamo che continuino ad aiutarci! Il nostro rifugista Danilo con il suo staff ci ha sempre sostenuto offrendoci ospitalità (completamente gratuita!); inoltre si è impegnato ad ammodernare le camere da letto e a migliorare la sala Fiocchi. A piano terra ha già allestito una camera gioco per i bambini che ha avuto molto successo. Durante l’estate abbiamo restaurato l’esterno della Cappella Bettini ai Piani di Artavaggio grazie anche all’aiuto della Fondazione della Provincia di Lecco. Le opere in muratura sono state eseguite da una ditta specializzata, ma tutti i lavori di rifinitura e di pulizia anche dell’intera area sono state realizzate dai nostri volontari. Anche le parti interne di legno avrebbero bisogno di restauro e, per questo, speriamo nell’aiuto dei nostri volontari falegnami. Per il rifugio Azzoni sono continuate le trattative col Cai di Monza, proprietario, a sua insaputa, del terreno su cui appoggia parte del nostro fabbricato. Finalmente il 30 gennaio 2012 siamo riusciti a porre fine a questa grossa seccatura firmando il rogito per il trapasso del terreno. Purtroppo abbiamo avuto una sgradita sorpresa: ci è stato chiesto di dare al Cai una controparte in denaro, in quanto i suoi soci non avrebbero altrimenti ceduto il terreno. Ora dovremo pagare anche il notaio e finalmente potremo sistemare l’accatastamento del rifugio. Potremo quindi pensare ai servizi igienici per i quali abbiamo già ricevuto donazioni da parte di nostri soci. Per il rifacimento della soletta pericolante delle camere e l’adeguamento della cucina abbiamo partecipato al bando regionale per dei finanziamenti. Al rifugio Grassi dobbiamo mettere a norma il parafulmine che per ben due volte non ha protetto la cucina. Il nostro elettricista ha già mandato in quota il necessario per la messa a punto e non appena la stagione lo permetterà salirà a fare il lavoro. Se otterremo il finanziamento della Regione rifaremo i serramenti che sono obsoleti e lasciano entrare la neve in casa durante le bufere invernali. Anna e Amos hanno sistemato ulteriormente l’interno del rifugio ed hanno portato la corrente elettrica nelle camere. Se otterremo il finanziamento regionale potremo installare dei serramenti a tenuta termica al piano terra del rifugio Rocca Locatelli, visto che quelli attuali disperdono molto il calore. Il nuovo idraulico ci ha comunicato che l’impianto di riscaldamento nella parte locale caldaia non è a norma, dovremo provvedere alla sistemazione al più presto. Una porta a vetri, di nuova installazione, all’ingresso della scala, isola dai rumori della sala pranzo la sala superiore Carlo Villa. Valerio, Enrico Zappa e il cognato hanno sistemato i muri di sostegno del terreno adibito a cortile. I gestori hanno provveduto alla pulizia della pineta. Anche l’aiuola del piazzale è stata piantumata con fiori e Enrico ha costruito una bella edicola con la Madonnina. I gestori, per incarico della Comunità Montana, hanno preso in custodia il Campo da Tennis e la relativa gestione, provvedendo alla riscossione delle quote di utilizzo. Nell’estate il tennis ha modestamente funzionato. Li ringraziamo. Purtroppo in autunno Enrico è stato ricoverato in ospedale per un problema piuttosto serio e tuttora è in cura per la riabilitazione. Gli auguriamo una pronta guarigione. Augusto Marchetti accompagnato da vari soci ha partecipato alla festa per i 150 anni dell’unità d’Italia recandosi sulla cima del Resegone per accendere i fumogeni colorati a mezzogiorno, peccato che il brutto tempo non abbia permesso di vedere la loro impresa da Lecco. L’Assalto al Resegone 46° edizione si è svolto con una notevole partecipazione come ogni anno. La compagnia dei “Mai Stracc” di Parè di Como ha vinto anche quest’anno come gruppo più numeroso. Monsignor Franco Cecchin anche quest’anno è salito per celebrare la S. Messa, gliene siamo grati. La 6770 non è stata favorita dal bel tempo, tuttavia una quarantina di persone vi ha partecipato. La premiazione come al solito si è svolta al rifugio Rocca Locatelli con un pranzo molto partecipato da soci e simpatizzanti. La messa è stata celebrata da don Achille Gumier ed essendo novembre abbiamo ricordato i nostri soci defunti. La signora Wanda Frigerio ha continuato la tradizione del marito di donarci ottime castagne che i nostri soci hanno cotto, ringraziamo Valerio, Milo, Angelo Riva e Giorgio. Pippo Cattaneo ha organizzato gite molto interessanti. Ci aspettiamo che quest’anno le gite siamo ancora più partecipate dai nostri soci e amici. A conclusione dell’assemblea Pippo ci mostrerà una carrellata di foto selezionate e illustrerà le prossime gite: partecipate numerosi! I lavori che abbiamo fatto e che faremo vengono anche finanziati dagli introiti delle gite sociali e dalle quote associative. Per questo vi invitiamo a pubblicizzare le nostre gite presso i vostri amici. Se poi questi sono amanti della montagna invitateli ad iscriversi alla nostra società, ci aiuterete a tenere sempre attivi i nostri rifugi. Ringraziamo in particolare i rifugisti Anna, Danilo, Luana e Maurizio che, con i loro familiari, si impegnano attivamente nella gestione dei rifugi, anche proponendo sempre nuove attività che attirano amici e giovani ai loro rifugi. Ringrazio il Consiglio Direttivo e i Revisori dei conti che mi hanno sostenuto in questi tre anni, i nostri rifugisti che collaborano al buon nome della Sel col loro lavoro, i collaboratori del notiziario diretto da Ambrogio Bonfanti e coadiuvato da Franco Nattan, tutti i volontari che ci hanno aiutato permettendoci di abbattere i costi. Ringrazio anche la stampa locale che da sempre ci segue pubblicizzando le nostre iniziative. Scusatemi se ho dimenticato qualcuno, ringrazio tutti per la collaborazione e spero che il prossimo Consiglio possa continuare e portare a termine quanto è stato iniziato”. E’ stata poi la volta del Tesoriere Enrico Bonaiti che ha presentato il bilancio consuntivo 2011 e preventivo 2012 dando ampie spiegazioni su ogni voce. La relazione al bilancio 2011 del Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti, Vito Benzoni, è stata pure seguita attentamente: “Egr. Soci, Signore e Signori, Il Tesoriere Vi ha presentato il rendiconto-bilancio al 31-12-2011. Vi informiamo che il predetto documento è stato verificato e controllato dai sottoscritti ed i dati esposti corrispondono alle risultanze della documentazione sociale. Abbiamo partecipato alle riunioni di Consiglio, non mancando in ogni occasione di esternare le nostre posizioni in merito ad ogni discussione coinvolgente gli aspetti finanziari e contabili, nell’ottica di una oculata gestione del vostro patrimonio. L’esame delle procedure utilizzate conferma l’adeguatezza delle stesse alle specifiche caratteristiche della contabilità dell’Associazione. Le disponibilità liquide sono iscritte al valore nominale sulla base dell’effettiva giacenza di cassa e delle risultanze dell’estratto conto bancario. Le esigenze di gestione straordinaria hanno comportato l’assunzione di onerosi impegni. La collaborazione finanziaria momentanea dataci da alcuni Soci, peraltro non onerosa per la società e che dobbiamo ringraziare, ha consentito di far fronte agli impegni. Le nostre valutazioni sulla situazione attuale ci inducono ad affermare che la gestione ordinaria (tesseramenti, affitti ed altre minori entrate) consentirà alla Società, per il prossimo futuro, di ottenere quegli introiti sufficienti per copertura degli esborsi ordinari previsti, ivi compreso il pagamento a rimborso delle rate del prestito decennale richiesto, nonché la costituzione di qualche riserva. Relativamente alla gestione straordinaria abbiamo avuto conferma dal Credito Valtellinese della disponibilità a concederci un finanziamento di cinquantamila euro, rimborsabile in dieci anni. Quando si dovessero concretizzare i contributi regionali (già approvati dalle Comunità Montane competenti), allora potrà essere raggiunto un sufficiente equilibrio finanziario. Raccomandiamo agli Organi Sociali entranti un capillare monitoraggio dell’andamento di questa delicata gestione. Com’è noto, il nostro mandato è venuto a cessare alla fine del 2011. Abbiamo continuato comunque fino ad oggi la nostra opera di controllo ed appoggio di gestione. Ora non ci resta che augurare un proficuo lavoro al Collegio entrante, dando fin d’ora la nostra completa disponibilità di collaborazione. Ringraziamo il Presidente ed il Consiglio uscenti per la collaborazione, augurando al nuovo Presidente e Consiglio una serena gestione societaria. Nel ringraziare il Tesoriere per la disponibilità dataci in ordine all’espletamento delle nostre funzioni, il Collegio Sindacale esprime parere favorevole all’approvazione del bilancio al 31-12-2011. Il Collegio dei Revisori di Conti: Rag. Vito Benzoni, Presidente. Rag. Ambrogio Bonfanti, Revisore, Amleto Locatelli, Revisore” Approvate all’unanimità le varie relazioni, sono state distribuite le schede, procedendo quindi alle votazioni per la nomina del nuovo Consiglio Direttivo e, dopo che il Vicepresidente uscente Pippo Cattaneo aveva illustrato il programma del Camminasel 2012, ricco di iniziative e nuove escursioni, a scrutini ultimati, il Presidente d’Assemblea ha letto i nomi degli eletti. Il Consiglio Direttivo dell SEL per il triennio 2012-2014 rimane così composto (nell’ordine) Mangioni Pier Antonio Cattaneo Filippo Negri Giuseppina Marchetti Augusto Bolis Laura Riva Angelo Colombo Mauro Nattan Franco Negri Milo Cappelli Eugenio Colangelo Domenico Riconfermati i Revisori dei Conti: rag. Vito Benzoni, rag. Ambrogio Bonfanti, Amleto Locatelli. Un simpatico rinfresco, offerto dalle esperte pasticcere seline, con adeguate libagioni, ha posto fine alla partecipata serata. In successiva riunione, la sera del 20 febbraio, venivano nominati: Presidente Pier Antonio Mangioni Segretario Eugenio Cappelli Tesoriere Mauro Colombo. Vice Presidenti Filippo Cattaneo, ing. Giuseppina Negri. Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti, rag. Vito Benzoni. Addetto stampa e Direttore del Notiziario sociale, Ambrogio Bonfanti. Ispettori dei rifugi: rifugio S.E.L. Rocca Locatelli, rag. Vito Benzoni, rag. Ambrogio Bonfanti; rifugio Alberto Grassi, Domenico Colangelo, Angelo Riva; rifugio Arnaldo Sassi-Nino Castelli, ing. Paola Frigerio, Augusto Marchetti; rifugio Luigi Azzoni, Laura Bolis, Milo Negri. 113 anni dal 1° febbraio 1899 S on passati centotredici anni dal giorno in cui il Prealpino, settimanale lecchese, dava l’annuncio che un manipolo di baldi giovanotti, staccatosi dalla Società Alpina Operaia Antonio Stoppani, aveva fondato una nuova società alpinistica. Infatti, l’articolo 1 dello Statuto sociale così recita: “Allo scopo di diffondere, facilitare e rendere l’alpinismo popolare, si è costituita il 1° febbraio 1899, la Società Escursionisti Lecchesi”. Primo Presidente fu Battista Turba. Ne è passata di acqua sotto i ponti, ne sono successe di tutti i colori, ma la nostra SEL continua ad essere fedele al suo Statuto. E così, sabato sera 4 febbraio ci siamo riuniti presso il ristorante de “La Casa sul Pozzo”, nel rione di Chiuso, per ricordare la storica data. Si è trattato di un simpatico incontro tra soci giovani e “diversamente giovani” che, se pur non numerosissimi, hanno avuto modo di conoscersi, scambiarsi ricordi, rievocare episodi di passate escursioni, e soddisfare l’appetito con un eccellente menù. Regista della serata la signora Lorenza Frigerio, nostra attivissima socia, che della Casa sul Pozzo è instancabile sostenitrice. Dopo l’immancabile gruppo fotografico con il Presidente Pier Antonio Mangioni, con Casto Pattarini rappresentante del Sindaco di Lecco e con anche l’ing. Paolo Fiocchi in rappresentanza di una famiglia che alla SEL è sempre stata generosa d’aiuto, è arrivata in tavola una sfilza di leccornie sotto forma di antipasti, cui hanno fatto seguito gustosi piatti di pasta, carne e relativo dessert. Non è mancato il necessario e vario innaffiamento. Assente, per improvvisa indisposizione, Valerio Valsecchi, competente e instancabile manutentore dei nostri rifugi. A lui è stata riservata una targa di riconoscimento per la sua preziosa attività, targa poi consegnata, dal Presidente, al domicilio del premiato. In chiusura della serata non sono mancati i saluti del Presidente e del rappresentante del Sindaco. E’ doveroso segnalare anche la disponibilità di Mario Marai, della Fotoottica Lariana, sempre presente ad ogni manifestazione selina, è sua anche la foto pubblicata che ritrae un gruppo di convitati, e sempre pronto ad immortalare