I NOSTRI RIFUGI SONO APERTI TUTTO L’ANNO
RIFUGIO SEL ROCCA-LOCATELLI
m. 1300 - Piani Resinelli (Grignetta m. 2200).
Sorge al termine della strada carrozzabile proveniente da Ballabio. Base per tutte le escursioni in Grigna.
Tel. 0341 590.094
Custode: LUANA ZAPPA - cell. 331 3585487
RIFUGIO LUIGI AZZONI
m. 1860 - Vetta del Resegone (Punta Cermenati
m. 1875). Bellissimo punto di vista su tutta la
Brianza e il lago. Funivia Lecco/Erna.
Da lunedì a venerdì tel. 335 6361803
Sabato e domenica tel. 0341 285195
Custode: MAURIZIO VALSECCHI
RIFUGIO ALBERTO GRASSI
m. 2000 - Al Passo di Camisolo (Pizzo dei Tre
Signori, m. 2544). Monumento alpino, ricorda
tutti i Caduti della Patria.
Tel. 348 8522784
Custode: ANNA BORTOLETTO
www.rifugiograssi.it
RIFUGIO SASSI-CASTELLI
m. 1650 - Artavaggio (Gruppo Zuccone Campelli, m. 2170). Posto al centro dei campi da sci è
importante punto di partenza per ascensioni e
traversate. Funivia da Moggio.
Tel. 0341 996084 - Tel. 338 3348920
Custode: DANIELE SERGIO ALUVISETTI
sel
“Poste Italiane - sped. in abb. postale - art. 2 comma 20/C legge
662/C Lecco”
Notiziario SEL n. 1 Gennaio-Aprile 2012
NOI DELLA SEL
SEL
SOCIETA’ ESCURSIONISTI LECCHESI
FONDATA NEL 1899
SEZIONE SCI DAL 1908
23900 LECCO via Roma 51 – Tel. e Fax 0341.283075 – e.m. [email protected] – www.sel-lecco.it
• Elia Invernizzi si è aggiudicato il Primo Premio nel Concorso Diocesano Presepi per le Parrocchie.
Ha ricevuto il Premio a Milano il 22 gennaio scorso. Il suo presepio allestito, ormai da anni in occasione del Natale, nella Chiesa Parrocchiale di San Giovanni, è stato visitato da centinaia di persone,
riscuotendo grandi consensi e complimenti. Quest’anno, il presepio era ambientato nel rione lecchese
di Pescarenico, in riva all’Adda, in piazza Era. Naturalmente con il Resegone sullo sfondo che, nell’arco della giornata, assumeva spettacolari colori e luci.
• La sera di venerdì 16 dicembre, in una sede stipata di soci, Monsignor Franco Cecchin, Prevosto di Lecco,
ha impartito la benedizione natalizia. La serata si è conclusa con brindisi, panettone e scambio di auguri.
N. 1 GENNAIO/APRILE 2012
Gli scritti di questo numero del notiziario sono di:
Danilo Aluvisetti, Piera Bonaiti, Ambrogio Bonfanti, Pippo Cattaneo, Paolo Fiocchi,
Dino Piazza, Maurizio Pontiggia, Nipoti Corti, Cristina Nava, Giancarlo Valsecchi.
• Il prato che dalla strada provinciale scende sul piazzale del rifugio SEL ai Piani Resinelli, è stato
abbellito con aiuole d’erica e sempreverdi. Ha offerto il lavoro l’azienda “Punto Verde” dei Piani
Resinelli. E’ stata posta, nel mezzo, per opera di Enrico Zappa, padre di Luana, gestore del rifugio,
la statua di una Madonnina. Anche Luana, ormai provetta cuoca, ha riscosso complimenti e gratificazioni, organizzando pranzi a tema, assai frequentati. Si sono gustati squisiti bolliti, “busecca”,
cacciagione e altre specialità. A fine pasto non manca mai la “miascia”, una dolcezza mandellese.
Grazie a chi ci ha dato una mano, complimenti a tutti!
• Alba Villa, storica segretaria della SEL, è passata in su. I soci, partecipando numerosissimi alle sue
esequie hanno dimostrato quanto l’amassero. (articolo in altra parte del Notiziario).
• Giovanni Canella, socio per molti anni, simpatico e cortese frequentatore delle nostre gite, instancabile camminatore, ci ha lasciato.
• Valeria Bettocchi ha dovuto subire la perdita dell’amato padre Mosè, insostituibile sacrestano di
Moggio Valsassina, memoria storica del paese, dispensatore di saggi consigli ad una numerosa folla
di nipoti. In agosto aveva tagliato il traguardo dei 100 anni.
Le fotografie sono di:
Ambrogio Bonfanti, Giovanni Bonfanti, Pippo Cattaneo, Fotoottica Lariana,
Gruppo Gamma, Mauro Lanfranchi, Cristina Nava, Dino Piazza, Angelo Ripamonti,
Giancarlo Valsecchi, Archivio SEL.
In copertina.
Notturno invernale al rifugio Alberto Grassi, Passo di Camisolo m 2000, a guardia del Pizzo
dei Tre Signori m 2554. Fotografia di Mauro Lanfranchi.
• Monsignor Melezio Mauri, amico del Presidente Stefano Giudici, è salito in Paradiso. Lo ricordiamo
per le numerose sue Messe celebrate ad Artavaggio e al Rifugio Sel Rocca Locatelli, in occasione
di diverse nostre manifestazioni. Per tanti anni Rettore del Collegio Arcivescovile di Porlezza. Nel
1970 fu chiamato in Curia a Milano, dove assunse incarichi nell’ufficio amministrativo; tornò poi ad
impegnarsi nella realtà lecchese e in stretto rapporto con l’allora Arcivescovo di Milano Carlo Maria
Martini, promosse l’esperienza della “Casa del Clero” realizzata recuperando Villa Aldè, una donazione che era stata lasciata alla Curia e che ospita tuttora i sacerdoti anziani. Attualmente, Monsignor
Mauri, 90 anni compiuti, ne era l’amministratore.
• Rosy Fiocchi, moglie dell’ingegner Riccardo e mamma di Silvia, Costantino, Barbara e Luisa, ha
dovuto soccombere alla malattia che la crocifiggeva da dieci anni. La sua vita è stata sintetizzata in
“buon senso e cuore”. Ne aveva tanto, sia di cuore che di buon senso, spesi anche generosamente
come consorella della Conferenza di San Vincenzo.
• Luigi Milani è in lutto per la perdita improvvisa della moglie Giuseppina. La “Pina” com’era per gli
amici, sarà ricordata per la sua simpatia e generosità, spesa anche nell’assistenza agli ammalati e per
l’impegno nel sociale. Era conosciuta per essere stata una delle prime imprenditrici donne di Galbiate, avendo dato vita nel 1973 alla ditta metallurgica tuttora fiorente.
• L’architetto Aurelio Bergonzi ha perso l’amata moglie Giuditta Rossi.
Notiziario SEL n. 1 Gennaio/Aprile 2012
Direttore Responsabile Ambrogio Bonfanti, e.m. [email protected]
Autorizzazione Tribunale di Lecco 15/04/1948 – Stampa Editoria Grafica Colombo SRL - Valmadrera
Eleviamo un mesto pensiero a ricordo di coloro che ci hanno lasciato ed esprimiamo ai familiari le più
sentite condoglianze.
UN RITO CHE SI RINNOVA DA 113 ANNI
E
siamo ancora qui. Nella sala gentilmente concessa dall’Associazione
Piccole e Medie Industrie di Lecco,
che si ringrazia sentitamente per l’ospitalità
che viene data da tanti anni, per sentire quello che il Consiglio della SEL ha combinato
nel trascorso anno 2011 e, se è il caso, rinnovarne la fiducia.
E’ la sera del 10 febbraio, nonostante il freddo
pungente la sala è al completo. Molti soci non
hanno avuto paura e sono arrivati. C’è anche
da rinnovare il Consiglio direttivo per il corrente triennio 2012-14, si sussurra che ci sarà un
sostanziale cambiamento, si lascino lavorare
i giovani.
La riunione inizia regolarmente con la nomina del Presidente dell’Assemblea: Mario Dell’Era. Egli, dopo l’approvazione del verbale
della precedente Assemblea, dato per letto
perché non c’è e non si sa dove sia finito, da
subito la parola al Presidente uscente, Pier
Antonio Mangioni che legge la
Relazione morale dell’anno 2011
“Cari amici anche quest’anno iniziamo con il ricordo dei nostri amici che ci hanno preceduto:
Dionigi Minonzio, Ercole Regondi, Umberto Panzeri, Giuseppe Rocchi, Enrico Maroni, Natale
Brambilla, Armando Pirovano, Gianfranco Mauri, Piero Riva ed Emma Rocca Bonfanti.
Per festeggiare i 113 anni della nostra associazione ci siamo ritrovati, come ormai da consuetudine, alla
Casa sul Pozzo per una simpatica cena. Avremmo desiderato festeggiare il nostro socio e valido aiuto
Valerio Valsecchi, ma sfortunatamente proprio quel giorno si è ammalato. Non appena starà meglio
gli consegneremo un segno di ringraziamento che abbiamo fatto fare per lui.
Ospiti della serata sono stati il consigliere comunale Casto Pattarini, in rappresentanza del sindaco Virginio Brivio,
e l’ing. Paolo Fiocchi, a nome della sua
famiglia che ha sempre sostenuto la nostra associazione.
Mariagrazia, Giusi e Paola hanno presentato tutti gli incartamenti per poter
partecipare ad un bando regionale sui
rifugi che promette di finanziare diversi
lavori di adeguamento.
La Comunità montana ha esaminato le
pratiche e ci ha comunicato che le nostre domande sono state tutte ammesse.
Ora aspettiamo di conoscere quale e quanto finanziamento la regione Lombardia ci assegnerà.
Le domande per partecipare a questi bandi sono state fatte per avere la possibilità di mettere a norma e
risanare i nostri rifugi.
Tutte queste pratiche hanno richiesto un notevole impegno da parte dei nostri tecnici. Li ringraziamo per
il loro assiduo dedicarsi alla società.
I nostri rifugi sono sempre al primo posto nei nostri pensieri. La novità di quest’anno è stata il cambiamento della gestione del rifugio Sassi Castelli: in giugno Danilo Aluvisetti ha inaugurato il rifugio
insieme a Massimo e Serena. Questo cambio ci ha, chiaramente, costretti a mettere a norma i locali: ab-
biamo provveduto all’allacciamento dell’acqua potabile e al rifacimento dell’impianto di riscaldamento
generale che ora funziona a GPL. Per il nuovo generatore del riscaldamento e per un altro generatore,
più piccolo, per l’acqua calda, è stato necessario adattare a locale macchine e servizi uno spazio coperto sul retro del fabbricato con accesso dall’esterno. Inoltre per la mezza stagione sono state installate
due stufe a pellet (nel bar e nel ristorante); abbiamo provveduto a modificare ed aggiornare l’impianto
elettrico per metterlo a norma. Abbiamo inoltre provveduto ad asportare l’eternit che ricopriva la parete
nord dell’edificio e l’abbiamo sostituito con materiale di lamiera imbottita di poliuretano espanso. E’
stato completamente rifatto un muro di sostegno sotto il terrazzo e relativa balaustra, creando così un
allargamento dello spazio per gli ospiti. Ciò si è reso necessario anche per impedire lo scivolamento del
terreno a valle.
Il soffitto della sala da pranzo era rovinato ed abbiamo provveduto a rifarlo con materiale coibentato,
insonorizzato ed ignifugo. Abbiamo rivestito di pietre una parete del locale bar per nascondere delle
bruciature.
Tutti questi lavori sono stati seguiti da Paola Frigerio e Giusi Negri che essendo ingegneri edili ci hanno
aiutato anche nell’espletamento delle pratiche. A loro va il nostro ringraziamento per il lavoro svolto e
anche per quello che le impegnerà nel futuro.
I nostri volontari ci hanno sostenuto in tutti questi lavori offrendoci il loro tempo. Ringraziamo Valerio,
Augusto, Angelo Riva, Angelo Limonta, Francesco, Domenico e i nuovi acquisti Paolo, Leonardo e
Tommaso.
Alcuni amici di Monguzzo ed Erba hanno realizzato per la Sassi Castelli sei tavoli che abbiamo già
posizionato sul terrazzo del rifugio: anche a
loro va il nostro grazie,
speriamo che continuino ad aiutarci!
Il nostro rifugista Danilo con il suo staff ci
ha sempre sostenuto
offrendoci
ospitalità
(completamente
gratuita!); inoltre si è
impegnato ad ammodernare le camere da
letto e a migliorare la
sala Fiocchi. A piano
terra ha già allestito
una camera gioco per
i bambini che ha avuto
molto successo.
Durante l’estate abbiamo restaurato l’esterno della Cappella Bettini ai Piani di Artavaggio grazie anche all’aiuto della Fondazione della Provincia di Lecco. Le opere in muratura sono state eseguite da una ditta specializzata,
ma tutti i lavori di rifinitura e di pulizia anche dell’intera area sono state realizzate dai nostri volontari.
Anche le parti interne di legno avrebbero bisogno di restauro e, per questo, speriamo nell’aiuto dei
nostri volontari falegnami.
Per il rifugio Azzoni sono continuate le trattative col Cai di Monza, proprietario, a sua insaputa, del
terreno su cui appoggia parte del nostro fabbricato.
Finalmente il 30 gennaio 2012 siamo riusciti a porre fine a questa grossa seccatura firmando il rogito per
il trapasso del terreno. Purtroppo abbiamo avuto una sgradita sorpresa: ci è stato chiesto di dare al Cai
una controparte in denaro, in quanto i suoi soci non avrebbero altrimenti ceduto il terreno. Ora dovremo
pagare anche il notaio e finalmente potremo sistemare l’accatastamento del rifugio.
Potremo quindi pensare ai servizi igienici per i quali abbiamo già ricevuto donazioni da parte di nostri
soci.
Per il rifacimento della soletta pericolante delle camere e l’adeguamento della cucina abbiamo partecipato al bando regionale per dei finanziamenti.
Al rifugio Grassi dobbiamo mettere a norma il parafulmine che per ben due volte non ha protetto la
cucina. Il nostro elettricista ha già mandato in quota il necessario per la messa a punto e non appena la
stagione lo permetterà salirà a fare il lavoro.
Se otterremo il finanziamento della Regione rifaremo i serramenti che sono obsoleti e lasciano entrare
la neve in casa durante le bufere invernali.
Anna e Amos hanno sistemato ulteriormente l’interno del rifugio ed hanno portato la corrente elettrica
nelle camere.
Se otterremo il finanziamento regionale potremo installare dei serramenti a tenuta termica al piano terra
del rifugio Rocca Locatelli, visto che quelli attuali disperdono molto il calore.
Il nuovo idraulico ci ha comunicato che l’impianto di riscaldamento nella parte locale caldaia non è a
norma, dovremo provvedere alla sistemazione al più presto. Una porta a vetri, di nuova installazione,
all’ingresso della scala, isola dai rumori della sala pranzo la sala superiore Carlo Villa.
Valerio, Enrico Zappa e il cognato hanno sistemato i muri di sostegno del terreno adibito a cortile.
