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VEGLIA DEGLI
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ATELIERS
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Natale 2013
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Parrocchia di Redona
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L’UTOPIA DELL’ATTESA
Lei è all'orizzonte.
Mi avvicino di due passi,
lei si allontana di due passi.
Cammino per dieci passi e
l'orizzonte si sposta
dieci passi più in là.
Per quanto io cammini,
non la raggiungerò mai.
A cosa serve l’utopia dell’attesa?
Serve proprio a questo: a camminare.
Eduardo Galeano
TU CHE CONOSCI IL CIELO
di Luciano Ligabue
Tu che conosci il cielo
saluta Dio per me
e digli che sto bene
considerando che...
Tu che conosci il cielo
e poi conosci me
le sai le mie paure
mi sa che sai il perché...
Che non conosco il cielo
però conosco te
mi va di ringraziare
puoi farlo tu per me?
Che non conosco il cielo
farò come potrò
starò con tanta gente
per stare solo un po'
Che intanto sono in viaggio
digli pure che io sono in viaggio
non lo so dove vado, ma viaggio
e gli porterò i miei souvenir
tutti quanti i miei souvenir
Facendolo il mio viaggio
cerco il mio pomeriggio di maggio
non lo so come vado ma viaggio
e gli porterò i miei souvenir
tutti quanti i miei souvenir...
......
Breve introduzione circa la veglia e il tema di quest’anno
“TAVOLA CALDA”
di Nicholas Hopper
(titolo originale: “Automat”)
Edward Hopper (1882 - 1967), artista statunitense conosciuto come “il
pittore della solitudine”. Quello che però tutti o quasi non dicono è che in
realtà Hopper è stato il pittore dell'attesa, che è una cosa ben diversa
dalla solitudine. Attende chi ha incontrato qualcuno, è solo chi non ha mai
incontrato nessuno.
MONOLOGO
di Stefano Benni
Che ore sono? Non voglio saperlo. Le ore in cui si aspetta non hanno la durata
del tempo quotidiano. La loro misura non è quella di un pendolo che oscilla
regolare, ma quella di un cuore che batte, a spasmi e inciampi. Il tempo
dell’attesa ti circonda, ti avvolge interminabile.
E’ come navigare in un mare di cui non si vede la fine.
Chi sto aspettando? Che importanza ha? Un amante, un marito, un figlio o un
medico con un verdetto, un assassino con il coltello, forse uno sconosciuto.
L’importante è che io ora vivo in questa parte dell’universo, nel pianeta
dell’attesa, separato e diverso dal pianeta di chi non aspetta nulla e nessuno.
E la mia ansia, il mio cuore, i miei pensieri impazziti non si calmeranno finché
non sentiranno una voce in strada… E i passi salire le scale, e una mano aprire
la porta.
Tutti aspettano nella vita, ogni ora e ogni giorno… Perché accettare la
responsabilità, l’amore, l’affetto, l’attenzione, la solidarietà, vuol dire fare
parte di questa schiera dannata. Quelle e quelli che stanno alla finestra nella
notte, il ridicolo, dolce esercito di quelli che aspettano.
C’è follia in questo? Sì, c’è, spesso. Si può aspettare qualcuno che ha bisogno di
noi o che noi crediamo abbia bisogno di noi, oppure di cui in fondo abbiamo
bisogno. Noi crediamo, sì. La nostra è una fede. Quante attese, quante.
L’attesa di un segno dentro di me, di qualcosa che sta per nascere. Certo,
qualcuno ha aspettato anche noi, e forse non ce ne siamo mai accorti: mentre
credevamo di essere gli unici abitanti del mondo dell’attesa c’erano altri che
attendevano noi.
A volte penso: è tempo perso questo aspettare? O è il tempo necessario e
prezioso, il prezzo che dobbiamo pagare all’affetto, alla cura, alla fratellanza?
Ma chi aspetta davvero è vivo, aspetta sempre con amore... con un eccessivo
sprecato, indicibile, ridicolo amore.
(Tratto da “Le Beatrici”, S. Benni)
Lettura del Salmo 13: Implorazione a Dio
TESTO TRATTO DA “L’ALCHIMISTA”
di Paulo Coelho
“Il deserto porta via i nostri uomini e non sempre li restituisce “ disse l’amata
al ragazzo “perciò noi ci adattiamo,alcuni di loro fanno ritorno e allora tutte le
altre donne si rallegrano,perché un giorno potranno veder tornare gli uomini
da loro attesi. Io prima guardavo queste donne e ne invidiavo la felicità.
Adesso ho anch’io qualcuno da attendere, ciò mi rende una vera donna e ne
sono orgogliosa. Da domani tu entrai a fare parte dell’esistenza delle nuvole
senza pioggia,degli animali che si nascondono fra i sassi ,dell’acqua che sgorga
generosa dalla terra”.” Sarai l’attesa per la quale vivrò e che costituirà i miei
giorni. Ora mi accorgo che ero da tempo in attesa di qualcosa e quel qualcosa
era l’attesa. L’attesa è amore , l’attesa è speranza,è fede , è amore e se non
ami la tua vita passerà in un lampo.” È facile capire come nel mondo esista
sempre qualcuno che attende sempre qualcun altro, che ci si trovi in un deserto
o in una grande città.
