TURI GRASSO NIKITTA O la palingenesi dell’Amore In copertina: Amore anadiomene dipinto di Saro Licciardello TURI GRASSO NIKITTA O la palingenesi dell’Amore PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento totale o parziale (comprese le copie fotostatiche e i microfilm) sono riservati per tutti i paesi A Gresi, Iole, Valeria, Chiara, Cristina -Basta!- Bruno l’aveva detto infinite volte. Ormai da tempo era abbastanza convinto che la condizione di vita alla quale soggiaceva, avrebbe finito per distruggergli la salute, sia fìsica, sia morale. Però si era adagiato nel procrastinare indefinitamente la rottura, poiché gli era mancata sempre la forza d’animo nell’ultimo momento della decisione. Era rimasto sistematicamente impietrito di fronte la necessità di agire. Sapeva di dovere, e sapeva pure con il trascorrere dei giorni, di ridurre a brandelli la libertà di seguire l’unica strada percorribile, eppure il puntuale risorgere del rimpianto era riuscito sino ad allora a trattenerlo. La sua volontà era entrata in coma, ma come quando, per lo stesso mistero costituito dall’avere scampato la morte, miracolosamente nel paziente la coscienza si risvegli, la sera avanti in un accesso d’ira di un improvviso raptus, forse seguito al raggiunto limite di esplosione dell’esacerbazione quietamente covata, tra un torrenziale rovescio di bestemmie, reiterati insulti, accuse e sputi contro la codardia e tergiversazione proprie, l’uomo si era deciso a raccogliere in un bagaglio a sacco, flauto compreso, l’efficace defibrillatore da tempo sacrificato al turpe gioco di una strategia economica applicata da autentici farabutti, le cose più indispensabili per una partenza di addio, e uno stringato messaggio aveva stilato su un foglio di notes prima di abbandonarsi a riposare per l’ultima volta sul longevo lettino. La mattina seguente alzatosi dì buon’ora, i genitori ancora a letto, soddisfatte le esigenze igieniche, consumata la solita colazione a base di tè e marmellata, e lasciato sul tavolo della cucina il biglietto informatore della sua risoluzione, si avviò ad inseguire la ventura, tuffandosi nell’imponderabile, costretto dagli eventi, a quasi quarant’anni! Perduto il lavoro, abbandonato dalla compagna, metà famiglia inimicata, compassionato dagli amici, non esitò a chiudersi per l’ultima volta alle spalle, con la precauzione di non produrre rumore, la porta di casa, stupito dopo la sfuriata della sera avanti di ritrovarsi calmo, determinato e filosoficamente flemmatico. Percorse quel breve tratto di strada sino a svoltare, senza cedere alla tentazione di girarsi a guardare la spersonalizzante dimora, come se temesse la metamorfosi in sale, e tranquillo di non essere accompagnato da dietro i vetri della finestra con occhio vigile ed il cuore trepido da sua madre a quell’ora ancora a letto. In centro bighellonò intento ad osservare lo sviluppo dell’animazione mattutina sino all’ora di apertura della banca, nella quale, estinguendo la libretta poté prelevare quanto gli fosse rimasto dei risparmi: mezza mazzetta di biglietti di grosso taglio, fittamente riposta accartocciata nel taschino dei pantaloni. Alla stazione si munì di un biglietto circolare di seconda classe, ed attese in una delle due salette il primo treno diretto oltre lo stretto. Quando la campanella tintinnò e la voce dell’impiegato annunciò il passaggio sul primo binario di un convoglio per Messina, svogliatamente si alzò per dirigersi verso la banchina. Appena fuori si guardò intorno tra gli altri passeggeri in attesa: c’era, volto a guardare in direzione opposta alla sua, un vecchio conoscente in compagnia d’una giovane donna e di un bambino. Cercando di evitare, al caso capriccioso piacque contraddirlo e gli fu semplice condurlo di fronte a Tano, un suo quasi coetaneo studiatamente azzimato di ordinata sistemazione dei capelli, fresca rasatura, delicata colonia, e abbigliamento composto da scarpe in coccodrillo, pantaloni nocciuola a righine verticali richiamanti il color champagne della giacca a doppiopetto ben attillata, camicia acacia e fazzoletto di seta annodato al collo in fantasia naïf su fondo fulvo. I due antichi conoscenti a causa di cercarsi la carrozza della classe per cui avevano pagato, venutasi a trovare in collocazione invertita rispetto alla parte del convoglio in cui erano saliti, finirono per imbattersi l’un con l’altro lungo il corridoio. -Oh!- Esclamò Tano sinceramente contento dell’opportunità di rinverdire lontani ricordi, e pavoneggiandosi della lisciatura imposta da un qualche importante avvenimento, alla quale pareva essere esercitato malgrado abitualmente non avesse mai mostrato pretensioni del genere, tese la mano aggiungendo -Come va amico? -Bene- Asserì Bruno, affrettandosi a corrispondere il saluto con il porgere la destra, ma con apatia -E tu? -Come vedi, non mi posso lamentare- Lo rassicurò l’altro con manifesta civetteria, e volgendosi alla moglie, senza che la presentasse così com’era abituato a comportarsi, la pregò perché si sistemasse ove meglio credesse mentre lui avrebbe approfittato dell’occasione per dedicarsi ad una rimpatriata tanto gradita. Sentita dai suoi la preferenza a restare nel corridoio a guardar dal finestrino il correre della marina, invitò l’amico a sedere nello scompartimento lì accanto, completamente vuoto. Bruno ad abbordaggio avvenuto acconsentì rassegnato. Si informarono vicendevolmente sulle rispettive famiglie, e dopo un battibecco con il controllore, sorto da un’allusione di questi al suo debole convincimento sulla giustificazione di Bruno dichiarante di essere stato completamente distolto dagli eventi a far caso di trovarsi in prima classe, e dopo l’autorevole intervento di Tano pronto a pagare il supplemento fino alla stazione in cui lui scendeva, la conversazione riprese, partendo dai tempi della loro infanzia, spaziando dai mali della società contemporanea funzionali a se stessa, quindi sempre uguali e cronici, e determinanti negli affari e nei progetti per il futuro. L’insospettato elegante, vecchio conoscente sfoggiò una loquacità imprevista, colorita da un dialetto italianizzato, ed all’amico quasi incredulo dell’invertita immagine di questi rispetto a quella ricordata del passato, non gli rimase che ascoltare. -Il Governo, il parlamento, i giudici, i giornali, la televisione, sfacchinano a servire un’idea, quella della democrazia, una democrazia dei privilegi o meglio dei privilegiati, la democrazia degli industriali, dei commercianti, dei proprietari, dei liberi professionisti, degli occupanti i posti più importanti, i benestanti, i ricchi, i potenti. La regola è quella di aiutarsi a vicenda con ogni mezzo, riuscendo persino ad ottenere il riconoscimento legale delle sopraffazioni, dopo averle reclamizzate come giuste e difese contro le deboli proteste del popolo, per poterle in seguito sfruttare secondo i loro interessi o aggirarle quando qualche effetto imprevisto li disturbi, usando le innumerevoli scappatoie lasciate ad arte proprio al servizio dell’usurpazione, la quale, magari dietro idonea unzione, salvaguardi il gioco dei miliardi, sempre saldamente condotto da questi signori: i miliardi, caro amico, una cifra per gran parte delle persone più difficile a scrivere che a possedere, credi a me, ne so qualcosa! Non fraintendermi, io non li ho mai visti- Si sconfessò con un sorriso sornione, breve e significativo, e continuò con sussiego -Certo, qualcosa sono riuscito a realizzare, lottando, ribellandomi, rischiando grosso, soffrendo, ma alla fine riuscendo a spuntarla. Adesso sto bene, sì, posso dirlo, e star tranquillo ca u picciutteddu miu non dovrà patire un’infanzia come quella del padre- Accennò una smorfia di irritazione, fuggevole al pari di ogni sentimento pronto ad apparire sulla sua faccia tonda e tendenzialmente dura. I suoi occhi scintillarono con pochi balenii ed attese l’opinione dell’altro. -Tu forse non sai sin quanto capivo la tua sofferenza, quella dei tuoi, e cosa avrei voluto poter fare -Lo so perfettamente, e mi scuso ancora oggi di certe risposte immeritate, perché c’era sincerità ed affetto nel tuo interessamento. In seguito ci ho pensato spesso sai, ma allora non potevo distinguere. La miseria era troppo viva, non esisteva alcuno spiraglio di soluzione, era una condanna di terzo grado, crudele, inappellabile. Eravamo gli ultimi della scala sociale, scarti dell’umanità. Io avevo sempre fame, maggiormente dopo aver mangiato, perché quel poco a disposizione me la stimolava di più. Da bambino venivo sgridato sistematicamente perché mangiavo più di quanto mi spettasse, e mia madre poveretta doveva chiudere il pane a chiave per farlo bastare a tutti, altro che leccornie! Da ragazzo il problema si era aggravato, poiché non avevamo da vestirci ed io rifiutavo gl’indumenti regalatici. Preferivo andare scalzo; d’inverno rimediavo con un paio di "carri armati" ricavati da copertoni d’auto, piuttosto di accettare le scarpe da te offertemi. Scarpe seminuove, poiché il tuo piede era cresciuto, ed anche belle, lo ricordo, lucide, del tipo desiderato quando guardavo in sottecchi le esposizioni nelle vetrine dei negozi. Però non potevo accettarle se non avessi voluto accettare pure una colpa che non avrei dovuto sentir pesare. Ero squallidamente povero, perché? Cosa avevo fatto per meritarmi un’umiliazione così schiacciante? Io allora non stavo nella pelle, capisci? Mi sentivo continuamente bollire il sangue dentro, sino a credere che schizzasse fuori. Mi confrontavo con gli altri ragazzi, quelli della mia età e li vedevo sereni ed allegri, crescere in compagnia, giocare, scherzare, ridere, andare a scuola, partecipare a gite. Certe mattine li incontravo in gruppo sotto il controllo del maestro, diretti nei posti più vicini di campagna. Le porto stampate nella mente le loro espressioni di commiserazione, di fastidio, di derisione, come se si fossero imbattuti con un sorcio venuto fuori dalla fogna, brutto, sporco, ridicolo. Tutto questo senz’esserne responsabili né io, né loro. Io non facevo parte della specie umana, le mie condizioni di vita potevano garantirlo. Era una situazione, un fatto reale da non potersi accettare, e giuravo continuamente di sovvertirlo- Si fermò un momento per inasprire l’espressione sul truce, quindi proseguì nel cocente sfogo -Mi sembra fosse legittimo. A quell’età mi ritrovai con un’enorme quantità di problemi pesanti come macigni: orfano di padre, una madre sempre immersa nella speranza… -Una donna eccezionale, donna Mara… -Dei fratelli passivi e rassegnati. Mi sentivo troppo solo, e comunque deciso a lanciarmi nella disperata sfida. La società cercava di seviziarmi in tutti i modi ed io cominciai a prendere ciò che essa mi negava. Qual’altro sistema poteva esserci a quell’età? Non avevo scelta, sapevo benissimo a cosa sarei andato incontro: era forse il destino a pretender di fare di me un uomo dal cuore di pietra! Ma ce l’ho fatta anche se con grande sofferenza. Sono riuscito a riscattarmi, sono stato premiato per lo spirito battagliero e la costanza. Mia moglie e mio figlio non dovranno avere problemi, in particolar modo u picciutteddu non dovrà desiderare nulla e guai a chi lo tocca, lo squarterò con que-ste mani!- Sillabò con stato d’animo ferino, mostrando l’interno delle mani con le dita rattratte ad artigli. Seguì una breve pausa d’imbarazzo, della quale ne approfittò per distendere i corrugamenti del viso, guardare furbescamente e riprendere con tono amichevole -La mia è un’attività piena di rischi, bisogna stare sempre all’erta, aver pazienza e non lasciarsi impressionare sia dalla collaborazione quanto dalla clientela. Le nostre organizzazioni hanno il compito d’intervenire e correggere le irregolarità commesse dallo Stato che la società prima plagiata è stata poi indotta a scegliersi. Noi rappresentiamo il rifugio di giovani disperati, ragazzi in gamba messi al bando non si sa perché, ragazzi coraggiosi, vitali, molto spesso intelligenti. Noi diamo loro sostegno morale e materiale. Sapessi quanti ce ne sono. Noi stessi non sempre riusciamo a sistemarli. Per cui le organizzazioni sono obbligate ad espandersi per via della grande richiesta di impiego. Noi li accogliamo, li curiamo, li addestriamo e li immettiamo nel ruolo maggiormente confacente ad ognuno. Di contro esigiamo disciplina, correttezza e soprattutto fedeltà. Mi pare logico, se teniamo all’impunità ed alla sopravvivenza stessa dei clan. Costretti ad operare nell’ombra, siamo indicati come il cancro delle comunità, e sai da chi in particolar modo? Da chi vive di scoppola. Chi si gratta la pancia tutto il giorno, succhia il sangue al prossimo ed è il più restio a cedere qualcosa agli altri. Sfruttatori noi! Noi rischiamo costantemente la libertà, la salute, e qualche volta la vita per recuperare parte di nostra spettanza, sistematicamente negataci per via ordinaria e legale. Legale già. Perché tutta questa gente emarginata dovrebbe restare a guardare i più simpatici alla legge guazzare nella più schifosa corruzione, la piaga moderna, causa di tante sventure? Oggi, non solo non esiste settore non inquinato, ma l’effetto più grave è l’attecchimento di questa situazione nell’ordine normale delle cose, ed è diventata naturale la crescita della concussione parallelamente all’importanza del posto occupato. Credimi, qualcosa conosco. Intanto la persecuzione verso di noi si fa più agguerrita proprio dagli indaffarati a togliere di più, a dimostrazione d’una loro buffonesca verginità, e la loro faccia tosta procura consensi, al punto da fare additare delinquenti, coloro impegnati a rettificare le storture. Noi interveniamo dove la ricchezza ristagna e non mi risulta di aver ridotto alla fame uno solo dei contribuenti. Ci accusano di violenza. Ti assicuro che la nostra è la gente più disposta a volerne fare a meno. Ma dimmi tu, quanta ce n’è nell’altro fronte intenzionata a non provocarla? E’ vero, furti, rapine e pizzo comportano dei costi da dover essere sostenuti da qualcuno, inoltre si aggiungono le spese per la prevenzione, repressione, la difesa, il giudizio e la correzione dei rei. Sono soldi sborsati in più dalla comunità, e sai perché? Per l’incuranza del controllo sulla destinazione di quanto versato cornutamente dai contribuenti nelle casse dello Stato. Ed invece di protestare contro di esso dedito a togliere il pane di bocca a padri di famiglia onesti per assicurare la bisboccia ai più spregiudicati, inveisce contro chi con molto coraggio, credimi ce ne vuole tanto, affronta le situazioni da uomo. L’opinione pubblica se la prende con i riparatori delle crudeltà legalizzate, i veri soccorritori di fette della società inimmaginabilmente ampie e abbandonate a se stesse, come se la nostra presenza non fosse frutto di una scelta politica precisa: prova ne è la considerevole tolleranza concessaci in tacita complicità, tutto sommato per noi proficua. E se non te li vai a cercare tu i guai con quella schifosa polvere bianca, oppure con la follia di sbandierare assurdi ideali, puoi anche contare su una relativa impunità. Riguardo la droga poi, dichiaro solennemente di averla sempre detestata e di averne respinto le opportunità di interessarmene, non solo, ma aggiungo che fin quando comando io in questa città, l’unica polverina bianca circolante, sarà il bicarbonato di sodio nelle farmacie. Vedi, ad un certo livello si hanno relazioni con personaggi importanti, e tu capisci quali reciproche garanzie esse comportano. La droga è la tentazione per cinici ed ingordi avventurieri, il terrorismo, l’illusione di ingenui sognatori. Io sono un professionista serio, responsabile, soprattutto umano, vengo dalla gavetta e non amo l’avventura. Con chi vuole cambiare Stato non sono d’accordo poiché amo la libertà e non sono tanto stupido da non capire di poterla perdere. Il rosso e il nero stanno bene alla roulette o sulla maglia del Milan! E poi debbo proteggere quanto ho costruito, e lo voglio godere, ne ho il diritto. In fin dei conti cosa ho calpestato rispetto agli altri, ai cosiddetti arrivati? Solo la forma! Dunque alla mia famiglia non deve mancare nulla, non solo, ma essa deve avere il meglio di tutto. Questo mi è dovuto a risarcimento di tante ingiuste punizioni subite in passato. Sto pensando anche di mettermi in pensione. Prima però debbo sistemare alcuni equilibri interni da un po’ di tempo in qua incandescenti, poiché non voglio veder saltare in aria la mia opera. Intendo ritirarmi per dedicare maggiori cure al mio picciutteddu e non per rimorso o senso di solitudine. Io non mi debbo pentire di nulla e nascendo per altre cento volte nelle stesse condizioni, ripercorrerei per cento ed una volta esattamente la stessa strada. Riguardo il disagio di sentirmi scansato, tenuto alla larga dai troppi stupidi benpensanti a me non è mai pesato, però temo possa nuocere al piccolo, ed ho già in mente il modo migliore per inserirlo tra quelli che contano. Innanzitutto i suoi genitori dovranno istruirsi, cosa già da me e mia moglie messa in atto studiando la lingua, esercitandoci a scrivere e a parlare, leggendo e copiando molto come scolaretti, tutti i santi giorni. U picciutteddu, è già stabilito di dover continuare dalle medie superiori gli studi in collegio. Poi, appena la maretta si sarà calmata, andremo a stabilirci su, tra gente più civile, ben lieta di frequentarci e aprirci i loro salotti. Scarterò la città dove abita mia sorella Sarina. Suo marito non mi ha mai potuto digerire. Non voglio creargli disagio, con tanti posti stupendi dove andare! L’importante è sapersi destreggiare tra la buona società. Lassù non sarò più il pezzo da novanta, l’uomo suscitatore di terrori il più delle volte fantasiosi, il mangiaufo, un delinquente riverito per paura. Lì, avrò una personalità nuova, verrò trattato sempre con ipocrisia, ma con lusinghe più raffinate ed assortite. Chissà se passerò per intelligente, o generoso, o affabile, o attraente, o per più cose insieme? Dipenderà dalla mia capacità di intraprendenza a mettere in movimento i quattrini a disposizione. Certo dovrò investire il gruzzoletto di piccoli risparmi... Forse diventerò industriale, banchiere, proprietario immobiliare, tutt’e tre le cose assieme. Non si può mai dire, la fortuna è capricciosa, ed esempi del genere in giro non ne mancano. Come vedi, ho il vento in poppa dalla mia! Rimane un piccolo dettaglio ppu picciutteddu. Sarà bene chiamarlo altrimenti. Sai, i vezzeggiativi tanto carini nelle nostre contrade, altrove possono insinuare preoccupazioni senz’essercene fondamento, evidentemente -Evidentemente- Rimarcò Bruno, contraccambiato da una fuggevole occhiata tagliente subito dissimulata solo in virtù d’una presunta buonafede riconosciutagli. Tuttavia, comprendendo d’averlo involontariamente ferito, Bruno fece per scusarsi senz’averne tempo perché impedito dalla ripresa facondia dell’uomo arrivato. -Ho pensato anche a questo, però debbo ancora decidere. Io credo sia sufficiente il fascino della ricchezza a dissipare qualsiasi ombra. Non è il sole ad essere intimidito dall’ombra, piuttosto è vero il contrario. E comunque l’avvenire du picciutteddu dovrà essere radioso al pari del sole, con tutte le precauzioni del caso, e a scanso di compromettenti equivoci, finirò per sacrificare anche il tenero appellativo al quale sono tanto affezionato. Sicuramente troverò qualcosa di chic, s’intende in inglese, la lingua in- Si spremette le meningi per pescare nel suo lessico straniero e azzardò arrossendo di emozione -Qualcosa di littli per il veru nais- Timidamente sogguardò il viso divertito di Bruno, sentendosi risollevato dal sorriso di cortese intesa, ingoiò il disappunto per l’inevitabile papera e si compiacque di concludere con l’abituale tono categorico -Ma fino a quel momento u picciutteddu rimane u picciutteddu tanto caro a papo suo -Sospirò un po’ sovrappensiero per i programmi in cantiere, ammiccò in segno di gratitudine per la pazienza dell’ascoltatore e girò il capo verso il corridoio a cercare i suoi. Il figlio attento a controllare che il genitore smettesse di parlare in modo da poterlo avvisare di tenersi pronto per scendere, approfittò dell’occasione e gli fece un cenno con la mano. Poi si avvicinò alla porta del compartimento, la scostò fino ad averne una piccola fessura e attraverso questa fece filtrare la sua vocina adusata ai lezi -Papino, mammina dice di esser quasi arrivati -Sì gioia, torna da lei, sto venendo -Okay papino, fa’ presto -Non è un bambino grazioso?- Chiese all’antico vicino di casa, intenerendo questa volta i tratti della sua maschera di duro, tradito dai palpiti del cuore di un comune padre, e avutane sincera ammissione, ringraziò Bruno aggiungendo -Papino suo lo farà crescere da principe- Infine concluse -Adesso, hai visto, a causa del richiamo al dovere, debbo salutarti. Ho avuto piacere di averti incontrato proprio qui, dove è stato consentito scambiare quattro chiacchiere. Per quel che posso, ritienimi sempre a disposizione. Addio -Addio e tanti cari auguri- Rispose Bruno incredulo, quasi incantato. Lo accompagnò con lo sguardo allontanarsi, sostenuto da un’andatura attentamente disinvolta e riuscita appropriata alla sua marcata eleganza. Quando il treno si fermò alla quieta stazioncina, attese incuriosito a studiare il gruppetto unito sulla banchina. Tano, una mano poggiava sulla spalla della moglie, graziosa brunetta in gonna e giacchetta primaverili dalla tinta pastello, curata in viso sobriamente grazie all’età ancora giovane richiedente superficiali ritocchi, in sintonia ai gusti del marito contrari all’ostentazione delle donne di un’immagine eccessivamente sofisticata, o forse per sua naturale inclinazione paga di intonarsi al personaggio di ragazza. Con l’altra mano ne teneva ben salda una del picciutteddu in modo da non avere a preoccuparsi di qualche birichinata. Il bambino indossava un vestitino blu e il candido bianco della camicia, dei calzini alti fin sotto il ginocchio e del fazzolettino affacciato dal taschino della giacca come una guarnizione, spiccava ancora maggior risalto dal contrasto con i capelli corvini, le pupille, due drupe di sambuco, e il colorito decisamente mediterraneo. Il quadretto era quello di una serena famigliola medio-borghese. Una ragazza reggendo sulle braccia una mezza dozzina di rossi gladioli avvolti nel cellofan, appena li scorse e li riconobbe, correndo loro incontro, iniziò a gridare felice Madrina, madrina bella- Finché non li raggiunse seguita dai suoi genitori. Vi fu uno scambio di strette di mano e baci... Bruno appoggiò la testa alla sommità della spalliera. Inseguì la comitiva celermente repulsa dall’accelerazione della corsa, e quando il gruppetto scivolò oltre l’indistinto, lo sguardo lasciò spaziare negligente per la campagna. Il paesaggio mutava le scene a seconda dell’ambientazione di rievocazioni antiche. Era tornato ragazzo: l’appartamento al primo piano di tre vani, piccolo e scomodo per sei persone, era da considerarsi una reggia in confronto a quell’unica stanza di piano terra là di fronte, stretta per 1e poche masserizie indispensabili ai quattro occupanti afflitti dalla più nera miseria. Le pareti scorticate dall’umidità esalavano un tanfo di marcio. Il pavimento, un assito in legno anch’esso fradicio complicava il grave afrore di un ambiente malsano forse anche ad uso di stalla. Inoltre peggiorava non poco la spelonca, il cesso ingabbiato in un angolo della cucina, alla quale non vi era riservato alcun vano, ma era stata ricavata all’estremità dove vi era l’unico rubinetto sgocciolante dentro una vaschetta in cemento appena affiorante dall’impiantito, e contenente un recipiente di raccolta per non far schizzar dappertutto il pertinace stillicidio. Un séparé di iuta scorrevole su una funicella appuntata alle due pareti contrapposte, disimpegnava il reparto dei fornelli e dell’igiene della persona. Tolta quella stretta fetta, il resto della stanza bastava a malapena a consentire il ricovero per la notte e contenere un tavolo, poche sedie, e due armadietti, uno per le vesti e la biancheria, l’altro per cibi e stoviglie. Al centro del vano un cavo elettrico pendeva dal soffitto e finiva a mezz’aria, tenendo un piatto smaltato come cappello d’una lampada di pochi watt, adatta a risparmiare sul consumo e a schiarire vergognosamente l’ignominia d’una tana umana. Pur tuttavia la disastrosa situazione non scoraggiava affatto donna Mara. Ella, dalle circostanze più ostili riusciva sempre a scorgere e ad armarsi di quegli elementi validi nella vita a resistere alle traversie ed a piegarle, e risiedenti nel carattere di coloro intenzionati a custodirli ed arricchirli. La paziente accettazione della sofferenza, un’incrollabile fede nella speranza di poter con la fortuna mutare da un momento all’altro per puro sortilegio, ed un inusuale coraggio per una donna, le donavano un inseparabile umore gioviale, appropriato a farne la persona più allegra ed amata del quartiere. Benché sgobbasse un’intera giornata a far pulizie qua e là per le case di famiglie benestanti della città, nelle pause, tornata alla tana ad accudire ai propri lavori domestici, puntualmente trovava la voglia d’intonare le note di qualche allegra canzoncina, d’esser spassosa e garbata con quanti del vicinato aveva l’occasione di scambiare brevi conversazioni, premurosa all’inverosimile con la prole. L’alta statura, la buona complessione, un viso rotondo contrassegnato da un franco sorriso, i neri capelli tirati all’indietro e raccolti in graziosa crocchia dietro la nuca le accordavano i numeri di una donna piacente, corteggiata invano anche da buoni partiti. Lei, come per ogni suo comportamento, nella questione sentimentale era altrettanto schietta, decisamente ancorata al rispetto dell’amore per l’unico uomo, il marito stroncato da una brutta malattia nel pieno del vigore, ed esclusivamente dedita alla sua discendenza, brutalmente negata a goderla al defunto congiunto. Queste ferme decisioni erano abbastanza consolidate e note da scoraggiare i molti pretendenti a porre avances, e tristemente disillusi da farli rinunciare ancor più definitivamente, a causa dell’integra fedeltà di vedova inarrivabile. Lei stava bene così nel suo poverissimo mondo, soddisfatta dell’equilibrio raggiunto tra il cumulo delle rinunce e una calda felicità da esse sgorgata. E a testimonianza di tale stato, gli occhi le brillavano continuamente, tranne quando velati di rimpianto tradivano i tumulti del cuore seguiti al ricordo del tempo in cui la famiglia era al completo o alle crescenti preoccupazioni arrecate dal suo secondogenito col passare dei giorni. Tanino, un ragazzo smilzo, circospetto e taciturno prediligeva crescere lontano dai coetanei e dagli adulti, un solitario per inclinazione e ribellione alla sua condizione, diventando sempre più scontroso e intrattabile, sbrigativamente aggressivo. Lo si incontrava ovunque, dai vicoli più negletti, al centro, alla periferia, per le strade di campagna, scalzo e frusto, lo sguardo sul selciato. La domenica al campo sportivo, quando la locale squadra di calcio giocava in casa, lo si notava sotto le gradinate di tavole posate sui tubi metallici andar avanti e indietro, preso dall’agitazione e impaziente dell’inizio della partita, in modo da poter finalmente con l’attenzione del pubblico calamitata dal gioco, immedesimarsi sulle cosce scoperte di qualche rara tifosa attraverso le fessure sopra la sua testa, e potesse riscuotere eccezionali godimenti da una piena concentrazione, ideale a consegnargliele all’uso desiderato attraverso l’illusione onanistica. Quella forse era la più bella pausa settimanale alle incessanti peregrinazioni dalle quali raccoglieva un bottino dai generi più svariati: abbondante frutta e verdura dalla campagna, e tutti gli oggetti di facile appropriazione da qualsiasi altro posto di custodia. La madre lo redarguiva instancabilmente, gli mostrava il buon esempio del fratello d’un paio d’anni più grande avviato ad ogni tipo di lavoro capitatogli, ma inutilmente, in quanto ormai molto precocemente, per Tanino l’indirizzo da prendere era segnato. Pizzicato più volte in flagranza, conobbe presto il carcere minorile dove temprò l’indomito temperamento con la tenacia della volontà ad assicurarsi il rispetto degli altri convittori. Strinse amicizia con i compagni più valenti, assieme a loro tessé programmi futuri, capì i meccanismi delle organizzazioni, li impresse bene nella mente, si ripromise di raggiungere i posti più ragguardevoli. Infatti la sua ascesa progrediva lenta ed inarrestabile, malgrado donna Mara facesse quanto fosse in suo potere per recuperarlo, fino a scacciarlo fuori di casa. Povera donna come soffriva! L’allegria consueta le si era trasformata in tristezza, inibita dalla vergogna, la socievolezza in ritrosia, anche se chi la conosceva, chiaramente le avesse dimostrato di non essere disposto a confondere il figlio con il resto della famiglia. Ciò nonostante la ferita rimase a sanguinare, e imprecava contro la sfortuna capricciosa di averle voluto togliere chi forse avrebbe saputo prevenire ed allontanare evenienze così imbarazzanti o quantomeno non potendole scansare, avrebbe saputo dare a lei il necessario conforto morale. Inoltre si sentiva maggiormente tormentata dall’inquietudine per la probabile negativa influenza della disgraziata fama del ribelle sulla sistemazione matrimoniale della figlia, ed il fatto che la piccola continuasse a crescere pasciuta di leggiadria non le dispensava illusioni di sorta. Tuttavia le era proibito rinnegare l’immeritata sorte toccatale, perché Tanino restava suo figlio, un ragazzo introverso sì, ma amoroso e delicato con lei più degli altri due fratelli messi assieme. Quando donna Mara raramente si sfogava con pochissimi del vicinato, una dei quali era la madre del novizio errabondo, entrambe le donne piangevano per la disperazione la prima, l’altra di commozione sui pezzetti di conversazioni durante i colloqui avuti dalla poveretta nell’istituto di pena, e riportati tra i singhiozzi -Signora bella, ho perduto un figlio d’oro -Donna Mara non disperate, vedrete che la provvidenza vi aiuterà -Non credo proprio, Tanino ha preso il precipizio e con la sua cocciutaggine sprofonderà sempre più in basso. Posso parlare, vero? Non c’è nessuno ad ascoltare! -Solo Bruno di là, ma con la porta chiusa non può sentire- La rassicurava la confidente sinceramente comprensiva, non mettendo in conto invece, conversandosi nel vano centrale del piccolo appartamento, la fruizione di quelle doglianze da parte di chi, anche senza la curiosità di sapere, si fosse trovato in qualsiasi punto della casa, appena il bisbiglio si fosse arreso alla necessità di scomparire dinanzi ad un cuore disposto ad aprirsi. Allora donna Mara abbandonata ogni cautela riprendeva, sperando di liberarsi dalla soffocante angustia, l’argomentare del figlio intramezzato dai suoi inutili tentativi e suppliche di dissuasione -Nessuno ha il diritto di metterci i piedi in faccia -Ma caro, noi siamo stati sfortunati, abbiamo perso tuo padre troppo presto -E questo giustifica la nostra condanna allo stato di bestie? Forse tu non sfacchini abbastanza per aspettarti una considerazione più dignitosa? -Gioia, è solo un breve periodo della vita, passerà, vedrai. Già tuo fratello comincia a portare qualche soldino -Quei miserabili spiccioli datigli con grande pena al cuore dopo una mattinata sacrificato in lungo e in largo a portare il pane ai signori, fino a casa -No, adesso l’hanno preso in "muratura" e a simanata è di gran lunga migliore -In ogni caso ci sono le condizioni per alleggerire le tue fatiche, andare ad abitare una casa decente, vestirci con decoro, mangiare adeguatamente, e perché no, andare qualche volta al cinema? -Vedrai, riusciremo a permetterci questi lussi, solo con un po’ di pazienza -No, matruzza bedda, è questa pazienza imposta che loro mi dovranno rimborsare -Loro chi? -Loro, coloro che hanno i soldi, tutti quelli che ci hanno fatto l’elemosina -Tanino, non dire così, ci hanno aiutato -Bene, continueranno a farlo, ma con giuste proporzioni, quali suggerirò io -Tanino tu vuoi perderti -Non ti preoccupare qui sono a scuola, ed io ho tanta voglia di apprendere -Perché piuttosto non segui altri esempi? Quello di tuo fratello o della gente operosa -Per accettare di vivere tutta la vita nelle tane, di servire per dei calci in culo e di desiderare l’indispensabile, no matruzza mia. La gente è ricca. Non sa cosa farsene dei soldi. Li tiene in banca. Se non le servono, deve darli a chi ne ha di bisogno -Ti prego amore, ti caccerai in qualche guaio. Tu lo sai, chi trasgredisce le regole lo faranno soffrire -Io non le trasgredirò, le cambierò soltanto. Non stare in pensiero per me, non sono cosi fesso da non sapermi "guardare le ruote" -Io continuerò a sperare e a pregare per te, Tanino. Sappi di potermi rendere felice, tornando sulla giusta strada -Ci sono sulla giusta strada matruzza mia. Te ne accorgerai presto Così di tanto in tanto la povera disgraziata andava a sfogarsi con la signora Annina, sollecita appena esauritosi il racconto a donare di quello che in casa si trovava di prodotti della campagna acquistata di fresco -Tenete donna Mara, la frutta fa bene ai ragazzi- Oppure -Questi sono peperoni concimati con lo stallatico- Oppure -Tenete questa bottiglia d’olio, quest’anno gli ulivi sono stati carichi -No, signora, l’olio no, non posso accettarlo, è troppo -Suvvia, a me abbonda, e non essendo l’olio come il vino, ad invecchiarlo scade. Quest’anno ne abbiamo ricavato in abbondanza, quindi non potrei smaltirlo Le rimostranze di donna Mara si facevano decise ed alle minacce di non farsi più vedere in quella casa, la signora Annina asciutta ribatteva -Se volete perdervi il mio saluto La carrozza cigolò, muovendosi lentamente, tirata da un locomotore in avvio poco gagliardo. Quel ragazzo, vissuta una fanciullezza drammatica, priva di amicizie e svaghi, ricca di stenti, aspra ed infelice, il tratto della vita in cui l’individuo, attraverso sogni e desideri favolosi, affetti ed attenzioni del prossimo, spensieratezza, allegria, salute ed entusiasmi, foggia il carattere e la personalità, schivato, compatito, a volte deriso, le cui facoltà affogavano nel torbido e l’irretivano completamente, era diventato un giovinastro terribile. Sveglio abbastanza per capire le situazioni impossibili, destro quanto gli occorresse per non farsi sorprendere, impavido nelle attuazioni delle imprese di qualsiasi tipo, ben presto e con pochi danni divenne temuto e rispettato. Era diventato robusto e possente tanto da ammaccare quanti lo inducessero a menare le mani. Però nel crescere, diligentemente imparò ad evitare di ricorrervi se non nei casi in cui non fosse stato in grado di farsi capire con le parole e per di più fosse costretto a difendersi da incaute iniziative di aggressione. Questo suo imprevisto adattamento a comportamenti riflessivi e paciosi, dopo essersi guadagnato in varie occasioni durante il rapido apprendistato il timore degli altri a sfidarlo, lo collocò ancora molto giovane alla direzione degli affari illeciti della sua città, cioè ad organizzare e ripartire il lavoro delle attività malavitose alla manovalanza, ad incassare i proventi, soddisfare le paghe, tenere buoni rapporti con i colleghi della provincia, per poter cosi prestare o ricevere all’uopo qualche delicato favore. Aveva mantenuto la promessa riconfermando la regola che volere è potere. Era stata la sua più grande aspirazione quella di prendersi la rivincita delle umiliazioni subite. La madre però aveva preso le distanze, per niente lusingata dal sentir parlare di lui con rispetto, e meno ancora allettata dal raggiunto benessere economico. Lei continuò a correre da una casa all’altra, a batter tappeti, incerare pavimenti, fare il bucato... per onorare le cambiali del corredo di Sarina sua figlia, una fanciulla diventata bella e aggraziata più di un’orientale, la cui venustà stordì un giovane ufficiale dell’esercito felice d’esser riuscito a farsi seguire in continente, compiendo la classica fuitina ancora in voga nel Sud, dopo un mese circa dalla partenza all’estero di Ciccio, il fratello primogenito, ingaggiato in una fabbrica. Quasi di colpo ritrovatasi sola, donna Mara immensamente madre, non riuscì più a sopportare il distacco impostosi in segno di condanna all’operato di Tanino, è in uno di quei momenti in cui la nostalgia raggiunse l’acme, senza por tempo in mezzo, correndo a perdifiato, andò a trovare suo figlio nella piazza del centro, dove bazzicava di consueto, per riabbracciarlo con le lagrime agli occhi. Così gli eventi avevano voluto accantonato il giudizio sulla scelta del figlio, e riconsiderata più realisticamente la professione di questi, poiché per una società gratificante verso l’abilità dell’esercizio delle mistificazioni è fisiologica la pratica della soverchieria, diffusa capillarmente sino nelle relazioni più personali, e atta a strangolare ogni possibilità di serena convivenza. A riguardo, dall’indice di conflittualità dentro la comunità, non vi è ombra di esagerazione, né ci si può ingannare se si vuol compiere lo sforzo di commentare imparzialmente un ambiente dominato dall’arroganza, entro il quale non rimane altro da scegliere se non la lotta per imporla sfacciatamente o per non subirla con rassegnazione. Tanino tale sopraffazione aveva individuato precocemente, aveva dovuto piegarvisi senza però arrendersi. Anzi il proposito di rivolta era cresciuto e si era fortificato in lui, più rapidamente della sua gracile costituzione. Ebbe solo il torto di dover sbrigliare presto l’ardimento e di dover uscire allo scoperto non avendo a quel tempo protezioni da potere impiegare ai livelli più sofisticati per un’accorta immunità. Ma il grosso era fatto; lui stesso confidenzialmente amava dire, di aver dovuto pagare presto per potere in seguito godere il resto! Infatti sul treno per l’intero colloquio con l’amico la soddisfazione di vivere il periodo dei grandi agi e progetti non aveva stentato a mostrarsi. Donna Mara, alla comparsa degli acciacchi a lei presto destinati dalla troppo logorante attività di lavoro, per non restare sola in casa a seguito della diaspora dei figli, percependo dopo tanta sudata abnegazione la minima pensione bastevole all’acquisto di qualche cartoccio di caldarroste o fichisecchi, era stata collocata a spese di Tano in un rispettabile gerotrofio. Aveva superato i sessant’anni, s’era conservata bella anche da vecchia, e quando non lasciava la stanzetta nei giorni troppo umidi o freddi o piovosi per la regolare passeggiata, a conservazione dell’abitudine all’operosità, sferruzzava pro nipotini. Tanino ne andava fiero, e l’amava visceralmente... La carrozza sussultò bruscamente per le manovre d’imbarco. Bruno decise di recarsi sul ponte del traghetto a crogiolarsi sotto un sole incandescente. Sdraiatosi su un sedile, febbrilmente penetrava con lo sguardo la costa dell’isola crudele a ripagarlo della sua passione per essa con l’emigrazione. Frugava tra il paesaggio aguzzando l’occhio in cerca... forse del motivo materializzato, come se dovesse esser partito da qualche lontana contrada ad inseguire un condannato all’esilio per accertarsi dell’ottemperanza alla sadica assegnazione. Ma lui non aveva renitenze, negligenze o incapacità da addebitarsi, responsabili del bando assegnatogli dal settore della produzione. Non aveva offeso, maltrattato o imbrogliato alcuno perché gli si tagliassero i viveri, né tanto meno i suoi cari per meritarne il malcontento, la freddezza e l’intransigenza dell’incomprensione tanto insopportabili da determinare l’ultima spinta a quel passo decisivo. Il mare debolmente ondulato, avanzando, arricciava le effervescenze delle creste fino a protestare e fermato dalla banchina e dalla chiglia della nave, borbottava in monotono sciabordio. E intanto l’istigato migratore pareva intenzionato a riuscire a scorgere chi o che ne avesse preteso il confino. Questi aveva sempre sopportato il sistema, rimanendo fortemente critico verso i governi e da cultore della “Sinistra” politica di alternativa e non consociativa, se n’era riso della funzionalità della democrazia incompiuta del suo Paese, godendosi le ciance dei propagandisti infarcite di laboriosità, impegno, sacrifici e tante altre corbellerie del genere, fraudolentemente accreditate a garantire i portatori di tali attitudini di un’esistenza emancipata, così almeno adesso aveva poco da sdegnarsi e se nel suo sguardo vi si leggeva l’irrequietezza, questa fermentava dal dissolversi degli estremi, evanescenti contorni della terra nativa tanto amata. Sapeva perfettamente che non vi fossero cause giuste che valessero e che il padronato non poteva concedersi il lusso della sensibilità, per cui ad ogni capriccio del profitto doveva corrispondere adeguata soddisfazione, nel bene con euforia, e senza tentennamenti o sconvenienti scrupoli quando la situazione avesse richiesto di ridurre sul lastrico sfortunati padri di famiglia dopo averli sfruttati e spremuti sino nella salute. La sorte del dipendente era soggetta al caso, e in quanto posta di un gioco malvagio, poteva capitare d’esser sacrificata anche irresponsabilmente come era successo per lui. Il pastificio aveva chiuso a seguito della progettazione d’una sporca manovra consigliata e condotta con spregiudicatezza dal legale dell’azienda, un traffichino devoto all’etilismo quanto disaffezionato alla professione, in effetti trascurata per l’attività meglio redditizia di faccendiere, medio cabotiere. Quindi a costui poco importava della stabile floridezza sorretta dalla produttività delle società sulle quali amministrava, poiché il compenso per quanto alto potesse essere, risultava risibile per un pescecane. Mentre tornavano più vantaggiosi le cessioni o i cambi di attività ove le ristrutturazioni avessero richiesto enormi capitali reperibili nei finanziamenti pubblici, operazioni alla sua tasca redditizie di assegni con molti zeri. E siccome le famiglie adagiate sui suoi consigli erano ricche sfondate, per via di amicizie altolocate, lo spregiudicato professionista si veniva a trovare sempre a capo di spericolate manovre, condotte a buon fine tramite gli appoggi politici coltivati sia attraverso la mondanità sia con un rovescio di bustarelle, elargitrici d’una pingue fortuna personale. Cosi nel caso dei pastai era stato capace di stravolgere la fisionomia del loro patrimonio, con frequenti passaggi di proprietà in uscita ed in entrata, lottizzazioni, trasformazioni, creazioni di nuove imprese. Generoso, ovviamente con tanta manna piovente dal cielo, conteso dalle cocottes, corteggiato dagli amici, invidiato dai colleghi, riverito dagli adulatori, s’era guadagnata reputazione di amabilità, intelligenza e preparazione professionale, ed anche quando il vizio lo riduceva in condizioni ributtanti riusciva ugualmente simpatico, per svariate convenienze, ai numerosi ammiratori. Il dinamico mestatore con freddo calcolo organizzò l’agonia dell’opificio, unica realtà industriale della città ed antica miniera da quasi settant’anni fiera di aver sfornato ricchezza a iosa della quale avevano approfittato parecchi dipendenti con le mansioni più favorevoli al saccheggio per ben impinguarsi senza con questo arrecare difficoltà all’azienda, sorgente di mantenimento di tanti capifamiglia, fino ai più di duecento del periodo aureo. Il traffichino, grazie al suo logorroico e trascinatore eloquio era riuscito a convincere in ogni riproposizione dell’argomento, a differire l’ammodernamento dei macchinari e la riorganizzazione del personale, con il risultato dell’inceppamento dei ferri vecchi e della babele organizzativa arrivati ad inferire il colpo mortale. Il prodotto finì per diventare scadente e caro rispetto la concorrenza, la distribuzione per non funzionare, la clientela per reclamare e respingere le partite commissionate, la vecchia gloria economica per naufragare. Frattanto si aprì una falla amministrativa e ci pensò l’ottimo soccorso delle banche ad accelerare l’affondamento. Vi fu la rituale occupazione della fabbrica, il tentativo di autogestione, la febbrile opera di dissuasione di padre Sortino, durante un’infuocata assemblea dei dipendenti alla quale da ambasciatore spirituale aveva voluto partecipare per interporre i suoi buoni uffici a facilitare l’operazione speculativa, la disperata presa di coscienza dell’inanità da parte dei circa settanta in cui si era ridotta la schiera del personale. A questo punto l’impudente tessitore tirò le fila: convinse, appoggiato dal prete, i titolari ad offrire ai dipendenti oltre la liquidazione un premio ai più comprensivi in contropartita alla rinuncia a vertenze di qualsiasi tipo e ad iniziative per la riattivazione dell’industria. Alcuni beni furono venduti per sanare la situazione debitoria, i cancelli definitivamente chiusi. I due busti in marmo dei fratelli fondatori posti all’ingresso, finalmente poterono scrollarsi dell’incarico di controllare il rispetto del personale agli orari di servizio. Ora se ne stavano lì sbigottiti di come, miracolo della loro rigida parsimonia, l’imponente transatlantico, aveva potuto subire l’inclinazione su un fianco, causa d’un suo prossimo affondamento, e smarriti ne subivano, accelerati dai soldi della Regione, i progetti dell’avvocato mirati alla speculazione edilizia o all’impianto di un complesso turistico-alberghiero. Queste le ciniche manovre dell’avido armeggione, procuratore di tragiche sorti, impaziente di tempeste e sacrificatore di nave ed equipaggio. Un grande appoggio, grazie al profumo del fiore riservatogli, gli era derivato dal servo di Dio, zelante ad indicare nella cessazione dell’attività una buona soluzione per i guai finanziari dei pressoché falliti industriali. Il religioso oltre ad essere il padre spirituale della famiglia in difficoltà, era tenuto in grande considerazione, e i suoi consigli raramente venivano disattesi. Frequentatore assiduo sia del salotto, sia della fabbrica, sia delle proprietà dei magnati del maccherone, a questi doveva la zimarra. Era entrato in seminario senza vocazione o simpatia, solo per necessità e aveva dovuto decidere inaspettatamente tra due medicine per lui ugualmente amare: il sacerdozio o la povertà. Il vescovo della città nel periodico giro di raccolta di fondi a sostegno di opere pie presso le case dei numerosi ricchi locali, dai pastai aveva ottenuto l’impegno alle spese complete per la formazione di un sacerdote, lasciando loro la facoltà di scegliere l’aspirante. Quelli pensarono subito al mastro don Salvatore Sortino loro fidatissimo dipendente con una caterva di figli da sfamare. Non persero tempo a comunicargli l’intenzione, facendo la felicità del poveretto quasi incredulo a vedere originare dall’evento un cambiamento di fortuna per la propria famiglia. Per età e vivacità d’ingegno il più indicato era Saretto. Ma il ragazzo non voleva sentirne: amava la vita libera, la baldoria e le fantasie mondane. Venne imbonito, diffidato, scongiurato, quanto bastò per comprendere dell’avversata professione, i vantaggi riservati a sé ed ai familiari, e decidersi al sacrificio. La sua entusiasta scelta di servizio alla divinità fu abbondantemente premiata dalla Provvidenza vigile a non fargli mancare risorse per l’acquisto in pieno centro di un appartamento all’amante, di un palazzetto a delle sorelle rimaste nubili e a sua eventuale disposizione ad accudirlo nella vecchiaia qualora per un qualsiasi motivo si fosse venuto a ritrovare solo, e infine a permettergli di concedere sostanziosi aiuti finanziari ai restanti fratelli. Bruno serrò le mascelle e tentennando il capo si commiserò per tutto l’impegno profuso nella ditta. Pensava cosa valesse l’onestà in mezzo ai tanti sciacalli allevati, protetti, amati, ed addirittura premiati dalla società. Rievocò Tanino deciso e realizzato, e gli riconobbe grandi qualità di previdenza e di abilità. Al ragazzino emarginato era stato più facile capire il significato della convivenza regolata dal profitto. Chissà se già sin dalla tenera età non avesse scoperto i numerosi avvocati e i vari padri Sortino in circolazione, abituati a sfruttare in proprio le pendenze di clienti e devoti. Le ipocrite relazioni presto gli avevano svelato la confluenza di sentimenti e comportamenti nella convenienza. Era stato abbacinato dall’egoismo. Esso, centro motore di tutte le attività, fulcro del sistema, sole dispensatore di ogni energia, affliggeva, avvelenava, schiacciava il prossimo senza esitare e proporzionalmente all’intensità del senso di dovere dimostrato. Di conseguenza le buone intenzioni, la docilità di carattere, la pratica delle virtù, subivano tanta frustrazione quanto successo riportassero i loro contraltari. Questo, Tanino aveva capito così profondamente da mantenersi incorruttibile dinanzi alle tentazioni di deviare dalla sua scelta, e da poter dimostrare l’esattezza della sua intuizione attraverso l’individuale affermazione. A questo Bruno doveva amaramente convenire dopo averne fatto personalmente le spese. II traghetto era approdato alla punta dello stivale, il sole arrivato a buon punto della salita riscaldava molesto. Il neovagabondo con il sacco a tracolla si accinse a sbarcare fiacco e demotivato in contrapposizione ad un’esuberante primavera. Prima che i negozi chiudessero entrò in un alimentare a rifornirsi per il pranzo. Quando decise di rifocillarsi si accorse di non essere solo, ma di trovarsi sotto il controllo di una lusinghevole bestiola, intenta a studiarlo con ironico sguardo, e appena fu aperto l’involucro e la fragranza del contenuto le accarezzò le narici, essa fu attraversata da una sensazione di ansiosa aspettazione così palese da non poter passare inosservata. L’uomo con un morso staccò il primo boccone e subito rassicurò l’animale di aver capito -Chi ti dà pane, ti è padre! Io voglio aiutarti, ti cederò metà della pagnottella. Tu ne hai bisogno, forse più di me. Chissà da quale fame sei afflitto! Da quando non mangi? Che sguardo supplichevole! E’ tanto, vero? Ti si legge negli occhi. Occhi tristi, grandi e tristi. Pietosi, disperati e insieme teneri, profondi, umani. Occhi di un bambino abbandonato, sazi di pianto, rassegnati e melanconici- Parlava con la bocca piena, pausando durante la masticazione. Deglutì con poca convinzione e meccanicamente stava per addentare ancora, ma frenato da un improvviso blocco di appetito, vi rinunciò, e dispiegando la carta avvolgitrice della pagnotta, prima di posare il tutto a terra, riprese il monologo con la bestiola estremamente attenta ai movimenti delle labbra ed ai gesti -Ecco tutta per te. Però io non ti sono padre, ficcatelo bene in testa. Sono soltanto uno che capisce la necessità del nutrimento per continuare a vivere. E’ un principio della natura. Cosa c’entra la paternità con tutto questo? Sono stoltezze, stoltezze, solo stoltezze!- Ripeté fremente, quasi a controbattere certe risposte ricevute in passato e puntandogli un dito contro con l’effetto di scuoterlo un pochino, continuò -Sembra proprio mi comprenda. Guardatelo, immedesimato alle mie ciance. Mangia piuttosto, me lo sono tolto di bocca per te! Dài non fare i complimenti, mangia ti dico! Ti sei offeso per il rifiuto a volerti fare da padre? Ebbene dal momento che mi segui, voglio spiegarti meglio. A me è toccata presso a poco la tua stessa sorte! Prima, un padre carnale, poi l’adottivo di turno, donatore di pane, poi ancora lo spirituale, adesso in mezzo ad una strada, dopo aver subito l’incomprensione del primo, servito l’imbecillità del secondo e assecondato le astuzie del terzo. Questa è la vita, bello mio! Fatti coraggio. Non ci pensare, fortunatamente non la si pensa tutti allo stesso modo. Però sei poco convinto da come continui a guardarmi. Non ti farò per caso compassione? Sai in tal senso siamo pari: ho sentito la stessa cosa poco fa per te. Non vuoi mangiare? Allora è proprio vero che mi compiangevi. D’altronde avrei dovuto capirlo subito che non cercavi cibo, sei abbastanza cicciottello. Quand’è cosi mi torna l’appetito- Si chinò a raccogliere la pagnotta da terra, continuando a fissare l’animale rimasto per intero quieto, tranne nell’espressione, segnata da delusione mista a sprazzi d’una incomprensibile speranza dura a morire -Vorresti farmi capire qualcosa. Mi stai rimproverando. Ma di cosa?- Riprese a monologare il frustrato bene intenzionato soccorritore con una disposizione d’animo migliorata da nascente curiosità Dove ho sbagliato, dimmi? Ho schernito forse il tuo stato di cane? No davvero, non avrei potuto, perché anch’io sono un cane, forse più cane di te. Si vede da come abbaio, mentre tu te ne stai lì composto e dignitoso, compassato. Vuoi darmi una lezione di buone maniere? Non mi fare incazzare- Lo ammonì sacramentando indispettito. Poi morse con foga la pagnotta, staccandone un boccone troppo grosso per la capienza della bocca. Ne spezzò un buon avanzo con la mano libera, e lo buttò spazientito ai piedi dell’animale, minacciandolo a non rifiutare. Quello non se lo fece nemmeno dire. La gratitudine gli fece dilatare le pupille e subito si avventò sul tanto agognato cibo, dimenando festevolmente il pompon della coda mozza -Figlio di buona cagna!- Esclamò il benefattore, sbalordito dell’insolita prudenza in un animale affamato. Stentava a credere a quell’alto senso di solidarietà -Non volevi che me ne privassi io, vero? Volevi dividere a metà? Che figlio di cagna! Preso da un empito di commozione spezzò il pane a pezzetti e lo pose a terra a disposizione dell’intelligente animale, poi si piegò sulle gambe, e per tutto il frenetico rimpinzarsi dell’affamato barboncino la sua mano non smise di frugare dietro la nuca o di accarezzare sul dorso un manto marrone, morbido, ricciuto e compatto. La rifinita tosatura specie ai piedi, alle guance, sul muso sino al tartufo, sulla testa acconciata a casco, sugli orecchi graziosi di lunghe e ondulate frange, lo sfiocco e la lucentezza del pelo, l’assenza di odori grevi, la pronunciata obesità, indicavano al casuale benefattore una provenienza salottiera e una fruizione di attentissime cure, ammonitrici di fondate perplessità, sebbene più disponibile ad entrare in amicizia -Senti un po’- Gli si rivolse afferratolo alla nuca per il vello e alzandogli la testa dal pasto, tra guaiti di protesta -Non vorrai crearmi dei problemi, spero? Tu sarai scappato a qualcuno, per amore, dispetto o voglia di libertà, e poi ti sei perso. Ti staranno cercando come matti. Magari avranno promesso una ricompensa a chi ti trova. Che ti abbiano scacciato, non la bevo, dopo tante coccole e solluccheri, sbrigativamente trombato!