ogni avvenimento importante. Naturalmente, come si dice a Lecco “a gratis”. Grazie a tutti! a.b. VIAGGIO A REUNION, ma… dov’è? Ottobre 2011 La primavera scorsa, pensando a dove andare quest’anno per un bel viaggio, Sergio lancia l’idea di Réunion. Tutti ci chiedevamo dove fosse e di che cosa si trattasse perché nessuno ne aveva mai sentito parlare. E’ presto detto: Réunion è un’isola nell’oceano Indiano. Poco più a sud di Mauritius e più ad est del Madagascar. Un’isola tropicale sola soletta di forma pressappoco arrotondata grande il doppio dell’isola d’Elba. E’ un dipartimento francese, in pratica Francia a tutti gli effetti, ci si va con la carta d’identità, anche se la separano 11 ore di volo dalla madrepatria. Scoperta proprio dai francesi intorno al 1600 era disabitata, così sono stati importati degli schiavi dal vicino Kenya e dal Sudafrica per lavorarne la terra. Dopo la ribellione dalla schiavitù è stata la volta degli indiani e poi dei cinesi. Il tutto, insieme ai francesi, ha creato una mescolanza unica di razze che hanno portato ad avere attualmente una maggioranza della popolazione creola con una lingua propria anche se il francese è la lingua ufficiale. Réunion non è piena di spiagge come ci si aspetterebbe, perché si tratta di un’isola vulcanica, c’è quasi in centro un vulcano estinto da millenni che si chiama Piton des Neiges (Pizzo delle nevi, anche se la neve è un evento eccezionale) ed è alto poco più di 3000 metri. Il collasso delle pareti del vulcano ha creato 3 depressioni che si trovano tra i 1000 e i 2000 metri d’altitudine e sono chiamati “cirque”; c’è il cirque de Mafate, il cirque de Cilaos e il cirque de Salazie. Noi abbiamo fatto un trekking e abbiamo visitato tutti e tre i cirque trasferendoci da uno all’altro con passi fino a 2500 metri ed abbiamo anche raggiunto la vetta del Piton des Neiges all’alba per uno spettacolo indimenticabile. Eravamo in 13 di cui parecchi selini, insieme con me c’erano Sergio, Tullia, Anna, Augusto, Giulia, Laura e Giuliana ed altri amici. Partiti da Lecco il 23 ottobre abbiamo volato fino a Parigi per poi arrivare a Saint Denis, piccola capitale dell’isola. Subito il giorno successivo siamo partiti con gli zaini in spalla per portarci ai 2000 metri dove era posto il primo rifugio. In totale abbiamo fatto dieci giorni di cammino con una media di sei ore al giorno sulle nostre gambette. Siamo stati molto fortunati perché non ha mai piovuto, anzi abbiamo avuto delle giornate stupende. Le guide dicevano che durante le ore più calde all’interno dell’isola, dove ci sono le montagne e quindi dove camminavamo noi, tutti i giorni ci sarebbe stato un addensamento di nuvole con piogge... e invece niente! Sempre cielo terso, tanto è vero che poco sopra le nostre teste ad un certo punto è partito un incendio che gli elicotteri sono riusciti a domare solo dopo parecchi giorni. Per contro faceva parecchio caldo durante il cammino, soprattutto nelle salite assolate e con poca vegetazione. Gli schiavi che tempi addietro si sono ribellati ai padroni sono scappati all’interno dell’isola creando dei piccoli paesi che ancora oggi sono abitati, coltivati e collegati tra loro da parecchi sentieri. I francesi hanno sfruttato magnificamente questa cosa creando delle “Grandes Randonnées” che passano e fanno tappa in questi paesi, di modo che l’ospitalità è data proprio dai “maron” che abitano gli altipiani. Solo in un paio di punti abbiamo dormito in veri e propri rifugi, altrimenti eravamo sempre alloggiati in “cabanon” mol- to belli e puliti, dotati di letti a castello, coperte e lenzuola, docce con acqua calda... e pure cene buone ed abbondanti! La varietà delle pietanze non era ampia, si mangiava sempre riso bianco e “poulet” (pollo) cucinato in tutte le maniere ma sempre appetitoso. Terminato il nostro peregrinaggio ci siamo trasferiti al mare, anzi all’oceano, e ci siamo rifatti con scorpacciate di espadon (pesce spada) e tonno pescati freschi! Come dicevo non ci sono delle grandi spiagge perché la costa è spesso frastagliata e rocciosa. Davanti al nostro albergo c’era una bella laguna protetta dalla barriera corallina, ma era lunga solo qualche chilometro, per il resto anche dove la costa sembrava accessibile in realtà c’erano onde molto alte adatte ai surfisti. E poi c’era anche il pericolo dei pescicani! Certo non ci siamo crogiolati sulla spiaggia per i quattro giorni rimanenti, ma abbiamo noleggiato delle auto e siamo andati a visitare le cittadine lungo la costa e soprattutto la cosa più bella: il vulcano, il Piton de la Fournaise. Ebbene sì, a sud dell’isola c’è un vulcano stile hawaiano ancora attivo, tipo il nostro Etna, che a volte è calmo e tranquillo e ci si può salire per comodo sentiero fino al bordo del cratere, altre volte invece erutta e la lava può arrivare fino alla costa. Ultimamente ci sono eruzioni ogni due anni. Durante la nostra visita era tutto tranquillo, così si è potuto salire per questo sentiero molto particolare, sette ore di camminata sempre sulla lava solidificata, una sensazione particolare, a volte sembrava addirittura di camminare su vetri in frantumi! Un’altra cosa stupenda di questo viaggio è stata la vegetazione, nei cirques, grazie alla fertilità della lava e al clima tropicale è cresciuta una foresta primordiale che sembra quella di Tarzan... e poi quanti fiori... tantissimi e stupendi… orchidee spontanee, calle, fucsia... Giuliana, la nostra esperta botanica, grande amante dei fiori, perdeva la testa e non so quante foto abbia scattato! Nonostante la fatica ci siamo divertiti tanto, ci siamo “lustrati gli occhi” davanti a tante meraviglie della natura e tutto è andato per il meglio. Alla prossima. Chichi IL TRAUMA CRANICO durante le escursioni in montagna Il nostro Socio dottor Maurizio Pontiggia, stimato, valente neurochirurgo e neurologo, ha scritto per il Notiziario questo interessante articolo. A noi, che abbiamo ripreso nella bella stagione ad andar per monti, ci potrà essere utile, Dio non voglia, in caso di eventuali, funeste necessità. Ne facciamo prezioso compagno di escursioni. Quando si affrontano delle escursioni in montagna anche se non sono particolarmente impegnative e si percorrono sentieri facili non esposti è sempre in agguato la possibilità di procurarci un trauma cranico. Prima di prendere in esame i vari tipi di traumi vorrei introdurre alcuni concetti semplici di anatomia topografica per descrivere le varie possibilità di traumatismo. Brevi appunti d’anatomia topografica La nostra testa, il nostro capo è diviso in maniera assolutamente stagna in due parti che non si mescolano tra loro, da una parte il NEUROCRANIO composto dalla scatola cranica, fatta di osso, propriamente detta e dal cervello che è contenuto e galleggia in un sacchetto di cellofan ripieno di acqua, il sacchetto è chiamato dura madre, il liquido, liquor cerebrospinale, ed ha la consistenza e l’aspetto dell’acqua pura e limpida. La scatola cranica, il liquor e la dura madre, che è una tela resistentissima, hanno il compito di proteggere il nostro cervello dai traumi. Nel cranio il nostro cervello è protetto da vari strati di materiali diversi, 1) l’insieme dei capelli, il capillizio, 2) il cuoio capelluto, 3) la galea, 4) la teca cranica, 5) la dura madre. Quando indossiamo il casco aggiungiamo un ulteriore strato protettivo che può diventare molto importante in caso di trauma e va sempre indossato quando si percorrono sentieri esposti, passaggi di rocce con catene o ferrate. L’altra parte del capo è composta dallo SPLACNOCRANIO e comprende la faccia con le orbite e gli occhi, la bocca con la mandibola, le orecchie, il naso, quindi l’osso della nostra faccia ha tante concamerazioni, i così detti seni: mascellari, frontali mastoidei. Questi organi e questi seni sono in contatto tra di loro ma assolutamente separati dalla scatola cranica. Le fosse nasali, le orbite degli occhi, i padiglioni auricolari con i condotti uditivi esterni, sono zone molto delicate, e rappresentano dei punti poco resistenti ai traumi specialmente da quelli provocati da oggetti appuntiti. IL TRAUMA CRANICO MINORE Per prima cosa vorrei parlare dei traumi cranici cosi detti minori, che sono i più frequenti, e che non comportano gravi sfondamenti della scatola cranica, lacerazioni del cervello della dura madre, perdita di liquor o stato di coma. Per quanto riguarda l’eziologia, cioè come si produce il trauma, è sempre valida la distinzione fra due gruppi di traumi: 1) Il trauma cranico viene definito DIRETTO, quando è il cranio che viene colpito direttamente da un corpo contundente, per esempio da un sasso che si stacca da una parete di roccia (bisognerebbe portare sempre un casco di protezione). 2) Il trauma cranico INDIRETTO quando il cranio urta contro un ostacolo, per esempio quando si scivola e cadendo a terra si colpisce il cranio. Trauma cranico diretto: le modalità più frequenti con cui ci si procura un trauma cranico diretto sono quando il cranio viene colpito da un sasso acuminato, da una punta di picozza o da altri oggetti duri e taglienti, come coltelli, falcetti, martelli od altri oggetti impensabili, per esempio l’elica di un motore di una barca se l’escursione, magari, ha previsto un bagno in un lago alpino, per esempio in Engadina. La ferita che si provoca al cuoio capelluto in questi casi è generalmente piccola, della lunghezza di uno o due centimetri ma molto profonda nel tessuto pericranico del cuoio capelluto, per cui è difficile da individuare la fonte del sanguinamento, ma il sangue è sempre molto abbondante. Il sangue scorre lungo la capigliatura ed essendo la testa rotonda si raccoglie in posti che non corrispondono alla ferita, spesso il sangue cola sugli occhi (rendendoci ciechi), lungo la faccia, nelle orecchie o lungo il collo bagnando i vestiti, non si riesce a capire da dove viene, ma è sempre molto abbondante. In questi casi bisogna avere un certo sangue freddo e fare passare con calma ciocca dopo ciocca per trovare la ferita per cercare in ogni modo di tamponarla e fermare l’emorragia. 10 Bisogna assolutamente fermare l’emorragia premendo con forza contro la teca cranica ossea un fazzoletto ma anche un dito o la mano nuda o un indumento qualsiasi, senza preoccuparsi della pulizia della ferita che si farà in un secondo tempo. Bisogna ricordare che il sangue impiega almeno cinque minuti per coagulare e per essere fermato, quindi bisogna guardare il tempo con un orologio, continuare a tamponare ed aspettare con pazienza che passi questo lasso di tempo, perché in queste situazioni sembra che il tempo non passi mai. Oggi molte persone sopra i sessantanni usano farmaci anticoagulanti, la più diffusa è la Cardioaspirina o addirittura il Coumadin, in queste persone occorre tenere presente che il tempo della coagulazione del sangue raddoppia per cui il tamponamento deve essere molto più lungo. Un trauma cranico diretto può anche essere mortale quando una scarica di sassi colpisce uno scalatore in parete, se i sassi cadono da una grande altezza oppure sono grossi, colpiscono e deformano il casco con una forza tremenda, lacerano la scatola cranica dello scalatore, provocando fratture craniche mortali. Trauma cranico indiretto: generalmente ci si procura questo traumatismo picchiando la testa contro un oggetto duro, per esempio contro un soffitto basso, oppure cadendo a terra e urtando un sasso o sul pavimento. Generalmente in questi casi non ci si procura una ferita sanguinante ma un’abrasione od una contusione per cui il cuoio capelluto è molto dolente, arrossato e ben presto diventa gonfio e duro per la presenza di una reazione periostale. Durante questo tipo di trauma il capo urta violentemente contro un ostacolo e la forza del colpo si trasmette a tutto il cervello che vibra all’interno della dura madre e nel liquor, la forza dell’urto provoca cefalea, stordimento, confusione, nausea e vomito, e siccome tutta la massa cerebrale viene scossa spesso si presenta un periodo più o meno lungo di perdita di conoscenza. IL TRAUMA CRANICO MAGGIORE. Si definisce maggiore quando il trauma cranico provoca estese ferite che interessano il cuoio capelluto e la galea, con fratture lineari od affondate della teca cranica e lacerazione della dura madre, fuoriuscita di materiale cerebrale, perdita di liquor dalle fosse nasali o dalle orecchie, stato di coma che si instaura subito dopo il trauma e perdura nel tempo. Questo tipo di trauma cranico diretto od indiretto che sia, nella mia esperienza, raramente si verifica durante una escursione, sono molto frequenti nella