Patty Pravo, “Eccomi”. La recensione di Tomeo | Italia Post
Patty Pravo, “Eccomi”. La recensione di Tomeo
Scritto da  il 24 febbraio 2016.
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“Eccomi”. Patty Pravo non poteva scegliere titolo migliore per questo disco di lunga gestazione, ma
che rasenta la perfezione e sottintende la sua volontà di essere tuttora presente, dopo cinque anni
dal suo ultimo disco, nel mondo della canzone.
Ho letto critiche qua e là su che cosa potesse essere evitato e su quale canzone occorrerebbe mettere
una pietra sopra. No, qui c’è da prendere tutto il disco e se c’è da perdonare qualche piccolo neo lo
si perdona, perché tutto il resto lo fa scomparire. Non è facile fare un disco costituito quasi al cento
per cento di storie tristi che parlano di amori finiti e che, se si volesse far risorgere, si sa già che
sono destinate a finire nuovamente, e rivestirle di una musica accattivante, melodiosa, per niente
triste, che faccia quasi da contrasto con il testo. Sì, perché, a quanto pare, è possibile fare canzoni
che parlano di amori finiti e di sentimenti che sono rimasti al palo e non si sono evoluti, senza
scadere nei suoni strappalacrime che i più delle volte si accompagnano a vocalità stridule quasi
urlanti che sentiamo da certi giovani, proclamati troppo avventatamente gli idoli di oggi (e di
domani?).
Qui ci troviamo di fronte all’eleganza assoluta, della persona che sa a che punto della sua vita è
arrivata e che il meglio del suo vissuto se lo è lasciato alle spalle, ma è anche la persona che
comprende che i tempi dei giochi non sono finiti del tutto: ora sono giochi per adulti, dove può
entrare l’ironia a coprire certe magagne. Non a caso la canzone che Patty ha scelto per Sanremo e
che parla di un amore finito, termina quasi con un parlato che la cantante accompagna con un
sorriso appena accennato e molto espressivo: “Cosa aspetti che ti dica / Se la colpa non e mia?”
detta all’uomo cui viene ricordato che “A noi bastava solo l’amore / Il resto ci poteva mancare”.
Già ascoltando la prima canzone, scritta da Sangiorgi, “A parte te” si viene conquistati fin dalle
prime due strofe da una melodia che preannuncia che siamo sul punto di ascoltare cose non
divertenti (la canzone parla infatti di un amore che sta per finire, o forse è già finito e ne è rimasto
solo il ricordo ammantato dall’abitudine), ma lo fa con riservatezza, come se si dovesse preparare a
qualsiasi soluzione, bella o brutta che sia, e si espande nel ritornello, quando le cose vengono
finalmente chiarite (“Se ti guardo è come se c’è più niente d’amare”). Le canzoni che seguono si
mantengono sullo steso tema, anche che se la costruzione musicale dei vari brani assume vie
diverse.
Già nella seconda canzone, “Ci rivedremo poi”, la musica assume una ritmica diversa, leggermente
più veloce. E poi ecco arrivare la bellissima melodia di “Qualche cosa di diverso” (“forse la vita sì / è
qualche cosa di diverso”). È la canzone più lenta del disco e subito dopo, a ravvivare l’ascolto, ecco
il bellissimo brano che avrebbe dovuto vincere il Festival (e invece ha vinto il premio della critica:
ma questa vorrei che prima o poi la spiegassero: come fa una canzone giudicata dalla critica come
migliore su tutte le altre a non vincere il Festival?).
Non scriverò di ogni singola canzone, posso però assicurare che ciascun ascoltatore del disco
troverà più di una canzone d’amare. Però non posso evitare di citare delle belle melodie come la
tradizionale ”Nuvole”, parole e musiche dello sconosciuto Giangi Skip, o “Se chiudo gli occhi” di
Tullio Mancino.
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Si distacca alquanto dalle altre la canzone “Un uomo semplice” di Maria Francesca Xetferis che
parla di un uomo che “Torna a casa stanco / È quasi morto dentro / Il suo unico talento / È che
ama ancora tanto”.
Oppure l’ironica canzone di Gianna Nannini e Pacifico dallo strano sound che è un misto di stile
anni ’50 e attuale pop/easy rock.
Avevo citato un piccolo neo: è il duetto con il rapper Emis Killa, una canzone che Patty avrebbe
potuto benissimo cantare da sola.