E quando questi due esseri s’incontrano e i loro sguardi s’incrociano tutto il
passato e tutto il futuro non hanno più alcuna importanza. Esistono solo quel
momento e quella straordinaria certezza che tutte le cose, sotto il sole, sono
state scritte dalla stessa mano, la mano che risveglia l’Amore e che ha creato
un’anima gemella per chiunque lavori, si riposi e cerchi i proprio tesori sotto il
sole, perché se tutto ciò non esistesse non avrebbe più alcun senso attendere e
se l’attesa non ha senso , non hanno senso i sogni e le speranze dell’umanità.
RAPPRESENTAZIONE DI “ASPETTANDO GODOT”
Tratta da un’opera teatrale di Samuel Beckett
Atto II
Estragone. Dove andiamo?
Vladimiro. Non lontano.
E.
No, no, andiamocene lontano di qui!
V.
Non si può.
E.
Perché?
V.
Bisogna tornare domani.
E.
a far che?
V.
Ad aspettare Godot.
E.
Già, è vero. (Pausa). Non è venuto?
V.
No
E.
E ormai è troppo tardi.
V.
Sì, è notte.
E.
E se lo lasciassimo perdere? (Pausa). Se lo lasciassimo perdere?
V.
Ci punirebbe. (Silenzio. Guarda l'albero). Soltanto l'albero vive.
E.
(guardando l'albero) Che cos'è?
V.
È l'albero.
E.
Volevo dire di che genere?
V.
Non lo so. Un salice.
E.
Andiamo a vedere. (Trascina Vladimiro verso l'albero. Lo guardano
immobili. Silenzio). E se c'impiccassimo?
V.
Con cosa?
E.
Non ce l'hai un pezzo di corda?
V.
No.
E.
Allora non si può.
V.
Andiamocene.
E.
Aspetta, c'è la mia cintola.
V.
È troppo corta.
E.
Mi tirerai per le gambe.
V.
E chi tirerà le mie?
E.
È vero.
V.
Fa' vedere lo stesso. In teoria dovrebbe bastare. Ma sarà
solida?(Estragone si slaccia la corda che gli regge i pantaloni. Questi, che sono
larghissimi, gli si afflosciano sulle caviglie. Tutti e due guardano la corda).
E.
Adesso vediamo. Tieni.
Ciascuno dei due prende un capo della corda e tira. La corda si rompe
facendoli quasi cadere.
V.
Non vai niente.
Silenzio.
E.
Dicevi che dobbiamo tornare domani?
V.
Sì.
E.
Allora ci procureremo una buona corda.
V.
Giusto.
Silenzio.
E.
Didi.
V.
Sì.
E.
Non posso più andare avanti cosi.
V.
Sono cose che si dicono.
E.
Se provassimo a lasciarci? Forse le cose andrebbero meglio.
V.
C'impiccheremo domani. (Pausa). A meno che Godot non venga.
E.
E se viene?
V.
Saremo salvati. (Vladimiro si toglie il cappello che è quello di Lucky ci
guarda dentro, ci passa la mano, lo scuote, lo rimette in testa).
E.
Allora andiamo?
V.
I pantaloni.
E.
Come?
V.
I pantaloni.
E.
Vuoi i miei pantaloni?
V.
Tirati su i pantaloni.
E.
Già, è vero. (Si tira su i pantaloni. Silenzio).
V.
Allora andiamo?
E.
Andiamo.
Non si muovono.
Lettura di un brano del Vangelo secondo Giovanni (Gv 1, 35-39)
Introduzione al lavoro personale
Ecco uno spunto di riflessione per aiutarti a pensare. E’ costituito da un brano
scritto da Don Sergio.
LE ETA’ DELLA VITA
La questione, o meglio la posta in gioco della traversata della vita che tutti
affrontiamo è quella di dire chi siamo. E chi veramente siamo, noi uomini lo
possiamo dire solo attraverso una storia e un racconto: attraverso il nostro
cammino effettivo, attraverso il "dramma", la recitazione effettiva della nostra
vita. La nostra vita ha — anche se oggi ne abbiamo poca consapevolezza —,
nella singolarità della storia di ciascuno, una direzione e delle tappe. La fragilità
— la frammentarietà e la complessità della nostra cultura — rischia di non
riuscire più a renderci evidenti le tappe, la progressione e i passaggi di questo
viaggio: i tempi o le età della vita. Il tempo nel quale la vita accade, arriva
come un grande regalo; il tempo nel quale la si accoglie e la si fa propria
mettendola alla prova nelle scelte e nelle strade che decidiamo di
intraprendere; il tempo in cui è chiamata a resistere e a rimanere fedele fino
alla fine.
