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Piero Gondolo della Riva
Marcella Pralormo
Piero Gondolo della Riva dialoga con
Marcella Pralormo
Conferenza presso la Sala di consultazione, 27 novembre 2013
PGR – Piero Gondolo della Riva
MP – Marcella Pralormo
MP – Buonasera, oggi abbiamo il piacere di avere ospite Piero Gondolo della Riva, un
collezionista straordinario appassionato a un tema interessante e molto curioso.
Piero colleziona visioni del futuro e rappresentazioni immaginarie della conquista
dello spazio.
PGR – E non solo!
MP – Non solo, come approfondiremo. È difficile riassumere in una frase tutto quello
che raccoglie la tua collezione. Il collezionismo è una passione e può diventare
un’ossessione, ma non dimentichiamo che prima di tutto è uno strumento di
conoscenza. Piero Gondolo della Riva incarna il corrispondente moderno dell’uomo
rinascimentale che, chiuso nel suo studiolo, raccoglie pezzi straordinari e preziosi
per dare vita a una sorta di microcosmo. Ogni elemento della collezione è in stretta
relazione con gli altri; la raccolta trasmette un senso d’insieme mentre si
autoalimenta e mano a mano cresce. Piero Gondolo della Riva nasce a Torino da
antica famiglia cuneese e fin da piccolo manifesta una particolare passione per i
giocattoli, diversa da quella di qualunque altro ragazzino. Raccontaci come è nato
questo interesse.
PGR – La mia prima esperienza di collezionismo risale al 1950, quando avevo due
anni. Mi regalarono una macchinina, il modellino di una Topolino C della serie
Mercury, famosa negli anni cinquanta. Da quell’episodio scattò immediatamente il
bisogno di avere tutta la serie e tra il 1950 e il 1955 riuscii effettivamente a
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raccogliere tutti i modellini della Mercury. Ampliai poi la collezione ad altri modellini
di macchina, fino al 1962, quindi fino all’età di quattordici anni. Possiedo ancora
l’intera raccolta anche se non l’ho più continuata. Non compravo solo i nuovi
modellini che uscivano, ma andavo anche a cercare nei negozi di giocattoli per
scovare avanzi dell’anteguerra, modellini prodotti anni prima e rimasti invenduti. Ero
felicissimo quando ne trovavo uno e i negozianti erano chiaramente ben contenti di
liberarsene. Conservavo addirittura le scatole e tutte le macchinine sono ancora
intatte perchè non ci giocavo per non rovinarle. Per un bambino di quell’età questo è
un comportamento abbastanza inusuale; credo ci sia qualcosa nel mio DNA che è
all’origine dalla mania di collezionare. Se si regala un giocattolo a un bambino,
questo normalmente ci gioca; io invece ero un ragazzino “triste” e invece di giocare,
collezionavo.
MP – Più che triste ti definirei contemplativo; il lato estetico per te aveva già una
grande importanza.
PGR – Poi ho avuto anche il periodo delle figurine, ma questa non la considero una
collezione: tutti i bambini avevano album come Italia ’ 61, Il mondo in cui viviamo o
Ruote, vele, ali: le bustine di figurine si compravano dal tabaccaio per dieci lire e poi
si incollavano. Anche in quel caso il concetto cardine era riuscire ad averle tutte.
MP – Walter Benjamin in un saggio sul collezionismo 1 scrive che per il collezionista
conta la completezza, la serie. L’oggetto da solo non ha valore, ciò che conta è il
tutto. Ma passiamo ora alla tua giovinezza, periodo in cui hai iniziato ad
appassionarti a Jules Verne.
PGR – Prima del 1962, come tutti i ragazzini della mia età, ricevetti in dono alcuni libri
di Verne: Ventimila leghe sotto i mari o L’ isola misteriosa. Si trattava di edizioni
moderne, tradotte dal francese. Io invece ho sempre preferito gli oggetti antichi e
queste nuove edizioni non mi convincevano molto; non capivo il senso di leggere un
libro in edizione moderna se esisteva quella antica. Inoltre sapevo già bene il
francese e non accettavo l’idea di leggerlo tradotto in italiano. La passione si scatenò
nel marzo del 1962, all’età di tredici anni e mezzo. Non disponendo di cospicui mezzi
W. Benjamin, Aprendo la classe della mia biblioteca: discorso sul collezionismo, trad. it. di E. dell’Anna
Ciancia, Henry Beyle, Milano 2012.
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economici, trasformavo quindi i bei voti a scuola in libri di Verne. Ho un meraviglioso
ricordo della dottoressa Elena Soave (madre dei due fratelli Soave, tuttora librai
antiquari di Via Po) che aveva per caso in negozio una quindicina di volumi di Verne
in francese nell’edizione Hetzel illustrata, di grande formato, che mi lasciò senza
fiato. Da quel momento in poi mi imposi l’imperativo “devo collezionare”, che ebbe
come naturale conseguenza l’obiettivo “li voglio tutti”. I quindici volumi di Verne
della libreria antiquaria Soave arrivarono in casa mia in breve tempo. Non appena un
parente mi faceva un regalino in denaro, io correvo subito alla libreria Soave e
spendevo tutto per comprare altri libri di Verne. Il meccanismo si era già innescato.
MP – Dei libri di Verne ti piacevano soprattutto i contenuti o anche l’estetica dei
volumi?