traumatologia della strada, per esempio in seguito a traumi da caduta dalla moto, gravi incidenti d’auto, oppure traumi dovuti a precipitazione da caduta durante le scalate. Per il trattamento di questi traumi cranici gravi e complessi bisogna fare intervenire medici specializzati in Anestesia e Neurorianimazione il più presto possibile, utilizzando prontamente il Servizio del Soccorso del 118. CONSIGLI PRATICI PER IL SOCCORSO DI UN TRAUMATIZZATO CRANICO Dopo aver preso in esame la svariata tipologia di traumi cranici, si possono riassumere i consigli pratici per soccorrere correttamente un trauma cranico, tenendo presente che l’ambientazione sia quella di una comune escursione in montagna che attraversi prati, boschi, sentieri, anche impervi, ma sempre ben tracciati e battuti. La cosa da fare più semplice per orientarsi è quella di osservare ed interrogare il paziente per rendersi conto del suo stato di coscienza. - Interrogare il paziente: caso di paziente sveglio. Si pongono delle domande molto semplici, per esempio bisogna chiedere al paziente il nome, il luogo dove abita, quando è nato, com’è successo il fatto. Se il paziente collabora, risponde a tono, si definisce il paziente “sveglio”, questo è un segno che non ci sono lesioni cerebrali interne pericolose. A questo punto si deve esplorare la regione d’impatto della forza traumatica. In presenza di un paziente sveglio con trauma minore chiuso è necessario, appena possibile, apporre la borsa del ghiaccio nella zona di impatto per limitare i danni locali del cuoio capelluto. Se il paziente è sveglio con trauma minore aperto, quando ci sono sanguinamenti, ferite da taglio o lacero-contuse del cuoio capelluto, è necessario, per prima cosa, come abbiamo già descritto, fermare l’emorragia con ogni mezzo a disposizione, poi in un secondo tempo pulire e medicare la ferita. - Interrogare il paziente: caso di paziente disorientato o confuso. Se alle domande semplici il paziente appare confuso, disorientato perché non si ricorda che giorno è, oppure non sa dove si trova, oppure non ricorda come è avvenuto il trauma, presenta in termini tecnici un stato di amnesia retrograda per i fatti avvenuti prima dell’incidente, oppure circa l’accaduto, siamo di fronte ad un paziente con disturbi dello stato di coscienza, dovuti ad una commozione cerebrale. La commozione cerebrale può essere di grado lieve se la durata dell’amnesia è inferiore ai 30 minuti, in questo caso non richiede particolari provvedimenti, oppure se la durata dell’amnesia è più lunga la commozione ce- 11 rebrale risulta più grave e richiede un sollecito ricovero per una osservazione ospedaliera per circa 24 ore. Bisogna tenere sempre sotto osservazione un traumatizzato cranico, anche se lieve, ed interrogarlo frequentemente perché in alcuni casi un paziente sveglio dopo alcune ore dal trauma può presentare disturbi della coscienza, diventare confuso, presentare cefalea e vomito; questi sintomi vanno riconosciuti perché sono il segnale di una complicanza intracerebrale, per esempio il formarsi di un ematoma intracranico, in questo caso bisogna organizzare un soccorso con ricovero ospedaliero immediato. - Interrogare il paziente: caso di paziente in coma “da subito”. In questo caso il paziente, subito dopo il trauma, non è collaborante, non risponde alle domande semplici, rimane immobile senza muoversi anche se lo si stimola con stimoli dolorosi forti, tipo pizzicotti ai muscoli delle spalle, sembra in uno stato di sonno profondo, gli occhi sono in genere chiusi, se si alzano le palpebre si noteranno le pupille dilatate, e se si toccheranno le congiuntive si noterà che non ci sarà nessun ammiccamento, questo è lo stato di coma che denota un grave danno cerebrale, il paziente è in pericolo di vita, è necessario un ricovero ospedaliero immediato tramite il Servizio del 118. Nel frattempo, in attesa del soccorso, è importante che il paziente sia messo su di un fianco, perché quasi sempre vomita e bisogna che il vomito esca fuori dalla bocca per non ostruire le vie aeree, situazione che porterebbe il paziente al soffocamento. Concluderei questa panoramica sul trauma cranico prendendo in considerazione le Linee Guida per la chiamata del Servizio d’Urgenza del 118. Il Servizio del 118 va usato con competenza e precisione senza inutili abusi, visto l’altissimo costo umano e materiale del Servizio. Bisogna chiamare il 118: - In presenza di traumi cranici anche minori con importanti emorragie irrefrenabili. - In presenza di traumi maggiori con paziente in coma. - In presenza di malati che sono svegli subito dopo il trauma, ma poi presentano un peggioramento dello stato di coscienza. Dr. Maurizio Pontiggia, Neurochirurgo, Neurologo. Il Camminasel… va… 25 marzo – siamo stati a Torino 15 aprile – in Val di Susa, alla Sacra di San Michele 27 maggio – la traversata da Sestri Levante a Moneglia 10 giugno – da Tirano a Poschiavo 24 giugno – da Isola a Splügen, lungo le antiche vie 21/22 luglio – il Grande Anello delle Pale di San Martino 9 settembre – sul Monte Guglielmo 23 settembre – al Monte Peghera sul Lago d’Idro … e tu che cosa aspetti a venire con noi ? 12 TIBET, AI CONFINI CON IL CIELO, tra natura e spiritualità Ottobre 2011 Ci siamo; finalmente dopo tanti mesi d’attesa e di preparativi, eccoci pronti in aeroporto a partire per un lungo viaggio nella notte che ci riporterà all’ormai ben conosciuta Kathmandu, punto di partenza per il nostro grandioso viaggio-avventura in Tibet. A differenza di altri viaggi in queste zone, quest’anno niente trekking ma una conoscenza più “comoda” di questo misterioso e affascinante Paese: dopo un breve soggiorno nella capitale nepalese per le formalità di rito necessarie per il rilascio del visto d’ingresso in Cina, saliamo a bordo del nostro piccolo autobus che sarà la nostra seconda casa per molti giorni. Dopo una sosta per visitare Bakhtapur, la terza città reale dopo Kathmandu e Patan, e forse la più bella con il suo intatto centro storico, percorriamo tutta la splendida valle che c’introduce verso le affascinanti vette himalayane e sostiamo per la notte in un accogliente lodge, quasi un miraggio nel fitto del bosco. Dalle grandissime vetrate delle nostre stanze possiamo solo intuire la maestosità della catena di monti, oscurata purtroppo da una cortina di nuvole basse, e anche l’appuntamento con la visione dell’alba il giorno successivo salta per la scarsa visibilità. Sarà però questa l’unica giornata di tempo perturbato durante tutto il viaggio e uno splendido sole con cielo blu cobalto ci accompagnerà per i prossimi giorni. Ancora un breve tratto stradale ed eccoci al ponte che segna il confine tra Nepal e Cina, dove la presenza cinese incomincia a farsi sentire in maniera massiccia: divieto di fotografare, controllo dei bagagli e molti militari in zona. Dopo le inevitabili attese, eccoci finalmente in territorio tibetano e l’emozione incomincia a crescere: il nostro programma, per permettere una migliore acclimatazione, prevede ora una sosta di due giorni presso il paese di Zhangmu, a quota 2300 metri d’altezza, da dove partiamo per un’escursione al villaggio di Nyalam (3650 metri), sede del monastero del poeta e mistico Milarepa che qui trascorse molto tempo a meditare in una grotta. Le visioni sulla catena himalayana e sulla valle da quassù sono veramente grandiose e, visitando il piccolo nucleo di case alla base del monastero, veniamo invitati da una signora a bere un tè nella sua casa, come ringraziamento per il lavoro dei medici presenti nel gruppo che le applicano una pomata lenitiva sulle mani tormentate dal sole e dal vento. La mattina del giorno successivo, accompagnati nuovamente da un cielo limpidissimo, proseguiamo il nostro viaggio lungo la Strada dell’Amicizia, oltrepassando i passi di Tong La (5050 m.) e Lalung La (4900 m.), dai quali si apre l’incredibile panorama sullo Shisha Pangma (8013 m.) e sul Cho Oyu (8201 m.), collegate da una serie infinita di cime minori ma non per questo meno belle. Non ho vergogna a confessare che, malgrado io abbia già vissuto numerose esperienze nelle valli himalayane, un panorama così maestoso ed esteso a 180 gradi non l’ho mai visto e una grande commozione mi prende, con relativa lacrimuccia… Dopo le inevitabili e numerose foto, scendiamo nella piana di Tingri (4200 m.), dove trascorriamo la notte in attesa della grande giornata di domani che ci condurrà al campo base dell’Everest versante nord, a quota 5200. Nella notte però un componente del gruppo subisce gli effetti dell’altura e decidiamo quindi, in accordo con il resto del gruppo, di evitare il pernottamento in quota sotto l’Everest e di scendere più in basso a dormire, una volta terminata la visita di questo magico luogo. Questa decisione comporta 13 una lunga giornata di trasferimento su strade sterrate, con arrivo a destinazione oltre le nove di sera, ma in questo modo possiamo mantenere unito il gruppo e regalare anche a chi ha avuto qualche problema di salute l’emozione di vedere così da vicino la montagna più alta del mondo. E poi ancora strada lungo valli meravigliose fino al Gyatso La, il passo più alto toccato nel nostro itinerario a quota 5220 per raggiungere infine Sakya, dove visitiamo uno dei più importanti monasteri del Tibet, sontuoso e raffinato: l’immensa sala di preghiera dove si riuniscono i monaci con le alte colonne lignee, le statue rivestite d’oro, le pareti affrescate di dipinti preziosi, suggeriscono un profondo senso di misticismo. Nei giorni successivi continua la nostra conoscenza di meravigliosi templi come quello del Tashi Lumpo, che domina il paese di Shigatse con i suoi tetti dorati, quello di Sha- 14 lu, che risale all’XI secolo e conserva un’antica atmosfera con meravigliosi affreschi per finire con lo stupa di Kumbum, presso il paese di Gyantse, il più grande esistente in Tibet con le sue magnifiche 73 camere affrescate da 27.000 figure dell’arte sacra buddista. Ancora due passi ci separano dall’arrivo a Lhasa: il primo è quello del Karo La, spettacolare valico a quota 5010 incassato tra i ghiacciai, superato il quale si scende verso il sacro lago di Yamdrok Tso, immenso specchio azzurro a quota 4300 metri per poi risalire verso il Kamba La (4794 m.), l’ultimo passo del nostro viaggio. Eccoci infine alla nostra meta, Lhasa, enorme città abitata da un milione di persone, dove sosteremo per tre giorni: arrivando dal silenzio delle montagne e dalla suggestione, e dal misticismo dei piccoli e grandi monasteri incontrati durante il nostro viaggio, l’impatto è piuttosto violento. Grandi edifici moderni, centri commerciali, larghissime strade piene d’auto rompono l’incantesimo vissuto nei giorni precedenti e siamo ben contenti di aver lasciato la visita della città al termine della nostra esperienza tibetana. Ma niente può scalfire l’immagine maestosa del Potala, l’imponente palazzo ex residenza invernale del Dalai Lama, uno degli edifici più maestosi e impressionanti dell’intera Asia al quale accediamo percorrendo una lunga scalinata: costruito in pietra, legno e terra è immenso ed i suoi 13 piani custodiscono oltre 1000 stanze e 10.000 cappelle. Estremamente suggestivi sono anche il vecchio quartiere commerciale di Barkhor, dove sorge lo splendido monastero del Jokhang, il cuore più antico di Lhasa con al suo interno più di 300 statue e i bellissimi monasteri di Deprung e Ganden, pochi chilometri fuori città, entrambi costruiti in luoghi particolarmente suggestivi. L’ultima visita prima di salire sull’aereo che, con un panoramico volo sopra la catena himalayana, ci riporta a Kathmandu è dedicata al castellomonastero di Jumbulakhang, l’edificio più antico del Tibet situato su uno sperone roccioso che domina la valle e dal quale lo sguardo d’insieme è veramente spettacolare. Riflessioni In Tibet la situazione permane molto difficile: i cinesi oggi sono in maggioranza numeri- ca in tutte le città, Lhasa compresa, grazie ad una deliberata politica d’invasione. E’ stata incentivata l’emigrazione dei cinesi in Tibet offrendo agevolazioni e stipendi migliori ed è stato imposto l’utilizzo della loro lingua. L’aspetto peggiore di questa politica sembra ora attenuato; sembrerebbero infatti diminuiti gli interventi di sterilizzazione forzata dei tibetani e, se pur con pesanti controlli, sembra anche più tollerata la pratica religiosa. In molte zone pastorali proseguono le politiche d’insediamento forzato dei nomadi, ma spesso senza un gran successo grazie al carattere particolarmente tenace di questa gente. In alcune regioni spesso le case del governo