I gestori hanno provveduto alla pulizia della pineta. Anche l’aiuola del piazzale è stata piantumata con
fiori e Enrico ha costruito una bella edicola con la Madonnina. I gestori, per incarico della Comunità
Montana, hanno preso in custodia il Campo da Tennis e la relativa gestione, provvedendo alla riscossione delle quote di utilizzo. Nell’estate il tennis ha modestamente funzionato.
Li ringraziamo. Purtroppo in autunno Enrico è stato ricoverato in ospedale per un problema piuttosto
serio e tuttora è in cura per la riabilitazione. Gli auguriamo una pronta guarigione.
Augusto Marchetti accompagnato da vari soci ha partecipato alla festa per i 150 anni dell’unità d’Italia
recandosi sulla cima del Resegone per accendere i fumogeni colorati a mezzogiorno, peccato che il
brutto tempo non abbia permesso di vedere la loro impresa da Lecco.
L’Assalto al Resegone 46° edizione si è svolto con una notevole partecipazione come ogni anno.
La compagnia dei “Mai Stracc” di Parè di Como ha vinto anche quest’anno come gruppo più numeroso.
Monsignor Franco Cecchin anche quest’anno è salito per celebrare la S. Messa, gliene siamo grati.
La 6770 non è stata favorita dal bel tempo, tuttavia una quarantina di persone vi ha partecipato.
La premiazione come al solito si è svolta al rifugio Rocca Locatelli con un pranzo molto partecipato da
soci e simpatizzanti.
La messa è stata celebrata da don Achille Gumier ed essendo novembre abbiamo ricordato i nostri soci
defunti.
La signora Wanda Frigerio ha continuato la tradizione del marito di donarci ottime castagne che i nostri
soci hanno cotto, ringraziamo Valerio, Milo, Angelo Riva e Giorgio.
Pippo Cattaneo ha organizzato gite molto interessanti. Ci aspettiamo che quest’anno le gite siamo ancora più partecipate dai nostri soci e amici.
A conclusione dell’assemblea Pippo ci mostrerà una carrellata di foto selezionate e illustrerà le prossime
gite: partecipate numerosi!
I lavori che abbiamo fatto e che faremo vengono anche finanziati dagli introiti delle gite sociali e dalle
quote associative.
Per questo vi invitiamo a pubblicizzare le nostre gite presso i vostri amici. Se poi questi sono amanti della montagna invitateli ad iscriversi alla nostra società, ci aiuterete a tenere sempre attivi i nostri rifugi.
Ringraziamo in particolare i rifugisti Anna, Danilo, Luana e Maurizio che, con i loro familiari, si impegnano attivamente nella gestione dei rifugi, anche proponendo sempre nuove attività che attirano amici
e giovani ai loro rifugi.
Ringrazio il Consiglio Direttivo e i Revisori dei conti che mi hanno sostenuto in questi tre anni, i nostri
rifugisti che collaborano al buon nome della Sel col loro lavoro, i collaboratori del notiziario diretto da
Ambrogio Bonfanti e coadiuvato da Franco Nattan, tutti i volontari che ci hanno aiutato permettendoci
di abbattere i costi.
Ringrazio anche la stampa locale che da sempre ci segue pubblicizzando le nostre iniziative. Scusatemi
se ho dimenticato qualcuno, ringrazio tutti per la collaborazione e spero che il prossimo Consiglio possa
continuare e portare a termine quanto è stato iniziato”.
E’ stata poi la volta del Tesoriere Enrico Bonaiti che ha presentato il bilancio consuntivo 2011
e preventivo 2012 dando ampie spiegazioni su ogni voce.
La relazione al bilancio 2011 del Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti, Vito Benzoni,
è stata pure seguita attentamente:
“Egr. Soci, Signore e Signori,
Il Tesoriere Vi ha presentato il rendiconto-bilancio al 31-12-2011.
Vi informiamo che il predetto documento è stato verificato e controllato dai sottoscritti ed i dati esposti
corrispondono alle risultanze della documentazione sociale.
Abbiamo partecipato alle riunioni di Consiglio, non mancando in ogni occasione di esternare le nostre
posizioni in merito ad ogni discussione coinvolgente gli aspetti finanziari e contabili, nell’ottica di una
oculata gestione del vostro patrimonio.
L’esame delle procedure utilizzate conferma l’adeguatezza delle stesse alle specifiche caratteristiche
della contabilità dell’Associazione.
Le disponibilità liquide sono iscritte al valore nominale sulla base dell’effettiva giacenza di cassa e
delle risultanze dell’estratto conto bancario.
Le esigenze di gestione straordinaria hanno comportato l’assunzione di onerosi impegni. La collaborazione finanziaria momentanea dataci da alcuni Soci,
peraltro non onerosa per la società e che dobbiamo
ringraziare, ha consentito di far fronte agli impegni.
Le nostre valutazioni sulla situazione attuale ci inducono ad affermare che la gestione ordinaria (tesseramenti, affitti ed altre minori entrate) consentirà alla
Società, per il prossimo futuro, di ottenere quegli introiti sufficienti per copertura degli esborsi ordinari
previsti, ivi compreso il pagamento a rimborso delle
rate del prestito decennale richiesto, nonché la costituzione di qualche riserva.
Relativamente alla gestione straordinaria abbiamo
avuto conferma dal Credito Valtellinese della disponibilità a concederci un finanziamento di cinquantamila
euro, rimborsabile in dieci anni.
Quando si dovessero concretizzare i contributi regionali (già approvati dalle Comunità Montane competenti), allora potrà essere raggiunto un sufficiente
equilibrio finanziario. Raccomandiamo agli Organi Sociali entranti un capillare monitoraggio dell’andamento di questa delicata gestione. Com’è noto, il nostro mandato è venuto a cessare alla fine del
2011. Abbiamo continuato comunque fino ad oggi la nostra opera di controllo ed appoggio di gestione.
Ora non ci resta che augurare un proficuo lavoro al Collegio entrante, dando fin d’ora la nostra completa disponibilità di collaborazione.
Ringraziamo il Presidente ed il Consiglio uscenti per la collaborazione, augurando al nuovo Presidente
e Consiglio una serena gestione societaria. Nel ringraziare il Tesoriere per la disponibilità dataci in
ordine all’espletamento delle nostre funzioni, il Collegio Sindacale esprime parere favorevole all’approvazione del bilancio al 31-12-2011.
Il Collegio dei Revisori di Conti:
Rag. Vito Benzoni, Presidente. Rag. Ambrogio Bonfanti, Revisore, Amleto Locatelli, Revisore”
Approvate all’unanimità le varie relazioni, sono state distribuite le schede, procedendo quindi
alle votazioni per la nomina del nuovo Consiglio Direttivo e, dopo che il Vicepresidente uscente
Pippo Cattaneo aveva illustrato il programma del Camminasel 2012, ricco di iniziative e nuove
escursioni, a scrutini ultimati, il Presidente d’Assemblea ha letto i nomi degli eletti.
Il Consiglio Direttivo dell SEL per il triennio 2012-2014 rimane così composto (nell’ordine)
Mangioni Pier Antonio
Cattaneo Filippo
Negri Giuseppina
Marchetti Augusto
Bolis Laura
Riva Angelo
Colombo Mauro
Nattan Franco
Negri Milo
Cappelli Eugenio
Colangelo Domenico
Riconfermati i Revisori dei Conti: rag. Vito Benzoni, rag. Ambrogio Bonfanti, Amleto Locatelli.
Un simpatico rinfresco, offerto dalle esperte pasticcere seline, con adeguate libagioni, ha posto fine alla partecipata serata.
In successiva riunione, la sera del 20 febbraio, venivano nominati:
Presidente Pier Antonio Mangioni
Segretario Eugenio Cappelli
Tesoriere Mauro Colombo.
Vice Presidenti Filippo Cattaneo, ing. Giuseppina Negri.
Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti, rag. Vito Benzoni.
Addetto stampa e Direttore del Notiziario sociale, Ambrogio Bonfanti.
Ispettori dei rifugi:
rifugio S.E.L. Rocca Locatelli, rag. Vito Benzoni, rag. Ambrogio Bonfanti; rifugio Alberto Grassi,
Domenico Colangelo, Angelo Riva; rifugio Arnaldo Sassi-Nino Castelli, ing. Paola Frigerio, Augusto Marchetti; rifugio Luigi Azzoni, Laura Bolis, Milo Negri.
113 anni dal 1° febbraio 1899
S
on passati centotredici
anni dal giorno in cui il
Prealpino, settimanale lecchese, dava l’annuncio
che un manipolo di baldi giovanotti, staccatosi dalla Società Alpina Operaia Antonio
Stoppani, aveva fondato una
nuova società alpinistica.
Infatti, l’articolo 1 dello Statuto sociale così recita:
“Allo scopo di diffondere, facilitare e rendere l’alpinismo
popolare, si è costituita il 1°
febbraio 1899, la Società
Escursionisti Lecchesi”.
Primo Presidente fu Battista
Turba.
Ne è passata di acqua sotto
i ponti, ne sono successe di
tutti i colori, ma la nostra SEL
continua ad essere fedele al
suo Statuto. E così, sabato
sera 4 febbraio ci siamo riuniti presso il ristorante de “La
Casa sul Pozzo”, nel rione di
Chiuso, per ricordare la storica data. Si è trattato di un
simpatico incontro tra soci
giovani e “diversamente giovani” che, se pur non numerosissimi, hanno avuto modo
di conoscersi, scambiarsi
ricordi, rievocare episodi di
passate escursioni, e soddisfare l’appetito con un eccellente menù.
Regista della serata la signora Lorenza Frigerio, nostra
attivissima socia, che della
Casa sul Pozzo è instancabile sostenitrice.
Dopo l’immancabile gruppo
fotografico con il Presidente
Pier Antonio Mangioni, con
Casto Pattarini rappresentante del Sindaco di Lecco e
con anche l’ing. Paolo Fiocchi
in rappresentanza di una famiglia che alla SEL è sempre
stata generosa d’aiuto, è arrivata in tavola una sfilza di
leccornie sotto forma di antipasti, cui hanno fatto seguito
gustosi piatti di pasta, carne
e relativo dessert.
Non è mancato il necessario
e vario innaffiamento.
Assente, per improvvisa indisposizione, Valerio Valsecchi,
competente e instancabile
manutentore dei nostri rifugi. A lui è stata riservata una
targa di riconoscimento per la
sua preziosa attività, targa poi
consegnata, dal Presidente,
al domicilio del premiato.
In chiusura della serata non
sono mancati i saluti del Presidente e del rappresentante
del Sindaco.
E’ doveroso segnalare anche
la disponibilità di Mario Marai,
della Fotoottica Lariana, sempre presente ad ogni manifestazione selina, è sua anche
la foto pubblicata che ritrae
un gruppo di convitati, e sempre pronto ad immortalare
ogni avvenimento importante.
Naturalmente, come si dice a
Lecco “a gratis”.
Grazie a tutti!
a.b.
VIAGGIO A REUNION, ma… dov’è? Ottobre 2011
La primavera scorsa, pensando a dove andare quest’anno per un bel viaggio,
Sergio lancia l’idea di Réunion. Tutti ci chiedevamo
dove fosse e di che cosa si
trattasse perché nessuno ne
aveva mai sentito parlare.
E’ presto detto: Réunion è
un’isola nell’oceano Indiano.
Poco più a sud di Mauritius
e più ad est del Madagascar.
Un’isola tropicale sola soletta di forma pressappoco
arrotondata grande il doppio
dell’isola d’Elba. E’ un dipartimento francese, in pratica
Francia a tutti gli effetti, ci si
va con la carta d’identità, anche se la separano 11 ore di
volo dalla madrepatria. Scoperta proprio dai francesi intorno al 1600 era disabitata,
così sono stati importati degli schiavi dal vicino Kenya e
dal Sudafrica per lavorarne la
terra. Dopo la ribellione dalla
schiavitù è stata la volta degli
indiani e poi dei cinesi. Il tutto,
insieme ai francesi, ha creato una mescolanza unica di
razze che hanno portato ad
avere attualmente una maggioranza della popolazione
creola con una lingua propria
anche se il francese è la lingua ufficiale.
Réunion non è piena di
spiagge come ci si aspetterebbe, perché si tratta di
un’isola vulcanica, c’è quasi
in centro un vulcano estinto
da millenni che si chiama Piton des Neiges (Pizzo delle
nevi, anche se la neve è un
evento eccezionale) ed è
alto poco più di 3000 metri.
Il collasso delle pareti del
vulcano ha creato 3 depressioni che si trovano tra i 1000
e i 2000 metri d’altitudine e
sono chiamati “cirque”; c’è il
cirque de Mafate, il cirque de
Cilaos e il cirque de Salazie.
Noi abbiamo fatto un trekking
e abbiamo visitato tutti e tre i
cirque trasferendoci da uno
all’altro con passi fino a 2500
metri ed abbiamo anche raggiunto la vetta del Piton des
Neiges all’alba per uno spettacolo indimenticabile.
Eravamo in 13 di cui parecchi
selini, insieme con me c’erano Sergio, Tullia, Anna, Augusto, Giulia, Laura e Giuliana
ed altri amici. Partiti da Lecco
il 23 ottobre abbiamo volato
fino a Parigi per poi arrivare
a Saint Denis, piccola capitale dell’isola. Subito il giorno
successivo siamo partiti con
gli zaini in spalla per portarci
ai 2000 metri dove era posto il primo rifugio. In totale
abbiamo fatto dieci giorni di
cammino con una media di
sei ore al giorno sulle nostre
gambette. Siamo stati molto
fortunati perché non ha mai
piovuto, anzi abbiamo avuto
delle giornate stupende.
Le guide dicevano che durante le ore più calde all’interno dell’isola, dove ci sono
le montagne e quindi dove
camminavamo noi, tutti i giorni ci sarebbe stato un addensamento di nuvole con piogge... e invece niente! Sempre
cielo terso, tanto è vero che
poco sopra le nostre teste
ad un certo punto è partito
un incendio che gli elicotteri sono riusciti a
domare solo dopo parecchi giorni. Per contro
faceva parecchio caldo durante il cammino,
soprattutto nelle salite assolate e con poca
vegetazione. Gli schiavi che tempi addietro si
sono ribellati ai padroni sono scappati all’interno dell’isola creando dei piccoli paesi che
ancora oggi sono abitati, coltivati e collegati
tra loro da parecchi sentieri. I francesi hanno
sfruttato magnificamente questa cosa creando delle “Grandes Randonnées” che passano
e fanno tappa in questi paesi, di modo che
l’ospitalità è data proprio dai “maron” che abitano gli altipiani. Solo in un paio di punti abbiamo dormito in veri e propri rifugi, altrimenti
eravamo sempre alloggiati in “cabanon” mol-
to belli e puliti, dotati di letti a castello, coperte
e lenzuola, docce con acqua calda... e pure
cene buone ed abbondanti! La varietà delle
pietanze non era ampia, si mangiava sempre
riso bianco e “poulet” (pollo) cucinato in tutte
le maniere ma sempre appetitoso.
Terminato il nostro peregrinaggio ci siamo
trasferiti al mare, anzi all’oceano, e ci siamo
rifatti con scorpacciate di espadon (pesce
spada) e tonno pescati freschi!
Come dicevo non ci sono delle grandi spiagge perché la costa è spesso frastagliata e
rocciosa. Davanti al nostro albergo c’era una
bella laguna protetta dalla barriera corallina,
ma era lunga solo qualche chilometro, per il
resto anche dove la costa sembrava accessibile in realtà c’erano onde molto alte adatte ai surfisti. E poi c’era anche il pericolo dei
pescicani!