PGR – Mi piaceva tutto. Essendomi occupato di Jules Verne per tutti gli ultimi
cinquant’anni della mia vita, accade di frequente che le persone mi chiedano come
mai mi interessa tanto questo autore. È una domanda alla quale è molto difficile
rispondere: credo che la mia passione per Verne abbia qualcosa a che fare col senso
del mistero. Quello che mi piaceva di quei romanzi erano i messaggi cifrati e il
mistero di cui sono intessute le storie. Non posso negare di aver trovato alcune
pagine noiose; Verne peccava di eccessive enumerazioni e capitava spesso che noi
ragazzini leggendo saltassimo alcune pagine; ma in certi romanzi più che in altri, per
esempio I figli del capitano Grant, Viaggio al centro della terra e La Jangada, ci sono
messaggi cifrati che mi affascinano immensamente. Amavo molto anche l’odore della
carta antica e le illustrazioni: le edizioni Hetzel sono famose per la bellezza delle
illustrazioni. Nel 1962 iniziai a comprare questi libri e nel 1963 decisi di scrivere la
bibliografia 2 di Jules Verne che nessuno aveva mai scritto.
Nel 1963, avevo quindici anni, lavorai alla bibliografia di Verne. Essa uscì in francese
a Parigi in due volumi tra il 1977 e il 1985 in un’edizione ridottissima di mille
esemplari, oggi rarissimi. Fino al 1966 evitai di recarmi di persona a Parigi, avendo
paura di trovare troppi libri e non avendo mezzi sufficienti per comprare tutto quello
che avrei trovato. Ero certo che le librerie antiquarie di Parigi mi avrebbero sommerso
di antiche edizioni di Verne. Nella primavera del 1965 fu riesumata la Société Jules
2
P. Gondolo della Riva, Bibliographie analytique de toutes les œuvres de Jules Verne, prefazione di Jean
Jules-Verne, Société Jules Verne, Parigi 1977-85.
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Verne, 3 un’associazione culturale fondata nel 1935 e scomparsa durante la Seconda
guerra mondiale e fu allora che un libraio di Parigi che conoscevo per corrispondenza
mi offrì di iscrivermi a questa rinata associazione. Io ne fui entusiasta e sottoscrissi,
ricevendo la tessera numero 20. Nel 1977 diventai vicepresidente dell’associazione,
carica che ricopro tuttora. Non ho mai voluto diventarne il presidente perché non amo
le questioni burocratiche, abito a Torino (la Société Jules Verne ha sede a Parigi), non
mi piacciono i computer, non ho un indirizzo e-mail, insomma sarei un pessimo
presidente. Detto questo, però, continuo comunque a occuparmene con passione.
Alla fine del 1966, quando avevo diciotto anni e mezzo, si riunì la prima assemblea
della nuova Société Jules Verne a Parigi e io decisi di andarci. Così si aprì la stagione
parigina.
MP – Sei andato finalmente a Parigi, hai superato la paura di essere sommerso da
montagne di libri di Verne.
PGR – Durante l’estate avevo preso la patente e l’avevo da un giorno quando decisi di
partire con mia madre da Bardonecchia dicendo: «Andiamo in Francia!». Senza
passare da Parigi eravamo diretti a Nantes, perché Jules Verne era nato lì. Volevo
andare con ordine iniziando dalla nascita: mi recai alla biblioteca della città, con la
quale nacque una collaborazione duratura, e lo stesso accadde con il museo. 4
Fu nel 1968 che andai ad abitare finalmente a Parigi; mi ci trasferii perché volevo fare
ricerche alla Biblioteca Nazionale che in quegli anni stava stampando il catalogo
generale dei libri che custodiva. Avevano iniziato nel 1820 con la lettera A ed erano
arrivati alla lettera V nel 1968. Vi lascio immaginare quanto fossero aggiornate le
schede delle lettere tra la A e la V; credo che i libri dal 1820 fossero un po’ aumentati.
La conservatrice della Biblioteca Nazionale incaricata di occuparsi della voce “Verne”
mi aveva chiesto se potevo aiutarla a datare e riconoscere le edizioni dei libri, perché
aveva delle difficoltà e sapeva che io ero un esperto. Questo incarico mi ha
autorizzato ad accedere liberamente per trent’anni ai depositi della Bibliothèque
Nationale senza chiedere mai un libro in prestito: è risaputo che a Parigi facciano
aspettare parecchie ore per avere al massimo tre libri in prestito al giorno e io, per
scrivere la mia bibliografia, avevo bisogno di sfogliarne quaranta al giorno. Non
dovevo leggerli ma solo sfogliarli, vedere se a una certa pagina c’era o non c’era
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4
www.societejulesverne.org.
Musée Jules Verne de Nantes, www.nantes.fr/julesverne/acc_2.htm.
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l’errore di stampa tipico di quella tiratura, rimettere il volume a posto e andare
avanti. I bibliotecari mi scambiavano per un nuovo collega perché ero sempre a
trafficare fra gli scaffali; fortunatamente non hanno pensato che fossi un ladro.
Ma la mia collezione su Jules Verne è diventata colossale anche grazie a due fortunati
incontri: uno con gli eredi Verne, con i quali sono stato amico per trent’anni e che mi
hanno poi venduto una grande quantità di manoscritti importantissimi, e l’altro con
la pronipote dell’editore Pierre-Jules Hetzel, Madame Laffon, che mi adorava.
MP – Il salotto che avevi a casa tua te l’hanno venduto gli eredi Hetzel?
PGR – Sì, era il salotto dell’editore Hetzel, al numero 18 di Rue Jacob di Parigi: su quel
divano Jules Verne conobbe il suo editore nel settembre del 1862.
MP – Era tappezzato di tappeti, vero?
PGR – Sì, e grazie a una stampa dell’epoca si potevano riconoscere i vecchi mobili
con la copertura originale; nel mio salotto c’erano esattamente quei mobili lì. Non
avrei mai pensato di vendere la collezione che mi ha portato in giro per il mondo. Nei
miei spostamenti, appena arrivavo in una città mi precipitavo dagli antiquari che
erano un aggancio straordinario. Le librerie antiquarie erano sempre nel centro
antico delle città; adesso chiunque può mettere in vendita i libri ed è possibile
comprarli da casa con e-bay. A Torino per esempio gli antiquari erano in via Po, in via
della Consolata, in via Garibaldi o in piazza Savoia. Quando arrivavo in città come
Copenaghen, Washington o Varsavia, andavo immediatamente a cercare le librerie
antiquarie, e per trovarle finivo sistematicamente nel quartiere più antico e
affascinante della città.