restano vuote, anche se le autorità escogitano diverse forme di pressione per cui nel tempo questo processo sta pian piano erodendo il tessuto sociale di queste popolazioni. In alcune scuole è utilizzato anche il tibetano, ma la lingua non viene studiata nelle scuole superiori, rimanendo così di fatto un idioma che nelle intenzioni degli invasori è destinato ad essere per gli emarginati, e nell’accesso al lavoro sono favoriti i cinesi. Ogni tibetano che desidera costruire una propria posizione professionale, aspirare al successo nelle organizzazioni statali o semplicemente avere una propria attività, è costretto ad adeguarsi alla lingua e ai costumi cinesi. Il Tibet è inserito nel contesto di una nazione cinese in fase di formidabile espansione: la ferrovia è ora giunta a Lhasa, favorendo un’accelerazione del progetto di assimilazione che è già in corso. Già nell’estate del 2006 i treni scaricavano a Lhasa una media di 4.000 cinesi al giorno e il Tibet sta così diventando un’importante meta del turismo interno. A Lhasa è ormai abituale vedere coppie cinesi in viaggio di nozze che si fanno fotografare davanti peratore stesso ospitava dei monaci tibetani a corte perché questi erano considerati i maggiori esperti per lo sviluppo di qualità e poteri spirituali. A fronte della situazione oggettiva, la maggioranza degli esuli è oggi realista ed auspica semplicemente che la gente di etnia tibetana possa trarre anche vantaggio dallo sviluppo che è in corso, vivere una vita più serena ed al Potala e, se si prende un taxi, è molto probabile che l’autista, quasi sempre cinese, non riconosca nemmeno il nome della cattedrale di Lhasa,“Jokhang”!! Se 1 cinese su 1000 decidesse di andare in Tibet… sarebbero un milione e mezzo di turisti l’anno! Per i cinesi, il Tibet è una meta importante, un luogo avvolto in un’aura di magia e permeato da un senso d’avventura, dove hanno avuto luogo molte delle loro vicende mitologiche. Prima della rivoluzione, l’im- usufruire della libertà di culto, obiettivi questi che potrebbero anche essere non così lontani. Il problema principale sta ovviamente nel grado di tutela ed autonomia della cultura e gli sforzi maggiori sono in questa direzione; il XIV Dalai Lama ha da tempo espresso ufficialmente questa posizione, chiedendo al governo cinese uno statuto autonomo più corretto di quello attuale. Nel quadro della situazione attuale non tutto sembra negati- 15 vo e ci sono ad esempio molti segni di una ripresa d’interesse nella cultura religiosa da parte degli stessi cinesi; ormai non è raro trovare monaci cinesi in pellegrinaggio nei luoghi sacri del Tibet ed alcuni si fermano nei monasteri per studiare. Ciò comporta un certo rifiorire dei centri monastici principali, per i quali in alcuni casi, anche per l’attrattiva turistica, vengono stanziati fondi per la ricostruzione. Ad esempio, il grande reliquiario d’oro dell’ultimo Panchen Lama custodito al Tashilhumpo a Shigatse è stato realizzato con una gran quantità d’oro che fu trafugata e recentemente restituita per questo scopo dall’autorità di Pechino. Anche lo storico monastero di Samye è stato ricostruito con l’aiuto dello stato e lo stesso accade in altre località. Molti di questi luoghi di culto, se pur ricostruiti, pulsano di grande forza spirituale perché sono stati restaurati o rifatti fedelmente, rispettando le antiche proporzioni e nei luoghi individuati dai Lama. Soprattutto sono stati vitalizzati dalla prodigiosa devozione dei tibetani che, nonostante il metodico tentativo di lavaggio del cervello perseguito in modo spietato ed ininterrotto per più di 50 anni, e che è tuttora in corso, appena è stata loro concessa l’espressione di culto, si sono precipitati ad affollarli, esprimendo una fede apparentemente inossidabile facendo prostrazioni, recitando incessantemente i mantra, accendendo lumi ad olio o 16 alimentati con il burro di yak, offrendo le sciarpe rituali, circuambulando i siti e toccando con la fronte altari, troni e piedistalli. Per comprendere la forza d’animo di questa gente si pensi ad esempio che a Ganden, nei pressi di Lhasa, il monastero e il grande reliquiario di Lama Tsong Khapa furono demoliti a cannonate dalle Guardie Rosse: appena fu possibile, i contadini dei vicini villaggi si recarono tra le rovine e passarono la polvere e le macerie granello per granello per trovare almeno alcune reliquie del Santo, riuscendo nel loro intento! Oggi il sacro Stupa è stato ricostruito ed almeno una parte delle reliquie è tornata al proprio posto. In Tibet ci sono anche moltissimi eremi e piccoli monasteri che sono stati riattivati senza aiuti ufficiali, dove monaci e asceti cercano di mettere in pratica gli insegnamenti tradizionali: una delle difficoltà che queste straordinarie persone hanno però avuto è stata l’assenza di maestri qualificati, perché quasi tutti i Lama detentori di teorie iniziatiche sono dovuti fuggire o sono stati uccisi. In tempi più recenti il contatto con i maestri sopravvissuti e i loro discepoli è diventato un po’ più facile e si riescono ad ottenere in vari modi molti testi sacri, di cui alcuni vengono ora stampati anche in Tibet. Per quanto riguarda le opere d’arte purtroppo la maggior parte è andata distrutta, tran- ne in alcuni luoghi che furono difesi dall’esercito dalle devastazioni delle Guardie Rosse, tra cui il Potala, il Tashilhumpo, il Kumbum di Gyatse ed altri. Molti affreschi furono invece salvati perché i luoghi di culto furono usati come granai e magazzini e i tibetani usavano accatastare le cose in modo da proteggerli. Alcune statue preziose, testi sacri ed altri oggetti furono sotterrati o nascosti in luoghi segreti e qualcuno di questi è riemerso ed è visibile, dando così l’opportunità al viaggiatore attento di poterli ammirare. Solo il tempo potrà dire cosa riserva il futuro a questo martoriato Paese delle Nevi. Certo, oggi come oggi, la situazione non sembra dar adito a grandi speranze. Però la Storia ci ha riservato spesso delle inaspettate sorprese. A volte anche positive. Vogliano gli dei che possa essere il caso del Tibet. Un altro pezzo di cuore è rimasto alle vette innevate degli Ottomila, che così benevolmente ci hanno accolti e accompagnati dall’inizio alla fine di questa grande avventura, il cuore è nei piccoli e sperduti villaggi dove la vita ha un sapore e un ritmo a noi sconosciuti, nelle grotte sacre, nei sentieri di montagna, nel sorriso cortese dei monaci bambini ed in quello degli anziani. A loro, al Tibet: “TASHI DELEG” (che la buona sorte ti accompagni). Pippo Cattaneo Restituito ai visitatori il Forte di Fuentes Grazie al sostegno della Provincia di Lecco e all’impegno dei volontari, la seicentesca fortezza di Colico è di nuovo visitabile. Dopo sei anni di chiusura, il Forte di Fuentes di Colico è stato riaperto al pubblico. Grazie alla convenzione stipulata dalla Provincia di Lecco con il Museo della Guerra Bianca (che, per conto del comune di Colico, già gestisce il Forte di Montecchio con una validissima attività turistico-culturale di alto livello), il Forte di Fuentes è stato oggetto di una serie di recenti interventi di riqualificazione per renderlo nuovamente fruibile da parte dei residenti e dei turisti. Personale volontario del Museo e volontari del gruppo cacciatori di Colico e della provincia si sono impegnati in diverse giornate di lavoro per la pulizia di un’enorme quantità di rovi accumulatisi nel corso degli anni su un’area di diciottomila metri quadrati. Per agevolare la vista della struttura e garantire la sicurezza sono state ripristinate le recinzioni con 300 metri di nuove staccionate, posizionati 30 pali con leggio per le spiegazioni delle diverse parti delle rovine del forte, sei cartelloni per le immagini storiche, 130 paline di ferro e 400 metri di catena per delimitare le zone di sicurezza insieme a 40 cartelli che indicato il rischio di caduta. Le informazioni nei diversi punti di interesse storico sono state posizionate all’interno della struttura in quattro lingue: italiano, tedesco, inglese e francese. «La riapertura del Forte di Fuentes è il risultato di un significativo intervento che ha prodotto una riqualificazione della struttura storica, resa di nuovo fruibile ai cittadini e ai turisti e che sarà oggetto di miglioramento e di valorizzazione anche in futuro», è il commento dell’assessore alla cultura Marco Benedetti. La salvaguardia e la valorizzazione dei percorsi storici tematici e opere militari è di fondamentale importanza per la Provincia di Lecco: «restituirli alla collettività con rinnovato valore culturale e sociale, permette di considerare il patrimonio culturale non solo per il suo valore intrinseco, ma anche per la sua qualità di testimone della civiltà, identità e memoria del passato». «Per valorizzare l’intervento - aggiunge in proposito Stefano Cassinelli del Museo della Guerra Bianca - abbiamo realizzato il nuovo sito internet www.fortedifuentes.it e prodotto un depliant promozionale distribuito in cinquemila copie». Un nuovo biglietto cumulativo permette inoltre di visitare a un prezzo convenzionale (9 euro gli adulti e 5 euro i bambini) le strutture storiche del territorio colichese. Il biglietto è valido infatti per l’ingresso sia al Forte di Fuentes sia al Forte di Montecchio, ed è utilizzabile anche in giorni diversi nell’arco della stagione. *** Il Forte di Fuentes di Colico resterà aperto con orario continuato, per favorire la visita da parte dei turisti, nei seguenti giorni: - fino al 31 luglio, tutti i fine settimana dalle 10.00 alle 17.00; - dal 1 agosto all’11 settembre, tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.00. - dall’11 settembre al 6 novembre, solo sabato e domenica dalle 10.00 alle 18.00. Per ulteriori informazioni www.fortedifuentes.it – tel. 0341 940322 17 (Nella foto è invece Monsignor Franco Cecchin a celebrare la Messa, in vetta, lo scorso 3 luglio 2011). Domenica 1º luglio ritorneremo a salire in vetta al Resegone per lo storico “Assalto”. Il primo Assalto avvenne il 10 luglio 1966 ed ebbe un successo favoloso. La stampa locale scrisse della presenza di centinaia e centinai di escursionisti. La Messa fu celebrata dall’allora Prevosto di Lecco Monsignor Enrico Assi, poi Vescovo a Cremona. L’anno prima, il 19 luglio 1965, c’era stata l’inaugurazione del Bivacco Città di Lecco e, per l’occasione, avevano scarpinato da Morterone al rifugio Azzoni, ancora Monsignor Assi e il Sindaco di Lecco Dottor Alessandro Rusconi. Ideatore della manifestazione era stato il Presidente Carlo Villa sostenuto dai due Vice Presidenti Giovanni Bonfanti e Giovanni Rocca, ma tutto il Consiglio della SEL aderì entusiasticamente all’idea e si diede molto da fare affinché tutto riuscisse per il meglio. Da allora, l’Assalto al Resegone è diventato una tradizione e, regolarmente succedutosi ad ogni prima domenica di luglio, è arrivato a noi, sempre partecipato con entusiasmo, anche se, in alcune scadenze, le condizioni meteorologiche non furono propizie. In quell’anno (1965), come dalla relazione del Presidente tenutasi all’Assemblea annuale del 28 gennaio presso il salone dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, i soci della SEL erano 1874. 