Certo non ci siamo crogiolati sulla spiaggia
per i quattro giorni rimanenti, ma abbiamo
noleggiato delle auto e siamo andati a visitare le cittadine lungo la costa e soprattutto la
cosa più bella: il vulcano, il Piton de la Fournaise. Ebbene sì, a sud dell’isola c’è un vulcano stile hawaiano ancora attivo, tipo il nostro
Etna, che a volte è calmo e tranquillo e ci si
può salire per comodo sentiero fino al bordo
del cratere, altre volte invece erutta e la lava
può arrivare fino alla costa. Ultimamente ci
sono eruzioni ogni due anni. Durante la nostra visita era tutto tranquillo, così si è potuto
salire per questo sentiero molto particolare,
sette ore di camminata sempre sulla lava solidificata, una sensazione particolare, a volte
sembrava addirittura di camminare su vetri in
frantumi!
Un’altra cosa stupenda di questo viaggio è
stata la vegetazione, nei cirques, grazie alla
fertilità della lava e al clima tropicale è cresciuta una foresta primordiale che sembra
quella di Tarzan... e poi quanti fiori... tantissimi e stupendi… orchidee spontanee, calle,
fucsia... Giuliana, la nostra esperta botanica,
grande amante dei fiori, perdeva la testa e
non so quante foto abbia scattato!
Nonostante la fatica ci siamo divertiti tanto, ci
siamo “lustrati gli occhi” davanti a tante meraviglie della natura e tutto è andato per il meglio. Alla prossima.
Chichi
IL TRAUMA CRANICO
durante le escursioni in montagna
Il nostro Socio dottor Maurizio Pontiggia, stimato,
valente neurochirurgo e neurologo, ha scritto per
il Notiziario questo interessante articolo. A noi,
che abbiamo ripreso nella bella stagione ad andar
per monti, ci potrà essere utile, Dio non voglia, in
caso di eventuali, funeste necessità.
Ne facciamo prezioso compagno di escursioni.
Quando si affrontano delle escursioni in montagna
anche se non sono particolarmente impegnative e si
percorrono sentieri facili non esposti è sempre in agguato la possibilità di procurarci un trauma cranico.
Prima di prendere in esame i vari tipi di traumi vorrei introdurre alcuni concetti semplici di anatomia
topografica per descrivere le varie possibilità di
traumatismo.
Brevi appunti d’anatomia topografica
La nostra testa, il nostro capo è diviso in maniera assolutamente stagna in due parti che non si
mescolano tra loro, da una parte il NEUROCRANIO composto dalla scatola cranica, fatta di
osso, propriamente detta e dal cervello che è contenuto e galleggia in un sacchetto di cellofan
ripieno di acqua, il sacchetto è chiamato dura madre, il liquido, liquor cerebrospinale, ed ha la
consistenza e l’aspetto dell’acqua pura e limpida.
La scatola cranica, il liquor e la dura madre, che è una tela resistentissima, hanno il compito di
proteggere il nostro cervello dai traumi.
Nel cranio il nostro cervello è protetto da vari strati di materiali diversi, 1) l’insieme dei capelli, il capillizio, 2) il cuoio capelluto, 3) la galea, 4) la teca cranica, 5) la dura madre.
Quando indossiamo il casco aggiungiamo un ulteriore strato protettivo che può diventare molto importante in caso di trauma e va sempre indossato quando si percorrono sentieri esposti,
passaggi di rocce con catene o ferrate.
L’altra parte del capo è composta dallo SPLACNOCRANIO e comprende la faccia con le orbite e gli occhi, la bocca con la mandibola, le orecchie, il naso, quindi l’osso della nostra faccia
ha tante concamerazioni, i così detti seni: mascellari, frontali mastoidei. Questi organi e questi
seni sono in contatto tra di loro ma assolutamente separati dalla scatola cranica.
Le fosse nasali, le orbite degli occhi, i padiglioni auricolari con i condotti uditivi esterni, sono
zone molto delicate, e rappresentano dei punti poco resistenti ai traumi specialmente da quelli
provocati da oggetti appuntiti.
IL TRAUMA CRANICO MINORE
Per prima cosa vorrei parlare dei traumi cranici cosi detti minori, che sono i più frequenti, e
che non comportano gravi sfondamenti della
scatola cranica, lacerazioni del cervello della
dura madre, perdita di liquor o stato di coma.
Per quanto riguarda l’eziologia, cioè come si
produce il trauma, è sempre valida la distinzione fra due gruppi di traumi:
1) Il trauma cranico viene definito DIRETTO, quando è il cranio che viene colpito
direttamente da un corpo contundente,
per esempio da un sasso che si stacca da
una parete di roccia (bisognerebbe portare sempre un casco di protezione).
2) Il trauma cranico INDIRETTO quando il cranio urta contro un ostacolo, per
esempio quando si scivola e cadendo a
terra si colpisce il cranio.
Trauma cranico diretto: le modalità più frequenti con cui ci si procura un trauma cranico
diretto sono quando il cranio viene colpito da
un sasso acuminato, da una punta di picozza o
da altri oggetti duri e taglienti, come coltelli,
falcetti, martelli od altri oggetti impensabili,
per esempio l’elica di un motore di una barca
se l’escursione, magari, ha previsto un bagno
in un lago alpino, per esempio in Engadina.
La ferita che si provoca al cuoio capelluto
in questi casi è generalmente piccola, della
lunghezza di uno o due centimetri ma molto profonda nel tessuto pericranico del cuoio
capelluto, per cui è difficile da individuare la
fonte del sanguinamento, ma il sangue è sempre molto abbondante.
Il sangue scorre lungo la capigliatura ed essendo la testa rotonda si raccoglie in posti
che non corrispondono alla ferita, spesso il
sangue cola sugli occhi (rendendoci ciechi),
lungo la faccia, nelle orecchie o lungo il collo
bagnando i vestiti, non si riesce a capire da
dove viene, ma è sempre molto abbondante.
In questi casi bisogna avere un certo sangue
freddo e fare passare con calma ciocca dopo
ciocca per trovare la ferita per cercare in ogni
modo di tamponarla e fermare l’emorragia.
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Bisogna assolutamente fermare l’emorragia
premendo con forza contro la teca cranica ossea un fazzoletto ma anche un dito o la mano
nuda o un indumento qualsiasi, senza preoccuparsi della pulizia della ferita che si farà in
un secondo tempo.
Bisogna ricordare che il sangue impiega almeno cinque minuti per coagulare e per essere fermato, quindi bisogna guardare il tempo
con un orologio, continuare a tamponare ed
aspettare con pazienza che passi questo lasso
di tempo, perché in queste situazioni sembra
che il tempo non passi mai.
Oggi molte persone sopra i sessantanni usano farmaci anticoagulanti, la più diffusa è la
Cardioaspirina o addirittura il Coumadin, in
queste persone occorre tenere presente che
il tempo della coagulazione del sangue raddoppia per cui il tamponamento deve essere
molto più lungo.
Un trauma cranico diretto può anche essere
mortale quando una scarica di sassi colpisce
uno scalatore in parete, se i sassi cadono da
una grande altezza oppure sono grossi, colpiscono e deformano il casco con una forza tremenda, lacerano la scatola cranica dello scalatore, provocando fratture craniche mortali.
Trauma cranico indiretto: generalmente ci si
procura questo traumatismo picchiando la testa contro un oggetto duro, per esempio contro un soffitto basso, oppure cadendo a terra e
urtando un sasso o sul pavimento.
Generalmente in questi casi non ci si procura una ferita sanguinante ma un’abrasione od
una contusione per cui il cuoio capelluto è
molto dolente, arrossato e ben presto diventa
gonfio e duro per la presenza di una reazione
periostale.
Durante questo tipo di trauma il capo urta violentemente contro un ostacolo e la forza del
colpo si trasmette a tutto il cervello che vibra
all’interno della dura madre e nel liquor, la
forza dell’urto provoca cefalea, stordimento,
confusione, nausea e vomito, e siccome tutta
la massa cerebrale viene scossa spesso si presenta un periodo più o meno lungo di perdita
di conoscenza.
IL TRAUMA
CRANICO MAGGIORE.
Si definisce maggiore quando il
trauma cranico provoca estese
ferite che interessano il cuoio capelluto e la galea, con fratture
lineari od affondate della teca
cranica e lacerazione della
dura madre, fuoriuscita di
materiale cerebrale, perdita
di liquor dalle fosse nasali o
dalle orecchie, stato di coma che si instaura
subito dopo il trauma e perdura nel tempo.
Questo tipo di trauma cranico diretto od indiretto che sia, nella mia esperienza, raramente
si verifica durante una escursione, sono molto
frequenti nella traumatologia della strada, per
esempio in seguito a traumi da caduta dalla
moto, gravi incidenti d’auto, oppure traumi
dovuti a precipitazione da caduta durante le
scalate.
Per il trattamento di questi traumi cranici gravi e complessi bisogna fare intervenire medici
specializzati in Anestesia e Neurorianimazione il più presto possibile, utilizzando prontamente il Servizio del Soccorso del 118.
CONSIGLI PRATICI PER IL SOCCORSO
DI UN TRAUMATIZZATO CRANICO
Dopo aver preso in esame la svariata tipologia di traumi cranici, si possono riassumere
i consigli pratici per soccorrere correttamente un trauma cranico, tenendo presente che
l’ambientazione sia quella di una comune
escursione in montagna che attraversi prati,
boschi, sentieri, anche impervi, ma sempre
ben tracciati e battuti. La cosa da fare più
semplice per orientarsi è quella di osservare
ed interrogare il paziente per rendersi conto
del suo stato di coscienza.
- Interrogare il paziente:
caso di paziente sveglio.
Si pongono delle domande molto semplici,
per esempio bisogna chiedere al paziente il
nome, il luogo dove abita, quando è
nato, com’è successo il fatto. Se
il paziente collabora, risponde a
tono, si definisce il paziente “sveglio”, questo è un segno che non ci
sono lesioni cerebrali interne pericolose.
A questo punto si deve esplorare la regione d’impatto della
forza traumatica.
In presenza di un paziente sveglio con trauma minore chiuso è necessario,
appena possibile, apporre la borsa del ghiaccio nella zona di impatto per limitare i danni locali del cuoio capelluto. Se il paziente è
sveglio con trauma minore aperto, quando ci
sono sanguinamenti, ferite da taglio o lacero-contuse del cuoio capelluto, è necessario,
per prima cosa, come abbiamo già descritto,
fermare l’emorragia con ogni mezzo a disposizione, poi in un secondo tempo pulire e medicare la ferita.
- Interrogare il paziente: caso di paziente
disorientato o confuso.
Se alle domande semplici il paziente appare
confuso, disorientato perché non si ricorda
che giorno è, oppure non sa dove si trova, oppure non ricorda come è avvenuto il trauma,
presenta in termini tecnici un stato di amnesia retrograda per i fatti avvenuti prima dell’incidente, oppure circa l’accaduto, siamo di
fronte ad un paziente con disturbi dello stato
di coscienza, dovuti ad una commozione cerebrale.
La commozione cerebrale può essere di grado lieve se la durata dell’amnesia è inferiore ai 30 minuti, in questo caso non richiede
particolari provvedimenti, oppure se la durata
dell’amnesia è più lunga la commozione ce-
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rebrale risulta più grave e richiede un sollecito ricovero per una osservazione ospedaliera
per circa 24 ore.
Bisogna tenere sempre sotto osservazione un
traumatizzato cranico, anche se lieve, ed interrogarlo frequentemente perché in alcuni casi
un paziente sveglio dopo alcune ore dal trauma può presentare disturbi della coscienza, diventare confuso, presentare cefalea e vomito;
questi sintomi vanno riconosciuti perché sono
il segnale di una complicanza intracerebrale,
per esempio il formarsi di un ematoma intracranico, in questo caso bisogna organizzare un
soccorso con ricovero ospedaliero immediato.
- Interrogare il paziente: caso di paziente
in coma “da subito”.
In questo caso il paziente, subito dopo il trauma, non è collaborante, non risponde alle
domande semplici, rimane immobile senza
muoversi anche se lo si stimola con stimoli
dolorosi forti, tipo pizzicotti ai muscoli delle
spalle, sembra in uno stato di sonno profondo,
gli occhi sono in genere chiusi, se si alzano le
palpebre si noteranno le pupille dilatate, e se
si toccheranno le congiuntive si noterà che
non ci sarà nessun ammiccamento, questo è
lo stato di coma che denota un grave danno
cerebrale, il paziente è in pericolo di vita, è
necessario un ricovero ospedaliero immediato tramite il Servizio del 118.
Nel frattempo, in attesa del soccorso, è importante che il paziente sia messo su di un
fianco, perché quasi sempre vomita e bisogna
che il vomito esca fuori dalla bocca per non
ostruire le vie aeree, situazione che porterebbe il paziente al soffocamento.
Concluderei questa panoramica sul trauma
cranico prendendo in considerazione le Linee
Guida per la chiamata del Servizio d’Urgenza
del 118.
Il Servizio del 118 va usato con competenza
e precisione senza inutili abusi, visto l’altissimo costo umano e materiale del Servizio.
Bisogna chiamare il 118:
- In presenza di traumi cranici anche minori con importanti emorragie irrefrenabili.
- In presenza di traumi maggiori con paziente in coma.
- In presenza di malati che sono svegli subito dopo il trauma, ma poi presentano un
peggioramento dello stato di coscienza.
Dr. Maurizio Pontiggia,
Neurochirurgo, Neurologo.
Il Camminasel… va…
25 marzo – siamo stati a Torino
15 aprile – in Val di Susa, alla Sacra di San Michele
27 maggio – la traversata da Sestri Levante a Moneglia
10 giugno – da Tirano a Poschiavo
24 giugno – da Isola a Splügen, lungo le antiche vie
21/22 luglio – il Grande Anello delle Pale di San Martino
9 settembre – sul Monte Guglielmo
23 settembre – al Monte Peghera sul Lago d’Idro
… e tu che cosa aspetti a venire con noi ?
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TIBET, AI CONFINI CON IL CIELO,
tra natura e spiritualità
Ottobre 2011
Ci siamo; finalmente dopo
tanti mesi d’attesa e di preparativi, eccoci pronti in aeroporto a partire per un lungo viaggio nella notte che ci riporterà
all’ormai ben conosciuta
Kathmandu, punto di partenza
per il nostro grandioso viaggio-avventura in Tibet. A differenza di altri viaggi in queste zone, quest’anno niente
trekking ma una conoscenza
più “comoda” di questo misterioso e affascinante Paese:
dopo un breve soggiorno nella capitale nepalese per le formalità di rito necessarie per il
rilascio del visto d’ingresso in
Cina, saliamo a bordo del nostro piccolo autobus che sarà
la nostra seconda casa per
molti giorni.
Dopo una sosta per visitare
Bakhtapur, la terza città reale dopo Kathmandu e Patan,
e forse la più bella con il suo
intatto centro storico, percorriamo tutta la splendida valle
che c’introduce verso le affascinanti vette himalayane
e sostiamo per la notte in un
accogliente lodge, quasi un
miraggio nel fitto del bosco.