MP – La tua collezione è entrata a far parte di un museo; volevo capire se c’è stato un
momento in cui hai stabilito che la collezione fosse completa, finita.
PGR – È una collezione impossibile da completare. Qualsiasi collezione è impossibile
da completare, a meno che non si tratti di un album di figurine con cinquanta caselle
bianche da riempire. I romanzi di Jules Verne hanno ispirato un’infinità di “prodotti
derivati”: oltre a tutte le edizioni più o meno ufficiali dei suoi libri ci sono anche cose
che vanno al di là dei volumi stessi, per esempio portachiavi, statuette e souvenirs.
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Quando si inizia a collezionare in modo maniacale come facevo io, si finisce per
raccogliere anche le scatole di fiammiferi con l’immagine di Jules Verne, le terrificanti
boules-de-neige con la testa di Jules Verne, neanche fosse la Madonna di Lourdes. A
questi livelli la collezione non potrà mai finire. Nella mia casa attuale, appesa alle
pareti ho una serie di piatti, dodici pezzi della manifattura Creil & Montereau, del
1880 circa, ispirati alla commedia Il giro del mondo in ottanta giorni. Verne, infatti,
insieme con Adolphe d’Ennery, nel 1874 si ispirò al romanzo per la commedia Le tour
du monde en quatre-vingts jours 5 che ebbe un successo colossale: più di
duemilacinquecento rappresentazioni prima dell’anno 1900. Ne fu tratta una serie di
prodotti derivati: fra gli altri, giochi dell’oca, puzzle, tappezzeria da muro e questa
serie di piatti. La mia collezione raccoglieva mobili, piatti e soprattutto libri. Avevo
trovato circa duemila manoscritti: non romanzi compiuti ma documenti di vario
genere. Si trattava di moltissime lettere autografe talora inedite, come le trecento
lettere che Jules Verne scrisse a suo figlio. Avevo comprato tutto ciò dagli eredi
Verne. La collezione costituiva un’entità unica nella mia casa di Torino di allora, ed
era così consistente che ci stava a fatica. Abbiamo tenuto per ben quattro volte
l’assemblea della Société Jules Verne qui a Torino solo perché la mia collezione era
qui. Accadde addirittura che gli studi cinematografici di Hollywood decidessero di
girare un documentario su Verne: partirono dall’America e rimasero tre giorni a casa
mia per fare delle riprese. Nel 1989, quando ancora mi dedicavo a tempo pieno alla
collezione, gli eredi Verne rinvennero in casa loro, in una cassaforte che dicevano
essere rimasta sempre chiusa dai tempi della guerra, il manoscritto di un romanzo
inedito di Verne sul tema del futuro, intitolato Paris au XXème siècle, 6 cioè Parigi nel XX
secolo 7. Jules Verne aveva scritto al suo editore circa ottocentocinquanta lettere che
furono poi regalate alla Biblioteca Nazionale di Parigi dove sono custodite tuttora.
Mancavano però le risposte dell’editore a queste missive e si diceva che Verne le
avesse eliminate. Non so se fosse andata davvero così o se a seguito di tutti i
traslochi e del sequestro della casa del figlio a Tolone ad opera dell’armata tedesca
fossero semplicemente andate perdute. In ogni caso non c’erano più. Nella cantina
degli eredi Hetzel a Sèvres trovai un copialettere: un fascicolone di carta velina che
tramite un sistema a torchio – una sorta di fotocopiatrice ante litteram – riproduceva
l’originale delle lettere scritte. Siccome le lettere erano andate perdute di fatto, ora le
A. d’Ennery e J. Verne, Le tour du monde en quatre-vingts jours, prima recita 7 novembre 1874, Théâtre de la
Porte-Saint-Martin, Parigi.
6
J. Verne, Paris au XXème siècle, prefazione e redazione a c. di P. Gondolo della Riva, Hachette, Parigi 1994.
7
J. Verne, Parigi nel XX secolo, trad. it. e a c. di M. Grasso, Tascabili Economici Newton, Roma 1995.
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copie erano gli unici originali. Comprai le trecentodieci lettere dell’editore Hetzel a
Jules Verne. Tra il 1999 e il 2006 fummo in tre, Olivier Dumas, Volker Dehs ed io, a
pubblicare tutta la corrispondenza tra Verne e l’editore, 8 incluse le lettere ritrovate in
cantina. Fra queste lettere, una dell’editore conteneva il rifiuto categorico di
pubblicare il manoscritto di Paris au XXème siècle. Quando esso fu ritrovato, i diritti di
pubblicazione furono ceduti all’editore Hachette che prese una decisione incredibile:
scelse me, un italiano, per pubblicare la prima edizione di un romanzo inedito di un
autore come Verne. Ora, i francesi sono molto campanilisti, lo sanno tutti, e che
affidino a un italiano la prima edizione di un autore francese è un fatto più unico che
raro; fu un grande onore per me. Ero stato incaricato di scrivere la prefazione al
volume, integrare il testo con note e rivedere gli aspetti formali dell’intero
manoscritto. Era il 1994; il libro uscì nel settembre di quell’anno e vendette, mi pare,
duecentomila copie solo nei primi quindici giorni. Venne poi tradotto in una
quarantina di lingue straniere, cosa che mi diede la gioia di vedere la mia prefazione
scritta in serbo-croato, in ebraico, in cinese e così via. Fu il più grande successo
commerciale relativo a Jules Verne, molto più di Ventimila leghe sotto i mari,
nonostante fosse un libro piuttosto scadente. Tra le lettere di cui parlavo prima,
come ho detto, c’era quella del 1863 nella quale l’editore Hetzel rifiutava il
manoscritto dicendo: «Non lo pubblicherò mai perché è un libro pessimo». Verne lo
chiuse in un cassetto e lì rimase fino al 1994.