18 Ricordando il Bigio e Claudio Corti La salita dello spigolo nord del Badile con un triste finale. V erso la fine degli anni quaranta la mia esperienza di rocciatore era limitata alle Grigne. In quel periodo feci spesso da secondo a Gigi Amati, seguendolo nella sua mania di salire tutte le vie lunghe del gruppo, parete Fasana compresa. Fu in questo periodo che conobbi il Bigio o almeno incominciai ad arrampicare con lui, su vie di un certo impegno. Carlo Mauri Ma è nel 1950 che il Bigio mi propose di uscire dalle Grigne per affrontare le grandi Alpi. La prima spedizione è tentata nell’agosto di tale anno; la meta è il famoso spigolo nord del Badile, che allora, dati i mezzi tecnici a disposizione, era ancora considerata un’impresa di alto livello. Io avevo 16 anni, ma d’altra parte il Bigio non ne aveva ancora 20, pur avendo già alle spalle parecchie salite di alto livello. Raggiungemmo Chiavenna in treno per poi proseguire per la frontiera in corriera. Il seguito è naturalmente a piedi fino alla capanna Sciora, dove pernottammo. La mattina partimmo per tempo e attaccammo lo spigolo. Non facemmo a tempo a fare i primi 200 metri che un grosso temporale ci convinse a una rapida ritirata. Non avendo il tempo per un altro tentativo, non ci restò che il ritorno a Lecco un po’ scornati. Nei due anni che seguirono, il poco tempo a disposizione mi portò verso altre zone delle Alpi, con qualche buona ascensione. Ma è alla fine di luglio del 1953 che Bigio mi contattò per un nuovo tentativo allo spigolo nord. Mio fratello Riccardo accettò di accompagnarci con l’auto di famiglia. Raggiungemmo così in auto l’inizio della val Bregaglia, da dove incominciammo a salire con tutta l’attrezzatura. Con Bigio, che nel frattempo era diventato un nome importante dell’alpinismo, era arrivato anche Claudio Corti. Se ben ricordo stavano studiando una nuova via sul Badile. Raggiungemmo tutti insieme la Sciora, e da lì, lasciando mio fratello, partimmo la mattina dopo verso l’attacco dello spigolo. Ma il tempo, già incerto, non ci lasciò nemmeno il tempo di legarci. Passammo tre ore sotto una sporgenza per ripararci dalla pioggia, prima di tornare alla Sciora, dove pernottammo ancora. Il mattino seguente, il tempo essendo favorevole, raggiungemmo rapidamente l’attacco e incominciammo a salire sul bel granito dello spigolo, dopo aver indossati i mutandoni sotto i calzoni per consiglio del Bigio, che non sottostimava mai i problemi del tempo anche in estate. Era la prima volta che affrontavo questo tipo di roccia, ma rapidamente mi abituai al maggiore attrito che permette di sfruttare l’aderenza delle suole Vibram; le mani fanno presa anche su appigli che in dolomia non sarebbero sfruttabili. Ci sarà un solo inconveniente che non avevo previsto: l’abrasione dei polpastrelli, che diventerà fastidiosa ora della fine dell’arrampicata. Procedemmo ad un buon ritmo, anche tenendo conto del fatto di essere in tre. La via era sempre più ariosa e la vista sulle pareti NE e NO era sempre più entusiasmante. Salendo di quota incominciammo a trovare la neve, caduta il giorno prima. Ciò rallentò la 19 nostra andatura, pur non presentando particolari problemi, data la nostra attrezzatura semi invernale. In sette ore arrivammo in cima, dove ci fermammo a riposare e a godere della spettacolare vista su tutte le grandi cime vicine e lontane. Scendemmo poi abbastanza velocemente per la via normale, ma, data l’ora, non ci restò che raggiungere il rifugio Gianetti, dove passammo una simpatica serata, brindando all’impresa compiuta. La mattina dopo risalimmo rapidamente al passo di Bondo per poi scendere per la Vedretta della Bondasca, che ricordo abbastanza piena di buchi. Marciammo a buona andatura, ma eravamo partiti un po’ tardi e il percorso era lungo. Arrivammo alla Sciora, dove Riccardo ci aspettava, nel primo pomeriggio e subito ripartimmo verso la valle per rientrare. Il sentiero scende lungo la co- sta fino a raggiungere il fondo valle, da dove poi si continua costeggiando il torrente che scorre verso Bondo. A questo punto sentimmo delle grida in direzione della parete NE del Badile; dopo poco vedemmo un giovane scendere di corsa verso di noi. Ci comunicò disperato che il suo primo di cordata, Paganini di Sesto ben conosciuto a Lecco, era caduto nella crepaccia terminale. Risalimmo tutti rapidamente e subito calammo il Bigio nel crepaccio fino a raggiungere l’infortunato che giaceva su un ponte una trentina di metri sotto di noi. Bigio decise che, data l’ora ormai tarda e la mancanza di attrezzature di ricupero, era meglio lasciare l’infortunato nel crepaccio, dopo averlo adeguatamente sistemato, assicurato e rifocillato. Bigio ed io ci sistemammo sotto un sasso, mentre gli altri tornavano alla Sciora per dare l’allarme. Passammo una notte molto triste senza quasi dormire ed eravamo già pronti quando, alle prime luci, arrivarono i soccorsi che subito si diedero da fare. Non ricordo chi fu calato per organizzare il ricupero, ma in breve tempo il ferito fu riportato in superficie. Ci si accorse subito che era messo molto male; fu sistemato su una barella e s’incominciò a scendere con frequenti cambi per la difficoltà del terreno. Allora non c’erano gli elicotteri e si dovette portare la barella fino alla strada dove fu caricata su un autocarro, unico mezzo trovato, che parti per l’ospedale di Chiavenna. Noi caricammo le nostre attrezzature e mestamente ci avviammo verso la macchina. In frontiera sapremo che Paganini era morto durante il trasporto. Paolo Fiocchi Premio di narrativa Carlo Mauri. La 16a edizione a trent’anni dalla morte. Il Premio di Narrativa di Montagna Carlo Mauri ha quest’anno fatto registrare un altro piccolo record: 65 opere pervenute con un incremento di concorrenti nelle sezioni principali (narrativa e saggistica). Le opere sono giunte da nove diverse regioni in rappresentanza di diciannove province. Il Carlo Mauri, inoltre, ha varcato i confini nazionali raggiungendo la Croazia e il Canton Ticino. La giuria ha individuato venti elaborati tra i quali, il 5 aprile scorso, sono stati selezionati i vincitori del premio. Come di consueto l’evento organizzato dal Gruppo Alpinistico Gamma, dalla sezione U.O.E.I. di Lecco e dal Club Alpino Accademico Italiano, culminerà nella serata di premiazione fissata per venerdì 18 maggio alle ore 21, presso la Sala Ticozzi in Lecco. Nel corso della serata sarà presentato il video realizzato per il 30° anniversario della scomparsa del “Bigio” dal titolo “Ma è ancora con noi”. Dopo la proclamazione e la consegna dei premi seguirà la conferenza di Ugo Manera, uno degli esponenti di maggior peso nell’ambito del Club Alpino Accademico. Argomento: “Dal classico al moderno, attraverso mezzo secolo di scalate”. 20 UN RICORDO LONTANO Dino Piazza, Ragno della Grignetta, Guida Alpina e già Presidente dei Ragni, rievoca per il Notiziario un’avventura del tempo che fu S ono stato promosso portatore alpino nel giugno 1957, il capo delle guide era Felice Butti, fu lui a darmi la notizia che padre e figlio si erano recati al rifugio Rosalba a dormire, e il giorno successivo volevano fare la cresta Segantini accompagnati da una guida alpina. Era il giorno 5 agosto 1957, data rilevata dal mio libretto di guida. Il mattino presto parto con la mia Lambretta, mi porto una corda da 40 metri, 8 millimetri, un martello, dei chiodi, acqua e frutta. Alle 8 del mattino sono già al rifugio, mi presento ai miei clienti che stanno facendo colazione, chiedo se hanno già arrampicato, il padre dice di sì, per il figlio di quindici anni era la prima volta: è stato il battesimo dell’arrampicata per lui. Verso le 8.15 partiamo, vedo che fanno fatica, modifico il passo, li faccio parlare per cercare di conoscerli. Alle 9 siamo all’attacco, ci leghiamo: io davanti, il figlio a trentacinque metri, poi il padre. Così vicini li recupero insieme e si possono aiutare. Prima di partire spiego che cosa fare, come muoversi, alzarsi con le gambe, caricare l’appiglio: è una specie di scuola rapida che ascoltano volentieri. Per la scelta della via non ho avuto problemi perché la cresta Segantini l’avevo fatta diverse volte. Il primo tiro il figlio fa fatica e l’aiuto con la corda; devo stare molto attento perché le soste a volte sono a spalla, penso che il motivo degli incidenti in Segantini sia proprio quello della mancanza di una sosta sicura. Torniamo alla cordata, sempre attento, ormai siamo arrivati al passaggio della lingua: il figlio è in difficoltà, dice di essere stanco, lì bisogna fare un traverso, allora gli prendo il sacco e me lo carico sulle spalle. Poi la via prosegue su uno scivolo di neve, entra in una gola e la scalata finisce qui. Ci sleghiamo, lasciamo tutti i materiali, un sorso d’acqua e proseguiamo per la vetta, ci stringiamo la mano, si vedeva la grande gioia tra padre e figlio, per me è stata una vera e grande soddisfazione. Siamo ai Resinelli, il padre mi dice che dobbiamo fare i conti, io gli dico: “Entriamo in un bar e mi offra un bicchiere di bianco, va bene così”. Questa è stata la mia prima ascensione come portatore del CAI. Poi mi sono chiesto perché mi sia comportato così; io sono sempre stato uno a cui piace dare, ma il motivo principale era che erano stati troppo lenti, quattro ore in Segantini erano eccessive per la mia età (25 anni), allora non puoi capire che un cliente viene con te perché ha bisogno d’aiuto e sicurezza. Questo racconto è servito come premessa a un episodio drammatico e discusso che ha coinvolto non solo l’alpinismo, ma anche tutte le persone che leggevano i giornali: come attore principale era stato scelto il Claudio Corti, e gli hanno fatto fare la parte del criminale. Due giorni prima che io facessi la cresta Segantini, Claudio Corti e Stefano Longhi avevano attaccato la parete nord dell’Eiger, nell’Oberland Bernese. Qui, a Lecco, lo sapevano in pochi che fossero partiti per ripetere la prima italiana di quella parete. Dopo diversi giorni 21 d’arrampicata con tempo brutto, neve e tanto freddo, a trecento metri dalla cima, sul traverso chiamato “degli dei”, lo Stefano vola nel vuoto e non riescono a recuperarlo; ho detto non riescono perché erano in quattro. Infatti, alla cordata del Corti si erano aggregati due forti alpinisti tedeschi, a cui però, nel loro primo giorno di bivacco, era caduto lo zaino con i viveri e un paio di ramponi. Uno di loro, Notdurfet, per aver bevuto l’acqua che scorre con la sabbia di granito, aveva un forte dolore allo stomaco, perciò bisognava aiutarlo. L’altro alpinista tedesco, Maier, aveva dovuto viaggiare sul ghiaccio senza ramponi: ecco perché il Claudio era lento, doveva fare i gradini più grandi per far passare il tedesco senza ramponi. Fare gradini più grandi è un lavoraccio, il Claudio lo sapeva fare perché aveva una forza straordinaria nelle braccia allenate dal carico e scarico di materiale dal suo autocarro. Tornando al Longhi, è lì appeso alle corde nel vuoto, alle mani ha un principio di congelamento che gli ha causato la perdita dell’appiglio, viene lasciato appoggiare su una cengia con i pochi viveri rimasti, e gli hanno gridato che sarebbero andati a chiamare il soccorso. Dopo qualche tiro di corda, ormai sono ai camini finali, la difficoltà è diminuita, il tempo ottimo, ma un sasso, caduto dall’alto, centra in pieno la testa 22 del Claudio, e lo ferma definitivamente. I due tedeschi lo aiutano, gli piantano la tendina rossa e gli dicono che vanno a chiamare il soccorso. Quel soccorso non lo chiameranno mai, perché nella discesa vengono sepolti da una slavina in un canale a destra del percorso normale: saranno trovati solamente quattro anni dopo. È stato questo il dramma del Claudio, unico sopravvissuto, perché una squadra di soccorso giunta dalla Germania riuscì a scendere con un verricello e a portarlo in vetta. Dopo toccava allo Stefano, che era sotto il Claudio di circa ottanta metri, ma il tempo cambia improvvisamente e sotto la tempesta scendono tutti e portano il Claudio in ospedale. Aveva subito un trauma cranico che gli provocava una confusione di ricordi e la parola poco chiara (di questa situazione nessuno ha mai tenuto conto, neanche i suoi amici presenti che avevano iniziato la sua condanna). Lo Stefano, dopo due giorni di brutto tempo e neve, è scivolato dalla cengia rimanendo nel vuoto attaccato alle corde: una visione tremenda che generava la curiosità della gente, creando traffico sia sui treni che negli alberghi. Il corpo dello Stefano è rimasto appeso per due anni, non si poteva toccare per ordine delle autorità svizzere, forse per evitare altri incidenti: la decisione non è mai stata molto chiara. La stampa mondiale aveva inventato il “criminale” pubblicando articoli sulle prime pagine, poi sulle riviste e infine sui libri, riempiendo di soldi le tasche di tutti. Il Claudio ha parlato pochissimo, gli articoli se li sono inventati gli altri, come l’aver rubato la tenda ai tedeschi e poi averli buttati dalla parete. Di riflesso a questa dichiarazione, la polizia tedesca mandò i gendarmi a fare un sopralluogo sotto la parete per vedere se si trovassero i cadaveri degli alpinisti tedeschi: risultato negativo. Poi sono arrivati a casa del Claudio ad Olginate: è stato sottoposto ad un interrogatorio come se si trattasse di un vero criminale. Lui, impassibile, ha detto: “Guardate che io non ho mai fatto del male a nessuno”. Ma intanto pensate lo stato d’animo del Claudio che riusciva a sopportare tutto perché sapeva d’essere innocente. Di tutto il male che ha ricevuto lui ha saputo perdonare. Per me è stata una fortuna averlo incontrato, essergli amico, con lui ho arrampicato e ho potuto capire la sua straordinaria semplicità. Claudio ora sei partito per un lungo viaggio, ma a tutti noi hai insegnato che cos’è il perdono. Ci resterà sempre il ricordo del tuo comportamento onesto e coraggioso: vai amico mio e che Dio ti benedica. Dino Piazza Con il patrocinio S.E.L. domenica 26 febbraio