- Indugiò a continuare, poi riprese sempre più convinto -Tranne che tu non sia vittima di qualche signore, si fa per dire, di qualcuno di quei padreterni abituati a poter fare tutto senza tanti complimenti e in barba a qualsiasi principio etico, quelle persone nate per comandare, i padroni, coloro impegnati a passare la loro intera esistenza a giocare con uomini, animali e cose, altezzosi bellimbusti con tanto di licenza. Magari, il merdoso si è stancato di te, dei tuoi rituali blandimenti, della tua devozione per lui o per lei, se si tratta di un’ipotetica isterica vetero-sentimentale delusa. Insomma ti saranno potuti nuocere i tuoi slanci di sincero amore con persone abituate a vivere in mezzo a false relazioni. Vedi, la fedeltà infastidisce la coscienza degli ipocriti perché l’addenta con il rimorso, unico, intollerabile guastafeste per loro: quindi potrebbe esser stata persino la tua incorreggibile ingenuità a procurarti lo sfratto. Oppure l’affezionatissimo cinofilo in questione avrà dovuto abbandonarti per non poterti portare dietro o affidarti a qualcuno per il periodo durante il quale necessariamente aveva da starti lontano. In ogni caso tra tutti gli animali, l’uomo è il più rigoroso nel ripagare i propri debiti di gratitudine! Sai tu chi governa il cuore dell’uomo? Il più subdolo dei ragni, l’egoismo, ricordatene! L’aracnide, fornitore della pania più tenace, per cui qualsiasi rapporto affettivo tessuto si trasforma in una rete senza scampo, quando per sventatezza la si è andata a cercare, inclemente a non lasciarti lacrime per piangere. Guardati dall’uomo, fuggilo! Non mi guardare pietoso: non sono io migliore degli altri! Scusami, dimenticavo d’essere cane anch’io. Non impareremo mai, vero? A te poi, pare non interessare addirittura niente. Adesso non ti va di ascoltarmi. Hai da finire il pranzetto. Bene non ti disturbo oltre. Continua a mangiare- Delicatamente lo assecondò a riprendere la posizione di prima senza smettere di parlargli confidenzialmente e con crescente attaccamento -Però devi ammetterlo: ti ho letto le carte. Tu sei un aristocratico, altro che un disgraziato cane come me! Ma adesso siamo nella stessa barca, e se non ti dovessero o peggio volessero ritrovare, ti dovrai adattare a vivere alla giornata- La bestiola parve acconsentire scrollando la testa per aver finito lo spuntino e masticando l’ultimo briciolo riprese ad ascoltare e guardare il parlatore, serio e con i suoi occhi a mandorla pieni di dolcezza. Bruno continuò a sciorinar questioni senza risparmio, contento quasi dello sfogo a cui poteva abbandonarsi senza correr rischi -Che ne sai tu dei problemi degli uomini? O forse sì, dal momento che la maggior parte di noi è stato ridotto alla condizione di cane, io in testa: e allora potremmo anche intenderci, ma adesso mi sento la bocca secca, più in avanti si vedrà- S’era stancato del troppo parlare e tuttavia continuò amareggiato -Sai, a noi uomini accadono cose di cui ci si vergogna noi stessi. Immagina saperle sapute dai nostri simili. Cosi ci costringiamo a nasconderle e a tacerle, riuscendoci poco malgrado l’impegno profuso, perché gli atti voluti tenere segreti sono come sugheri affondati nell’acqua solerti a spuntare a galla, i pensieri invece vogliono cavalcare la parola peggio di indomiti selvaggi e quando non vi riescono, trattenuti a forza, mettono l’alloggio a soqquadro creando un tal trambusto da doverli inevitabilmente liberare. Né d’altra parte tengono le confessioni o le confidenze: sono fiumi straripanti. E né l’operare alla luce del sole o il partecipare le intenzioni con comizi o con proclami può tenerti tranquillo, perché malgrado l’umiliazione della sincerità, c’è la coscienza pronta a reclamare. Sai tu cos’é la coscienza? E un’indagatrice inappagabile ed implacabile, la quale con ammirevole sottigliezza ti scava dentro un baratro dove di tanto in tanto per divertimento, anche nelle occasioni più importune, nel sonno per esempio quando meno te l’aspetti, con sogni ladri del respiro, ti sospinge dentro. Ma tu non puoi capire! Mi potresti dire -Se è così infame, stròzzala- Sarebbe davvero bello se si potesse. Purtroppo non è fattibile. Dovrebbe pensarci madre natura ad evitarcela a tutti. Io, manco a dirlo, appartengo alla truppa degli handicappati. Tu dài l’impressione di essere molto curioso, pur se è tempo sprecato starmi ad ascoltare, e poi le mie sono ciance. Pur tuttavia la tua attenzione è fatta di pazienza e quel che più conta di discrezione, ottimi requisiti ad accogliere una confessione idonea rispetto alle altre ad offrirti il vantaggio di non ritrovarti a ricevere lezioni e di poter contare su una assoluta riservatezza. Bene, è quasi deciso, ti eleggerò confessore delle mie ignominie. E adesso in marcia! Si mossero verso 1’ignoto, vicendevolmente confortati. Il barboncino non tardò a mettere in mostra l’adulatorio repertorio. Qualsiasi passo tenesse il nuovo protettore esso non stentava a stargli leggermente più avanti del suo fianco, bravo a non intralciare, tutt’al più con la testa urtandogli la gamba appena sotto il ginocchio. Sapeva che lo sviluppo della relazione dipendeva dalla sua capacità di far colpo e la prima tattica fu quella di attirarsi solida simpatia, offrendo al compagno per non annoiarlo lo spettacolo d’una vezzosa andatura, agile, saltellante, armoniosamente ritmica, e quando sentiva la mano solleticargli affettuosamente la cresta, adagiandosi alla moina alzava la testa a guardare svenevolmente in segno di felicità. -Le sa tutte- Mormorava l’adottato padrone, ma in cuor suo non gli dispiaceva la manifesta intenzione dell’animale ad intrappolarlo con le naturali esibizioni, anche se cosciente di non potersene più liberare. Dopotutto una compagnia comprensiva, mansueta, e non di meno bella gli tornava gradita. Tessèrono la città in lungo e in largo, finché non si annoiarono e tornati alla stazione non salirono sul primo treno diretto al nord. Il fuggiasco viaggiatore fece bene attenzione a prender posto in una carrozza di seconda per evitare di farsi riprendere da chicchessia, non immaginando di incappare ancora, dopo un buon tratto di percorso, in un alterco con il controllore, a causa della presenza del compagno. Fu costretto a scendere alla prima fermata, essendogli mancato il coraggio di separarsi dal ruffiano orfano abbandonato -Ci siamo presi una buona lavata di capo- Lo sfortunato passeggiero chiariva all’amico impegnato appena a terra, con le zampe posteriori flesse a fare il bisognino -Ti sarai pure spaventato -Deve possederla da molto tempo quella cagna!- Si udì da dietro le spalle, con tono quasi indagatore, la voce di un giovane contadino atticciato. Bruno, supposto d’esser stato colto in flagranza, si girò lentamente verso chi temeva avesse potuto accusarlo di indebita appropriazione. Ma di fronte l’espressione cordiale dell’altro, non poté non rispondere garbatamente -In effetti è una recente conoscenza. Lei pensa davvero che sia femmina? -Non lo penso, lo dice chiaramente lei- Replicò il contadinotto dal basso della sua spanna in meno di statura, invitando lo sprovveduto a guardare in mezzo alle zampe posteriori, mentre la cagna li osservava entrambi incuriosita. -Lei mi dà proprio una bella notizia. Adesso la faccenda si complica. Me ne verrà un bel da fare per tenere a freno i suoi calori -Non le ha dato ancora noie?- Riprese il giovane -Voglio dire, non è dovuto intervenire a sconsigliare casuali accoppiamenti? -Finora fortunatamente no -Insomma lei la porta a spasso senza guinzaglio e questa non... e i cani maschi la lasciano tranquilla? -Fino adesso, almeno. Tranne che non sia una frigida! -Le cagne lo sono solo quando sono state castrate- Sentenziò con sicumera l’empirico naturalista -Di solito, se non sono vuote, le loro pentole bollono -Dunque si arriva a seviziare un povero essere indifeso, pur di servire una forsennata gelosia II contadino spiegò le tante ragioni diverse dalla gelosia frequenti a consigliare una simile operazione veterinaria: di guardia in genere, di lavoro, come nelle cagne da tartufo, e non di rado di moralità, come per quelle dei conventi, delle associazioni religiose, etc. -C’è pure la moralità- Lo interruppe disgustato Bruno -Ipocriti- Aggiunse, bestemmiando -Non potendola, per via del loro esempio, pretendere dagli uomini, la impongono agli animali. Non commettere atti impuri. Branco di stregoni! Vigliacchi e figli di puttana! Fosse per loro, le donne, le infibulerebbero, specie quelle avvezze a santificarsi dentro i loro letti II giovane di campagna emozionato chiese spiegazioni di quel termine mai sentito Vuol dire forse che anche verso le donne viene usato quel trattamento? -Alle donne glielo cuciono, capisce? Ago e filo! Lo sbalordito ascoltatore, arrossendo aggiunse qualcosa non compresa da Bruno sconvolto dall’indignazione e subito dopo vergognandosene, per togliersi d’impaccio, si avvicinò all’animale, e invitò il padrone a tenerla buona. Si piegò sulle gambe, vi distese la giacca fin allora tenuta penzoloni dal braccio, afferrò le zampe posteriori della bestiola più docile del previsto, le sollevò allargandole delicatamente, soffiò sulla parte interessata a scostare i peli, provocando un solleticamento lamentato in pochi uggiolii, infine scuotendo la testa, informò dei mancati gonfiore e impiastricciamento. Intanto un’idea gli fioriva nella mente. Si notava che fosse combattuta da un sofferto susseguirsi di corrugamenti a distensioni della fronte stretta, e dall’osservare lo sprovveduto etologo dall’alto in basso e viceversa, come se avesse voluto vestirlo o meglio svestirlo, poi quando la diffidenza fu battuta dalla fiducia, finì con il tranquillizzarsi definitivamente e decise dì tentare di realizzare la pensata, discutendone con chi usava termini così difficili e nuovi da non restare secondo al suo medico, spesso da lui incompreso, povero illetterato! Non escluse di potersi trovare di fronte un medico, ma rigettò subito l’ipotesi ricordando come costui non sì fosse nemmeno capacitato del sesso della barboncina. Inoltre un medico non avrebbe mai portato un sacco a tracolla, infatti li ricordava tutti con la borsetta di cuoio panciuta, pur tuttavia per il prevalere della soddisfazione di essere stato in grado il dotto forestiero di aver saputo sciogliergli il mistero del1’infibulazione per lui tanto interessante, gli perdonò la predetta ignoranza e cercò con un’incensata mai di troppo da servire alla causa, timidamente di blandire -Dottore -Ma quale dottore del cavolo, io mi chiamo Bruno -Oh!- Esclamò confuso il bassino, aggiungendo subito ancora imbarazzato -Il mio nome è Enzo... Ecco…- Riprese stavolta con ardimento -Io, salvo errore, ho avvertito da parte sua poco entusiasmo di portarsi dietro la cagnetta, come si chiama? -La debbo ancora battezzare, però prima ci voglio pensare bene -Ecco, volevo solo dirle, di poterglielo risolvere io il problema. Se è d’accordo potrei prenderla io la bestiolina -Non se ne parli nemmeno. Forse stamattina me ne sarei liberato. Adesso non più. In questo spazio di tempo ci è accaduta qualcosa servita a legarci un pochino, vero piccina?- Le si rivolse, curvandosi a stringerle amorevolmente le mascelle. -Sì, lo so, ho assistito all’incidente. Comunque posso assicurarle che con me, la piccina starebbe benissimo, non le verrebbe a mancare nulla, inoltre io sono disposto a pagare il disturbo. Piuttosto lei è rimasto qui disorientato. Ha un bell’attendere per il prossimo treno! Se non le dispiace posso tenerle per un po’ compagnia- Lui voleva, prendendo tempo, cercare di forzare la mano, per di più l’interesse, per il netto rifiuto di Bruno, era cresciuto maggiormente del piacere derivante dalla sorpresa da fare ai suoi bambini. E ancora lo sperato beneficio da potere ricavare in una certa situazione, accanto all’impegno di vincere una resistenza risoluta, sortì l’effetto dopo quasi un’ora di reciproche confidenze culminata in una scarrozzata sul suo trabiccolo scassato, di condurre a casa non una ma due ospiti. La sera era scesa piovigginosa, lo sterrato fumigava. Là sotto, in una piccola valle, flebili luci languivano dentro un caseggiato solitario. Ai rauchi colpetti di clacson avvisatori, terrifici abbai risposero puntuali. La barboncina rabbrividì assieme a Bruno immerso nell’aroma di campagna. Egli da quando era salito sul camioncino e la stazione s’era lasciata alle spalle contento d’aver trovato un gagne-pain, s’era dedicato a seguire, sfornato dall’oscurità, il gioco cupo e intimidatorio delle ombre. Il veicolo posteggiò appena prima dell’uscio di casa. Il mastino comandato dal padrone ad accovacciarsi mansueto, dopo aver significato il bentornato con due colpi di feroci abbai, ringhiando debolmente si acquietò. Due bambini, il più piccolo un maschietto paffuto, intento, preso da malumore a succhiare un dito in bocca, e l’allegra femminuccia saltellante di gioia lì sulla soglia impaziente di abbracciarsi papà, entrambi ordinati, puliti e biondi, indossavano pigiami a quadri. Subito alle loro spalle corse una donna, preoccupata che i marmocchi potessero prendere un raffreddore esposti all’umidità, e tentando di riportarli all’interno provocò l’effetto di far piangere il già disposto al broncio e di far uscire Adelina all’aperto dopo essersi scrollata dalla presa. Enzo minacciò la disubbidiente di castigarla severamente se non fosse rientrata immediatamente, mentre lei infischiandosene continuava a chiedere con moltiplicati saltelli Cosa mi hai portato? -Niente, non ho avuto tempo- Rispondeva il padre pregustando la felicità della vivace figliuola appena a momenti si sarebbe trovata a contatto con la simpatica bestiola. -Ogni volta così- Protestava stizzita lei. Allora il genitore per gioco la stuzzicò- Ti ho portato un bel bacio -No, non lo voglio, tiènilo per te- Rifiutò con decisione la bambina stretta già tra le braccia paterne. -E va bene, una sorpresa questa volta c’è per te ed Andrea. Vai a dire a quel signore dentro la macchina di essere arrivato e di scendere, io intanto vado a vedere cosa è successo a tuo fratellino Bruno appena a terra prese in braccio la barboncina e la offri alla piccola, subito saltata più in alto che poté, spinta da un grido di esultanza. Il mastino alla vista della sua simile, scosse tutti con voce tonante e si zittì a malincuore a seguito del rimprovero del padrone. Entrati in casa, chiusa la porta dell’uscio, ci furono le presentazioni di rito. -Mia moglie La donna si agitò impercettibilmente, percorsa da un tremito di irritazione riflesso nello sguardo in un lampeggiamento severo di un attimo, e inondata sulle guance da un afflusso di sangue illuminante. Ella tese la mano a Bruno, fissando ancora l’altro come se avesse voluto protestare di un torto subìto e non fosse disposta a rimandare oltre 1’occasione; invece proprio in extremis decise di girare di scatto il viso verso lo sconosciuto, di compiacersene con un sorriso stereotipo e di pregarlo di volerla scusare per doversi recare in cucina a controllare le vivande sui fornelli. -Se fai a tempo aggiungi una porzione per il signore, gentile a rimanere a cena con noiLe si rivolse Enzo con un pizzico di ostentata autorità, come se avesse voluto dimostrare d’essere in grado di fronteggiare qualsiasi atto d’insubordinazione. L’estraneo avvertì il cattivo funzionamento di un qualcosa in quella coppia, e gli sembrò più opportuno interessarsi ai piccini piuttosto di mostrare imbarazzato la sua intuizione. L’allegria promossa dalla barboncina aveva contagiato Andrea e inebriato Adelina. I tre birichini schiamazzavano con gridolini e guaiti rotolandosi sul pavimento in ammucchiata e formando il quadro più eloquente della gioia. Né ci furono rimbrotti utili a fermarli, anche perché le intenzioni dei grandi, filtrate attraverso il fascino di tanta felicità espressa dai piccoli, erano tutt’altro che perentorie, per la comprensione della straordinarietà d’una occasione così insolita di svago per bambini cresciuti nella monotonia di una vita avara di contatti. Quindi informalmente quella sera fu concessa loro completa libertà, anche dalla padrona dì casa rassegnatasi dopo una dura giornata alla spesa di un supplemento di fatica necessario per pulire e cambiare di nuovo gli scatenati diavoletti. Per il girovago il primo giorno era andato meglio di quanto si fosse potuto aspettare. Aveva trovato brava gente disposta ad accettarlo in casa, un tetto che lo riparasse, una brandina confortevole. Sdraiato supino, gli occhi spalancati, dall’impenetrabile sommità del soffitto nascosta dal fitto buio, il pensiero attingendo nell’immaginazione, illuminò le supposte ultime vicende di casa sua. La madre in lacrime, il padre nell’ostinata intransigenza; umilmente accorata ed inquieta quella, esageratamente altero, quasi disumano il coniuge -Cosa c’é da piangere?Andava chiedendo con asprezza e ad interdire maggiormente la risposta tarda ad arrivare perché soffocata dai sussulti, aggiungeva provocatorio -Io avevo diciassette anni quando sono andato via di casa. Ero ancora minorenne, a quei tempi di parecchio, perché la maggiore età si raggiungeva ai ventuno anni, e mia madre buon’anima, mi benedì con rassegnazione. Lui ne ha quaranta, ha il pelo abbastanza lungo ormai, non ti sembra?- D’indole rude, la carriera militare lo aveva ulteriormente inacidito, poiché la predisposizione si era potuta rafforzare grazie alla pratica quotidiana di comportamenti standard, troppo schematizzati, meccanicamente rigidi, freddamente di distacco, dove sensibilità e comprensione diventavano pericolosi consiglieri. Né mai aveva smesso culturalmente la divisa, ed anche nella vita privata era rimasto l’inappuntabile maresciallo! Ligio al convenzionalismo con gli amici, alla convenienza con i parenti ed all’autorità in famiglia, allo stato attuale di pensionato le sue relazioni con il prossimo si erano pressoché rasciugate. Devoto all’ordine, alla disciplina, al rigore, all’obbedienza cieca, ottimi requisiti per rendersi un soldato meritevole durante il fascismo, nel corso del conflitto, al servizio della repubblica, ora in tempi di turbolenze sociali assiduamente ostracizzati, fatalmente s’era ritrovato relegato a frequentare il circolo degli ex sottufficiali dove si accordava alla stessa solfa. Con i parenti di condizione inferiore in quanto solo salariati, mentre lui la casa possedeva e una piccola proprietà di campagna aveva realizzato malgrado i quattro figli da crescere, aiutato forse da qualche scrocco consentito dai vari uffici attraverso i quali era passato durante la lunga carriera, scambiava celermente la cordialità negl’incontri fortuiti. In famiglia sopportato dalla prole, godeva dell’attenzione e dell’affetto sincero della moglie più giovane di un lustro e da lui in quel momento sicuramente in esercizio di tormentarla. Le voleva bene (come non se ne potesse ad un essere così semplice e ricco di sentimenti?), però sempre con il piglio del superiore abituato a poco considerare le opinioni degli altri, ad imporre automaticamente le proprie, a non disturbarsi, da impenitente assolutista, per cercar di capire la sensibilità della moglie, e nello stesso tempo se gli si fosse chiesto il sacrificio della vita per proteggerla, non se lo faceva nemmeno dire. Arrivava ad essere scontroso se si tentava a contrariarlo. La moglie dal canto suo per questo verso lo faceva vivere da imperatore, disposta, le volte in cui premeva, a reprimere il proprio dissenso. Una donna meravigliosa la signora Annina, nata per la remissività ed il sacrificio! Di uguale statura del marito, vi si differenziava nelle altre caratteristiche: ben messa in carne, viso ovale con tratti regolari, capelli cenere e lisci lei; fisico asciutto, faccia scarna e cavallina, una lana arruffata in testa, il maresciallo in pensione. E ancora, entrambi bruni differivano nel tipo di carnagione, più delicata, chiara e appena floscia la prima, olivastra e scavata nell’altro. In più la signora Annina in barba alla pesantezza ed alle spalle leggermente curve si conservava più agile e possedeva più energia non tanto per gli anni in meno, quanto invece per l’abitudine ai lavori domestici ai quali lei attendeva senza mai lamentarsi, mentre che l’eccessivo riposo aveva calato l’eretto soldato nella fiacchezza per tutte le occasioni tranne quelle quando, a causa della sua immancabile presuntuosità nelle controversie, smaniava di imporsi. Comunque sopportando il caratteraccio del marito, la povera donna santamente continuava a sfogare il dolore solo piangendo, fino a quando il vecchio compagno mossosi a pietà e con tono conciliante non avesse chiesto di nuovo -Cosa c’è da piangere?- Allora lei si decideva a rispondere, imbrogliandosi per via del caldo umore scaturito dagli occhi e dal naso, e singhiozzante si interrompeva per asciugarsi, dopo di che faceva udire la sua flebile vocina – S’è ne andato così, senza una preparazione o una meta, non capisci? -Già, è vero, ma quale colpa abbiamo noi, tuttavia non è forse abbastanza grande per pensare a se stesso? -No, Peppino, è inesperto, soffrirà molto, ne sono sicura! -Annina cara, noi siamo abbastanza vecchi, dovrà pure abituarsi in qualche modo a non dipendere da persone costrette da un momento all’altro ad abbandonarlo, per una chiamata dall’al di là -In quel caso pazienza, però adesso non v’era motivo. No, non doveva, forse neppure voleva. Siamo stati noi ad istigarlo -No davvero, questo è troppo, non te lo consento- Prorompeva il vecchio, affilandosi in faccia e spogliandosi di quella dolcezza inconsueta suggeritagli da un moto di compassione verso la fedele compagna -L’unico nostro torto è stato questo invece, di non aver preteso di rendersi autonomo all’età adatta, e non soltanto da lui, ma anche dagli altri- Aggiungeva spietato conficcando lo sguardo scintillante di fierezza come due lame in quello dell’altra e facendone tremare la persona. E di questo passo il discorso, chissà per quanto tempo sarebbe andato avanti, ora acceso come gli occhi del vecchio, or patetico quanto l’espressione della moglie. Bruno immaginava, intuiva, vedeva la cucina di casa sua illuminata, sospesa a mezz’aria nella cornice della tenebra notturna. Assisteva al martirio della madre, incompreso da un aguzzino duro ed ostinato. Era diventato inquieto, non poteva contemplare oltre l’amato viso della dolcezza disfatto dal pianto. Ne sentiva il rimorso perché possedeva la sensibilità della genitrice. Era lui la causa d’una espiazione incolpevole. Lui, avrebbe dovuto offrire l’assicurazione d’una prospettiva di sistemazione, ne avrebbe dovuto parlare almeno con lei, convincerla, tranquillizzarla, ricevere la rituale benedizione per circostanze d’un così sofferto ed inevitabile commiato. Avrebbe dovuto trovare la forza di affrontare la reazione di lei all’annuncio della sua decisione. Avrebbe dovuto essere lui a farla piangere, perché non esistevano precauzioni o modi di porgere una simile iniziativa adatti a bloccarle le lacrime. Avrebbe dovuto essere lui morbosamente attaccato a lei a dividere l’infelicità del distacco, ma nello stesso tempo a lasciarle l’illusione di una proposta di lavoro, riducendole il soffrire. Così dal quadro dileguò la figura del padre, restando sola l’indifesa vecchietta a sussultare a seguito delle invisibili scudisciate della viltà del disertore. Si girò sul pagliericcio senza trovare posa, e vi si agitò torcendosi in preda a febbre da staffile di cui sentiva i colpi scorticarlo sino in profondità, i colpi brucianti del rimorso! Passò la notte assalito dagli incubi e svegliandosi di soprassalto si trovò seduto a metà della branda, credendo d’esser stato spinto da una molla. Si sentiva spossato, con gli occhi e la testa pesante: era stato svegliato da leggeri rumori provenienti dalla stanza attigua. Voleva accendere la luce, ma gli parve una cattiva idea, essendo ancora desideroso di sonno, quindi preferì portarsi a tastoni alla finestra e scostare appena la persiana per farsi un’idea approssimata dell’ora. Il cielo era appena stinto dall’arrampicata del crepuscolo antelucano, nel momento in cui la casa cominciava ad animarsi. Sbadigliò con delusione, poi si rassegnò alle abitudini di campagna e scuotendo il capo in soccorso all’intenzione di svegliarsi completamente, attese il suo turno per usare il bagno. I primi giorni volarono in un clima di simpatia e spesso allegro. Gli adulti si trattarono con gentilezza e buona disposizione usarono verso l’approfondimento della nuova amicizia, sebbene nella padrona di casa si rilevasse un’impronta di diffidenza mal dissimulata verso il casuale pensionante, e di velato risentimento come da leggera incrostazione del suo animo nei confronti del marito. La prima impressione era improntata ad eccesso di cautela o ad indole poco espansiva, ma analizzandole lo sguardo assopito nella tristezza, la piega tirata dei mentiti sorrisi, la sua aria costantemente impacciata, leggermente nervosa, si era tentati di pronosticarle serie apprensioni. Inoltre l’insistenza a trascurarsi pareva studiata e denunciava una certa acedia in una donna dotata dei requisiti per farsi ammirare, e una determinazione piuttosto inusuale a rinunciarvi. La signora Irene nello spirito stava di certo male. I piccoli trovarono reciproca felicità con la barboncina, cui Adelina aveva insistito perché le si trovasse un nome, in quanto le veniva difficoltoso rivolgersi ad essa senza sapere come chiamarla -Bruno dobbiamo darle un nome, non so nemmeno fischiare e quindi come faccio a chiamarla? -Trovaglielo tu, dolcezza -No, io non posso, sono piccola, non sono capace -Ti farai consigliare da mamma e papà -No, no- Replicava, puntando i piedi, scuotendo con la testolina i lunghi capelli annodati a coda di cavallo, assumendo un broncio fittizio traboccante di grazia, i chiari occhi aggrinzati, due grani di ametista profondi e tersi, e le delicate nari visibilmente palpitanti, segni evidenti della sua finzione. Poi facendosi più supplichevole lusingava -Tu conoscerai tanti bei nomi. Via non farti pregare -E va bene- Concesse Bruno -Però devi promettermi di non assumere mai più quella posa birbantella -Sì, lo prometto- Assicurò più birichina e prorompendo in risa scroscianti corse ad abbracciarlo. . -Aspetta, aspetta- Protestava l’altro stringendola tenero invece di scostarla e posandole su una guancia un bacio pieno d’affetto -Non ho ancora trovato. Eppure ho un’idea, vediamo se ti piacerà- Aggiunse imprimendole un altro bacio sulla fronte prima di staccarla da sé con commozione -Ho pensato, visto che la cagnetta è piccolina come te ed Andrea, di chiamarla con il vezzeggiativo nel mio dialetto corrispondente alla vostra condizione -E cioè?- Chiese con molta curiosità Adelina. -Nichitta! Ti piace? -Oh sì, sì, che bello! Nichitta, Nichitta mia. Lo vado a dire agli altri. Mamma, papà…Cominciò a chiamare. Bruno restò ancora per qualche attimo piegato sulle ginocchia, perplesso della trovata avuta. Era stato istintivo pensare a quel nome, un nome per lui doloroso se al posto della ch avesse messo una k diventando così Nikitta, ma siccome le due parole suonavano allo stesso modo quasi completamente, un gran subbuglio gli produceva dentro il cuore, ogni qualvolta si chiamasse la cagnetta, poiché gli ricordava una sua immeritevole idealizzazione dissolta, e il fatto che il simpatico animale ne fosse degno per la stupefacente sensibilità, non lo consolava punto. Quei due giorni erano serviti a prendere confidenza con l’ampia casa, ancora nuova, decorosa dell’arredamento e per lo stato di pulizia in cui era tenuta, a sistemare nella comoda stanzetta assegnatagli le sue poche cose dentro l’armadietto, a visitare le proprietà di Enzo, a comprarsi nel paesino vicino una tuta da lavoro e un paio di scarponi e a familiarizzare, rischiando grosso, con il burbero guardiano. Enzo, quando lui fingeva una carezza lo ammoniva -Stai attento a non ritrovarti con la mano staccata. Sarà meglio manifestargli la tua ammirazione, appena lo metto libero con la museruola -Così mi salta addosso, vero? -E’ sempre meglio d’uno spuntino con la tua carne -Bel coraggio mi fai! Ormai si era ambientato, aveva avuto anche qualche ora a disposizione per restar solo e meditare sul suo cambiamento di vita, cosicché per non pensarci affatto trasse dalla custodia nera il piccolo flauto portatosi appresso e vi soffiò dentro producendo striduli lamenti. Sfogliò alcune partiture di brevi concerti famosi, si interessò a quella ritenuta più facile, con il piede regolò le battute, soffiò ancora sull’imboccatura dello strumento non andando oltre le tre note. Condusse il pensiero al tempo in cui giovinetto frequentava la banda del paese e con impegno attendeva alle lezioni del maestro, fin quando malgrado le insistenze di questi a non smettere poiché dichiarava essere un peccato con tanta buona disposizione, non se ne saziò per via della modestia dei brani da eseguire. Lui si sentiva diminuito nel dover rimestare sempre le solite arie pompose, le stesse in grado di accendergli l’entusiasmo da bambino, ma finite con l’infastidirlo appena riuscì a padroneggiarle. Perciò si era andato a procurare quelle partiture impegnative appunto per misurare la qualità della propria attitudine. Ricordava le esecuzioni strettamente riservate a se stesso, in quanto geloso dell’hobby coltivato non si era mai voluto confrontare con il giudizio degli altri, e le riviveva con le perplessità di allora sull’effettivo valore artistico. Eppur l’affusolato cilindro aveva saputo regalargli sentimenti di gioia e orgoglio assieme, specie quando riuscì a padroneggiarlo tecnicamente per una esecuzione intera senza errori od incertezze e ancor di più quando dall’adagio passò all’andante, all’allegro, al presto. Certo restava l’incognita della sonorità, dell’esatta conduzione del tempo... ma il sincero apprezzamento dell’antico maestro di banda e l’appagamento del suo orecchio erano riusciti a convincerlo di meritarsi il proprio compiacimento. Quanto ne aveva bisogno adesso; anche le briciole di quello di allora avrebbero potuto sostenerlo! Riportò alle labbra il flauto, espirandovi i sopravvenuti accessi d’infelicità! Pur non facendo meglio della prima volta, prese l’impegno di dedicare il tempo libero alla vecchia passione con serie intenzioni, e mantenere la parola vincendo la sera al rientro dei campi le tentazioni di rinunciarvi per lo stato di sfinitezza in cui veniva a trovarsi. Il lavoro era faticoso, sebbene il suo principale comprendendo le difficoltà di adattamento a mansioni fisicamente onerose, per chi era stato abituato a stare dietro una scrivania, con grande generosità, per risparmiarlo, si sottoponeva lui agli sforzi più intensi -Amico- Gli diceva spesso -Ci vuole più pratica che forza, lascia fare a me -Ma così finirò col non imparare mai- Protestava Bruno sorretto dalla volontà di non sfigurare e comunque riconoscente con un largo sorriso aggiungeva scherzosamente -Tu vuoi viziarmi, ci deve essere qualcosa sotto -Eccome! La mia balordaggine- Rimbeccava con simulata stizza l’altro, poi lo rimproverava di furberia, rimordendogli forse la propria di campagnolo, infine si scusava, ricambiandone il sorriso. Le relazioni avevano preso la piega giusta e il nuovo arrivato si sentiva ben accolto da Enzo, dai figli, specie dalla femminuccia, un po’ meno dalla moglie. E non perché fosse scortese, anzi i suoi modi per tale verso erano irreprensibili, ma avevano troppo di doveroso, distaccato, a volte sospettoso, precisamente le volte in cui l’ospite le si rivolgeva con semplice cordialità. Pareva stesse sulle spine per un misfatto temuto d’esser procurato da quell’uomo così curiosamente capitato a casa sua. E una sera a tavola ella si sentì perduta come un coniglietto uscito di tana, a tu per tu dinanzi il cacciatore con il fucile spianato. Enzo lodava la pazienza e la diligenza dell’amico mentre Bruno si schermiva con una punta di disagio -Sei troppo buono e generoso -No, no, non ti sto regalando nulla. Tu meriti a pieno quanto dico, perché oltre l’impegno sul lavoro sei gentile con tutti, premuroso con i bambini, un vero signore- Bevve un sorso di vino rosso trasparente di sua produzione, lo gustò appieno stringendo forte le labbra e passandovi sopra la lingua a ridare il gusto del prezioso liquido con la soddisfazione d’un buon intenditore, continuò -E mi meraviglio del senso di adattamento trovato così presto da una persona come te appartenuta fino adesso a ben altro ambiente Bruno accusò un attimo di commozione, smaltita con una moina ad Andrea trovatosi vicino a lui in quel momento mentre era intento a compiere l’ennesimo giro attorno la tavola -Non è difficile in una casa come la vostra trovarsi bene- Garantì -Una bella casa, comoda, linda, elegante. Una simpatica famiglia, dei bimbi adorabili. Tu così benevolo con gli ospiti, tua moglie gentile. Una coppia da invidiare la vostra! La signora Irene improvvisamente avvampò. Colta alla sprovvista, sostenne lo sguardo all’indirizzo di chi lealmente aveva reso l’omaggio, con una posa di rimprovero prontamente abbandonata, mentre le pupille animatesi da un’agitazione incontrollabile continuarono ad investire con lampi di violento rancore colpevole di sinceri complimenti lo stupito ospite, malgrado cercasse di rifugiarsi in uno stentato sorriso di circostanza e in una formale espressione di ringraziamento. L’imprevista reazione della donna sbandò Bruno sul tipo di comportamento da adottare. Aveva capito di averla ferita gravemente, ma non riusciva a spiegarsi la causa. Per fortuna lo soccorse l’intervento di Adelina -Hai sentito mamma, quant’è caro Bruno, invece la zia... A sentir quel riferimento, il padre prima che ne venisse pronunciato il nome sobbalzò quasi sulla sedia ed inveì contro la bambina minacciando di romperle la testa se si fosse azzardata un’altra volta a ricordare una simile vipera. Il seguito della cena fu ovviamente caratterizzato da pesanti silenzi intramezzati a falliti tentativi di disgelo. I grandi si alzarono da tavola fortemente impacciati, la bambina sul punto di piangere, solo Andrea continuava allegro a correre, e per il breve tempo durante il quale quelli stettero all’impiedi a guardarsi dispiaciuti e a spiccicare qualche parola di scusa, senza accennare a spiegare l’incidente, l’unico scampato, si divertiva, incuneandosi tra le loro gambe a picchiarle forte con la manina. Bruno dovette aspettare di potersi ritirare per togliersi d’imbarazzo. Era stupito soprattutto per il contegno della signora Irene trovato d’una stranezza crescente ad ogni suo nuovo esame, e sebbene non avesse elementi, era quasi certo di un nesso dell’indignazione di lei con la sbrigliata da Enzo fatta alla figliola, ma rimaneva sempre un mistero come la vicenda potesse coinvolgere lui, né restavano dubbi sull’improvvisa manifestazione d’inimicizia nei suoi confronti. Forse l’indomani, confidenzialmente, avrebbe avuto dal marito per l’episodio della consorte qualche chiarimento utile ad offrire una correlazione con l’altro della folgorante guardata. Però non fu così: parlarono di tutto con la stessa espansione stabilitasi tra di loro, tranne dell’accaduto della sera avanti, ed anche la signora al loro rientro non mostrava traccia di collera, anzi sembrava meno pensierosa del solito, quasi di buon umore. La signora Irene aveva smesso la tunica grigia con guarnizioni bianche, più adatta ad una conversa, ed indossato una leggera veste di cotonina sabbia assai più corta, stretta e aggrinzita alla vita dagli elastici, intonata al colore dei capelli castano acceso tirati lisci, annodati dietro la nuca e con della brillantina spruzzata perché luccicassero. Ne usciva un viso piccolo, pulito e molto bello, vagamente somigliante a quello della figlia, però con occhi più grandi e grigio azzurri e naso più sfilato, identico per il mento appuntito e le labbra tumide, ben modellate. La media statura prendeva slancio sia dalla vita stretta sia dai tacchetti delle scarpe più pronunciati rispetto a quelli del paio sostituito. Se non fosse stato per l’assenza del trucco sembrava attendesse qualcuno. Lo sguardo diceva d’essersi scollato il velo della mestizia e di non avere più intenzione di adirarsi. Rispose al saluto dei due uomini accompagnando il suo con un sorriso di schietta accoglienza. Enzo gioì immensamente e si girò verso l’amico a partecipare l’insperata felicità del suo cuore penante da chissà quanto, ricevendo da questi un tributo di contentezza per lui. Nella sua stanza Bruno tentava d’indovinare cosa avesse prodotto simile cambiamento. La rivedeva servire a tavola un po’ vergognosa con qualche tremito d’emozione appena percettibile sembrando d’essere diventata timida, premurosa ed anche impacciata, specie quando andava in cucina a prendere le portate sebbene il suo corpo esile si muovesse con armonia. Di spalle era molto interessante: le bianche gambe salivano dritte e si sarebbe potuto accompagnarle sino al congiungimento con i tondi glutei piacevolmente dondolanti nella camminatura. E forse, era la certezza del richiamo prodotto dai suoi attributi posteriori e dell’impossibilità di ripararli in qualche modo a metterla in soggezione, tant’è che di ritorno sembrava più disinvolta non perché non fosse cosciente dell’attrattiva costituita dalla conformazione del seno, delle labbra o dal candore e dalla snellezza del collo, ma solo per il conforto dell’avere le mani occupate, ingombro in verità inopportuno! S’era comportata come se avesse saputo di essere corteggiata e la cosa non le fosse dispiaciuta: dal marito forse, costretto dall’ardente amore portato ad una destinataria molto tiepida, a non smettere mai il vagheggiamento. La gioia di Enzo alla sorpresa del cambiamento notato appena rincasato si collegava certamente alla lettura di quel messaggio, volto a significare l’abbandono d’un perseverante ostruzionismo a beneficio del ristabilimento dei tempi andati. Bruno ne era convinto, e infatti perché non ci fossero equivoci di sorta e non sembrasse a lui, qualora fosse un attendista velleitario mimetizzato, d’esser la fonte rischiarante per la triste creatura, due sere avanti, quando forse la signora Irene aveva preso la decisione di non far soffrire oltre il brav’uomo del marito, s’era premunita con l’ammonimento minaccioso lanciato dalle sue pupille ad incenerire qualsiasi iniziativa impertinente avesse potuto nascere. Ebbe un attimo di perplessità sulla spiegazione apparsagli debole sull’onda del semplice intuito, ma sia per la sua attuale disposizione verso le donne, sia per l’alto senso di lealtà verso il suo benefattore amico, passò a dedicarsi allo studio di un adagio per flauto. Sentì bussare alla porta: era la comitiva dei marmocchi precipitatisi nella stanza prima di dargli tempo di rispondere -Guarda, guarda Bruno- Ripeteva eccitata la capofila ordinando seccamente -Su- al suo giocattolo vivente. La cagnetta eseguiva subito e si rizzava sulle zampe posteriori assumendo una buffa posizione, motivo delle grida di gioia dei due fratellini saltellanti. -La state martoriando, povera bestiola! -Chi noi? A Nichitta dolce? Mai! -Mai la lasciate in pace- Corresse lui, posando lo strumento sul comò e invitando tra le braccia la sua Nichitta, pronta a sfruttare l’occasione per farsi coccolare e baciare sul tartufo dall’amato padrone, poi questi adagiandola a terra, indugiando a massaggiarle la cervice, si rivolse ai deliziosi monelli -Che aspettate ad andare a letto? -Mammina ci ha concesso di restare a giocare un pochino con Nichitta -La mamma è troppo buona La signora Irene si affacciò in quel momento per riportare indietro i piccini -Su, venite, non disturbate il signore -Ma no, cosa dice, signora, sono tanto cari- La rassicurò Bruno. -Sì, lo so, la ringrazio, ma è l’ora che si preparino ad andare a letto -Ancora no, non voglio- Protestava la femminuccia -Dopo aver insegnato a Nichitta... Me la voglio godere ancora. Guarda, guarda quant’è brava -Su!- Ordinò sempre più divertita. La signora rise di cuore esponendo le due fila di grani di melograno, ma per qualche attimo soltanto come se fosse gelosa anche delle briciole della contentezza certamente ritrovata quel giorno e scoperta dolce compagna -Andiamo bellezza- Aggiunse, e prima di congedarsi augurò la buona notte all’ospite con un timido sorriso di accompagnamento. Adelina ed Andrea si unirono al saluto della mamma con uno sbadiglio, e se non fosse stato per il richiamo di Bruno se ne sarebbero usciti senza scambiare il bacio propiziatore. -Nikitta!- Che stupido era stato a scegliere quel nome. Non sapeva contarle le volte in cui lo sentiva in una giornata. Un nome tanto meritato dall’animale, quanto funesto, arrogantemente doloroso malgrado lo rinnegasse con fervore, se riferito all’originaria titolare, ladra malvagia di troppi anni della sua esistenza. Tutto era cominciato circa nove anni prima, nel periodo di carnevale. Ad un tavolo del bar più rinomato, Bruno aspettava impaziente che gli servissero il tè, non tanto per desiderio della bevanda della quale non era assiduo estimatore, quanto per cercare di scuotersi di dosso l’intorpidimento generatogli dal freddo, sorseggiando qualcosa di caldo e tra le mani stringendo da scaldino il bricco di terraglia. Doveva giungere suo compare, compare di celibato, con l’ultima novità da proporgli per trascorrere in comitiva le serate di carnevale. Mancavano pochi minuti alle diciotto. Il compare per telefono gli aveva raccomandato la puntualità perché ci sarebbero state parecchie cose da sbrigare. Sicuramente stava organizzando qualcuna delle solite complicate comitive! Nello apparve sulla soglia allisciato di fresco: viso sbarbato e riposato, capelli bagnati e attentamente spartiti dalla scriminatura da sembrare incollati specie nei punti più radi, pupille dominatrici dietro le lenti tenute dalla montatura in similoro, bene appropriata ad un’aria dottorale. Appena scorse Bruno, con andatura disciplinata al senso di padronanza di sé, vi si diresse più imponente di quanto la sua statura gli permettesse. -Si direbbe che il freddo non ti impressiona, come i giovanotti- Lo accolse Bruno. -Perché, ci ho forse da invidiare qualcosa ad un giovanotto? Caro compare te lo può testimoniare quell’agitarsi di sangue nelle vene. Per questo non c’è freddo che penetriConcluse con scroscianti risate di autocompiacimento. -II mio si è placato, accomodati. Cosa ordino per te?- Gli chiese il compare ostentatamente serioso a voler ricordare la sua predilezione dell’umiltà piuttosto che per le spacconate dell’altro. -Un amaro, grazie. Debbo temperare il sapore della vita, per paura dell’ascesa della glicemia- Ironizzò con spocchia -Però tu non mi convinci con la storia di esserti placato. Non ci sentiamo da un bel pezzo, e so che sei stato indaffaratissimo Bruno cambiò registro al suo comportamento, finendo, come s’imponeva quand’era a confronto con l’amico per non ferirlo, di secondarlo nell’umore, anche quando, come in questo caso, per lui il discorso era più che serio -Una coniglietta domestica solerte a non perdere tempo a proporre ad un leprotto come me, sai cosa? Immaginalo, dillo, dillo! -Il matrimonio?! -Proprio il matrimonio -Pussa via, non ti fare pazzo! -Pensi davvero ch’io voglia rompere il comparato?- Assicurò Bruno con più salda fede in tale convincimento rispetto al sodale stimatore del celibato. Risero uniti dalla comprensione. -Che idee!- Esclamò sconcertato il figurino, ricordandosi di passare subito alla proposta -Senti Bruno, il tempo vola, ed è bene arrivare al nocciolo. Tu quali programmi hai per queste sere? -Nello caro, detto tra noi, farò le più belle dormite della mia vita -Allora è il caso ch’io faccia un paio di telefonate per confermare l’O. K. definitivo. Scusami un attimo -Sta arrivando la tua ordinazione -Sarò lì a momenti Erano alle solite, c’era sicuramente da tenere la candela, e quale candeliere poteva trovarsi meglio di Bruno? In ogni modo il comparato assegnava questi carichi, e una volta all’uno, un’altra sempre allo stesso non vi si poteva tirare indietro. Sebbene fosse un periodo in cui l’umore brillasse poco, sopraffatto dall’uggia, si dispose al sacrificio senza protestare. Nello tornava sorridente e visibilmente soddisfatto, giunto al tavolo prese il lungo bicchiere inchiostrato, lo sporse in un brindisi e lo portò alle labbra, scuotendosi un brivido di dosso, e ammiccando maliziosamente. -Rimani in piedi?- Gli chiese frastornato Bruno. -Le lancette girano, ed alle nove in punto bisogna trovarsi a... -Le nove di domattina!- Replicò ancor più frastornato il poco entusiasta, fresco arruolato. -Su, su, sbrighiamoci, le ventuno, le ventuno, mon compère -Non vorrai costringermi a prendere un simile impegno così su due piedi, con barba lunga, smania di sonno e uno scocciarmi di troppo! -E tu non vorrai costringermi a dare un calcio alla fortuna -Ma potevi parlar prima! -Ci sarebbe stata sorpresa, in tal caso, eh? -Bella sorpresa! -Andiamo, andiamo, mi raccomando alle venti e trenta sotto casa mia con la macchina -Anche la macchina -Debbo farmene una colpa se la chiocciata è numerosa? Allora intesi alle venti e trenta, mani sul volante. Arrivederci. Io scappo a reclutare gli occorrenti casanova Preso alla sprovvista Bruno restò scombussolato a guardarlo uscire dal locale più sicuro di prima, poi si scosse rassegnato al fatto compiuto, chiamò il conto, pagò, e si avviò frettolosamente. Il tempo era limitato, e le lancette correvano! Giunto in casa s’infilò subito nel bagno. Si rase scorticandosi dappertutto come accadeva tutte le volte in cui gl’imprevisti avessero richiesto una rasatura d’emergenza di sera, e imprecò contro l’incorreggibile latore di sorprese. Sotto la doccia fu più indulgente, confortato dallo spruzzo d’acqua calda. Andava convincendosi della distrazione rappresentata in fin dei conti dall’imprevista battuta di caccia e per quanto si restasse col carniere vuoto, tale sport rimaneva ancora un’interessante sua passione, inoltre si sarebbe sottratto alle spire della noia. Così si caricò d’entusiasmo e terminò di azzimarsi con buon anticipo da consentirgli di consumare tranquillamente uno spuntino. Ritornò in bagno a pulire i denti, a dare l’ultimo colpo di pettine sulla abbondante crespa chioma, a spruzzar ancora della colonia, a correre nella stanza da letto dei genitori a pararsi davanti l’armadio a specchio per controllarsi in ogni particolare. Il vestito, un mezzalana grigio di giovanile taglio aderiva a pennello alla sua figura longilinea, sul ricamo della camicia la cravatta amarantina annodata semplicemente con un solo giro, come una lingua si mostrava, le scarpe color cardinale s’imponevano, le basette ed il baffetto ammansiti dalle forbicine non mostravano un sol pelo in disordine: complessivamente si compiaceva. Prese il soprabito di velluto in tinta vinaccia, lo piegò verticalmente, lo mise in spalla e si avviò fischiettante, quasi fervente. All’ora stabilita era accostato con la sua modesta millecento comprata di seconda mano alla macchina di Nello, una sportiva coupé metallizzata di più grossa cilindrata. Erano in tre ad attenderlo, conversando e fumando tranquillamente. Uno era un suo vecchio compagno di scuola, l’altro, un certo Sergio, lo conosceva di vista ed era anche lui coetaneo, sì da essere tutti intorno alla trentina. Si avviarono dopo il passaggio di Nuccio nella più modesta vettura per tenergli compagnia, e rispolverare i tempi dell’esuberanza, in rapida carrellata prima di decidersi ad interessarsi del presente -Allora, cosa ci riserva, la serata?- Chiese Bruno mentre accendeva una sigaretta. -Ne so, ne più ne meno di te. L’unica certezza rimane l’originalità di Nello. Mi viene all’ultimo momento, fa un casino del demonio e letteralmente mi obbliga ad uscire assieme; con Sergio la stessa cosa; è rimasto il solito pasticcione -Io invece sono stato costretto un paio d’ore fa. Speriamo almeno ne valga la pena. Piuttosto bada a non perderli di vista, per non finire d’esserci messi in ghingheri per niente -Non occorre, dobbiamo attenderli in piazza V..., davanti l’albergo, lì arriveranno col primo carico, poi ci si muoverà insieme a completare, non so dove -Ed io fesso ad azzardare con i sorpassi per stargli dietro, allora sganciamoci dal bolide prima di dover passare il guaio. Bastano già quelli in cui ci caccerà stasera -Bell’ottimismo! -Con Nello? Vedrai se ne ho ragione Arrivarono in piazza con tutta tranquillità. Oltrepassarono l’ingresso dell’hotel e si accostarono fermandosi bene in vista. Nuccio guardò l’ora. Avevano scavalcato le ventuno da sette minuti, quanti presso a poco regalati all’auto affusolata per attendere a più tranquilla corsa. L’attesa fu breve e Nello dopo aver fatto trasbordare Sergio nella sua macchina a tenergli compagnia diede con un colpo di clacson agli altri l’avviso di rimettersi in movimento, questa volta attenti a non perdere contatto. Il dottorino allungava a bella posta incoraggiato dal traffico agile in quel punto della città stranamente e appositamente per congiurare contro Bruno arrancante come un ronzino dietro un palafreno, e non di rado avvertiva suonando, della difficoltà di tenergli testa, specie quando il coupé scompariva inghiottito da una curva, incrementando l’euforia partecipata sia da Sergio, sia dalle ospiti imbarcate in una breve sosta di qualche minuto. Poi di colpo dopo pochi metri aver svoltato la strada che sbocca di fronte il teatro, Nello arrestò la corsa, cogliendo Bruno di sorpresa, costretto ad aggiungere allo stridio delle gomme per la curva presa a rompicollo, quello di una brusca frenata. Allo sbellicarsi dalle risa degli occupanti la prima macchina, i due partecipi alla spericolata manovra ancora con il groppo in gola replicarono con altrettanti scrosci. La serata cominciava bene, le ragazze erano carine, eleganti, di spirito. Si scambiarono le presentazioni, ridendo ancora. Rosy andò a suonare ad un campanello, al citofono una voce rispose d’esser lesta a scendere. La tromba delle scale s’illuminò dando l’impressione che il palazzone avesse fatto un piccolo balzo in avanti... si sentì richiudere con uno schianto metallico la porta dell’ascensore... L’apertura dell’ingresso fu preceduta dallo scatto elettrico simile al battere del cane sul tamburo scarico di una pistola giocattolo. Apparve lei, magnifica creatura! Bruno credette subito di assistere alla materializzazione dei suoi desideri e di stare lì di fronte in virtù di un incantesimo da fargli credere fittizia anche la stretta di mano. Nicole dall’alto dei tacchi raggiungeva la sua statura. A causa della lunga veste ed il soprabito, restava d’ammirare solo il nobile viso incastonato nella cornice di una cascata di castani e ricci capelli. Un senso misterioso di dignità bastava a smontare il maschio concupire. Si scusava per la sorella non venuta perché fermata da un incidente occorso alla camicetta stabilita d’indossare, senz’esserci stato verso di convincerla a sostituirla con un’altra; quindi si poteva pure partire. Si consultarono tutti dove andare ed alla fine decisero di tornare ad A... L’imbarazzo di come prendere posto sulle macchine, naturale a causa della fresca conoscenza, fu presto risolto con l’affidamento a Nello di tutte e tre le ragazze ed il piacere dell’accolta maschile sull’altra vettura. L’appuntamento era al parco delle T... dove il comitato dei festeggiamenti offriva alla cittadinanza una serata danzante. Bruno calato in quei lontani ricordi, nitidi e precisi, imprimeva sul flauto la malinconia della stizza repressa. Per un momento il sentimento vibrò come le bianche ali di una tortora in volo, per lo sfrenato capriccio del pensiero di rivisitare i fausti eventi dell’inizio di un incantesimo delizioso, poi fremente per l’epilogo sconcertante si consegnò ai graffi del rimpianto, sebbene da tempo quando gli succedeva di cedere alla tentazione di seguire spinosi percorsi si imponesse un certo distacco. Durante il tragitto di ritorno l’incantevole apparizione dimorava sul parabrezza ora radiosa, illuminata dai fari delle vetture incrociate, ora stagliata nell’ombra in chiare sembianze mentre la conversazione di Nuccio e Sergio rimbalzava nell’abitacolo confusa e monotona come un noioso sottofondo, dal quale ogni tanto schizzava il nome del sognatore con l’invito a partecipare, facendolo trasalire. Si ricongiunsero con gli altri nel vestibolo dell’edificio dove Nello, beato tra le donne, in mezzo a loro, più d’un galletto impettito ostentava tronfiezza. La più allegra sembrava Tina, la più giovane e la più condiscendente al riso dietro le facezie del gioviale dandy, il quale appena ebbe a tiro il compare, con mal dissimulato sfottò gli chiese se avessero preso qualche foratura. -No- Rispose Bruno -Stiamo tornando dal cercarvi, visto il vostro ritardo ad arrivare Preso in contropiede il compare replicò -La prossima volta non toglierò il piede dall’acceleratore Tina lo smentì gioiosamente -Ma se hai corso come un pazzo! -E va bene, mi tocca incassare- Ammise lui, consigliato dal riso generale consumato a sue spese. Scesero le scale che portavano al salone con l’umore blando e l’impressione di potersi divertire, e si diressero al guardaroba a liberarsi dei soprabiti. Appena Nicole di ritorno sfilò davanti a Bruno mentre aspettava il turno, giunonica entro una nera stola di satin stretta ai fianchi, lui fu attraversato da un’onda magnetica. Era traboccante di vita, di freschezza, di fascino, e malgrado le preferenze dell’ammiratore per le donne tendessero verso più snelle linee, quella robustezza gli sembrava perfetta in virtù della legge universale assolutoria di ogni difetto della persona di cui ci s’invaghisce, per cui era scomparsa agli occhi infervorati dell’innamorato, e l’ammaliatrice veniva assorbita deliziosa per intero tanto da non potersi posare l’attenzione dell’incantato ammiratore su attributi particolari senza la protesta di pudico desiderio nascente per la parte esclusa. Nondimeno le sue pupille indugiarono a carezzare i tratti del viso ed al suo sguardo cercavano di carpire la ragione della presenza d’una velata malinconia. Lui cominciava a non sopportare più quel patimento così composto, lo sentiva gravare su se stesso, gli pareva di esserne contagiato e ne era infastidito soprattutto per due motivi: primo perché dopo essersi scrollato della noia cercava di non permettere lo sprofondamento del suo animo in più penosa condizione, secondo, per vederne colpito il soggetto responsabile del suo trambusto interiore. Urgeva prodigarsi al recupero, si ripromise Bruno come se lui fosse l’unico all’altezza della situazione o il fortunato per destinazione naturale. Il salone era affollatissimo, sottratto al buio completo dalla debole luce piovente sul complesso musicale, da quella del bar passata tra le tende scostate e da un tenue chiarore filtrato da una bassa e discontinua nuvolaglia, spruzzato nel locale attraverso le imposte aperte che guardavano sull’ampio terrazzo. L’aria era già diventata greve, il suono assordante, le pareti ed il soffitto brulicanti di tarantole animate dalle movenze riflesse dei danzatori. La comitiva faceva tappezzeria aspettando, dopo il primo impatto quasi cieco, la ripresa della funzionalità degli occhi per almeno cominciare a sbirciare tra la ressa. Tina protestava per l’indecisione ad essere invitata a ballare, una ragazza tanto carina! Nuccio le presentò le scuse ed insieme scivolarono in mezzo all’eccezionale accalcarsi tosto inghiottiti, li seguirono Nello e Rosy, infine Sergio e Nicole. Il temporaneo disoccupato accese una sigaretta e si parò davanti ai vetri di una porta a scrutare fuori tra i veli della notte. Il chitarrista, adulando le corde con i polpastrelli, consegnava le melliflue note ricavate ad una carezzevole melodia sostenuta dall’accompagnamento degli altri strumenti che il cantante interpretava con spasimo al pari del suo cuore attaccato dalla gelosia di sapere lei stretta da altre braccia. Gelosia con la complicità dell’oscurità ed il susseguirsi delle esecuzioni di brani lenti, agevolata a rodere ed a scavare dentro, procurandogli crescente sofferenza. Si rimproverava di non essere stato sveglio quanto fosse occorso per non farsi precedere nell’invitarla, ed evitargli di star lì ad aspettare impaziente l’illuminazione della sala ed il ravvivamento del ritmo, così da placarsi e smettere di fumare ininterrottamente. E quando da un angolo il primo faretto mostrò l’occhio di sangue zampillante sulla sala, e la folla ondeggiante parve attraversata da un brivido e si scosse, e poi un secondo proiettore, ed altri ancora variamente colorati impastarono una luminosità iridescente, psichedelica, e la grancassa rimbombò come percossa da un calcio, i piatti starnutirono, la tromba stridette, il basso iniziò a singhiozzare, l’organo e la chitarra gli accordi esasperarono, il cantante prese a urlare, le tarantole ad impazzire, lui sospirò risollevato. Le coppie abbandonarono il contatto, e sulla pista iniziò un dimenio generale di gambe, natiche, braccia, seni e teste, ora cadenzato, ora convulso, e dal pavimento pestato si levava il rumore delle suole. I fasci di luce erano lance dalle cuspidi accecanti, i festoni balenavano come fronde sotto un uragano, i coriandoli piovevano fantasmagorici, l’allegria aveva messo il bollore al pentolone! Al centro della bolgia Nicole al suo cavaliere gli stava sussurrando qualcosa all’orecchio. Sergio annuiva svogliatamente e batterono in ritirata. Ad essi si accodarono Nuccio e Nello con rispettive dame. Tina presa dall’entusiasmo rimproverava gli altri fanciullescamente -Non avrete intenzione di fare i matusa, tutta la serata? Nello, paternamente la rassicurò -Prima lascia che carburiamo, poi vedrai come farai fatica a starci dietro!