Con quella prefazione sul tema del futuro ho sostanzialmente dato il via alla
collezione attuale. Verne tra l’altro scrisse pochissimi libri sul futuro: l’etichetta di
“padre della fantascienza” gli viene attribuita erroneamente; né lui né il suo editore
amavano particolarmente i libri sul futuro. Il suo scopo era descrivere la terra sotto
forma di romanzo, dare vita a romanzi geografici, non scientifici. Su sessantatré titoli,
appena tredici sono scientifici e cinquanta geografici, con un chiaro intento
pedagogico nei confronti del lettore, generalmente adolescente.
MP – Trovo interessante che nelle tue ricerche tu sia andato a ritroso, scoprendo che
moltissimi studiosi si sono occupati delle visioni del futuro anche in passato, a
partire da Luciano di Samosata per arrivare fino al Seicento e Settecento.
8
O. Dumas, P. Gondolo della Riva e V. Dehs (a c. di), Correspondance inédite de Jules Verne et de Pierre-Jules
Hetzel (1863-1886), 5 voll., Slatkine, Ginevra 1999-2006.
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PGR – Ho ceduto la collezione Verne nel 2000 per creare il museo di Amiens, ma ho
continuato a comprare tutto ciò che riguardava il futuro per la mia nuova collezione il
cui tema infatti è Visioni del futuro. Anche in questo caso pensare di essere
esaurienti è fantascienza pura: sarebbe impossibile anche per uno scrittore solo,
figuriamoci per migliaia. Nella collezione precedente avevo alcuni bellissimi libri di
Verne che adesso rientrano nella nuova raccolta, iniziata attorno al 1994 e che tuttora
porto avanti. Tra il 1999 e il 2000 la città di Amiens, dove Verne visse dalla guerra del
1870 contro i tedeschi fino alla morte nel 1905 e dove fu anche sepolto, era
proprietaria della più bella tra le case appartenute a Verne. Le stanze erano vuote e il
progetto era quello di farne un museo. Non avrei comunque mai accettato di metterla
all’asta perché tanti anni di ricerche sarebbero sfumati in men che non si dica
all’alzata di mano del miglior offerente.
MP – Inoltre la collezione ha senso nel suo insieme.
PGR – Infatti. La città di Amiens (e il Ministero della Cultura francese per il quaranta
per cento) hanno comprato la mia collezione per farne un museo e mi hanno chiesto
di collaborare con la città per sei anni seguendo i lavori di realizzazione. Il museo
purtroppo è molto diverso da come l’avrei voluto, ma questo fa parte del destino: per
avere le cose esattamente come si vuole, bisogna arrangiarsi da soli. Io ho portato
avanti la collezione sul futuro, nella quale si contano parecchie opere di Jules Verne,
che ora non è più lui il fulcro della raccolta essendo un autore fra tanti. Per esempio
nella mia collezione ho i due romanzi lunari-spaziali di Verne: De la Terre à la Lune Autour de la Lune e Hector Servadac con una legatura creata appositamente per
questi titoli. Verne non amava particolarmente ambientare nel futuro i suoi racconti,
preferendo collocarli nel presente nonostante il contenuto fosse avveniristico. Dalla
Terra alla Luna si svolge alla fine della Guerra di secessione americana nel 1865, ma
è chiaro che a quell’epoca l’uomo non era ancora sbarcato sulla Luna. Il contenuto è
avveniristico ma la datazione è contemporanea. Ho altri Verne nella mia collezione:
edizioni straniere, inglesi, americane, cecoslovacche di Dalla Terra alla Luna e
Intorno alla Luna e, essendo un bibliofilo, sono anche molto attento all’oggetto-libro,
al di là dei suoi contenuti.
Passiamo ad un altro aspetto che lega le due raccolte. Nel dicembre del 1874 uscì la
commedia tratta dal Giro del mondo in ottanta giorni ed ebbe un successo
straordinario. Nel 1875 Offenbach, senza chiedere l’autorizzazione, scrisse
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un’operetta intitolata Le voyage dans la Lune 9 ispirandosi ai romanzi lunari di Verne:
in essa un cannone spara un proiettile che raggiunge la Luna. Offenbach fece
sbarcare i suoi personaggi sul suolo lunare, cosa che Verne aveva evitato per amore
di verosimiglianza e per non dover rispondere alle famose domande «C’è atmosfera?
C’è vita sulla Luna? Ci sono animali? Cosa c’è sulla faccia che noi non vediamo?». Il
famoso Camille Flammarion, l’astronomo, criticò duramente Verne scrivendo in un
testo: «Era inutile farli andare sulla Luna per non vedere nulla». In Italia fu allestita
una versione dell’operetta Le voyage dans la Lune di Offenbach intitolata addirittura
Dalla Terra alla Luna, talmente si era sensibili alla fonte a cui Offenbech aveva
attinto. In realtà Jules Verne e Hetzel minacciarono Offenbach di denunciarlo per
plagio, ma non lo fecero perché non erano certi che gli elementi di analogia tra le due
opere fossero sufficienti e temevano quindi di perdere la causa. Il manifesto
pubblicitario 10 dell’opera teatrale è rarissimo da trovare; io ne ho una delle poche
copie in circolazione, comprata l’anno scorso a un’asta a Parigi. Essa quindi non
faceva parte della vecchia collezione su Verne giacchè l’ho acquisita dopo.