L’“Assalto” invernale al Resegone, promosso e organizzato dall’Amministrazione Comunale di Morterone, ha visto la partecipazione di 250 appassionati della montagna. La manifestazione ha ottenuto il patrocinio di Regione Lombardia, Provincia di Lecco, Comunità Montana della Valsassina, Valvarrone, Val d’Esino e Riviera, Comune di Lecco, SEL Lecco, Pro Loco Morterone. Il CAI Molteno, presente sin dalla prima edizione con il veterano Ambrogio Sala classe 1932, viene premiato ancora come gruppo più numeroso con una coppa offerta dalla Provincia di Lecco. Anche al CAI Valmadrera (2) e al CAI Strada Storta (3) una coppa della Provincia. Altri premiati: - Concorrente più giovane 9 anni Simone Riva CAI Valmadrera coppa SEL - Concorrente più anziano 81 anni Piero Fiocchi targa GDM Servizi. Più di venti i gruppi presenti provenienti dalla Provincia di Lecco, di Como, di Milano e di Bergamo. Le premiazioni si sono svolte alla Pro Loco di Morterone presenti il sindaco Antonella Invernizzi, l’assessore allo sport Gianpaolo Dell’Era, altri amministratori e Cristina Invernizzi presidente della Pro Loco. HAI RINNOVATO la tua adesione? Sono disponibili i bollini per il rinnovo delle quote sociali 2012, i cui importi sono rimasti invariati. Nel raccomandare un sollecito versamento si ricorda: Contributo d’associazione alla S.E.L. per l’anno 2012, Euro 25,00. Aggregati familiari, conviventi nello stesso nucleo, Euro 5,00 ciascuno. Il versamento si può effettuare: • In sede sociale, Via Roma 51 Lecco, aperta il martedì dalle ore 18 alle 19, il venerdì dalle ore 21 alle 22 e il sabato mattina dalle ore 11 alle 12 (gennaio-marzo). • A mezzo bollettino postale, intestato a S.E.L. c/c 18182220. • A mezzo bonifico intestato a Società Escursionisti Lecchesi - Conto corrente N. 10257 presso Deutsche Bank, agenzia di Castello - IBAN IT 09J0310422903000000010257 Nella sede sociale, dal 20 gennaio 2012, è depositato il bilancio consuntivo 2011. I Soci sono invitati a prenderne visione, affinché possano rendersi conto della salute economica del loro sodalizio. La S.E.L. è sempre raggiungibile: La segreteria telefonica è in funzione giorno e notte, come pure il servizio fax. Il numero telefonico è unico: 0341.283075. L’indirizzo di posta elettronica è: [email protected] visitate www.sel-lecco.it 23 CON LA GERLA SULLE SPALLE. Anche nel cuore dell’inverno, ogni venerdì, i gestori della Grassi salgono al rifugio. Agevolano l’accesso agli escursionisti, battendo la neve come si faceva un tempo e portando i rifornimenti. Così titola e inizia un ampio servizio sul rifugio Grassi in veste invernale, pubblicato sul numero di Marzo della Rivista Orobie. Sono undici pagine corredate da dieci fotografie a colori di Mauro Lanfranchi. L’articolo è di Carlo Caccia. La rivista è visibile in sede SEL o acquistabile in edicola. Nella foto, Anna ciaspolando sale al rifugio preparando la “calata”. Ha il gerlo sulle spalle con le provviste, ma davanti c’è legata e, ben imbacuccata, Elsa, l’ultima nata. Nella passata stagione il rifugio, sia in occasione delle ciaspolate, sia per le serate astronomiche, è stato ben frequentato. 31 gennaio 2012 Dalla Relazione di Danilo Aluvisetti, Gestore del rifugio Sassi Castelli- Artavaggio ………….. Al termine di questa prima parte che ha permesso al rifugio di “tornare a risplendere” come ha titolato un quotidiano locale, come Gestione vogliamo ancora una volta sottolineare il grande contributo che hanno dato i volontari della SEL nell’esecuzione dei vari moltissimi lavori. A loro e alla Sel vanno i nostri ringraziamenti e la riconferma della gratuità degli oltre 150 pasti consumati al rifugio, in occasione dell’esecuzione dei lavori richiamati nella presente relazione, nonché del loro trasporto al rifugio stesso e dei vari materiali, così come per altri collaboratori esterni. …………………………… A conclusione di questa relazione possiamo pertanto esprimere la nostra soddisfazione per i risultati raggiunti in questi primi sei mesi di gestione del Rifugio Sassi Castelli che, grazie alla collaborazione della società proprietaria, la SEL, ha potuto soddisfare diverse e confortevoli richieste di ospitalità e pernottamento. Circa 300 pernottamenti, oltre 3000 ospiti giornalieri provenienti e residenti anche in altri Paesi: Germania, Svizzera, Francia, Belgio, Regno unito, Olanda, Argentina, Nicaragua, o immigrati dal Perù, Ecuador, Romania, Ucraina, con ampi riconoscimenti per l’accoglienza ricevuta, i conforts che hanno accompagnato le ore trascorse al rifugio e la sua cucina, come dimostrano le numerose testimonianze lasciate sul libro del rifugio. La Gestione del Rifugio 24 n giovedì mattina di fine luglio di parecchi anni fa. Erano i primi momenti in cui si faceva dell’alpinismo in altre zone, al di fuori cioè delle nostre montagne lecchesi, dove comunemente ci si allenava durante tutto l’anno. Così, in seguito ad una promessa fatta nel corso di una salita al Pizzo della Prata ad un amico di U Rifugio Gianetti e Pizzo Badile lavoro e di montagna, alias Enrico Bonfanti, lecchese come il sottoscritto, promessa con la parola d’ordine di realizzare la scalata al Pizzo Badile per la via normale ed in concatenamento di qualche altra cima della zona. Tanta era la voglia di assaporare l’arrampicata sul granito del Masino, localmente detto “ghiandone” per la sua composizione chimica fatta di una varietà di granito dai grossi cristalli di feldspato bianco, lucido e brillante, che talvolta emergono come bitorzoli, offrendo peraltro buoni appigli nelle arrampicate. Si trattava in particolare di quelle ardite cime taglienti del gruppo Masino-Bregaglia, le quali sviluppandosi a partire dal sottogruppo del Sasso Manduino, nel loro percorso da ovest a est formano le cime del Barbacan, Sant’Anna, Badile e Cengalo, e quindi il tratto di costiera con le vette arcuate come il Bacone e le vette del Largo. V’è poi l’altra costiera che si propaga in direzione del Castello ed i Torroni; quella che va in direzione della Vazzeda occupata in parte dal Vadrecc del Forno ed un’ultima cresta che abbassandosi forma la Cima di Rosso col suo crestone sud-est sino al Passo del Muretto, fra cui il piccolo ghiacciaio da me già visitato in tempi giovanili. Erano quelli gli anni in cui Giulio Fiorelli - la forte e celebre guida del Masino – gestiva con passione il Rifugio Gianetti a 2526 m, in alta Val Porcellizzo, alla testata centrale della Val Masino, donde si ha una visione elegante delle Punte Bertani e Moreschini, sui due Pizzi del Ferro, sul Cengalo e sul Badile, sulla Cima del Barbacan, terminando nel gruppo del Ligoncio, con andamento in strutture di creste e spigoli che offrono grande interesse alpinistico, sia pure di media difficoltà, ma con panorami mozzafiato. Grazie anche all’allora recente tracciato del Sentiero Roma (curato dai soci del Cai Milano) talune salite si sono rese possibili da realizzare in giornata, quando in passato erano da considerarsi troppo lunghe. Siamo dunque ai Bagni di Masino, ove il bosco a faggeto ed i grandi platani secolari ci tolgono la vista del soprastante acrocoro roccioso, ma che ci consentono il riparo dal solleone estivo. Qui optiamo per la preliminare salita alla Capanna Omio, da dove ci risulterà più comodo l’accesso al Pizzo settentrionale dell’Oro ed al Barbacan, sulle cui vette si sono cimentati i nostri illustri predecessori che hanno fatto la storia dell’alpinismo su queste montagne, come il Silvestri, il Polvara, il Dones, il Bramani ed il Castiglioni, indi il Bonacossa ed 25 il Saglio, autori quest’ultimi di prestigiose guide: per noi una specie di vangelo della montagna. Alle 16 pomeridiane abbandoniamo il comodo pianoro dei Bagni sul sentiero per il Rifugio Gianetti, quando superata la balza del Cavalcorto e rasentato il maggengo di Corte Vechia a 1402 m, faccio notare ad Enrico il percorso per il Rifugio Omio tra la controluce radente del sole calante: ivi giungiamo in serata, a 2003 m, giusto in tempo per la cena ed il successivo pernottamento. A conti ben fatti domani saremo in un baitello dei pastori-caprai, sotto la Punta Milano, che ci consentirà di guadagnare una giornata sull’intero tragitto in programma. Alle sei lasciamo il rifugio con tempo splendido e barometro alto. Il sole caldo asciuga le erbacce dalla rugiada della notte e noi, in poco tempo, raggiungiamo il detto baitello, a 2350 m, ove lasciamo le nostre cose superflue per la salita della giornata e ci fermeremo per la notte successiva. Da qui rimontiamo in diagonale i ripidi lenzuoli erbosi alla nostra sinistra in direzione della costola-sperone che balza verso la vetta settentrionale, separata dal Bocchetto dei Gendarmi che raggiungiamo nella parte alta, a 2560 m. Rimaniamo meravigliati del bell’arco naturale di roccia ghiandone, una vera rarità perché tipiche del calcare. Risaliamo poi gli ultimi spuntoni della cresta e tocchiamo i 2709 m della vetta giusto in tempo per ammirare il vuoto a perpen- 26 dicolo che ci circonda con i tetti luccicanti dell’Alpe Averta ed il lontano Rifugio Brasca. Dopo un laborioso ritorno lungo l’itinerario di salita sino al comodo baitello, dove ci aspettano i nostri sacchi per adeguatamente rifocillarci, ci riposiamo nella notte e ci apprestiamo alla ripresa del cammino il giorno successivo, sempre alle sei del mattino. In breve siamo al Passo dell’Oro, ove siamo intenzionati a salire il Barbacan per la cresta sud-ovest, una via tracciata dal Bonacossa con Carletto Negri nel 1934. Raggiunto lo spartiacque tra Val Masino e Val Codera, guadagnamo uno stretto intaglio della cresta, quindi un erto gradino accanto ad una paretina nonché le soprastanti zone erbose della cresta con gradoni ed una falsa anticima con ometto. Siamo in vista della vetta, distante da noi una ventina di metri circa, assicuro Enrico per farlo scendere alcuni metri su di una sottostante cengia sul lato di Val Codera e quindi lo invito a raggiungermi in cima al Barbacan con tutta calma. Nel frattempo ho avuto modo di scorgere la Cima centrale di Averta e la punta del Pizzo Parcellizzo, vette che toccheremo in giornata, prima di giungere al sottostante Rifugio Gianetti che ci aspetta. Dalla cima scendiamo dunque il lato est perdendo quota su cenge abbastanza facili portandoci al sottostante Passo del Barbacan a 2620 m, e nella limpida visuale illustro ad Enrico il nostro successivo itinerario. Preso allora il “comodo” Sentiero Roma, ci portiamo alla base del trittico di cime dell’Averta, semplici elevazioni rocciose sullo spartiacque PorcellizzoCodera, già raggiunte da cacciatori e solo nel 1910 da alpinisti lombardi su itinerari più difficili, sulle quali decidiamo una visita. Alla base delle dette cime risaliamo la grossa ganda sino alla forcella tra la cima sud e quella centrale ove lasciamo i sacchi; da qui con elegante arrampicata e poi un piccolo camino, sbuchiamo alla soprastante e facile cresta che porta alla vetta della Cima Centrale dell’Averta a 2800 m. Qui l’occhio spazia sulla lunga arcata dei Pizzi dell’Oro, ai sottostanti canaloni rocciosi di Val Codera circondati da innumerevoli guglie taglienti di granito, e poi con l’interminabile costiera Porcellizzo-Badile e Cengalo i quali regnano sovrani. Visioni sublimi anche nella foschia del pomeriggio, sino ad un piccolo tralcio d’azzurro che è il lontano lago di Como. Ridiscesi al colletto, ricuperiamo i sacchi ed ancora lungo il Sentiero Roma ci portiamo al Passo del Porcellizzo Sud a 2886 m, ove sulla larga cengia del valico depositiamo nuovamente i sacchi e ci accingiamo a salire l’omonimo Pizzo a 3075 m. Superiamo allora una balza soprastante ed uno stretto camino, riprendiamo la traccia di sentiero sulla ganda che si confonde coi massi accatastati della vetta. Ora, ammirato nuovamente l’incomparabile ambiente circostante, ci apprestiamo a scendere celermente prima che ci sorprenda il buio del tramonto, dopo oltre 2000 metri di dislivello fatti in giornata. Ancora grazie al Sentiero Roma ed alle pile frontali, raggiungiamo alla fine il Rifugio Gianetti a 2536 m, ben dopo le 20,30. E’ il momento dei saluti al buon Giulio, anche da parte degli amici lecchesi Ratti e Spreafico (Pepetto). Enrico è felice ma provato, quindi lo assicuro che l’indomani ci prenderemo un meritato riposo, senza trascurare tuttavia di aiutare il citato custode Giulio Fiorelli che ci sollecita nell’accudire ad alcuni lavoretti per il rifugio stesso e per il Bivacco Redaelli posto nell’estate 1970 proprio sulla cresta sommitale del Pizzo Badile. A sera, quando siamo a cena, Giulio Fiorelli a bruciapelo invita noi due ad