Dalle grandissime vetrate
delle nostre stanze possiamo
solo intuire la maestosità della catena di monti, oscurata
purtroppo da una cortina di
nuvole basse, e anche l’appuntamento con la visione
dell’alba il giorno successivo
salta per la scarsa visibilità. Sarà però questa l’unica
giornata di tempo perturbato
durante tutto il viaggio e uno
splendido sole con cielo blu
cobalto ci accompagnerà per
i prossimi giorni.
Ancora un breve tratto stradale ed eccoci al ponte che
segna il confine tra Nepal e
Cina, dove la presenza cinese incomincia a farsi sentire
in maniera massiccia: divieto
di fotografare, controllo dei
bagagli e molti militari in zona.
Dopo le inevitabili attese, eccoci finalmente in territorio
tibetano e l’emozione incomincia a crescere: il nostro
programma, per permettere
una migliore acclimatazione, prevede ora una sosta di
due giorni presso il paese di
Zhangmu, a quota 2300 metri
d’altezza, da dove partiamo
per un’escursione al villaggio
di Nyalam (3650 metri), sede
del monastero del poeta e mistico Milarepa che qui trascorse molto tempo a meditare in
una grotta. Le visioni sulla catena himalayana e sulla valle
da quassù sono veramente
grandiose e, visitando il piccolo nucleo di case alla base
del monastero, veniamo invitati da una signora a bere un
tè nella sua casa, come ringraziamento per il lavoro dei
medici presenti nel gruppo
che le applicano una pomata
lenitiva sulle mani tormentate
dal sole e dal vento.
La mattina del giorno successivo, accompagnati nuovamente da un cielo limpidissimo, proseguiamo il nostro viaggio lungo la Strada
dell’Amicizia, oltrepassando i
passi di Tong La (5050 m.) e
Lalung La (4900 m.), dai quali
si apre l’incredibile panorama
sullo Shisha Pangma (8013
m.) e sul Cho Oyu (8201 m.),
collegate da una serie infinita di cime minori ma non per
questo meno belle. Non ho
vergogna a confessare che,
malgrado io abbia già vissuto
numerose esperienze nelle
valli himalayane, un panorama così maestoso ed esteso
a 180 gradi non l’ho mai visto
e una grande commozione mi
prende, con relativa lacrimuccia…
Dopo le inevitabili e numerose foto, scendiamo nella piana di Tingri (4200 m.), dove
trascorriamo la notte in attesa
della grande giornata di domani che ci condurrà al campo base dell’Everest versante
nord, a quota 5200. Nella notte però un componente del
gruppo subisce gli effetti dell’altura e decidiamo quindi, in
accordo con il resto del gruppo, di evitare il pernottamento
in quota sotto l’Everest e di
scendere più in basso a dormire, una volta terminata la
visita di questo magico luogo.
Questa decisione comporta
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una lunga giornata di trasferimento su strade sterrate, con
arrivo a destinazione oltre le
nove di sera, ma in questo
modo possiamo mantenere unito il gruppo e regalare
anche a chi ha avuto qualche
problema di salute l’emozione di vedere così da vicino la
montagna più alta del mondo.
E poi ancora strada lungo valli meravigliose fino al Gyatso
La, il passo più alto toccato
nel nostro itinerario a quota
5220 per raggiungere infine
Sakya, dove visitiamo uno dei
più importanti monasteri del
Tibet, sontuoso e raffinato:
l’immensa sala di preghiera
dove si riuniscono i monaci
con le alte colonne lignee, le
statue rivestite d’oro, le pareti
affrescate di dipinti preziosi,
suggeriscono un profondo
senso di misticismo.
Nei giorni successivi continua
la nostra conoscenza di meravigliosi templi come quello
del Tashi Lumpo, che domina il paese di Shigatse con i
suoi tetti dorati, quello di Sha-
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lu, che risale all’XI secolo e
conserva un’antica atmosfera
con meravigliosi affreschi per
finire con lo stupa di Kumbum,
presso il paese di Gyantse, il
più grande esistente in Tibet
con le sue magnifiche 73 camere affrescate da 27.000 figure dell’arte sacra buddista.
Ancora due passi ci separano
dall’arrivo a Lhasa: il primo è
quello del Karo La, spettacolare valico a quota 5010 incassato tra i ghiacciai, superato il quale si scende verso
il sacro lago di Yamdrok Tso,
immenso specchio azzurro a
quota 4300 metri per poi risalire verso il Kamba La (4794
m.), l’ultimo passo del nostro
viaggio.
Eccoci infine alla nostra meta,
Lhasa, enorme città abitata da un milione di persone,
dove sosteremo per tre giorni: arrivando dal silenzio delle
montagne e dalla suggestione, e dal misticismo dei piccoli e grandi monasteri incontrati durante il nostro viaggio,
l’impatto è piuttosto violento.
Grandi edifici moderni, centri
commerciali, larghissime strade piene d’auto rompono l’incantesimo vissuto nei giorni
precedenti e siamo ben contenti di aver lasciato la visita
della città al termine della nostra esperienza tibetana.
Ma niente può scalfire l’immagine maestosa del Potala,
l’imponente palazzo ex residenza invernale del Dalai
Lama, uno degli edifici più
maestosi e impressionanti
dell’intera Asia al quale accediamo percorrendo una lunga
scalinata: costruito in pietra,
legno e terra è immenso ed
i suoi 13 piani custodiscono
oltre 1000 stanze e 10.000
cappelle. Estremamente suggestivi sono anche il vecchio
quartiere commerciale di
Barkhor, dove sorge lo splendido monastero del Jokhang,
il cuore più antico di Lhasa
con al suo interno più di 300
statue e i bellissimi monasteri
di Deprung e Ganden, pochi
chilometri fuori città, entrambi
costruiti in luoghi particolarmente suggestivi.
L’ultima visita prima di salire
sull’aereo che, con un panoramico volo sopra la catena
himalayana, ci riporta a Kathmandu è dedicata al castellomonastero di Jumbulakhang,
l’edificio più antico del Tibet
situato su uno sperone roccioso che domina la valle e
dal quale lo sguardo d’insieme è veramente spettacolare.
Riflessioni
In Tibet la situazione permane molto difficile: i cinesi oggi
sono in maggioranza numeri-
ca in tutte le città, Lhasa compresa, grazie ad una deliberata politica d’invasione. E’ stata
incentivata l’emigrazione dei
cinesi in Tibet offrendo agevolazioni e stipendi migliori ed
è stato imposto l’utilizzo della
loro lingua. L’aspetto peggiore di questa politica sembra
ora attenuato; sembrerebbero infatti diminuiti gli interventi
di sterilizzazione forzata dei
tibetani e, se pur con pesanti controlli, sembra anche più
tollerata la pratica religiosa.
In molte zone pastorali proseguono le politiche d’insediamento forzato dei nomadi, ma
spesso senza un gran successo grazie al carattere particolarmente tenace di questa
gente. In alcune regioni spesso le case del governo restano vuote, anche se le autorità
escogitano diverse forme di
pressione per cui nel tempo
questo processo sta pian piano erodendo il tessuto sociale
di queste popolazioni. In alcune scuole è utilizzato anche il
tibetano, ma la lingua non viene studiata nelle scuole superiori, rimanendo così di fatto
un idioma che nelle intenzioni
degli invasori è destinato ad
essere per gli emarginati, e
nell’accesso al lavoro sono
favoriti i cinesi. Ogni tibetano
che desidera costruire una
propria posizione professionale, aspirare al successo
nelle organizzazioni statali
o semplicemente avere una
propria attività, è costretto ad
adeguarsi alla lingua e ai costumi cinesi. Il Tibet è inserito
nel contesto di una nazione
cinese in fase di formidabile
espansione: la ferrovia è ora
giunta a Lhasa, favorendo
un’accelerazione del progetto
di assimilazione che è già in
corso. Già nell’estate del 2006
i treni scaricavano a Lhasa
una media di 4.000 cinesi al
giorno e il Tibet sta così diventando un’importante meta
del turismo interno. A Lhasa è
ormai abituale vedere coppie
cinesi in viaggio di nozze che
si fanno fotografare davanti
peratore stesso ospitava dei
monaci tibetani a corte perché questi erano considerati
i maggiori esperti per lo sviluppo di qualità e poteri spirituali.
A fronte della situazione oggettiva, la maggioranza degli
esuli è oggi realista ed auspica semplicemente che la
gente di etnia tibetana possa
trarre anche vantaggio dallo
sviluppo che è in corso, vivere una vita più serena ed
al Potala e, se si prende un
taxi, è molto probabile che
l’autista, quasi sempre cinese, non riconosca nemmeno il
nome della cattedrale di Lhasa,“Jokhang”!! Se 1 cinese su
1000 decidesse di andare in
Tibet… sarebbero un milione
e mezzo di turisti l’anno! Per i
cinesi, il Tibet è una meta importante, un luogo avvolto in
un’aura di magia e permeato
da un senso d’avventura, dove
hanno avuto luogo molte delle loro vicende mitologiche.
Prima della rivoluzione, l’im-
usufruire della libertà di culto,
obiettivi questi che potrebbero anche essere non così
lontani.
Il problema principale sta ovviamente nel grado di tutela
ed autonomia della cultura
e gli sforzi maggiori sono in
questa direzione; il XIV Dalai
Lama ha da tempo espresso
ufficialmente questa posizione, chiedendo al governo cinese uno statuto autonomo
più corretto di quello attuale.
Nel quadro della situazione attuale non tutto sembra negati-
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vo e ci sono ad esempio molti
segni di una ripresa d’interesse
nella cultura religiosa da parte
degli stessi cinesi; ormai non è
raro trovare monaci cinesi in
pellegrinaggio nei luoghi sacri
del Tibet ed alcuni si fermano
nei monasteri per studiare.
Ciò comporta un certo rifiorire dei centri monastici principali, per i quali in alcuni casi,
anche per l’attrattiva turistica,
vengono stanziati fondi per la
ricostruzione. Ad esempio, il
grande reliquiario d’oro dell’ultimo Panchen Lama custodito
al Tashilhumpo a Shigatse è
stato realizzato con una gran
quantità d’oro che fu trafugata e recentemente restituita
per questo scopo dall’autorità
di Pechino. Anche lo storico
monastero di Samye è stato
ricostruito con l’aiuto dello stato e lo stesso accade in altre
località. Molti di questi luoghi
di culto, se pur ricostruiti, pulsano di grande forza spirituale
perché sono stati restaurati o
rifatti fedelmente, rispettando
le antiche proporzioni e nei
luoghi individuati dai Lama.
Soprattutto sono stati vitalizzati dalla prodigiosa devozione dei tibetani che, nonostante
il metodico tentativo di lavaggio del cervello perseguito in
modo spietato ed ininterrotto
per più di 50 anni, e che è tuttora in corso, appena è stata
loro concessa l’espressione
di culto, si sono precipitati ad
affollarli, esprimendo una fede
apparentemente inossidabile
facendo prostrazioni, recitando incessantemente i mantra,
accendendo lumi ad olio o
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alimentati con il burro di yak,
offrendo le sciarpe rituali, circuambulando i siti e toccando
con la fronte altari, troni e piedistalli.
Per comprendere la forza
d’animo di questa gente si
pensi ad esempio che a Ganden, nei pressi di Lhasa, il monastero e il grande reliquiario
di Lama Tsong Khapa furono
demoliti a cannonate dalle
Guardie Rosse: appena fu
possibile, i contadini dei vicini
villaggi si recarono tra le rovine e passarono la polvere e le
macerie granello per granello
per trovare almeno alcune
reliquie del Santo, riuscendo
nel loro intento! Oggi il sacro
Stupa è stato ricostruito ed almeno una parte delle reliquie
è tornata al proprio posto.
In Tibet ci sono anche moltissimi eremi e piccoli monasteri
che sono stati riattivati senza
aiuti ufficiali, dove monaci e
asceti cercano di mettere in
pratica gli insegnamenti tradizionali: una delle difficoltà che
queste straordinarie persone hanno però avuto è stata
l’assenza di maestri qualificati, perché quasi tutti i Lama
detentori di teorie iniziatiche
sono dovuti fuggire o sono
stati uccisi. In tempi più recenti il contatto con i maestri
sopravvissuti e i loro discepoli
è diventato un po’ più facile e
si riescono ad ottenere in vari
modi molti testi sacri, di cui
alcuni vengono ora stampati
anche in Tibet.
Per quanto riguarda le opere
d’arte purtroppo la maggior
parte è andata distrutta, tran-
ne in alcuni luoghi che furono
difesi dall’esercito dalle devastazioni delle Guardie Rosse,
tra cui il Potala, il Tashilhumpo,
il Kumbum di Gyatse ed altri.
Molti affreschi furono invece
salvati perché i luoghi di culto furono usati come granai
e magazzini e i tibetani usavano accatastare le cose in
modo da proteggerli. Alcune
statue preziose, testi sacri ed
altri oggetti furono sotterrati
o nascosti in luoghi segreti e
qualcuno di questi è riemerso
ed è visibile, dando così l’opportunità al viaggiatore attento di poterli ammirare.
Solo il tempo potrà dire cosa
riserva il futuro a questo
martoriato Paese delle Nevi.
Certo, oggi come oggi, la situazione non sembra dar adito a grandi speranze. Però la
Storia ci ha riservato spesso
delle inaspettate sorprese. A
volte anche positive. Vogliano gli dei che possa essere il
caso del Tibet.
Un altro pezzo di cuore è rimasto alle vette innevate degli Ottomila, che così benevolmente
ci hanno accolti e accompagnati dall’inizio alla fine di questa grande avventura, il cuore
è nei piccoli e sperduti villaggi
dove la vita ha un sapore e un
ritmo a noi sconosciuti, nelle grotte sacre, nei sentieri di
montagna, nel sorriso cortese
dei monaci bambini ed in quello degli anziani.
A loro, al Tibet: “TASHI DELEG” (che la buona sorte ti
accompagni).
Pippo Cattaneo
Restituito ai visitatori
il Forte di Fuentes
Grazie al sostegno della Provincia di Lecco e
all’impegno dei volontari, la seicentesca fortezza
di Colico è di nuovo visitabile.
Dopo sei anni di chiusura, il Forte di Fuentes di Colico è stato riaperto al pubblico. Grazie alla convenzione stipulata dalla Provincia di Lecco con il Museo della Guerra Bianca (che, per conto del
comune di Colico, già gestisce il Forte di Montecchio con una validissima attività turistico-culturale di
alto livello), il Forte di Fuentes è stato oggetto di una serie di recenti interventi di riqualificazione per
renderlo nuovamente fruibile da parte dei residenti e dei turisti.
Personale volontario del Museo e volontari del gruppo cacciatori di Colico e della provincia si sono
impegnati in diverse giornate di lavoro per la pulizia di un’enorme quantità di rovi accumulatisi nel
corso degli anni su un’area di diciottomila metri quadrati.
Per agevolare la vista della struttura e garantire la sicurezza sono state ripristinate le recinzioni con 300 metri
di nuove staccionate, posizionati 30 pali con leggio per le spiegazioni delle diverse parti delle rovine del forte,
sei cartelloni per le immagini storiche, 130 paline di ferro e 400 metri di catena per delimitare le zone di sicurezza insieme a 40 cartelli che indicato il rischio di caduta. Le informazioni nei diversi punti di interesse storico sono state posizionate all’interno della struttura in quattro lingue: italiano, tedesco, inglese e francese.