- E poi spavaldo -Per l’intanto io sarei d’accordo ad accettare l’insistente invito di Bruno di offrirci qualcosa al bar Rosy s’intromise -Veramente Bruno non s’è sentito fiatare -Non farci caso- Si affrettò a rispondere l’interessato. E’ una regola vigente tra noi due, e assegna l’incomodo, anzi il piacere di offrire, a chi è rimasto riposato. Allora posso avere il piacere? -Senza incomodo?- Chiese Sergio. -Io offro, lui paga, una cosa ciascuno, tra noi affezionati compari. Seguiteci dunque -Non me ne va bene una- Confessò Nello, mentre la comitiva rideva burlescamente. Al bar le tre donne si pronunciarono sulle ordinazioni da fare prima di accingersi ad andare alla toilette a controllare se stessero in ordine e a valutare un primo bilancio della situazione come del resto avrebbero fatto i cavalieri appena loro si fossero allontanate. Lei rimaneva interita ed assente, per Tina il viso di mela delizioso, pulito e ridanciano assicurava di starsi divertendo, Rosy pareva soddisfatta d’essersi messa con Nello e con alterezza si pavoneggiava della chioma corvina annodata a coda, a causa della lunghezza dispiegata a mo' di ventaglio sulle spalle e luccicante di riflessi. Sull’altro fronte Nuccio esprimeva titubanza se tentare di agganciarla o meno la partner, per via di trovarla troppo più giovane di lui, Sergio ammetteva di non esserci nulla da sperare da un blocco di ghiaccio e dichiarava di abbandonare il campo e di tentare la fortuna tra le amicizie riscontrate in sala. Nello cominciava a preoccuparsi e fu esplicito col solito piglio autoritario -Picciotti non facciamo gli schifiltosi, gli sfiduciati o gli arrendevoli, siamo alla prima sera e ce ne abbiamo per altre cinque. Io la troupe la debbo sistemare, non posso andare a cercare personaggi nuovi per ogni uscita, perciò fatevi sotto, datemi una mano. Compare, prova tu a sciogliere questo ghiaccio, e tu Nuccio, lascia stare i ragionamenti, non la devi portare all’altare perdio! La mercanzia è buona, cosa volete di più?- Aveva fatto lo scontrino e simulatamene arrabbiato lo sventolava gesticolante -Ingresso gratis, consumazione gratis, belle figliole, ed io a pregarvi da coglioneIn quella posizione di capo comitiva si trovava a suo agio ed il disappunto era solo la cornice alla sua vanagloria. Stava facendo il predicozzo agli scolari fiero del risultato di vederli docili ad ascoltare. Poi con un cenno del capo avvisò del ritorno delle dame ed aggiunse Contegno, ragazzi- Nel frattempo porse lo scontrino ad un cameriere indicando i beveraggi da preparare. Quando i bicchieri furono allineati sul bancone, si premurò a servire subito il gentil sesso e appresso gli altri, sommerso da una valanga di ringraziamenti, quindi alzò il bicchiere cingendo Rosy con un braccio e invitando a brindare -Alla bellezza, alla gioia della vita, alla donna, ai presenti, cin cin! Sorridenti, tutti in coro risposero all’indirizzo dell’intraprendente factotum. Accanto alla cassa, su dei tavolini giacevano sacchetti di coriandoli, stecche di stelle filanti, mascherine, trombette e cappelli in cartone di varia foggia. Bruno si approvvigionò di coriandoli e stelle filanti, chiamò le ragazze, fece scegliere un cappellino ciascuna, le dotò di munizioni così da dar inizio al bombardamento ai cavalieri, i quali corsero a provvedersi anche loro e ne nacque una chiassosa battaglia, fino all’esaurimento delle scorte. Frattanto gli orchestrali fecero pausa, i fragori cessarono, la sala s’illuminò a giorno, l’isterismo lasciò la ressa grondante di sudore. Ora però il suono delle voci, crescente per l’esigenza di farsi sentire in mezzo a tante conversazioni vivaci, barzellette e giubili innescanti esplosioni di stridule risa, dopo essere rimbalzato contro le pareti ed il soffitto, s’accavallava come un’onda sopra le teste, e andava a rompersi in frenetica gazzarra. Assorbita dal fumo quel poco d’aria, che a restare pura sarebbe stata lo stesso insufficiente al bisogno generale, era divenuta irrespirabile per i polmoni, caustica per gli occhi. Quasi sincronizzate le porte si spalancarono ed in pochi minuti l’ambiente fu rigenerato; poi quando i musici ripresero posto, le luci si spensero e il folgorato finalmente poté invitare a ballare la malinconica Giunone, furono riaccostate con una piccola fessura lasciata aperta. Sin dalle prime note della romantica melodia la baraonda si smorzò in chiacchierio poco distinto, e presto convertitosi in mormorio, andò a scemare in un sottofondo di sussurri vagante e appassionato dopo essersi mescolato ai fraseggi della pastosa musica. Le ambrate pupille di Nicole s’erano affilate in due lame ed emanavano un luccicore metallico simile a quello partitosi dalle piccole stelle di stagnola appiccicate sulla tuba violetta da lei portata con distinzione, e che al buio sembravano stare sospese. Lui aspettava zitto un cambiamento d’espressione mentre lo sguardo scivolava sui suoi tratti tristi, sull’eburneo collo, sul seno smosso appena dal respiro leggero, e poiché quello stato d’animo derivato sicuramente da grave ferita sembrava cristallizzato pian piano ne venne contagiato e decise di rompere il silenzio -Non si direbbe che tu sia uscita con entusiasmo, stasera -Entusiasmo vero e proprio no, diciamo con piacere -Un piacere molto recondito -No, perché poi? -Mi sembri triste, forse non hai trovato buona compagnia, il luogo non ti piace o chissà qualcosa è andata diversamente da come ti aspettavi -No, non c’è niente di quanto dici, è il mio carattere, sono un pochino introversa, e per questo do l’impressione di essere triste -Non credi, si debba in queste sere evadere dalla gabbia in cui siamo imprigionati tutto l'anno? Nicole accennò un sorriso di formale accondiscendenza e gli ricordò che rimaneva ancora tempo per rifarsi. Lui dal tono della risposta capì il trincerarsi della ragazza dietro una posizione di reticenza. La sentiva per intuito intanata in un atteggiamento non dettato dalla sua natura ma imposto da qualche situazione franata o vicinissima a franare, e perciò in quella condizione era più opportuno smettere di minacciarle il rifugio gelosamente difeso, e anche se avesse dovuto soffrire per non poterla rinfrancare, non sapendo il margine di disponibilità e per essere sicuro di non affliggerla maggiormente decise di non chiederle altro. Lei parve gradire tale comprensione e sentirsi più a suo agio. Il complesso stava eseguendo una melodia dolce e sentimentale, in quel periodo in gran voga. Si muovevano lentamente sulla loro mattonella con un tantino d’imbarazzo per ogni spintarella data o ricevuta involontariamente a causa del pienone, assorti, lei nella malinconia, lui nell’amarezza dell’impotenza a fugarla per la ritrosia dell’afflitta a lasciarlo tentare. E intanto il cuore si ribellava a starsene passivo, e lo spronava a prendere iniziative di qualunque genere, senza indicargli le più opportune. Esso, come la regola vuole quando si dispone a fiorire d’amore, diventa impaziente, irragionevole, impetuoso, senz’esservi verso di placarlo prima che il destinatario di quel favoloso sentimento non lo si sappia quantomeno tranquillo, per cui poco gl’importava se per l’altra parte non era più di un conoscente, ed esigeva perentoriamente l’impegno a rendersi utile. Arrivò a sentirsi addirittura responsabile della tristezza di lei, ed infelice. In quel momento desiderava poter scambiare le loro sensibilità, donandole la sua prorompente e feconda, e soffrire quella dell’amata, visto d’essere stato incapace a trovare il modo di compensarle. Desiderava cancellare quell’impronta composta, quasi regale di angustia, perché sentiva per certo che lei la subisse immeritatamente. I pensieri già correvano i cieli della fantasia a scoprire una sequenza d’immagini persecutorie nei confronti di lei, contro le quali lui indignato si scagliava con furore per sottrarla alle malvagie azioni, soccorrerla, confortarla. Con le labbra le sfiorò le guance, facendola subito scostare e obiettare -Per piacere Il gesto era stato tanto nobile quanto profonda la mortificazione del rimprovero -Scusami, non so spiegarti, è successo così stranamente... Non so spiegarti In effetti non sapeva come giustificare né con lei, né con se stesso l’inconscia iniziativa, poiché questa non poteva essere stata scelta dietro il ragionamento in quanto mal si attagliava alla condizione in cui si trovava la ragazza, e ad un animo disposto alla massima comprensione. Perciò le rinnovò le scuse, davvero dispiaciuto. Ella lo rassicurò di averle accettate. Quanta rabbia, allora, con se stesso per essersi abbandonato ad atti inconsulti dalle conseguenze d’irrimediabile respingimento, una rabbia ingiustificata poiché è l’Amore giocherellone a volerli! Sentì intenerirsi di quello slancio pieno di generosità ed anche il flauto parve provare la stessa sensazione. Egli era interamente concentrato tanto da non udire né le preghiere della signora Irene per convincere Adelina a separarsi dalla cagnetta e andare a letto, né il secco rabbuffo del padre, unico mezzo utile allo scopo. Il biancore della camicetta di Tina risaltava come uno sparato esorbitante sul petto di Nuccio e la scarsa visibilità li mostrava ancora più appiccicati; si dondolavano intenti a dolce comunicare vicino alla coppia taciturna, e la loro raggiunta intesa, faceva sentire lui più in colpa per la sua inanità ad essere di conforto a Nicole nel corso della serata. Lei non li scorse perché il suo sguardo continuava a perforare lo spessore dell’oscurità. Ricordava come ad un certo punto ebbe voglia di fuggire, e in alternativa al proposito di ricorrere ad un rimedio estremo, vigilasse sulle posizioni dei faretti, augurandosi imminente l’attivazione per tirarsi in disparte con qualche scusa e sbollire il nervosismo a cui aveva ceduto. Quando si ritrovarono tutti assieme al cenno interrogativo di Nello rispose con un altro di sconfitta e quegli sembrò saltare di disappunto, tanto che Rosy gli chiese se non volesse per caso tornare a sgranchirsi ballando dell’altro shake. Tina prese la palla al balzo e li pregò tutti di misurarsi a saltare. Sergio tornava in quel momento da un infruttuoso giro di perlustrazione. Lui colse l’occasione e li incitò -Dai Nello, Sergio, Nuccio mostrate a Tina di saperci fare, io mi debbo assentare cinque minuti, al mio ritorno voglio trovarvi infrenesiti. Col vostro permesso Così riusciva a sottrarsi ad un’influenza di tormento, e riordinare i pensieri scompaginati. Si diresse alla toletta a constatare se i graffi interiori emergessero all’esterno: mostrava soltanto un’espressione tirata. Al bar si fece servire un’acqua minerale e mentre il ragazzo la versava, seguiva con sguardo infelice l’arrampicarsi delle bollicine di anidride carbonica fino al loro scoppio, poi quando il liquido entrò tutto nel bicchiere, benché arso di sete, attese a centellinarlo ricreato dal solleticamento prodottogli tra le labbra e sul baffetto. Intanto pensava alla cotta presa alla maniera d’uno sbarbatello e non sapeva se rallegrarsene o compatirsi, poiché il disappunto per un ritorno all’ingenuità veniva controbilanciato da una feconda fiammata di giovinezza. Si portò all’estremità del vano nel punto più lontano a quello dove stava lei, e sporse la testa tra i tendaggi a cercare di localizzarla. La precauzione fu inutile, l’intermittenza dei lampeggi non consentiva a distinguere oltre qualche metro. Se ne stette ugualmente lì, in castigo volontario, fino a che l’orgoglio di non arrendersi con la fuga lo spronò a ripresentarsi. Non riusciva a scorgerli, forse s’erano spostati. Una mano gli prese il braccio: era Nello a tirarlo nella ressa e appena l’ebbe condotto in mezzo a loro declamò molto sicuro del ruolo ritagliatosi -Fate largo a mio compare intenzionato a farci vedere la mossa Tina la più intenta a divertirsi gli fece coro sganasciandosi dalle risa -Largo a Bruno, forza Bruno! Lui preso alla sprovvista sculettò marcatamente per ben tre volte, le braccia tese verso l’alto e compenetrato al massimo, con gran divertimento di Tina in particolar modo. Poi si dispose a fare circolo. Si volse a guardare lei. Le trovò un accenno di sorriso sulle labbra che non era solo di circostanza. Continuarono a far ginnastica per smettere assieme agli orchestrali con la successiva pausa. Erano accaldati, sudati ma non stanchi. Nuccio accostatolo fece l’atto di dirgli qualcosa all’orecchio. Rosy e Tina protestarono perché volevano sentire. Nuccio le tranquillizzò -Stavo chiedendogli l’indirizzo del ballerino avuto a maestro -E’ un dono di natura, caro Nuccio, nelle cose ci si nasce- Ribatté prontamente lui. -Perché, cosa ci volete dire?- S'intromise Nello -Mio compare è un ballerino nato -Certo compare, ognuno la sua, chi la danza, chi il pallone, chi i pennelli e chi... il fascino- Concluse battendogli una nano sulla spalla e facendo finta con l’altra di levarsi il cappello. -E’un rubacuori, parola mia- Convenne Rosy -Vedete, anche lei ci si mette. Piuttosto non la sentite la gola secca? Qual’era quel gioco di poco fa compare? -Adesso, ritrovandoci tutti strapazzati bisogna farne un altro -Stavolta offro io- Si premurò Nuccio. II bancone era stato preso d’assalto, sì pure la ritirata. Loro continuarono a scherzare mentre aspettavano che la situazione migliorasse. Finalmente quando furono di turno, si dissetarono, si rassettarono, la musica riprese, guardarono l’orologio, e Nicole ricordò a Rosy d’essersi fatta l’ora di rientrare. Questa si consultò con Nello il quale rispondeva -Va bene, s’era detto di dovercisi ritirare non tanto tardi. E’mezzanotte e dieci, stiamo un altro quarto d’ora e si va. Faremo a tempo di essere a casa per l’una- Poi interpellò gli altri, fino a quel momento ignari e come se volendo avessero potuto cambiare una decisione già stabilita Siamo tutti d'accordo? Cos’altro restava da fare se non guardarsi l’un l’altro stupiti di tanta faccia tosta? Le nuvole s’erano dissolte, la volta azzurro intenso, trapuntata di stelle e rischiarata al centro dalla luna, spandeva a profusione il rigore notturno della prima metà di febbraio, e lì all’aperto se non fosse stato per le larghe e folte fronde degli alberi del lussureggiante giardino atte ad opporre un riparo alla tramontana, si correva il rischio di cadere stecchiti dal gelo. Arrivati a metà viale, poiché la direzione del posteggio delle macchine li divideva, si salutarono frettolosamente ed ansiosi di raggiungere il rifugio. Non c’era motivo di scendere tutti a... per riaccompagnare le ragazze, poiché una sola macchina bastava. A lui restava lo stereotipo sorriso di Nicole per tutte le circostanze, anche in quella del saluto finale, e l’arrivederci così condito gli parve avesse poche speranze di realizzarsi. Però lei s’intrattenne a far compagnia ai suoi pensieri sbrigliati in galoppo. Essi rincorsero immagini di favola riempite di loro felici assieme, fino a quando coricato non si addormentò all’ombra di un’oasi coccolato da oniriche suggestioni. L’intero giorno aspettò inutilmente la telefonata di Nello. Contava su quanto questi avesse detto la sera avanti al bar, e cioè d’aver programmato di non mancare ai veglioni fino al martedì. Cominciò a rassegnarsi, dopotutto da come era partito, forse lo stop non capitava per nuocergli. Il sabato non fu più propizio, e sebbene il recente incontro gli procurasse ancora nostalgia, appena il ricordo si affacciava, subito lo sopprimeva con altri pensieri. Era come il bambino impegnato vanamente ad inseguir la gibigiana, il quale dopo diversi tentativi malgrado sia diventato quello di catturarlo desiderio più grande degli altri, resosi persuaso dell’inafferrabilità del riflesso, ad ogni nuovo assalto della tentazione, lo guarda fuggevolmente deluso, per volgere infine l’attenzione a svaghi più tangibili. La domenica dopo essersi levato da tavola proprio in quel momento, gioì a dover accorrere al trillare del telefono. Nello gli chiedeva di vedersi: ci potevano essere novità. Lui, preoccupato che conosciuta la sua vera aspettazione avesse potuto finire per essere involontariamente confidata a Rosy e di conseguenza arrivare all’unica persona a cui non avesse dovuto, per non farla sentire maggiormente incoraggiata a restare insensibile più del necessario alle future avances, e seguire la tanto deprecabile vanità femminile di godimento nel veder soffrire lo spasimante, sempre, qualora ci fosse stata l’occasione e ne fosse interessata, diversamente da quanto fosse rimestato dentro, si mostrò apatico a bella posta. -Senti- Insistette Nello -Non ti ci mettere anche tu -Perché chi altri?- Lo interruppe lui. -Dico così, in generale; mi fanno diventar pazzo. Si doveva uscire il venerdì, fino all’ultimo sulla corda, poi non se ne fa niente. Ieri mi hanno trascinato in una villa fuori città, in mezzo a gente sconosciuta. Ci ha portato Nicole. Ha ragione Sergio, quella è intagliata nel ghiaccio. E’ una balena. Porca miseria, tutta d’un pezzo! Oggi hanno intenzione di far follie. Vorrebbero essere portate a Taormina. Tu che ne pensi?- Concluse artificiosamente contrariato. Lui avrebbe voluto poter mollargli un bel cazzotto di presenza per quel termine irriguardoso usato nei confronti di chi gli faceva vedere solo sublimità. Ma dovette subirlo impunemente non avendo alcun titolo per chiedergli spiegazioni e sebbene l’amico gli sembrasse ugualmente detestabile in quel momento, rispose con un’altra domanda -Perché lo chiedi a me? -Ho bisogno di sapere se tu sei disposto a spingerti sin là -Già, quando si tratta di mettere una toppa, c’è Bruno pronto -Compare, io non c’entro. Ieri Rosy mi disse di andarla a prendere e basta. Forse l’invito era anche per te e gli altri, ma lei aveva capito a quel modo. Comunque pensiamo al presente, suvvia deciditi -Non sono tanto convinto -Ma è necessario convincerti, non puoi scombussolare la serata! -Questa è divertente davvero. Adesso sono diventato io il direttore del traffico -Compare bello, è un favore che ti chiedo. Tu mi aspetteresti con la macchina appena dopo l’immissione sull’autostrada direzione Taormina, e tutto sarebbe risolto. Andrò solo io a prelevarle. Questa sera esce anche la sorella, una ragazza interessante Lui sospirò di proposito mentre l’altro riprese ancora più incalzante -Allora intesi? Segna questo numero telefonico, dovrai chiamare Nuccio alle diciotto e metterti d’accordo con lui. Non ci dovrebbero essere contrattempi, in ogni caso li saprai attraverso Nuccio. Bene, ti saluto, a stasera e grazie -A stasera- Convenne lui, sconcertato da tanto spirito d’iniziativa. Regolarmente aveva preso l’impegno prima di consultarlo, e se fosse andata male con qualcuno di loro, avrebbe bussato altrove fino a trovare la sostituzione. Compose il numero di Nuccio con grande palpitazione. Temeva che qualunque imprevisto mandasse all’aria tutto. E quando all’altro capo con voce baritonale, quello gli chiedeva se andasse bene alle venti e quarantacinque sotto casa sua, si era abbandonato talmente alla gioia, da dover essere chiamato più volte prima di rispondere. Un ardore insospettato gli si propagò dentro, promuovendogli la constatazione di essere in forma eccezionale. Mentre si preparava, fischiettando e canterellando, la madre dalla porta socchiusa della sua stanza, affacciò la testa e si complimentò -Abbiamo il canarino in casa. Immagino stia per prendere il volo, e la notte la facciamo giorno, non è vero? -Alla faccia degli invidiosi- Le rispose, correndo a pizzicarla affettuosamente su una guancia e invitandola ad uscire con lui -Preparati anche tu, ti porto in un locale scicche -A far le ore piccole. No, grazie non va per me. Preferisco il calduccio delle coperte alle sfrenatezze di voi giovani moderni. Ai miei tempi c’erano ben altri divertimenti, quando si riusciva a non rimetterci la pelle. Del resto meglio così- Concluse con l’abituale tono di bontà. Ella con i figli finiva sempre per condiscendere specie nelle occasioni come questa propizia a mostrarglieli pieni di entusiasmo, a differenza del padre poco tollerante e brontolone. Nel frattempo Mario, il piccolo della famiglia, rincasato anch’egli presto per altrettanti impegni di mondanità era entrato nella stanza. Divideva il vano con lui da quando aveva ritenuto di rinunciare per amore di pace all’altro completamente a sua disposizione, ma attiguo a quello del fratello maggiore, un inveterato musone pretenzioso di dettar legge. Era successo che una sera Mario, rincasato tardi come d’abitudine, aveva dovuto incassare una sberla per aver svegliato l’arcigno censore con la luce, tenuta accesa i pochi minuti occorrenti a svestirsi e mettersi a letto. Ora, essendo le porte dei due vani una a vetri e l’altra in legno, non si capiva come il chiarore propagatosi attraverso la prima avesse potuto perforare la seconda, spingersi fino al letto e disturbare il sonno dell’occupante, ipersensibile che fosse! Con lui non era sorto alcun problema sin dal primo momento della coabitazione, e pur andando a letto ad orari differenti e nella stessa stanza, non erano mai sorte lamentele di alcun genere da uno dei due contro l’altro. La verità quindi era stata ben altra. In effetti l’impiccione, richiamandosi a sepolte consuetudini di primogenitura, aveva voluto punire l’abitudine dello scapestrato(!) fratello di ritirarsi alle ore piccole, passandola liscia grazie alla superiorità d’animo di quest’ultimo. Acqua passata! Ritornando a Mario, appena mise piede in casa, annusò odore di preparativi, quindi si premurò ad invitare il concorrente ad esser comprensivo nell’uso del bagno. La madre rimasta in piedi in mezzo la stanza a godersi lo spettacolo della negoziazione degli accordi, per gioco gli rifilò una pacca sul sedere ed esclamò –E’ scoppiata un’epidemia! Mario corse ad abbracciarla, la strinse al petto ed insieme fecero qualche passo di danza. La signora Anna cercava di svincolarsi, vanamente, fingendo irritazione fino a quando non sbottò a ridere ed ebbe allentata la presa. Appena poté parlare si rivolse a tutti e due -Mi raccomando, non perdetene una Mario le ricordò ch’erano tre sere soltanto fino a martedì. Ella aggiunse -Va... va... è meglio che me ne vada in cucina. Vostro padre ed io fra mezz’ora ceniamo, se credete onorarci! Risposero di sì, comprendendo dalle parole di lei, la sua contentezza -Non tutti i mali vengono per nuocere! Con l’occasione stasera ci ritroviamo a cenare, assieme, chissà dopo quanto tempo- Concluse, e mentre Mario passandole accanto le restituiva la pacca, lei iniziò una corsetta per sottrarsi ad altri vezzeggiamenti. Sembravano gattini far le fusa: erano rimasti ancora fermi al tempo in cui madre e bambini amoreggiano scambievolmente, e malgrado i molti anni trascorsi da quei giorni lontani non provavano inibizioni, ritrovando i figli, la stessa dolcezza di tante dedizioni incarnata in una sublime figura pienotta, ma leggera. Ella era il centro catalizzatore dove gli affetti andavano a confluire per vitalizzarsi e se ne ripartivano più vigorosi a sostenere i rapporti con gli altri membri della famiglia. In quanto a parchezza si sentiva appagata con poco più di niente, in ogni evenienza sapeva dare un contributo, era sempre disponibile, e il suo diletto maggiore stava nel vedere lieto il prossimo: madre, moglie e donna impareggiabile, rispettosa con la tradizione, poco istruita, credente, senz’essere codina, né incolta o bigotta. Lui chiese al fratello dove fosse diretto. Andava, ad un veglione del luogo. Allora gli venne l’idea di proporre lo scambio delle macchine essendo l’altra sportiva e più adatta all’umore del momento, e fu contento di trovare in Mario piena accondiscendenza. Così decise d’indossare uno spezzato per calarsi ancora meglio nell’atmosfera giovanile... L’ansia e soprattutto l’entusiasmo di quei tempi lontani finirono per annoiarlo. Il fiato si era affievolito e lo strumento sonnecchiava quanto lui... La vita di campagna con l’incanto delle albe, il profumo della natura, la varietà delle colture nelle piccole proprietà di Enzo sparse in un circondario di una ventina di chilometri, ed i pascoli della piana, gli alberi del basso pendio, i boschi in collina, e le acque terse del fiume saltellante, i primi tepori, le brezze della sera mentre stava seduto su un muretto o sdraiato ai suoi piedi, e lo stesso lavoro con l’esercizio sempre meno affaticante e vieppiù salutare, finì per affascinare Bruno sino ad allora intontito dalle convulsioni della civiltà. E ancora gli spostamenti sul camioncino ridotto ad una vecchia latta, ma con un motore pimpante, occasioni di divertenti sballottamenti su strade polverose, le improvvise visite di Nichitta, sul fondo anche il più distante, scappata ai suoi innamorati persecutori per nostalgia dell’unico suo vero amore, la soddisfazione di notevoli miglioramenti nelle esecuzioni musicali, la fraterna amicizia di Enzo tenace ad insistere perché oltre il mantenimento primario accettasse una paga pur se modesta, poi andata a finire spesa regolarmente per intero in regali per tutti i membri della famiglia, l’affezionarsi reciproco con i pargoletti, la cortesia della signora Irene diventata spontanea man mano che si era rinfrancata sul suo conto, e aveva abbandonato l’urtante piglio di ammonimento apparendo automaticamente più bella, tali distensioni e favorevoli concomitanze ben presto sortirono l’esito sperato di assaporare sprazzi di tranquillità. Inoltre con la scoperta nel magazzino degli attrezzi di un ciclomotore quasi nuovo, abbandonato e sommerso di ragnatele in un angolo e il permesso di usarlo, alla pace ritrovata aggiunse un pizzico di letizia, specie la domenica quando con insistenza i discoli, vinte le resistenze dei genitori, dopo mille titubanze e altrettante raccomandazioni a lui di stare ben attento, ottenevano l’assenso di farsi portare sul sellino posteriore. In quelle occasioni poteva assistere alla traboccante felicità di bimbi e cagnetta. Quindi dopo averli accontentati, ottenuto il loro beneplacito, aspettando che Nichitta fosse trattenuta per non seguirlo malgrado il caparbio divincolio, poteva allontanarsi con le sue carte e strumento, arrampicarsi sui monti, andare a sedersi sotto un ilice, un cerro o un pino, e infondere nella quiete circostante la dolce espressività di eterne melodie. Le note s’involavano pure, però finivano per intristirlo specie quando gli richiamavano la madre lottante a trattenere lo sfogo del pianto nei frequenti assalti di nostalgia, per non irretire il consorte capace di assorbire la vicenda come un estraneo. E siccome quegli sfoghi in parte li sollecitava la presenza dell’inflessibile vecchio con la sua dura maschera e odiosa posa d’impermeabilità, la sfortunata donna aveva a soffrire doppiamente. Decise di scriverle presto, usando un piccolo accorgimento per non farsi localizzare e convincerla di essersi sistemato affatto bene. Avrebbe preso un giorno di permesso per recarsi nel capoluogo ad impostare la lettera. Forse la madre avrebbe creduto alla bugia d’una buona occupazione trovata, e in parte si sarebbe acquietata. Almeno doveva tentare di risollevarla in qualche modo ed illudersi d’esserci riuscito per placare il dente del rimorso attivo a morderlo impietosamente, nel ripassare gli ultimi tempi in particolare, quelli in cui alla paziente madre aveva riservato oltre agli atteggiamenti di freddezza diventati consuetudinari, risposte sgarbate -Oh, madre eroica! Oh, ingratitudine di figlio snaturato!- Esclamava soffrendo. Poi cercando scampo al dolore si imponeva di pensare ad altro, e immancabilmente andava a ricollegarsi al punto in cui aveva interrotto la rievocazione della sua disgraziata vicenda sentimentale. Lui e compagni aspettavano da un bel pezzo dentro la scatola rosso fiammeggiante, sulla corsia d’emergenza, e già si cominciava a paventare un contrattempo. Lui a differenza degli altri, allegri a scherzarci sopra, si rodeva il fegato e preferiva in silenzio ingoiare l’amaro sapore d’una esigua speranza, piuttosto di scacciare le prefigurazioni tutte di felicità sfornate dalla sua mente dal momento in cui s’era dato il via all’imminente nuovo incontro. Constatava pure a quale distanza il presente stato d’animo si fosse portato dal precedente. -A questo punto scommetto dieci contro uno di avere più possibilità di vedere Taormina in cartolina- Pronosticava Sergio mentre lui a scongiuro la mano portava al basso ventre e Nuccio rispondeva di avere perso la scommessa poiché un lampeggiatore in quell’attimo aveva preso a segnalare la volontà di accostare. Lui trattenne un grido di esultanza e si precipitò a scendere dalla vettura per la fretta di rivederla. Nello si lagnava ancora della puntualità messa sotto le scarpe dalle donne, e dentro l’abitacolo le precisazioni presentate da tutte contemporaneamente si aggrovigliavano incomprensibilmente. Il viveur s’impose al vivace cicaleccio per dichiarare l’impotenza dell’uomo dinanzi alla comune caratteristica femminile -Vedi compare, hanno tutte da giustificarsi. Questo cosa vuol dire, se non che sono maggiormente colpevoli? Noi uomini abbiamo un triste destino, pazienza! Allora le sorelle le porti tu, e Nuccio viene con noi. Ci vediamo al bar della piazza, dove possiamo prendere il caffè indispensabile dopo tanto stress -Mi sta bene- Convenne lui, e dopo l’effettuazione del trasbordo riprese la marcia completamente ritrovato. Ora lei stava spiegando il motivo del ritardo. Nello aveva capito di andare a prendere le ragazze con ordine invertito, così arrivò da Rosy con buon anticipo, dovendo attendere parecchio, mentre loro erano pronte. Si era stabilito a quel modo per sfruttare la vicinanza della casa di Rosy con l’imbocco allo svincolo dell’autostrada e non sprecare inutilmente tempo. Invece con Rosy e Tina pronte, dovettero ancora spingersi sin da loro e ritornare per lo stesso percorso. Sergio intervenne poco convinto -Ma informato da Rosy dell’equivoco, avrebbe potuto correggersi venendo subito da voi! -Sì, è vero questo, se non avesse preferito salire in casa con la scusa di farsi offrire il bicchierino e curiosare- Graziosamente rivelò Nicole il malizioso intendimento di Nello. -Ora capisco- Aggiunse Sergio -E tu Bruno cosa ne pensi? -Io avevo capito prima di sentire -Senza sapere?- Gli chiese Nicole sconcertata. -Non conoscevo la vicenda, ma il tipo a cui appartiene Nello, sì, perciò non mi era difficile prevedere da dove fosse partita la stonatura -Hai una buona stima del tuo amico- Intervenne Anna fino a quel momento quieta ad ascoltare. Sergio si affrettò a spiegare l’importanza delle curiosità nutrite verso la donna con cui ci si è messi assieme, in sostanza determinanti a tener vivo il rapporto. Nicole forse per non approfondire il discorso o per effettivo desiderio, domandò se non desse disturbo il fumo. -No, anzi ne approfittiamo anche noi- Rispose Sergio, estraendo il pacchetto di sigarette ed offrendo agli altri. A quell’ora, quasi le ventitré, il locale era stracolmo e l’ingresso riservato a coloro già prenotati; pur nondimeno otto persone lasciavano una bella sommetta con i biglietti molto salati, e dopo tante preghiere furono accordati. D’altronde bastava loro un angolino dove mettere le borsette, dal momento che avevano da dar fondo alle energie ancora intatte, poi con il sopraggiungere della stanchezza ci sarebbero state le prime partenze, e magari a turno un posto avrebbero trovato per riposare. Tornati dal guardaroba, restarono nella terrazza arredata ad intrattenere, coperta e chiusa a vetri nel lato dell’esposizione a mare, risultante il più lungo. Nella sala interna attorno alla pista rettangolare il pavimento era rialzato di circa mezzo metro e pochi gradini per parte, appena si entrava, portavano alle due ali spaziose, redimite da un’elegante ringhierina di ottone e occupate da tavolini. Sullo sfondo vi erano sistemati gli strumenti dell’orchestra. La sala era tanto gremita da diventare un’impresa guardarvi dentro. I ritardatari scorto dello spazio vuoto all’estremità di un divano, ottennero dagli occupanti il permesso di posarvi i loro accessori e appena si furono liberati, si avventurarono nella mischia. Lui con Nicole tra le braccia si sentiva padrone del mondo. Si era ripromesso di non commettere passi falsi, ma nello stesso tempo era deciso, qualora si fosse ripresentato, a strapparla al suo rodimento. Il ritmo lento e l’immedesimazione delle coppie alle blandizie dell’armonia gli davano l’occasione per aprire una conversazione stimolante, dalla quale dovesse uscire fuori la causa della ricomparsa afflizione. L’aveva portata al punto in cui lei faceva fatica a dissimulare l’imbarazzo e doveva decidersi tra lo sbottonarsi o il riprenderlo severamente, ipotesi comunque da lui non paventata, sia per la sottile diplomazia con la quale stava conducendo l’esplorazione, sia per una migliorata disposizione ad essere accettata, e mentre l’ultimo residuo di titubanza lei pareva volesse accantonare, intervenne il disc-jockey a coprire la prima pausa dei musicisti presentando con parlantina mirabolante i più recenti brani di successo internazionali, ovviamente, tutti arrabbiati secondo la moda, e a volume intollerabile. Lui imprecò in cuor suo preoccupato dell’intromissione inopportuna dalla quale pareva uscirne vanificato il raggiungimento del buon esito sentito già a portata di mano. E in effetti fu cosi. Nicole invece parve accoglierla come un segno premonitore mandato in extremis dall’alto a trattenerla dal confidarsi e di colpo diventò più antipatica della prima sera, e mentre gli altri della comitiva allegri si divertivano, lui ricadde nell’avvilimento. Quando la discoteca staccò decisero di recarsi al bar a consumare, poi Nicole presa dal divano la borsetta si diresse alla toletta. Lui intanto ancor più giù di tono provava fastidio della giocondità degli altri, ed appena il complesso riprese con romantici motivi, si consegnò alla tristezza. Desiderava esser solo e lontano da lì. Pazienza ormai doveva continuare a soffrire sino in fondo, però guai al compare se si fosse arrischiato a riproporre ulteriori riunioni con le stesse persone. Aveva deciso con fermezza tanto più per sentirsi poco alla volta disamorato dall’atteggiamento della ragazza, o almeno così s’illudeva, per farsi coraggio. Già coloro condizionati dagli impegni del lunedì cominciavano a lasciare il locale: la notte senza farsene accorgere aveva inghiottito la prima ora del nuovo giorno. Per quanto riguardava la comitiva in fase di armonizzazione quasi tutti potevano indugiare a sazietà, poiché Nello impiegato alla provincia e Nuccio in un’azienda privata avevano dato un piccolo taglio alle ferie per i culminanti giorni di carnevale, Sergio era disoccupato, delle ragazze anch’esse senza un lavoro, le sorelle avevano avuto accordato il permesso dai loro genitori, Rosy dopo la separazione dal marito e la sistemazione dei due figli presso i nonni, era autonoma tanto da essersi messa in casa Tina per non vivere da sola. Soltanto lui avrebbe dovuto presentarsi più tardi al posto di lavoro per riprendere servizio all’ora abituale. Ma in qualità di scapolo era abituato a simili evenienze, e se cominciava ad auspicarsi la conclusione della serata, il motivo risiedeva nell’essere caduto nell’uggia, viste sfumare le aspettative dopo un avvio promettente, durante il quale aveva saputo interessare la preda malauguratamente distratta proprio nell’imminenza dell’abbocco di conseguenza repulso, con un improvviso e frustrante cambio di decisione. S’accorse di essere stanco senza capire la falsa interpretazione del suo stato, poiché quella sensazione scaturiva da una depressione esclusivamente dello spirito. L’onda dentro la quale si cullavano le coppie la giudicò malinconica, mesta la melodia. Si stropicciò gli occhi e sbadigliò debolmente, infine ricordò d’essere fumatore e ne fu sollevato. Mentre stava accendendo gli fu bussato alle spalle: era Franca un’ex fiamma di suo compare ad averlo scorto impalato sul limitare delle due sale. Si salutarono cordialmente ed iniziarono una briosa conversazione, di quelle avute a cuore alla donna simulatamente sempre allegra, come l’ambiente che mostrava prediligere, il mondano, quasi le imponesse e la condannasse ad attingere costantemente ad una gioia bugiarda, a copertura del vuoto in cui andava scivolando ogni giorno di più. Suadente con l’interlocutore, irridente verso i lontani destinatari della conversazione, in effetti era incapace a provare per chiunque affetto, stima o semplice ammirazione. Maestra dell’affettazione, innamorata dell’illusorio e dell’effimero, la vita aveva sciupato dedicandola alla vanità, ed or che l’età cominciava a segnarla vi si applicava con più rigoroso zelo affidando al vestire, al trucco ed al portamento sofisticata ricercatezza. Assieme a buona istruzione snocciolava una facile parola e a seconda dell’intenzione complimentosa, intellettualistica o dissacratoria per via della devozione all’esibizione, non riusciva ad evitare in ogni circostanza, rispetto la giusta misura, un pizzico in più di smanceria, di prosopopea o di volgarità. Minuta di complessione, la statura prendeva slancio da alti tacchi, e gli attributi sensuali interesse, dall’indossare un elegante moerro croceo satinato, a onde nocciuola. La folta, cuprea chioma, trattenuta da un ampio crinale di rodoide laccato in analogia alle pietre di crisolito della parure ed alle piccole pupille verde smeraldo, le illuminava il faccino con diligenza restaurato, meglio del costante abbozzo del sorriso fittizio increspato sulle sottili labbra imporporate di rossetto. Nell’abbigliarsi la regia era stata attenta ma non sufficientemente sapiente a causa del gusto manierato inidoneo a sconsigliarle di adottare composizioni più sfumate di colori onde evitarle di assumere reputazione di donna di cornice della quale pareva compiacersene sino a sentirsi pienamente realizzata secondo la propria filosofia paga di codesto status degno di essere invidiato. Di ritorno dalla toletta, per la calca dei danzatori, Nicole non poté impedire di schisare i due intenti a scambiarsi piacevoli convenevoli ed alla disposizione di lui a congedarsi appena si accorse della sua ricomparsa ella fu pronta con un cenno della mano a esimerlo dal servire la buona creanza di tornare a tenerle compagnia. Lui fu grato della concessione ricevuta se non altro per distrarsi dal senso di abbattimento di cui era divenuto prigioniero, e non ci volle molto a riuscirci e a prender spigliatezza appresso la rievocazione aggradita sia a lui sia a Franca di ancor fresche vicende, corredata da saporiti commenti, e impostasi d’autorità data la presenza nel locale dell’altro protagonista. Istintivamente senza consulto alcuno, si trovarono a trescare al centro della pista, molto affiatati da trarne vantaggio lo stesso ballo. Ella divenne eterea al massimo, quasi una libellula, provando tutte le figure in grado di appropriare al ritmo in corso, e sospinta più che da infuocata passione dalla voglia di lanciar messaggi, le movenze caricava di ardente audacia. Lui fugò l’imbarazzo condiscendendole per quanto potesse poiché l’amica era assai valente, e senza sfigurare, grazie ad una straordinaria ispirazione e ad un forte desiderio di dare risposta. Finirono per farsi ammirare, forse qualcuno ne invidiò l’intesa! La sofisticatissima dama continuava a porgergli all’orecchio battute del tipo -Mi piangeva il poveretto. Voleva la prova del mio amore per lui. Cercava di prendermi per i fondelli, e darmi la fregatura. Io la do a chi dico io. Per il solo godimento, sono sicura di trovar di meglio. Dietro ognuna faceva seguire una risata schernitrice, la quale sembrava l’unica manifestazione di genuina schiettezza alla sua portata. Comunque si stufò presto di quel canovaccio, per cui d’improvviso strusciò sulla guancia del partner la sua, resa untuosa dal capolavoro pittorico, e lo salutò per andare a ricongiungersi ad amici affatto incuranti della sua assenza. Lui tornò in seno alla comitiva generosa di ludica accoglienza. Si prese del Casanova, senza minimamente scomporsi. Scostò poi apaticamente il polsino della camicia indicando agli altri la posizione delle lancette dell’orologio. Nello propose di entrare un’ultima volta nel vortice del veglione e spingendo Rosy dalle spalle verso un punto più rado della sala, passandogli davanti, infilzò il compare con un’intensa occhiata carica di significati. Sfilarono Nuccio, Sergio, Tina e Anna, motteggiandogli ognuno un furbo risolino d’intesa. Rimasto solo con la sua aguzzina, ebbe l’impressione di notare un leggero disgelo sulla banchisa delle pupille ora decise a disciogliere i balenii taglienti in riflessi adorei e confortevoli. Tuttavia dubitò ancora un momento prima di ricordare che gli occhi sono lo specchio dell’anima, e poiché in quel momento vi scorgeva un’ineffabile bellezza si sentì felice come non mai. Provò la leggerezza di un attimo di deliquio e credette di abbracciare l’universo intero, poi si abbandonò al godimento del tepore fluente nelle vene. Tradito da improvvisa afasia invitò la ragazza con l’aiuto della mimica. Ella accettò con un sorriso finalmente amico... ma non rinunciatario alla vendetta. Infatti ballava conficcandogli sguardi acuminati. Ogni tanto lo trafiggeva con velenose battute, provava a schernirlo con sorrisi canaglieschi, e ancora alludeva, ironizzava, provocava, riuscendo a trascinarlo in una gara di sottile sfottò reciprocamente soddisfatto e regolato ad un’apparente indifferenza, sorvegliata dall’autocontrollo in assenza del quale sarebbero sembrati due ceci dentro una pentola d’acqua bollente. Sulla macchina invece, pronti per il rientro, la ruggine cominciò a scrostare pian piano, il discorso diventò più morbido, il sarcasmo, ilare spensieratezza. Un’inopinata dolcezza a dispetto del ben dissimulato proposito di soffocarla, affiorava leggera ed esitante come acqua dalla roccia sgorga fresca e pura, rimuovendo l’ingiustificata acredine, le baruffe d’orgoglio, gl’inutili tentativi di dimostrazione d’una superiorità di sé nei confronti dell’altro. Nicole sciolse la favella come voleva il suo vero carattere improntato alla sincerità, porgendola con la soavità di cui era dotata, al contrario della sorella più riservata e circospetta, ostinata ad assentire con brevi mormorii all’infaticato, sommesso gorgogliare di Sergio. Lui si era adagiato ad ottenere dall’apparato uditivo il respingimento del monotono ronzare di quello e si deliziava ad assorbire solo ed interamente il suono della voce di Nicole come appresso ad una canzone in cui per la gradevolezza delle note si privilegia la musica al testo. Questo suo vagar di fantasia gli procurò qualche rimprovero dopo esser stato scosso dalla castalia diva per fargli capire di essere in attesa di una risposta ad un quesito posto, e lui era rimasto a guardarla imbambolato, ammettendo la distrazione. Allora s’affrettava a scusarsi e la pregava a riprendere promettendo maggior attenzione, e malgrado in effetti si sforzasse a concentrarsi per seguirla compiutamente, presto ricadeva nella melomania. Dopo ripetuti inviti disattesi la ragazza tacque irrimediabilmente, invano supplicata. Ella pensava che la storia della sfortunata esperienza del suo matrimonio avvilisse nell’ascoltatore l’ardore sin poco prima manifestato, non immaginando invece il motivo per cui il presunto deluso corteggiatore non si ritrovasse più in se stesso e da addebitare all’avvampare del sentimento seguito ai positivi sviluppi della situazione, per cui quando la scongiurava di non punirlo con il silenzio, non parlava sotto dettato dell’ipocrisia, ma sinceramente. Si era creato uno di quei quiproquò utile alla cementazione di una relazione specie sentimentale, in quanto a chiarimento avvenuto, per riparare all’errato convincimento di sfiducia, l’animo umano ad espiazione della sciocca superficialità è portato a ripagare con la concessione d’una stima molto profonda, sino a diventare illimitata ove la supposta indifferenza risulta esser stata somma considerazione. Nicole infine si decise a credere al rammarico del guidatore pericolosamente svagato, depose la ritrosia a continuare a raccontare e gli ripropose una delle domande non recepite e per lei particolarmente assillanti. -Desideravo sapere cosa tu pensassi di una ragazza con un figlio Lui la degnò di un rapido sguardo, impegnato com’era a seguire una curva, poi innestata la marcia più lunga, onde evitare, accelerando, l’imballarsi del motore, tornò a guardarla con uno schietto sorriso, mentre lei stava sulle spine, esprimendole finalmente il suo vero convincimento -Io credo sia una ragazza come tutte le altre -Già, cosa potevo aspettarmi- Ella aggiunse alquanto delusa. Lui iniziò allora a spiegarle la sua fede nell’emancipazione della donna con calorosa e meticolosa enunciazione da guadagnarsi diletta ammirazione. Il miele scorreva nelle pupille della ragazza ed il cuore cominciava a schiudersi come una rosa scarlatta, destinata segretamente all’anelante cavaliere… Fuori dall’autostrada la città, emergendo dalla tenebra notturna si muoveva incontro a loro dilatando a tal punto la mole da sovrastare la vettura e farla sembrare un insetto minacciato alla ricerca di scampo, in un labirintico intreccio di vie sonnolente, fino al suo arresto in segno di resa. Seguì il momento del congedo, patito con malinconia dalla coppia confidente in un prossimo avvenire di felicità, accolto invece dall’altra provvidenzialmente da liberatore delle autopunizioni assunte per ingannare l’imbarazzo, consistenti nell’impegno a cicalare di Sergio, sfortunato anche con la sorella, contro l’arroccato, quasi muto acconsentire d’una stoica ascoltatrice. La robusta stretta di mano tra lui e Nicole, suggellò la decisione a frequentarsi. Le poche ore rimaste della notte lui le dormì malamente perché all’esigenze fisiche prevalsero quelle interiori, inflessibili a voler permettere la sospensione delle riproposizioni dell’incerto procedere di Nicole verso la decisione presa. Immaginò i timori da cui era combattuta. Per ognuno di essi udiva il suono prodotto dal tinnulo bussare nel cervello della sfortunata ragazza, al quale rispondeva sordo il palpitare del cuore, e vedeva sotto il velo calato sul viso, nell’espressione corrucciata, la contrarietà di subire i tentativi di ribellione, e la restaurazione dell’angoscia, seguita infine dal miracoloso diradare per via dell’esorcizzante mediazione da lui ben condotta. A seguito di tale successo si umettava le labbra soddisfatto, mentre una bruma passeggera lo avvolgeva rimestandolo pigramente con un’altalena di spossante dormiveglia tra preoccupazione e piacevolezza del fantasticare. Non vi fu censura per lo scarso, improduttivo lavoro della giornata, facilmente giustificabile dalla comoda disorganizzazione in cui in linea con gli altri reparti versava l’ufficio d’amministrazione dell’opificio. Però, sebbene non dovesse dar conto di diligenza, chiese lo stesso un giorno di permesso per le Ceneri, poiché in vista della reiezione del letto per la notte del martedì, desiderava sottrarsi ad un’altra inutile sofferenza di cascaggine, con poco evitabile. I compari s’incontrarono al bar, dopo il pranzo, a prendere il caffè. Nello non perse tempo a chiedere il resoconto dell’apparizione di Franca -Cosa voleva la smorfiosa troietta? -A me non ha chiesto nulla. Si parlava del più e del meno -Con quell’aria di sufficienza! No, mon beau compère io conosco bene la putaine. Era in vena di dileggio e potrei anche indovinare cosa è stata capace di vomitare -Suvvia, Nello, tranquillìzati. Ti dico di aver fatto solo due chiacchiere e basta -O. K. sarà come tu dici- Gli concesse roso da un livore compresso, ma così cospicuo da esorbitare dagli occhietti di faina dando l’impressione di espandersi attraverso la leggera colorazione dei vetri della lente. La faccia gli si appuntì in ogni angolo, le labbra diventarono secche e livide -Però- Aggiunse -Ci credo poco, perché quella è il tipo di donna che non sa perdere, e per rivalersi è capace della qualsiasi Cercava di mettere le mani avanti e creare una disponibilità al dubbio su qualunque cosa Franca avesse potuto confidare, e ci sarebbe pure riuscito se non fosse stato smentito miserevolmente dal viso così tirato ed dall’artefatto sorrisetto a cui in ultimo aveva affidato la speranza di dar successo all’imbonimento -Comunque sia- Riprese dopo un breve, torrido sospiro -Questa sera ci si muove verso la collina. Vogliono andare ad ascoltare quel complesso in voga in esibizione al cinema di T... E’ sicuro, però fammi un colpo di telefono quando esci dall’ufficio. A quell’ora sono a casa. Io intanto mi metto all’opera per rimpiazzare Sergio decisosi a volersi staccare, per fortuna, detto tra noi, in quanto le ragazze mi avevano fatto capire molto diplomaticamente che una sua casuale defezione non avrebbe procurato le stesse preoccupazioni che si sarebbero determinate con l’assenza di uno degli altri tre cavalieri. A più tardi allora e grazie per avermi voluto offrire il caffè Si allontanò con la distinzione dell’incedere acquisita nel corso del servizio di funzionario di carriera e rafforzata dal godersi ancor prima di riuscirci la posizione cresciuta in animo di raggiungere l’affermazione politica attraverso attiva militanza nel partito del "garofano" di cui era accanito(!) sostenitore, non tanto per l’impiego assegnatogli con regolare concorso(!) da un sottosegretario di Stato, notabile di quel partito, quanto per il grande amore alla ideologia(!). A tale vocazione dedicava il proprio tempo libero e la radice messa in seno all’organizzazione aveva già generato la pianticella da lui ingrassata scrupolosamente con l’essere generoso d’amicizia, di spiccioli favori quando poteva, altrimenti di promesse. Il titolo accademico di dottore in legge lo preservava da contaminazioni di fraternizzazioni con quanti giudicava immeritevoli causa la loro inaffidabilità a tornargli utili. Alla ricerca di più ampio spazio aveva cominciato a frequentare a C... la sezione della corrente al momento meglio affermata, e lì avendo conosciuto Rosy, giovane donna impegnata anima e corpo a dar ordine ed efficienza, per costruirsi pazientemente il diritto ad una sistemazione, approdava indefesso ogni sera, sia per l’interesse verso di lei, quanto per l’altro forse non meno grande di conquistarsi la benevolenza dei frequentatori da sfruttare per il futuro, e accordatagli più per rispetto verso la compagna saputa al suo fianco, che per individuale simpatia. Pur così intensamente sacrificato, non lesinava le presenze in federazione, dove da poco si era incuneato. In pratica era dedito a lavoro e partito finendo con il trascurare le vecchie amicizie senza dimenticarle, specie se avesse da affidare commissioni molto delicate. Dal palcoscenico esalavano colonne di fumo multicolore mentre le luci singhiozzanti abbrividivano e aizzate note mordevano gli animi in una fantasmagorica suspence infernale di breve durata culminata al diradar dei vapori e al distinguersi degli artisti in un assordante giubilo di grida a braccia levate del giovane pubblico, presto placato dall’accenno al primo dei tanti, ben noti motivi, tutti ricchi di sentimento e di successo, propiziatore a schiudere alla tenerezza i cuori del folto reggimento di innamorati, immersisi in sognanti trastulli. Finalmente lui raggiunse il traguardo di stringerla a sé, di provare le aderenze tutte perfettamente combacianti come l’incontro di due metà ricongiunte. Sentiva entrarsela nelle carni e nello stesso tempo travasarsi in lei. Il profumo di linfa sprigionarsi dalle epidermidi, per mescolarsi e completarli. I piedi non poggiava più sul pavimento declive della sala, si muoveva in sospensione, fuso in un’intimità extrasensoriale di futura consolazione, per effetto d’aver montato il destriero della quarta dimensione, spronato allo sfrenato galoppo per i sentieri del lungo periodo a venire, d’intensa frequentazione... Fu distratto da un fievole scalpiccio. Contenta d’essere riuscita a raggiungerlo aiutata dalla scia sonora, ansimante a causa della protratta corsa, quasi spavalda con quel codino verso l’alto, Nichitta lo prendeva in giro. Lui imprecò più per finta che per disappunto, sgridandola altrettanto simulatamente e per recitare a fondo la parte dell’adirato, ed a seguito di una graziosa impennata esibita dalla cagnetta per commuoverlo, staccato da un fusto un esile pollone, la batté delicatamente con l’effetto di farla guaire supplichevolmente sfottente, mentre lui non poté esimersi dallo scoppiare in risa. Gli occhi della ruffiana bestiola si vivacizzarono per la vittoria. Il padrone come ormai spesso accadeva con essa, disarmato, si rassegnava alla resa -Va bene, dopo avermi dimostrato d’essere stata brava a raggiungermi, siamo entrambi esultanti. Vediamo ora, come te la cavi con il riporto Decise di giocare per un buon quarto d’ora con l’intelligente creatura, poi ordinandole di saltare sul sellino posteriore del ciclomotore e raccomandandole di tenersi forte, dopo diverse fermate occorse a riprenderla su a seguito del frequente balzare a terra per la difficoltà a reggersi, rientrò nella piccola fattoria. I fratellini gli corsero incontro festanti. Nichitta saltò loro quasi addosso e il suo posto volle prendere Adelina. Entrati nel magazzino, lui interrogò la bambina del perché quel veicolo così nuovo, giacesse dimenticato in un cantuccio. La piccina gli riferì quel poco di cui era a conoscenza -Era della zia, solo lei lo sapeva condurre e da quando lei non c'è più non è stato usato -Ma chi era questa zia ospite qui da voi?