Chi dice che i torinesi sono lenti non conosce questo aneddoto: a Parigi il libretto e lo
spartito 11 del Voyage dans la Lune rimasero inediti fino al 1877. Nel 1876, però,
ricorreva il centenario dell’indipendenza americana e a Philadelphia fu proposto Trip
to the Moon, la versione inglese dell’operetta di Offenbach, sempre inedita. I fratelli
Lupi del teatro di marionette Gianduja di Torino, partirono in nave, sbarcarono a
Philadelphia, videro la versione inglese dell’operetta di Offenbach, presero appunti
e, nel 1876, nello stesso anno ma prima che uscisse il libretto a cui accennavo,
rappresentarono a Torino Dalla Terra alla Luna, sostenendo di essersi ispirati per
metà a Jules Verne e per metà a Offenbach. Il mio manifesto si riferisce a una
riedizione del 1932, è molto littorio nella grafica, in quanto i caratteri sono quelli
tipici dell’epoca fascista.
MP – La tua casa qui a Torino è quasi interamente tappezzata.
PGR – Quasi. Prima con Jules Verne era davvero tutta tappezzata, adesso un po’
meno, solo qualche stanza.
9
J. Offenbach, Le voyage dans la Lune, prima recita a Parigi il 26 ottobre 1875.
Dalla Terra alla Luna, manifesto, Compagnia di operette Carlo Lombardo.
J. Offenbach, Le voyage dans la Lune, libretto francese a c. di E. Leterrier, A. Mortier e A. Vanloo, Parigi 1877.
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MP – Ci sono stanze tappezzate da piatti, stampe, figurine incorniciate, ci sono
scatole con giochi, piccoli robot, tantissimi oggetti curiosi accomunati dal tema della
visione del futuro.
PGR – Bisogna spiegare il significato di “visione del futuro”. I temi fondamentali sono
due: il futuro immaginario, per cui ci si immagina, per esempio, come sarà l’anno
3000, e la conquista immaginaria dello spazio. Alcuni romanzi di Verne rientrano nel
primo filone, altri nel secondo.
Per quanto riguarda la conquista immaginaria dello spazio, già nel 180 d.C. Luciano
di Samosata scrisse La storia vera 12 in cui i personaggi vanno sulla Luna; di questo
libro non ho, naturalmente, né il codice originale né un incunabolo ma ne ho alcune
edizioni del Settecento.
Oltre a Verne la mia collezione raccoglie anche molto altri autori. Nel 1771 LouisSébastien Mercier pubblicò un libro intitolato L’ anno 2440: 13 ebbe un tale successo
che se ne fecero moltissime edizioni pirata fingendo di stamparle a Londra mentre in
realtà furono stampate a Parigi, tra il 1771 e il 1786. Fino al 1807 il nome dell’autore
non comparve nel volume.
Una particolarità della raccolta è l’essere costituita da oggetti diversi fra loro: piatti,
figurine, cartoline, stampe, libri, giornali. Ci sono innumerevoli giornali usciti
all’inizio del XX secolo che parlano di come sarebbe stato il 2000. Il nuovo millennio
era un traguardo mitico, il fascino che esercitava era molto forte in quel momento,
più allora di quando ci si è effettivamente arrivati. Il 1901 era l’anno che aveva fatto
scattare il nuovo secolo e la gente cominciava a rendersi conto che rappresentava
anche l’ingresso nel secolo che avrebbe portato al famoso anno 2000. Tutti i giornali
fecero pronostici per il futuro con titoli come L’ amour en l’ an 2000, La coiffure en
l’ an 2000, La mode en l’ an 2000. Ne ho a centinaia ma per il momento devo tenerli
custoditi in cartelle: sarebbe bello, un giorno, esporli.
Uno dei miei vanti è una stampa francese antica e molto rara che immagina la
conquista napoleonica dell’Inghilterra: si vedono palloni aerostatici e altri veicoli
volanti non ancora esistenti all’epoca, ovviamente navi e addirittura il tunnel sotto la
Manica. Di fatto la stampa raffigura ciò che sarebbe stato effettivamente realizzato
quasi duecento anni dopo. Ho fatto follie per averla, si tratta di un documento del
12
13
L. di Samosata, Storia vera, BUR, Milano 1993.
L.S. Mercier, L’ anno 2440, a c.di L. Tundo, Dedalo, Bari 1993.
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1803, ha più duecento anni ed è una testimonianza iconografica del concetto di
futuro che c’era all’epoca.
Ho anche qualche documento relativo al Futurismo, anche se il noto movimento
d’avanguardia non c’entra molto, eccezion fatta per l’assonanza del nome: ai futuristi
di Marinetti non interessava immaginare il futuro, quando piuttosto cambiare il
presente. Erano stufi dell’arte, della cultura, della lingua e della letteratura
tradizionali. Tutto ciò c’entra molto poco con il futuro immaginario.
MP – Praticamente nulla.
PGR – Quello che mi interessa veramente avere nella mia collezione sono gli oggetti
che rappresentano l’idea di futuro. Per esempio possiedo una straordinaria stampa
inglese del 1808 intitolata Locomotion sulla quale sono rappresentate una
“macchina per la locomozione” (cioè una macchina per camminare), una sorta di
automobile consistente in una teiera (le teiere erano a vapore) con una dama ancora
molto settecentesca e un uomo volante, inventore della “macchina per volare”.
Questa stampa sul futuro è uno dei pezzi più belli che si possano desiderare in una
collezione.
Tornando nuovamente allo spazio e alla Luna, nel 1835 un famoso astronomo
inglese, Sir John Herschel, figlio di un astronomo ancora più famoso vissuto nel
Settecento, andò a Città del Capo, in Sudafrica, per osservare la Luna da lì. Non
riscontrò niente di particolarmente interessante, ma un giornalista americano di
nome Locke – che diceva di discendere dal filosofo inglese – scrisse un articolo che fu
immediatamente pubblicato in tutto il mondo, sostenendo che Sir John Herschel
avesse visto con un telescopio gigantesco gli abitanti della Luna e che questi fossero
esseri pelosi e alati e che gli animali della Luna avessero molte corna. Per circa due
anni tutto il mondo ci credette, finché nel 1837 la bufala fu smascherata. Non so che
cosa abbia pensato Herschel, ma certo è che in tutto il mondo sono stati pubblicati
fascicoletti – che ovviamente colleziono – che trattano delle sue scoperte. A Napoli,
non contenti, pubblicarono anche una serie di tredici stampe rarissime, in cui sono
illustrate tutte le presunte scoperte. Io ne ho dodici, un mio amico collezionista
possiede la tredicesima: l’ho fatta fotografare. Non si vede che è una fotografia e per
il momento è incorniciata anche se è un falso; sto aspettando di entrare finalmente in
possesso di quella originale.