Il tempo degli inizi, dell'infanzia dell'uomo, è il tempo della meraviglia.
Meraviglia è il nome della fede del bambino, suscitata dallo stupore per la
chiamata inattesa, per l'ospitalità regale, per il cammino che
sorprendentemente gli viene aperto davanti. All'inizio del viaggio c'è dunque
una grazia e una promessa che suscitano fede. Fede che viene alimentata ed
educata dalla presenza e dall'opera dei genitori e di quanti con la loro
testimonianza assicurano i figli circa l'affidabilità del mondo e del viaggio della
vita.
La meraviglia assume, nella successiva età della fanciullezza, la forma della
scoperta del mondo. Scoperta che avviene in una specie di euforia, nello
stupore di una corrispondenza quasi magica della realtà all'iniziativa del
fanciullo.
L'adolescenza è l'età in cui ci viene proposto il compito più impegnativo:
l'assunzione e la conquista della libertà attraverso le scelte che dovrebbero
portarci all'età adulta. Scelte rese oggi difficili e prolungate da una condizione
marginale dell'adolescenza e dall'indecisione e lo sperimentalismo che
caratterizzano la nostra epoca.
La giovinezza è il tempo del coraggio: quella dimensione della virtù di forza che
sfida le paure e gli ostacoli. E' l'età delle scelte importanti, grazie alle quali si
mollano gli ormeggi dell'età precedente e ci si avventura in mare aperto.
L'età adulta è il tempo in cui il coraggio assume i tratti della co-stanza nei
confronti della complessità e della durezza del reale, e della tentazione di
rassegnarsi e di accontentarsi del poco. Per rapporto a questa tentazione - di
arrendersi all'appassire inesorabile della gioia e della speranza - il coraggio
richiesto all'età matura assume i tratti della perseveranza: della capacità, cioè,
di mantenere, nelle prove e nella lunghezza del tempo, lo slancio della
speranza, il gusto per i beni della vita e per il prezzo che essi ci chiedono di
pagare.
Il coraggio è pure la virtù caratteristica della vecchiaia. In quest'ultimo tratto
della vita esso chiede, simultaneamente, distanza e attaccamento, resistenza e
resa; ci chiede di volere la vita e di viverla, con le forze che restano, fino in
fondo; e di patire le fragilità e le sofferenze della vecchiaia e della malattia,
sostenendole con la promessa che ha sostenuto tutto il viaggio. Il soggetto non
appare più artefice del suo futuro. Al futuro ormai deve semplicemente
affidarsi come a una promessa. Se questo passaggio viene vissuto con la forza
della fede, esso non appare più come una brutale interruzione, ma piuttosto
come la forma misteriosa di un compimento. Se i miei occhi - come quelli del
vecchio Simeone - hanno visto lungo il cammino la sua grazia, posso
incamminarmi con fiducia, confessando la povertà della mia fede e il mio
peccato, verso ciò che sta oltre la portata dei nostri occhi.
Don Sergio Colombo
IL SIGNIFICATO DELL’ATTESA
di Jorge Luis Borges
La musica, le condizioni della felicità, la mitologia, le facce consumate dal
tempo, la decadenza, i tramonti, perfino alcuni luoghi. Tutti questi
elementi vorrebbero dirci qualcosa, oppure ci hanno già detto qualcosa
che avremmo dovuto capire, o sono sul punto di dirci qualcosa; questa
imminenza di una sconosciuta e oscura rivelazione, che non si realizza
materialmente, è, forse, proprio la bellezza stessa, quella che non
riusciamo a comprendere né a interpretare.
(tratto da “Altre Inquisizioni”, J. L. Borges)
“RAGAZZA SEDUTA ALLA FINESTRA”
di Nicholas Hopper
(titolo originale: “The morning sun”)
Le scene di solitudine che vediamo nelle opere di questo artista, dunque,
non sono definitive nel loro equilibrio solo apparentemente stabile:
domina un'acuta sensazione di attesa. Hopper è dunque il maestro che sa
fissare l'attimo instabile in cui la vita si manifesta come desiderio di una
forma di salvezza, capace di coinvolgere lo spettatore. Ecco allora una
domanda di importanza fondamentale: come si manifesta questa
salvezza? Qual è il suo segno?
Momento del gesto accompagnato da un canto (“E sono solo un uomo”)
Lettura del brano del Vangelo Secondo Luca: Lc 1, 26,38
“E FECE”
di Erri De Luca
Fece gli oceani e fece fare il tempio a un capomastro,
di nome Betzalèl: In ombra di El.
Lo riempì di sapienza, in cuore, non nel cranio.
fece fare, l'artista è sempre un vice.
Il tempio non di marmo, era di acacia,
di tela, di tappeto, stanghe, anelli,
smontabile viaggiava nel deserto, il tempio,
si accampava beduino senza dimora fissa, la migliore.
Non voleva saperne di edifici, la divinità,
era nomade e nomade è restata.
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