Fortunatamente la riproposta di “Tutt’al più”con un altro rapper (Fred De Palma) ha aggiustato il
tiro.
Patty ha scelto tra 700 canzoni alcune chiedendole di scriverle per lei da compositori come
Giuliano Sangiorgi, Fortunato Zampaglione, Tiziano Ferro, Samuel dei Subsonica, Pacifico, Gianna
Nannini, Cheope, più altri meno famosi dei quali però ha apprezzato le canzoni. Ha messo da
parte “la ragazza del Piper” e ha scelto, per il cinquantesimo anniversario della sua carriera, le
canzoni che riteneva più adatte alla sua nuova età. In un’intervista ha dichiarato che ha accettato
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volentieri di andare a Sanremo ma ha voluto andarci come partecipante alla gara, piuttosto che
fare l’ospite e cantare il solito medley che le era stato richiesto e che, pur contenendo i suoi gloriosi
successi del passato come “La bambola” o “Pensiero stupendo”, rappresentavano una perdita e non
una vittoria, perché, pur essendo vero che per un artista di qualche anno fa le “vecchie” canzoni
costituiscono un patrimonio indiscusso e da omaggiare, ti allontanano dal presente e ti
impediscono di farti apprezzare nella evoluzione che hai avuto negli anni.
Patty Pravo ha sempre fatto quello che ha voluto: ha saputo ritirarsi per tempi relativamente brevi
quando ha capito che era il momento di farlo, ha rispolverato i vecchi “hit” durante l’epoca dei
revival, ma ora, se deve cantare “Tutt’al più”, che sì, è stato un suo successo ma non quello più
grande, è però in carattere col suo personaggio di oggi (non abbiamo scritto che il tema principale
di questo suo nuovo album parla di amori finiti?) e, comunque, per evitare ogni pietoso
revivalismo, ha voluto farsi accompagnare da un cantante rap.
Ecco l’esempio di uno degli artisti storici della musica leggera che non scende a compromessi con i
suoi ammiratori “nostalgici”, ma se mai li porta dalla parte sua. Che motivo c’è ora che il
sessantenne debba rivivere i suoi venti anni ascoltando “La bambola”…? L’ascolti su disco a casa
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propria e scopra invece “L’immenso”: capirà che gli anni non sono passati solo per lui ma sono
andati avanti anche per la musica. E come è diverso lui ora, così lo è anche la musica. E come “La
bambola” rappresenta un bene da ricordare con rispetto (come la sua gioventù), ora “L’Immenso”
rappresenta la sua nuova età, pronta a diventare tema nostalgico per suo nipote quando questi
sarà cresciuto e avrà raggiunto i suoi sessant’anni. Perché le canzoni “evergreen” non son esistite
una volta sola ma sono il patrimonio di una generazione, e ogni generazione avrà i suoi evergreen:
l’importante è non rifiutare aprioristicamente il corso del tempo e le nuove correnti musicali.
Ma torniamo al disco di Patty che offre più di un elemento degno di apprezzamento.
Ascoltando il disco tutto in una volta non si riesce a cogliere subito la peculiarità di ogni singola
canzone, cosa che peraltro sarebbe dovuta essere immaginata considerando la diversità di stile
degli autori. Ascoltando il disco un po’ alla volta si scoprono i “tesori” nascosti che forse a un primo
ascolto potevano essere sfuggiti. È vero che il genere “ballade” è il tema musicale principale del
disco, ma posseggono tutte una orecchiabilità e una ritmica che fa apprezzare il disco
immediatamente.
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L’album è stato prodotto e realizzato da Michele Canova Iorfida.
Produzione esecutiva di Massimo Levantini e Gaetano Puglisi.
Arrangiato da Michele Canova Iorfida, Christian Rigano e da Patrizio “Pat”Simonini.
Edizioni Universal Music Publishing Ricordi SRL.
È stato registrato da Morgan Stratton presso i Sunset Sound Studios di Los Angeles, da Patrizio
“Pat” Simonini presso i Kanepa Studio di Milano e da Michele Canova Iorfida presso i Kanepa
Studios di Los Angeles. Masterizzato da Antonio Baglio presso Antonio Baglio Mastering
Studio. Foto di Julian Hargreaves.
Il disco è in custodia di plexiglass ed è accompagnato da un bel libretto molto curato con i testi
delle canzoni e belle foto di Patty. L’album è disponibile anche in versione Lp’s.
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