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MP – Visto che citi un amico collezionista, una volta mi hai raccontato che quando
compri oggetti per la tua raccolta se ti capita di trovarne più copie disponibili le
acquisti e le regali ad amici con la tua stessa passione. Mi sembra un presupposto
per buoni rapporti con gli altri collezionisti.
PGR – Sì, molto buoni. Ho avuto grandi amici collezionisti. È brutto essere avidi nel
collezionismo e soprattutto troppo esclusivi. Conoscevo un collezionista di Parigi,
morto quasi cinquant’anni fa, che aveva anch’egli una raccolta straordinaria di Jules
Verne. Quando trovava un libro raro, lo comprava anche se lo aveva già, solo per
impedire ad altri di averlo. Questo atteggiamento a me non piace assolutamente; il
rapporto fra collezionisti dovrebbe essere amichevole: se arrivo per primo compro
l’oggetto, ma se ce ne sono due copie e io ne possiedo già una, sono felice di
telefonare a un amico per avvertirlo, sperando che in un’altra occasione faccia
altrettanto. Purtroppo non tutti sono così.
Sul tema del futuro esistono un’infinità di documenti. A parte Jules Verne, nella
collezione ho un libro 14 del 1846 ambientato nell’anno 3000. L’autore è Émile
Souvestre che scrisse anche libri politici; nel suo immaginario nell’anno 3000 tutta la
popolazione mondiale sarebbe vissuta nuda a Tahiti. È curioso che nel 1858 di
questo libro sia stata pubblicata una nuova edizione in Francia e un’altra abusiva in
Portogallo, senza il nome dell’autore ma con le stesse illustrazioni. Io ho trovato
anche l’edizione abusiva portoghese. Un altro grande scrittore appassionato di
futuro fu Albert Robida. Fu disegnatore e al tempo stesso scrittore, come il nostro
Yambo, l’unico in Italia a cui si possa paragonarlo. Ma a Robida non interessava solo
il futuro: scrisse centinaia di libri, migliaia di articoli e disegni e diresse una rivista
intitolata La Caricature. I suoi due libri più importanti sono Le XXème siècle, 15 uscito nel
1883 e il suo seguito, La vie électrique 16 del 1892.
Verso il 1910 dal titolo dell’opera di Robida, Le XXème siècle, fu tratta una serie di
dodici piatti da dessert; la regola allora imponeva che il piatto da dessert fosse
diverso dagli altri usati. Fino ai primi anni dell’Ottocento se il piatto era decorato con
figure o fiori era prezioso in quanto dipinto; quindi era più caro e riservato agli
acquirenti benestanti che potevano permetterselo. Agli inizi dell’Ottocento fu
inventato un procedimento chiamato transfer printed: esso consisteva nell’applicare
14
15
16
E. Souvestre, Le monde tel qu’ il sera, Parigi 1846.
A. Robida, Le XXème siècle, Decaux, Parigi 1883.
A. Robida, Le XXème siècle. La vie électrique, Librairie Illustrée, Parigi 1892.
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la stampa sul piatto prima della cottura e prima dello smalto. In questo modo era
possibile creare multipli identici fra loro. Il costo dei piatti decorati con questo
metodo era sensibilmente inferiore. Chiunque poteva comprare uno di questi
multipli. Verso il 1910 uscì dunque la serie tratta dal XXème siècle: rappresentava varie
scene di un immaginario XX secolo.
Un altro pezzo di Robida che possiedo è il numero del 1883 17 del giornale La
Caricature, con magnifici disegni in copertina e all’interno, dedicati all’idea di guerra
nel XX secolo. L’autore scrisse anche un libro nel 1887 dal titolo La guerre au XXème
siècle 18 ma con altri contenuti. Nel 1901 Robida pubblicò La sortie de l’ Opera en l’ an
2000, un disegno in cui una situazione banale come l’uscita del pubblico da teatro
viene immaginata e interpretata in chiave avveniristica. Nel 1910 uscì un gioco di
società chiamato En l’ aéroplane, con le plance e le pedine, per la copertina della cui
scatola fu spudoratamente scopiazzato il disegno di Robida, senza autorizzazione.
Naturalmente nel frattempo, fra il 1901 e il 1910, gli aeroplani erano cambiati, per cui
quello rappresentato, con tutti i personaggi in piedi, è un aeroplano reale del 1910
mentre quello del disegno di Robida risultava molto più avveniristico, simile ad un
siluro.
Ma passiamo ad altri autori, così da avere una panorama di quante persone in un
modo o nell’altro fossero interessate al tema del “futuro”: Wells per esempio si
occupò della conquista immaginaria della Luna. Ho un’edizione francese del 1905
circa del romanzo Les premiers hommes dans la Lune 19 sulla cui legatura editoriale si
vede raffigurato una specie di ET, un “lunatico” molto moderno, a modo suo. Poi ho
un libro che Pierre de Sélènes dedicò a Jules Verne: si tratta di Un monde inconnu.
Deux ans sur la Lune. La legatura editoriale mostra un edificio immaginario costruito
sulla superficie montagnosa del satellite. Sono pezzi molto rari da trovare e in una
collezione sul futuro immaginario danno una gioia infinita.
MP – Una precisazione su come trovi tutti questi oggetti: abbiamo parlato degli
antiquari, ma mi hai anche detto che ti sei aggiornato, pur non essendo molto
amante della tecnica, e hai iniziato anche tu ad usare e-bay.