«La riapertura del Forte di Fuentes è il risultato di un significativo intervento che ha prodotto una
riqualificazione della struttura storica, resa di nuovo fruibile ai cittadini e ai turisti e che sarà oggetto
di miglioramento e di valorizzazione anche in futuro», è il commento dell’assessore alla cultura Marco
Benedetti. La salvaguardia e la valorizzazione dei percorsi storici tematici e opere militari è di fondamentale importanza per la Provincia di Lecco: «restituirli alla collettività con rinnovato valore culturale
e sociale, permette di considerare il patrimonio culturale non solo per il suo valore intrinseco, ma anche
per la sua qualità di testimone della civiltà, identità e memoria del passato».
«Per valorizzare l’intervento - aggiunge in proposito Stefano Cassinelli del Museo della Guerra Bianca
- abbiamo realizzato il nuovo sito internet www.fortedifuentes.it e prodotto un depliant promozionale
distribuito in cinquemila copie».
Un nuovo biglietto cumulativo permette inoltre di visitare a un prezzo convenzionale (9 euro gli adulti e 5 euro
i bambini) le strutture storiche del territorio colichese.
Il biglietto è valido infatti per l’ingresso sia al Forte
di Fuentes sia al Forte di Montecchio, ed è utilizzabile
anche in giorni diversi nell’arco della stagione.
***
Il Forte di Fuentes di Colico resterà aperto con orario continuato, per favorire la visita da parte dei
turisti, nei seguenti giorni: - fino al 31 luglio, tutti
i fine settimana dalle 10.00 alle 17.00; - dal 1 agosto all’11 settembre, tutti i giorni dalle 10.00 alle
18.00. - dall’11 settembre al 6 novembre, solo
sabato e domenica dalle 10.00 alle 18.00.
Per ulteriori informazioni
www.fortedifuentes.it – tel. 0341 940322
17
(Nella foto
è invece
Monsignor
Franco
Cecchin a
celebrare la
Messa, in
vetta,
lo scorso 3
luglio 2011).
Domenica 1º luglio ritorneremo a salire in vetta al Resegone per lo storico “Assalto”.
Il primo Assalto avvenne il 10 luglio 1966 ed ebbe un successo favoloso. La stampa
locale scrisse della presenza di centinaia e centinai di escursionisti.
La Messa fu celebrata dall’allora Prevosto di Lecco Monsignor Enrico Assi, poi Vescovo a Cremona.
L’anno prima, il 19 luglio 1965, c’era stata l’inaugurazione del Bivacco Città di Lecco e,
per l’occasione, avevano scarpinato da Morterone al rifugio Azzoni, ancora Monsignor
Assi e il Sindaco di Lecco Dottor Alessandro Rusconi.
Ideatore della manifestazione era stato il Presidente Carlo Villa sostenuto dai due
Vice Presidenti Giovanni Bonfanti e Giovanni Rocca, ma tutto il Consiglio della SEL
aderì entusiasticamente all’idea e si diede molto da fare affinché tutto riuscisse per il
meglio.
Da allora, l’Assalto al Resegone è diventato una tradizione e, regolarmente succedutosi ad ogni prima domenica di luglio, è arrivato a noi, sempre partecipato con
entusiasmo, anche se, in alcune scadenze, le condizioni meteorologiche non furono
propizie.
In quell’anno (1965), come dalla relazione del Presidente tenutasi all’Assemblea annuale del 28 gennaio presso il salone dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo,
i soci della SEL erano 1874.
18
Ricordando il Bigio e Claudio Corti
La salita dello spigolo nord del Badile con un triste finale.
V
erso la fine degli anni
quaranta la mia esperienza di rocciatore
era limitata alle Grigne. In quel
periodo feci spesso da secondo
a Gigi Amati, seguendolo nella
sua mania di salire tutte le vie
lunghe del gruppo, parete Fasana compresa. Fu in questo
periodo che conobbi il Bigio o
almeno incominciai ad arrampicare con lui, su vie di un certo impegno.
Carlo Mauri
Ma è nel 1950 che il Bigio mi
propose di uscire dalle Grigne
per affrontare le grandi Alpi.
La prima spedizione è tentata nell’agosto di tale anno; la
meta è il famoso spigolo nord
del Badile, che allora, dati i
mezzi tecnici a disposizione,
era ancora considerata un’impresa di alto livello.
Io avevo 16 anni, ma d’altra
parte il Bigio non ne aveva
ancora 20, pur avendo già alle
spalle parecchie salite di alto
livello. Raggiungemmo Chiavenna in treno per poi proseguire per la frontiera in corriera. Il seguito è naturalmente a
piedi fino alla capanna Sciora,
dove pernottammo.
La mattina partimmo per tempo
e attaccammo lo spigolo. Non
facemmo a tempo a fare i primi
200 metri che un grosso temporale ci convinse a una rapida
ritirata. Non avendo il tempo
per un altro tentativo, non ci
restò che il ritorno a Lecco un
po’ scornati.
Nei due anni che seguirono, il
poco tempo a disposizione mi
portò verso altre zone delle
Alpi, con qualche buona ascensione. Ma è alla fine di luglio
del 1953 che Bigio mi contattò
per un nuovo tentativo allo spigolo nord.
Mio fratello Riccardo accettò
di accompagnarci con l’auto di
famiglia. Raggiungemmo così
in auto l’inizio della val Bregaglia, da dove incominciammo
a salire con tutta l’attrezzatura.
Con Bigio, che nel frattempo
era diventato un nome importante dell’alpinismo, era arrivato anche Claudio Corti.
Se ben ricordo stavano studiando una nuova via sul Badile.
Raggiungemmo tutti insieme
la Sciora, e da lì, lasciando
mio fratello, partimmo la mattina dopo verso l’attacco dello
spigolo. Ma il tempo, già incerto, non ci lasciò nemmeno
il tempo di legarci. Passammo
tre ore sotto una sporgenza per
ripararci dalla pioggia, prima
di tornare alla Sciora, dove
pernottammo ancora. Il mattino seguente, il tempo essendo
favorevole, raggiungemmo rapidamente l’attacco e incominciammo a salire sul bel granito dello spigolo, dopo aver
indossati i mutandoni sotto i
calzoni per consiglio del Bigio, che non sottostimava mai
i problemi del tempo anche in
estate. Era la prima volta che
affrontavo questo tipo di roccia, ma rapidamente mi abituai
al maggiore attrito che permette di sfruttare l’aderenza delle
suole Vibram; le mani fanno
presa anche su appigli che in
dolomia non sarebbero sfruttabili. Ci sarà un solo inconveniente che non avevo previsto:
l’abrasione dei polpastrelli, che
diventerà fastidiosa ora della
fine dell’arrampicata.
Procedemmo ad un buon ritmo, anche tenendo conto del
fatto di essere in tre. La via era
sempre più ariosa e la vista sulle pareti NE e NO era sempre
più entusiasmante.
Salendo di quota incominciammo a trovare la neve, caduta il
giorno prima. Ciò rallentò la
19
nostra andatura, pur non presentando particolari problemi,
data la nostra attrezzatura semi
invernale. In sette ore arrivammo in cima, dove ci fermammo
a riposare e a godere della spettacolare vista su tutte le grandi
cime vicine e lontane.
Scendemmo poi abbastanza velocemente per la via normale,
ma, data l’ora, non ci restò che
raggiungere il rifugio Gianetti,
dove passammo una simpatica
serata, brindando all’impresa
compiuta. La mattina dopo risalimmo rapidamente al passo
di Bondo per poi scendere per
la Vedretta della Bondasca,
che ricordo abbastanza piena
di buchi. Marciammo a buona
andatura, ma eravamo partiti un
po’ tardi e il percorso era lungo.
Arrivammo alla Sciora, dove
Riccardo ci aspettava, nel primo
pomeriggio e subito ripartimmo
verso la valle per rientrare.
Il sentiero scende lungo la co-
sta fino a raggiungere il fondo
valle, da dove poi si continua
costeggiando il torrente che
scorre verso Bondo. A questo
punto sentimmo delle grida in
direzione della parete NE del
Badile; dopo poco vedemmo
un giovane scendere di corsa verso di noi. Ci comunicò
disperato che il suo primo di
cordata, Paganini di Sesto ben
conosciuto a Lecco, era caduto nella crepaccia terminale.
Risalimmo tutti rapidamente
e subito calammo il Bigio nel
crepaccio fino a raggiungere
l’infortunato che giaceva su un
ponte una trentina di metri sotto di noi. Bigio decise che, data
l’ora ormai tarda e la mancanza
di attrezzature di ricupero, era
meglio lasciare l’infortunato nel crepaccio, dopo averlo
adeguatamente sistemato, assicurato e rifocillato. Bigio ed io
ci sistemammo sotto un sasso,
mentre gli altri tornavano alla
Sciora per dare l’allarme.
Passammo una notte molto triste senza quasi dormire ed eravamo già pronti quando, alle
prime luci, arrivarono i soccorsi
che subito si diedero da fare.
Non ricordo chi fu calato per
organizzare il ricupero, ma in
breve tempo il ferito fu riportato
in superficie. Ci si accorse subito che era messo molto male;
fu sistemato su una barella e
s’incominciò a scendere con
frequenti cambi per la difficoltà
del terreno. Allora non c’erano
gli elicotteri e si dovette portare
la barella fino alla strada dove
fu caricata su un autocarro, unico mezzo trovato, che parti per
l’ospedale di Chiavenna.
Noi caricammo le nostre attrezzature e mestamente ci avviammo verso la macchina.
In frontiera sapremo che Paganini era morto durante il trasporto.
Paolo Fiocchi
Premio di narrativa Carlo Mauri. La 16a edizione a trent’anni dalla morte.
Il Premio di Narrativa di Montagna Carlo Mauri ha quest’anno fatto registrare un altro
piccolo record: 65 opere pervenute con un incremento di concorrenti nelle sezioni
principali (narrativa e saggistica). Le opere sono giunte da nove diverse regioni in
rappresentanza di diciannove province. Il Carlo Mauri, inoltre, ha varcato i confini nazionali raggiungendo la Croazia e il Canton Ticino. La giuria ha individuato venti elaborati tra i quali, il 5 aprile scorso, sono stati selezionati i vincitori del premio. Come di
consueto l’evento organizzato dal Gruppo Alpinistico Gamma, dalla sezione U.O.E.I.
di Lecco e dal Club Alpino Accademico Italiano, culminerà nella serata di premiazione fissata per venerdì 18 maggio alle ore 21, presso la Sala Ticozzi in Lecco.
Nel corso della serata sarà presentato il video realizzato per il 30° anniversario della
scomparsa del “Bigio” dal titolo “Ma è ancora con noi”. Dopo la proclamazione e la
consegna dei premi seguirà la conferenza di Ugo Manera, uno degli esponenti di
maggior peso nell’ambito del Club Alpino Accademico. Argomento: “Dal classico al
moderno, attraverso mezzo secolo di scalate”.
20
UN RICORDO LONTANO
Dino Piazza, Ragno della Grignetta, Guida
Alpina e già Presidente dei Ragni, rievoca
per il Notiziario un’avventura del tempo che fu
S
ono stato promosso portatore alpino nel giugno
1957, il capo delle guide
era Felice Butti, fu lui a darmi
la notizia che padre e figlio si
erano recati al rifugio Rosalba a
dormire, e il giorno successivo
volevano fare la cresta Segantini accompagnati da una guida
alpina.
Era il giorno 5 agosto 1957,
data rilevata dal mio libretto di
guida.
Il mattino presto parto con la
mia Lambretta, mi porto una
corda da 40 metri, 8 millimetri,
un martello, dei chiodi, acqua e
frutta.
Alle 8 del mattino sono già al rifugio, mi presento ai miei clienti che stanno facendo colazione,
chiedo se hanno già arrampicato, il padre dice di sì, per il figlio
di quindici anni era la prima
volta: è stato il battesimo dell’arrampicata per lui.
Verso le 8.15 partiamo, vedo
che fanno fatica, modifico il
passo, li faccio parlare per cercare di conoscerli.
Alle 9 siamo all’attacco, ci
leghiamo: io davanti, il figlio
a trentacinque metri, poi il
padre. Così vicini li recupero
insieme e si possono aiutare.
Prima di partire spiego che
cosa fare, come muoversi, alzarsi con le gambe, caricare
l’appiglio: è una specie di scuola
rapida che ascoltano volentieri.
Per la scelta della via non ho
avuto problemi perché la cresta
Segantini l’avevo fatta diverse
volte.
Il primo tiro il figlio fa fatica e
l’aiuto con la corda; devo stare
molto attento perché le soste a
volte sono a spalla, penso che
il motivo degli incidenti in Segantini sia proprio quello della
mancanza di una sosta sicura.
Torniamo alla cordata, sempre
attento, ormai siamo arrivati al
passaggio della lingua: il figlio è
in difficoltà, dice di essere stanco, lì bisogna fare un traverso,
allora gli prendo il sacco e me
lo carico sulle spalle.
Poi la via prosegue su uno scivolo di neve, entra in una gola e
la scalata finisce qui.
Ci sleghiamo, lasciamo tutti
i materiali, un sorso d’acqua
e proseguiamo per la vetta, ci
stringiamo la mano, si vedeva la
grande gioia tra padre e figlio,
per me è stata una vera e grande
soddisfazione.
Siamo ai Resinelli, il padre mi
dice che dobbiamo fare i conti,
io gli dico: “Entriamo in un bar
e mi offra un bicchiere di bianco, va bene così”.
Questa è stata la mia prima
ascensione come portatore del
CAI.
Poi mi sono chiesto perché mi
sia comportato così; io sono
sempre stato uno a cui piace
dare, ma il motivo principale
era che erano stati troppo lenti,
quattro ore in Segantini erano
eccessive per la mia età (25
anni), allora non puoi capire che
un cliente viene con te perché
ha bisogno d’aiuto e sicurezza.
Questo racconto è servito come
premessa a un episodio drammatico e discusso che ha coinvolto
non solo l’alpinismo, ma anche
tutte le persone che leggevano i
giornali: come attore principale
era stato scelto il Claudio Corti,
e gli hanno fatto fare la parte del
criminale.
Due giorni prima che io facessi la cresta Segantini, Claudio
Corti e Stefano Longhi avevano
attaccato la parete nord dell’Eiger, nell’Oberland Bernese.
Qui, a Lecco, lo sapevano in
pochi che fossero partiti per ripetere la prima italiana di quella parete. Dopo diversi giorni
21
d’arrampicata con tempo brutto,
neve e tanto freddo, a trecento
metri dalla cima, sul traverso
chiamato “degli dei”, lo Stefano
vola nel vuoto e non riescono a
recuperarlo; ho detto non riescono perché erano in quattro.
Infatti, alla cordata del Corti si
erano aggregati due forti alpinisti tedeschi, a cui però, nel loro
primo giorno di bivacco, era caduto lo zaino con i viveri e un
paio di ramponi.
Uno di loro, Notdurfet, per aver
bevuto l’acqua che scorre con la
sabbia di granito, aveva un forte
dolore allo stomaco, perciò bisognava aiutarlo.
L’altro alpinista tedesco, Maier,
aveva dovuto viaggiare sul
ghiaccio senza ramponi: ecco
perché il Claudio era lento, doveva fare i gradini più grandi
per far passare il tedesco senza
ramponi.
Fare gradini più grandi è un
lavoraccio, il Claudio lo sapeva fare perché aveva una forza
straordinaria nelle braccia allenate dal carico e scarico di materiale dal suo autocarro.