unirci l’indomani alla sua cordata, fatta da lui stesso con il suo cliente Beppe, per la traversata di cresta più interessante di tutta la vallata, ossia di quella che va dalla Punta S. Anna al Bariletto lungo il suo fantastico crinale accidentato ma di grande respiro. Dopo alcune esitazioni, l’insistenza di Giulio ha la meglio sulle titubanze di Enrico e Beppe, mentre dal canto mio vado a controllare la relazione sulla vecchia guida del Bonacossa-Cai e posso verificare che si tratta di un itinerario alquanto entusiasmante. All’aria frizzante del mattino successivo ci stiamo dunque avvicinando al Bocchetto Torelli, a circa 3000 m, nell’ambito della più esemplare cornice granitica della costiera Porcellizzo-Ba- dile-Cengalo, ove ci si prepara per l’ascensione vera e propria. Con divertente arrampicata tra grossi massi e tozze paretine, giungiamo alla croce metallica della vetta di Punta Torelli a 3137 m. Ridiscesi alla base di due grossi torrioni sulla cresta di confine, dove una evidente cengia cala sul lato meridionale in direzione del Colle del Badiletto, Giulio mi ricorda gli ultimi appunti sul percorso prima di iniziare la calata. Con progressiva perdita di quota ed assicurato dai compagni e dai moschettoni esistenti sul percorso, giungo al tratto intermedio pianeggiante, appeso solo con le mani ma in perfetto equilibrio sulla solida roccia, supero una placca, rasento la base di due spuntoni e scendo il sottostante e laborioso tratto sul lato nord, con fatica ed a carponi supero la base di una finestra quadrangolare per giungere infine al sospirato ma esile Colle del Badiletto a 3078 m. Ricupero allora Enrico ed invito Giulio a scendervi pure lui con il suo cliente. Mentre ammiro il Badiletto che sembra voler forare con le sue rocce appuntite il vicino ed ampio Badile, devo fornire una precisazione toponomastica. Questo colletto dovrebbe chiamarsi Forcella Klucker in onore della famosa guida grigionese del secolo scorso, ma tale denominazione non ha attecchito ed il personaggio viene ricordato dalle sue parti solo con un Torrione sul Monte Rosso in vista del Rifugio del Forno. E pensare che questo intaglio non sembra aver rivali in zona per arditezza, dato anche il vertiginoso canalone che precipita sulla Bondasca a NNO. Quando siamo tutti riuniti sul colletto, Giulio, con una smorfia di allegria, ci fa notare che il tratto appena da noi superato dalla Punta S.Anna sino all’intaglio è stato da lui stesso percorso solo quattro volte con dei clienti e che la prima ascensione risale al 1921 a cura di Bonacossa e Polvara, mentre nel 1928 un suo antenato parente, Emilio Fiorelli, lo effettuò nientemeno che con Mary Varale, la ben nota alpinista degli Anni Trenta, poi compagna di salite del nostro Riccardo Cassin in Grignetta, Questa variante molto bella - appena superata - ha consentito in particolare di guadagnare il Badiletto evitando una pericolosa “doppia” di 20 metri , mentre l’aggiramento sul lato sud (quello del Rifugio) sotto la vetta S. Anna per cenge e placche pur ripide ha reso il percorso più celere e spedito, offrendo difficoltà almeno pari a quelle della Segantini in Grignetta appunto. Ora Giulio tolta la corda da Beppe me la passa insieme ai suggerimenti del caso intesi a poter superare la salita dell’enorme masso che difende la cima del Badiletto: “attento, mi dice, c’è un grosso chiodo che poi serve per la doppia, ma ora aggancia il moschettone ed usalo per la salita e lasciavi la corda che poi ci servirà per il ritorno”. E siamo così ai 3148 m sulla vetta di questo Torrione del Badile con la visione che si incanta sul vuoto circostante specie sulla Bondasca. Da ulti- 27 mo non possiamo connotare il tagliente segnale trigonometrico della cima così acuminato da non lasciarvi altro spazio per posare un nostro piede. Ridiscesi al colletto, ci riuniamo con Giulio e calzati i ramponi e recuperate le piccozze, ci apprestiamo a scendere lungo il canale innevato, tutti assicurati dalla guida per tiro di corda e con tanto di piazzole di fermata gediamo col Rifugio ben prima di mezzogiorno diretti alla salita del Pizzo Badile, dove contiamo di pernottare in vetta dello stesso a 3308 m, nel nuovo Bivacco Redaelli. Ringrazio Giulio per l’amicizia e per la fiducia dimostratami ieri durante la succosa traversata S. Anna-Badiletto e con il suo beneplacito ci incamminiamo su per le vecchie gande e gli ultimi lembi di neve Pizzo Cengalo ad ogni tiro. Sulla Vedretta di S. Anna, ridotta ormai ad acquitrino, giungiamo esausti alle ore 17. Quando varchiamo la soglia del Rifugio Gianetti siamo stanchissimi ma soddisfatti per la lunga ma singolare e stupenda traversata. L’indomani, e siamo al quarto giorno, anticipiamo nettamente il pranzo e quindi prepariamo i sacchi con la scorta d’acqua per un paio di giorni, e ci con- 28 della ormai minuscola Vedretta, diretti allo zoccolo roccioso del colosso. Enrico è molto emozionato per la partenza in ora così tarda, ma il salire col tempo stabile e nella calma dell’ambiente alpino rende giustizia a parecchi pregiudizi in materia, contando soprattutto sull’esistenza di quel bivacco fisso. Ci incamminiamo così in direzione dell’evidente e marcata incisione dello sperone-spigolo sud della montagna, nel punto in cui la cresta evidenzia la croce metallica Castelli-Piatti posta in loro memoria dal locale Soccorso Alpino, ma che serve anche da “segnavia”. Il luogo rievoca peraltro il momento della tragedia dei comaschi Molteni e Valsecchi, morti di sfinimento tra le braccia di Cassin e compagni nella discesa dalla famosa conquista della parete nord-est nel 1937. Ed è questo l’unico punto da cui risulta possibile osservare dal basso l’intero svolgimento della salita (via normale) di questa montagna che è quella rocciosa per eccellenza dell’intera regione. A nord, essa si eleva ferrigna ed elegante dal ghiacciaio della Bondasca, come una piramide tronca con uno spigolo gigantesco affiancato da pareti lisce; mentre a sud, dalla Val Masino, pare una pala culminante di una lunga cresta-spigolo assai invitante. La sua ascensione, per questa via che ci apprestiamo a fare, è una classica frequentatissima ed interessantissima soprattutto per la divertente arrampicata, sempre stimolante senza essere difficile, tanto che Silvio Saglio nel suo volumetto Alpi Retiche Oc- cidentali le assegna, se asciutta, la definizione di media difficoltà: quindi si tratta di una arrampicata semplice ma splendida anche per il panorama amplissimo che va dal Lago di Como ai cieli azzurri dell’Engadina. Superate brevi cenge e balze rocciose, siamo dunque alla croce Castelli-Piatti, donde si gode come detto l’intera visione della via normale al Badile, come pure si ha l’ultima visione sulla Capanna Gianetti, e quindi ci prepariamo alla scalata. Con splendida ed al contempo tranquilla arrampicata di media difficoltà, ci alziamo sul tratto di larga conoide del canalone centrale della parete. Qui notiamo strisce di sabbie giallastre sulle soprastanti placche, cosa che ci invita ad usare cautela. Riferisco ad Enrico che da questo lato della montagna sono già salito più volte e con amici e su itinerari diversi, ergo, dico di stare tranquillo, pregandolo di seguire le tracce evidenziate dagli ometti che sono stati posti dalle guide; una rampa verso sinistra ci porta sullo spigolo sud ove troviamo un posto comodo per fermarci. Ammiriamo stavolta l’intero tragitto che abbiamo percorso per creste durante i giorni scorsi, in queste favolose giornate di purissima montagna che mi hanno consentito di redigere queste righe di inno alla purezza idilliaca della montagna. Righe che sinora sono rimaste segrete nel mio cuore. Prima di riprendere la scalata gettiamo lo sguardo verso la cima del Badile e già scorgiamo, forse appena un centinaio di metri sopra di noi, il nuovo Bivac- co Redaelli recentemente posto in loco dal nostro Cai di Lecco. Divagando nel campo dei ricordi, ho bene impressa quella volta che su questo tratto di percorso, esattamente in discesa dalla vetta, con mio cognato Angelo Martinelli, fummo colti da un furioso temporale accompagnato da grossi chicchi di grandine, i quali ci causarono per lo più grossi ematomi alle mani. Ma in quella bella giornata di luglio riprendiamo la salita del canalone svasato, rimontando al fine un canalino roccioso e così giungiamo al ballatoio del bivacco fisso, ove depositiamo i sacchi prima di salire quella decina di metri che ci separano della vetta vera e propria con il suo bel segnale trigonometrico. E’ quello il momento in cui possiamo assistere al morire del giorno in un tramonto fantasmagorico di colori che abbracciano la grandiosità del creato, mentre il globo infuocato del sole va calando dietro il Monviso e le Alpi Marittime. In silenzio assaporiamo questi momenti, con il cuore che ingoia qualche lacrimuccia. E, guardandoci in faccia, il silenzio parla per noi. E’ il momento di congratularmi con Enrico che ha portato a termine felicemente la tanto desiderata salita al Badile e successivamente di ripararci nell’ospitale bivacco per una frugale cena, in condizioni di euforia per il grande spettacolo della natura. Ma prima del sonno ristoratore, si spendono alcune frasi e tante parole per costruire i programmi dei mesi a venire…, delle stagioni a venire… delle montagne che ci attendono… Adamello, Gran Zebrù… è bello sognare, no? L’indomani, la partenza per il rientro a Lecco risulta alquanto pigra. Solo dopo una bella oretta dal levar del sole ci accingiamo a scendere con attenzione; invito Enrico a tenersi nell’evidente corridoio naturale formatosi tra la placca nevosa e le rocce che racchiudono e rasentano il canalone, seguendo gli ometti presenti di tanto in tanto sull’esile traccia. Finalmente tocchiamo la croce Castelli-Piatti, da cui in breve si è sulla sottostante morena, dove ci si può riposare, prima di riprendere la discesa alla Capanna Gianetti e quindi l’interminabile scarpinata al fondovalle. Spiego ad Enrico che queste sono salite classiche, cosiddette di “gran lena”, proprio perché sono effettivamente lunghe. Ma grazie al bivacco sulla vetta del Badile ed al tempo stabile noi ce l’abbiamo fatta senza fatica; ora siamo alla base del Badile ed al termine della lunga traversata durante la quale abbiamo affrontato anche pericoli e rischi, ma tu - caro Enrico - hai dimostrato coraggio e fiducia nel capocordata. Ti ringrazio per questo, ricordandoti una frase del saggio Nelson Mandela che amava ripetere spesso: “Il coraggio non è la mancanza di paura, bensì la capacità di vincerla”. Le salite cosiddette d’altri tempi ci hanno consentito di vivere ed assaporare momenti indimenticabili come questi. Giancarlo Valsecchi 29 E’ morta la segretaria della SEL La notizia è arrivata fulminea la mattina di mercoledì 29 febbraio “l’Alba è mancata”. Segretaria per lunghi anni, sempre presente e generosa ad ogni richiesta d’aiuto, ha saputo dare un’impronta alla vita del nostro sodalizio. La ricordiamo con l’articolo pubblicato da “Il Giornale di Lecco” del 5 marzo. Alle sue esequie, nella Basilica di San Nicolò a Lecco, i soci della Sel hanno partecipato numerosissimi. L’Alba rimarrà per sempre nel cuore di tutti noi che ebbimo la fortuna di godere della sua sincera amicizia. Alba Corti ora guarderà le sue amate montagne dal cielo. Avrebbe compiuto gli anni il prossimo 15 marzo. Ma il destino non ha voluto regalarle la possibilità di spegnere le 84 candeline, portandosela via lo scorso mercoledì 29 febbraio. Alba Corti è venuta così a mancare a tutti i suoi cari, ma anche agli amici della Sel. Proprio alla Società Escursionisti Lecchesi la lecchese aveva, infatti, legato buona parte della sua vita, anche sentimentale. Aveva infatti sposato il 30 maggio 1966 Carlo Villa, storico presidente del sodalizio lecchese per quindici anni, dal 1963 al 1978, anno della sua improvvisa morte. “Siamo nati in via Roma, dove la nostra famiglia aveva una macelleria - racconta il fratello Giovanni - Mia sorella aveva studiato a Londra per un anno e mezzo per poi insegnare inglese in una scuola professionale di lingue qui a Lecco. In seguito ha lavorato per alcuni anni alla Fiocchi, in pratica fino a quando si è sposata con Carlo. Aveva un pensiero fisso, che era la Sel. Amava la montagna e il suo hobby era quello di stare con gli amici ed andare a camminare”. Un carattere forte e determinato, con la grande passione per la montagna. Un ricordo commosso non poteva che arrivare anche dalla Società Escursionisti Lecchesi. Un socio che la conosceva bene, ha detto: “E’ stata una presenza costante e attiva anche all’interno del nostro sodalizio. Alla morte del marito ha continuato la sua attività entrando nel consiglio, dapprima come segretaria del sodalizio, poi come vicepresidente, carica che ha conservato sino al 2000. Per ricordare il marito aveva arredato il salone del rifugio SEL Rocca Locatelli al Pian dei Resinelli. Sotto la presidenza del marito è nata la 6770, iniziativa che si svolge nella stagione autunnale e che consiste nel girare i quattro rifugi della Sel. All’inizio il marito donava a chi partecipava una camicia particolare. La moglie ha continuato questa consuetudine, dopo la morte di Carlo, donando sempre i regali ai partecipanti alla manifestazione. La sua presenza all’interno della nostra società è stata davvero unica e indispensabile”. 