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18
19
A. Robida (a c. di), La Caricature, Parigi, 27 ottobre 1883.
A. Robida, La guerre au XXème siècle, G. Decaux, Parigi 1887.
H.G. Wells, Le premiers hommes dans la Lune, Félix Juven Editeur, Parigi 1905.
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PGR – Sì, ho un amico che mi dà una mano, io devo soltanto scegliere e pagare. Lui
traffica con il computer, si arrabbia, naturalmente, perché c’è sempre qualcosa che
non funziona. Spesso traffichiamo su e-bay, dove si trovano cose straordinarie. Per
esempio, avendo ricominciato ad acquistare pezzi relativi a Jules Verne, ho trovato un
libro pubblicato a Firenze nel 1907 da un certo Epaminonda Provaglio, che si intitola
Il mago dalle sette teste; 20 il libro era già stato pubblicato nel 1892 e l’autore
sosteneva di averne inviato una copia a Verne stesso e di aver pubblicato come
prefazione alla nuova edizione una lettera di Verne, tradotta in italiano, nella quale lo
ringraziava del dono. Io nella mia bibliografia spiego che si tratta di un testo apocrifo.
In ogni caso è un libro rarissimo. L’altro giorno su e-bay l’ho trovato per una cifra
modestissima, da un privato che lo metteva in vendita a Chicago. L’avevo posseduto
una sola volta e poi mi era sfuggito, finendo al museo di Amiens; ora grazie a e-bay
mi è ritornato. Non bisogna essere troppo scettici sulle nuove tecniche.
MP – Un altro fenomeno straordinario che mi hai raccontato è che ci sono esperti e
specialisti che per mestiere sfogliano i giornali antichi uno per uno alla ricerca di
articoli sugli argomenti più disparati, nel tuo caso sulle “visioni del futuro”, e poi ne
vendono le copie.
PGR – Sì, conosco un parigino che compra tonnellate di annate di giornali antichi,
rilegate, e le sfascia avendo cura di lasciare sempre il numero intero. È sufficiente
indicargli un argomento – io naturalmente gli ho chiesto articoli su Jules Verne e sul
futuro – e lui, per un prezzo contenuto che si aggira sui dieci euro a numero, mi
procura il giornale contenente l’articolo desiderato.
Tornando alla mia collezione di piatti del futuro, oltre alla serie che avete visto prima,
ne ho un’altra intitolata Le monde oiseau. Agli inizi del Novecento era convinzione
diffusa che nel futuro avremmo disposto di veicoli volanti per gli spostamenti
quotidiani. Nell’immaginario collettivo si saliva sull’aeroplano direttamente dal
proprio balcone, utopia ben lontana dalla realtà odierna fatta di aeroporti, check-in e
metal detector. Rappresentazioni di questo immaginario si trovano nei disegni, nelle
stampe e anche sui piatti. Una serie molto rara che ho è La guerre future: possiedo
dieci piatti su dodici esistenti.
E. Provaglio, Il mago dalle sette teste. Romanzo fantastico di viaggi e avventure, con prefazione di Giulio
Verne, Nerbini, Firenze 1907.
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La prossima settimana a Sèvres allestiranno una mostra sui piatti del futuro curata
da due miei amici francesi, anch’essi collezionisti, a cui avevo tra l’altro offerto in
prestito i piatti che a loro mancano. Hanno rifiutato la mia offerta, sostenendo che i
pezzi che avevano sarebbero bastati: è un atteggiamento tipicamente francese.
MP – La mia sezione preferita è quella sui bambini del futuro, raccontaci come è nata.
Spesso al collezionista gli oggetti “capitano”, nel senso che li si cerca a lungo magari
senza risultati e poi dopo diversi anni l’oggetto arriva “di sua spontanea volontà”.
PGR – Per quanto riguarda i bambini del futuro ho un biscuit – scatoletta porta
confetti italiana – su cui è raffigurato un neonato che schiaccia pulsanti elettrici: sulla
coperta del bambino si legge “il nostro bambino moderno”, mentre i quattro pulsanti
riportano le scritte “mamma”, “latte”, “ninna nanna” e “son bagnato”. Anziché
chiamare a voce, il bambino schiaccia il pulsante elettrico: è il bambino del futuro. Ho
comprato quest’oggetto nel 1971, avevo ventitré anni. Nel 1991 a Parigi trovai un
biscuit gemello, con soltanto tre pulsanti e con le scritte in francese: “maman”, “du
lait”, “je suis mouillé”; quest’ultima scritta è più lunga delle altre e hanno quindi
dovuto togliere “ninna nanna”, che sarebbe stato “berceuse”. Lo comprai subito
perché mi impressionò trovare lo stesso oggetto in due versioni diverse, italiana e
francese. La storia prosegue nel giugno 2004: mi trovavo a Barcellona al mercato
delle pulci davanti alla Cattedrale e vidi un terzo esemplare uguale ai due precedenti
ma con le scritte in spagnolo. Le frasi recitavano: “mamà”, “leche”, “cántame”,
“estoy mojado”. Mi aspetto da un momento all’altro di trovare la versione in tedesco
o in polacco o in inglese, ma per adesso non ci sono ancora arrivato. Un concetto
simile sta dietro a due cartoline dei primi del Novecento della mia raccolta:
rappresentano i bambini del futuro in fasce, nella culla, intenti nell’uso del telefono.
Queste cartoline le ho trovate a distanza di vent’anni l’una dall’altra.
MP – Se la collezione è un puzzle a cui manca sempre un pezzo, nella tua non
potevano certo mancare i puzzle.
PGR – Ho due puzzle intitolati En l’ an 2000. Furono realizzati a Parigi nel 1899, alle
soglie del nuovo secolo – e del nuovo millennio –, sono molto rari, hanno ancora tutti
i pezzi e sono una testimonianza di quanto il discorso sul futuro interessasse la gente
in quel momento.