- Le chiese Bruno interessato al misterioso personaggio. Adelina esitò un po’ prima di rispondere, infine si decise -Io non lo so. Papà dice che era una donna cattiva, molto cattiva. Mamma invece ce la descrive tanto disgraziata -Lei vive ancora? Oppure... -No, no, è morta. Da tanto tempo ormai è morta- L’innocente bambina lo guardò con dispiacere misto a disappunto per non essere stata in grado di esaudire la curiosità dell’acquisito, caro familiare. -Bene- Concluse lui -Vai a giocare là fuori. Io rimango qui a dare una pulita al biciclettone Lei rimase un minuto indecisa. L’uomo al quale si era tanto affezionata le sembrò volersi liberare di lei per non essere stata abbastanza esauriente a proposito della parente sconosciuta, e con un principio di lacrime gli dichiarò -Bruno io ti voglio bene, tanto bene Lui intento già a pulire, a quelle parole si girò di scatto verso la piccola e vedendo le sue pupille luccicare di pianto, l’attrasse al petto abbracciandola forte, e carezzandole amorevolmente i capelli, la rassicurava -Oh, gioia, anch’io te ne voglio. Amore bello di Bruno, non ce l’ho affatto con te, tu sei la dolcezza del mio cuore. Su, fatti guardare, fatti dare un bacio! Guardate un po’ cosa mi sta combinando- Espresse con aria di meraviglia Non vorrai sciupare le più belle viole del mondo? Che disastro i begli occhioni appannati! Dov’è fuggito lo splendore?- Mentiva ad arte, incantato dal fulgore lanciato dall’intensificazione e variazione del colore delle pupille sotto la spinta dell’emozione in sprazzi turchinicci come due mammole gocciolanti di irrorazione -Lo sai quanto la mia bambolina sia diventata bruttina, bruttina...- Continuava a stuzzicarla finché lei alle lacrimucce non sostituì una risatina singhiozzante, divenuta presto trillata. Allora lui asciugandole il tenero viso con il fazzolettino porto da lei stessa, un bacio le impresse sulla fronte, quindi facendole promettere di non spaventarlo più con una leggera pacca sul sederino la congedò commosso. Quella bambina lo aveva conquistato, cosi come il resto della famiglia, e Nichitta prima. Con le nuove impreviste conoscenze nel suo cuore era risorto l’amore, la luce della vita, il piacere di esistere. Fu contento di poter constatare finalmente la rinascita d’una tenace volontà ad amare nonostante ancora sentisse bruciare dentro le ferite. Ritornò ai tempi andati. La sera dopo il lavoro arrivava a casa in volo per azzimarsi e subito ripartire. La madre protestava -Ti ho perduto. Non saluti nemmeno, cos’è successo?- Ma in cuor suo accettava con vero piacere l’improvviso esaurimento delle attenzioni per lei, scorgendovi in esso l’agognata novità dal settore dei maschi dell’inizio a smuoversi dalla rassegnazione al celibato. Col passar degli anni la speranza era mutata in preoccupazione perché l’età dei primi due figli in particolare, stava maturando troppo e cominciava a diventare avanzatella per intraprendere progetti di fondazione di famiglie proprie. A far crescere la sua ansia non era la fatica di doverli accudire chissà ancora per quanto, di cui non teneva minimamente conto, ma semplicemente la convinzione di vederli non sistemati. E poiché dal primogenito, soggetto a ricorrenti attacchi di misticismo, c’era poco da aspettarsi per un passo del genere richiedente il sacrificio dell’astinenza sessuale, requisito essenziale per un’eccellente comunicazione con la divinità, ella sul secondo aveva riposto l’affidamento, anche se di questi conosceva le idee alquanto strambe riguardo il matrimonio. Perciò dopo pochi simulati rimproveri, passava alle benedizioni, invocando il Signore di concederle la grazia! Successivamente ne parlava al marito più per affezionarsi alla nuova idea che per riscuotere entusiasmo in quanto ne conosceva benissimo la rudezza di carattere. Questi infatti le rispondeva sbrigativamente -Bene per loro se ci pensano a tempo, se no, se ne accorgeranno appena ce ne saremo andati noi- Restava tutto d’un pezzo e malgrado fosse in pensione da un lustro, non aveva perduto la linearità nel ragionamento appresa durante il lungo servizio militare. Per lui la vita esigeva ordine fondato su regole naturali, biologiche, immodificabili, e a chi le avesse snobbate o cercato di svilirle, puntualmente sarebbe toccato di doversene pentire. Cominciò un periodo fitto d’incontri! Gl’innamorati presero l’abitudine di sostare sulla macchina in uno degli spiazzi del lungomare all’ingresso della città, in mezzo a tante altre vetture, ugualmente adibite a nidi d’amore. Nicole cedette all’impulso della sincerità assillante fino a che non si fosse svuotata con colui la cui comprensione per la dolorosa vicenda della disavventura occorsale, era premessa imprescindibile all’ottenimento della sua fiducia. Ella non aveva nulla da nascondere tranne forse un tantino d’ingenuità e bontà di carattere -Sono stata sposata- Cominciò -Per poco più d’un mese, quel tanto necessario per restare incinta. Fu subito un fallimento. Forse sono stata punita a causa della mia grande aspirazione a costituirmi una famiglia. Solo che essa non poteva scaturire dall’infatuazione, pura infatuazione! Perché mi accorsi presto di detestarlo. Un rompicollo senza arte né parte, già padre di figli regolarmente abbandonati. Figurati quale sorta di tipo fosse capitato ad una ragazza infervorata di onestà. Eppure ci sono cascata; sapessi quant’era gentile, premuroso, affettuoso. Vestiva bene, aveva disponibilità di denaro. Mi diceva di fare il commerciante, insomma c’era ben poco da sospettare, un giovane in apparenza simpatico, educato, promettente. A prova del mio attaccamento, scappai di casa con lui. Subito dopo ci sposammo per riparare alla precipitosa iniziativa. Il giorno delle nozze, dopo la cerimonia, mentre ci dirigevamo in macchina al locale d’intrattenimento, trovò il modo di farmi piangere, confessandomi la sua debolezza alla persecuzione di una vecchia amante, venuta ad assistere persino alla cerimonia nuziale. Forse quella doccia fredda in un momento così poco propizio aveva lo scopo, svelandomi senz’esitare la vera natura di debosciato, di farmi mettere l’animo in pace sulle sue intenzioni di disdegno ad emendarsi, decisamente palesate per inoppugnabili. Durante il breve viaggio di nozze a Malta cominciai a vivere nell’incubo. Rientrata toccai lo squallore Era nervosa, intrecciava continuamente le dita delle mani. Il troppo turbamento la fece tacere e aspettare con gli occhi bassi. Bruno scollò a fatica la lingua dal palato a cui si era appiccicata per l’amarezza e portando una mano a trattenere quella di Nicole decise d’intervenire allo scopo di consentirle di acquietarsi -La famiglia, istituto tanto magnificato, nella fruizione attuale, non è altro dallo strumento di stratificazione per lo Stato e di asservimento culturale per la Chiesa, impiegato da entrambi a mantenere lo statu quo sociale e sul quale in reciproca complicità comodamente riposano e floridamente prosperano. Guai se crediamo a quanto i due organismi con instancabile lavaggio di cervello tentano e riescono spesso a farci credere, lasciandoci dibattere probabilmente per l’intera esistenza a cercare di realizzarlo senza insospettirci minimamente di spendere vana fatica. Noi confidiamo, per il raggiungimento dello scopo prefissoci, in una istituzione totalmente estranea, nata dall’unica necessità di stabilire una discendenza paterna titolata ad ereditare le impensabili ricchezze di colpo createsi con l’avvento della civiltà, ricchezze, con la divisione dei ruoli destinate ad affluire in origine esclusivamente in mani maschili. Quindi la famiglia in senso letterale è l’insieme degli schiavi da appartenere ad un uomo, e tale è rimasta in pratica oggi se liberata dall’ipocrita contorno di pubblicità. Essa discende da una evoluzione molto complicata, e l’attuale, la monogamica, è il risultato dell’ultimo cambiamento intervenuto con la resa del matriarcato, quando la ricchezza pretese di essere accumulata e si dovette garantire l’eredità ai veri figli del padrone. Inoltre la famiglia monogamica dopo un susseguirsi di molteplici peripezie prima di arrivare alla nota fisionomia, prendendo vita nell’ultimo stadio dell’era preistorica, ha un’età davvero giovane, raffrontata al tempo trascorso dal giorno in cui la forma dell’uomo attecchì su questo pianeta, e non può non farci ridere l’enfasi di certi sapientoni profusa nelle loro dissertazioni sul concetto sacro ed imprescindibile riferito ad essa. Accertata la peculiare caratteristica di garante di interessi economici, non credi, essa debba essere destinata ai grossi collezionisti di capitali, azioni, proprietà immobiliari e lussi vari, assillati sempre dalla conservazione di tali beni per loro e per i discendenti? E se è principalmente tutelante di patrimoni perché viene accettata purtroppo anche da chi non ha nulla da difendere? Cosa hanno costoro in comune con quelli, da perseverare al rispetto di un’istituzione efficace a molestarli e basta? Come abbiamo visto nella precisazione lessicale: il comando sui membri. Ecco l’infame impostura della famiglia: difesa dei patrimoni, per gli abbienti; libero sfogo alla tirannide del maschio, per i poveri. In questo senso soltanto funzionano le garanzie dei governi. Infatti, pensa cosa dovrà temere un disgraziato costretto a rubare, fosse solo per mangiare, e di contro un capofamiglia scavezzacollo! Si ha un bell’accasarsi e focolare domestico oltre ad un’ottima scuola di educazione per i figli, con simile vigilanza. E i dati ce lo confermano dalla piccola percentuale di famiglie vicine ad esplodere, dalla quota ancor più bassa di quelle in continua ebollizione, e dal numero irrisorio delle infelici con pazienza. No, mia cara, ai soggetti di una comunità occorre l’emancipazione non la famiglia, qual’è oggi concepita, perché la prima garantisce ciò che la seconda ha il proposito di negare. Quando si capirà questo, e ci s’impegnerà a sconfessare i millantatori, dopo aver lottato seriamente per conquistare il più importante dei traguardi, allora, e solo allora, chi lo vorrà, avrà qualche garanzia per sperare dal rapporto eterosessuale ritenuto serio ed importante un duraturo e proficuo avvenire, molto semplicemente e naturalmente e senza l’imposizione ad essere ratificato con il matrimonio, in quanto fugate le false finalità, tale strumento non avrebbe più motivo di operare. Dunque i fondamenti per evitare il carcere o l’inferno sono ben altri: un lavoro sicuro ai conviventi e una casa modesta. Solo cosi il nuovo nucleo potrà crescere armonicamente e prosperare. Il primo gli consentirà sovranità con i mezzi di sostentamento, la seconda, un ambiente dignitoso, affettuoso, sereno. Tali presupposti, più d’una condotta temperante da sola insufficiente, possono far sperare in una buona riuscita. Se vuoi aggirarli o addirittura eliminarne qualcuno, l’equilibrio si rompe, finendo. col far precipitare su degli innocenti le tegole di un tetto appoggiato su pilastri di aria -Noi non avevamo né occupazione, né casa. Vivevamo alla giornata, ed era normale ritrovarmi a dover saltare spesso i pasti, con il frutto portato dentro il grembo. Figurati la bella prospettiva! Le volte che riuscivo ad andare da mia madre ad insaputa del delinquente, poiché aveva imposto un esplicito divieto, per il timore che il mio stato di prostrazione la facesse intervenire, magari impedendomi di tornare indietro, il mio primo pensiero era di aprire il frigorifero e rimpinzarmi a sazietà. La casa poi, era una stamberga sgangherata. Insomma ero precipitata in una situazione così assurda da non riuscirci adesso a volerla rievocare. Proveniente da famiglia decorosa io rimasi disorientata, da non credere quasi a quanto mi stava capitando -Una unione felice, regolarmente sancita dallo Stato e benedetta dalla Chiesa! -Abbiamo sbagliato a sposarci, questo è vero -II matrimonio, come generatore esclusivamente legale della famiglia è sempre un errore ed ai contraenti non serve a nulla se non da patto fraudolento, per cui o si è in perfetta malafede o con le idee poco chiare. E’ un volgare contratto di compravendita, stipulato per incappare quando crolla la sopportazione ai soprusi, alle intimidazioni od ai ricatti in increscenti interferenze -Forse sono stata troppo frettolosa -La fretta non c’entra affatto in una donna non più ragazzina -Avevo ventitre anni -E tu pensi che non si sia abbastanza donna a quell’età per accettare una compagnia stabile per la vita? La vera colpa è dell’insensibilità di chi fa la reclame alla famiglia allo scopo di ricavarne una comunità asfittica, compressa, decadente, pronta a servirlo. Quindi, mia cara, sbarazzati del rimorso della fretta, poiché se per sposare avessi voluto aspettare una sistemazione occupazionale, con i tempi correnti, ti saresti potuta conservare nubile a vita -Da quello che dici e da come lo dici, diventa temerario anche coltivare una speranza -Purtroppo è proprio così -Ma allora quale strada bisogna percorrere? -Vista quale è la sostanza della famiglia, chi non ha da raggiungere quegli scopi descritti deve rigettarla senza esitazione, cosicché mancandole il cemento a questa società, anche essa finirà per rigenerarsi -Rigettarla in qual modo? Oltre a non sposarci più, cos’altro si può fare? -Già tanto prometterebbe bene. Se chi non ha nulla da spartire, comincerà a capire che la firma sul libro dell’infelicità può produrgli solo le grane di intricate traversie burocratiche quando nascono le ragioni per ritirarla, per cui non solo non abboccherà all’amo della perfidia, ma sarà così intelligente da smascherarla, allora si avvierà il salutare processo di presa di coscienza sul valore dell’individualità. Si comincerà a farci contare per singoli ... e non più per famiglie, rappresentando ogni soggetto una cellula pretendente, di considerazione e rispetto, e impaziente di esigere i propri diritti -La società come risponderà? Potrà fame a meno delle famiglie? -La società non ha avuto mai difficoltà ad adattarsi alla filosofia dei suoi componenti. Piuttosto i dominatori. Qui il discorso si fa lungo, ma ti assicuro che avrebbero ben poco da scherzarci sopra -E la Chiesa? -La Chiesa è abbastanza camaleontica. Farà proprie le istanze della collettività e l’istrione niveo, dall’alto della sua condizione di presunta castità e della mendica reggenza dell’impero più ricco del mondo, smetterà di lanciare i suoi bislacchi anatemi contro le esperienze prematrimoniali, la procreazione extra-matrimoniale, la limitazione delle nascite e il rapporto non finalizzato ad esse. Forse perderà parecchie pecorelle, in quanto un’umanità più povera di sventure automaticamente ne ridurrebbe il pascolo. Ma non declinerebbe ugualmente, con grande danno(!) per il mondo intero -Declinerà l’abito bianco -La scomparsa dell’abito bianco eventualmente e per fortuna, non inibirebbe i due sessi ad accoppiarsi, a parte che quale emblema d’immacolata purezza per chi l’indossa, è parecchio recente perché in origine fu, forse folgorato dalla bellezza del non colore, una trovata propositiva di Napoleone adempiuta per compiacerlo dalle due mogli in occasione di essere condotte all’altare. La novità ebbe grande risonanza ed emulazione criticate dalla Chiesa diligente a lamentare amareggiata: "Le nobili fanciulle non si preoccupano di dispiacere a Dio nella speranza di piacere all’uomo". Ma siccome la moda più di ogni altra fede ha sempre galvanizzato la donna e le conseguenze di una diatriba con lei in partenza persa rappresentavano un rischio improponibile, la Chiesa ancora diligentemente s’è dovuta rassegnare a permettere al gentil sesso di ingelosire per una volta sola però la divinità, in quanto il dono della verginità non è ripristinabile -Ironia a parte, dell’emozione nell’indossare l’abito nuziale si avverte, ed anche il dono della verginità, io, Nicole... Ho potuto... offrire... e con la certificazione. Non si fa per dire, una certificazione in piena regola, in quanto il dolce maritino, da fidanzati, ha voluto sottopormi con mia grande umiliazione, a visita ginecologica. Ha preteso il controllo sull’interezza della proprietà di cui doveva entrare in possesso! -E tu, come hai potuto accondiscendere? Nicole arrossì visibilmente, riprovando parte dell’umiliazione di allora. Per un attimo rivide la sorella del mostro prodigarsi a convìncerla ad acconsentire ed inghiottì il veleno secreto al solo ricordo del disgustoso brigare. Bruno si senti indirettamente ferito, come uomo. Quelle pretese di un appartenente al suo sesso, gli sembravano quasi incredibili alle soglie del terzo millennio, e ne rimase stomacato. La vittima ancor più imbarazzata cercò di venirne fuori, e per allontanare il discorso della penosa disavventura, chiese se la società se ne sapesse privare delle antiche e radicate convenzioni di cui in generale si stava parlando prima. -La testardaggine a non volerle abiurare queste ben radicate convenzioni fatte di ciance le più paradossali e di inadempiute responsabilità, non credi abbia ingenerato abbastanza malessere? Per quali convenzioni dovrei recarmi davanti i ministri dell’inganno, magari dei grassoni ben foraggiati, a dar conto della decisione più importante e fiduciosa della vita, proprio a loro infaticabili ad avvelenarla? Consigliato forse dai milioni di diseredati, riparati, nutriti o coperti male, frustrati, emarginati, irretiti, impaludatisi nella droga e nell’alcool o inquadrati nella malavita? O sarà il piacere masochistico di vedermi rinforzare i ceppi ed appesantire le catene? La convinzione nelle convenzioni, vale proprio la ricompensa di un marito come il tuo? Quale rimpianto potresti avere se un’anonima unione è in grado di garantire migliore resa? Allora cosa c’entra il matrimonio con l'amore? Niente, tranne un probabile inferno! E’ uno strumento di comodo per lo Stato e per la Chiesa, facilitante l’esercizio del potere. E’ un retaggio della civiltà ferma al presente stadio di mediocrità nel cammino dell’evoluzione. E’ un travisamento umano di socialità naturale. Traumi risparmiati alle altre specie per la fortuna della loro limitata intelligenza! Se ci si vuole dedicare totalmente alla compagna, lo impedisce lo stato di celibe forse? O il matrimonio agisce da vaccino per non stancarsi mai? Come vedi è un’istituzione utile soltanto agli esterni della coppia. Estranei ai quali il coonestare porta frutti. Lo ripeto, pur con il rischio di diventare noioso, giova alla Chiesa per incatenarti con la distribuzione dei sacramenti alle sue idiozie ricavandone immense fortune, e giova allo Stato per defilarsi dalle responsabilità verso i più deboli, affidando alla famiglia compiti per i quali molto di frequente essa non solo è impreparata, ma addirittura obiettivamente impossibilitata. L’unica medicina rimane la rinuncia, un deciso rifiuto a proposte subdole e sinistre. Io sono un crociato dell’obiezione! Prediligo i contratti verbali, incommerciabili, bramati e tanto, tanto riservati, strettamente privati. E ci tengo ad informartene. Non per niente a trent’anni in un ambiente come il nostro mi ritrovo celibe, ben intenzionato a restarci a vita. Ne sono orgoglioso della mia posizione perché essa mi fa sentire saggio e giusto, un fecondo aspirante all’innovazione, un rivoluzionario. Un modesto e sincero rivoluzionario, coerente nei comportamenti al proprio credo senza scoppi e fiamme caratteristici nei frequenti agitatori con proposte sempre pronte, a loro inservibili, ed elaborate esclusivamente per gli altri. Io per principio non sposerò mai. Ho il dovere di dirtelo, perché tu, se la nostra relazione chiedesse di durare, non abbia ad accusarmi di cinico profittare -Bruno, io non me lo pongo nemmeno il problema, puoi starne certo, sono rimasta troppo traumatizzata, a parte che ne dovrà passare di acqua sotto i ponti prima di ritrovarmi legalmente libera. Però anche se la cosa m’interessi poco e con l’assoluto convincimento della tua onestà critica, debbo confessarti qualche perplessità. Vuoi spiegarmi per favore come dovrebbe avvenire un’unione, e in quale quadro si dovrebbe calare? -Cercherò di porgerti uno schema il più lineare possibile. Primo: l’amore. Secondo: uguali diritti e doveri alle due parti. Terzo: assoluta privacy. Quarto: indisturbata dissolubilità. Io esigo una relazione di coppia, pulita, onesta, sovrana, incontaminata da dispotismi, eterismi ed intromissioni. Dunque una monogamia finalmente genuina e non manierata, sotto l’egida della libertà, procreatrice di nuclei emancipati. Questo come punto di partenza, e da ingaggiare subito, la lotta per la casa, per il lavoro, e non vorrei stupirti per l’affidamento dei bambini, di tutti i bambini senza eccezione alcuna, dopo lo svezzamento, alla comunità. Finirebbero i bastardi, gli abbandonati, i maltrattati e i privilegiati. I teneri soggetti non dovrebbero più soffrire né sopportazione, malvagità o asfissiante amore. La sana crescita ed educazione dell’infanzia tornerebbe utile alla stessa società da restituirla più matura e meno ignava verso la ragione -Il mio non lo cederei mai -Cedere, cosa significa? Privartene tu per impossessarsene un altro? No, mia cara, parlavo solo di socializzare l’individuo sin dai primi anni di formazione ed avviarlo in mezzo ai piccoli colleghi ad un’esistenza più spensierata e più gioiosa di quella riservata in famiglia, tra l’altro spesso problematica e pericolosa. Immagina quale danno poteva subire tuo figlio se non ti fossi allontanata dall’animale spregevole -Ed è per la solitudine in cui ho compiuto la gravidanza, che non saprei, né potrei separarmi dalla mia creatura, perché è solo mia, l’ho fatta solo io, nove mesi, giorno dopo giorno l’ho alimentata nella mia pancia con nessun altro desiderio o preoccupazione che di realizzarla, di volerla a tutti i costi, resistendo alle pressioni dei miei per l’aborto, facile da affrontare, quasi privo di pericoli, trovandomi nel primissimo periodo di gravidanza. Figurarsi, avrei dovuto correre l’aborto quando ero tranquilla di non essere più minacciata continuamente di subirlo. Io, fuggita da quella casa maledetta qualche settimana dopo la sua presa d’atto della mia gravidanza, per scampare ai continui agguati tesi, agli spaventi, agli scherzi pesanti, ai tentativi di percosse! Per questo lui non si è più fatto vivo, perché il figlio non lo voleva. Per questo acquisisco l’assoluto diritto di pretendere che Massimo sia tutto mio. Bruno io ho le carte in regola -Lo so Nicole Una lacrima le stava ingrossando sotto l’occhio ed ai riflessi della luna brillava come una perla. Prima di rompersi, lui cercò di raccoglierla sul palmo della mano per baciarla, senza riuscirvi. Accostò il viso di lei al petto carezzandolo e adoperandosi a zittire i sussulti del suo singhiozzare. Sentiva poggiarsi la testa delicatamente e strusciare in più comoda posa come su un guanciale prima di prendere sonno, ed era felice per la constatazione di quell’abbandono nel bisogno di conforto e per essere considerato un buon porto per le sue pene, perché rivelatrici al suo cuore delle garanzie attese e accettate da Nicole a verifica di un dolce e prezioso sentimento, tuttavia provava profondo dispiacere per non sapere assecondare quelle lacrime, perché quando si è innamorati non si finisce mai di rincorrere una sintonia sempre più completa arrivando a travalicare il campo dei sentimenti ed influenzare quello fisico, per cui ci piacerebbe poter tossire, grattarci, sorridere, piangere insieme all’altra metà. Ora lui sentiva gli occhi bruciare, il cuore gonfio ed il groppo in gola allo stesso modo di quando gli capitava veder patire la madre per ingiusti torti patiti. Nicole intanto era passata a guardarlo interrogativamente -Sono tanto amareggiato, cara -Lo so, ti credo- Dalla borsetta tirò fuori il fazzoletto e dopo essersi asciugate le guance, vi soffiò il naso, poi lo guardò al riverbero lunare e riprese sorridendo -Ti avrò impiastricciata la camicia, ho tutto il trucco sbavato -Non farci caso, l’importante è che tu stia meglio -Io ero una bella ragazza -Lo sei tuttora -Non così- Rispose, stringendo con la mano il braccio sinistro e mostrandone sconsolata l’abbondanza di carne -Non con questo viso rotondo, la cellulite alle cosce e la vita persa. Io ero asciutta, non ero un manichino perché robusta di complessione, ma asciutta. Per strada non potevo camminare. Gli occhi degli uomini me li sentivo addosso come pungiglioni, ispezionare tra le mie forme, libidinosi maiali! Questa per me è stata sempre una disgraziata caratteristica, tutti vedono in me la personificazione della lussuria, una donna nata per starsene sempre a letto con le gambe spalancate a divertirli i bestioni. Specie allora, ero una star da copertina di rivista pornografica, senza pena alcuna riguardo una mia presunta personalità e sensibilità diverse. So di suscitare l’opposto dei miei proponimenti, ma cosa ci posso fare! Io amo le relazioni pulite, sono una sentimentale, una bambinona rimasta al tempo di quando dovetti piangere a perdifiato per farmi comprare una bambola dai miei, contrari per via della mia statura di signorina. E lui risultò dei peggiori. Non voleva farmi diventare madre per paura di vedere il suo giocattolo andare in rovina. Il signorino non sopportava di vedermi incinta. Già dimenticavo, io ero nata per fottere soltanto! L’avessi visti quegli occhi arroventati, da pazzo, appena seppe la notizia Ebbene a me non piace sentire certe cose, facciamo un patto, vuoi? Fino a che saremo assieme non parleremo mai di questo abominevole essere! -Per me va bene, però voglio che tu sappi tutto, non è per sfogarmi, perché per fortuna ho superato il grave schoc. Sapessi quant’è tremendo portare avanti una gravidanza in solitudine, anche se ho avuto la fortuna della comprensione e conforto dei miei, dopo aver accettato la mia scelta di continuarla. E nel periodo ricoverata vederti mancare le attenzioni rivolte alle altre partorienti dai rispettivi mariti: le frasi gentili, le coccole, i fiori. E dopo il parto quando ti sei ripresa e ti portano quel fagottino innocente assillato a strillare per lo spavento della luce e lo guardi e ti pare brutto ancora pesto dal travaglio del parto e istintivamente cerchi il tuo partner per chiedergliene ragione dimenticando in quell’attimo d’esser sola, è tremendo guarda, inimmaginabile- Riprese la borsetta, vi frugò dentro ed estrasse il pacchetto di sigarette e l’accendino. Lui ne accettò una, il clic dell’accendino gli diede un sussulto dalla compenetrazione in cui si era calato. Ora il nervosismo si era placato, era diventata dignitosamente sicura. Restarono silenziosi a seguire l’arrampicarsi del fumo espirato sino all’apertura dei finestrini di poco abbassati, ed il fuggire all’esterno ad annientarsi nella brezza. Sulle macchine, posteggiate numerose sullo spiazzo del lungomare, a ridosso della ringhiera, poche altre coppie approfittavano della tranquillità per affrontare i loro problemi. La maggior parte nella pace garantita dalla larga affluenza utile a tenere lontani gl’importuni, escluso qualche occasionale guardone, si distendevano in dolce intimità sugli schienali reclinati, emergendo di tanto in tanto dal livello inferiore dei vetri nelle brevi pause per fumare qualche sigaretta e scomparire subito dopo rituffati tra i molteplici flutti della concupiscenza. La voce di lei interruppe l’atmosfera di meditazione in cui si erano assorti -Cosa stai pensando adesso, Bruno? -La tua situazione. Nella sfortuna, credo che tu sia stata fortunata a trovare in quell’uomo un padre così snaturato da eclissarsi totalmente, chissà fino a quando -Penso definitivamente. Massimo ha già compiuto un anno. E vorrei vedere a questo punto con quale coraggio potrebbe rifarsi vivo. Lui non esiste né per me, né per il bambino. Ci provi a farsi avanti. Saprò accoglierlo come merita -Nicole non sottovalutare la legge, per la quale è suo padre e potrebbe dare grattacapi -La legge questa volta me la faccio io. A parte che è andato a ricongiungersi con gli altri figli e la loro madre. Da lei, titolare di un buon posto può farsi mantenere, cosa che io non avrei potuto offrirgli. Quindi sono al sicuro -E’un problema in meno. Però un lavoro lo devi trovare, ora più di prima, con un figlio sulle spalle. Ascolta il consiglio di questo stupido. Potremmo non andare d’accordo ed allontanarci. Non ti trovare a dipendere da qualcuno al di fuori dei tuoi, la società, credimi, è più cattiva di quanto non sembri, ed è sempre in agguato agl’indifesi, ai più vulnerabili. Una donna come te ancora giovane e bella è una ghiotta preda. Ed il tuo bisogno darà lo sprone ai profittatori, instancabili cercatori di queste occasioni -Lo so, Bruno, io tutti i giorni consulto i giornali, faccio interessare mio padre, e da qualche tempo frequento il P.S.I. E’là, dove ho conosciuto Rosy -Al partito non fare assegnamento. Ai politici servono i voti per arrivare al potere, e qualunque colore ostentano finiranno per gestirlo dietro le indicazioni del padronato. Comunque anche quella è una carta ed assieme allo zelo di tuo padre, alla partecipazione ai concorsi, ed all’iscrizione alla lista dei disoccupati, non si sa mai, speriamo uno sbocco troverai. Per il resto stai allegra, riprendi il gusto alla vita, goditi la giovinezza crudele a lasciarci in fretta ed a farsi rimpiangere. Ne hai diritto più degli altri per aver sofferto ingiustamente -La mia situazione di giovane madre abbandonata, tu credi, non finisca per condizionarmi? -Perché dovrebbe, hai forse commesso un delitto? -Tu, Bruno, potresti accettarla? -Sei proprio una sciocca! -Oh, caro!- Esclamò gettandogli di slancio le braccia al collo, e ritraendole quasi subito titubante. Lei, sebbene avesse superato il trauma d’una immeritata punizione, da qualche mese avesse ripreso ad uscire di casa dopo lunga autocarcerazione, avesse ripreso a frequentare gente ed un corteggiatore stesse accettando, verso l’uomo era rimasta sospettosa, così come chi si è scottato verso il fuoco, e benché bisognosa di molto calore indugiava ad avvicinarsi alla fonte, sebbene lì a portata di mano. -Non mi prendi sul serio, vero?- Le chiese lui rammaricato. -Ti prego di non volermene- Supplicò dispiaciuta anche lei, e accarezzandogli svogliatamente i capelli dietro la nuca, riprese -Mi ci vorrà del tempo. Ho sofferto molto. Devi essere paziente -Lo sarò cara. Io non voglio profittare di te- La rassicurò con sincera convinzione. -Ti credo, Bruno. Anzi voglio confidarti una cosa. Dalla prima sera mi sei sembrato diverso dagli altri. E quella tua stessa intraprendenza, mi è sembrata dal primo impatto, non so perché, innocente, pulita, generosa, leale. Noi donne sappiamo, presentire. Pur tuttavia ho voluto la riprova, e quando al secondo incontro ti vedevo soffrire, me ne dispiacevo e gioivo insieme, perché mi convincevo sempre più di poter trovare in te comprensione e sostegno morale. Ho recitato la parte della crudele fino a quando quella smorfiosa non mi ha fatto avvampare di gelosia -Addirittura gelosia! -Gelosia, Bruno, perché io gradivo le attenzioni; avevo già deciso di mettermi con te, ma per natura sono gelosa -Allora ti sarai divertita a vedermi friggere! -Divertita no, te lo giuro, ti ho detto che mi dispiaceva. Sono stata costretta a comportarmi a quel modo. Diversamente come avrei potuto farmi un’opinione di te? -Con la frusta! Sicché, per approfondirmi da parte mia, è ora di cominciare ad usarla anch’io -No, Bruno, questo metodo vale solo per noi donne- Rettificò tra le risa finite per contagiare pure lui. Appena si placarono, i loro sguardi cominciarono ad incontrarsi, carezzarsi e fuggire, una voglia prese a diffondersi per tutto l’essere e la tentazione di adagiarvisi e farsi condurre cresceva continuamente. Allora lei preferendo sottrarsi alle lusinghe di abbandono gli propose di recarsi a consumare qualcosa, mortificandolo involontariamente per non essere stato lui a prendere l’iniziativa. Dopo la visita al bar lo pregò di accompagnarla. Era stata assente parecchio e ai suoi pensieri bussava il bambino. Sotto casa mentre stabilivano il prossimo appuntamento, la portiera dell’auto accostata, lei improvvisamente e rapida le labbra stampò su quelle di lui, fattosi triste, immerso nella delusione di non sapere eternare gli ultimi momenti di compagnia, e prima di riprendersi dallo sbigottimento, trovò lei già sulla soglia del portone ad accennare a salutarlo con la mano. Le giornate erano diventate gravose, ad eccezione della sera, però troppo fuggevole. Al pastificio, sebbene lei albergasse stabilmente nelle fibre del suo corpo e ne polarizzasse i pensieri della mente, il tempo ciampicando, teso com’era a scacciarlo lo innervosiva, per l’impazienza di rivederla. Constatava insistentemente l’ordinaria, insipida ed incolore pratica di vita lontano da lei, rimproverandosi anche il tratto percorso e sciupato precedentemente, quando ancora non la conosceva. Smaniava. I colleghi notarono presto il nuovo stato d’irrequietezza in cui versava e dapprima se ne preoccuparono, pensando a qualcosa di brutto, poi dopo averlo sorpreso in alcuni momenti di estatica contemplazione raramente raggiunti a sollievo e a breve pausa del tormento della lontananza, cominciarono a punzecchiarlo. Lui si limitava a star sulla difensiva e se da un lato il gioco delle insinuazioni lo svagava, dall’altro il cuore gli s’infiammava con più vigore. Insomma all’ora di uscita vi arrivava esausto; credeva di aver percorso un lungo lasso di tempo, durante il quale era abbondantemente invecchiato, subendo pure spiacevoli sensazioni di sofferenza. Ma appena in macchina, c’era la metamorfosi! In compagnia di lei le misure rimpicciolivano come a compenso della loro precedente espansione: le ore diventavano minuti, e nonostante s’intrattenessero sempre più a lungo, non c’era modo di potersi saziare. Al primo incontro dopo il bacio regalatogli a sorpresa al momento del congedo per rientrare a casa, Nicole si presentò con un disco di musica leggera -Questo è per te- Disse raggiante -Io ne ho un’altra copia a casa -Dev’essere tanto importante -E’ il nostro disco. Ricordi cosa suonassero quando hai tentato il primo assalto?- E lo guardò con aria di complicità. -Ma guarda cosa ti va a pensare- Comunque lui da quel giorno prese a fischiettare il motivo finché non lo mandò giù a memoria, dopodiché imparò ad eseguirlo al flauto. La signora Annina, nel sentire le note della soffice melodia, interrompeva il continuo sfaccendare ed esclamava appassionata -Ah, che musica! Cosa non produce l’amore di stupendo? Che Iddio ti benedica!- Poi passava alla provocazione -Ci siamo dati ai rapimenti -Alla faccia degli invidiosi- Rispondeva pronto lui, smettendo l’esecuzione per rincorrerla, e dopo averla raggiunta la subissava di pizzicotti e baci. Quindi la lusingava scherzosamente -Queste sono note dedicate alla mia dolcissima madre -Sono finiti i tempi belli! Ma io sono contenta cosi- Lo rassicurava lei, carica di bontà. Questo comunque capitava di rado, e quando succedeva, la genitrice toccava il cielo dalla felicità. Da un po’ i ritagli di tempo trascorsi a casa si facevano invariabilmente più esigui come del resto quelli dedicati alle vecchie abitudini. Nello ripeteva a Rosy -Mio compare non lo si vede più, gli è preso il fuoco di sant’Antonio. E’diventato tutto lavoro, zita e casa, forse di notte, se ancora dorme nel suo letto -Dove vuoi che dorma?- Le rispondeva ingenuamente sorpresa la giovane donna, senza aver fiutato nella battuta l’intenzione del furbacchione a candidarsi a dormire da lei Nicole, deve dar conto ai genitori- Aggiungeva. -Già- Masticava l’altro vergognoso dell’allusione alla loro tentazione ben più facile, e del mancato coraggio di parlar chiaro; poi la delusione del fallimento della timida avance lo faceva sospirare melanconico, rimandando al sabato quando la comitiva si sarebbe ricostituita, il proposito di una riproposizione delle sue aspirazioni. In occasione di tale riunione di freschi innamorati, dove le scherzose allusioni si sperperano e piovono come dardi da leggendario campo di battaglia, il dottorino, valente arciere, avrebbe preparato un turcasso pieno di frecce in modo da non mancare di catturare il consenso necessario all’appagamento di quella che era diventata una monomania dispensatrice di travagli! La rinuncia alla chiarezza faceva parte del suo carattere complicato, di difficile lettura e coltivato per produrre ogni tipo di sorpresa. Anna era l’unica del gruppo a stentare ad amalgamare. Non si sapeva se la difficoltà ad inserirsi sorgesse da apatia, da superbia, o dal sentirsi menomata dalla mancanza di un corteggiatore. I suoi scarsi sorrisi accordati avevano il sapore di una concessione, e sebbene possedesse gli elementi più appropriati per incantare solo con il sorriso, uno sfolgorio di regolarissimi, grossi denti smaltati a perfezione, come sovente accade quasi per una regola dispettosa di natura che alla loquacità s’infervorano i balbi, al motteggio i melensi, al canto gli stonati, e ad onta del loro difetto costringono i più dotati a subire, lei nata per allietare con il sorriso, era troppo parca a farne dono. Né era facile coinvolgerla nella conversazione, perché di poche parole, e quelle poche stesse le si dovevano estrarre con le tenaglie. Però malgrado offrisse il contegno della mummia, era sveglia di testolina, da poco diplomata con ottimi voti ragioniera, e sapeva il fatto suo. A lei controbilanciava Tina sempre vispa ed amabile. Di famiglia povera e numerosa, da quando la fortuna l’aveva aiutata a lasciare il quartiere ghetto, e permesso di vivere più civilmente in un moderno appartamento centrale e spazioso, a disporre di qualche capo fine di vestiario cedutole dalla generosa benefattrice, dell’occorrente per truccarsi, e a nutrirsi infine con le necessarie proteine e calorie, si sentiva regina. Della propria casa aveva più terrore che nostalgia e il solo motivo capace di renderla abbacchiata, era la circostanza in cui le capitasse sporadicamente ed alla svelta di ricordarsene. Padre beone, madre concubina, fratellini e sorelline da crescere in istrada, fame, stenti e bestialità, obbrobri della miseria, la inorridivano, e per evitare di rabbrividire stava attenta a non prendere in considerazione disgraziate ipotesi esigenti per un qualsiasi motivo il rientro in quel putrido ambiente. Tuttavia la sera a letto prima di addormentarsi si raccomandava a Dio perché la proteggesse almeno fino a quando avesse trovato da maritarsi. Si sentiva sulla buona strada ed intanto l’appartamento teneva lindo ed ordinato, la cucina ricca di aromi, il bucato di pulito, il prossimo accoglieva con una carica di gioia davvero contagiosa, impegnandosi straordinariamente a conquistarsi l’ammirazione affettuosa di amici e conoscenti. Alla pioggia torrenziale trovarono confortevole rifugio in pizzeria. L’alido respiro del forno aveva fatto sudare, appannandoli, i vetri della veranda. Gli avventori tenevano l’ampia sala allegra. Loro vi contribuirono appena presero posto alla mensa ricavata dall’accostamento di tre tavoli. Nuccio s’era portato dietro Saro, un agricoltore giovane, istruito, ben posizionato. Così il numero era ridiventato pari. -Picciotti, forse non lo sapete, ma siamo in pieno derby- Esordì Nello studiatamente spiritoso -Piccola città- Pronunciò con aria di superiorità -Contro il capoluogo -Onoreremo la tradizione- Accordò Saro fiero d’un presunto passato di gloria a favore dei suoi concittadini. Le ragazze protestavano e controbattevano, minacciando ritorsioni. N’era nata una chiassosità di incomprensibili sovrapposizioni di voci mescolate a risa argentine. Qualcuno aveva le lacrime agli occhi. Nuccio chiedeva parola, e dovette aspettare che la pizza riportasse compostezza, per riuscire a farsi ascoltare, e appena poté, tenne a precisare la ben più incisiva portata del confronto rispetto ad una semplice sfida campanilistica. -Qui si tratta dell’irriducibile duello uomo-donna di cui i pronostici non sono affatto facili Lui per la fretta di replicare, un po’ di saliva inspirò nella trachea dovendo tossire seccamente. -Battetegli una mano sulla spalla, non me lo fate morire soffocato- Scherzosamente implorò Nello con la bocca piena. -Attento compare: la pecora per fare 'mbe perdette il boccone!- Gli ribatté l’altro dopo essersi ripreso agevolmente. Ad un commento ciascuno stava riprendendo ad ingrossare il baccano, se il vero innamorato non l’avesse troncato in tempo esponendo la sua opinione sull’argomento di prima -Io penso, non si debba ricorrere a tutti i costi a termini di contrapposizione quando si parla di relazioni tra i due sessi. A me anzi, pare, si tratti più di reciproco completamento, di incontro e non di scontro, di dialogo, di armonizzazione. Non può non essere così dove vi sia qualcosa in più della sola attrazione fisica. Altrimenti... -La gonnellina non potrebbero fartela indossare- Sentenziò Nello suscitando una serie di muggite disapprovazioni da parte delle ragazze, e alzando il tono della voce aggiunse Mio compare è ammalato d’amore, festeggiamo con un brindisi- Questa volta riscosse l’applauso generale e la sollecita attuazione della proposta, assecondata dalla stuzzicata coppia apparentemente disinvolta, ma con l’animo commosso, per l’acuta sensibilità ad ogni allusione romantica. Usciti dal locale gelarono nell’impatto con la sizza marzolina dalla quale furono consigliati a correre verso il conforto dell’abitacolo delle macchine, e lasciar lì l’euforia della serata. Tuttavia Nello assuefatto al gusto della provocazione, acceso il motore si precipitò a raggiungere la vettura di Saro, un’imponente e spaziosa diesel duemila, le si accostò abbassando di poco il vetro del suo lato e invitando il compare a fare altrettanto gli lanciò l’ultima nata dalla sua fucina -Compare non dimenticate di prendere la pillola se soffrite il mal di mare, lì è come se viaggiaste su uno yacht, e se non ci siete abituato... -Quando mai, compare! Un pezzo di ben di Dio mi è consentito adesso che frequento voi -Non ve la sarete presa, spero -Niente affatto, è una constatazione vera. Se solo avessi fatto il socialista, mi sarei trovato più avanti di dove sto. Chissà non me la sarei potuta permettere anch’io una bella macchina, magari come la vostra! -E perché no. A me in qualità di dirigente la passa il partito. Io sono obbligato a fare dello sfoggio per mostrare il livello di vita a cui ci siamo elevati, da far raggiungere a tutti -Continuando di questo passo in Italia ci riuscirete davvero -Facciamo quel che possiamo, per l’impossibile ci stiamo attrezzando -Ce la farete, con uomini come voi ce la dovete fare per forza -Modestamente, compare! -Troppo modestamente Intanto dai sedili posteriori delle auto, dove l’aria gelida incanalata dalla stretta apertura del finestrino andava a conficcare gli aculei, risparmiando invece gli occupanti dei sedili anteriori, partivano le lamentele per l’insalubre conseguenza del brodoso batti e ribatti. -Ci farete prendere una polmonite. Vogliamo muoverci? -Ah, disgraziati, ci volete fare morire! Le ragazze s’intromisero di forza, vociando ininterrottamente e avendone presto ragione, con rammarico di Nello, il quale finì per consolarsi della forzata sospensione dello sfottò depurando dall’insinuazione al suo imborghesimento i siluri dell’amico e godendoli anzi, così spogliati dell’unica intenzione per cui erano stati lanciati, come lusinghevole attestazione di piccolo potente in ascesa, personaggio in cui amava specchiarsi, e verso il quale era in grado d’immedesimarsi a tal punto con tale interpretazione di comodo da arrivare a perdonare al compare ormai plagiato, persino il convincimento di uguale posizione degli attori nel rapporto tra i due sessi! Il dolente rimembrante si meravigliava del fascino conservato ancora da quegli episodi dopo tanti anni, tutto merito della buona disposizione d’animo del lontano periodo, e delle frivole distrazioni a sostegno della spensieratezza, grazie alle quali ogni tipo di problema dal più facile al più serio, finiva per essere risolto agevolmente. Ristoranti, pizzerie, discoteche, qualche villa di amici, a turno venivano visitati dalla comitiva unita: si mangiava, si ballava, vi si burlava, vi si schermiva, si rideva con grande affabilità. Provò disagio a considerare come tutto fosse finito miseramente per pregiudizi, tornaconti e vanità. Imprecò mentalmente contro la stupidità del genere umano e si abbatté al pensiero di immaginare condannato lo spirito molto probabilmente all’ergastolo dell’ipocondria. Lì adesso non stava male, benvoluto da tutti, senza preoccupazioni per il mantenimento, l’ambiente pulito, tranquillo e accogliente, l’attività salutare, il costante contatto con la natura, la sua multiforme bellezza! Ma sentiva esser proprio tali elementi a provocare la possente vitalità repressa di cui era dotato, e l’impossibilità a potervi rispondere adeguatamente, lo faceva soffrire di più. Inoltre s’era convinto che delle crepe profonde esistevano nel rapporto della coppia campagnola. Innanzitutto per la signora Irene, a parte il residuo dell’accento continentale nella parlata e quindi il luogo d’origine lontano, poco significativi per l’individuazione del ceto, si notava, specie dopo la decisione a manifestarlo abbigliandosi con più cura, la non discendenza da contadini, sia per la naturale spigliatezza, sia dalla compitezza, sia dall’enorme differenza tra il portamento di lei e del marito o quella delle condizioni in cui versavano le loro rispettive mani. Però si sa che i sentimenti non badano alla provenienza di classe per cui lui si convinceva sempre più che i due non si amassero punto. Ed era proprio sotto il riflesso di una tristezza latente scaturita da una convivenza sforzata, che il volto di lei mostrava cristallizzate le pieghe della sopportazione. Enzo invece, pur se tranquillo in quanto smaltiva meglio i rigurgiti dell’insoddisfazione lavorando come un bue, tradiva ad intervalli il rodimento in modo particolare quando si volgeva a guardare la moglie, con occhi pieni di fervore, e l’impassibilità di lei lo sprofondava a tal punto nello sconforto, da farlo assomigliare, se si fosse deciso a succhiare l’indice in bocca, al piccolo Andrea quando deluso per avere avuto negata una leccornia cominciava a far greppi. Di questa sofferenza coniugale lui ne era abbastanza convinto, e siccome aveva finito per voler sinceramente bene all’intera famiglia, simile situazione lo deprimeva ancor più di quanto lo fosse per proprio conto, anche se bastava a svagarlo la visita di Adelina prima di andare a letto la sera per scambiare la buona notte. Lei, dopo aver bussato entrava assonnata senza l’ordinario seguito del fratellino e della cagnetta, già sistemati a dormire il primo dalla mamma, appena il capo gli fosse caduto di lato, l’altra immancabilmente dalla zelante addestratrice dopo il perentorio ordine di Enzo. Bastava tale separazione perché la vispa bambina prendesse il contegno di un angioletto e cedesse agli sbadigli; allora si recava da lui per farsi baciare in fronte, e se non aveva da soddisfare innocenti curiosità o comunicargli qualcosa, con due baci schioccanti sulle guance subito si congedava. Quella sera in pigiama rosa, confezionato dalla madre, molto esperta in lavori femminili, sembrava un confetto, e veniva voglia di mangiarsela. Aveva l’aria titubante come se desiderasse confessare qualcosa. Per togliersi d’impaccio chiese cosa fossero gli strani disegni sulle partiture. L’incline musico le spiegò l’importanza di quei semplici segni sul pentagramma per permettere di leggere quel che c’era da eseguire. -A tutti?