30 I suoi nipoti la ricordano così: Ci hai insegnato ad amare la montagna, che è stata una tua grande passione. Ci hai spiegato come affrontare la fatica delle salite, camminando lentamente, con le mani alla vita e lo sguardo fisso alla meta. Dicevi che ci voleva tenacia, che non si doveva mollare, la stessa tenacia con cui tu hai affrontato la vita. Ci hai insegnato i nomi delle cime delle tue montagne: il Resegone, la Grigna, ma anche il Bernina, il Diavolezza, il Corviglia. Ci hai guidato per sentieri che portano in luoghi meravigliosi dove lo sguardo si perde in splendide vallate incastonate tra monti e cielo. La tua montagna, la nostra montagna, dove ogni angolo parla di te. I tuoi nipoti Emma… Ciao Emma. Amica da una vita. Il 1° ottobre, il sabato prima dell’inaugurazione della ristrutturata Cappella Bettini, ci siamo incontrate in via Mascari. Mi hai chiesto se sarei salita con l’Ambrogio ad Artavaggio. Alla mia risposta negativa, motivata dal divieto di camminare in quota, sorridendo, hai cercato di consolarmi dicendomi: “Anch’io non posso salire. Siamo già state tante volte in Artavaggio, si può dire che ne conosciamo ogni angolo, ogni prato. Ora mi accontento di vedere le nostre montagne dalle finestre della mia bella casa: da una finestra vedo il Resegone, dall’altra il Monte Barro”. Mi ritrovo sul terrazzo del nostro rifugio Sassi-Castelli, appoggiate al muro prendiamo il sole e facciamo salotto. Abbiamo sempre molte cose da raccontarci e tu, Emma, con il tuo tratto gioioso e spontaneo, tieni banco e ci tieni allegre. Siamo in Sicilia, sul bus che sale verso l’Etna. Una lunga strada tutta curve; siamo sedute vicine. Le tue trovate rendono piacevole il lungo percorso. Il tuo pensiero è sempre per Giovanni. Quante gite, quante escursioni… ricordi, riflessioni, mi passano per la mente e si accavallano. Hai tagliato i capelli. Sei bellissima, sembri una ragazzina; la malattia è una componente della vita, noi siamo un progetto di Dio, la vita è un dono e va vissuta, goduta, sino in fondo, come hai fatto tu. Siamo riuniti in Basilica, ci siamo tutti. Non avevamo mai visto così tanti selini tutti insieme, in chiesa. Sono venuti per accompagnarti nel tuo passaggio finale e per essere vicini al nostro stimato Presidente Giovanni. L’omelia di Monsignor Cecchin, un commento di una pagina della Bibbia dal Libro di Giobbe, seguita dalle Beatitudini del Vangelo, mi rasserena. Ora ho la certezza che tu, Emma, hai raggiunto il nostro Creatore, il nostro Dio, Padre Buono. E di lassù, sorridente, ci aspetti. Piera Bonaiti 31 CASIMIRO FERRARI Un sognatore DALLA GRIGNA ALLA PATAGONIA A dieci anni dalla sua scomparsa un gruppo di alpinisti a firma “Gli amici di Punta del Lago” ha voluto ricordare la figura del grande alpinista con il volume edito da Cattaneo (€ 20). Si tratta di una selezione d’immagini, a dir poco stupende, scattate durante alcuni viaggi su percorsi che il “Jefe” aveva intrapreso. Le immagini sono un viaggio in luoghi che per Casimiro avevano un significato particolare e che si possono definire i suoi ultimi sogni. Le fotografie sono state scattate alla estancia Punta da Lago, al Rifugio Carlo Mauri e nei loro dintorni, lungo la salita al Cerro Campana e sulla Peninsula Herminita, durante un tentativo di approccio al Cerro Cono. Il testo, di Alberto Benini è ridotto all’essenziale. Qualche pagina, pulita, secca, importan- F te per renderci il carattere di Casimiro, poi, solamente fotografie, a colori, a tutta pagina: eccezionali. C’è poi quella estesa, grande panoramica, su ben cinque pagine che ritrae la catena nella quale troneggiano i due capolavori di Casimiro: il Cerro Torre e il Fitz Roy. Coordinatore generale dell’opera, Giuliano Maresi. Oltre alle sue, le fotografie sono di Ferruccio Ferrario, Carlo Buzzi, Luciano Spadaccini, Egidio Spreafico. Le cartine, chiare e definite, le ha disegnate Luisa Rota Sperti. Sono significative le parole con le quali gli amici chiudono la presentazione del libro: “…Casimiro era un animale da combattimento, un uomo che aveva bisogno nello stesso tempo di un pubblico. Di amici e di nemici, ma soprattutto di qualcuno o qualcosa con cui lottare. A inalmente è arrivato a conclusione l’iter per l’approvazione dei progetti annessi ai finanziamenti previsti dalla legge regionale n.15/2007 per l’ammodernamento dei rifugi alpini. Come aveva preannunciato il Presidente PierAntonio Mangioni, nell’Assemblea del 10 febbraio, la Gazzetta della Regione ha pubblicato gli importi dei contributi. Alla SEL sono stati destinati, come da documentazione presentata: Rifugio Luigi Azzoni, Resegone € 19.240; Rifugio Sassi Castelli, Artavaggio € 28.064; Rifugio SEL Rocca Locatelli, Piani Resinelli € 19.800; Rifugio Alberto Grassi, Camisolo € 21.140. I nostri tecnici, architetto Maria Grazia Furlani, ingegner Giusi Negri e ingegner Paola Frigerio, hanno lavorato sodo e con professionalità per preparare la lunga e meticolosa documentazione richiesta dal bando regionale. Grazie! 32 dieci anni dalla sua scomparsa, queste immagini e queste poche parole sono semplicemente il modo di ringraziarlo per i sogni che abbiamo sognato insieme a lui e grazie a lui. Grazie, Casimiro, per i sogni realizzati insieme e per quelli che ci hai lasciato in eredità”. NdR. Il 10 febbraio 2011, durante l’escursione della SEL in Patagonia, guidata da Pippo Cattaneo, fummo ospitati da Casimiro Ferrari nella sua estancia. Ricordiamo la sua simpatia e la cordialità che ebbe sempre verso la nostra Società. Gigi Alippi, Guida Alpina e Ragno della Grignetta, partecipò, nel 1961, alla conquista del Monte McKinley, con la Spedizione Città di Lecco. Ha concesso alla SEL il suo diario personale, scritto nei giorni della memorabile impresa. E’ cronaca, ma ci sono anche tante riflessioni, commenti, considerazioni. Lavoro molto interessante rievocante verità e fatti fino ad ora sconosciuti. Lo si può scaricare interamente dal sito: www.sel-lecco.it NOI DELLA SEL SEL SOCIETA’ ESCURSIONISTI LECCHESI FONDATA NEL 1899 SEZIONE SCI DAL 1908 23900 LECCO via Roma 51 – Tel. e Fax 0341.283075 – e.m. [email protected] – www.sel-lecco.it • Elia Invernizzi si è aggiudicato il Primo Premio nel Concorso Diocesano Presepi per le Parrocchie. Ha ricevuto il Premio a Milano il 22 gennaio scorso. Il suo presepio allestito, ormai da anni in occasione del Natale, nella Chiesa Parrocchiale di San Giovanni, è stato visitato da centinaia di persone, riscuotendo grandi consensi e complimenti. Quest’anno, il presepio era ambientato nel rione lecchese di Pescarenico, in riva all’Adda, in piazza Era. Naturalmente con il Resegone sullo sfondo che, nell’arco della giornata, assumeva spettacolari colori e luci. • La sera di venerdì 16 dicembre, in una sede stipata di soci, Monsignor Franco Cecchin, Prevosto di Lecco, ha impartito la benedizione natalizia. La serata si è conclusa con brindisi, panettone e scambio di auguri. N. 1 GENNAIO/APRILE 2012 Gli scritti di questo numero del notiziario sono di: Danilo Aluvisetti, Piera Bonaiti, Ambrogio Bonfanti, Pippo Cattaneo, Paolo Fiocchi, Dino Piazza, Maurizio Pontiggia, Nipoti Corti, Cristina Nava, Giancarlo Valsecchi. • Il prato che dalla strada provinciale scende sul piazzale del rifugio SEL ai Piani Resinelli, è stato abbellito con aiuole d’erica e sempreverdi. Ha offerto il lavoro l’azienda “Punto Verde” dei Piani Resinelli. E’ stata posta, nel mezzo, per opera di Enrico Zappa, padre di Luana, gestore del rifugio, la statua di una Madonnina. Anche Luana, ormai provetta cuoca, ha riscosso complimenti e gratificazioni, organizzando pranzi a tema, assai frequentati. Si sono gustati squisiti bolliti, “busecca”, cacciagione e altre specialità. A fine pasto non manca mai la “miascia”, una dolcezza mandellese. Grazie a chi ci ha dato una mano, complimenti a tutti! • Alba Villa, storica segretaria della SEL, è passata in su. I soci, partecipando numerosissimi alle sue esequie hanno dimostrato quanto l’amassero. (articolo in altra parte del Notiziario). • Giovanni Canella, socio per molti anni, simpatico e cortese frequentatore delle nostre gite, instancabile camminatore, ci ha lasciato. • Valeria Bettocchi ha dovuto subire la perdita dell’amato padre Mosè, insostituibile sacrestano di Moggio Valsassina, memoria storica del paese, dispensatore di saggi consigli ad una numerosa folla di nipoti. In agosto aveva tagliato il traguardo dei 100 anni. Le fotografie sono di: Ambrogio Bonfanti, Giovanni Bonfanti, Pippo Cattaneo, Fotoottica Lariana, Gruppo Gamma, Mauro Lanfranchi, Cristina Nava, Dino Piazza, Angelo Ripamonti, Giancarlo Valsecchi, Archivio SEL. In copertina. Notturno invernale al rifugio Alberto Grassi, Passo di Camisolo m 2000, a guardia del Pizzo dei Tre Signori m 2554. Fotografia di Mauro Lanfranchi. • Monsignor Melezio Mauri, amico del Presidente Stefano Giudici, è salito in Paradiso. Lo ricordiamo per le numerose sue Messe celebrate ad Artavaggio e al Rifugio Sel Rocca Locatelli, in occasione di diverse nostre manifestazioni. Per tanti anni Rettore del Collegio Arcivescovile di Porlezza. Nel 1970 fu chiamato in Curia a Milano, dove assunse incarichi nell’ufficio amministrativo; tornò poi ad impegnarsi nella realtà lecchese e in stretto rapporto con l’allora Arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, promosse l’esperienza della “Casa del Clero” realizzata recuperando Villa Aldè, una donazione che era stata lasciata alla Curia e che ospita tuttora i sacerdoti anziani. Attualmente, Monsignor Mauri, 90 anni compiuti, ne era l’amministratore. • Rosy Fiocchi, moglie dell’ingegner Riccardo e mamma di Silvia, Costantino, Barbara e Luisa, ha dovuto soccombere alla malattia che la crocifiggeva da dieci anni. La sua vita è stata sintetizzata in “buon senso e cuore”. Ne aveva tanto, sia di cuore che di buon senso, spesi anche generosamente come consorella della Conferenza di San Vincenzo. • Luigi Milani è in lutto per la perdita improvvisa della moglie Giuseppina. La “Pina” com’era per gli amici, sarà ricordata per la sua simpatia e generosità, spesa anche nell’assistenza agli ammalati e per l’impegno nel sociale. Era conosciuta per essere stata una delle prime imprenditrici donne di Galbiate, avendo dato vita nel 1973 alla ditta metallurgica tuttora fiorente. • L’architetto Aurelio Bergonzi ha perso l’amata moglie Giuditta Rossi. Notiziario SEL n. 1 Gennaio/Aprile 2012 Direttore Responsabile Ambrogio Bonfanti, e.m. [email protected] Autorizzazione Tribunale di Lecco 15/04/1948 – Stampa Editoria Grafica Colombo SRL - Valmadrera Eleviamo un mesto pensiero a ricordo di coloro che ci hanno lasciato ed esprimiamo ai familiari le più sentite condoglianze. I NOSTRI RIFUGI SONO APERTI TUTTO L’ANNO RIFUGIO SEL ROCCA-LOCATELLI m. 1300 - Piani Resinelli (Grignetta m. 2200). Sorge al termine della strada carrozzabile proveniente da Ballabio. Base per tutte le escursioni in Grigna. Tel. 0341 590.094 Custode: LUANA ZAPPA - cell. 331 3585487 RIFUGIO LUIGI AZZONI m. 1860 - Vetta del Resegone (Punta Cermenati m. 1875). Bellissimo punto di vista su tutta la Brianza e il lago. Funivia Lecco/Erna. Da lunedì a venerdì tel. 335 6361803 Sabato e domenica tel. 0341 285195 Custode: MAURIZIO VALSECCHI RIFUGIO ALBERTO GRASSI m. 2000 - Al Passo di Camisolo (Pizzo dei Tre Signori, m. 2544). Monumento alpino, ricorda tutti i Caduti della Patria. Tel. 348 8522784 Custode: ANNA BORTOLETTO www.rifugiograssi.it RIFUGIO SASSI-CASTELLI m. 1650 - Artavaggio (Gruppo Zuccone Campelli, m. 2170). Posto al centro dei campi da sci è importante punto di partenza per ascensioni e traversate. Funivia da Moggio. Tel. 0341 996084 - Tel. 338 3348920 Custode: DANIELE SERGIO ALUVISETTI sel “Poste Italiane - sped. in abb. postale - art. 2 comma 20/C legge 662/C Lecco” Notiziario SEL n. 1 Gennaio-Aprile 2012