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MP – Passiamo alle cartoline e alle figurine.
PGR – In Italia circolavano due categorie di figurine: le Liebig che sono tedesche e
che hanno avuto edizioni in Germania, Francia, Olanda, Inghilterra e Italia e le
figurine Lavazza che invece sono solo italiane; entrambe venivano date in omaggio
con i prodotto commerciali di quelle marche, ovvero l’estratto di carne Liebig e il
caffè Lavazza.
In Spagna, soprattutto a Barcellona, furono prodotte parecchie serie di figurine, che
erano nelle tavolette di cioccolata; tra queste almeno una ventina di serie era tratta
dalle opere di Jules Verne. Io posso vantare una serie intitolata Il dottor Faust
nell’ anno 2000, che rientra perfettamente nel tema della mia collezione.
La maggior parte delle cartoline invece è databile tra il 1900 e il 1905; ancora una
volta il punto di partenza è l’idea del nuovo secolo che avanza. I montaggi fotografici
erano molto di moda all’epoca: il fondo era costituito da una fotografia di una città
reale e su questa immagine erano applicati tram o autobus volanti, treni monorotaia,
palloni aerostatici e poi biciclette, che così moderne non erano, e qualche pseudoautomobile. Tra le cartoline più note ci sono Boston in the Future e Future New York,
che tra l’altro ricorda tristemente l’11 settembre 2001, con uno di quei veicoli volanti,
un dirigibile, che va a sbattere contro un grattacielo.
Il Cinema Alpi, uno dei primi cinema di Torino, aveva proposto agli inizi del
Novecento una serie di dieci cartoline intitolate La guerra del 2000: ne possiedo solo
quattro e voglio assolutamente trovare le altre sei; chi le ha me lo deve dire.
Un’altra serie di cartoline alla quale sono molto affezionato è quella sul Piemonte;
purtroppo me ne mancano tante per completarla: la loro particolarità è la ricorrenza
di una struttura sempre uguale, un dirigibile, una donna al telefono – più in stile
Novecento che non del futuro – un’automobile e infine fotografie vere di un luogo
reale: Poirino nell’ avvenire, Caraglio nell’ avvenire e Ovada nell’ avvenire. Ma di
questa serie esistono quelle sulle città di Asti, Cuneo, Vercelli, Biella e Ceva, che non
ho mai trovato. Mi piacerebbe averle tutte. Se hanno fatto Poirino e Caraglio significa
che qualunque località del Piemonte meritava di finire su queste cartoline.
Poi c’è tutta la raccolta di cartoline straniere che compro su e-bay, devo confessarlo.
Spesso queste sono legate al femminismo, che fu una novità della seconda metà
dell’Ottocento. Rappresentano la donna dell’avvenire, generalmente vestita da
uomo.
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MP – Per concludere vorrei sapere se pensi che anche questa nuova collezione
potrebbe un giorno entrare in un museo, se hai un progetto di mantenerla integra da
qualche parte.
PGR – Per adesso ho un’altra idea: visto che a Cuneo ho una casa molto grande,
vorrei trasferire là tutto il museo del futuro che è stipato nella mia casa di Torino, così
da poter anche incorniciare molte delle cose che sono nelle cartelle e desidererei
anche aprire la collezione al pubblico, a chi è interessato a questi temi. Ma ne
riparleremo tra qualche anno.
MP – Chiudo con un omaggio a Piero Gondolo della Riva con una frase tratta da Il
cugino Pons, 21 nel quale Balzac dice che «il collezionista ha l’aria dei cani da caccia e
dei bracconieri, che sanno sempre dove alberga l’ultima lepre della contrada.»
PGR – Per fortuna mi piacciono i cani!
21
H. de Balzac, Il cugino Pons, a c. di L. Binni, Garzanti Libri, Roma 2011.
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Profilo Biografico
Piero Gondolo della Riva
È avvocato e vive a Torino. Inizia da bambino a collezionare modellini di automobili e figurine e
crescendo si interessa ai documenti sulla storia di Cuneo. All’età di tredici anni si appassiona a
Jules Verne, iniziando a raccogliere libri e oggetti sul famoso autore per dare vita a una
collezione straordinaria con migliaia di pezzi, acquistata dalla città di Amiens nel 2000. A
quindici anni inizia a scrivere la bibliografia analitica di Jules Verne, pubblicata in francese nel
1977-85. Negli anni novanta comincia a raccogliere libri e oggetti sul tema della visione del
futuro, dovendo curare un romanzo inedito di Verne intitolato Parigi nel XX secolo. La collezione
comprende libri che trattano il tema del futuro e della conquista dello spazio ma anche riviste,
stampe, manifesti, cartoline, piatti, giochi, figurine diventando ogni giorno più ampia e ricca.
Marcella Beraudo di Pralormo
Marcella Beraudo di Pralormo è direttrice della Pinacoteca Agnelli dal 2002. Si è laureata in
Storia dell’arte moderna presso l’Università degli studi di Torino con Andreina Griseri e ha
conseguito la specializzazione in Museologia e museografia a Firenze. Ha lavorato alla GAM –
Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, dove ha organizzato con
Piergiovanni Castagnoli diverse mostre monografiche di artisti dell’Ottocento, del Novecento e
contemporanei. Ha lavorato a Palazzo Grassi (Venezia) e a Palazzo Bricherasio (Torino). Ha
tenuto lezioni presso l’UIA, Università Internazionale dell’Arte di Venezia e per il master in Beni
Culturali dell’Università di Genova. Ha pubblicato articoli sulla tecnica del pastello e sulla storia
delle mostre temporanee.
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Un progetto Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli e Johan & Levi Editore
Per i testi © gli autori.
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forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’ autorizzazione scritta dei
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Marcella Beraudo di Pralormo
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Filippo Beraudo di Pralormo
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