Tornando al Longhi, è lì appeso
alle corde nel vuoto, alle mani
ha un principio di congelamento che gli ha causato la perdita
dell’appiglio, viene lasciato
appoggiare su una cengia con i
pochi viveri rimasti, e gli hanno
gridato che sarebbero andati a
chiamare il soccorso.
Dopo qualche tiro di corda,
ormai sono ai camini finali, la
difficoltà è diminuita, il tempo
ottimo, ma un sasso, caduto
dall’alto, centra in pieno la testa
22
del Claudio, e lo ferma definitivamente. I due tedeschi lo aiutano, gli piantano la tendina rossa
e gli dicono che vanno a chiamare il soccorso. Quel soccorso
non lo chiameranno mai, perché
nella discesa vengono sepolti da
una slavina in un canale a destra
del percorso normale: saranno
trovati solamente quattro anni
dopo.
È stato questo il dramma del
Claudio, unico sopravvissuto,
perché una squadra di soccorso
giunta dalla Germania riuscì a
scendere con un verricello e a
portarlo in vetta. Dopo toccava allo Stefano, che era sotto il
Claudio di circa ottanta metri,
ma il tempo cambia improvvisamente e sotto la tempesta
scendono tutti e portano il Claudio in ospedale.
Aveva subito un trauma cranico
che gli provocava una confusione di ricordi e la parola poco
chiara (di questa situazione
nessuno ha mai tenuto conto,
neanche i suoi amici presenti
che avevano iniziato la sua condanna).
Lo Stefano, dopo due giorni di
brutto tempo e neve, è scivolato dalla cengia rimanendo nel
vuoto attaccato alle corde: una
visione tremenda che generava
la curiosità della gente, creando
traffico sia sui treni che negli
alberghi.
Il corpo dello Stefano è rimasto
appeso per due anni, non si poteva toccare per ordine delle autorità svizzere, forse per evitare
altri incidenti: la decisione non
è mai stata molto chiara.
La stampa mondiale aveva
inventato il “criminale” pubblicando articoli sulle prime
pagine, poi sulle riviste e infine
sui libri, riempiendo di soldi le
tasche di tutti.
Il Claudio ha parlato pochissimo, gli articoli se li sono inventati gli altri, come l’aver rubato
la tenda ai tedeschi e poi averli
buttati dalla parete.
Di riflesso a questa dichiarazione, la polizia tedesca mandò i
gendarmi a fare un sopralluogo
sotto la parete per vedere se si
trovassero i cadaveri degli alpinisti tedeschi: risultato negativo.
Poi sono arrivati a casa del
Claudio ad Olginate: è stato
sottoposto ad un interrogatorio
come se si trattasse di un vero
criminale. Lui, impassibile, ha
detto: “Guardate che io non
ho mai fatto del male a nessuno”. Ma intanto pensate lo stato
d’animo del Claudio che riusciva a sopportare tutto perché sapeva d’essere innocente.
Di tutto il male che ha ricevuto
lui ha saputo perdonare.
Per me è stata una fortuna averlo incontrato, essergli amico,
con lui ho arrampicato e ho potuto capire la sua straordinaria
semplicità.
Claudio ora sei partito per un
lungo viaggio, ma a tutti noi hai
insegnato che cos’è il perdono.
Ci resterà sempre il ricordo del
tuo comportamento onesto e coraggioso: vai amico mio e che
Dio ti benedica.
Dino Piazza
Con il patrocinio S.E.L.
domenica 26 febbraio
L’“Assalto” invernale al Resegone, promosso e
organizzato dall’Amministrazione Comunale di
Morterone, ha visto la partecipazione di 250
appassionati della montagna.
La manifestazione ha ottenuto il patrocinio di Regione Lombardia, Provincia di Lecco, Comunità
Montana della Valsassina, Valvarrone, Val d’Esino
e Riviera, Comune di Lecco, SEL Lecco, Pro Loco
Morterone. Il CAI Molteno, presente sin dalla prima edizione con il veterano Ambrogio Sala classe 1932, viene premiato ancora come gruppo più
numeroso con una coppa offerta dalla Provincia
di Lecco. Anche al CAI Valmadrera (2) e al CAI
Strada Storta (3) una coppa della Provincia.
Altri premiati: - Concorrente più giovane 9 anni
Simone Riva CAI Valmadrera coppa SEL - Concorrente più anziano 81 anni Piero Fiocchi targa GDM Servizi. Più di venti i gruppi presenti provenienti
dalla Provincia di Lecco, di Como, di Milano e di Bergamo. Le premiazioni si sono svolte alla
Pro Loco di Morterone presenti il sindaco Antonella Invernizzi, l’assessore allo sport Gianpaolo Dell’Era, altri amministratori e Cristina Invernizzi presidente della Pro Loco.
HAI RINNOVATO la tua adesione?
Sono disponibili i bollini per il rinnovo delle quote sociali 2012, i cui importi sono rimasti invariati.
Nel raccomandare un sollecito versamento si ricorda:
Contributo d’associazione alla S.E.L. per l’anno 2012, Euro 25,00.
Aggregati familiari, conviventi nello stesso nucleo, Euro 5,00 ciascuno.
Il versamento si può effettuare:
• In sede sociale, Via Roma 51 Lecco, aperta il martedì dalle ore 18 alle 19, il venerdì dalle ore 21
alle 22 e il sabato mattina dalle ore 11 alle 12 (gennaio-marzo).
• A mezzo bollettino postale, intestato a S.E.L. c/c 18182220.
• A mezzo bonifico intestato a Società Escursionisti Lecchesi - Conto corrente N. 10257
presso Deutsche Bank, agenzia di Castello - IBAN IT 09J0310422903000000010257
Nella sede sociale, dal 20 gennaio 2012, è depositato il bilancio consuntivo 2011. I Soci sono invitati a prenderne visione, affinché possano rendersi conto della salute economica del loro sodalizio.
La S.E.L. è sempre raggiungibile: La segreteria telefonica è in funzione giorno e notte,
come pure il servizio fax. Il numero telefonico è unico: 0341.283075.
L’indirizzo di posta elettronica è: [email protected]
visitate www.sel-lecco.it
23
CON LA GERLA SULLE SPALLE.
Anche nel cuore dell’inverno, ogni venerdì,
i gestori della Grassi salgono al rifugio. Agevolano l’accesso agli escursionisti, battendo
la neve come si faceva un tempo e portando i
rifornimenti.
Così titola e inizia un ampio servizio sul rifugio Grassi in
veste invernale, pubblicato sul numero di Marzo della
Rivista Orobie.
Sono undici pagine corredate da dieci fotografie a colori
di Mauro Lanfranchi. L’articolo è di Carlo Caccia.
La rivista è visibile in sede SEL o acquistabile in edicola.
Nella foto, Anna ciaspolando sale al rifugio preparando la
“calata”. Ha il gerlo sulle spalle con le provviste, ma davanti c’è legata e, ben imbacuccata, Elsa, l’ultima nata.
Nella passata stagione il rifugio, sia in occasione delle
ciaspolate, sia per le serate astronomiche, è stato ben
frequentato.
31 gennaio 2012
Dalla Relazione di Danilo Aluvisetti, Gestore del rifugio Sassi
Castelli- Artavaggio
…………..
Al termine di questa prima parte che ha permesso al rifugio di “tornare a risplendere”
come ha titolato un quotidiano locale, come Gestione vogliamo ancora una volta
sottolineare il grande contributo che hanno dato i volontari della SEL nell’esecuzione
dei vari moltissimi lavori.
A loro e alla Sel vanno i nostri ringraziamenti e la riconferma della gratuità
degli oltre 150 pasti consumati al rifugio, in occasione dell’esecuzione dei lavori
richiamati nella presente relazione, nonché del loro trasporto al rifugio stesso e dei
vari materiali, così come per altri collaboratori esterni.
……………………………
A conclusione di questa relazione possiamo pertanto esprimere la nostra
soddisfazione per i risultati raggiunti in questi primi sei mesi di gestione del Rifugio
Sassi Castelli che, grazie alla collaborazione della società proprietaria, la SEL, ha
potuto soddisfare diverse e confortevoli richieste di ospitalità e pernottamento.
Circa 300 pernottamenti, oltre 3000 ospiti giornalieri provenienti e residenti
anche in altri Paesi: Germania, Svizzera, Francia, Belgio, Regno unito, Olanda,
Argentina, Nicaragua, o immigrati dal Perù, Ecuador, Romania, Ucraina, con ampi
riconoscimenti per l’accoglienza ricevuta, i conforts che hanno accompagnato le
ore trascorse al rifugio e la sua cucina, come dimostrano le numerose testimonianze
lasciate sul libro del rifugio.
La Gestione del Rifugio
24
n giovedì mattina di fine luglio di parecchi anni fa. Erano i primi momenti in cui
si faceva dell’alpinismo in altre zone, al
di fuori cioè delle nostre montagne lecchesi, dove
comunemente ci si allenava durante tutto l’anno.
Così, in seguito ad una promessa fatta nel corso
di una salita al Pizzo della Prata ad un amico di
U
Rifugio Gianetti
e Pizzo Badile
lavoro e di montagna, alias Enrico Bonfanti, lecchese come il sottoscritto, promessa con la parola
d’ordine di realizzare la scalata al Pizzo Badile per
la via normale ed in concatenamento di qualche
altra cima della zona.
Tanta era la voglia di assaporare l’arrampicata sul
granito del Masino, localmente detto “ghiandone” per la sua composizione chimica fatta di una
varietà di granito dai grossi cristalli di feldspato
bianco, lucido e brillante, che talvolta emergono
come bitorzoli, offrendo peraltro buoni appigli
nelle arrampicate.
Si trattava in particolare di quelle ardite cime
taglienti del gruppo Masino-Bregaglia, le quali
sviluppandosi a partire dal sottogruppo del Sasso
Manduino, nel loro percorso da ovest a est formano le cime del Barbacan, Sant’Anna, Badile e
Cengalo, e quindi il tratto di costiera con le vette
arcuate come il Bacone e le vette del Largo. V’è
poi l’altra costiera che si propaga in direzione del
Castello ed i Torroni; quella che va in direzione
della Vazzeda occupata in parte dal Vadrecc del
Forno ed un’ultima cresta che abbassandosi forma la Cima di Rosso col suo crestone sud-est sino
al Passo del Muretto, fra cui il
piccolo ghiacciaio da me già visitato in tempi giovanili.
Erano quelli gli anni in cui Giulio Fiorelli - la forte e celebre
guida del Masino – gestiva con
passione il Rifugio Gianetti a
2526 m, in alta Val Porcellizzo,
alla testata centrale della Val
Masino, donde si ha una visione elegante delle Punte Bertani
e Moreschini, sui due Pizzi del
Ferro, sul Cengalo e sul Badile,
sulla Cima del Barbacan, terminando nel gruppo del Ligoncio, con andamento in strutture
di creste e spigoli che offrono
grande interesse alpinistico, sia pure di media difficoltà, ma con panorami mozzafiato. Grazie anche
all’allora recente tracciato del Sentiero Roma (curato dai soci del Cai Milano) talune salite si sono
rese possibili da realizzare in giornata, quando in
passato erano da considerarsi troppo lunghe.
Siamo dunque ai Bagni di Masino, ove il bosco a
faggeto ed i grandi platani secolari ci tolgono la
vista del soprastante acrocoro roccioso, ma che ci
consentono il riparo dal solleone estivo. Qui optiamo per la preliminare salita alla Capanna Omio,
da dove ci risulterà più comodo l’accesso al Pizzo
settentrionale dell’Oro ed al Barbacan, sulle cui
vette si sono cimentati i nostri illustri predecessori
che hanno fatto la storia dell’alpinismo su queste
montagne, come il Silvestri, il Polvara, il Dones,
il Bramani ed il Castiglioni, indi il Bonacossa ed
25
il Saglio, autori quest’ultimi di
prestigiose guide: per noi una
specie di vangelo della montagna.
Alle 16 pomeridiane abbandoniamo il comodo pianoro dei
Bagni sul sentiero per il Rifugio Gianetti, quando superata la
balza del Cavalcorto e rasentato
il maggengo di Corte Vechia a
1402 m, faccio notare ad Enrico
il percorso per il Rifugio Omio
tra la controluce radente del sole
calante: ivi giungiamo in serata,
a 2003 m, giusto in tempo per
la cena ed il successivo pernottamento.
A conti ben fatti domani saremo
in un baitello dei pastori-caprai,
sotto la Punta Milano, che ci
consentirà di guadagnare una
giornata sull’intero tragitto in
programma. Alle sei lasciamo
il rifugio con tempo splendido
e barometro alto. Il sole caldo
asciuga le erbacce dalla rugiada
della notte e noi, in poco tempo,
raggiungiamo il detto baitello, a
2350 m, ove lasciamo le nostre
cose superflue per la salita della
giornata e ci fermeremo per la
notte successiva.
Da qui rimontiamo in diagonale
i ripidi lenzuoli erbosi alla nostra sinistra in direzione della
costola-sperone che balza verso
la vetta settentrionale, separata
dal Bocchetto dei Gendarmi che
raggiungiamo nella parte alta,
a 2560 m. Rimaniamo meravigliati del bell’arco naturale di
roccia ghiandone, una vera rarità perché tipiche del calcare. Risaliamo poi gli ultimi spuntoni
della cresta e tocchiamo i 2709
m della vetta giusto in tempo
per ammirare il vuoto a perpen-
26
dicolo che ci circonda con i tetti
luccicanti dell’Alpe Averta ed il
lontano Rifugio Brasca.
Dopo un laborioso ritorno lungo
l’itinerario di salita sino al comodo baitello, dove ci aspettano i nostri sacchi per adeguatamente rifocillarci, ci riposiamo
nella notte e ci apprestiamo alla
ripresa del cammino il giorno
successivo, sempre alle sei del
mattino. In breve siamo al Passo
dell’Oro, ove siamo intenzionati
a salire il Barbacan per la cresta
sud-ovest, una via tracciata dal
Bonacossa con Carletto Negri
nel 1934.
Raggiunto lo spartiacque tra Val
Masino e Val Codera, guadagnamo uno stretto intaglio della
cresta, quindi un erto gradino
accanto ad una paretina nonché
le soprastanti zone erbose della
cresta con gradoni ed una falsa
anticima con ometto. Siamo in
vista della vetta, distante da noi
una ventina di metri circa, assicuro Enrico per farlo scendere
alcuni metri su di una sottostante cengia sul lato di Val Codera e
quindi lo invito a raggiungermi
in cima al Barbacan con tutta
calma.
Nel frattempo ho avuto modo
di scorgere la Cima centrale di
Averta e la punta del Pizzo Parcellizzo, vette che toccheremo
in giornata, prima di giungere al
sottostante Rifugio Gianetti che
ci aspetta. Dalla cima scendiamo dunque il lato est perdendo
quota su cenge abbastanza facili
portandoci al sottostante Passo
del Barbacan a 2620 m, e nella
limpida visuale illustro ad Enrico il nostro successivo itinerario.
Preso allora il “comodo” Sentiero Roma, ci portiamo alla base
del trittico di cime dell’Averta,
semplici elevazioni rocciose
sullo spartiacque PorcellizzoCodera, già raggiunte da cacciatori e solo nel 1910 da alpinisti
lombardi su itinerari più difficili,
sulle quali decidiamo una visita.