- S’informò lei con interesse. -Certo, purché vi s’impari a leggerli e a trasmetterli sullo strumento -Allora anch’io potrei suonare? -E perché no -Pensavo, le femmine fossero escluse -Quando mai amore mio. Ci vuole soltanto passione -In televisione, i musicisti sono solo uomini -Non sempre, ti capiterà di vedere anche femminucce -Quand’è così io voglio imparare -Tu ce l’hai la passione? -Sì, sì, eccome! -Bene, se è vero t’insegnerò io- Le promise stringendola al petto. Lei si scostò decisa a parlare. Infatti tutto d’un fiato si liberò del peso -Ho detto a mamma della tua domanda sulla zia, e lei si arrabbiò con me. Ma io non ti ho saputo dire nulla! -Oh, gioia, scusami, ti sei presa un rimprovero ingiustamente. Non ci pensare più, tranquillizzerò io stesso la mamma di saperne meno di prima, e di averti chiesto solo per caso Adelina mosse il capo in segno di assenso e uscì dalla stanza rinfrancata. Lui riservò il chiarimento alla prima occasione e riprese ad esercitarsi, riconsegnandosi al tossico della riesumazione di un periodo favoloso del suo passato. Era la festa del primo maggio. La comitiva al completo era stata invitata presso la villa a mare di un notabile compagno socialista. Nicole indossava un pantalone grigio stretto alla vita da farla soffrire, una aderente camicetta tesa al massimo dalla pienezza del seno, un golfino appeso ai fianchi e annodato sul davanti dalle maniche, scarpe piane. Era impaziente di incontrarsi con l’amato e appena lo vide stentò a sorridergli perché preoccupata dell’impressione potuta suscitare con l’adottata tenuta. Bruno non si accorse nemmeno della dose di goffaggine risultante dalla compressione dei panni e dalla mancanza dei tacchetti nelle calzature. Lei gli fu grata di questo e finalmente s’illuminò di uno sguardo raggiante. Il luogo era lontano. La corsa in macchina fu resa ancor più piacevole dai canti delle sorelle, presto partecipati anche da lui. Il villaggio era molto esteso, nonché percorrendone lentamente i vialetti, fu facile trovare la casa cercata, un’ampia costruzione a due piani, leggermente rettangolare, a tetto spiovente, poggiata su una base rialzata di circa un metro alla quale vi conducevano cinque o sei gradini. Al secondo piano era circondata da un ampio ballatoio raggiungibile dall’interno, e diventato terrazzino per il restringimento del coperto. Le pareti esterne, per la metà inferiore sfoggianti un elegante bugnato di mattoni, per l’altra lasciata ad intonaco grezzo color albicocca, offrivano numerose aperture. Il giardino era sistemato ad aiuole coltivate esclusivamente a rose di diverse varietà, costellate di boccioli sul punto di schiudersi. Alle spalle correvano duecento metri di scogliera bianca visibile per il lungo litorale, invaso nei punti più riparati da erbe alte e piccoli arbusti. La padrona di casa, una donna segaligna ancora giovane ma sciatta a bella posta per il morboso capriccio del suo snobismo integrale, li ricevette con molta cordialità. Ella da parecchio portava avanti con il notabile una relazione difficilmente definibile, poiché l’esigenza di originalità le suggeriva continuamente comportamenti dissomiglianti a qualsiasi modello, per cui il paziente compagno ormai rassegnato non se ne doleva tanto delle improvvise partenze per viaggi solitari, delle assenze a volte lunghe dal talamo, delle frequenti uscite a divertirsi nei locali pubblici con amici della sua stessa stravaganza. Con tutto ciò non si poteva dubitare sulla fedeltà: chiunque la conosceva era pronto a giocarsi una mano sul fuoco. Inoltre era gelosa come una pazza, e ancora, intelligente e simpatica quando ne aveva voglia. Il compagno invece, alto, corpulento, ben pettinato e vestito secondo il gusto corrente, era amante della vita ordinata, e la stridente contrapposizione con la convivente la poteva superare solo grazie all’impegno politico di cui era prigioniero. Partecipava alla conversazione tra notevoli esponenti provinciali del "garofano", tutti presi dalla preoccupazione di non farne uscire schiacciato il loro partito da subdole collaborazioni tra comunisti e scudocrociati. Più appartate, le mogli del summit facevano riunione in un angolo. Bruno fu presentato ai difensori del socialismo dalle sorelle, già avuto modo di conoscerli, frequentando la sezione di partito. Fu colpito dall’ardore di uno dei quattro, un quarantenne bruno con capelli brizzolati, occhi piccoli, due rondelle di piombo per pupille, labbra sensuali, posa da intellettuale. Avvertiva gli altri del rischio di allontanare ancor più i due grandi movimenti dei lavoratori con iniziative troppo spregiudicate, e d’esser meglio disposto ad un calo di consensi alla sua fazione con la contropartita di un rafforzamento della "Sinistra", piuttosto di veder svanire per sempre le speranze del raggiungimento della maggioranza rossa, in cambio di un’effimera affermazione. Insomma era gravido di fede nell'ideale. Bruno con la scusa di andare a salutare le signore si mise al riparo dallo scoppiettio di inutili chiacchiere. Lasciò il salone da una porta che dava sul ballatoio, accese una sigaretta, e aspettando d’esser raggiunto da Nicole, rise d’una simile rappresentanza della classe operaia in tutto calata nella pratica borghese. Quando sopraggiunse l’amata si avviarono verso una lunga passeggiata tra scogli abbacinanti e dopo aver ricevuto dalla compagna la conferma alla sua impressione su quel tipo di chiacchierone matricolato, passò ad interessarsi interamente a lei. Camminavano lentamente aspirando a pieni polmoni la salsedine sparsa dagli sprizzi dissoltisi dalla bava delle onde. Lui le cingeva i fianchi con trepidazione e ogni tanto un bacio le posava sulla guancia fresca. Era innamorato e tanto felice da contenersi a malapena dal gridarlo ai molti sdraiati sulla spiaggia dediti ai primi assorbimenti di tintarella. Lei di tanto in tanto gli si girava ad offrirgli il miele dello sguardo e le labbra gli porgeva attendendo la ricompensa. Erano entrambi teneri come il soffio della brezza smorzato dal sole. La villa di partenza rimpiccioliva, ma dovettero avanzare ancora un poco prima di trovare un tratto di litorale senza gente. Si fermarono compiaciuti dello spazio romito. Un’irresistibile attrazione li spingeva l’uno verso l’altra finché le bocche non s’incontrarono con l’intenzione di non separarsi più. Infatti se non fosse stato per l’orologio di lei casualmente consultato a richiamarla alla ragione, dalla base li avrebbero dati per dispersi. Nicole sobbalzò e liberandosi dall’essere avvinghiata si ricompose la camicetta accendendosi in viso come un papavero. Rientrava da un’esplorazione planetaria. Il suo essere librato nello spazio aveva conosciuto astrali emozioni. Era stata eccitata allo spasimo. I pantaloni indossati al fine di respingere le tentazioni a donarsi in un posto poco sorvegliabile aveva smaniato per averseli potuti ritrovare lacerati. Aveva sussultato e si era torta vogliosa, intercalando gridolini spazientiti. Quel birbante di partner, scoperta nei capezzoli una sensibilità altamente erogena, vi aveva giocato e li aveva vezzeggiati con le labbra, i denti, la lingua senza stancarsene, e da farla impazzire. Dovette respingerlo con la forza per mansuefare la mente -Bruno, dobbiamo andare- Gridò strabiliata di come fossero potute volare quasi tre ore -Avranno finito di pranzare! Lui si lamentò ancora immerso nel sogno, e nel rientrare poco a poco in sensi di rimando rispose -Che c’importa? -Amore, cosa penseranno?- Incalzò lei. -Già, che rogna gl’impiccioni!- Ammise lo stralunato compagno e chiese l’ora ancora indispettito -Quasi le due?!- Fischiò stupito aggiungendo con rassegnazione -Il tempo è troppo veloce. Adesso chi potrà legarle quelle maledettacce lingue? Arrivarono col fiato grosso per la corsa sostenuta. Per fortuna non vi era unica tavolata giacché il numero degl’invitati era elevato, quindi la brigata frazionatasi a gruppetti sulla base della simpatia o degli interessi, si rifocillava, parte in casa, parte in giardino. Il nucleo più forte era quello dei notabili a cui si erano aggregati con gran sollievo di Bruno, il compare e Rosy, quindi buona parte di velenose insinuazioni erano risparmiate. Nicole s’incaricò di far provvista di cibo mentre il complice del ritardo rimasto solo smaltiva la contrarietà, derivata dagl’inopportuni pantaloni di lei, risultati un’armatura efficace ad impedirgli di coglierla compiutamente. Sapeva d’essere destinato all’unione agognata, ma proprio il vedersela sfuggire ormai da un bel pezzo per circostanze non del tutto fortuite lo rammaricava parecchio, per il solo, unico motivo di vedere svanire porzioni di felicità di sua spettanza ed irrecuperabili per sciocche dimostrazioni di indubitata serietà. E ogni volta lei pudicamente lo avesse pregato d’esser paziente, lui non si era stancato di ripetere che il perso non lo si sarebbe più ritrovato. Certo Nicole era stata sfortunata ed era anche comprensibile il suo fidarsi con ponderazione. Però se era vera la determinazione alla dedizione del nuovo compagno e nella stessa misura di questi verso di lei, perché tanta circospezione?! II ritorno dell’eccessivamente prudente fidanzata con le mani ingombre, un sorriso misto di contentezza per lo scampato pericolo dei pettegolezzi, di gratitudine e di rinnovata promessa al promesso amante gli fece abbandonare l’irritazione ed accettare le vivande, contraccambiandone l’espressione confidente. Gli fu chiesto se avesse visto la sorella. Assieme cercarono con gli occhi senza scorgerla. Uscirono dal giardino e andarono a guardare dal lato opposto ove s’era svolta la loro passeggiata. Stava seduta all’ombra di uno scoglio in compagnia di Tina, arrivata assieme al compare e a Rosy un po’ dopo di lei, e ancora di Nuccio e di Saro tutti e due giunti da circa un’ora con la macchina di quest’ultimo. -Dove vi eravate cacciati?- Investì Anna i due supposti dispersi appena li ebbe davanti seccata per proprio conto, in quanto la relazione con Saro, partito eccezionalmente di suo gradimento, pareva non voler decollare. -Abbiamo ispezionato i paraggi- Fu pronta a rispondere la sorella. Nuccio alzatosi cercò di sganciarsi da Tina, pensierosa come le accadeva d’essere da qualche tempo. Accampò, standosene in disparte la scusa di poter dare l’impressione ai ragguardevoli compagni di partito di snobbare sia le loro persone, quanto le loro preziose previsioni su un’indubitabile prossima svolta politica nazionale. Riguardo ed interessi in verità inesistenti. La ragazza con la solita accondiscendenza gli tese il braccio per farsi tirare su. Nuccio la dispensò dal seguirlo con la scusa che si sarebbe presto annoiata a seguire una conversazione sicuramente opprimente per chi di politica non ne avesse familiarità. Tina assorbì con remissività. In effetti incassava come tutti i grandi generosi, abituati a reagire alle immeritate delusioni con il rimproverare se stessi, e la giovane era molto amareggiata di non essere stata in grado di far ardere il cuore di colui verso il quale si sentiva legata da profondi sentimenti. Lei non immaginava minimamente che la viltà dell’altro a fronteggiare la situazione della sua bassa condizione sociale arrivasse a fargli dare un calcio alla fortuna di aver trovato un’anima così pura. Anna invece meno ingenua s’era resa conto delle intenzioni concertate dei due amici a fuggire le tentazioni, ed era stizzita sol perché vedeva sfuggirsi di mano l’ottima occasione di colpaccio, altro che per malessere d’amore! La breve permanenza di Saro fu straordinariamente avara di parole, e le risposte date a seguito delle sollecitazioni ad esprimere un’opinione sull’argomento in discussione pareva suonassero tutte "questa è l’ultima volta in cui ci vediamo". Ad un tratto mentendo platealmente sul rincrescimento di dover lasciare tanta cara compagnia, fece finta di essersi scordato dell’incombenza di andare a prendere i genitori dalla campagna sicuramente in quel momento stizziti ad aspettarlo, per cui abbandonò in fretta il posto occupato scusandosi di dover salutare poiché c’era parecchia strada da fare, e sperava bene che Nuccio non gli facesse perdere dell’altro tempo. Anna al suo sguardo traditore ne contrappose uno estremamente canzonatorio e all’impacciato arrivederci di quello rispose con un allegro addio mentre con una mano afferrava il braccio di Tina scattata in piedi per condursi dal vile fidanzato a cercare di convincerlo a restare con loro e rientrare assieme. Anna la fissò tanto severamente nel momento in cui il partente era rivolto alla coppia degl’innamorati, da impietrirla e non farla muovere e quando Saro si allontanò le disse compatendola -Dove volevi correre sciocchina? -Volevo suggerire a Nuccio di rientrare con noi- Spiccicò lentamente con voce rotta. -Glielo diremo noi appena viene a salutare- Promise Nicole commossa dalla nobile ingenuità. Nuccio arrivò di corsa dicendo di dover scappare ed alle insistenze disperate dell’onesta fanciulla rispondeva di non poter sottrarsi a tenere compagnia all’amico per la strada di ritorno, dopo aver ricevuta da questi la cortesia di essere stato atteso per la venuta. Tutti lo salutarono con distacco. Tina dopo avergli detto qualcosa all’orecchio gli porse le labbra e ricevuto il bacio dal giuda, parve rasserenarsi. Lei come la gente dabbene ragionava con semplicità, per cui le cattive azioni sono la risposta a eccepibili comportamenti, e siccome la sua coscienza si manteneva diamantina non le sfiorava minimamente l’idea di poter subire dei torti, ricavando da tal ferma illusione un teorema ritenuto infallibile, nonostante il dilagare della malvagità esistente per se stessa senza bisogno di essere provocata, poiché diversamente non potrebbe prendere corpo, in quanto alla scorrettezza verrebbe a mancare spesso la causa. Tuttavia dinanzi a sì cospicua evidenza questi non pochi ingenui individui pur di insistere a camminar sul vuoto, non si convinceranno mai, e per loro non ci saranno innumerevoli ed inevitabili ruzzoloni che tengano. Com’era stato chiaro per tutti tranne che per Tina, quella fu l’ultima occasione in cui i due amici esageratamente delicati tra di loro comparvero sulla scena. A Tina le si rasciugò il colorito e la gaiezza, diventando clorotica ed ebefrenica. Anna per riprendersi dal colpo, dall’indomani stesso riagganciò Melo, il suo vecchio spasimante di comodo. L’avvicendato innamorato non corrisposto coadiuvava il padre a condurre una media azienda di costruzioni con scarso zelo, distratto dalla passione d’inseguire donne, e mieter successi per merito delle tante virtù(!) possedute e dal gentil sesso predilette, quali l’ottima posizione esibita con costosa macchina sportiva, grossa moto, vestiti firmati, aspetto affascinante, misurata affettazione e larga liberalità. Sui trentacinque anni, sposatosi giovanissimo, separato, una figlia signorinella affidata alla madre, viveva da scapolo. Malgrado si facesse assorbire dalla mondanità e mezzi e attrattiva lo gratificassero, il suo interiore pativa grama salute, non potendosi liberare dal rodio di un tarlo. Ne era diventato succube. Il travaglio non lo lasciava nemmeno di notte. Gli capitava di rigirarsi nel letto e svegliarsi per sospirare profondamente in quanto lo sfacciato coleottero addentava nel pensiero assopito. Spalancava gli occhi, e iniziava a ragionare concludendo sempre di essere inetto a trovare valida argomentazione a sostegno del comportamento di certe donne. Per lui era Anna il capriccio della sua infelicità. Non era stato in grado a rassegnarsi a rinunciare perché ad intervalli, capitando proprio nei periodi più delicati, durante i quali pareva stesse per raggiungere la determinazione a non volerne più sentire parlare, nasceva puntuale un imprevisto a ridargli speranza. La solita telefonata di lei a chiedergli consiglio lo metteva in tale stato di ansietà da consentirgli di respirare a malapena, poi la contentezza di ritrovarsi all’appuntamento era così grande, da fargli dimenticare il motivo della pretestuosa chiamata della ragazza, e tutto intento a pender dalle labbra di lei, si consegnava fiducioso alla cinica torturatrice. I genitori di Anna confidavano segretamente in una decisione seria della figlia a unirsi a quell’uomo, un privilegiato nella scala sociale, in definitiva degno di lei. Per cui non si scandalizzavano se fino alla conclusione delle pratiche avviate per il divorzio, Anna andasse a convivergli, per coronare l’unione con il matrimonio, appena fosse stato dato il via libera. Melo aveva capito la disponibilità degli aspiranti futuri suoceri e non mancava a lui coprirli di affabilità. La protagonista principale si rideva di tutti, e nelle more di trovare il partito desiderato, non si privava dell’utilità d’una ruota di scorta, favorendo così la malcelata soddisfazione dei genitori e il giocondo ebetismo dello scioperato imprenditore. Erano passati una quindicina di giorni dalla riattivazione della vecchia amicizia di Anna. Si era usciti spesso la sera, sorelle e accompagnatori. Melo era di una cordialità e manovrabilità uniche. Si faceva in quattro perché desiderava, se in sua assenza si fosse parlato di lui, non vi si dovesse trovare da dire diversamente da un bene illimitato, e ci sperava molto in pareri altamente positivi sul suo conto per la presunta efficacia ad influire ad accrescere la considerazione in cui era tenuto dalla disperatamente ed invano amata allieva del calcolo. Con una presenza così attenta, garbata, servizievole, perspicace, le uscite avevano spesso un non si sa che di magico, in quanto capitava di constatare nel caparbio corteggiatore la capacità di precorrere il momento percettivo dei desideri degli altri, e ad essi avanzasse le stesse proposte suggerite loro dalla mente, solo se ne avesse avuto il tempo. Sapeva cogliere tempestivamente le esigenze delle situazioni e con disinvoltura vi trovava il modo di soddisfarle. Una sera, usciti dalla pizzeria, alla guida della sua fuoriserie ruggente più d’una pantera, si diresse verso un quartiere nuovo della zona settentrionale della città. Anna a cui quelle strade erano familiari, e non gradiva partecipare la sua confidenza con il luogo dove conducevano, pregò l’amico di rimandare. Quegli con un cenno del capo la invitò a rendersi conto della coppia ospite involata in sollucchero, ed in bisbiglio aggiunse -Potrebbe tornar loro utile. E anche noi avremo occasione di parlare un poco indisturbati- Avendole carpito il consenso senza il quale non si sarebbe mai arrischiato di decidere, dopo qualche isolato accostò la macchina. Al secondo piano di una palazzina di recente allestita dall’impresa paterna, l’infelice viveur s’era riservato un appartamentino di tre vani, e lo aveva arredato a garçonnière. Moquette sul pavimento, tende alle porte, alle pareti quadri ed arazzi. Un ampio vano faceva da cucina e stanza da pranzo con mobili laccati in tinte sgargianti. Seguiva il salotto dove i colori si addomesticavano in un fondo conduttore castagna. Di fronte, lo studio austero di solide scrivania e libreria. In fondo al corto corridoio la stanza da letto con accanto il bagno rivestito in porcellana. Non si era badato a spese e per quanto non fosse grande, così com’era l’appartamento doveva valere una fortuna. Mentre i due nuovi visitatori si guardavano attorno stupiti dello sfarzo e rimanevano particolarmente impressionati da un’allegoria dell’amore tessuta finemente su un drappo occupante la parete di fronte al comodo sofà tappezzato in velluto, sul quale si erano accomodati con grande agio, Melo dopo aver inserito un nastro di musica carezzevole in un apparecchio sonoro ad alta fedeltà, avvicinatosi al mobile bar prese a chiedere agli ospiti cosa preferissero sorbire -Allora vogliamo brindare con un drink? Vediamo cosa passa il governo! C’è del digestivo, dell’analcolico, cognac, whisky, la vodka per eventuali nostalgici compagni, vi sono sciroppi, c’è del pernod, il fernet, il vermut, posso preparare dei coktails. Ridete. Credete non sia capace, o mi manchi l’arancia o il pompelmo o il ghiaccio. Qui non manca nulla! -Eppure- Lo interruppe Nicole -Non hai menzionato la bevanda di mio gradimento in questo momento -Vorresti aver preparato un caffè, un tè, una camomilla, una tisana? Non so cos’altro si può cercare… -Una fresca aranciata -Ho già detto di tenere delle arance in casa -No, no, aranciata. Non spremuta d’arancia -Aranciata?! Ma è roba da bambini?! Non lo dirai sul serio, spero -Va be', se non ce n’hai, un analcolico qualsiasi -Vedrò di fare un miracolo. Per te Anna? -Cerca di farne due di miracoli -La mia casa si è trasformata in santuario. Mi vengono i pellegrini a chiedere miracoli. Ohibò! -Sii bravo- Lo pregò lusinghevolmente docile la sua tiranna. -A vos ordres, douce jeune maitre- Con reiterata obbedienza Melo le si mise a disposizione. Questi aveva assunto i connotati dell’archetipo della gaiezza. Prima di andare in cucina a prendere dal frigorifero le due bibite ordinate, si rivolse a Bruno, e stringendo gli occhi e i denti come se paventasse di subire da questi una sassata sul punto di essere scagliata, gli chiese timoroso -A te cosa servo? -Un pernod -Ah! Questo è parlar da cristiani!- Pronunciò liquidando immantinente la smorfia di paura, ed esultante, chiedendone permesso, si allontanò con in mano la bottiglia lattiginosa. Bruno, appena rimase solo con le sorelle non poté fare a meno di esprimere una considerazione più che ovvia -Se la passa bene l’amico. Ha una piccola reggia. Ci vive da solo?- Chiese infine ad Anna. -Qui ci porta le sue conquiste. Lui vive con i genitori -Non è affatto promettente!- Intervenne Nicole. -E’così solo, da farmi pena- Rispose l’altra e rimarcò lo stato esistenziale dello sfortunato ganimede con un gesto d’impotenza come se non sapesse affatto d’esserne la causa principale –E’tremendamente solo- Concluse. Sentito nel corridoio il tintinnio dei bicchieri prodotto dall’avvicinarsi dell’ospitale padrone di casa, cambiarono discorso. Melo accostò il carrello al tavolinetto intarsiato, pregò i presenti a servirsi delle bevande poste su un vassoio d’argento e a fare un cin cin alla vita. Poi si accordò con Anna di lasciar sola l’altra coppia, girò la cassetta musicale dall’altro lato, ed assieme a lei uscì dalla stanza. Bruno colse l’occasione di informarsi meglio della relazione intercorsa tra i due, apprendendo da Nicole di non spingersi oltre l’amicizia e nonostante l’intransigenza della sorella a non voler prendere impegni seri, il trepido innamorato si adattava all’ingrata situazione pur di non perdere del tutto l’illusione a sperare. Anna non se ne faceva scrupolo! Bruno rimase sconcertato della spregiudicatezza della ragazza, ma non ne volle parlare con Nicole, essendo certo anche della sua disapprovazione. Intanto la melodia cominciava a produrre l’effetto dell’abbandono. Le luci del lampadario stonavano. Bruno si alzò per andare ad accettarsi se avesse potuto ridurle di metà. Trovò gl’interruttori. Ne provò uno e questo agiva sul lampadario. Provò gli altri ed ebbe l’inattesa bella sorpresa. Essi accendevano dei chiarori colorati ai quattro angoli delle pareti. Spense il più intenso e lasciò piovigginare un barlume rosa. Tornò al sofà: Nicole vi si era distesa e con il braccio teso l’invitava a raggiungerla. S’inoltrarono insieme in un dedalo di sensazioni esaltanti tappezzato dai più bei fiori, dai quali suggevano, ingorde api, il polline trasformato in miele all’istante e reciprocamente donato e ricambiato con febbrile approfondimento di baci. Appena Bruno passò a suggere sui dolci colli, lei cominciò ad ansimare ad occhi chiusi mordendosi il labbro inferiore e la testa muoveva ora adagio or più sollecita, a tratti sbattendola a seconda del fluttuare della mente. Lui, alla fioca luce carnicina nel contemplarla impazziva a doversi raffrenare ad addentarla. Il seno poi! Si sentiva un cannibale con la più deliziosa preda davanti, inibito da un tabù misterioso. Gli sembrava di provare al palato uno squisitissimo sapore arcano, le narici aspiravano il delizioso profumo del sangue e il suo pensiero lo involava in una dimensione sicuramente vissuta ed altrettanto dimenticata. Avvertiva pesargli un incomprensibile retaggio che si prodigava a rassicurarlo di essere giunto a trovarsi con l’essere assegnatogli forse dal tempo dei tempi e lo ammoniva a non indugiare oltre a ricongiungersi. Subiva lo sprone di rivivere condizioni già esistite; ne era comandato. Non c’era tempo né per pensare, né per capire, doveva eseguire. Anche Nicole pareva trovarsi nella stessa situazione e aggrappata alla cintura dei pantaloni di lui, lo scuoteva con insofferenza e a gambe allargate invocava l’attesissimo ingresso. Bruno si sbottonò prontamente mentre lei in un baleno sfilò le mutandine. Liberato che fu, il pene assunse una rigida perpendicolare come su una rampa: era troppo teso, la propulsione pronta, non si doveva perdere un attimo di più! Al contatto, ahimè, si afflosciò di colpo! Lui fu colto da un’improvvisa vertigine e un brivido gli corse su tutta la lunghezza della schiena, sino al coccige. Si sentì raggelare: il corpo strusciava invano su quello di Nicole, sempre più sudato e freddo di contro all’altro friggente. Nicole col palmo della mano gli detergeva la madida fronte, passava ad accarezzargli i capelli sopra la nuca dalle punte quasi gocciolanti e gli sussurrava parole di conforto. Bruno bestemmiava a denti stretti, e non osava guardarla perché sapeva di coglierle un’espressione schernitrice anche se le intenzioni fossero state completamente diverse. Era in gran subbuglio, pur se si dominava a non manifestarlo. Non l’aveva tanto per il mancato godimento, brevissima parentesi di felicità a confronto della vita, generalmente piuttosto amara, ma lo sconvolgimento dello spirito era stato determinato dal mancato congiungimento, o da una specie d’inspiegabile ricongiungimento eluso, e dall’affiorante dubbio di potergli essere precluso in futuro. Si scostò lentamente con lo sguardo basso e rialzandosi i pantaloni allo scorgere la molle appendice si sentì invadere da immenso avvilimento. Si mise a sedere con i gomiti piantati sulle gambe e le mani a reggere la mandibola. Lei lo fissava dispiaciuta senza avvicinarglisi per non demoralizzarlo di più. L’atmosfera attraversata dalla musichetta adesso beffarda divenne insostenibile. Quando la cassetta si esaurì ed il silenzio finiva per schiacciarli, per fortuna il padrone di casa subito avvertito dello stop dall’interruzione della ricezione goduta anche in camera da letto grazie ad una derivazione, si premurò ad andare a dar nuovo alimento al mangianastri. Bussò con discrezione alla porta ed aprì appena gli fu risposto di entrare, ma con l’impatto della penombra si arrestò sulla soglia incerto -Scusatemi, non volevo disturbare. Credevo vi tornasse gradito il sottofondo musicale... Ero venuto... Però pensandoci bene... -Quante perplessità superflue! Non le fingerai apposta spero, per colpevolizzarci di aver cercato solo di creare l’atmosfera più adatta a farci assorbire dalla melodia?- Lo riprese Bruno col cuore sanguinante e continuò dolorosamente spiritoso -Noi possediamo la sensibilità dovuta per sapere apprezzare la buona musica, la fedeltà necessaria per non tradirla e l’implacato interesse per continuare ad ascoltarla. Si può dire, eccome, specie oggi, che noi viviamo di musica. Mi auguro, tanto basti a fugare i timori di disturbare -Bene, abbiamo gli stessi gusti- Accordò Melo, e non supponendo che quella coppia gli si fosse accomunata nell’aver bevuto al calice della delusione, non disposto a passare per utile idiota propose -Allora perché non vi unite a noi di là? Voglio mostrarvi... Mi direte voi, cosa La stanza inondata da una luce violetta assumeva la caratteristica di un luogo spettrale, e Anna vestita e distesa sul letto sembrava vi giacesse morta. Nella parte mediana delle pareti girava una sfilza di quadri, tutti partoriti dalla fantasia dell’amante respinto, realizzati con buona proclività e raffiguranti un’unica donna stilizzata in varie pose. L’identità era manifesta, l’espressione enigmatica, le nude forme snelle. Le poche linee essenziali tracciate con il carboncino investite dalla livida illuminazione erano diventate fosforescenti e parevano riemerse dall’oltretomba per minacciare i visitatori. -Sembra la stanza degli orrori- Proruppe Nicole -Ce ne abbastanza per lasciarsi prendere dagl’incubi la notte Dalla sua posizione Anna accese tutti i faretti con gran sollievo della sorella lesta ad esclamare di soddisfazione, rivolgendosi alla congiunta -Figlia mia, avete il gusto del macabro! Sapessi l’impressione subita guardandoti supina nel letto! -Era uno scherzo -Alla faccia dello scherzo! Siete dei matti- Concluse Nicole un po’ irritata. Dopo la cilecca, per una settimana Bruno si rese irreperibile. La sera quando non s’incontravano, all’ora da lei abitualmente usata per chiamarlo al telefono, non si fece trovare in casa, e per sette giorni fu la madre a conversare con la giovane sconosciuta. Lui rincasava all’ora di trovare i suoi a letto e riceveva l’ambasciata puntualmente l’indomani a tavola per il pranzo, accogliendola con poco entusiasmo. La madre commentava -Mi sembra una brava figliola, è tanto gentile, ed ha pure una bella voce -Allora non va per tuo figlio. Se ha delle qualità non va per tuo figlio. Infatti lo vedi anche tu come la sfugge. Non si rende conto d’averci perso tempo a sistemarsi, a sposarsi- Il padre attaccava la tiritera, volgendosi all’imputato e continuava -Devi pensare a costituirti una famiglia. Sei già in ritardo. Quando si ha un posto, uno stipendio, si può trovare pure un buon partito. Devi renderti conto che noi invecchiamo e possiamo scomparire da un giorno all’altro. Chi ti cucinerà poi, chi ti pulirà la casa, chi ti laverà la biancheria, stirerà le camicie, rammenderà le calze, attaccherà qualche bottone, chi ti curerà soprattutto? Sarà tua sorella? Si metterà in casa te e i tuoi fratelli, constatata anche la loro sordità. Farà la serva a voi? Come non capite cose così semplici?- Chiedeva infervorato. -Sì, le capisco. Le so a memoria da quante volte l’ho sentite- Ribatteva Bruno infastidito -Ed è perché le capisco sin troppo bene che mi manca l’intenzione -Perché cos’hai contro la famiglia?- Lo incalzava il genitore sobbalzando. -Ci risiamo. Eppure ne abbiamo parlato tante volte. Lo ripeto ancora, io non accetto il discorso della domestica, dell’infermiera o della favorita, una compagna docile, ubbidiente, compiacente, subordinata, una donna col carico di dilettare, lusingare e soddisfare il suo partner, una padrona della casa, regina del focolare e madre sviscerata, un essere destinato a diventare causa l’indottrinamento ricevuto sulla sua inferiorità biologica e sociologica un’infelice psicopatica. Non m’interessa una massaia ignorante, una schiava rassegnata, né una passiva conceditrice di sesso, pronta a barattarsi in cambio di una sicurezza fittizia, di protezione o di posizione sociale. Meno ancora il buon partito. Per niente il matrimonio promettitore di tutte queste puttanate. Io amo l’emancipazione, l’uguaglianza dei sessi, e chi mi sta accanto deve essere lo specchio dove io possa contemplarmi -Tu vivi fuori dalla realtà, tu farnetichi. Ma guardati intorno, non ti accorgi come tutto ti smentisca, quanto immensa sia la tua eresia? -Perché dovrebbe essere diversamente con una tale pervicacia dell’uomo a praticare l’oppressione e l’umiliazione sulla donna? -Dal tuo dire è facile dedurre il tuo convincimento sul mio conto, quale maltrattatore di tua madre! -Davvero vuoi sapere cosa penso? -State oltrepassando la misura, adesso basta!- Intervenne turbata l’anziana genitrice -Non c’è niente d’irriverente, mamma, nelle mie osservazioni. Io penso, tu non ti sia trovata male, solo per la tua grande nobiltà e per la dedizione assoluta verso i figli, unico scopo della tua vita. Quindi automaticamente il resto è passato inosservato. Tu sei stata l’esempio più cospicuo del sacrificio, e poiché per te la gioia scaturisce solo dall’altruismo tu sei stata felice e continui ad esserlo indipendentemente da ciò che al tuo posto si sarebbe visto mancare una madre meno generosa -Sii più chiaro- Riprese il padre con aria di sfida. -Vuoi sapere se fosse possibile maltrattare una simile creatura? -Perché, cosa vuoi dire? -Molto semplicemente, io ritengo tu abbia vissuto tal quale gli altri maschi con la presunzione della loro superiorità per efficienza, intelligenza, diritto -Ci sono leggi della natura e regole della società -E soprattutto la prepotenza dei supermaschi -Le tue sono idee bislacche, ti auguro solo di non avertene a pentire -Tu hai le tue idee, io ho le mie. Che male c’è? -C’è, c’è il male- Riprendeva il padre adirato quasi gridando -Questo è segno d’immaturità. E poi c’è il cattivo esempio dato a tuo fratello -Ebbene, non parliamone allora- Tagliò corto Bruno. A questo punto Mario rimasto neutrale a godersi la scenetta interveniva a metter pace Suvvia, calmatevi adesso. Non c’è motivo di prendersela calda. Io, papà, ci sto attento a non farmi influenzare, ti assicuro! Un’atmosfera greve finiva per accompagnare il resto del pranzo. I tentativi di mediazione della signora Annina e di Mario risultavano vani, specie per il maresciallo dispostosi a borbottare per l’intero pomeriggio. Bruno era lesto ad abbandonare la mensa ancora con la bocca piena e la madre gli correva dietro -Cosa c’è a non funzionare, figlio mio?- Gli chiedeva con apprensione -Ti vedo preoccupato e nervoso. Non far conto del litigio di poco fa. Dimmi perché non vuoi parlare con Nicole. Lei ti vuole tanto bene, ed anche tu, ne sono certa. Una madre conosce bene il suo bambino, non a caso le attenzioni dedicatemi una volta, adesso sono trasferite ad altra persona. Però non te ne voglio, anzi ne sono contenta se la persona in questione le meriti -Oh mamma, è vero, ne è degna. Hai ragione tu, lei mi vuole molto bene, ed io forse non ne sono degno, come non sono degno di una madre buona quanto te- Le fece una carezza sulla guancia e un bacio le pose prima di chiudersi in bagno a lavarsi i denti e uscire di gran fretta per evitare di essere sorpreso dal telefono. Lui si comportava stranamente anche al pastificio. Assumeva l’aria assente, stava molto teso, e trasaliva ogni volta qualcuno gli si rivolgesse. Inoltre aveva preso l’espressione ed il colorito dello spaventato cronico. Di tanto in tanto espirava con sbuffi l’ansia accumulata e avvertiva di sudare con frequenza. Stava molto male ed era certo di non potere rimettersi prima di essersi potuto rinfrancare con una rivincita. Aveva ripreso a sentirsi con Nicole, ma era titubante ad uscire di nuovo assieme, finché non ne trovò il coraggio. La sera era scesa da poco accompagnata da una brezza impegnata a smorzare il tepore di una calda giornata e spinger nel cielo brandelli di nuvole sgocciolanti discontinue spruzzatine d’acquerugiola. Si dirigevano in macchina fuori dall’abitato, passando per il lungomare senza fermarsi. Bruno s’era procurate le chiavi della campagna del padre, posta tra la città di Nicole e la sua. Aprì il cancello in laminato di ferro, entrò con la macchina e scese a richiuderlo. L’erba era alta e fitta e all’impatto con il telaio opponeva resistenza e si piegava con fracasso. In fondo alla redola, ad una cinquantina di metri, vi era il magazzino degli arnesi adibito pure a garage, ma l’entrata era stata ostruita per l’imminente raccolta dei limoni, con un muro di cassette di plastica vuote, scaricate lì davanti disordinatamente da un camion della ditta acquirente dei frutti, perciò lui non potendovi entrare, posteggiò vicino il fabbricato nella radura, appositamente ricavata per consentire ai veicoli la manovra di inversione di marcia. Il cofano motore nascose sotto le fronde di un albero, le quali alla luce dei fari sembrarono portare appese una gran quantità di lanternine. La campagna dormiva quietamente, approfittando della tregua notturna rispettata dai suoi svariati abitatori in eterno conflitto. I due abbassarono gli schienali dei sedili in modo da poter meglio realizzare l’intesa vagheggiata... All’improvviso una bestemmia echeggiò nel silenzio come il grido di un uccello ancora sveglio spaventato da un’ombra. Bruno con lo sportello aperto si accingeva ad abbandonare l’adattata alcova perseguitato da una imperscrutabile inibizione. Le gambe nude si bagnò a contatto con l’erba rorida, e al colmo dell’esasperazione si ribellava bestemmiando ripetutamente. Era in preda ad un folle furore sconosciuto prima di allora. Andava avanti e indietro per la radura scuotendo le braccia piegate come fossero percorse da scariche elettriche e alzando il capo verso il cielo ripeteva -Non può essere- Intercalando altre bestemmie senza stancarsi. Frattanto Nicole, rassettatasi, era scesa dalla macchina e se ne stava ritta e impietrita ad assistere agl’irrefrenabili scoppi d’una collera in preoccupante eruzione. Avrebbe sicuramente riso di un tal concitarsi in camicia con gl’inefficienti attributi penduli, se non si sentiva un pochino responsabile sebbene indeterminatamente, e se un certo sconcerto non l'avesse turbata per le ripetute imprecazioni. Gli si avvicinò e poggiandogli una mano sulla spalla con l’intento di calmarlo, produsse un maggiore attizzare delle polveri, facendo saltare per scostarsi da lei l’indemoniato peggio che se fosse stato sbalzato da una delle violente esplosioni. Pronunciò con gran pena il nome di lui sommessamente, più decisa, infine sdegnata, e constatata l’inanità del tentativo di rabbonirlo prese a rimproverarlo aspramente -Sei un pazzo! Perché devi bestemmiare così? Pazzo! Mi senti, pazzo che non sei altro!- Gli afferrò un braccio scuotendolo con forza. Quello la guardò stralunato e le chiese con voce fessa -Perché, di grazia, per qualche misera bestemmia? Vi inalberate presto per le bestemmie al vostro dio. Quale dio? Quello strafottente verso noi tutti o quello in preda a succulente risate mentre mi osserva in questo momento? E se il primo, in qual modo potrebbe offendersi? Se è l’altro, non le merita forse? -Qualsiasi opinione tu ne abbia, essa non ti dà alcun diritto di offendere i sentimenti religiosi degli altri!- Rimbeccò Nicole più che per difesa teologica, con la prima rimostranza venutale in mente, e ritenuta efficace a scuoterlo dallo sconvolgimento prodottogli dal secondo forfeit. -Certo che no, né me lo arrogo. Tu sbagli se credi ch’io bestemmi per offendere i tuoi sentimenti. Lo faccio solo per esprimere la mia opinione. Avete un bel dire voi con questi sentimenti offesi, e non vi curate di pretendere con la vostra suscettibilità di tappare la bocca agli altri -Perché l'unico modo di sentirsi liberi di parlare rimane quello di pronunciare insolenze? -Verso chi? Verso chi non esiste, verso il nulla, il niente, la favola o il mito. Verso il bisogno codardo dell’uomo di aggrapparsi al sovrumano per il rifiuto di affrontare ed accettare la realtà, quale essa si svolge sotto i suoi occhi? No, mia cara, io non sono per paura disposto ad arrendermi all’invenzione di altre paure. E se mi è concesso irridere idoli, feticci, totem, dei, non vedo quale privilegio possono vantare le stupide fantasie di un gruppo di pastori nomadi della Mesopotamia e ispirarmi diverso trattamento verso le loro idiozie. E già che siamo in tema ti dirò cosa c’è di salvabile per me di tutta l’impalcatura mistico-surrealista della fantasia dell’uomo: l’invenzione della figura del Cristo, l’espressione onirica più alta della sua aspirazione ad una fusione poco convincente della materia con il trascendentale. L'uomo ha cominciato ad avvertire il salto di qualità attraverso una sublimazione sofferente sperimentata sin dall’inizio in cui la specie è approdata al pensiero ed ha cominciato ad usare l’intelligenza. Ed è stato per via di questa superiorità sulle altre specie animali che ha creato il mito della divinità, rifugiandosi in esso per consolarsi dell’immutabile suo destino già dalla nascita vincolato alla morte. Io capisco solo il Cristo uomo, lo rispetto e solidarizzo ogni qualvolta lo trovo sulla mia strada, cioè spesso per gentile concessione delle comunità ancora semibarbare, ne rido della sua resurrezione ed ascensione sfruttate ad arte da preti e proseliti per i loro tornaconti La giovane innamorata gli si avvicinò cautamente e con le guance rigate di pianto lo implorò -Bruno, non posso vederti furibondo in mia compagnia. Sapessi quanto poco me ne importa delle religioni! Ti prego, calmati per amore mio, se non provi piacere a vedermi soffrire -Io taglierei la testa a te e mia madre quando cominciate con le lacrime e tu insinui ch’io ne possa trarre godimento. Vieni qua stupida se non ti schifi di un pederasta -Non dire assurdità. Ne ho colpa io di quanto ci succede. Mi sono fatta desiderare più del sopportabile. Ho esagerato, e tu ne hai risentito psicologicamente -Avvicinati ti dico, sciocchina!- Le prese il viso tra le mani e lo baciò freneticamente asciugandone con le labbra il salso umore, poi si fermò sulla bocca di lei a comunicarle lo stato di felicità di quei momenti. Un rumore crescente penetrava la notte dalla parte del mare. Presto il trambusto d’un convoglio ferroviario corse lungo il confine orientale del fondo. Nicole interruppe la simbiosi ed esclamò -Bruno, il treno! Il compagno s’informò se quello non fosse un invito a buttarvisi sotto. Lei non fece in tempo a protestare che già entrambi ridevano come matti. Questa volta gl’incontri non furono evitati per quanto l’accaduto fosse stato più drammatico. Ci si scherzò sopra e in ogni occasione in cui si sentivano non mancava d’esser pronunciata la frase -Bruno, il treno! E una sera in pizzeria con Rosy, il compare e Tina, reciprocamente tesi tutti e tre, fu oggetto di curiosità dal momento ch’era venuta fuori senza attinenza alcuna con la conversazione, e diventò motivo di passeggera distensione. Ci fu una gara ad indovinare il significato senza naturalmente riuscire a sfiorarlo. Nicole, lo sguardo ogni volta appuntava su Bruno, e sembrava volesse ripetergli -Se tuo compare sapesse!- E gli occhi le s’illuminavano monelleschi. Infine gli indagatori capita la protezione del senso dell’espressione con il segreto, ripresero a trattarsi con freddezza. Dal giorno dell’addio di Nuccio alla comitiva, sulla brava ragazza abbandonata cominciarono ad abbattersi i primi colpi della sventura. Intanto tra Rosy e Nello era cominciato un braccio di ferro finito per concludersi con la vittoria della meschina pretesa di quest’ultimo, causa l’importante sua comodità di spadroneggiare a tutto campo, di rimandare la fanciulla alla casa paterna, nonostante l’orrore della poveretta e la strenua contrapposizione della benefattrice. L’insensata esigenza sorretta da chissà quali e quante girandole di prossime sfrenatezze senza un’intrusa tra i piedi prese vigore dall’opportunità per l’ambizioso compare, di rinsaldare vincoli d’amicizia da trovare utili per il raggiungimento di una posizione di prestigio in seno al partito, con l’accondiscendere ad aiutare in un turpe disegno Alfio, il quarantenne ciarlatano della scampagnata del primo maggio nella villa a mare. Il maturo idealista s’era invaghito perdutamente della costumata Tina e friggeva dal desiderio di possederla. Sapeva pure quanto ardua fosse l’impresa, e dopo aver valutato attentamente tutte le chances ed essersi convinto di non averne alcuna favorevole, decise di usare la malvagità. Così come succede per ogni perversione che i soggetti portatori per una specie di fiuto sortilego subito si riconoscono tra di loro, l’inarrendevole spasimante, intuito nel compare un eccellente compagno di cordata, vi si confidò con il cuore nelle mani -Caro amico, ho saputo della rottura di Nuccio con la fidanzata. Secondo me lui avrà da pentirsene perché una ragazza tanto bella, dolce e seria, con i tempi in voga difficilmente riavrà la fortuna di trovare. Il fesso non voleva prendere un impegno serio per paura di vedersi tolto troppo tempo alla sua attività politica, preso com’è dalla smania di sfondare, e convinto che certi risultati si raggiungono solo con la buona volontà e l’assiduità dell’azione. E’troppo ingenuo, non ha la pasta del politico, non capisce che i giochi si conducono con le giuste alleanze a tavolino, e tutto il resto influisce solo marginalmente. Lui si perde appresso i piccoli favori alla genterella e sottovaluta i contatti, le amicizie, le alleanze con quelli che contano ed i servigi da rendere loro. Per entrare nel gotha occorre aver riconosciute dimestichezza, diplomazia, facondia e molta simpatia da chi ha il potere di elevare nella carriera il proprio delfino. Ma sono cose conosciute da noi due a menadito e affatto superflue ad essere ripassate- Fece una breve pausa affondando nell’ascoltatore lo sguardo metallico per cercare di misurare l’effetto prodotto dall’esposizione della sua etica politica, e rilevandone compiacimento, temperò il piglio indagatore con un falso sorriso prima di riprendere senza dar pensiero all’ascoltatore attento a non aprire bocca, ormai assorto a gustare appieno la stima in cui era tenuto dal notabile -Vedi, caro Nello, io ho un grosso problema, per giunta delicato e molto riservato. Vorrei esportelo in quanto so per certo di potermi fidare. Sei un uomo di mondo per cui ti è facile comprendere certe situazioni, ed inoltre non meno trascurabile degli altri motivi, sento che la nostra giovane amicizia ha già messo salde radici -Considerami a tua disposizione. Me ne verrebbe una grande gioia se potessi contribuire ad una positiva soluzione- Gli assicurò questi con dissimulata megalomania. -II punto è questo, amico mio, io sono sposato infelicemente, e in simili casi sai, anche se giudiziosamente scapolo, quanto il vivere diventi desolazione. Di contro, giorno dopo giorno mi sono convinto di poter rischiarare la notte perenne in cui versa il mio spirito con un gran sole a condizione che io sappia entrare nelle grazie di quella ragazza diventata per me un’ossessione. Vedi, amico mio, io ne sono stato colpito immediatamente la prima volta in cui l’ho trovata con Rosy in sezione, però sapendo il suo cuore impegnato con quel maccherone di Nuccio me ne sono rimasto a soffrire in silenzio. Ma ora non più. Io oso aspirarvi. Va bene, sono della generazione precedente, e sono sposato, e allora? Non ho il diritto di tentare a dare un senso alla mia vita affettiva? -Certamente, sì- Gli rispose sollecito l’interpellato. -Però, c’è un però. Tina è una gran sentimentale. Una di quelle adatte a farsi consumare dallo spleen. E’ancora alle prime armi, ingenua e sognatrice, e non è facile farla ragionare -Non è poi tanto bambina- Rispose l’altro con improbe allusioni, mentre Alfio si umettava le labbra al colmo della soddisfazione per l’affiorante senso di solidarietà del cedevole confidente verso i suoi immondi propositi e si preparava ad esibire il colpo del maestro. -La sua famiglia è pressoché alla deriva, lei non ha una sistemazione di lavoro, e la sola persona a cui aggrapparsi è Rosy, non dimentichiamolo anche lei con le finanze a terra, purtroppo saltuariamente occupata, e benché finora siano stati i suoi genitori a provvedervi, con due figli a cui pensare, ragione questa perché a lei per quanto piena di generosità, non le sarà indifferente tenere in casa un’ospite fissa da mantenere. Che ne pensi?- Concluse come a chiederne parere, assaporando invece l’effetto della sua analisi efficacissima ad allogare delle pulci nell’orecchio del corteggiato, molto probabilmente complice alla sua agognata scelleratezza. -E già, è vero- Ammise Nello ammirato della valutazione della situazione, per essere conosciuta dall’esterno, sciorinata con precisione e disinvoltura dall’eminente protagonista politico con il quale inaspettatamente gli era dato poter stringere alleanza. Perciò concluse con accresciuta convinzione -Tina deve capire che non si tratta di un capriccio. Conosce sin troppo bene la scarsezza di mezzi e il dover lasciare la casa diventa con nostro vero dispiacere una causa di forza maggiore -Purtroppo la vita a volte è aspra. Comunque ti prometto di far l’impossibile per aiutarla. Vedrò di trovarle una buona sistemazione -Alfio, non dimenticherai per caso le ristrettezze di Rosy? -Ma scherzi? Baratterò con il primo cittadino di M... l’assunzione di Rosy a quel comune contro un’altra caldeggiata dal sindaco compagno al nostro ospedale. Nelluccio mio lascia fare a me Si strinsero la mano reciprocamente fiduciosi. Il dirigente politico sapeva l’indigenza essere una brutta bestia e l’impellenza a sfuggirla un’ottima consigliera. Immaginava le fasi dell’indecorosa vicenda: il rabbrividire, l’indignazione, il disperarsi, le lacrime dello sfogo, l’atroce rassegnazione, il sacrificio della vergine, e provò l’ebbrezza della consumazione. Al compare immaginando il rincorrere nudo l’amante per le stanze senza intralci, non pareva di star più nei panni. La sera dell’amara pizza fu l’ultima occasione in cui Bruno incontrò la vereconda ragazza e gli dispiacque conservare il ricordo del suo viso rabbuiato di mestizia abituato com’era a vederlo di solito illuminato dalla connaturale gaiezza di chi è felice con assai poco. Mai pizza fu consumata con uguale avversione dall’infelice ragazza, procurata dal pensiero della valigia contenente le sue poche cose e riposta nel bagagliaio della macchina a sanzionare il congedo forse definitivo da un habitat sano. Al sud faceva già estate da un pezzo, malgrado più d’una settimana separasse dal solstizio. Gl’indumenti leggeri non risparmiavano dai fastidi del caldo, e l’aria rinfrescava un poco a partire dal tramonto. Nicole affacciata al balcone di casa sua già pronta per uscire aspettava il sopraggiungere dell’amato e intanto si godeva la brezza della sera. Aveva addormentato Massimo da poco e raccomandato alla nonna, promettendo di non fare tardi. Bruno arrivò come sempre in anticipo e si meravigliò quella volta di non avere da attendere. Si allontanarono senza meta, calati in quel mondo dove c’era posto soltanto per loro due. Dai finestrini abbassati la corrente d’aria li trapassava sin dentro l’anima stimolando una particolare euforia, da loro spesa con eteroclite risa. Superata una sfilza di paesini, appena prese a correre la campagna, Bruno imboccò a dritta una stradina erma e buia con due nastri centrali paralleli di lastricato. Nicole chiese subito impressionata -Dove mi stai portando? -Se mi credi, non lo so -Allora torniamo indietro, ti prego, non mi piace questo posto -Vediamo dove conduce, poi decideremo -Bruno ho paura- Insistette lei alzando il vetro del finestrino, abbassando la sicura, e accostandoglisi strettamente. -Cosa ci sto a fare io? E poi non vedi, non c’è anima viva -La circostanza mi preoccupa maggiormente Dopo poche curve la strada sboccò in una spiaggia ciottolosa delimitata a monte, a recinzione di un agrumeto, da una striscia di fitto canneto. Lui arrestò la macchina toccando quasi il muro e subito si premurò di adagiare la testa della compagna sul suo petto, di accarezzarne i capelli e di infonderle coraggio -A quest’ora chi vuoi che venga ad ispezionare. Credo pure di non essere capitati in un posto di convegni amorosi. Non abbiamo trovato anima viva- Accese due sigarette porgendogliene una e riprese -Questo è il nostro angolo promesso. Qui noi non ci siamo capitati a caso. E’ stata la fortuna a condurci- Le sospinse il mento e la baciò fuggevolmente. Poi si dedicò ad aspirare ingordamente la sigaretta e a seguire il brusire del mare con i sassi, finché un imprevisto bisogno di spazio non lo costrinse ad uscire all’aperto e a volteggiare. S’inebriò dell’impasto della spiaggia con il cielo, delle stelle con il mare, della luna con i campi e cercò di mescolarvisi per l’eternità, ma l’attimo di un ricordo ancestrale gli si presentò come un’allucinazione e stava per stroncarlo. Si fermò ad implorare aiuto, avvertendo in tutta la gravità lo scompenso patito della sua entità dimezzata. Supplicava con le lacrime agli occhi, e tendeva le braccia alla compagna invitandola a concedergli di ricongiungersi alla metà individuata dopo ore di mutilazione sopita da surrogatorie mistificazioni. Non c’era tempo da perdere, la natura lo richiamava al dovere ed agiva sulla spiaggia forse per ricordargli l’elemento originario da cui emergendo s’era staccato. Visse la sublimità della trasposizione delle origini e al conseguente atterraggio si stupì di avere retto con il cervello, alle insostenibili percezioni trascendentali, senza danno, avvertendo solo dolci, leggere vertigini. La fresca risacca del mare gli bisbigliava all’orecchio e automaticamente si volse nella direzione da cui proveniva il salso sussurrare. Da un centinaio di metri dalla riva fu accecato da un lampo entro il quale l’Amore anadiomene gli sorrise riconciliato. Provava inimmaginate sensazioni. Non voleva staccarsi. Aveva preso il viso dell’amata tra le mani e lo percorreva insistentemente con le pupille come se lo vedesse continuamente per la prima volta e a causa di una debole memoria non riuscisse ad imprimerlo nella mente. Lui era finalmente felice perché era riuscito ad aprire quella porta dalla quale... sì, dalla quale fa capolino l’oblio. -Finiremo per stancarci- Gli sussurrò dolce Nicole -Io voglio restarti unito per sempre Lei rise piano e lo guardò furbesca da fargli capire l’incipiente declinare dell’incorporamento. Lui allora docilmente le scivolò accanto sulla ghiaia, le mani alle tempie, il nome sulle labbra -Nicole, Nicole- Poi prese a vezzeggiarlo -Nicoluccia, Nicolette, Nike, Nikitta. Oh, sì, Nikitta. Quanto mi piace, Nikitta! Lei scoppiò a ridere e si schermiva pregandolo di non affezionarsi a quel nome -Mi ricordi i tempi di mio nonno quando mi chiamava Nica ed io protestavo perché pensavo mi volesse celiare per via della mia mole, ed ora addirittura tu quel vezzeggiativo lo vorresti rimpicciolire oltre. No, non mi ci potrò abituare a sentirmi chiamare Nichitta. Vuoi scherzare, chi lo sente si aspetta una destinataria minuta, delicata, una piccoletta. Poi invece vedono me, immagina le risate! -Che lo voglia o no, da stasera per me tu sei la Nike, la vittoria, la dea alata, colei la quale dopo due memorabili disfatte nel tentativo di conquista della felicità, finalmente ha voluto arridere ad un disperato quasi inerme, illuminandogli la vita. Ergo io ti battezzo in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti- Declamò prima di attirarla a sé e ricondursi all’estasi concessagli da catartici misteri... Preso dal ricordo di sensazioni irripetibili aveva ottenuto delle esecuzioni quasi perfette e vi si era talmente concentrato da isolarsi completamente e da non accorgersi nemmeno del lento scorrere delle acque cristalline del fiume, dei corti voli della pispola da un lentisco ad un ginepro, del frusciare delle lucertole tra le eriche, della presenza della signora Irene, lì alle spalle e a pochi metri da lui ascoltare assorta nella reverie. Ella se ne stava appoggiata al tronco di un ulivo, attenta a proteggere il suo furtivo ascolto, osservando una scomoda immobilità per non causare alcun rumore, e per tale scopo si comportava cauta anche nel respirare. Assorbiva la struggente melodia con la voluttà dell’infelice e il suo interiore graffiato vi si accostava come a dello iodio salutare. Ma il profumo di lavanda presto ne tradì la presenza. Lui si girò fulmineo verso la furtiva ascoltatrice, quindi ne colse le preziose forme indomite sotto una leggera veste aderente, la osservò avanzare irresistibilmente incantevole con i capelli disciolti e un sorriso di diamanti, si smarrì un attimo e gli sembrò di non potersi più riavere se le parole di lei non fossero arrivate giusto in tempo per salvarlo -Lei suona stupendamente, Bruno -Come un ex dilettante ricondotto all’antica passione dalle circostanze -Debbono essere spiacevoli circostanze per ispirarle melodie così travagliate -Lei è stata qui da molto -No, glielo assicuro. L’ho sentito altre volte, e ho avvertito sempre da parte sua il desiderio di immergersi a dir poco nella malinconia -Non è vero, si sbaglia. Mi sono esercitato anche in spifferate vivaci, allegre, briose, quando ne ho avuto voglia. Certo bisogna essere in vena. Vede, con la musica è come con l’amore: non si può mentire. E’l’animo a comandare. Comunque le prometto di farle ascoltare presto sonate meno noiose -Mi rammarica esser stata da lei fraintesa. Non è stato per niente stucchevole, glielo dico con tutta sincerità, anzi...