Alla base delle dette cime risaliamo la grossa ganda sino alla
forcella tra la cima sud e quella
centrale ove lasciamo i sacchi;
da qui con elegante arrampicata
e poi un piccolo camino, sbuchiamo alla soprastante e facile
cresta che porta alla vetta della
Cima Centrale dell’Averta a
2800 m.
Qui l’occhio spazia sulla lunga
arcata dei Pizzi dell’Oro, ai sottostanti canaloni rocciosi di Val
Codera circondati da innumerevoli guglie taglienti di granito, e
poi con l’interminabile costiera
Porcellizzo-Badile e Cengalo i
quali regnano sovrani. Visioni
sublimi anche nella foschia del
pomeriggio, sino ad un piccolo
tralcio d’azzurro che è il lontano lago di Como. Ridiscesi al
colletto, ricuperiamo i sacchi ed
ancora lungo il Sentiero Roma
ci portiamo al Passo del Porcellizzo Sud a 2886 m, ove sulla
larga cengia del valico depositiamo nuovamente i sacchi e ci
accingiamo a salire l’omonimo
Pizzo a 3075 m. Superiamo allora una balza soprastante ed
uno stretto camino, riprendiamo
la traccia di sentiero sulla ganda
che si confonde coi massi accatastati della vetta. Ora, ammirato nuovamente l’incomparabile
ambiente circostante, ci apprestiamo a scendere celermente
prima che ci sorprenda il buio
del tramonto, dopo oltre 2000
metri di dislivello fatti in giornata. Ancora grazie al Sentiero
Roma ed alle pile frontali, raggiungiamo alla fine il Rifugio
Gianetti a 2536 m, ben dopo le
20,30.
E’ il momento dei saluti al buon
Giulio, anche da parte degli amici lecchesi Ratti e Spreafico (Pepetto). Enrico è felice ma provato, quindi lo assicuro che l’indomani ci prenderemo un meritato
riposo, senza trascurare tuttavia
di aiutare il citato custode Giulio Fiorelli che ci sollecita nell’accudire ad alcuni lavoretti per
il rifugio stesso e per il Bivacco
Redaelli posto nell’estate 1970
proprio sulla cresta sommitale
del Pizzo Badile. A sera, quando siamo a cena, Giulio Fiorelli
a bruciapelo invita noi due ad
unirci l’indomani alla sua cordata, fatta da lui stesso con il
suo cliente Beppe, per la traversata di cresta più interessante di
tutta la vallata, ossia di quella
che va dalla Punta S. Anna al
Bariletto lungo il suo fantastico
crinale accidentato ma di grande
respiro. Dopo alcune esitazioni,
l’insistenza di Giulio ha la meglio sulle titubanze di Enrico e
Beppe, mentre dal canto mio
vado a controllare la relazione
sulla vecchia guida del Bonacossa-Cai e posso verificare che
si tratta di un itinerario alquanto
entusiasmante.
All’aria frizzante del mattino
successivo ci stiamo dunque avvicinando al Bocchetto Torelli, a
circa 3000 m, nell’ambito della
più esemplare cornice granitica
della costiera Porcellizzo-Ba-
dile-Cengalo, ove ci si prepara
per l’ascensione vera e propria.
Con divertente arrampicata tra
grossi massi e tozze paretine,
giungiamo alla croce metallica della vetta di Punta Torelli a
3137 m. Ridiscesi alla base di
due grossi torrioni sulla cresta
di confine, dove una evidente
cengia cala sul lato meridionale
in direzione del Colle del Badiletto, Giulio mi ricorda gli ultimi appunti sul percorso prima di
iniziare la calata. Con progressiva perdita di quota ed assicurato
dai compagni e dai moschettoni
esistenti sul percorso, giungo al
tratto intermedio pianeggiante,
appeso solo con le mani ma in
perfetto equilibrio sulla solida
roccia, supero una placca, rasento la base di due spuntoni e
scendo il sottostante e laborioso
tratto sul lato nord, con fatica ed
a carponi supero la base di una
finestra quadrangolare per giungere infine al sospirato ma esile
Colle del Badiletto a 3078 m.
Ricupero allora Enrico ed invito
Giulio a scendervi pure lui con
il suo cliente.
Mentre ammiro il Badiletto
che sembra voler forare con le
sue rocce appuntite il vicino ed
ampio Badile, devo fornire una
precisazione
toponomastica.
Questo colletto dovrebbe chiamarsi Forcella Klucker in onore
della famosa guida grigionese
del secolo scorso, ma tale denominazione non ha attecchito ed
il personaggio viene ricordato
dalle sue parti solo con un Torrione sul Monte Rosso in vista
del Rifugio del Forno. E pensare
che questo intaglio non sembra
aver rivali in zona per arditezza,
dato anche il vertiginoso canalone che precipita sulla Bondasca a NNO.
Quando siamo tutti riuniti sul
colletto, Giulio, con una smorfia di allegria, ci fa notare che
il tratto appena da noi superato
dalla Punta S.Anna sino all’intaglio è stato da lui stesso percorso solo quattro volte con dei
clienti e che la prima ascensione risale al 1921 a cura di Bonacossa e Polvara, mentre nel
1928 un suo antenato parente,
Emilio Fiorelli, lo effettuò nientemeno che con Mary Varale,
la ben nota alpinista degli Anni
Trenta, poi compagna di salite del nostro Riccardo Cassin
in Grignetta, Questa variante
molto bella - appena superata
- ha consentito in particolare di
guadagnare il Badiletto evitando una pericolosa “doppia” di
20 metri , mentre l’aggiramento
sul lato sud (quello del Rifugio)
sotto la vetta S. Anna per cenge e placche pur ripide ha reso
il percorso più celere e spedito,
offrendo difficoltà almeno pari
a quelle della Segantini in Grignetta appunto. Ora Giulio tolta
la corda da Beppe me la passa
insieme ai suggerimenti del caso
intesi a poter superare la salita
dell’enorme masso che difende
la cima del Badiletto: “attento,
mi dice, c’è un grosso chiodo
che poi serve per la doppia, ma
ora aggancia il moschettone ed
usalo per la salita e lasciavi la
corda che poi ci servirà per il
ritorno”. E siamo così ai 3148
m sulla vetta di questo Torrione
del Badile con la visione che
si incanta sul vuoto circostante
specie sulla Bondasca. Da ulti-
27
mo non possiamo connotare il
tagliente segnale trigonometrico della cima così acuminato
da non lasciarvi altro spazio per
posare un nostro piede.
Ridiscesi al colletto, ci riuniamo
con Giulio e calzati i ramponi
e recuperate le piccozze, ci apprestiamo a scendere lungo il
canale innevato, tutti assicurati
dalla guida per tiro di corda e
con tanto di piazzole di fermata
gediamo col Rifugio ben prima
di mezzogiorno diretti alla salita
del Pizzo Badile, dove contiamo
di pernottare in vetta dello stesso a 3308 m, nel nuovo Bivacco
Redaelli. Ringrazio Giulio per
l’amicizia e per la fiducia dimostratami ieri durante la succosa
traversata S. Anna-Badiletto
e con il suo beneplacito ci incamminiamo su per le vecchie
gande e gli ultimi lembi di neve
Pizzo Cengalo
ad ogni tiro. Sulla Vedretta di S.
Anna, ridotta ormai ad acquitrino, giungiamo esausti alle ore
17. Quando varchiamo la soglia
del Rifugio Gianetti siamo stanchissimi ma soddisfatti per la
lunga ma singolare e stupenda
traversata.
L’indomani, e siamo al quarto
giorno, anticipiamo nettamente
il pranzo e quindi prepariamo
i sacchi con la scorta d’acqua
per un paio di giorni, e ci con-
28
della ormai minuscola Vedretta,
diretti allo zoccolo roccioso del
colosso. Enrico è molto emozionato per la partenza in ora così
tarda, ma il salire col tempo stabile e nella calma dell’ambiente
alpino rende giustizia a parecchi
pregiudizi in materia, contando
soprattutto sull’esistenza di quel
bivacco fisso.
Ci incamminiamo così in direzione dell’evidente e marcata
incisione dello sperone-spigolo
sud della montagna, nel punto in
cui la cresta evidenzia la croce
metallica Castelli-Piatti posta in
loro memoria dal locale Soccorso Alpino, ma che serve anche
da “segnavia”. Il luogo rievoca
peraltro il momento della tragedia dei comaschi Molteni e Valsecchi, morti di sfinimento tra
le braccia di Cassin e compagni
nella discesa dalla famosa conquista della parete nord-est nel
1937.
Ed è questo
l’unico punto
da cui risulta
possibile osservare dal basso
l’intero svolgimento della
salita (via normale) di questa
montagna che è
quella rocciosa
per eccellenza
dell’intera regione. A nord,
essa si eleva
ferrigna
ed
elegante
dal
ghiacciaio della Bondasca,
come una piramide tronca
con uno spigolo gigantesco affiancato da pareti lisce; mentre a
sud, dalla Val Masino, pare una
pala culminante di una lunga
cresta-spigolo assai invitante.
La sua ascensione, per questa
via che ci apprestiamo a fare, è
una classica frequentatissima ed
interessantissima soprattutto per
la divertente arrampicata, sempre stimolante senza essere difficile, tanto che Silvio Saglio nel
suo volumetto Alpi Retiche Oc-
cidentali le assegna, se asciutta,
la definizione di media difficoltà: quindi si tratta di una arrampicata semplice ma splendida
anche per il panorama amplissimo che va dal Lago di Como ai
cieli azzurri dell’Engadina.
Superate brevi cenge e balze
rocciose, siamo dunque alla croce Castelli-Piatti, donde si gode
come detto l’intera visione della
via normale al Badile, come pure
si ha l’ultima visione sulla Capanna Gianetti, e quindi ci prepariamo alla scalata. Con splendida
ed al contempo tranquilla arrampicata di media difficoltà, ci alziamo sul tratto di larga conoide
del canalone centrale della parete. Qui notiamo strisce di sabbie
giallastre sulle soprastanti placche, cosa che ci invita ad usare
cautela. Riferisco ad Enrico che
da questo lato della montagna
sono già salito più volte e con
amici e su itinerari diversi, ergo,
dico di stare tranquillo, pregandolo di seguire le tracce evidenziate dagli ometti che sono stati
posti dalle guide; una rampa verso sinistra ci porta sullo spigolo
sud ove troviamo un posto comodo per fermarci. Ammiriamo stavolta l’intero tragitto che abbiamo percorso per creste durante i
giorni scorsi, in queste favolose
giornate di purissima montagna
che mi hanno consentito di redigere queste righe di inno alla
purezza idilliaca della montagna.
Righe che sinora sono rimaste segrete nel mio cuore.
Prima di riprendere la scalata
gettiamo lo sguardo verso la
cima del Badile e già scorgiamo,
forse appena un centinaio di metri sopra di noi, il nuovo Bivac-
co Redaelli recentemente posto
in loco dal nostro Cai di Lecco.
Divagando nel campo dei ricordi, ho bene impressa quella volta che su questo tratto di percorso, esattamente in discesa dalla
vetta, con mio cognato Angelo
Martinelli, fummo colti da un
furioso temporale accompagnato da grossi chicchi di grandine,
i quali ci causarono per lo più
grossi ematomi alle mani.
Ma in quella bella giornata di
luglio riprendiamo la salita del
canalone svasato, rimontando
al fine un canalino roccioso e
così giungiamo al ballatoio del
bivacco fisso, ove depositiamo
i sacchi prima di salire quella
decina di metri che ci separano
della vetta vera e propria con il
suo bel segnale trigonometrico.
E’ quello il momento in cui possiamo assistere al morire del
giorno in un tramonto fantasmagorico di colori che abbracciano
la grandiosità del creato, mentre
il globo infuocato del sole va calando dietro il Monviso e le Alpi
Marittime. In silenzio assaporiamo questi momenti, con il cuore
che ingoia qualche lacrimuccia.
E, guardandoci in faccia, il silenzio parla per noi.
E’ il momento di congratularmi
con Enrico che ha portato a termine felicemente la tanto desiderata salita al Badile e successivamente di ripararci nell’ospitale bivacco per una frugale cena,
in condizioni di euforia per il
grande spettacolo della natura.
Ma prima del sonno ristoratore,
si spendono alcune frasi e tante
parole per costruire i programmi
dei mesi a venire…, delle stagioni a venire… delle montagne
che ci attendono… Adamello,
Gran Zebrù… è bello sognare,
no?
L’indomani, la partenza per il
rientro a Lecco risulta alquanto
pigra. Solo dopo una bella oretta
dal levar del sole ci accingiamo
a scendere con attenzione; invito Enrico a tenersi nell’evidente
corridoio naturale formatosi tra
la placca nevosa e le rocce che
racchiudono e rasentano il canalone, seguendo gli ometti presenti
di tanto in tanto sull’esile traccia.
Finalmente tocchiamo la croce
Castelli-Piatti, da cui in breve si
è sulla sottostante morena, dove
ci si può riposare, prima di riprendere la discesa alla Capanna
Gianetti e quindi l’interminabile
scarpinata al fondovalle.
Spiego ad Enrico che queste
sono salite classiche, cosiddette
di “gran lena”, proprio perché
sono effettivamente lunghe. Ma
grazie al bivacco sulla vetta del
Badile ed al tempo stabile noi ce
l’abbiamo fatta senza fatica; ora
siamo alla base del Badile ed al
termine della lunga traversata
durante la quale abbiamo affrontato anche pericoli e rischi,
ma tu - caro Enrico - hai dimostrato coraggio e fiducia nel capocordata.
Ti ringrazio per questo, ricordandoti una frase del saggio
Nelson Mandela che amava ripetere spesso: “Il coraggio non
è la mancanza di paura, bensì la
capacità di vincerla”.
Le salite cosiddette d’altri tempi
ci hanno consentito di vivere ed
assaporare momenti indimenticabili come questi.
Giancarlo Valsecchi
29
E’ morta la segretaria della SEL
La notizia è arrivata fulminea la
mattina di mercoledì 29 febbraio
“l’Alba è mancata”.
Segretaria per lunghi anni, sempre
presente e generosa ad ogni richiesta d’aiuto, ha saputo dare un’impronta alla vita del nostro sodalizio.
La ricordiamo con l’articolo pubblicato da “Il Giornale di Lecco” del 5
marzo.
Alle sue esequie, nella Basilica di
San Nicolò a Lecco, i soci della Sel
hanno partecipato numerosissimi.
L’Alba rimarrà per sempre nel cuore
di tutti noi che ebbimo la fortuna di
godere della sua sincera amicizia.
Alba Corti ora guarderà le sue amate montagne dal cielo. Avrebbe compiuto gli anni il
prossimo 15 marzo. Ma il destino non ha voluto regalarle la possibilità di spegnere le 84
candeline, portandosela via lo scorso mercoledì 29 febbraio. Alba Corti è venuta così a
mancare a tutti i suoi cari, ma anche agli amici della Sel. Proprio alla Società Escursionisti
Lecchesi la lecchese aveva, infatti, legato buona parte della sua vita, anche sentimentale.
Aveva infatti sposato il 30 maggio 1966 Carlo Villa, storico presidente del sodalizio lecchese per quindici anni, dal 1963 al 1978, anno della sua improvvisa morte.
“Siamo nati in via Roma, dove la nostra famiglia aveva una macelleria - racconta il
fratello Giovanni - Mia sorella aveva studiato a Londra per un anno e mezzo per poi insegnare inglese in una scuola professionale di lingue qui a Lecco. In seguito ha lavorato
per alcuni anni alla Fiocchi, in pratica fino a quando si è sposata con Carlo. Aveva un
pensiero fisso, che era la Sel. Amava la montagna e il suo hobby era quello di stare con
gli amici ed andare a camminare”.
Un carattere forte e determinato, con la grande passione per la montagna. Un ricordo
commosso non poteva che arrivare anche dalla Società Escursionisti Lecchesi. Un socio
che la conosceva bene, ha detto: “E’ stata una presenza costante e attiva anche all’interno del nostro sodalizio. Alla morte del marito ha continuato la sua attività entrando nel
consiglio, dapprima come segretaria del sodalizio, poi come vicepresidente, carica che
ha conservato sino al 2000. Per ricordare il marito aveva arredato il salone del rifugio
SEL Rocca Locatelli al Pian dei Resinelli. Sotto la presidenza del marito è nata la 6770,
iniziativa che si svolge nella stagione autunnale e che consiste nel girare i quattro rifugi
della Sel. All’inizio il marito donava a chi partecipava una camicia particolare. La moglie ha continuato questa consuetudine, dopo la morte di Carlo, donando sempre i regali
ai partecipanti alla manifestazione.
La sua presenza all’interno della nostra società è stata davvero unica e indispensabile”.
30
I suoi nipoti la ricordano così:
Ci hai insegnato ad amare la montagna, che
è stata una tua grande passione.
Ci hai spiegato come affrontare la fatica delle
salite, camminando lentamente, con le mani
alla vita e lo sguardo fisso alla meta. Dicevi
che ci voleva tenacia, che non si doveva mollare, la stessa tenacia con cui tu hai affrontato
la vita. Ci hai insegnato i nomi delle cime delle tue montagne: il Resegone, la Grigna, ma
anche il Bernina, il Diavolezza, il Corviglia.
Ci hai guidato per sentieri che portano in luoghi meravigliosi dove lo sguardo si perde in splendide
vallate incastonate tra monti e cielo.
La tua montagna, la nostra montagna, dove ogni angolo parla di te.
I tuoi nipoti
Emma…
Ciao Emma. Amica da una vita.
Il 1° ottobre, il sabato prima dell’inaugurazione
della ristrutturata Cappella Bettini, ci siamo incontrate in via Mascari. Mi hai chiesto se sarei
salita con l’Ambrogio ad Artavaggio. Alla mia risposta negativa, motivata dal divieto di camminare in quota, sorridendo, hai cercato
di consolarmi dicendomi: “Anch’io
non posso salire. Siamo già state
tante volte in Artavaggio, si può
dire che ne conosciamo ogni angolo, ogni prato. Ora mi accontento
di vedere le nostre montagne dalle
finestre della mia bella casa: da una
finestra vedo il Resegone, dall’altra
il Monte Barro”.
Mi ritrovo sul terrazzo del nostro
rifugio Sassi-Castelli, appoggiate al
muro prendiamo il sole e facciamo
salotto. Abbiamo sempre molte cose
da raccontarci e tu, Emma, con il tuo
tratto gioioso e spontaneo, tieni banco e ci tieni
allegre.
Siamo in Sicilia, sul bus che sale verso l’Etna.
Una lunga strada tutta curve; siamo sedute vicine.
Le tue trovate rendono piacevole il lungo percorso. Il tuo pensiero è sempre per Giovanni. Quante
gite, quante escursioni… ricordi, riflessioni, mi
passano per la mente e si accavallano.
Hai tagliato i capelli. Sei bellissima, sembri una
ragazzina; la malattia è una componente della
vita, noi siamo un progetto di Dio, la vita è un
dono e va vissuta, goduta, sino in fondo, come hai
fatto tu.
Siamo riuniti in Basilica, ci siamo
tutti. Non avevamo mai visto così
tanti selini tutti insieme, in chiesa.
Sono venuti per accompagnarti nel
tuo passaggio finale e per essere
vicini al nostro stimato Presidente
Giovanni.
L’omelia di Monsignor Cecchin,
un commento di una pagina della
Bibbia dal Libro di Giobbe, seguita
dalle Beatitudini del Vangelo, mi
rasserena.
Ora ho la certezza che tu, Emma,
hai raggiunto il nostro Creatore, il
nostro Dio, Padre Buono. E di lassù, sorridente,
ci aspetti.
Piera Bonaiti
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CASIMIRO FERRARI
Un sognatore
DALLA GRIGNA ALLA PATAGONIA
A dieci anni dalla sua scomparsa un gruppo di alpinisti a
firma “Gli amici di Punta del
Lago” ha voluto ricordare la figura del grande alpinista con
il volume edito da Cattaneo
(€ 20).
Si tratta di una selezione d’immagini, a dir poco stupende,
scattate durante alcuni viaggi su
percorsi che il “Jefe” aveva intrapreso. Le immagini sono un
viaggio in luoghi che per Casimiro avevano un significato particolare e che si possono definire
i suoi ultimi sogni.
Le fotografie sono state scattate
alla estancia Punta da Lago, al
Rifugio Carlo Mauri e nei loro
dintorni, lungo la salita al Cerro
Campana e sulla Peninsula Herminita, durante un tentativo di
approccio al Cerro Cono.
Il testo, di Alberto Benini è ridotto all’essenziale. Qualche
pagina, pulita, secca, importan-
F
te per renderci il carattere
di Casimiro, poi, solamente
fotografie, a colori, a tutta
pagina: eccezionali. C’è poi
quella estesa, grande panoramica, su ben cinque pagine che ritrae la catena nella
quale troneggiano i due
capolavori di Casimiro: il Cerro
Torre e il Fitz Roy.
Coordinatore generale dell’opera, Giuliano Maresi. Oltre alle
sue, le fotografie sono di Ferruccio Ferrario, Carlo Buzzi, Luciano Spadaccini, Egidio Spreafico.
Le cartine, chiare e definite, le ha
disegnate Luisa Rota Sperti.
Sono significative le parole con
le quali gli amici chiudono la
presentazione del libro:
“…Casimiro era un animale da
combattimento, un uomo che
aveva bisogno nello stesso tempo di un pubblico. Di amici e di
nemici, ma soprattutto di qualcuno o qualcosa con cui lottare. A
inalmente è arrivato a conclusione l’iter per l’approvazione dei
progetti annessi ai finanziamenti previsti dalla legge regionale
n.15/2007 per l’ammodernamento dei rifugi alpini.
Come aveva preannunciato il Presidente PierAntonio Mangioni, nell’Assemblea del 10 febbraio, la Gazzetta della Regione ha pubblicato gli importi dei contributi.
Alla SEL sono stati destinati, come da documentazione presentata:
Rifugio Luigi Azzoni, Resegone € 19.240; Rifugio Sassi Castelli, Artavaggio € 28.064; Rifugio SEL Rocca Locatelli, Piani Resinelli € 19.800; Rifugio Alberto Grassi, Camisolo € 21.140.
I nostri tecnici, architetto Maria Grazia Furlani, ingegner Giusi Negri
e ingegner Paola Frigerio, hanno lavorato sodo e con professionalità per preparare la lunga e meticolosa documentazione richiesta
dal bando regionale. Grazie!
32
dieci anni dalla sua scomparsa,
queste immagini e queste poche
parole sono semplicemente il
modo di ringraziarlo per i sogni
che abbiamo sognato insieme a
lui e grazie a lui.
Grazie, Casimiro, per i sogni
realizzati insieme e per quelli
che ci hai lasciato in eredità”.
NdR. Il 10 febbraio 2011, durante l’escursione della SEL
in Patagonia, guidata da Pippo Cattaneo, fummo ospitati
da Casimiro Ferrari nella sua
estancia. Ricordiamo la sua
simpatia e la cordialità che
ebbe sempre verso la nostra
Società.
Gigi Alippi, Guida Alpina e Ragno della Grignetta, partecipò,
nel 1961, alla conquista del Monte McKinley, con la Spedizione
Città di Lecco. Ha concesso alla
SEL il suo diario personale, scritto nei giorni della memorabile
impresa. E’ cronaca, ma ci sono
anche tante riflessioni, commenti, considerazioni. Lavoro molto
interessante rievocante verità e
fatti fino ad ora sconosciuti.
Lo si può scaricare interamente
dal sito: www.sel-lecco.it
NOI DELLA SEL
SEL
SOCIETA’ ESCURSIONISTI LECCHESI
FONDATA NEL 1899
SEZIONE SCI DAL 1908
23900 LECCO via Roma 51 – Tel. e Fax 0341.283075 – e.m. [email protected] – www.sel-lecco.it
• Elia Invernizzi si è aggiudicato il Primo Premio nel Concorso Diocesano Presepi per le Parrocchie.
Ha ricevuto il Premio a Milano il 22 gennaio scorso. Il suo presepio allestito, ormai da anni in occasione del Natale, nella Chiesa Parrocchiale di San Giovanni, è stato visitato da centinaia di persone,
riscuotendo grandi consensi e complimenti. Quest’anno, il presepio era ambientato nel rione lecchese
di Pescarenico, in riva all’Adda, in piazza Era. Naturalmente con il Resegone sullo sfondo che, nell’arco della giornata, assumeva spettacolari colori e luci.
• La sera di venerdì 16 dicembre, in una sede stipata di soci, Monsignor Franco Cecchin, Prevosto di Lecco,
ha impartito la benedizione natalizia. La serata si è conclusa con brindisi, panettone e scambio di auguri.
N. 1 GENNAIO/APRILE 2012
Gli scritti di questo numero del notiziario sono di:
Danilo Aluvisetti, Piera Bonaiti, Ambrogio Bonfanti, Pippo Cattaneo, Paolo Fiocchi,
Dino Piazza, Maurizio Pontiggia, Nipoti Corti, Cristina Nava, Giancarlo Valsecchi.
• Il prato che dalla strada provinciale scende sul piazzale del rifugio SEL ai Piani Resinelli, è stato
abbellito con aiuole d’erica e sempreverdi. Ha offerto il lavoro l’azienda “Punto Verde” dei Piani
Resinelli. E’ stata posta, nel mezzo, per opera di Enrico Zappa, padre di Luana, gestore del rifugio,
la statua di una Madonnina. Anche Luana, ormai provetta cuoca, ha riscosso complimenti e gratificazioni, organizzando pranzi a tema, assai frequentati. Si sono gustati squisiti bolliti, “busecca”,
cacciagione e altre specialità. A fine pasto non manca mai la “miascia”, una dolcezza mandellese.
Grazie a chi ci ha dato una mano, complimenti a tutti!
• Alba Villa, storica segretaria della SEL, è passata in su. I soci, partecipando numerosissimi alle sue
esequie hanno dimostrato quanto l’amassero. (articolo in altra parte del Notiziario).
• Giovanni Canella, socio per molti anni, simpatico e cortese frequentatore delle nostre gite, instancabile camminatore, ci ha lasciato.
• Valeria Bettocchi ha dovuto subire la perdita dell’amato padre Mosè, insostituibile sacrestano di
Moggio Valsassina, memoria storica del paese, dispensatore di saggi consigli ad una numerosa folla
di nipoti. In agosto aveva tagliato il traguardo dei 100 anni.
Le fotografie sono di:
Ambrogio Bonfanti, Giovanni Bonfanti, Pippo Cattaneo, Fotoottica Lariana,
Gruppo Gamma, Mauro Lanfranchi, Cristina Nava, Dino Piazza, Angelo Ripamonti,
Giancarlo Valsecchi, Archivio SEL.
In copertina.
Notturno invernale al rifugio Alberto Grassi, Passo di Camisolo m 2000, a guardia del Pizzo
dei Tre Signori m 2554. Fotografia di Mauro Lanfranchi.
• Monsignor Melezio Mauri, amico del Presidente Stefano Giudici, è salito in Paradiso. Lo ricordiamo
per le numerose sue Messe celebrate ad Artavaggio e al Rifugio Sel Rocca Locatelli, in occasione
di diverse nostre manifestazioni. Per tanti anni Rettore del Collegio Arcivescovile di Porlezza. Nel
1970 fu chiamato in Curia a Milano, dove assunse incarichi nell’ufficio amministrativo; tornò poi ad
impegnarsi nella realtà lecchese e in stretto rapporto con l’allora Arcivescovo di Milano Carlo Maria
Martini, promosse l’esperienza della “Casa del Clero” realizzata recuperando Villa Aldè, una donazione che era stata lasciata alla Curia e che ospita tuttora i sacerdoti anziani. Attualmente, Monsignor
Mauri, 90 anni compiuti, ne era l’amministratore.
• Rosy Fiocchi, moglie dell’ingegner Riccardo e mamma di Silvia, Costantino, Barbara e Luisa, ha
dovuto soccombere alla malattia che la crocifiggeva da dieci anni. La sua vita è stata sintetizzata in
“buon senso e cuore”. Ne aveva tanto, sia di cuore che di buon senso, spesi anche generosamente
come consorella della Conferenza di San Vincenzo.
• Luigi Milani è in lutto per la perdita improvvisa della moglie Giuseppina. La “Pina” com’era per gli
amici, sarà ricordata per la sua simpatia e generosità, spesa anche nell’assistenza agli ammalati e per
l’impegno nel sociale. Era conosciuta per essere stata una delle prime imprenditrici donne di Galbiate, avendo dato vita nel 1973 alla ditta metallurgica tuttora fiorente.
• L’architetto Aurelio Bergonzi ha perso l’amata moglie Giuditta Rossi.
Notiziario SEL n. 1 Gennaio/Aprile 2012
Direttore Responsabile Ambrogio Bonfanti, e.m. [email protected]
Autorizzazione Tribunale di Lecco 15/04/1948 – Stampa Editoria Grafica Colombo SRL - Valmadrera
Eleviamo un mesto pensiero a ricordo di coloro che ci hanno lasciato ed esprimiamo ai familiari le più
sentite condoglianze.
I NOSTRI RIFUGI SONO APERTI TUTTO L’ANNO
RIFUGIO SEL ROCCA-LOCATELLI
m. 1300 - Piani Resinelli (Grignetta m. 2200).
Sorge al termine della strada carrozzabile proveniente da Ballabio. Base per tutte le escursioni in Grigna.
Tel. 0341 590.094
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m. 1875). Bellissimo punto di vista su tutta la
Brianza e il lago. Funivia Lecco/Erna.
Da lunedì a venerdì tel. 335 6361803
Sabato e domenica tel. 0341 285195
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RIFUGIO ALBERTO GRASSI
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Signori, m. 2544). Monumento alpino, ricorda
tutti i Caduti della Patria.
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Custode: ANNA BORTOLETTO
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RIFUGIO SASSI-CASTELLI
m. 1650 - Artavaggio (Gruppo Zuccone Campelli, m. 2170). Posto al centro dei campi da sci è
importante punto di partenza per ascensioni e
traversate. Funivia da Moggio.
Tel. 0341 996084 - Tel. 338 3348920
Custode: DANIELE SERGIO ALUVISETTI
sel
“Poste Italiane - sped. in abb. postale - art. 2 comma 20/C legge
662/C Lecco”
Notiziario SEL n. 1 Gennaio-Aprile 2012
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Camminasel 1_2012