- Stava per imboccare un sentiero malagevole, se ne avvide in tempo e sterzò bruscamente -Sono venuta per mostrarle qualcosa- Trasse da una tasca una foto e gliela porse -Sa, Adelina mi ha raccontato -Oh quanto mi dispiace dell’incidente; le chiedo scusa. Io non volevo impicciarmi -Non si rimproveri nulla. Prego, la guardi, per piacere- Insistette a farlo decidere a prendere visione, vista la sua riluttanza dietro i segni della mortificazione. La foto a colori scattata qualche anno addietro riproduceva il gruppo di famiglia al completo. Enzo era al centro, tra la cognata assente intenta a reggere il ciclomotore sul quale si era voluta sedere Adelina, e la moglie con in braccio Andrea, forse a quel tempo meno di un anno. Sul davanti risaltava la maestosa figura di Flynn, il bianco cane macchiato isabella, con la testa grossa come quella di un orso, le orecchie piccole, il collo forte e ricco di peli, i larghi reni, la coda lunga, anch’essa abbondantemente pelosa. -La sconosciuta è Giulia, mia sorella- Spiegò la signora Irene con voce turbata. Bruno fece finta di non avere rilevato la commozione e commentò –E’di notevole bellezza -Proprio così- Ammise lei senza invidia. D’altronde non ne aveva motivo poiché il fascino impetuoso e provocatorio della sorella in lei aveva preso tratti più delicati e per altro verso non meno incisivi. Giulia aveva gli occhi della nipote ma ancor più grandi e luminosi, e le davano uno sguardo insostenibile -Eravamo tanto uniti!- Sospirò infine. Bruno esitò un po’ prima di chiedere cosa fosse successo, poi discretamente vi rinunciò, lasciando la signora libera di raccontare quanto avesse voluto. -Si comportò male. Ecco perché non è più qui -Ma vive ancora?- Azzardò lui con trepidazione. -Vive sì, in qualche parte d’Italia, molto probabilmente a Firenze. C’è stata gente sollecita a prendersi la briga d’informarci!- Sospirò con tristezza e riprendendo la fotografia concluse -Bene, più di tanto non posso dirle- Quindi si scusò di non potersi intrattenere oltre e si allontanò di fretta. Il turbato flautista restò a guardare l’andatura agile ed elegante come quella di una gazzella. Aveva gradito gli apprezzamenti ricevuti per qualcosa riuscita a produrre con la sua intelligenza e in un certo senso si sentiva ripagato dell’emarginazione in cui molto sbrigativamente la società lo aveva relegato in linea con le norme del regolamento d’una meritocrazia di difficile decifrazione. Avvertì un istintivo moto di gratitudine. Infine provò inutilmente a riconsiderare l’esile delucidazione al fine di capirne di più, e dovendo ammettere di avere a che fare con un rebus inestricabile, decise di volgersi ad altro, tanto più perché presentiva di doversi trattare di spiacevoli avvenimenti aggiuntivi solo di afflizione, la quale, date le sue peripezie in corso diventava d’obbligo cercare di evitare. In casa di Rosy le cose andavano diversamente da come il pavonello s’era prefigurato. Non c’erano stati gli ozi amorosi con le spasmodiche golosità di contorno, la ginnastica della camera da letto, le esplorazioni genitali, gli amplessi ruggenti, bensì altro tipo di battaglie infuocate, fatte di tensioni, litigi, e minacce di mandare tutto all’aria. La donna gli rimproverava la durezza d’animo verso l’indifesa ragazza in fin dei conti resasi di grandissimo aiuto, specie nel sollevarla completamente dalle incombenze domestiche Perché Tina era di troppo qui? Forse ti è mancata di rispetto qualche volta? Nello rispondeva compassato -Per noi era una grande responsabilità tenere in casa una ragazza senza poterle assicurare un avvenire, anzi, offrendole occasioni atte a distoglierla dall’impegnarsi a costituirsene uno -Ah sì capisco, noi l’avremmo deviata. Perché è un fatto di forte volizione non potuto maturare qui, come non lo posso io, perché a questo punto debbo dedurre d’essere stata io l’irresponsabile a dare il cattivo esempio. Ma vedi caso l’Italia pullula d’irresponsabili, di giovani smaniosi di bighellonare, quali Nicole, sua sorella, quella miriade d’illusi frequentatori delle sezioni dei partiti -E con questo, vorresti farmeli piangere tutti a me? -No, non ne troveresti le lacrime. Figuriamoci, non averle sapute trovare per aiutarne una soltanto! -Te lo ripeto, era una grossa responsabilità -Lì, dove l’abbiamo rimandata, in quell’ambiente putrido, è stato un atto responsabile! Nello intanto si era affilato, le labbra rinsecchite, le pupille di faina decise a perforare i vetri della lente come pallini di lupara per andare a conficcarsi nelle carni di Rosy e lacerarle. La prese per le spalle e scuotendola violentemente le gridò -Questa è la vita, ricordalo è la vita Lei, lottando per divincolarsi, con la chioma corvina flagellava il viso di lui e lo inondava di profumo, finché l’assalitore inebriato finì per infrollirsi e chiederle querulo -Io non voglio litigare con te, ti prego, calmiamoci -E va bene, se serve a qualcosa -Senti, ne posso essere quasi sicuro al cento per cento, per quanto ti riguarda, avrai presto una chiamata -Davvero! -Davvero. Sono riuscito a concordare una certa combinazione, e anche Tina se non farà la stupida troverà un’occupazione -Cosa significa non fare la stupida?- Interrogò minacciosa la donna spettatrice in quei giorni delle sfacciate attenzioni di Alfio sulla ragazza incontrata da lei la sera alla sezione del partito senza più parlarsi -Io non lo so, non m’interessa e spetta soltanto a lei decidere -Sei un mascalzone- Lo qualificò freddamente Rosy -Sono un mascalzone. Però tu conosci l’armonia di Alfio con la moglie, sai pure della sua cotta per Tina, e il mascalzone sono io. Quando ci s’innamora si è tutti mascalzoni, e tu non hai sbagliato a definirmi tale, conoscendo il mio amore per te -Voi uomini non v’innamorate. Voi cercate una cosa, una cosa soltanto -Su, non dir questo, lo sai che riferito a me è falso -Toglimi le mani di dosso, vai al diavolo! -Sentito cosa vuoi, ti esaudisco subito!- Fece dietrofront e più impettito del solito lasciò la casa sbattendo forte la porta. Bruno aveva avuta raccontata la scenetta da Nikitta, alla quale era stata confidata dall’amica. Circa una settimana dopo il fatto, un sabato le due coppie si riunirono per passare assieme la serata. Cenarono in un ristorante a mare. Ogni nube sul rapporto del compare con Rosy pareva essersi dissolta. Si conversava, si scherzava, si rideva molto disinvoltamente. Poi, appena venne fuori il nuovo conio del nome di Nicole, il giubilo salì alle stelle. Bruno controllava il compare sin nelle intenzioni più recondite delle espressioni usate, poiché ancora gli pesava quel lontano "balena" lasciato correre con troppa leggerezza e siccome la parola "nichitta" racchiudeva un significato di contrapposizione all’altro termine, lui vigilava a che non finissero per vincere tentazioni di cattivo gusto per le quali fosse stato costretto ad intervenire. Tutto filò liscio: i commenti furono carini e compiti, e si volle festeggiare il nuovo battesimo con una corsa a Taormina. Si sedettero ad un tavolo del bar di fronte la piazza del centro ad ascoltare recenti brani di musica leggera eseguita al pianoforte del locale da un maestro di mezza età, con i capelli candidi, mingherlino, una rilevante carica naturale di simpatia e buon interprete. Ordinarono quattro coppe di gelato. Dal venditore ambulante di rose i cavalieri acquistarono un bocciolo ciascuno da offrire alle compagne. Quindi attesero ad interessarsi all’affollato passeggio del corso principale. Il paesino vacanziero risuonava di svariati idiomi. Per gli eliofili le prime abbronzature spiccavano sulle epidermidi più avvezze, mentre per le più refrattarie erano le scottature a martoriare con rosse chiazze spellate. Il cicaleccio era allegro, malgrado la componente giovane tra i turisti fosse scarsa e tanti latin-lover costretti a segnare il passo. Un’ora era volata senz’essersene accorti. Pagarono il conto ed anche loro si mischiarono nella confusione, assumendo l’atteggiamento romantico e per disporsi meglio al tenero si separarono, dandosi appuntamento a mezzanotte esatta, sul posto della macchina. All’ora fissata il compare era già in macchina ad attendere Bruno e compagna. Era solo ed appena li scorse accese il motore e li invitò a salire. -Dov’è Rosy?- Gli chiese Nicole con naturale stupore di non trovarla lì assieme a lui. -Non viene- Le rispose secco l’altro. -Perché mai?- S'interessò Bruno. -Perché no, e basta- Replicò sgarbatamente il compare. -Quand’è così anche noi ce ne torniamo per conto nostro- Chiarì Bruno intuendo a colpo l’incosciente comportamento dettato dai postumi di una tempestosa, finta rottura. Nello per tutta risposta partì sparato con lo sportello aperto lasciando i due di sasso. Si comportava da forsennato e se fosse stato possibile controllarne il cervello lo si sarebbe visto fumare come andato in corto circuito. Dopo pochi minuti in preda a un gorgogliante cachinno si ripresentò con a bordo la sgomenta nemica, fece salire l’altra coppia e atteso un accettabile controllo di sé, si mise in marcia senz’aprir bocca ostinatamente per tutto il tragitto di ritorno tranne nella fase di congedo per rispondere con molta freddezza al saluto degli afflitti amici all’atto di passare sull’altra macchina. II fuso di testa sotto casa di Rosy si fece pregare per salire, ostentando fermezza. Infine si decise a fare quella concessione, in realtà tanto bramata. Indugiò sulla soglia in attesa di altre preghiere, prima di fare l’ultima concessione di entrare. Recitava la parte dell’umiliato e andati a discutere in salotto come tutti i colpevoli iniziò una toccante autodifesa -Stasera non mi sono comportato da me. Ho perduto il controllo e ne sono preoccupato in quanto non sono uso a sfuriate del genere. Il mio amor proprio non ha retto a sopportare un differimento sine die a meritarsi la tua fiducia. I miei sentimenti sono puliti e si ribellano ad essere fraintesi. Tu non hai da rimproverarmi nulla. Io sono stato con te un uomo comprensivo, paziente, rispettoso. Non ho mai cercato di forzare la mano con tutte le occasioni favorevoli a disposizione. Ho atteso la maturazione della tua stima spontaneamente perché ambisco entrare nel tuo cuore e possederlo anche se conosco le sofferenze scaturite da tali imprese. Io voglio essere il tuo compagno indispensabile per la vita. Ho bisogno di stare al tuo servizio per consigliarti, proteggerti, amarti. La mia mente ha sfornato tanti futuri progetti, tutti da realizzare assieme a te. Ma stasera ho toccato la disillusione, perché ti ho vista apaticamente intransigente ed è scattata la molla della frustrazione bastevole a non farmi più capire. Rosy, io ho bisogno di sapere...- Si alzò per andare a completare, abbracciandole le gambe, in ginocchio tra i singhiozzi -…quali speranze mi rimangono A questa seconda crisi la donna non si raccapezzò più. Cercava di consolarlo come meglio sapesse, ma si vide perduta in quanto lo spasimante era avvampato in viso e sembrava dovesse soffocare da un momento all’altro. In preda a viva preoccupazione Rosy cadde nell’inerzia cercando di organizzare un soccorso risolutore. Non c’era da sbottonare nulla in quanto la camicia era aperta sul collo. Voleva andare a prendere dell’acqua, ma da come era trattenuta per le gambe capì di non essercene bisogno. Solo quando gli propose di andare a stendersi sul letto, il male intenzionato, falso sofferente si fece più leggero e manovrabile. Si diressero nella stanza da letto. Nello tenne abbattuto il capo sulla spalla di lei e strascicava i piedi da invalido, e come tale Rosy lo accudì, mettendolo prima a sedere per sfilargli le scarpe, e poi adagiandolo maternamente fece per posargli un bacio. Il briccone l’attirò a sé ottenendo la docilità cercata e concessagli per giovamento alla sua salute. Tuttavia quello sfogo da psiconevrotico non rimase isolato o recitato solo per raggiungere più celermente la meta. Esso periodicamente si riproponeva prima dell’approccio intimo con modalità invero più buffe. Lo stravagante protagonista, su uno qualsiasi di quei minuscoli bisticci assidui tra due dediti a frequentarsi molto spesso, vi s’incaponiva di proposito per ricavarne una discordia atta a richiedere una riparazione con atto di sottomissione, da lui riservatoselo con vera aspettazione da compiere nudo prima di entrare nel letto per la notte. Si stendeva sul pavimento a dimenarsi, implorandole il perdono tra lacrime e singhiozzi liberatori. Era forse una condotta compensatrice per la coscienza, dibattuta tra il preordinamento di divertirsi, e un molesto e germogliante sentimento di rispetto, destinato però a soccombere al piacere libidinoso per la pregustazione del quale s’infoiava peggio di un animale. Lui differiva dal coccodrillo per il pentimento anticipato del misfatto in procinto d’esser compiuto, dimostrando più subdola natura. A Rosy, bisognosa di comprensione, partecipazione, senso di responsabilità, in soccorso a non farla affondare, aveva sempre spalancato le poderose mascelle, trovando infine la preda più tenera di quanto non avesse dovuto essere con un simile campione di cinismo. Lui non poteva rovinare l’inconfessato, ambizioso progetto di arrivare in fretta sia nei quadri del partito, sia nella scala sociale, ai gradini più alti, per via del sacrificare tempo prezioso ad una donna perdente e per esito familiare e per lavoro. Sapeva di difettare delle qualità morali e intellettuali, particolarmente affinate ed assolutamente necessarie per non risentirne dei giudizi negativi della società benpensante. A lui era più congeniale una prudente relazione di mantenimento indicata a non sminuirlo nell’immagine ufficiale e ad accreditarlo anzi di savoir faire: un’amante giovane, avvenente, innamorata e discreta, quale sarebbe potuta diventare l’ingenua amica con un buon lavoro da plasmatore. Un’amante condiscendente ed alacre verso la lussuria. E così ad ogni rimordere di coscienza, piuttosto di darvi ascolto, preferiva ridicolizzarsi con l’ingegnosa terapia, mirata a zittire per sempre la fraudolenta consigliera! Rosy prendeva quelle esibizioni per espressioni di acuta sensibilità nei suoi confronti e per contraccambiare la male interpretata delicatezza di quel falso trasporto con l’andare del tempo ne diventava più scioccamente vittima. Dopo la penosa vicenda di Taormina, Bruno, il compare, le rispettive compagne ripresero ad incontrarsi periodicamente per organizzare o partecipare a qualche iniziativa di distrazione, consumata in piena concordia. Una sera, Bruno e Nikitta giunti all’appuntamento in casa di Rosy vi trovarono sul piede di partenza i due suoi figli con la nonna materna, una vecchietta un po’ curva e dall’aspetto rassegnato. Rimasero sbalorditi dell’irrequietezza del più grande: il ragazzino a causa dell’abbandono del padre e della lontananza dalla madre, viveva in uno scompiglio affettivo gravissimo. Restio a comunicare, indifferente ai rimproveri e ancor più ai modi dolci, continuava a saltare da una poltrona all’altra come una scimmietta preoccupata a non farsi catturare. Sistematicamente si scatenava le volte che andava a trovare la madre a dimostrazione della sua ribellione. Rosy confidava molto nella nuova relazione con Nello. Ne aveva anche parlato con lui, ricevendone incoraggianti propositi di ricreare un ambiente di serenità in cui lo sfortunato bambino avesse potuto ritrovare l’equilibrio compromesso. Naturalmente quelle parole facevano traboccare di riconoscenza la povera illusa incapace di capire il ruolo assegnatole dall’egregio mistificatore, incompatibile con qualsiasi attesa di umanità. La donna, facilona di carattere, si attaccava con costante accrescimento a chi avrebbe ben fatto liquidare, e le frequenti simulazioni d’amore esperite dal bellimbusto con parole e gesti delicati, le inculcavano la convinzione di aver investito bene i sentimenti. Lei faceva il raffronto con l’ex marito, un uomo dai modi spicci, abituato a trattarla da schiava senza scrupolo alcuno in quanto il matrimonio gliene dava diritto in contraccambio di saperle garantire un’amara sussistenza. Costui persino negli amplessi esercitava l’imperio con disinvoltura, cercandosi il piacere attraverso complicate liturgie, e senza tener conto minimamente delle esigenze della partner. Di fronte il talamo aveva installato un’ampia specchiera sulla quale amava ammirarsi nelle più varie posizioni imposte. Non aveva mai voluto sentir parlare di precauzioni da prendere per evitare di metterla incinta, uno stato che si poteva tranquillamente rimediare con l’aborto. Infatti gliene aveva fatti subire tanti da preoccupare l’ostetrico di fiducia e spingerlo per senso di responsabilità ad avvertire la cliente a non contare più su di lui in quanto le condizioni di quell’utero non ne permettevano di ulteriori senza rischio per la vita stessa di lei. La drastica sentenza fece saltare tutti i vincoli del matrimonio. Il barbaro marito si cercò presto un’altra donna, la quale allettata dalla buona posizione finanziaria avrebbe indulto alle mostruose pretese del munifico padrone, in modo da cancellargli e fargli dimenticare completamente il suo passato, divenuto in coda potenzialmente tragico. Nello aveva molti punti a suo vantaggio: era più istruito, più fine, malleabile e più sensibile secondo l’opinione della moglie abbandonata. Certo aveva qualche fisima anche lui, ma chi non ne soffriva in tempi così frenetici! Non smise di abbandonarsi periodicamente alle sofferenze della catarsi precoito, però era più comprensivo e generoso nello scambio di prestazioni, e a contare di più restavano le dichiarazioni piene di buone intenzioni! Tutto filò dritto fino a che le parole bastarono a sostenere la situazione. Trascorse il primo anno, il secondo aveva oltrepassato la metà senza che si fossero decisi ad andare a convivere, e senza quindi aver dato quell’aiuto affettivo ai figli di lei, specie al maschietto. Nello e Rosy erano entrati in una dimensione atemporale, dove tra lavoro, impegno di partito e interessi mondani i mesi volavano senza lasciare segni, finché non sopravvenne l’intoppo a ricondurli ai problemi della quotidianità. I calcoli del mese non funzionarono più. II mestruo ritardò oltre i limiti della non preoccupazione. Le analisi dettarono il verdetto. II compare cominciò a deperire ed inverdire come se attaccato da maligna malattia. Oltre il peso e il colorito perse pure la millanteria e divenendo un perfetto cacaiolo mostrò la sua vera natura. Con Rosy piagnucolava, gemeva, scongiurava, prometteva. Diffidava degli amici, dei compagni di partito e dei colleghi di lavoro, e se ne stava in disparte. In presenza dei genitori rabbrividiva. Questi ultimi li avrebbe perduti per sempre se avesse seguito il colpo di testa di rovinarsi con una donna bruciata dal divorzio e con due figli da mantenere. Lui, il dottore della famiglia, dopo tanti studi e sacrifici non poteva non comprendere gli obblighi della posizione sociale raggiunta. Si ritrovò assediato da eserciti di nemici. La notte dormiva poco, male e ballava a causa degl’incubi. Non c’era tempo da perdere, se non avesse voluto rassegnarsi alla sventura. Arrivò ad odiare tutto il mondo, in particolare il genere umano, con più forza il gentil sesso, per le complicate ed immanenti regole alle quali non ci si poteva sottrarre se non a costo di precipitare nel disordine. Lui era diventato un aristocratico e al suo fianco non poteva esserci posto per una sfortunata popolana. Ogni essere ha la sua missione da compiere assegnata da un destino prodigo per lui dei più alti onori a condizione del rispetto di inderogabili precetti poco compatibili con l’asservimento a fruste romanticherie o illusorie ideologie, sbandierate con accanimento dagl’inetti e dai frustrati, ma preziose allo scopo, se usate con discernimento e abilità. Pensò al successo dei preti con i loro comportamenti e ne trasse un gran conforto morale! Gli si offriva l’occasione di misurare la propria intelligenza! Innanzitutto era tempo di allontanare le cattive compagnie. Bruno e Nikitta con il loro grande amore in corso avrebbero potuto rappresentare un pericolo non indifferente di imbarazzo al buon esito della sua strategia. Iniziò con ostacolarne gl’incontri, e quando questi capitavano casualmente, assumeva un’aria di sopportazione finita per consigliare presto la coppia infetta a non farlo più soffrire, prendendo le distanze raccomandate dagli espliciti segnali, sfociate nel troncamento dell’amicizia. A Rosy iniziò il lavaggio del cervello -Amore mio, dobbiamo fare qualche cosa per scongiurare serie complicazioni -A cosa ti riferisci? -Vedi cara, il tuo stato interessante capita in un periodo poco propizio in cui ci troviamo entrambi impreparati. Ascolta gioia, io provengo da una famiglia all’antica dove papà e mamma non transigono in fatto di tradizioni. Inoltre io con il successo negli studi e nella carriera sono il figlio illustre, il vanto della casa, il personaggio importante, un’eminenza intellettuale. Conosci l’abituale larghezza di reputazione da parte dei genitori nei confronti dei propri figli? Ebbene nel mio caso è illimitata. Io rappresento un dio in terra dal quale non ci si può attendere che mirabili gesta, ovviamente valutati secondo la loro cultura convenzionale, e cioè reazionaria. Per cui è assurda, sempre per loro, una volta venuti inevitabilmente a prender parte, per forza di cose della mia scelta definitiva di sistemazione, la mia preoccupazione a dare peso alla leggerezza di aver messa incinta una donna divorziata, già madre di due figli e sacrificare l’unione con chissà quale principessa. Loro per un simile dispiacere procuratogli da me, l’incarnazione dei loro sogni, potrebbero morirne All’ascoltatrice pareva di presentire vili comportamenti, e sebbene ardesse dal desiderio di far domande e chiedere delucidazioni, si tratteneva a non sviarlo, vinta dal maggiore interesse e dalla fretta di conoscere le conclusioni, lasciandolo continuare ed introdurre nel tono una certa solennità -Malgrado ciò al cuore non si comanda e i pregiudizi non mi si addicono, quindi il punto nodale risulta la necessità di contemperare due posizioni contrapposte La donna avvertì un tonfo dietro lo sterno seguito da uno scaricamento di ansia indispensabile per consentirle di distendersi in viso e di chiedergli fiduciosa -Come pensi si debba agire? Nello riprese accattivante -Tocca a me sobbarcarmi a qualche sacrificio e pazientare ancora per diventare padre -Cosaaa? Per un uomo che ama la propria compagna, il ricevere un figlio da lei, non è l’evento più desiderato? -Sì, angelo mio- Riprese lui con impareggiabile virtuosismo di commozione -Pensi forse che sia una decisione indolore? -E a parte la dolorosa decisione, come la chiami tu, non pensi al pericolosissimo rischio che dovrò correre io, perentoriamente diffidata a non provarci più! Ma ti rendi conto che ne va di mezzo la mia vita stessa? -Mi sono informato, c’è una mammana bravissima. Ci rivolgeremo a lei per aiutarci. Sai, l’esperienza in questi casi conta più della scienza. I ginecologi d’oggi sono tutti troppo allarmistici. L’importante è pensarci a tempo. Abbi fiducia in me, vedrai, non succederà niente d’irreparabile. Credi proprio che io non ci abbia pensato giorno e notte, trattandosi della tua salute, e al sospetto di una funesta probabilità su un milione il mio senso di responsabilità mi consentirebbe di scherzarci sopra? Se tu mi credessi solo per un attimo così immaturo, ed io lo percepissi, mi crollerebbe il mondo addosso. Però so per certo che l’idea nemmeno ti sfiora, perché sai quanto io ti ami. Credimi tesoro, se avessi il minimo dubbio che qualcosa potesse andare storto non starei qui a perorare la causa. Ma ora devi deciderti amore, per la nostra serenità, il nostro futuro, la nostra vittoria- Cominciava a presentare i sintomi delle sue crisi, aveva gli occhi lucidi e umidi e parlava con difficoltà nonostante tenesse un ritmo incalzante -Tu non puoi mandare tutto a monte o pretendere di mettermi contro i miei. Se è vero che ci amiamo, queste cose devi capirle. Rosy io ho bisogno di te, non posso perderti- Piangeva a dirotto eppur continuava spedito -Poi c’è il problema del tuo lavoro. Immagina di esser chiamata mentre ti spetta il riposo, avresti ad esporti ad una cattiva impressione, anche se ampiamente ingiustificata. E finito il periodo accordato dalla legge, con un bébé da dover seguire istante dietro istante e da non avere a chi affidarlo, ci pensi quale situazione si verrebbe a creare? Dovresti rifiutare a lavorare già prima di aver cominciato! No, tesoro, siamo in una situazione senza via d’uscita. Lo so, bisognava essere più responsabili. Ma come si fa a controllarsi quando il sentimento ti esalta alla follia? Oh amore mio, dovessi morire se questo è un capriccio- Prese il fazzoletto per asciugare il pianto e soffiare il naso. Durante l’operazione, di proposito con un po’ di saliva si fece stuzzicare la laringe, tossendo spasmodicamente come un bambino affetto da pertosse. Rosy con una mano gli batteva sulla spalla, con l’altra gli accarezzava la testa poggiata sul seno e gl’infondeva conforto. Lui appena si calmò la guardò sottecchi e accortosi di averla in sua balia ne rise mefistofelico. Si scostò, le prese le guance tra le mani, la guardò infervorato e ricominciò a lavorarsela con la malvagia facondia, dopo averle posato sulle labbra un rapido bacio giudaico. Mise su un confronto tra loro due e più commendava le doti ed il carattere della bonacciona, più lui si disprezzava, lodava quella, redarguiva se stesso, un complimento per lei, un dileggio per lui, un elogio di contro un rimprovero, ammirazione, piena disapprovazione. Infine concluse che, data la grandezza d’animo di lei da abbassarsi ad un uomo così dappoco, lui non poteva rimandare oltre di partecipare ai suoi la fortuna capitatagli, quindi si decidesse di programmare al più presto una visita per le presentazioni. Questo fu il dulcis in fundo e sebbene mal si conciliasse con le attese dei suoi da lui prima chiarite, la credulona si afflosciò completamente. Accennò con timore ad un residuo di preoccupazione rimastale, ma all’assicurazione di Nello volta ad impegnarsi a sistemare lui le cose, dileguò come un’ombra a contatto con il sole. L’incontro con i supposti futuri suoceri si svolse in un clima a dir poco farsesco. Rosy per l’occasione indossò un vestito più castigato di quanto la moda prescrivesse! Per l’impressione di poter produrre ai parenti da acquisire, stette trepida l’intero giorno sino all’ultimo momento dietro la porta sul punto di aprirsi, momento in cui a stento riuscì a trattenersi dal ridere nel trovarsi davanti un’anziana donna cui colpiva subito una vistosa crocchia all’antica sopra il cocuzzolo e... la minigonna. -Si accomodasse, prego- Questa invitò sospettosamente. Fece strada fino al piccolo salotto rimasto chissà quanto tempo chiuso, dato l’odore di muffa emanato. Non si erano ancora seduti che si presentò il marito, stretto forse nello stesso abito di leggera flanella della sua cerimonia nuziale, ancora intatto ma tradito dalla perdita di vivezza della tinta. Pativa mille disagi e lo si notava dal nervoso e continuo ispezionarsi. Parlava come la moglie in una lingua dialettaleggiante inutile non solo a nascondere il basso livello d’istruzione, ma addirittura a risparmiargli una ridicola figura. Ci fu la passata di paste secche, il rosolio, la conversazione esclusivamente rivolta a chiarire il ceto ed il censo dell’ospite, la liberazione reciproca del congedo con i formali arrivederci poco entusiastici da entrambe le parti. Ai giustificati rilievi di Rosy sulla convinzione di non aver favorevolmente impressionato, Nello rispondeva d’esser vero il contrario, potendolo al momento giudicare solo lui in quanto conosceva il difetto di espansività dei genitori, pur se invece aveva capito quello che c’era da capire anche per lei dopo averne conosciuta la pignoleria a difesa della moralità borghese, motivo questo da render d’obbligo l’inevitabilità della sospensione della gravidanza. Arrivò il giorno dell’intervento. Rosy si salvò per miracolo dalle mani della macellaia. L’infame ipocrita fuggì dalla gabbata al pari del borsaiolo dopo aver centrato il colpo. Frattanto si erano compiuti altri eventi. Dopo circa un mese di assedio da parte di Alfio, Tina demoralizzata al massimo si convinse a recarsi in casa sua, vuota della famiglia, trasferitasi in collina per la villeggiatura. D’altronde la ragazza si sentiva sola al mondo in un momento in cui aveva bisogno di gran sostegno. Faceva eccezione un giovane, un imbianchino indefesso lavoratore, il quale la sera nel tempo libero alla sezione, nelle occasioni in cui gli era concesso scambiare qualche parola con lei, dopo aver trovato la forza di superare la paralizzante timidezza e soprattutto una leggera, ma mortificante balbuzie, motivo d’esser canzonato dagli amici, impallidiva sia a causa dell’emozione sia a causa del dolore di saperla infelice e la frustrazione di non trovare il modo di aiutarla. Tina conosceva la capacità di Renatino di risolvere la sua sfortuna, ma rigettava sempre l’idea per via dell’importanza data alla "simpatia" indispensabile ad intraprendere una relazione, simpatia, da lei non provata verso l’aspirante alla sua mano. Quindi, come capita a tutti gli sventurati a scegliere il partito peggiore, optò per la curiosità di conoscere cosa nascondesse l’invito dello sciacallo. Alfio la introdusse nello studio. Visibilmente tesa, Tina occupò metà piano della sedia accanto la scrivania. Guardava l’uomo rimasto in piedi tessere i pochi metri davanti la libreria, e tremava nelle occasioni in cui le si avvicinava, costringendolo con la sua lampante ostilità a rispettare la stessa distanza ed aspettare che si tranquillizzasse. -E’troppo paradossale per un uomo sposato poter desiderare di entrare in amicizia con una ragazza della tua età? Capisco di appartenere alla generazione precedente, ma non sono così vecchio da dovermi vergognare di simile ambizione. Dallo sguardo atterrito si capisce il tuo disaccordo Lei balbettò qualcosa d’incomprensibile, e il marpione la tolse dall’impaccio, riprendendo pacatamente -Io non sono il profittatore a cui stai pensando, un libertino in cerca di porcherie. Sono un uomo sfortunato, obbligato a vivere un rapporto coniugale distrutto. Vedi, io e mia moglie concordiamo solo nella soddisfazione di provare disprezzo reciprocoSi umettò le labbra, si accorse di aver dimenticato di offrire qualcosa e cercò di rimediare subito. Al rifiuto della ragazza di accettare, obiettò che non era gentile e uscì dalla stanza avvisandola d’essersi messa a dipendere dai suoi gusti. Tina allentata la vigilanza si tirò più indietro nella sedia, vi appoggiò le spalle ed attese, meno smarrita. Quando Alfio fu di ritorno sobbalzò ripercorsa dalla paura. Quegli la rimproverò paternamente, e per evitare d’incombere su di lei, andò dietro la scrivania ad accomodarsi sulla poltroncina rivestita in pelle. Nel vassoio portato giacevano due bislunghi bicchieri colmi di orzata alla menta, entro i quali affondavano un paio di cubetti di ghiaccio e uno snello cucchiaino per ognuno. Questa è la mia bevanda preferita- Commentò -Spero, ti torni gradita- Le augurò prima di ricollegarsi al punto interrotto della sua confessione e riprendere la posa della vittima Dunque, dicevo, ah già, la mia cara consorte! Non mi ha mai amato. Acconsentì a sposarmi in virtù della mia brillante preparazione accademica. Ci siamo conosciuti all’università. Frequentavamo facoltà diverse. Lei infatti insegna, mentre io avrei dovuto fare l’avvocato, sennonché ho preferito la strada dell’impiego malgrado le sue proteste a causa dell’orgoglio gravemente ferito per aver perduto l’occasione di essere la moglie di un professionista di grido. Per primeggiare occorre molto e continuo studio. A me il tempo serviva per la politica, unica mia vera passione- Tacque, infilzò Tina col suo sguardo acuminato, ritraendolo con prestezza, mescolò nel bicchiere e brindò alla salute di lei prima di portarlo alle labbra. Bevve pochi sorsi e riprese il compassionevole monologo -Ci sposammo con due speranze opposte. La mia di colmare con l’amore che le portavo la delusione da lei subita, la sua di vendicarsi, e quando voi donne vi mettete una cosa in testa, giusta o sbagliata che sia, non vi arrendete finché non la realizzerete. Per cui sin dalle prime battute quel che io cercavo di costruire lei demoliva senza pietà, ed io, mi son trovato costretto ad indugiare nel prendere una drastica decisione, prima dal sentimento, poi dai figli, più da presso per occhio sociale, non restandomi altro dal dover cogliere per via del matrimonio solo frustrazioni, cosicché puoi immaginare la bella vita da me trascorsa- Tornò a pungerla con gli spilli delle pupille e le propose un altro brindisi. La giovane fremette allo sguardo. Lo si constatò da come afferrasse il bicchiere con mano incerta. Alfio reputò quello il momento opportuno per premere, scambiando per emozione da comprensione un moto d’irritazione da insolenza, causandole quasi con la precipitosa dichiarazione un soffocamento per averle fatto andare il liquido di traverso -Adesso mi trovo innamorato di te- Tina tossì espellendo l’ultimo sorso della bibita e in viso vi si stampò il rosso caratteristico della pasta di cocomero. L’uomo appena si convinse d’esser stato un incidente trascurabile commentò sorridente -Il mio sentimento per te è tanto bislacco, da mancare poco nel conoscerlo di rischiare di soffocare per lo sgomento?- Lei negava con il capo mentre il cuore approvava. Alfio diede credito alla nascosta sensazione della torturata -Lo dice il tuo comportamento fortemente apprensivo. Stai qui terrorizzata da un’imminente sciagura. Tremi anche. Per la ferocia della belva alla quale ti trovi di fronte -No, non è per questo- Si decise ad uscire la sua vocina esitante, la vereconda fanciulla –L’età non c’entra, è che io... vedi...- Si fermò in punto di piangere. Lui la fissò spietatamente e la incalzò -Su, avanti, dillo, mi hai già giudicato. Io sono uno schifoso pomicione, un debosciato, un uomo privo di scrupoli, soprattutto un compagno infame -No- Intervenne tra i singhiozzi Tina al colmo della disperazione –E’solo perché per certe cose bisogna esserci tagliate e..., io... non lo sono- Concluse con grande sofferenza. A questo punto Alfio si alzò e andò a riprendere la tessitura interrotta davanti la libreria. Era di nervi saldi e dominava perfettamente la situazione. Quella breve pausa, in cui il silenzio schiacciava la poveretta peggio di una gualchiera, servì al cogitabondo inquisitore intento a far da spola per prendere la decisione di parlar chiaro, senza dar luogo ad equivoci Però possiedi il trasporto di venirmi a chiedere di sistemarti. E perché mai dovrei farlo? Rispondi, su! -Tra compagni ci si aiuta -Sì, d’accordo, non lo nego. Però vorrei capire il motivo perché te e non gli altri -Io ne ho più bisogno -Del lavoro ne hanno bisogno in eguale misura tutti quelli senza rendita -Però tu conosci l’ambiente in cui vivo! -Tu abiti una casa malsana, è vero? -Sì -I tuoi genitori sono delle canaglie, vero? -Sì -I tuoi fratellini non si riesce né a vestirli, né a sfamarli, è vero anche questo? -Sì -Deduco che per voi non ci sono feste, né svaghi, né conoscete la concordia o l’allegria, né tampoco vi è speranza d’un qualche mutamento! -Sì -Ora dimmi, un’occupazione è in grado di sanare simili avversità? -Sì, sì -Potreste prendere in affitto una casa più decente! -Sì, sì -Ai fratellini potresti portare finalmente soccorso! -Sì, sì -Vivreste tutti una vita più dignitosa. Tu ti sentiresti rinata! -Oh sì, è vero -Diventeresti tranquilla, allegra, felice! -Oh sì, tanto! -Mentre io dovrei continuare ad ardere dal desiderio di averti. Io sono nato per favorire ed incassare pazientemente!- Urlò conficcandole le due lance di quel che era diventato lo sguardo, producendo nella ragazza un effetto insospettato. In un baleno a Tina le si rivelò la malvagità di quell’uomo indugiante a fissarla così crudelmente dopo averla dapprima umiliata con un ingeneroso rimestamento delle sue miserie, a un tratto meschinamente illusa, e infine vergognosamente ricattata. Fu sbalzata dalla sedia da una rabbia incontrastabile, gli si parò dinanzi intrepida e si trattenne a stento dallo sputargli in viso -Sei un porco, il più schifoso dei porci- Gli gridò mentre dalla porta fece capolino una sagoma di donna. Era la padrona di casa, inaspettata ospite. Aveva sorpreso il marito senza intenzione, solo per caso. Né le interessava scoprire la supponibile infedeltà, provò soddisfazione della definizione contenuta nello sfogo della ragazza, e con molta nonchalance la mise in evidenza -Basta conoscerti appena per capire cosa sei. Comunque, sai quanto poco m’importa dei tuoi "sbudellamenti". Esigo però che i convegni con le tue sgualdrine te le organizzi altrove L’uomo ad occhi bassi assorbì la strapazzata come un inerme scolaretto sorpreso in una delle sue vivacità, e l’assunzione della posa sottomessa dimostrava chiaramente la sua subordinazione alla caustica insegnante. Tina invece non trovò ostacoli a replicare per le rime alla sprezzante intrusa -Ha ragione a non poterle considerare diversamente le persone frequentate da suo marito dal momento che egli si sia saputo adeguare a vivere con una donna della sua risma. Il vostro accoppiamento mi pare sia dei più riusciti. Ora si scosti, perché possa fuggirvi- Concluse con fierezza prima di lasciarli entrambi inebetiti. Aveva giocato forte, seguendo l’impulso di riscatto suggerito dalla natura umana a un soggetto consuetamente docile, e acquisendo capacità sconosciute, come in questo caso, con il ritrovarsi con la lingua sciolta, quando la misura dei maltrattamenti subiti diventa colma. Addio al posto! Scese le scale combattuta dalla tentazione di ripensarci. Per qualche giorno disertò la sezione e si rifugiò nell’angustia più profonda. Ma decisasi di metterci una pietra sopra alla fallita speranza, si recò al partito più per abitudine che per intento, scoprendo nell’egocentrico dirigente l’eccesso di pelle dura e di faccia tosta per non sentirsi sconfitto. Aveva la tempra del politico! E invece di un risentito raffreddamento le offrì una accoglienza cordiale e spiritosa. Scherzò sull’accaduto e la ringraziò per aver dato alla moglie il meritato benservito. Nei giorni a seguire gl’incontri in mezzo agli altri compagni si consumavano tra battute, frecciate e ammiccamenti diretti a ricordarle di poter contare sempre su di lui a condizione dell’intima contropartita. Lei non sapeva quali pesci prendere. Passò insonne diverse notti, ripercorrendo con la memoria le sue relazioni affettive. Erano state tutte un disastro compresa la sentimentale con Nuccio, durata un periodo brevissimo ed esclusivamente per la sua folle infatuazione. In contraccambio alla sua disposizione ad amare non aveva ricevuto altro da calci nel sedere. Inoltre con il passar del tempo si trovava di fronte a problemi con soluzione sempre più difficile da trovare. Perciò si convinse d’esser segnata e poiché necessità fa virtù, si dispose ad imbastire un piano idoneo a rendere l’olocausto quanto più svilito possibile. Aveva da regalare la verginità per sottrarla alla consumazione del viscido rettile. E siccome il male a concedersi non ha le resistenze del bene, e per di più affascina quanto l’altro respinge, vistasi condannata ad abbrutirsi voleva conoscere il sapore sino in fondo, e la decisione di donarsi a qualche brutto ceffo stava per prevalere, confortata dall’umiliazione da inferire a tempo debito tramite la confessione dell’esperienza al seduttore imposto dal destino. Ma per quanto l’immaginazione avesse potuto scorrazzare finì per emergere prepotentemente la semplicità del carattere anche nella squallida circostanza. Quel dono così prezioso ed ambito dal maschio sesso, gelosamente custodito e strenuamente difeso andava assegnato all’unico, vero, grande meritevole: Renatino. Fu come il lampo della verità rivelata. Non pose tempo in mezzo e si dedicò anima e corpo ad adescare il sortito imbianchino. Riuscita ad insegnargli la strada, respirò di sollievo in risposta alla felicità goduta mista ad incredulità di un partner sentitosi in assoluto il più fortunato del mondo. Sul lavoro Renatino non stava nella pelle: specie al basso ventre accusava la ribellione e l’urgenza del suo sesso in gabbia di evadere per andarsi a cacciare meglio di un passeraceo entro le fronde del bosco più bello. Appena libero il giovane volava da lei, la imbarcava sull’utilitaria e pensava a condurla lui diventato ormai esperto. Tina lasciava fare e poiché l’entusiasmo non partiva a germogliarle dentro, si accontentava di gioire per induzione solo nei momenti di grande euforia dell’altro espressi con aumentata dislalia, mostrandosi per il resto completamente apatica. Quel periodo la ragazza per non dar sospetto frequentò la sezione del partito trattenendosi fino ad una certa ora, dopodiché adducendo impegni familiari rientrava a casa ad aspettare il fidanzato segreto. Così evitò di mettersi sulla bocca dei compagni peraltro poco attenti all’assentarsi di Renatino e in ogni caso, conoscendo il tipo, non orientati a supporlo per esigenze di natura sentimentale. Puntuale alla scadenza arrivò la notizia auspicata. Era rimasta incinta e finalmente sarebbe potuta andare a pagare il prezzo per la sua assunzione! Dopo qualche mese, in autunno avanzato ci fu lo scioglimento definitivo dell’amicizia di Anna con Melo, sancito con uno strano festeggiamento di commiato. Le cose andarono all’incirca così. Anna, una sera con la madre girava per i negozi a fare compere. Entrate in uno degli esercizi più eleganti e cari della città con l’intento, date le loro ristrettezze, di curiosare senza acquistare, la figlia incontrò una vecchia compagna di scuola vestita molto schic, ed anche lei alle prese con i tormenti della moda, ma a differenza di Anna con il portafogli pieno. Si complimentarono calorosamente. Infine sul punto di lasciarsi, la distinta signorina invitò Anna ad una festa del gran mondo della città e si accordarono, che se quest’ultima si fosse decisa a parteciparvi, avesse dovuto chiamare l’altra al telefono per fissare l’ora di farsi andare a prendere sotto casa. La madre sentito parlare di ambiente bene da un’autentica sua appartenente, lo si vedeva chiaramente dalla finezza del vestire, mise in croce l’invitata -A questo punto bisogna pensare a non sfigurare -Non ho mica preso l’impegno ad andarci -Scherzi? Sarebbe il caso di venirci pure tua sorella -Nicole non ne ha bisogno -Tu invece sì, vero? Se avessi avuto più senso pratico! -Io non voglio fare la mantenuta. Inoltre Melo è troppo grande, non mi piace, ed ha qualcosa di sballato. Infine le mie sono decisioni ben ponderate -Lo voglio sperare. E quelle di tua sorella? -Anche le sue, mamma, non ti preoccupare -Però non è rassicurante la frequentazione di un individuo guardingo a sfuggirci! Non porterà carbone bagnato, per caso? Sono preoccupata -Lascia perdere, mamma, quei due stanno bene insieme -Non basta, ci vuole anche il senso pratico. L’amore finisce presto, se manca la sostanza la donna si ritroverà ccu pagghiuni abbruciatu -Mamma, non è da te! -Lascia perdere la sintassi. Le cose bisogna dirle come stanno. L’uomo cerca il suo piacere e basta, tanto vale allora saper investire al meglio. A te forse sarebbe dispiaciuto trovarti nella posizione della tua amica di poco fa? O sarebbe dispiaciuto a me poter fare la gran signorona? Io non sono potuta andare oltre e grazie a Dio l’attuale posizione me la sono guadagnata con intelligenza. Tu sai, se avessi seguito il cuore, dove oggi mi sarei trovata! -Sì, mamma- La rassicurò Anna, annoiata per aver sentito quella storia centinaia di volte. -All’ospizio dei vecchi poveri. E invece! E forse non ho saputo rispettare tuo padre da saper mandare avanti assieme la nostra famiglia abbastanza unita, e le mie belle figlie ingenue? Perciò mi trovo a dovermi dolere adesso con la più piccola, perché le vere occasioni se le vuole lasciar sfuggire come se non si sappia che finiranno di presentarsene di nuove, senza darne avviso. Dài, dài, sciocchina, diamoci da fare, quella sera devi essere la regina. Compreremo il meglio. A questo servono i soldi, lo capisci? Anna finì col cedere, andò alla festa e tranne per il patrimonio economico per il resto risultò la più dotata. Aveva avuto ragione la madre. Fu molto corteggiata, specie dal figlio di un noto professionista, con il quale fu amore a prima vista. All’indomani stesso della conquista pensò di liquidare l’antico, inarrendevole pretendente. Melo della chiamata telefonica della ragazza ebbe da rallegrarsi solo nei convenevoli. Un attimo dopo dalla vetta in cui l’aveva condotto la gioia, si ritrovò nel fondo della disperazione. La implorò di ripensarci, ed alla netta determinazione della ragioniera, la pregò almeno di concedergli l’opportunità di separarsi di presenza, riuscendo a trattare sui modi, sul luogo e sul giorno. La discoteca convenuta era stata aperta da poco. L’arredamento nuovo era assai elegante, la collocazione delle luci opportuna, il volume della musica discreto, il servizio ineccepibile, e sebbene i prezzi alti mirassero a selezionare i frequentatori era abbastanza affollata proprio per l’agio ricavabile dall’ambiente meticolosamente curato. Anna aveva pregati la sorella e Bruno di accompagnarla. I tre scelsero il tavolo dopo la mancata individuazione tra gli habitués dell’ispiratore della serata. Se ne stettero seduti a conversare, aspettando. Quando ormai s’erano convinti d’un disguido o d’una disgrazia, al loro tavolo andò un cameriere reggendo una rosa chiusa nel cellofan e chiese della signorina Anna... -Sono stato incaricato di consegnarle questo da parte del signor M..., e di riferirle d’un suo inevitabile ritardo a sopraggiungere -Posso sapere chi le ha consegnato questo fiore?- Chiese Anna poco convinta. -Certamente. E’ stato il direttore. Perché c’è qualcosa che non va? -No niente, grazie. Solo curiosità II cameriere con un inchino stava per congedarsi. Bruno lo pregò di attendere un attimo, parlottò con le sorelle, e fece le ordinazioni. Nacque uno studio su quel gesto cavalleresco. Ognuno espresse la propria opinione. Si finì con lo scherzarci sopra mentre i drinks si erano assottigliati al punto da mostrare il fondo dei bicchieri, parecchie sigarette erano state fumate e non si vedeva ombra di Melo. Decisero di ascoltare qualche altro disco, poi avrebbero lasciato il locale senza aver fatto un solo ballo. Nel frattempo un signore alto, sulla trentina, allisciato e distinto si presentò loro con una bottiglia di champagne della migliore marca affondata nel ghiaccio del secchiello e incravattata da un candido tovagliolo. Esordì affettatamente -Signori, vogliate scusarmi, sono il direttore del locale che spero abbiate trovato di vostro gradimento. Un nostro affezionato cliente, il signor M... spiacente d’essere stato trattenuto da un contrattempo m’incarica di servirvi in qualità di suoi ospiti il miglior champagne del locale, perché loro anche se in sua assenza non si privino di festeggiare l’importantissimo evento in programma- Posò il secchiello sul tavolo, frugò in una tasca della giacca e tirando fuori una busta proseguì M’incarica altresì di consegnare nelle mani della signorina Anna... tale messaggio in cui troverà meglio chiarite le ragioni del suo inevitabile ne pas y être. Se mi è concesso prima di allontanarmi vorrei augurare buon prosit per l’occasione, e invitarvi di tornare a visitarci presto- Esibì la disuguale ma bianca dentatura in un sorriso stereotipo e salutò allontanandosi con sciolta andatura. I tre si guardarono attoniti. Anna dalla busta ne tirò un’altra con sopra scritta a maiuscole e sottolineata la raccomandazione "strettamente personale". Si tirò un pochino di lato e lesse il contenuto -Sappi che come tutti gl’innamorati respinti, risoluti a lasciarsi consumare dalla loro insostituibile fiamma, io non te ne voglio. Ho cercato di contemperare le nostre due volontà, la tua di non volermi incontrare con la mia di non volere rinunciare al nostro ultimo cin cin. Tu non puoi vedermi, ma io sì. Sto di fronte a te e quando alzerai la coppa, leverò anch’io la mia per augurarti tanta felicità. Addio. P.S. Ti prego di non confondere l’omaggio di prima con un bocciolo di rosa. Quello è il mio cuore dal quale si parte la mia restante vita da vivere, tutta cosparsa di spine. Te lo affido per l’eternità. Il più devoto degli uomini Anna per un attimo colpita, si sentì interiormente responsabile, mostrandosi fuggevolmente adombrata; aveva preso il fiore passandogli per lungo una carezza, poi atteggiò per un attimo un ghigno amaro, infine decise di rompere subito il rincrescimento in una risata liberatoria. A Nicole, curiosa di aver partecipato il contenuto, rispose snobbante Stupidità Tali rivolgimenti di relazioni portarono al dissolvimento della comitiva. La coppia superstite se ne dolse esclusivamente perché la causa fosse stata la perfidia. Del resto la fine delle periodiche riunioni lasciava loro più tempo da dedicare all’intimità, preziosissimo quando si ama veramente, in quanto mai sembra averne a disporre a sufficienza. Infatti Bruno si lamentava ad ogni distacco, nonostante accompagnasse Nikitta a casa sempre più tardi. Una sera le chiese di mettersi assieme in modo compiuto. Lei arrossì, titubò, e malgrado i suoi occhi esprimessero gioia e riconoscenza, respinse la proposta non sentendosi preparata Come mi trovo adesso, non posso. Scusami Bruno. Però è stato il regalo più bello che potevi offrirmi -Perché cara non puoi, cosa te lo impedisce? -Amore, sono una donna libera con le mani legate. Non vorrei distogliere il bambino da un ambiente nel quale mostra di viverci benissimo. Io sono senza un lavoro... -Ci adatteremo, faremo dei sacrifici, vedrai se come tanta altra gente riusciremo a far fronte alla situazione -Sii paziente, ti prego, ne riparleremo più avanti -Nikitta, ricordati che il ferro si stira quand’è caldo -Di te mi posso fidare. Voglio correre il rischio Bruno si arrese con disappunto, ma cedette alle moine di lei valse a stornarlo dall’estemporaneo e sincero proposito. D’altronde anche a quel modo la vita brillava! Come da una pinacoteca spiccarono i ricordi più icastici. Il divertito commento di Nikitta sul primo regalo ricevuto, un’acqua marina trasparente, richiamo dell’elemento propiziatore del di lui sblocco psicologico, incastonata in un anello di oro bianco e donatale con lo scopo di rinverdire di tanto in tanto la grottesca circostanza e riderci su. La commozione di Nikitta nel raccontare a lui l’augurio immediato e spontaneo "Che Iddio ti benedica" ricevuto dalla signora Annina in risposta alla rivelazione da lei fatta per telefono di essere già madre. La gratitudine per il regalo destinato a Massimo da lui consegnato per "la festa dei morti". L’incredulo stupore nell’occasione in cui voleva farle credere, convincendola infine, di averla vinta al poker, e di essere ormai il proprietario della lussuosa macchina con la quale era andato a prenderla per più sere consecutive, auto invece di proprietà del faccendiere del pastificio, affidatagli dopo essere stato da lui accompagnato all’aeroporto per una partenza di affari. La paura, sempre di lei, di salire su una scala di legno agricola per scavalcare il cancello, a causa di essere rimasti chiusi dentro il fondo, dopo aver perduto la chiave del lucchetto, per imprevidenza cadutagli di mano in mezzo all’erba alta, e senza esserci stato verso di ritrovarla nemmeno con le bestemmie. Rivedeva compiere un’impresa del genere ad una donna capace di creare un parapiglia, incurante di cosa potesse causare specie con il veicolo in marcia, se per caso un insetto qualsiasi, fosse pure un’innocua farfallina, avesse trovato da entrare nell’abitacolo della macchina. La contentezza quando lui acconsentì a presentarsi ai suoceri, e la cura a preparare la cena in suo onore, durante la quale furono serviti a tavola, una zuppa di pesce, pietanza prediletta dall’ospite, ghiottonerie di pizzicheria, vino biondo di annata, leggermente abboccato. Lo struggersi della compagna per il carattere inibitorio di lui a facili riconciliazioni, a seguito dei litigi destinati a decretare inappellabilmente il riaccompagnarla a casa, pur dietro le minacce di lei, rincarate dall’apertura dello sportello, di buttarsi fuori dall’auto in corsa. L’infischiarsene dei rimproveri del padre a causa della bolletta salata del telefono, dimenticandosene del tutto e non volendo sentire ragioni dallo stesso destinatario di essere breve, le volte in cui decideva di comunicare con lui, ed erano troppe, anche subito dopo essersi lasciati, concedendogli appena il tempo della strada per rincasare. E ancora la puntualità del pensierino per ogni ricorrenza sacrificando magari il suo guardaroba in verità di già modesto. L’abbattimento di doversi presentare a lui con il collo segnato da profondi graffi per essere stata scippata della collanina, e il non darsi pace per essere stata colta alla sprovvista da un "cornutello" di ragazzo ed essere rimasta spaesata un bel pezzo prima di rendersi conto del tiro subìto e avvertire il conseguente ribollimento del sangue sotto la spinta del quale sarebbe stata in grado con uno sganascione di far andare a spiaccicare quel verme sul muro a lato. La soddisfazione del primo guadagno, in occasione delle elezioni legislative, per il lavoro svolto nel comitato elettorale d’un noto professionista candidato nel suo partito. La gioia di avere trovato una occupazione più stabile, da segretaria, sempre dietro interessamento dei notabili compagni socialisti, e il disgusto e le dimissioni dopo breve tempo in seguito alle profferte disinvoltamente avanzate dal datore di lavoro. Una miscellanea di palpitanti immagini del periodo più bello di ogni individuo, quello in cui si è convinti di star vivendo entro un protratto, esaltante turbamento. E ancora altri memorabili episodi: i primi incontri di Nicole con la signora Annina dopo la presentazione ufficiale a casa sua, da Bruno affrontata col batticuore e la vigile attenzione a cogliere i minimi particolari delle reciproche impressioni delle due donne -Mamma, ti presento Nikitta. Nikitta questa è mia madre... Nichitta come teCi fu una formale e simpatica protesta di entrambe per l’allusione scherzosa alla loro robustezza, seguita da cordiale e confidenziale conversazione ovviamente convergente per la gran parte su di lui, attento da interessato ascoltatore a sorbire con fierezza -Me l’ha rapito il mio ragazzo -Signora, suvvia, mi dà ancora del lei? -E tu figlia mia? -Ci proverò poco alla volta -Quando si ha intenzione di farla una cosa, è bene togliersi subito il pensiero -Non farò passare molto tempo e non la deluderò -Va bene, va bene, figlia mia, fa come vuoi Nikitta approfittò subito ad informarsi minuziosamente su tutto quanto appartenesse al passato di Bruno sin dai primi vagiti. Risate a crepapelle scrosciarono dall’apprendere il sistema impiegato dalla signora Annina per lo svezzamento quasi impossibile a fargli accettare: la salagione delle areole mammarie atta a provocare la reazione del pargoletto espressa con schiaffi violenti contro la fraudolenta allattatrice. Tra i soffocamenti e le lacrime Nikitta chiese se avesse funzionato ed alla risposta affermativa, si abbandonò ad altre risate forse scaturite dal proponimento di preparare al partner un revival a sorpresa. Nel frattempo lui aveva avviato l’esecuzione al flauto del motivo talismanico e appena la concluse, sotto l’applauso scrosciante e sincero delle due donne del suo cuore, dichiarò quello essere il motivo di comunione sentimentale per loro tre. Dopo quell’incontro quando la madre chiedeva notizie della "bell’alfana", così l’aveva ribattezzata in ossequio alla di lei fierezza di comportamento con il mondo esterno, Bruno s’inorgogliva di quel soprannome così bene azzeccato. Nikitta s’era guadagnata la simpatia anche degli altri membri della famiglia. Era stata in grado persino di far dialogare, eccezione di rilievo, il bacchettone primogenito abituato a starsene chiuso nella propria stanza per evitare contatti umani. Con Mario, la sorella ed il marito di quest’ultima, entrò in rapporti cordialissimi, e dal signor Peppino, malgrado l’ispezione dalla testa ai piedi non gli desse da censurare, sebbene presentisse doverci essere sotto qualcosa da esserne infastidito, ebbe pure buona accoglienza. Sarebbe stato ingiusto non concedergliene ad una ragazza sincera, rispettosa, affettuosa e semplice quanto lei. Ed invece al sottufficiale quando seppe della separazione e del figlio gli cadde dal cuore ed iniziò ad evitarla. A tavola durante il pranzo manifestava disapprovazione e prima di rassegnarsi a sopportare in silenzio ci volle la netta presa di posizione del figlio a difesa della condizione della sua compagna. Il trasporto perse pure l’insocievole fratello risoluto a non scappare più dalla sua stanza per andare ad intrattenere l’ex amabile donna quando la voce ne sentiva risuonare per la casa. Bruno amareggiato di comportamenti così insensati, se ne ripagava abbondantemente le volte in cui in sua presenza la madre si lamentava benevolmente con la ragazza per esser stata derubata del figlio. Coglieva nel tono di quelle parole la soddisfazione completa della genitrice di essere stata sostituita da persona non meno meritevole e tale piena accondiscendenza gli fortificava il sentimento per l’amata. In effetti era vero d’essere passato a riscaldarsi sotto il totalizzante sole Nikitta... Enzo quel giorno sembrava fosse stato morso dal dipsadio, andava a bere continuamente all’anfora, per tornare a testa china a riprendere l’arnese di lavoro senza rivolgere parola. Preso dal nervoso s’era appozzato lo stomaco senz’alcuna sollecitazione di sete. Sicuramente aveva saputo dalla moglie della rivelazione fatta a Bruno, ma forse temeva che, magari con una chiarificazione limitata, insufficiente a fornire degl’indizi ma bastante ad insospettire, fosse andata oltre quanto lui avesse avuto riportato. E avendo da fare con persona intelligente era preoccupato che la sua condanna a dissimulare lo stabile avvilimento venisse conosciuta. Era atterrito di poter perdere la stima di chi teneva in grande considerazione. Da parte sua Bruno si era trincerato nella discrezione, proprio a causa della convinzione scaturita dall’intuito, per cui in quella casa l’equilibrio fosse solo apparente, e l’affetto nutrito per i casuali conoscenti gli richiedeva di sacrificare la curiosità piuttosto di apprendere su di loro supponibili verità inquietanti. Perciò lasciò al contadino la discrezionalità ad accertarsi dell’interezza del suo segreto, per evitare mercé una iniziativa presa da lui di dar adito a convincimenti errati. E durante il rientro, sul camioncino Enzo si decise finalmente ad aprir bocca -So che ti è stata fatta conoscere Giulia -Tua moglie mi ha mostrato una foto -Già mia moglie- Fece eco l’altro con aria svagata, forse decidendo in extremis di non muoverle alcun rimprovero, e gli chiese sempre con noncuranza -Ricordi il primo giorno quando ci siamo conosciuti, il termine da te usato per quell’operazione praticata alle donne in sostituzione della cintura di castità? -Infibulazione -Bene- Riprese l’altro con inattesa e sconcertante crudità –L’infibulazione è il trattamento di merito per quella donna Bruno lo guardò sorpreso dell’affioramento di una truce espressione davvero molto inconsueta in un uomo contraddistintosi sempre per generosità, si guardò bene dal rischiare di esulcerarlo oltre con qualche aggiunta che avesse potuto contrariamente alle intenzioni suonare impertinente, notando quanto tornasse gradito all’amico il silenzio impostosi. Gli venne di pensare all’apprezzamento della signora Irene per le sue esercitazioni musicali. Quelle parole associò al moto dell’animo prodotto e corso per un attimo dentro lo sguardo di lei immediatamente prima di cambiare discorso. Quale meraviglioso baleno di entusiasmo represso! Si sentì lusingato dell’ammirazione e nello stesso tempo triste di non potersene alimentare. Comunque da quel giorno le esecuzioni ebbero un motivo in più per divenire struggenti in sommo grado, poiché la fortuna continuava a prendersi gioco di lui sfiorandolo soltanto col mostrargli oasi proibite di felicità. Durante la cena tenne banco la comitiva dei piccoli, mentre per gli adulti sembrava esservi per ognuno un castigo da scontare. Bruno dovette aspettare di ritirarsi per sbaragliare l’antipatico silenzio e rilassarsi completamente, stendendosi supino sul letto. Tornò a pensare a Nikitta quando negl’immotivati accessi di gelosia pregava Rosy di accompagnarla con la macchina nella città di lui per controllarne i movimenti, ottenendone comprensione in quanto con lei aveva interessi in comune, e inaspettatamente se le trovava davanti entrambe. Le sedute notturne di ramino in una stanza satura di fumo, Massimo cascante dal sonno e le proteste di lui riguardo le sofferenze del bambino, vanificate dall’accanimento per il gioco. La gita in montagna con lei ed il bambino, piena di peripezie, a causa delle bizze della vecchia carretta, e le risate di madre e figlio per la sua istintiva pensata durante la salita, ritrovatosi all’improvviso sovrastato da un cocuzzolo erettosi fino al margine della strada, di arrestare la macchina, tirare il freno a mano, lasciare il motore in folle per paura di non riaccendersi, e scendere ad inginocchiarsi davanti la maestosa imponenza della natura in segno di adorazione, onorando quel rituale al ritorno e le altre volte tornati a ripetere l’escursione. La simulata inferiorità dichiarata da lei, per cui spesso con fine ironia aveva da chiedergli spiegazioni sui vari argomenti di conversazione appellandolo: teachter. La gioia di festeggiare in discoteca con lui, sua sorella, a cui si era tanto affezionata ed il cognato, l’ultimo giorno dell’anno. La confidenza sempre più stretta con sua madre finalmente gratificata del tu, la quale con lei non sembrava soffrire di soggezione, avvertita invece con la fidanzata di Mario. E i rapporti di intimità. Quelli consumati sulla macchina dentro il magazzino di campagna con il trambusto dei topi sopra i cannicci del soffitto e i brividi del rischio di sentirsene piovere qualcuno addosso, schifosa bestiaccia, nei pochi minuti costretti a far da bersaglio per spogliarsi o rivestirsi. La prima, vera notte d’amore trascorsa nella camera di un albergo di Taormina con il ballatoio stupendamente esposto sul mare. Ricordava gli entusiastici discorsi traditi, mentre lei gli volgeva le spalle.-Non ti sei ancora stancato, caro? -Io voglio baciarti tutta, compiutamente, in ogni particolare, poro dietro poro Nikitta rise divertita e sussurrò dopo essersi rigirata -Non c’è tempo amore. Anche a me piacerebbe continuare a ricevere baci e carezze dalle tue mani magiche, così, sempre, di notte e di giorno, tutta la vita, l’eternità! Da qualche tempo mi va di pensare di chiudere la mia vita insieme a te o prima di te. Sono sicura di non saperti sopravvivere. Io ti amo troppo ed ho paura. Bruno tu mi hai riplasmato: io sono una tua idea, una tua invenzione, sento di far parte del tuo pensiero, e in tale dimensione io vivo felice, convincendomi di esserti indispensabile. Ti prego, non ti stancare mai di me, non scalzarmi dal tuo cervello. Io ne morirei... Bruno sorrise sarcastico e continuò nella carrellata! Quella volta a casa di lei. La trovò sola con Massimo attaccato alla televisione. Nikitta gli stava preparando un panino per merenda. Dopo averglielo consegnato andò in bagno a pulirsi le mani dell’unto del prosciutto. Lui le andò dietro, chiuse la porta e appiccicandosele smanioso le chiedeva di possederla. -Non possiamo, c’è mio figlio -Con la televisione accesa va a pensare a noi! -Potrebbe cercarmi! -Noi ce ne staremo qui, in fin dei conti sei nel bagno e lui sa che non si disturba in tali occasioni, basterà dargli la voce, convinciti, ti prego -Ma scoprirà te qui dentro, assieme a me -Non ci sono problemi, aspetta qui un attimo, non ti muovere- Andò di là a salutare Massimo come se se ne stesse andando, fece ben rimbombare il simulato chiudersi dietro la porta di casa e tornò da lei sprizzando scintille. Provò a girare la chiave nella toppa. La serratura era guasta. Imprecò a mezza voce. Non si perse di coraggio. Ad un angolo scorse la spazzola per i pavimenti. L’afferrò nervosamente. Puntellò l’ingresso. Si avvicinò a lei. La strinse tra le braccia. Le sussurrò -Vedrai sarà bellissimo Lei rifiutava debolmente -Io non voglio, qui, così, non mi piace Lui la baciava sul collo, sulle spalle, sui seni spogliati con voluttà. Nikitta prese ad ansimare, mentre lui sedette sullo spigolo della vasca da bagno, l’attirò sulle gambe, conducendola a cogliere insieme i frutti più gustosi del più squisito sostentamento che la natura ha in serbo. Quell’altra volta in casa sua quando non vi trovò nessuno. Le titubanze per la scelta della stanza. La sua no, perché poteva in qualsiasi momento arrivare Mario, e anche se la porta avessero potuto serrare, lui non voleva dare ad intendere. La camera da letto dei genitori nemmeno per lo stesso motivo e per un altro di ordine psicologico diverso dal sacro rispetto per la loro alcova, e riguardante in particolare la madre, la quale inspiegabilmente gli sembrava vedere apparire per ammonire. C’era da scegliere il salotto invero scomodo o il materasso del letto del misantropo. Nikitta insisteva -Lasciamo perdere, Bruno. Rimandiamo, gioia. Perché dobbiamo rischiare una figuraccia? -Lì siamo al sicuro. Aristarco a quest’ora è ancora in ufficio a più di duecento chilometri di distanza -Sì, però a parte questo, è mai possibile, andare a pensare sempre una cosa? Lui la guardò tenero ed ammise -Non me ne vergogno. Io ho bisogno di sentirmi unito a te- Le tese la mano con peritoso invito e appena ricevette quella dell’amata se la portò sulle labbra a baciarla dolcemente. La confusione della stanza li distrasse dal delicato tubare e le icone di una madonna con il bambino e del papa buono, e un grosso crocefisso in legno appesi ai muri lo fecero esclamare -La tana del vescovo- Denominazione servita in seguito ad indicare il fratello. Infine con il matrimonio di Mario la sua privacy fu meno tormentata anche se il letto ad una sola piazza, per due della loro mole risultasse un po’stretto. Né avrebbe potuto aumentarne le dimensioni poiché suo padre lo avrebbe scaraventato dal balcone, mentre che adeguandosi sarebbe stato più facile per la coppia, nascondere al pensionato propugnatore dei precetti conformistici la situazione di comodo. Né c’era stato modo di trovare nel territorio delle due città un appartamento da prendere in affitto, poiché degli sfitti il mercato ne offriva a bizzeffe, solo in vendita ed in contanti. E quanto fosse precaria la disponibilità per i locatari lo scoprì presto Mario a mezzo mese dalla data delle nozze, trovatosi riguardo a tetto ancora sotto le stelle, e costretto dall’incalzare dell’evento, sovraccaricandosi di debiti e restando all’osso a ricorrere all’acquisto d’un tre vani modesto e salato nonostante l’abbondanza dell’offerta. Era il tempo, sporadiche burrasche a parte, dell’affiatamento perfetto. L’intensità del sentimento sfiorava la follia. Non c’era niente di più importante al mondo che la reciproca indispensabilità per esistere, come se i loro organi vitali, dopo essersi mescolati assieme, non avessero rispettato l’originaria appartenenza, avendo creato uno stato fisiologico di simbiosi e facendo crescere di conseguenza il mutuo senso di gratitudine. Cosicché automaticamente e vicendevolmente si aiutavano a conoscersi, a premurarsi, a rispettarsi, in una crescita comune, mentre i cuori delle due personalità fuse sino nell’essenza, instancabilmente pompavano amore. La cosa più strana ed inspiegabile per via logica era il sentirsi malgrado la consapevolezza di tale dipendenza, ognuno per conto proprio immensamente libero, padrone dell’universo, felice! Altrettanto perfetta era l’armonizzazione determinatasi nell’amplesso in un crescendo di sensazioni riflesse di piacere, dove le componenti tenera e sensuale s’intessevano in modo sublime, e l’appagamento li rapiva in una contemporaneità di straziante godimento. La vecchia comitiva si era dispersa. Il compare con la decisione di non salutarlo causa l’occulto motivo dell’invidia provata per la stupenda riuscita del rapporto di Bruno a lui negata per eccessivo senso di autoconsiderazione, le volte in cui il caso li facesse incontrare in istrada, s’imbatteva nella pietà del più fortunato e avveduto innamorato, e per scamparla era obbligato dal vile comportamento a volgere altrove lo sguardo. Nuccio e Saro accennavano appena il saluto con aria di superiorità, promossa dalla loro perizia nel fiutare il pericolo, in contrapposizione alla sua ingenuità ad incapparvi. Rosy per consolarsi s’era messa con un compagno più giovane di lei e di sicuro avvenire politico. Aveva ottenuto l’impiego al comune limitrofo e non le pesava la condanna a far la pendolare con la piccola utilitaria. Tina non si era potuto appurare se avesse finito per pagare il prezzo della sua assunzione ad infermiera di uno dei più grandi ospedali della città, o per un qualche sortilegio l’avesse potuta scampare! Aveva preso la fuga con Renatino, l’aveva sposato, era diventata madre di una bambina, ma contemporaneamente aveva perduto la sua non comune disposizione alla gaiezza in cambio della rassegnazione alla sciatteria, sollecita a trasformarla precocemente in irriconoscibile bofficiona. Anna aveva fatto il colpaccio e già con il fidanzato d’oro i preparativi stavano organizzando per il matrimonio, mentre Melo in seguito alla morte del padre si dibatteva tra gli artigli delle banche senza possibilità di scampo, sino ad arrendersi al dissesto finanziario di cui era stato il vero responsabile, cadendo in fallimento. Solo la sua relazione con Nikitta non era stata sfiorata dalla consunzione dell’egoismo, anzi pareva andare soggetta alla moltiplicazione degli antidoti e uscirne ogni giorno più rinvigorita. Una telefonata di Nikitta insolitamente all’ora di pranzo, in un giorno feriale, ed inattesa, aveva messo in allarme il ricevente -Cos’è accaduto, cara? -Una cosa seria- Lei rispose con tono grave. -Parla dunque, allora? -E’accaduto, è accaduto...- Lo teneva sulla corda con gran divertimento. -Cosa? Se non ti decidi, chiudo -Un mi...- Si fermò indecisa. -Un misfatto? -No -Un miserere? -Faccio gli scongiuri -Un mistero? -Quasi. Un mir, mir, mir, mir...- Indugiava, aumentandone il volume. -Un miracolo? -Un miracolo, sì, un miracolo -E ci vuole tanto a darmi una buona notizia? Mi hai quasi spaventato. Di che si tratta? -Ho un posto serio, sicuro, statale- Era indicibilmente presa dall’euforia. Gli raccontò a precipizio dell’avviso ricevuto, della sua corsa all’ufficio di collocamento, della favolosa notizia, che tramite la legge recante un certo numero, la cosiddetta legge sui giovani, tenuto conto di una certa graduatoria in cui lei degli iscritti figurando tra i primi posti agevolata anche dalla sua situazione di madre con un figlio a carico, era stata destinata a lavorare presso un ufficio finanziario per un limitato numero di mesi, a parere dell’impiegato sicuramente prorogabili sino all’assunzione definitiva. Finalmente prese fiato dopo aver dato fondo alla gioia, e di fronte al silenzio del compagno riprese con più fervore -Ci pensi? Uno stipendio mio. A fine mese tanti bei soldini tutti da spendere, per Massimo e per me ridotta quasi ad una scopa, lontano dai parrucchieri e dai negozi. Qualcosa voglio dare ai miei come contributo. Inoltre possiamo cominciare a pensare seriamente a noi. Avere una casa nostra, vivere assieme, coronare il nostro desiderio più grande. Oh Bruno, quanto sono felice, e quanto ti amo! Era veramente inebriata e lo dimostrò anche nei giorni a seguire, fino a quando dal pastificio non arrivarono le prime notizie simili a docce fredde. Una sera in pizzeria lui più preoccupato di quanto lo fosse negli ultimi tempi, la informò della sua risoluzione presa. Aveva dato le dimissioni e si era fatto liquidare sia i diritti, sia il premio per la rinuncia a resistere. Pur essendo totale la sua ritrosia a prestare semplice ascolto alle parole dei clericali, aveva dato retta al prete -Sono un uomo ricco e libero di godermi la vita. I miei principali avranno da preoccuparsi meno per uno che lascia. Ho preso consiglio da don Sortino, navigato conoscitore delle questioni di questo mondo -Mi stai forse dicendo di esserti fatto licenziare? -Mi sono licenziato -Ma perché, proprio adesso quando le cose si stavano mettendo per il giusto verso? -Amore, non è dipeso da me. La ditta chiuderà di sicuro. Ci sono interessi troppo grossi. E’ una gara continua tra gli amministratori a come danneggiarla meglio. Finanziariamente è stata ridotta in agonia a bella posta, e dinanzi ad un procedimento di fallimento resta ben poco da difendere -E gli altri dipendenti? -Fanno gli scimuniti appresso i sindacati, lasciandosi menare per il naso. Ma padre Sortino gliel’ha cantato chiaro di rassegnarsi. Ne è nato un alterco con un operaio, per poco non finito per degenerare. Questi fece presente al consigliere spirituale la difficoltà di moglie e figli a rassegnarsi a rinunciare al pezzo di pane ed all’invito alla pazienza rivolto dal prete, nervoso ribatté che se la pazienza fosse stata commestibile, l’avrebbe messa a tavola e non ci sarebbero stati problemi. Allora l’altro, pertinace, si affidò alla panacea della speranza, facendo incazzare maggiormente l’intransigente pronto a gridargli -Chi di speranza campa, disperato muore!- Senza con ciò riuscire a disarmare la faccia di bronzo parata di fronte, indifferente della pericolosità delle conseguenze nelle quali poteva facilmente incappare. L’operaio fu trattenuto a stento dai colleghi dal volerglisi lanciare addosso, e non riuscendo a svincolarsi sparò al mistico imbonitore -Queste minchiate le vada a raccontare alle altre gonnelle come lei, in parrocchia o nelle prediche. Qui abbiamo bisogno di fatti! -Avrai fatto bene a comportarti diversamente dai colleghi più fiduciosi? -Vedrai se avrò avuto ragione di prendere questi quattro soldi adesso, piuttosto di ritrovarmeli svalutati dopo anni d’inutili questioni, feconde solo per qualche traffichino -E adesso? -Non so, vedremo II resto della pizza fu amara per entrambi, presi com’erano dall’abbattimento. A casa sua cominciarono le lagnanze per il perduto pezzo di pane e gli assilli a far presto a trovarselo altrove. Don Peppino riproponeva continuamente la lista delle persone tenute in conto di venire disturbate e ritenute di prestigio o in potere di risolvere emergenze così difficili. Fece il giro di tutti, realizzando gentile comprensione, fraterna solidarietà e un’ingente quantità di promesse mancate. Oltre al padre, lui stesso s’impegnò al massimo. Chiese la collaborazione dei parenti, amici, conoscenti. Prese l’abitudine di controllare la pagina delle proposte di lavoro sui giornali. Cominciò a percorrere irrequietamente la città in lungo ed in largo come spinto dalla speranza di imbattersi nell’occupazione personificata. Spiegò il ventaglio delle iniziative private percorribili. Si arrese ad attendere. Iniziò il periodo delle umiliazioni. Incontrato qualcuno a cui si era rivolto vi restava impalato dinanzi, al pari di un ebete, a sorbirsi il senso di solidarietà del latore di esiti avversi e farsi mordere dalla frustrazione del sospetto di procurare con le sue preoccupazioni un pizzico di piacere all’altro, falsamente dispiaciuto. Quindi stabilì di ridurre i contatti con il prossimo e di fuggire addirittura tutti i portatori di sostegno morale. Era diventato cupo e facilmente irritabile, a casa intrattabile, meno con Nikitta, ma pur sempre odioso. Stava scivolando verso un grado preoccupante di nevrosi e in un lampo di presa di coscienza s’impose a consolarsi con un pizzico di filosofia. Dopotutto di quale colpa lo si voleva accusare? Di essere stato tra i più ligi ai doveri, di essere vittima dell’ingordigia di spericolati arrampicatori che il sistema si compiace di premiare o della sua solerzia a cercare di dare un contributo all’innalzamento del livello sociale? Lui era lì, puro come un giglio, a disposizione della comunità, volenteroso, galantuomo, attivo. Se poi tali caratteristiche tornavano scomode all’attuale struttura economica, almeno si disponesse a limitare il danno al solo portafogli e salvaguardasse la salute! La sua condizione come quella di altri milioni di disoccupati aveva la funzione sociale ben precisa di garantire aberranti privilegi. Bastava saper penetrare il benessere di cui il regime andava fiero di elargire, per vederlo prosperare dai patimenti di una gran moltitudine di emarginati incolpevoli, e le due componenti contrapposte erano sapientemente indottrinate in modo da reggere uno stabile equilibrio, nel quale una, la più esigua, continuasse a soverchiare invitta, e la più numerosa, la maltrattata, a subire apaticamente o semmai i rari scrollamenti dal torpore rivolgesse alla perpetuazione della propria sventura, ricredendosi all’istante di potersene liberare. Perciò ancor di più era consigliabile prendersela con filosofia! A Nikitta le si doveva riconoscere di essere paziente e di continuare a comportarsi come se nulla fosse successo. E dalla coraggiosa comprensione di lei e dal suo nuovo credo, con il contributo d’impreviste occasioni, scaturirono indimenticabili giorni di amore e di spensieratezza. Lo Stato per un dovere di formalità, dopo circa un anno dall’assunzione provvisoria, comandava ai novizi di recarsi alla sede del Ministero delle Finanze a Roma per sostenere un esame abilitante all’immissione in ruolo, del quale si sapeva in partenza l’esito positivo di tutti i partecipanti. Una grottesca messinscena utile solo per il risvolto turistico, specie per chi non era mai stato nella capitale, come Nikitta e Bruno, accompagnatore mai tanto entusiasta. Ne seguì una vacanza, davvero, eccezionale, protratta di qualche giorno oltre il necessario. Dopo un viaggio notturno in treno, durante il quale lei seppe riposare con il capo adagiato or sul petto, or sulla spalla di lui, sorretto e carezzato amorevolmente dal più appassionato dei vigilatori, incapace di stancarsene, a giorno fatto arrivarono alla pensione già prenotata e molto vicina alla stazione. Messo piede nella stanza, lui cominciò a sentirsi frastornato dalla tensione accumulata durante la notte bianca. Gli sembrava veder inchinarsi le pareti e tremare il pavimento. Entrò nella doccia appena ne uscì Nikitta avvolta in un accappatoio rosa. Continuava ad informarla del suo stato di ubriachezza e nello stesso tempo a fugarne le preoccupazioni; anzi quelle sensazioni gli stimolavano afflussi di euforia. Venne fuori accennando il motivo ed i passi di un valzer famoso –Com’è bello danzare sulle nuvole!- Girò un paio di volte attorno a lei ritta in mezzo la stanza, poi l’abbracciò di spalle, le scostò l’accappatoio ed i capelli per baciarla dietro la nuca, diede qualche significativa stratta all’indumento, invitandola a liberarsene. -Sei troppo stanco. Io non voglio. Riposiamoci. Dopo... Lui continuava a baciarla sul collo e sulle spalle ristorandole con massaggi, muto ed estraniato: s’era involato e non sentiva nulla. La lisciava, aspirava ad occhi chiusi. La spugna rosa scivolò sull’epidermide profumata infiammando l’ebrietà. Le sue mani cercarono il seno per stringerlo e carezzarlo alternativamente con sofferta indecisione, scaricata nel pizzicarle ad ogni incontro i capezzoli. Lei adesso cominciava a smaniare con la testa. L’onda dei capelli rovesciandoglisi sul viso, lo sollecitava maggiormente ad imprimere sui contatti; il glande deliziosamente esitava tra morbidi glutei, fin quando un violento desiderio di baciarla in bocca non pretese di rigirarla. Entrambi bollivano. Appena le lingue riuscirono a sciogliersi dal nodo, lui corse subito sul petto a cercarne i gemelli boccioli. La frenesia di lei aumentava con nervosi scrollamenti di capo, in risposta alle focose esplorazioni del compagno. Una mano di Bruno andò a carezzare il vello e fu percorsa da un’eccitante sensazione di calore. Il conducente si sentiva vicino allo scoppio. Accompagnò la partner a sedere sulla sponda del letto, le s’inginocchiò in mezzo alle cosce, gliele baciò ripetutamente prima di spingersi per adagiarle la schiena e ricominciar dalla bocca ardente, scendendo lentamente mentre lei si contorceva e si lamentava e con imploranti "vieni" pregava un sordo in preda a parossistico erotismo. Lui giunse fino alla caviglia e ora risaliva per il polpaccio, sul ginocchio, nelle pieghe dell’anca. Sentì un effluvio estremamente allettante mentre la testa gli girava vorticosamente e gli occhi volevano schizzar dalle orbite. Aspirò strusciando con il naso: com’era morbido e carezzevole! Ella trasalì, cercò di ribellarsi, ma subito si arrese quasi svenuta. Lui avvertì il sangue fluire piacevolmente, irrorare la mente, placare lo spirito in una pace misteriosa, credendo di ricollegarsi a subconsci idilli interrotti, senza sapere da quando, del perché, né da chi. Baciò prudentemente con tenerezza, poi affondò le labbra in un altro bacio più intenso d’amore. Lei riprese a lamentarsi questa volta più forte costringendo il rapito amatore a tapparle la bocca con la mano e risvegliandogli la passione ad indurlo ad indugiare in febbrili vellicamenti, dai quali nasceva un immenso piacere come un fuoco in crescente divampare, fino ad un’acutezza insopportabile prima di svanire ed autogenerarsi, e nei momenti di affiochimento sembrava sentirsi avvoltolare dalla cresta di un cavallone minaccioso per essere scagliato chissà dove, ed invece toccata la valle riprendeva l’avvampante fiamma in una struggente e dolcissima altalena, frattanto che la sua ingenita Nikitta scrollatasi dalla presa non riuscì a gridare singhiozzante -Basta! Ti supplico, vieni- Lui fu pronto a coprire il corpo agognante per ricondursi insieme alle sofferenze dell’estasi... Nikitta si sentiva spossata, intontita, strana, come se avesse speso molte energie fisiche ed invece erano le sensitive svuotate e dileguate completamente per la prima volta, le quali l’avevano calata in uno stato di soverchia, sconosciuta rilassatezza, godibile in varie gradazioni tra il gratificante ed una indefinibile sensazione proiettata verso il sublime, scaturita dall’osmosi spirituale da cui non si era ancora staccata. Il viso le si era disteso ed illuminato. Le pupille scintillarono della purezza e dell’entusiasmo del sentimento sincero irraggiato dal suo animo col candore primigenio dell’innocenza infantile, finché assalite dal falso pudore non s’intorbidarono e agitarono in cerca di un nascondiglio. Lui ne colse il cangiamento e stringendole le guance infuocate s’interessò a conoscerne la ragione -Non ce l’hai con me, mi auguro! -No- Rispose lei esitante -Però non voglio più farlo -Hai provato schifo! -No, ti dico- Lo rassicurò con più coraggio. -Allora perché vuoi essere così definitiva? Non abbiamo fatto nulla di cui dobbiamo vergognarci. Se è successo vuoi dire che si può. Acconsentiresti con un altro? Nikitta si scostò immediatamente per assalirlo con sguardo cuspidale, inutilmente, poiché lui proseguì senza scomporsi -Calma, amore, te l’ho chiesto soltanto per dimostrarti di non esserci alcun motivo ostante tra due innamorati. Capisco l’imbarazzo a parlarne. E poi non sono cose da programmarsi. Esse ci sono dettate dal sentimento. E’ il premio più bello e naturale concesso ai pazzerelloni come noi. Infatti sono cose spontanee, pulite, dolcissime quando ci si ama, e noi dobbiamo praticarle le volte che ce le suggerisce l’ispirazione. Amore, questa non è lussuria, ma è rispetto, devozione, gioia. Questi atti quando c’è il trasporto, e quando esso sprona senza imposizioni di routine, escludendo tassativamente la lussuria con la conseguente ricerca di raffinate sensazioni, immaginate ghiotte di volgare piacere, bisogna effettuarli in una coppia di monogami perché, credo, essi non guastino, anzi... Io credo insomma di aver diritto a goderlo il premio scaturito dalla reciproca fedeltà. D’altronde cosa diventerebbe l’intimità se la si dovesse consumare dietro le indicazioni di un qualche manuale per il lecito accoppiamento umano? Il convenzionale uccide il rapporto delle coppie, ed è frutto di stupide regole, ipocriti insegnamenti, borghesi accettazioni- Le sollevò il viso, da lei tenuto abbassato e fu colpito dal suo sguardo sfavillante di riconoscenza. Riprese a parlare senza inibizioni -Le variazioni sono necessarie per tutte e due le parti nell’amplesso. La stessa natura dell’uomo ne ha bisogno, la sua ispirazione o fantasia che dir si voglia, ci deve affrancare dal diventare vittime della farisaica propaganda di chi non sapendole cogliere sul letto coniugale, le chiama porcherie per poi andarsele a procurare altrove. E poi gli uomini tra di loro e così le donne, non parlano spesso di fantasie proibite? E’ un rovello... Un assillo... L’ossessione promossa tabù, fonte del falso pudore e creatrice di tanti sciocchi misteri. Quel che si desidera, quel che si cerca, quel che si ha a portata di mano viene vanificato dal falso pudore. Non dobbiamo impigliarci pure noi nella sua vile rete. La riscossione di una mini felicità, per esserci fidati, donati completamente, aver tentato di mescolarci, fonderci, unicizzarci, avverrà affrontando realisticamente la situazione... -Sssttt!- Lo interruppe lei posando l’indice a sbarrargli le labbra -Non mi devi spiegazioni di sorta. Hai dimenticato il pavimento ballerino sotto i piedi? Hai bisogno di riposare- Concluse, attirandolo a sé per baciarlo, e uniti dalle bocche, accompagnò il capo del delizioso compagno sul cuscino, restando curva su di lui, dopo essersi staccata, a carezzarlo come forse era abituata con Massimo quando lo metteva a letto, e ripetendo Adesso dormi, caro. Io ti amo tanto- E appena lui si abbandonò al sonno, aggiunse -Sempre di più, da averne paura Girarono da vagabondi con sommo divertimento, anche se con qualche perplessità e timore da parte di lei, caratteristiche di chi è alla prima esperienza turistica. -Non ti preoccupare, non ci perdiamo. La quasi totalità dei bus fa capolinea alla stazione, e questa non c’è modo di confonderla. Anche la metropolitana ci porterebbe di filato lì. Ultima ratio ci sono i taxi -Già, facciamo gli americani, così quei quattro soldi ci voleranno di tasca prima di accorgercene. Senti, la prima cosa da fare è il biglietto di ritorno. Con quello già pagato siamo a posto -Nikitta mi stai mancando di stima! -Dobbiamo essere oculati se vogliamo arrivare al giorno dell’esame senza sgradite sorprese -Esagerata! -Piuttosto la prima informazione da prendere è come portarsi all'EUR nella zona del ministero -C’è tempo, c’è tempo, rilassati. Senti, per favore, lascia a me il carico di tutto, abbi fiducia in me -Le ultime parole famose!- Risero tra varie smorfie. Era un continuo strattonarsi per mostrarsi vicendevolmente le bellezze artistiche scoperte con meraviglia e non di rado protestavano specie sugli autobus per essere stati distolti dalla contemplazione di altre opere inghiottite presto dalla corsa. Si andarono a cercare i posti di maggior risonanza pubblicitaria. Il S. Pietro dove lui ebbe un battibecco con un troppo zelante visitatore, infuriato sì da rimproverarlo bruscamente perché non si era tolto il berretto nel luogo sacro. Non ci aveva fatto caso con la giornata umida e la frigidità del luogo, in testa non se l’era sentito nemmeno, ma a quelle aspre rimostranze s’incaponì a non rimediare ed a passare all’offensiva -Avrebbe potuto usare modi più urbani, e a difetto di ciò, visto che il suo dio lo ha ridotto in stato di esaltazione, cadrei nel ridicolo a condiscenderle. In più non sono qui per rendere omaggio a nessuna entità inesistente, ma solo al genio dell’architetto, il quale, sento esser disponibile a chiudere un occhio sulla mia irriverenza in un ambiente così ampio e perciò stesso ghiaccio. Inoltre non ho visto avvertenze incompatibili con la mia tenuta. Per concludere, se lei non ha l’autorità di pretendere il rispetto alle sue fisime, non mi rompa oltre le scatole Nikitta lo tirava per una manica e dopo l’allontanarsi borbottando dell’altro, lo rimproverò pure -Bruno, quello si è comportato male, ma tu hai torto ugualmente -Ho i miei buoni motivi con i tanti solerti curatori in giro delle anime del prossimo. A parte che entrando in una pinacoteca o in un museo qualsiasi non ci si deve per niente scappellare -Ma qui è diverso -Perché ce l’hanno in mano i preti? Comunque non opporrò nessuna resistenza nel momento in cui, se voglio visitare l’interno, sarò invitato ufficialmente da un apostolo a ottemperare ad una disciplina del genere -Solo allora toglieresti il berretto? -No, me ne uscirei L’incidente oltre ad innervosirlo un poco produsse l’effetto di farlo sacramentare e di ripromettersi per non compromettersi, di stare alla larga dai posti sacri! Infatti usciti che furono gli tornò l’allegria e un entusiasmo straordinario. Chiese ad un vigile le istruzioni per arrivare alle località sui colli. Si servirono del metrò sino a Cinecittà. Raggiunsero la fermata di fronte all’uscita ed attesero. Salirono sulla prima corriera in arrivo, senza guardare la destinazione appresa dal bigliettaio al momento di pagare. Godettero il magnifico panorama offerto dall’inerpicarsi del bus su per il tortuoso tragitto. In mezzo alla campagna un lago appariva or da un lato or dall’altro a seconda della direzione del tornante e dava l’impressione di star scalando la vetta di un isolotto. Da lassù si vedeva giacere inerte nella quieta valle, lontano ed eterna, la città. Nella fontana di Trevi vi gettarono la moneta dandole le spalle, fortemente infervorati, ad occhi chiusi e tenendosi per mano mentre esprimevano il desiderio garantito ad essere esaudito dal rituale atto di fede. A Villa Borghese invidiarono le coppie far l’amore sui prati, coperte soltanto dal velo della sera. In via Veneto ammirarono le bellissime e sofisticate professioniste del meretricio d’alto bordo. Il ricordo di quei pochi giorni affiorò con uguale freschezza dei sogni sensazionali che s’imprimono incancellabili nella memoria di ogni individuo per l’intera esistenza. E come in questi l’avvenimento di allora gli sembrava avere corso con la stessa rapidità in rapporto all’abbondantissima messe di episodi goduti, ed invece tale inadeguatezza di proporzione dipendeva dall’importanza assunta anche dalla più piccola sfumatura, così come impone l’amore, per cui ad un crescere d’intensità di vivere corrisponde un assottigliamento di lunghezza temporale. Perciò la meraviglia ad essere stato interprete d’una tanto ricca sequenza di vissuto in uno spazio di tempo così ridotto! Inoltre c’era stata la complicità della città alla troppa fuggevolezza! Rivedeva distintamente e riassaporava con ingordigia una storia di arte di tre millenni sciorinata davanti ai suoi occhi con una impareggiabile dovizia di testimonianze. C’erano state ancora le bellezze paesaggistiche, l’eccellente cucina, la piacevolezza delle persone, la sua irripetibile esperienza di felicità! Al rientro della breve vacanza trovò la sorpresa della paternità di Mario. Una bella bambina che con la nipote della parte della sorella lo faceva zio per la seconda volta. La scelta del nome, diverso da quello portato dalla signora Annina, la quale per il sesso della neonata secondo la tradizione avrebbe dovuto far da matronimica, causò al "vescovo" aspro dissenso, degenerato in troncamento del rapporto di confidenza, specie, con la cognata, rea di aver deviato. L’intransigente censore rifiutò ogni occasione propizia per far onore alla bambina impura di un secondo peccato originale. Scansava con circospezione il fratello compassionandolo di subire il dispotismo della moglie, evitava ostentatamente questa come un’appestata. Da preciso soppesatore delle colpe altrui, a seconda della gravità, centrava il castigo idoneo da impartire, ricavandolo dal parametro della giustizia assoluta di cui ne era privilegiato depositario. Cosicché dalla diversa gradazione dell’irritazione subita a causa dell’imperfezione comportamentale umana, prendeva partito anche da estraneo alle situazioni, impegnandosi a manifestare disapprovazione col ridisegnare i confini della sua relazione con la persona da lui sapientemente giudicata. Tale spirito d’intolleranza verso le opinioni diverse dalle sue lo conduceva ad isolarsi dal resto della specie, ed il fine settimana andato a trascorrere a casa, invece di procurargli gioia per il ritrovarsi con i propri cari ed amici, diventava motivo di sofferenza scontata eroicamente intanato tra quattro pareti. L’acidità del suo carattere traeva lo spunto dall’insuccesso di trovarsi una sposa rispondente alle precise aspettative di convenienza e di attrattiva. Essa era l’addizione delle frustrazioni di ogni fallito tentativo depositatasi come morchia al fondo dell’animo e pronta alla più piccola contrarietà ad espandersi per intorbidarlo. E siccome le probabilità di cogliere il segno diminuivano con l’incalzare dell’età, e lui per certi passi odorava già di stagionato, tale preoccupazione bastava da sola a tenerlo in permanenza sulle spine. Tuttavia infervorato per il matrimonio quanto ostile in passato, non si rassegnava a sopportare il celibato, né a svenderlo senza trarne vantaggio e piacere, perciò rifuggiva il compromesso impedito dall’eccessiva dose di amor proprio, ed infatti aveva in corso il corteggiamento di una donna parecchio più giovane e meritevole delle sue attenzioni... La parentesi romana illuminata dallo sfolgorio dell’intesa non comune dei protagonisti, ripropose con intensità il desiderio della convivenza -Come facciamo?- Ripeteva Nikitta sconsolata -Non c’è verso. Non abbiamo fortuna. La nostra è un’ingiusta condanna -Ho un’idea, interpelliamo il responsabile -Quale responsabile? -Il sig. Ministro del Lavoro -Le tue solite sparate! Le conosco ormai -Tieni, qui c’è carta e penna. Approntiamo una minuta. Scrivi, ti detto io. "Ill. mo Sig. Ministro, compagno socialista... -Questo non lo metto -Non va messo: era una mia considerazione. Virgola, a capo. "Sono una donna. Appartengo allo sparuto gruppo di beneficiate della legge 285, immessa all’impiego con mansioni di quarta categoria, sebbene abbia avute affidate sin dal primo giorno quelle di terza, e sia in possesso di adeguato diploma idoneo a consentirmi attribuzioni di seconda. Ma il problema non è questo. Sono separata, ho un figlio a carico, il mio partner è disoccupato e l’intenzione di metter su casa assieme è diventata chimera. Purtroppo non potremmo farcela col mio solo stipendio, sì magro da andare assorbito per più di un terzo dalla presunta locazione di un modestissimo appartamento, sempre che si venisse a trovare. E qui Le chiedo di consigliarmi una soluzione facilmente praticabile e disponibile, poiché io, malgrado il Paese goda fama di pascere nel benessere, per far quadrare i conti, altre non ne vedo all’infuori del meretricio per la donna e del delinquere per l’uomo. Forse ho troppe aspirazioni a voler uscire da uno stato fortunato di sopravvivenza nello stesso Paese florido dove più realisticamente l’emarginazione è assai diffusa. Essendo più aderente quest’ultima diagnosi mi è amaro sopportare, sapendovi virus compartecipi, rappresentanti politici felloni della deputazione ricevuta. Sennonché l’alterezza loro a tener bordone m’intenerisce, o meglio mi rallegra alla vecchia maniera di quando ragazzina mi precipitavo ad affacciarmi al balcone ad assistere alla sfilata della banda cittadina. A capo. Mi scusi Sig. Ministro se devo confessarLe il prender corpo di tale suggestione scaturire soprattutto dall’ispirazione dell’affabile pienezza delle Sue guance, la qual pare procurata proprio da uno star troppo all’eufonio… Puntini, a capo. "Come vede lo sfogo iniziale del mio personale disadattamento a usufruire del collettivo benessere ha trovato un balsamo comunicando con Ella. In un certo qual senso, mi sento esser già stata aiutata a tirare a vivere. Per questo spero non me ne vorrà per qualche innocente confidenza, non intesa minimamente ad intaccare tutta la stima delle sue eccelse virtù di provetto accompagnatore... " -Come volevasi dimostrare. Con te non si può concludere nulla di serio -E’ interamente sul serio invece -Fammi il favore, risolveranno meglio, quando sarà, i tuoi compagni -Lascia stare i comunisti, so troppo bene che blaterano in serenate! Però se non altro, tenuti fuori dal palazzo non producono danno -Bella soddisfazione! -Al contrario, tant’è che hanno perduto un sostenitore, me Nikitta appallottolò il foglio di carta e glielo tirò in testa, chiedendogli -Sei contento my teachter? -Contento un corno. Forse col tuo gesto ti stai giocando il regalo di un appartamento. Come fa a distribuirvi le case il vostro ministro, se non ne conosce i bisognosi? -Ah! Ah! Ah!- Canterellò Nikitta, accennando un solleticamento sotto l’ascella, e aggiunse -Mi fa piacere vederti di spirito, con tanto di problemi irresolubili -Vuoi che mi metta a piangere per il resto della mia vita?- Si fece serio e continuò -Una comunità bene organizzata sa cosa le occorre e conosce le proprie potenzialità di realizzazione e di ricchezza, sicché diventa elementare ottenere positivi risultati, impiegando risorse e prestazioni disponibili in forma equa e ordinata, utilizzando democraticamente tutto e tutti. Non si può discriminare sull’appartenenza della ricchezza, né sull’impiego delle energie, poiché più neglette diventano le questioni di principio, più aspro si fa il disordine sociale. L’uomo è soggetto a bisogni materiali la cui soddisfazione è raggiungibile attraverso una disponibilità economica, il reddito, s’intende quello da lavoro. Ora con la negazione di quest’ultimo, il reddito scompare, quindi ogni possibilità di sostentamento e perciò di sopravvivenza, checché possa dirne un qualsiasi don Sortino. Da qui, ad una comunità consenziente di tale privazione, è indifferente la concettuale condanna a morte per fame di parte dei suoi componenti. Tutto questo per il gioco del potere, per placare il truce, avido moloc con immolazioni tanto più numerose quanto più fruttifere. Ed è solo perché l’evento funesto scatenerebbe una controffensiva in grado di travolgerli, che i vampiri si prodigano ad assicurare la sopravvivenza a tutti con malvagie elemosine e imponenti calpestamenti dell’altrui dignità, tant’è che dove non sussiste il pericolo della rivolta lasciano morire i poveri disgraziati senza scrupolo alcuno! D’altronde una volta avvilito, l’uomo si fa manovrare a piacimento sino al punto di rinunciare ai propri diritti, e a rassegnarsi alla pestilenza della disoccupazione. Pensa, per non prendersi il disturbo di dar addosso ai grassatori, i coglioni si scagliano contro la tecnica che sgrava dalle fatiche, ed inveiscono contro l’avvento della computerizzazione e robotizzazione, invece di gioirne ed augurarsi fervidamente l’avvento dell’era in cui si potranno cogliere componenti da costruzioni, arredi, capi di vestiario, auto e ogni tipo di manufatto come frutti maturi da imponenti alberi meccanici. Sveglia colleghi miei, rifiutate l’indegno carico ingannatore a farvi sentire realizzati e contenti dei vostri guidaleschi come bestie da soma riconoscenti ai loro padroni per un piatto di fave e qualche manciata di biada! Questo è l’invito alla democrazia, questa è la piattaforma del benessere, questo è il motivo della lotta, questa è la realizzazione del socialismo, cara compagna. Va’ in sezione a dirlo ai tuoi bravi dirigenti -Io non debbo andare in nessun posto in quanto non ho intenzione alcuna di far politica -Brava, è proprio quanto gradiscono i capipopolo, la cieca fede di gente come te per poterla tradire più agevolmente. Certo l’istrionismo non manca a loro. Ricordi per la festa della donna, il compare ed Alfio con quale immedesimazione esibivano il rametto di mimosa appuntato all’occhiello? Ebbene sono costoro i rappresentanti di chi spera! Un bel giorno, inaspettatamente il cognato a Bruno gli portò un’importante notizia. Gli aveva trovato un’occupazione presso un grande deposito di bibite. Attorno a Bruno si levarono esclamazioni di esultanza da parte dei genitori, di Nikitta, della sorella, e lui stesso ebbe a sentirsi risollevato. Lo stipendio era magro, però in assenza di meglio, avrebbe potuto guardare al futuro con più fiducia. Di colpo Nikitta vide aprirsi davanti a sé un viale senza fine, coperto di velluto, fulgente ed inebriante di felicità, tutto da percorrere, con lei lì all’inizio, in mezzo a Bruno e Massimo. Finalmente si sentiva liberata dalla sfortuna e la sua vita avviata verso la prosperità d’una casa e d’una famiglia propria. Era divenuta più allegra ed il suo teachter amava più follemente! Anche lui appena resosi conto del tipo d’impiego in cui era incappato, vide aprirsi un sentiero ugualmente interminabile, ma disseminato di rovi, erto, sconnesso e caliginoso. Il lavoro non era faticoso: solo molto protratto e di grande responsabilità. In mezzo ad un continuo andirivieni di autocarri di ogni dimensione il suo ufficio consisteva nel prendere in carico la merce dei fornitori e passarla in consegna ai clienti. Tutto questo durava dalla mattina presto alla sera tardi con una breve pausa per il pranzo, e poteva capitare anche di domenica d’esser pregato dal principale a recarsi al deposito ad attendere un camion in arrivo per un qualsiasi contrattempo nel giorno del riposo. Per le faccende personali non c’era più tempo. Non gli era rimasta nemmeno la parvenza di libertà in quanto al di fuori di dormire nel suo letto, per il resto si trovava nella stessa condizione di un recluso. Perciò ben presto addivenne, alla decisione di evadere. Ai quindici giorni, esattamente il periodo di lontananza dall’amata, diede il preavviso delle dimissioni. Il datore di lavoro si premurò ad offrirgli un migliore trattamento economico senza riuscire ad impressionarlo. Alla conclusione del mese si congedò dal deposito a gambe levate. Non l’avesse mai fatto, dalla padella cadde nella brace; tutti ebbero un motivo per torturarlo, e in tale occasione scoprì quale fama godessero i principali come il suo: non solo non passavano per sfruttatori come lui voleva far credere dalle scriteriate diffamazioni, ma addirittura venivano presentati da secondi genitori. La sorella in particolare, non aveva intenzione di perdonargli la figuraccia derivata al marito con l’amico da cui era stato favorito con la benevola assunzione del perdigiorno nato, e alle giustificazioni di questi inflessibilmente rispondeva -Chi ti dà pane, ti è padre- Lui assorbiva con disinvoltura confortato dalla comprensione venutagli dalla compagna, ferma sebbene molto dispiaciuta a non protestare oltre quel tanto preteso dallo svanire frettoloso dei suoi sogni. Nikitta si dimostrava all’altezza della situazione, e lui ne apprezzò il comportamento ed espresse la gratitudine, amandola con maggior trasporto. Di contro i familiari di Bruno, Mario escluso grazie allo spiccato senso di comprensione, nei rapporti con lei mostrarono della ruggine a punizione dell’incapacità a saper influenzare benignamente. Il "vescovo" non si preoccupò più di evitare di incontrarla poiché decise di toglierle il saluto. Don Peppino, intestarditosi a non saperle dare del tu, dopo quell’insuccesso sembrava provasse piacere ad evidenziare la pronuncia sulla forma di cortesia, le volte costretto a rivolgerle la parola. La signora Annina fu più tiepida nell’esternarle simpatia, ma solo nel primo incontro dopo il licenziamento, poiché quasi subito istintivamente fu portata ad affezionarlesi maggiormente, grata del coraggio della "bell’alfana" nell’affrontare quella iattura. La sorella usò l’ipocrisia appresa tra i banchi di scuola, in collegio, dalle monache, mascherando il risentimento e continuando a comportarsi solo in apparenza come prima. Infatti all’avvicinarsi del Capodanno, respinse l’invito di Nikitta ad andarlo a festeggiare assieme, in qualche posto, adducendo per quella volta di restarsene a casa, dopo aver stabilito invece di recarsi in discoteca con il marito da soli. Inoltre in prossimità della cresima della figlia, dietro la manifestazione del desiderio della bambina di prendere Nikitta per madrina, con la scusa d’essersi candidata da tempo al ruolo di comare la cognata, sorella del marito, e quindi prendendo a pretesto una mancanza di rispetto nel negarle l’onore, preferì scegliere il compromesso assegnando l’incarico alla signora Annina pur di toglierlo malgrado le rimostranze della cresimanda ad una donna dopotutto debole di polso. Così nelle frequenti visite della figlia ai genitori immancabilmente la conversazione si trasformava in un cicaleccio colmo di critiche verso la troppo indulgente compagna di Bruno. Padre e figlia facevano a gara a contendersi la parola per aggiungere alla lunga lista nuovi elementi di accusa, che le loro menti bigotte s’inorgoglivano di avere scoperto, e le maldicenti lingue si deliziavano a partecipare, mentre la signora Annina si ritrovava indaffarata a smussare gli spigoli -Una donna incapace a farsi sposare è una poco di buono -Non è vero Peppino, ancora non può, aspetta il divorzio -E perché si trova in questa condizione se non per essere stata troppo precipitosa? -Figlia mia, vuoi censurare la sua decisione a liberarsi dai maltrattamenti del marito? -Lei vuol censurare la fretta di concludere quel matrimonio. Ma poi io dico, proprio Bruno ci doveva incappare? -Peppino è una brava ragazza, è buona anche se a volte mi pare, lo dico affettuosamente, assuma comportamenti di ‘na cavaddazza. Come tutti, anche lei ha i suoi cinque minuti, però le durano davvero poco, non per niente mi piace indicarla “la bella alfana” -Sì, ma nel caso in specie a cavaddazza a cui tu fai riferimento non ha trovato l’autorità occorrente per guidare un testone come il nostro scioperato- Rimarcava la congiunta. -E poi ha un figlio, Annina- Infieriva il pensionato sottoufficiale. -E allora? L’ha fatto legittimamente -E’vero mamma, da questo lato non le si può rimproverare nulla, però con tante signorinelle a disposizione! Perché all’asino non gli sono mancate le buone opportunità, come invece al grande… -Gli piace divertirsi: questa è la verità. E ha trovato un’altra a cui non dispiace -Sei troppo severo, non dire così -Mamma, tu la difendi a sproposito -Io la conosco meglio di voi due, è una ragazza di cuore, è leale e il merito principale le proviene dall’amare veramente Bruno -Aspetta a dirlo mia credulona moglie, al tempo quando quello stupido, precipitoso a buttare via il pezzo di pane, rimarrà senza un centesimo -Ecco il punto, figli miei, la "bell’alfana" ha sbagliato solo in questo. Non doveva permettergli di lasciare il lavoro. Per il resto la ragazza non merita le vostre insinuazioni II discorso continuava ancora tra il vano obiettare della signora Annina da una parte e l’immaginare ed evidenziare degli altri due l’impossibile avvenire di quella relazione, la fase di stanca, la presa di coscienza della vera situazione, lo scoramento, l’inizio delle liti, la rottura, e a compendio di tutto, il lungo tempo perduto, fin quando il maresciallo si alzava dalla poltrona con la bocca secca per l’animosità spesa e si recava in cucina a bere dopo aver sentenziato facendo rabbrividire la moglie -Tuo figlio è nato con una “brutta pianeta” II malanimo ha sempre la meglio sulla dissimulazione, e per quanto di quest’ultima se ne fosse fatto un lungo e diligente esercizio, quello trova sempre il modo di filtrare anche dalla più spessa cortina e di tradire l’ipocrita rifugio, presentandosi in tutta la pochezza, specie ad un’interlocutrice franca e generosa quale Nikitta. Lei riferiva al compagno non per lamentarsi dell’ingiusto trattamento, ma con il dispiacere di vedersi sopportata da persone alle quali si era affezionata. Bruno aveva capito già prima dell’amara confessione, e da infingardo incassatore per se stesso, appena vide investita pure l’amata dai comportamenti di rappresaglia, che in qualità di attentissimo guardiano di lei non perse tempo ad accorgersene, si trasformò automaticamente in vindice intransigente, adottando in risposta astiosi provvedimenti. Con la sorella, il cognato, il "vescovo" fu drastico: non volle più vederli, né sentirli. Con i genitori si fermò sul limite della rottura. Casa sua sprofondò nell’imbarazzo, le parole dileguarono quasi e gli stessi gesti sembrava contenessero impulsi di accusa. Sua madre si prodigava inutilmente a tamponare le falle, poiché lui rimase irremovibile. La signora Annina ebbe più successo con Nikitta, accomodante di carattere, riuscendo a farsi coadiuvare nell’opera di riappacificazione con il ruolo di interceditrice, e paradossalmente Bruno si trovò a dover respingere le preghiere di clemenza rivolte dalla biasimata in favore dei propri denigratori –C’è da non crederci. Ho da litigare con te per aver preteso più rispetto verso di te. Tu non capisci i loro tentativi di separarci -Hanno grosse preoccupazioni per il tuo avvenire. Loro vedono le difficoltà del tuo futuro senza un’occupazione, l’impossibilità di costituirti una famiglia, l’inevitabile condanna ad una vita grama, senz’affetti, in solitudine. Anch’io finirò per stancarmi, secondo loro. E’ nella logica di queste situazioni, e sono convinti della sua ineluttabilità a compiersi, spazzando via qualsiasi presunto saldo sentimento -Tu sei dello stesso avviso? -Ti avrei già abbandonato -Io invece vedo altre cose. C’è pure, parte delle cose dette, ma dopo l’irritazione per il tuo scarso ascendente su di me. Hanno scambiato il tuo senso di comprensione per debolezza, incapacità, irresponsabilità. Loro ti rimproverano la mancanza di energia indispensabile a chi mi dovrà stare vicino per poter correggere i conseguenti atteggiamenti suggeriti dalla mia immaturità. Tu dovresti essere una guida, giudiziosa per due, parecchio rigorosa e per ultimo dolce da fare di me uno scolaretto ubbidiente al quale di tanto in tanto gli si dà in premio la caramellina, altro che teachter! Ecco cosa ti rimproverano: la tua permissività. Io avrei dovuto continuare a farmi spremere, e quei due gonzi in particolare, marito e moglie procacciatori della grande occasione da penitenziario, me ne vogliono per averli ripagati con una partaccia al loro amico -Non penso. Io credo che il loro disappunto provenga dal tuo ritrovarti senza un’occupazione. Si sa quanto oggi sia difficile procurarsi un’assunzione, perciò si aspettavano da te una maggiore forza di sopportazione -E no, qui non è un problema di pazienza, si tratta della dignità della persona, e questa certo non me la farò portare via da un lavoro da schiavo. Sbaglia chi crede ch’io sia troppo delicato di pelle, al contrario nasce proprio dallo spessore della cute la mia chiusura alle umiliazioni. Non diventerò mai strumento di sfruttamento, pur di ridurmi all’accattonaggio. Non mi abbasserò a sì infame complicità. Io desidero lavorare per vivere, e non vivere per lavorare! -Vuoi forse parteciparmi l’intenzione di restartene con le mani in mano? -Posso solo assicurarti di non accettare condizioni da disprezzo verso le conquiste di secoli di lotta. Non sarò io a contribuire alla perpetuazione del sopruso -Ma con tale rigidità è bella e assicurata una disoccupazione a vita! -Mi dispiace -E noi? -Ecco affiorare i mezzi della coercizione, e il ciclo si ripete! Disoccupazione uguale ricatto. La famiglia, il sostentamento, la precarietà del lavoro, lo sfruttamento. No, grazie. Io avevo sempre svolto il mio lavoro da inappuntabile, mai un minuto di ritardo, un giorno di malattia o una svogliatezza passeggera, solo una volta e grazie anche a te per lo scherzo che carnevale ha voluto regalarci. Ho sempre onorato il dovere con impegno. Allora! Qual’è la mia colpa? -L’azienda ha chiuso, è andata in fallimento! -Bene, spendeva più di quanto incassava. Forse, sono stato io ad intascare quei soldi? Perché allora ne debbo uscire punito? -Doveva pur chiudere, non poteva continuare a rimetterci all’infinito! -Esatto. Però i presunti falliti te li ritroverai presto imprenditori in qualche altro settore di rapine, e lo Stato perfettamente cosciente delle sue responsabilità a garantire il diritto al lavoro, cosa fa? Continuerà a concedere contributi e consentirà loro chissà quante altre partite di caccia e impassibilmente, come nulla fosse successo, alle annunciate prede presenti e future, chiuderà il conto con quattro soldi d’indennità di disoccupazione, e di Bruno e naufraghi vari se ne sbatterà le palle per sempre. Una risposta del genere non può non avere uno scopo preciso. Infatti, ascolta qual’è il ragionamento da parte dello Stato: quel fesso di Bruno abituato a buttare sangue fa proprio al caso dei miei appostati sostenitori. Io lo lascio sul lastrico, lui avrà da fare i conti con i suoi, la compagna, la casa da metter su e preso dal bisogno non potrà tanto andare per il sottile da non cadere nella rete -Non è proprio come dici, non sei un caso isolato -Meglio, ovvero peggio: il gregge è numeroso, e il capobranco conduce verso il precipizio. Però Bruno non è fesso sino al punto di cedere all’autolesionismo e siccome c’è poco da scegliere, non si piega all’arroganza, si ribella e per quanto modesta si gode la soddisfazione di socratizzare Stato ed amici piuttosto di ricevere il servizio -Cosa significa socratizzare? -Produrre giochetti osceni nel sederino -Che schifo! -Questo è il pane quotidiano -Sì, ma il problema rimane, si dovrà pur trovare una soluzione! -Aspetterò, nel frattempo cercherò, chiederò, m’interesserò, a condizione di conservare integra la mia verginità. Ver-gi-ni-tà, per dirla con un termine di grande impressione per voi donne, soprattutto per te! -Bruno!- Gridò esacerbata lei. Nikitta resisteva eroicamente benché accerchiata da acerrimi oppositori. A casa sua a parte il padre, mite di natura, la sorella teneva bordone alla madre in una continua sinfonia di rimproveri. -Ebbene non mi è mai piaciuto. Un uomo avvezzo a nascondersi deve portare per forza carbone bagnato. Lui non sopporta la tua posizione di madre ed il bambino non gli va a genio -Non è vero -Allora cosa gl’impedisce di tanto in tanto di farsi vedere? -Perché non è mai stato qui? -In tutti questi anni si possono contare sulle punte delle dita le volte in cui è salito. Ti ha aspettato sempre da basso. Invece guarda il fidanzato di tua sorella! -Per favore, non sarà bene così? Ci manca poco perché non resti a dormire qui la notte! -Sente il bisogno di starle vicino -Certo- Interveniva Anna -Non ha altri pensieri all’infuori di me, ed io riesco a dominarlo perfettamente com’è giusto per una donna -Nicole, ascolta me- S’intrometteva il padre con la bontà abituale, dopo aver gustato un sorso di caffè ed aspirato ingordamente dalla sigaretta, malgrado il categorico divieto del medico di entrambe le abitudini a causa dell’ipertensione -Io ho molta più esperienza di te, ed io stesso ne sono stato vittima con voi tutte -E si vede- Molto tirata in viso commentò la consorte -Si vede dalla docilità ad ascoltarci dopo averti mille volte predicato il tuo bene. Si vede da cìchira du cafè sempri allatu e da sigaretta tra le dita Il brav’uomo le lanciò un rapido sguardo d’implorante tolleranza prima di rivolgersi ancora a Nicole e continuare -Le donne non conoscono altro sistema per realizzarsi diverso da quello di sottomettere l’uomo, e quando questi ama veramente non si duole del giogo, anzi se ne allieta di poter rimeritare con la servitù l’appagamento del suo ideale più grande. Guarda me, avrei mille motivi per recalcitrare, eppure le pene procuratemi da voi mi sono dolci. Ora a me pare che quest’uomo non ti senta con l’intensità dovuta -Se ne sta scapricciando di nostra figlia!- Strepitò la moglie in un accesso di nervi -Ma quale scapricciare del cavolo! Cosa ne sapete di una persona per vostra stessa ammissione affatto sconosciuta? -Basta questo per procurarci maggiore ansia- Rimbeccava la madre -Non sappiamo in quali mani ti sei cacciata, e purtroppo ti è già toccato una volta schiacciare una noce fracida -Adesso fai il paragone con quel debosciato? -Questo no, posso assicurarlo io per diretta esperienza di frequentazione, però, non so come dire, nei suoi modi c’è più cerimonia che spontaneità, mi pare più istruito che colto, più astuto che intelligente, più invaghito che innamorato, insomma non so se difetti di autenticità, oppure è una mia errata impressione -Te lo dico io il fatto, ci troviamo di fronte a unu spertu- Concluse la madre con tono istigatore. -Per favore, spertu un corno!- Si ribellò Nikitta. Poi chiese adirata alla sorella -Manca di autenticità, è diventato falso tutto in una volta, mentre in certe occasioni è stato gentile, colto, intelligente, comprensivo, affettuoso, vero? E concluse amareggiata -Ora a causa di qualche difficoltà, non vale più un centesimo -E’un perdente- Dichiarò freddamente la ragioniera. -Oh, madonna santa che disgrazia! Ci mancava pure un perdente, un buono a nulla in casa nostra!- Rimarcò smarrita la genitrice, mentre Massimo entrava nella stanza con intento da paladino, il quale sentito accusare d’inettitudine chi gli aveva insegnato la norma di pulire le labbra a tavola durante i pasti, prima di accostare il bicchiere per bere, avvertì il dovere di sospendere il gioco per andare a difendere il teachter a spada tratta... La resistenza di Nikitta cominciava ad indebolirsi alla pervicace subornazione affiorante dai comportamenti e dai discorsi delle due famiglie. Il nervosismo aumentava e cominciò a chiedersi ragione del suo malessere. Si vide accerchiata da disagi, sacrifici, rinunce, stenti, amarezze: una folla convulsa in procinto di schiacciarla. A peggiorare la situazione contribuì l’incidente subito da Bruno con la macchina. L’investito ne ebbe per quasi una settimana all’ospedale. Lei per andare a fargli visita fu costretta a servirsi del bus. Giusto appunto le si mise contro il maltempo di febbraio. Un pomeriggio fu sorpresa, durante il tragitto dalla fermata all’ospedale, da un violento rovescio d’acqua, ammulinata dal vento, inclemente a risparmiarla e a darle modo di permetterle di raggiungere il ricoverato senza venirne inzuppata da capo a piedi. Appena calmò il diluvio, dovette riparare a casa della signora Annina per asciugare gli abiti e più tardi per non rischiare troppo fu costretta a farsi accompagnare da Mario. Quella volta oltre il danno avvertì la beffa, soprattutto del maresciallo, la cui espressione di disappunto sembrava più goduta che sofferta. Le veniva da piangere. Meno male che in serata non si sarebbe dovuta incontrare di nuovo con il ricoverato: l’avrebbe certamente strapazzato! La circostanza dell’infortunio, al "vescovo" parve propizia per partecipare il fidanzamento fresco di pochi mesi, presentare la fortunata(!) futura metà al fratello, e riparare la rottura determinatasi nel rapporto. Non si capiva per quale raziocinio la convinzione del resipiscente fosse filtrata, da fargli sperare da parte del congiunto una buona accoglienza alla compagna sceltasi, dopo non aver esitato proprio lui da vile a mancare di rispetto e senza valido motivo a Nikitta. Che sorta d’impudenza! Non si era neppure arreso di fronte all’ambasciata della madre derivata dalla consultazione con Bruno, e recante il perentorio diniego alla sua intenzione di far visita all’infortunato. Anzi sembrò fargli da sprone, infatti comparì alla presenza del fratello con spericolata tranquillità come se in passato non fosse accaduto nulla -Sono venuto a trovarti -Avresti fatto bene a non farlo -Volevo farti conoscere... -Non desidero conoscere alcuno -Io non c’entro- Intervenne la giovane donna offesa dalla sgarberia -Vede signorina, appunto per questo io respingo le presentazioni tutto sommato in modo civile senza esasperazioni di sorta, proprio per la sua estraneità, che comunque, a causa dell’analogia tra la presente sfacciata pretesa del suo accompagnatore e l’oltraggioso precedente in sospeso, m’impedisce ad accordarle la consueta accoglienza richiesta da un simile avvenimento. Ora se vuole scusarmi, ho bisogno di riposare- Troncò secco Bruno. Quindi si girò dall’altro lato lasciando i visitatori impalati. La breve degenza per sottoporsi agli accertamenti, fortunatamente risultati negativi, e per curarsi alcune escoriazioni di poco conto malgrado lo spavento e i danni alla macchina irrimediabili, fu indennizzata dall’assicurazione assieme il valore di mercato della vettura: quattro soldi insufficienti per l’acquisto di un qualsiasi mezzo affidabile di seconda mano. L’inevitabile decisione di rinunciare all’auto produsse le prime vere crepe in un rapporto dove il sentimento sembrava aver costruito a prova di bomba. -Non possiamo permetterci di rinunciare all’auto -E perché mai? -Come faccio a ritornare a casa a quell’ora? -Anticiperemo in modo da poterti servire del bus -Ritagliamo sempre di più quel poco tempo a disposizione. Quanto prima ci adatteremo all’amore per corrispondenza -Andiamo a vivere assieme allora! -Con quali mezzi, con il mio solo stipendio? -Già, non ti basta per te sola, poiché a mantenerti ci pensa ancora tuo padre -Ne approfitto per appagare qualche desiderio sempre soffocato. In ogni caso uno stipendio modesto come il mio non ci consentirebbe un impegno sì oneroso -Lo integreremo, mangiandoci poco a poco quanto mi resta -Quanto potrà durare la rendita, e dopo? -Dopo si vedrà -C’imbarchiamo in un’avventura, siamo ancora ragazzini, ed io compirò la seconda bella riuscita. No, gioia, mi dispiace, non ci cascherò più, la mia casa la lascerò solo per andare a vivere meglio -Ritiro quanto detto -E’ mai possibile, che tu non voglia capire! -Io o tu? Cara la mia compagna, sappi, ti piaccia o no, noi formiamo una coppia povera e se dobbiamo continuare a stare insieme dobbiamo adattarci -Però tu non fai niente per migliorarci, anzi fai qualcosa, lo schizzinoso -Anche tu come gli altri! Vorresti vedermi sputtanare per ingrassare quei porci. No, mia cara, piuttosto la fame... -Che l’accettazione delle responsabilità -Responsabilità! Che bel parolone! Disponibilità a farsi ricattare in onore della famiglia, cavallo di battaglia per colpevolizzare ingiustamente. Ebbene sì, rifiuto le responsabilità. La mia dignità m’impone d’abiurare la famiglia, e di non prestarmi a nessun perfido gioco. Adesso potrò essere abbandonato come merito! -E tu cosa farai? -Chissà, forse il vagabondo -Con i pochi soldi rimastiti? -Troverò il da farsi -Tornando a ripararti sotto l’ala della famiglia, istituto sul quale non ti sei risparmiato a sputarci sopra, vero? E poi quale famiglia, ovviamente quella dei tuoi, d’un padre stupido per aver sempre creduto in essa, risoluto a sgobbare tutta una vita dietro l’unico scopo di darle calore e decoro. Andrai a succhiare ai capezzoli della sua magra pensione, senza lasciarti prendere dalla nausea della provenienza del foraggio -Non sono un animale- Le gridò lui, presto soverchiato dal gridare di lei -Lo sei, se non capisci cose tanto elementari. Da dove pensi gli provengano i mezzi a sua disposizione? -Lo so da dove provengono. Ricòrdati che io ho lavorato da ragazzo fino ad ieri. Quindi non mi ci vuoi tu ad insegnarmelo -Dall’assetto sociale esistente risultato dalla somma di tante famiglie, dalla loro cooperazione, dalla democrazia... -Di quale democrazia parli? In un Paese dove manca il lavoro, esiste la democrazia? Tu sei male informata. Usi termini di cui sconosci il significato, e non te ne accorgi, anzi pretendi di dar lezioni -Lezioni a te, il mio teachter! No, bello mio, conosco i miei polli. Io cerco soltanto di stare con i piedi a terra. Ho superato momenti difficili, tu lo sai, avrei potuto perdermi. E come sono riuscita ad evitarlo, se non con la fiducia, la sofferenza, l’umiliazione, la lotta? -Quale lotta? Quella del contentino ricevuto dallo Stato democratico in cui tu credi, capitàtoti a caso solo per esserti trovata a capeggiare una lunghissima lista della speranza o meglio della vergogna per la sovrabbondanza di disperati, rimasta quasi intatta data l’operazione propagandistica finalizzata a soccorrere pochissimi degl’iscritti? Lo lascio a te lo Stato democratico, io andrò a scontare la persecuzione assegnatami nell’unico modo rimasto, poiché la mia onestà è tanto sorda ad adattarsi, quanto vile a ribellarsi Ad ogni incontro seguiva un litigio, puntuale e sempre più mordace ed acceso. Pur nondimeno Nikitta disorientata da una gran confusione, dopo ogni riappacificazione culminata con l’amplesso sentiva riapprodare nel suo cuore una pace sconfinata, efficace a legarla più saldamente all’uomo divenutole indispensabile. Né la madre riusciva ad intaccarne la devozione con le solite argomentazioni, ancor più pressanti, dopo la notifica alla figlia dell’ottenimento del divorzio, raggiunto grazie all’interessamento dell’amante dell’ex marito, ardente di sposare lo scapestrato per legittimare i figli di sua paternità. Nikitta resisteva impassibile ai predicozzi della genitrice, instancabilmente monotona a ripeterle il significato dell’accoppiarsi della donna, come prezzo della condizione sociale conferitale dall’uomo, il quale avrebbe dovuto saperla meritare la prestazione, e qualsiasi più nobile considerazione suggerita dal sentimento finiva per minacciare seri pericoli di sfruttamento, che sicuramente si sarebbero realizzati quando l’altra parte, comprendendone la propizia occasione, avesse deciso di assaporarne i frutti senz’alcun incomodo, per cui proprio nei casi di bollori d’amore la migliore garanzia restava il nero sul bianco del contratto di matrimonio, onde evitare furbe speculazioni. Non vi erano dubbi sull’opportunità di sapersi cautelare bene prima per non doversi trovare male dopo. E poiché questo evento non si poteva compiere col suo uomo per un doppio difetto di finanza e di cultura nuziale, sarebbe stato da folli differire ancora la rottura. L’amore puro, disinteressato, era pane per film e romanzi rosa o miraggio d’ingenui ideali al solito irrealizzabili a causa dei tradizionali costumi e assetti sociali all’uopo refrattari -Io vi ho fatto belle- Sottolineava -Perché ne sapeste approfittare, ma ahimè, a te manca diversamente da tua sorella, la consapevolezza di doverci fare la tua fortuna con il dono che ti ho saputo conferire Una ragazza sentimentale sarebbe stata per forza stupida e avrebbe passato il guaio ineluttabilmente, come la ventata di modernizzazione chiaramente mostrava ad ogni piè sospinto, tutto per colpa di non aver voluto ascoltare i genitori ed in modo particolare la madre! Ritornelli di questo tipo, sentiti recitare tutti i giorni, Nikitta li aveva imparati a memoria, e tuttavia continuava a servire la sua fede. Però nonostante la volontà ad andare avanti, l’andatura diventava claudicante, su un sentiero deterioratosi da se stesso causa le opinioni contrastanti tra i due, puntuali ad esplodere da autentiche mine ad ogni confronto col risultato di ridurre la praticabilità, cosicché si cominciò a presentire la deprecata inevitabilità di dover prima o poi ruzzolare. -Perché c'è tensione, incomprensione, irascibilità? Lo chiedi pure? Due abitatori di mondi diversi, fissati a pretendere di stare insieme. Con quali risorse, viste le tue di fatto indisponibili, e le mie così modeste?Anche se fossi stato ricchissimo, non le avrei cacciate fuori, per principio. Io non posso consentire ad una persona, con uno stipendio, quale che sia, servita di tutto punto a casa e gratuitamente, il fiasco di non farcela ad arrivare a fine mese senza il prestito di qualcuno. Questo sai cosa significa? Mendicare senza una ragione... -Non mendico un bel niente. Ho sempre onorato gl’impegni con precisione e puntualità -Ma allora perché non programmare meglio le proprie spese! -Le occasioni càpitano quando si è meno preparati -Manco farlo apposta, le buone proposte per offrirsi aspettano sistematicamente la tua puntuale crisi finanziaria. No, mia cara, la verità è quella degl’intossicati condannati a sacrificare al loro padrone fino alla rovina. E’stato un crescendo rossiniano: renard argenté, borsa di pitone, paletot di lapin, dolmen di marmotta... -Dolman! -Io conosco il dolmen -Sentiamo, cos’è questo dolmen? -E’il soprabito che meriteresti tu -Va bene, con te non si può parlare, prendi fuoco facilmente -E sì, perché non ci fermiamo al dolman di marmotta, ma ci sono gli ori. Gli ori alle dita, al polso, alle orecchie. Alle orecchie poi, c’è l'orifizio schizzinoso, inevitabilmente infiammabile a contatto con gli spilli della bigiotteria. Presto arriveremo ai colliers di preziosi, perché la bigiotteria chissà qual’altro danno vorrà produrti! -E con ciò? Io ho sempre vissuto di desideri, e adesso che posso, qualcuno lo soddisfo, cosa vuoi? -Ah, se per questo non ho voluto mai niente da nessuno. E’il dentista a volerli per aggiustarti la bocca. Tre milioni caldi, caldi, per qualche estrazione, qualche capsula e pochi posticci. E l’hai scampata bella con l’odontotecnico, la mano di fata e l’etica del predone, il grande esperto delle estrazioni assolutamente indolori, partito a curarti mole, fortunatamente ribellatesi a tempo, e opportunamente estirpate, giudicate idonee a tenere il ponte fisso, con la bella prospettiva di doverlo disarmare, nella migliore delle ipotesi, entro sei mesi al massimo dalla sua entrata in funzione. Costui ne avrebbe chiesto il doppio, o forse sette. Però non c’è problema, ci sono le banche a soccorrere con un bel prestito sullo stipendio. Non cercano altro quegli strozzini... -Secondo te, cosa avrei dovuto fare? Sentiamo! -Primo, contribuire a lasciare vivere in pace quei poveri animali vittime delle vanità femminili. Due, contribuire alla destinazione dell’oro nella lavorazione dei vasi da notte. Tre... -Va bene, va bene, non ti sforzare oltre, il solito discorso, ho capito. Però troppo facilmente dimentichi le cose che non ti convengono -Quali per esempio? -Parlando dell’abito bianco, ricordi la tua prosopopea di gran conoscitore dell’animo femminile riguardo la fede delle donne verso la moda secondo te più radicata rispetto alle stesse religioni? -Ebbene? -Perché, dopo esserti messo con me, adesso agiti forsennatamente la tua delusione verso attese per tua stessa critica ritenute quasi eretiche se rivendicate da una qualsiasi donna, forse che allora non ti sembravo donna abbastanza? -Certamente non in modo così smodato -Ma, fammi il favore, non rompere! -Tu sei una disadattata. Le donne in genere siete disadattate. Qui da noi in particolar modo, e sai perché? Perché non volete emanciparvi, nemmeno quando siete nella condizione di poterlo. Nei secoli in voi la schiavitù si è troppo caratterizzata. Voi non siete più in grado di soffrire lo scudiscio e la catena, di non camminare curve o di strisciare... -Senti, adesso basta, hai rotto i coglioni! -Vedi, siete spersonalizzate anche nell’arrabbiarvi, avete bisogno degli attributi maschili. Vi siete lasciati andare completamente, vi dannate per reggere i fili, usando comportamenti insinceri, subdoli, femminili. Continuate a scimmiottare, godendovi le vostre belle riviste mondane, zeppe di divi che cacano miele, dipingendovi i vostri bei visi, bevendo le mode. Suvvia agghindatevi, azzimatevi, rilucete, vezzeggiate, ammaliate, dilettate il vostro maschio, eroe bruto cacciatore protettore padrone, e mi raccomando, soprattutto concupite, concupite a più non posso! -Mi vuoi spiegare per favore il significato di questo torrenziale delirio, tanto provvidenziale? -Delirio, per giunta con sottolineatura ironica! A te servono tre milioni, ma tu ne chiedi quattro, ovviamente perché con il quarto avrai da soddisfare chissà qual’altro appetito, e dal momento che la banca con la garanzia dello stipendio te li presta di buon grado, non vedi motivi per cambiar condotta, così per due anni ti dissanguerai appresso il tuo debito e gl’interessi. Trovandoti più povera aumenteranno i desideri insoddisfatti, perché più si è in ristrettezze più i desideri scalpitano, mia cara, e non per via delle buone occasioni. Le tentazioni premeranno di più, tanto da costringerti a sobbarcarti a ulteriori aggravi. Alla prossima occasione di un imprevisto qualsiasi constaterai di dibatterti nella decozione. Forse riuscirai ancora a tamponare, ma con quale risultato se non quello di esserti infilata in un meccanismo perverso volto a schiacciarti per l’intera esistenza senza poterne trovare uscita? Tutto ciò succederà per un pugno di mosche, solo per dissennatezza- E impreveduto, gridò Vivrai da serva per non cambiare metodo- Poi, attenuando il tono, continuò -Ora io non capisco una cosa molto semplice: a posto d’esser tanto scioccamente orgogliosa di saper onorare gl’impegni, non sarebbe degna d’encomio l’accortezza di saper evitare gli effetti dimagranti il portafogli, correggendo la causa e far da padrona sempre delle situazioni? Tu nonostante la comodità di vitto ed alloggio gratis per te e Massimo, dove avresti dovuto tenere depositato un gruzzolo considerevole, hai praticato un bel buco. Inoltre io dico: se lo stipendio non ti basta nell’attuale privilegiata condizione, appena tuo figlio sarà cresciuto, alle sue esigenze dovrai rispondere immancabilmente picche! -Senti, io già ne ho troppi dediti a farmi la paternale -E che paternale! Trattandosi di non voler smettere di frequentare, per non essere all’altezza della situazione, un tipo ridotto a farti simili paternali -Basta, basta, mi sono scocciata. Tutti avete da insegnarmi qualcosa. In fin dei conti quando sbaglio, sbaglio per me, no? Avrò diritto di usare la mia testa? Già da un pezzo sono maggiorenne e vaccinata Si dibattevano inutilmente perché a voler stare assieme avrebbero trovato sempre l’uno da parte dell’altra una rete tesa per la cattura. Le loro concezioni di vita erano così diverse da stare collocate agli antipodi, senza alcuna suscettibilità di avvicinamento. E tuttavia come di fronte all’alternativa tra la soluzione definitiva della morte e la sofferenza di un’inguaribile malattia, dapprincipio ci si aggrappa alla condizione patologica con tutte le forze rimaste, e solo allo stremo s’invoca rassegnati il trapasso, il loro rapporto stava agonizzando disperatamente tra gli ultimi, crudeli stertori. E come l’improvviso sprazzo di miglioramento risulta un cinico segnale dell’imminente catastrofe, allo stesso modo il rivitalizzarsi della loro relazione insospettatamente per qualche minuto, quella volta lungo la strada per andare a prendere l’autobus, fu il prodromo della resa. -Senti, io voglio rivederti presto, all’inizio della prossima settimana -Cara, tu sai quanto sei accetta e quanto mi sia dolce stare con te -Però lo dici soltanto, ma non fai nulla per evitare questo distacco -Tu pensi, mi faccia piacere accompagnarti alla fermata dell’autobus, salutarti e vederti allontanare da me? Credi davvero, non abbia a dispiacermene? -Io sono perplessa, quando parliamo di questo, perché constato la mancanza di sbocchi alla nostra relazione, e tu non fai nulla per rimediarla -Siamo al solito discorso: ebbene io voglio essere chiaro una volta per tutte, io mi sento realizzato così, con la forza morale necessaria a non lasciarmi schiacciare -Io non vedo futuro, non c’è domani davanti a noi, sarà sempre come ora, io sono stanca, demoralizzata -D’accordo, siete tutti stanchi e demoralizzati mentre io friggo in padella! -Perché devi essere così testardo, intransigente, mai una volta accomodante? S’erano accaldati tanto da risultare a lei inutile la giacchetta di lana fattasi prestare dalla signora Annina per ripararsi dal primo fresco d’autunno e la portava appesa al braccio. Lui le ricordò di usarla, accennò a prenderla per coprirle le spalle, ma lei le posò sopra una mano trattenendola e rassicurandolo di non averne bisogno. Arrivarono al capolinea zitti, imbarazzati e il cuore gonfio d’amarezza. Al momento del distacco lei lo baciò con stizza, guardandolo in modo strano e lasciandolo sconsolato per il resto della serata. Bruno, era troppo esasperato ed avvilito, da qualsiasi lato si fosse girato trovava lamentele, rimproveri, accuse o fredde accoglienze ancor più umilianti. Tutti auspicavano, s’aspettavano e pretendevano chissà cosa da un condannato innocentemente all’emarginazione come del resto una miriade di altri sventurati, abbandonati alla deriva. Rinunciò a rincasare perché troppo teso. Preferì bighellonare, intento a raffrenare i moti dell’animo carico di desideri di distruzione. L’indomani gli sembrò interminabile, aveva davanti le pupille di lei sbiadite dalla delusione, il viso contratto dall’espressione d’impotenza, i suoi gesti prima di lasciarsi svogliati e sconsolati, poi quel bacio d’impulso! La sera diventò più irrequieto perché non sopportava di saperla così turbata; stette con l’orecchio teso ad attendere il trillare del telefono per avere l’opportunità di ricucire lo strappo. Nessuna chiamata. aspettò fino a tarda ora sfiorando la congestione cerebrale a causa degli accessi di rabbia. Bestemmiò con sollievo. I giorni si accavallavano senza sentirsi a dispetto del di lei confessato proposito di rivedersi il più presto possibile. Nel frattempo ripassava particolareggiatamente il lungo periodo di convivenza. Una convivenza originale, atipica, feconda ed esaltante. Riemersero le gioie degl’incontri, i raptus dell’intimità, le movimentate impreviste disavventure, i battibecchi, gli screzi, le riappacificazioni con il risorgere più robusto dei sentimenti. Si andava avanti spensierati come fanciulli, fiduciosi ed innamorati. Pensavano di non poter continuare a vivere se non assieme. Né il malumore dei genitori di Nikitta ostili alla relazione della figlia con lui, la precarietà del suo stato occupazionale, gl’ingenerosi commenti di parenti ed amici, o la preoccupazione per le carenze affettive dalla mancanza di un padre, potute avvertire da Massimo durante la crescita, fino allora li avevano scoraggiati più di quel tanto oltre il quale si dispera non potervi essere rimedio. Fu una girandola di deliziose sensazioni, di cari ricordi, di momenti irripetibili. Si ripresentò l’epoca del raggiungimento dell’impiego statale di lei, dello stipendio inizialmente sembrato favoloso, della sua riorganizzazione di vita. Qui emersero le prime incrinature suggerite ed alimentate dal nuovo ambiente frequentato. Una vita regolare, una casa, le conformistiche soddisfazioni mondane, un bisogno di costruirsi delle amicizie da frequentare insieme a lui, dalle quali si potessero cominciare a gustare le piacevolezze piccolo borghesi che ripetutamente erano andate a turbare un’intesa quasi perfetta. Pur nondimeno tra inciampi e brevi rotture si era trovata sempre la necessaria forza per reagire. Però la filosofia di lui veniva attaccata con crescente determinazione. L’inquinamento delle nuove relazioni corrodeva continuo ed impercettibile la principale caratteristica della loro unione. Da esso presero spunto le crisi andate a manifestarsi periodicamente. Lui amava l’onestà, la giustizia, la libertà di esistenza, la genuinità. I progetti, i calcoli, le aspirazioni tradizionali non gli avevano mai destato interesse. Ed infatti fino a che si era tirato avanti alla giornata la loro unione li saldò in un unico essere sublime e trascendente, mentre l’integrazione di Nikitta al sistema li scompose con qualche ammaccatura, facendoli cadere dalle alte quote raggiunte. Era necessario iniziare a ragionare, programmare e costruire una posizione sociale di rispetto. Lei era entrata in scena e finalmente poteva e voleva recitare la sua parte compiutamente. Frustrare la grande occasione di affermarsi sulla passerella dell’esibizione quotidiana del raggiunto stato di successo diventava una scelleratezza imperdonabile, dopo aver avuta la fortuna di sganciarsi dall’area dell’emarginazione ed esser diventata un elemento della produzione. Lui non poteva non capire quel travaglio esistenziale, e se continuava a baloccarsi nelle sue fisime senza andare ad accettare un lavoro qualsiasi ed uno stipendio sicuro per portarsi all’altezza del rango della compagna significava ch’era rimasto immaturo e superficiale, e a quel punto tanto peggio per lui! Avvertimenti ne aveva ricevuti più del dovuto e da qualche tempo gli sforzi di Nikitta erano concentrati a trovare la determinazione per dargli un’esemplare lezione di forza d’animo e spirito di sacrificio predisponendo severe misure da adottare a freno degl’impeti d’amore verso di lui, come una drogata decisa a disintossicarsi quando la disperazione dell’inarrestabile decadimento l’avesse spinta a chiudere la partita. Passata una settimana arrivò la chiamata. Malgrado in lui prevalesse l’apatia, al sentire Nikitta ebbe un’istantanea riattivazione di linfa per pochi attimi soltanto, perché dal tono distaccato di lei si rese subito conto di star per udire una condanna all’ostracismo. S’informarono reciprocamente dello stato generale di salute senza tanta convinzione, si comportavano come amici, da conoscenti forzatamente cortesi. Lui provò a disgelare il colloquio, ma dovette arrendersi di fronte alla dichiarazione dell’altra di essere in crisi. Nikitta riprese con le solite lamentele il ritornello d’una loro convivenza impossibile, poi quando percorse tutti i passaggi della drammatica situazione si congedò con le sue perplessità dicendogli che l’avrebbe richiamato tra non molto. Lui si dimostrò assai comprensivo per l’abbattimento in cui versava la compagna e l’invitò ad essere attenta e paziente nel ricercarne le origini e valutarle, per il resto l’ascoltò senza obiettare al punto da lasciarle credere con un composto mutismo di meritarsi l’arringa d’accusa. In verità aveva rinunciato a controbattere per non precipitare gli eventi. Conosceva la contrapposizione dei loro atti di fede, e mentre il suo consentiva di continuare a stare con lei, l’altro prescriveva la messa al bando. Era la storia monotona a ripetersi puntuale a detrimento dei giusti. Questi esseri perseguitati dalle società, maggiormente quella attuale, perderebbero il diritto all’esistenza e scomparirebbero completamente se non si trovassero a possedere un carattere e una volontà per fortuna tenaci, poiché sono evitati come lebbrosi, scherniti ed umiliati più che i balordi. La persecuzione nasce principalmente dalla loro severità oltre che con se stessi con il prossimo, severità imparziale, da un lato lesta ad azzannare i plagiati per tutte le mortificazioni sopportate, dall’altro gl’ipnotizzatori sconfessandoli ignominiosamente. Perché dunque avrebbe dovuto fare eccezione lui, il più intransigente al rispetto della persona, e sfuggire alla maledizione di pagare il suo prezzo? L’ostracismo era inevitabile. Però la responsabilità della separazione doveva cadere sulla vera colpevole: perciò si predispose ad attendere il verdetto definitivo. Il tempo era diventato uggioso come il cielo di fine ottobre: pareva essersi fermato ed impegnato ad ammassare nuvole su nuvole. L’indomani della commemorazione dei defunti la sua odiosa oziosità fu interrotta dalla chiamata della triste compagna. Venne salutato con molta fiacchezza da confermargli all’istante la volontà della rottura. Lui ascoltava inspiegabilmente indifferente forse aiutato dal subconscio sotterraneamente preparato ad affrontare impassibile la presunta sentenza. Per rispetto alle formalità si scambiarono i convenevoli, poi con imbarazzante titubanza lei venne al nocciolo della questione principale. Non era giusto lasciarlo tanto tempo senza notizie, perciò era più corretto decidersi a sciogliere alla crisi la prognosi detestata! Era l’egoismo a non consentirle più di continuare: se ne scusava invitandolo a capire. Lui ascoltava come l’imputato dinanzi alla pagliacciata di un tribunale militare fascista dove la difesa rimane una componente puramente scenografica mirante a dimostrare la falsa legittimazione di giustizia e di democrazia sul verdetto da maturare, poiché in beffa al bisogno di stabilire l’innocenza o la colpevolezza, e con il preciso obiettivo d’irrogare la punizione comandata, tutto era già stato deciso precedentemente. Per questo prendeva atto senza giustificarsi o replicare. Ella forse non si aspettava una condiscendenza così sconcertante e cercava di spronarlo a qualche commento con eroiche frasi di circostanza -Come farai senza di me? -Non ti preoccupare, saprò cavarmela -E’tutto quanto sai dire? -Tu conosci il mio abituale aborrimento per il telefono, figuriamoci per una questione tanto delicata. Vediamoci in qualche posto, dove vuoi tu e parliamone di presenza -Tu non capisci, non potrei impedirmi di buttarti le braccia al collo -Lasciamo perdere allora, non è il caso di condurti a commettere altri errori -Bruno, io ti amo! -Bel modo di dimostrarlo, scegliendo di allontanarmi definitivamente -Io non posso accettare la tua ostinazione di sentirti realizzato così, come sei, senza una prospettiva... -Ti prego lascia stare, ho capito perfettamente, piuttosto mi pare ci resti poco da dirci, possiamo anche salutarci -No, aspetta, promettimi di restare amici, in modo da poterti chiamare le volte in cui avrò bisogno, e ne avrò... e nel caso ci incontrassimo poterci fermare a scambiare le nostre preoccupazioni quotidiane -E’ meglio di no, non mi pare sia la via migliore per dimenticare -Ti prego sii gentile -Mi spiace, non posso. Almeno su questo voglio decidere io. Non pensi sia il minimo da poter chiedere? La sua voce cominciava a tremolare, vi fu un lungo silenzio intervallato da singhiozzi, nel frattempo Massimo era entrato nella stanza con una delle solite domande pretestuosamente lanciate dai bambini per incominciare il consueto gioco con la madre, ma se ne allontanò subito impressionato dalle lacrime vedutele scorrere sulle guance. Bruno dispiaciuto dello spettacolo a cui aveva dovuto assistere il figlio, ne sollecitò il commiato Nicole, togliamoci il pensiero, salutiamoci ti prego -Siamo tornati a Nicole, Nikitta ha fatto presto a scomparire! -Hai vinto tu, il vezzeggiativo non ti si attaglia proprio! Comunque pensiamo a salutarci -Aspetta, annulliamo tutto, dimentichiamo che io ti abbia chiamato stasera, vuoi? Lasciami prendere ancora del tempo... -Non servirebbe a nulla, né tu lo desideri veramente -Invece sì -Ciao Nicole -Aspetta un altro poco -Nicole addio -Addio Lui abbassò meccanicamente il ricevitore, smarrito da un improvviso incombere... S’era fatto tardi. Dal silenzio instauratosi, la casa sembrava disabitata. Si udiva solo il martellare delle tempie sollecitate dalla stanchezza e da un fugace impulso di stizza prodotto dal ricordo dell’inizio del suo martirio. Decise di non riesumarlo, preferendo, piuttosto che ripercorrere la dolorosa ormai quasi inefficace via crucis di allora, affidarsi ad un buon sonno ristoratore. Sbadigliò voluttuosamente prima di infilarsi tra le lenzuola profumate, e spense la luce. Da un po’ di tempo tra gli adulti s’era messo in moto un imbarazzante procedimento di soggezione, coincidente con il rifiorire della signora Irene. Man mano che lei rivoluzionò l’abbigliamento, riprese ad usare il rossetto, il mascara, il belletto, l’avvenenza trascurata distese le pieghe alle quali soggiaceva come una corolla arsa; e i suoi modi divennero più amabili, il marito al contrario subì una caduta di umore, e si mostrava molto preoccupato come se presentisse un’imminente disgrazia. Il cambiamento di Enzo peggiorò con la scampagnata fatta tutti assieme. Un sabato, Bruno, con la lettera per la madre in tasca, ottenne il permesso di recarsi nel capoluogo per impostarla, come aveva pensato di fare e incoraggiato dallo stesso amico a cui era parsa ottima la pensata. Rientrò con un sacchetto di plastica colmo di dolciumi ed una bottiglia di spumante. Alla richiesta di spiegare il motivo di quell’approvvigionamento, lui rispose d’aver in mente di festeggiare un importante avvenimento per il momento voluto tenere segreto malgrado il bombardamento delle domande, perché doveva essere una sorpresa. Adelina pregava la mamma di guardare il calendario, e saltava per la gioia credendo di avere indovinato -Ho capito, ho capito, è il giorno del suo onomastico - Gridava. -No, davvero- Interveniva Bruno carezzandola -Non compio l’onomastico né gli anni, non voglio festeggiare la ricorrenza, ma il raggiungimento di un avvenimento Enzo suggeriva -Ha preso un terno al lotto -Sì, ho giocato al lotto da qui confinato, macché!- Assicurava l’amico ridendo -Siete molto lontani e non potete indovinare La signora Irene con Andrea in braccio richiamava padre e figlia a non insistere troppo e aggiungeva con voce carezzevole -Per sapere perché non aspettiamo a farci cogliere di sorpresa dalla sorpresa? Chiediamo invece se sia lontana nel tempo -No, no, è già pronta. Pensavo solo ad una particolare cornice: un giorno di festa, una vacanza, una gita, su al bosco per esempio... -Sì, mammina- S’intromise la piccola sempre piena d’entusiasmo -Una giornata intera, lassù in mezzo agli alberi alti, tutti noi e Nichitta... Dài mammina, sii buonaSupplicava pervasa di tenerezza. -Vediamo cosa si può fare. Chiediamo al tuo babbo cosa ne pensa -Oh bella, si cerca il mio consenso! Quando mai ho avuto voce in capitolo?- Guardò dritto la moglie negli occhi per un attimo, fuggendo quasi subito dal bersaglio come impaurito d’un possibile contrattacco e reagendo al timore con una dichiarazione di disponibilità assoluta -Io sono amante di queste cose! -Bene, allora non ci sono problemi- Assicurò la signora Irene, approfittando della provocazione del marito -Anzi, mi viene un’idea. Perché non stirare il ferro quand’è caldo? Nel pollaio c’è una gallina pigra a far le uova, potrebbe esserci utile per un timballo! Io potrei prepararlo anche stasera e domattina all’ora desiderata, possiamo pure avviarci. Che te ne pare, marmocchietto?- Concluse scuotendo il capo ad Andrea dopo avergli intrappolato il nasino tra indice e medio. Il giorno seguente sorse radioso. Il sole salendo scolorì il cielo in un tenue azzurro diafano ed inondò la campagna di vivida luce. Il camioncino si mosse appena vi si caricò tutto l’occorrente preparato sin dalla sera innanzi e controllato più volte perché non fosse dimenticato nulla. In cabina i coniugi ed Andrea; dietro, sul cassone, l’ispiratore della gita, Adelina, la cagnetta: tutti allegri gitanti! Il mastino era stato liberato dalla catena e per la prima volta di giorno, poteva scorrazzare felicemente senza museruola. Il pranzo fu abbondante e squisito: il riso squagliava in bocca, ed a ogni complimento per la buona cucina, la signora gioiva e ringraziava con incantevole soddisfazione. Il vino di due bottiglie, più chiaro del solito messo a tavola le sere, forse perché dall’invecchiamento di un paio d’anni ne era uscito più puro, per tre quarti aveva accompagnato preclaramente i ghiotti bocconi, con un consumo diverso da parte dei tre adulti. Enzo aveva assorbito in più la differenza non consumata causa la sobrietà della porzione della moglie, la quale, il chermisino nettare amava gustare in infrequenti centellini. I piccoli, Nichitta compresa, benché ben sazi si rimpinzarono di dolci. Il tappo dello spumante fu sparato con uno scoppio seguito dagli evviva. Le coppe (la signora aveva pensato anche a quelle) furono vuotate. A questo punto Enzo parlando mollemente, ricordò all’amico il segreto da svelare -Signore e signori, da quattro ore circa siamo qui in attesa di vederci piovere una sorpresa. C’è per caso qualcuno di voi in grado di fornirci chiarimenti? -E’vero, la sorpresa- Reclamava Adelina e ripeteva il fratellino con una deliziosa smorfia nata dalla difficoltà a pronunciare la parola per lui complicata. -Non è gentile far tante rimostranze. La giornata non è ancora finita- Interveniva la signora molto delicatamente. S’era levato un coro di protesta misto agli abbai di Nichitta anch’essa a suo modo impegnata, a prendervi parte. -Ebbene, calma- Proruppe scherzosamente Bruno -Ho un debito, d’accordo, intendo assolutamente onorarlo, però pensavo più tardi, a stomaco più leggero -No, ora, ora- Riprese il gruppetto dei protestatari sotto lo sguardo divertito dell’unica rimasta neutrale, impotente a controbattere una maggioranza così schiacciante. -D’accordo- Prese atto l’imputato -Se così si vuole, così sia. Però declino ogni responsabilità sulla buona riuscita. Abbiate la compiacenza di attendere un attimo. Ho scordato una cosa sul camion- Fatto un inchino si allontanò seguito dall’impicciona bestiola. Era emozionato. Non voleva far brutta figura, sebbene tra amici. Temeva soprattutto il giudizio della signora Irene. Non ne capiva la ragione e pensò essere stata la confusione in testa ad averglielo suggerito. Com’era diventata bella da qualche tempo! S'irritò a pensare questo. Era un tantino brillo? Macché! Aveva fatto una pudica considerazione. Proprio lui con il suo alto senso dell’amicizia non avrebbe potuto mancar di rispetto, anche solo nel pensiero, ad un uomo verso il quale si sentiva legato da sentimenti fraterni. Estrasse il calamo dalla custodia e cercò di concentrarsi, anzi di prender coraggio. Era emozionatissimo; a lui quel debutto tra pochi amici, dava maggiori preoccupazioni del battesimo ad un artista in un grande teatro. Tremava quasi. Malediceva l’idea della messinscena. Avrebbe potuto accontentarsi della propria soddisfazione di aver ritrovato il fiato giusto, l’agilità nelle dita, la memoria necessaria per eseguire partiture non proprio facili e con non pochi virtuosismi. Ma era stato troppo forte l’impulso di partecipare in pompa la sua raggiunta bravura ad amici tanto cari. Ebbe un dubbio tormentoso. Si esibiva tra pochissimi spettatori, tra i quali due così piccoli da non capire la portata del suo stato d’animo tanto compiaciuto da aver preteso l’organizzazione di una occasione in cui fosse applaudito il suo talento. Restavano Enzo e la moglie. Lo faceva idoneo il primo? Oppure... Cercò d’esser sincero con se stesso. Lui cercava l’apprezzamento della signora Irene: era la cosa più importante, la sola che contasse, l’unica capace a farlo svenire di gioia. Trasalì. Gli venne di fuggire, ma con uno sforzo supremo di volontà, visibilmente tremante, decise di affrontare la sofferenza. Malgrado si sentisse di colpo abbattuto, in circostanza di una scampagnata non poteva non attingere da festosi motivi. Aprì il repertorio scegliendo tra gli allegro dei famosi concerti scritti alla corte di Anhalt-Cothen dal grande autodidatta di Eisenach, i più adattabili al suo strumento. Le prime note stridettero agonizzanti, poi il musico si astrasse con il fiorire del germoglio di un sentimento nuovo e avanzò determinato più che mai. Già al comparire del ristretto pubblico era entrato nella giusta atmosfera. Trascinato dall’euforia del motivo iniziò a ballare dondolando e saltellando, risorto dio Pane. I bambini lo coniarono, Nichitta sollecitata da Adelina a stare eretta oltre le proprie forze si lamentava eppur giuliva, la signora si mise in movimento con un cenno di apprezzamento partito dall’intimo, anche Enzo alzatosi a fatica, senza abbandonare la bottiglia, in beffa alla sua corporatura da tracagnotto, ispirato più che dalla sollazzevole melodia dall’ambrosia, sua inseparabile accompagnatrice, i passi più simpaticamente degli altri muoveva a ritmo di danza. Dalla profondità del bosco avanzavano le sagome di bellissime fanciulle scarmigliate: al collo ghirlande di fiori, nelle mani vasetti di latte e miele. Incantavano i loro sguardi ingenui e fuggitivi. Formando due candide ali si sistemarono ai fianchi della signora Irene, eletta loro regina, e dai loro movimenti il vaporoso frusciare dei veli spandeva aromi d’incenso. La radura si popolò di satiri, e i suoni di zampogne, cembali, sistri, tamburelli, nacchere, ed altri flauti si mescolarono insieme in copiosa armonia. La festa era all’acme, tra il chiasso di grida, abbai, risate, gli olé infrenesiti di Enzo. Più accaldato e sudato degli altri Bruno continuò fino al presto finale del quarto concerto, dopo l’impeccabile esecuzione del quale, chiese alla ressa con un profondo inchino il permesso di riposare un poco. Era molto contento di non aver sfigurato. Si sentì trapassato da mille sguardi, tutti indicibilmente dolci, promettenti, devoti, generati dalla proliferazione di uno solo, in un attimo di estemporanea comunicazione. Una vampa lo assalì soffocandolo: raschiò in gola, tossì, riprese a suonare pescando nei K. 313 e 314 mozartiani... I giorni a seguire furono penosi. Enzo si chiuse a riccio e minacciava quasi con gli aculei. Il nervosismo si coglieva sino nel respiro. Della colorita facondia campagnola rimase un profferire conciso del minimo indispensabile, preferendo affidare ai cenni la funzione del comunicare. Nel suo sguardo non c’era risentimento, ma solo paura. Nei campi si appartava lontano dall’amico e durante la pausa per la colazione si lasciava rapire dai suoi pensieri, mangiando meccanicamente. Interpellato su qualcosa rispondeva a monosillabi con grande sforzo. Con tutto ciò non perdeva il controllo e sebbene ce l’avesse con Bruno, il suo atteggiamento con lui, manteneva improntato al rispetto. Il suo non era il caratteristico comportamento riservato ad un temibile, presunto rivale della propria moglie, ma piuttosto il risultato di una avversione verso se stesso. La signora Irene s’era abbandonata più apertamente alla malinconia. Indossava i leggeri indumenti tardo primaverili con la verecondia d’una fanciulla romantica, divenendo irresistibilmente attraente. Più remissiva nel sostenere lo sguardo, le sue pupille penetravano rispetto a prima più in profondità nella breve folgorazione. Quando non poteva esimersi dal sorridere un pudico rossore le affiorava sulle guance. Più che di moglie e di madre, si comportava da semplice, sensibile e dolce innamorata, fortemente ansiosa ad essere corteggiata. Anche lei ridusse la parola, ma con scopi opposti rispetto ad Enzo. Infatti mentre la riluttanza di questi era un invito a non aprir discorso, per lei aveva il compito di spronare all’iniziativa. Lei bramava dal desiderio di sentirsi chiedere la ragione del suo nuovo comportamento. Bruno lo capiva distintamente per l’esperienza posseduta del linguaggio muto delle donne. Si stava creando una situazione intollerabile. Lui, per correttezza, onestà e rispetto dell’amicizia sentiva di doversi opporre con tutte le forze all’avanzamento di pericolosi coinvolgimenti. Non poteva mal ripagare la generosità di Enzo con una vigliaccata. E anche se la sua aspirazione più grande fosse quella di vedersi giacere accanto la signora Irene, nonostante avesse avuto da rompere il giuramento di segregarsi dall’altro sesso di cui ora forse se ne sarebbe riso, tuttavia per la sua etica di fondo, non era quella l’occasione di abiurare. E siccome il cuore pareva essere più debole dell’intenzione, non gli restava altro da fare, se non partirsene. Era la prima volta a succedergli di scappare. In passato aveva sempre affrontato la vita. Una mattina, al solito presto, mentre si stava recando in bagno a soddisfare l’igiene, Enzo vide accesa la luce del soggiorno. Stropicciandosi gli occhi borbottò qualcosa in rimprovero verso chi presumeva si fosse scordato di spegnerla la sera avanti prima di andare a letto. Vi si diresse per riparare alla negligenza e si sbigottì di trovarvi Bruno vestito di tutto punto, seduto su una poltrona tranquillo ad aspettare, con il sacco da viaggio accosto. -Cosa fai qui a quest’ora bell’e pronto?- Gli chiese dubbioso. -Ho intenzione di lasciare questa casa -Perché mai, non ti ci trovi bene forse?- Molto ruvidamente chiese Enzo. -No- Rispose l’altro con secca determinazione da scuotere l’amico per un attimo e fargli trovare subito la fierezza dell’accusato innocente e un tono non meno deciso di quello dell’interlocutore. -Cosa ti attendevi sperduto qui in campagna? Cosa ho lesinato, potendoti la mia condizione consentire? Cosa non avrei dovuto permettermi del mio comportamento? Bruno comprese la sua insolenza e si premurò ad addolcire l’ingrata posizione assunta -Scusami, amico, a volte non ci si sta con la testa- Gli sorrise con sincera affettuosità e continuò -Vedi, sarei un cialtrone a lamentarmi da quel lato lì. Io mi riferivo solo ad una certa elettrizzazione venutasi a determinare, pare stabilmente, incombente e minacciosa sulle nostre teste. Desidero, tu sappi... -No, aspetta, è bene, sia io a chiarire le cose. Da alcuni giorni sono io a non starci con la testa. Purtroppo nella vita di ognuno ci sono delle spine -A chi lo dici?! -Ebbene, a volte per la delicatezza dell’argomento, a volte per non essere arrivato il momento di confidenze di un certo tipo, a volte per la vergogna, non posso portare chiarezza. Però ciò a cui tengo moltissimo è che il tuo convincimento di avervi parte nel mio cambiamento di questi ultimi giorni non è corretto. Come puoi osservare mi riconosco perfettamente responsabile dell’elettrizzazione in corso, mi addoloro pure di non averla saputa evitare, ma allo stesso momento ti assicuro sin da ora di potersi considerare bell’e superata, perciò credo, siano venuti meno i motivi perché tu ci debba lasciare- Gli batté una mano sulla spalla con intento distensivo e d’un colpo il suo viso riprese l’espressione gioviale del primo giorno di conoscenza. Bruno si rallegrò a vederlo rinfrancato, gli prese la mano e gliela strinse con forza esprimendogli tanta riconoscenza -Ti ringrazio, ti sei comportato meglio di un fratello per me, ovunque sentirò parlare di bontà, penserò immediatamente a te. Sono contentissimo di non aver perduto la tua stima anche se altrettanto dispiaciuto per le tue pene nascoste. Questo leggero incidente in qualche modo è tornato utile. Mi ha ricordato il cammino rimastomi da compiere. La sosta c’è stata ed anche lunga. Sono più che riposato. E’tempo di rimettermi in marcia. Mi guardi preoccupato. Suvvia non darti pensiero. Ho da raggiungere il luogo dove potrò liberarmi dalle mie spine, quindi ti prego del favore di accompagnarmi in stazione -Non c’è modo di ripensarci? -No, veramente- Rispose questa volta il fuggiasco con sentita affabilità. Forse il parlottare poco controllato specie inizialmente o il troppo indugiare di Enzo fuori dalla camera da letto mise la signora Irene in curiosità, facendola alzare per andare a vedere. Giungeva a quel punto della discussione e dall’espressione interrogativa e di rimprovero assieme faceva capire di conoscere per aver sentito la decisione dell’improvvisa partenza. Si mostrò dispiaciuta ed emozionata chiese -Perché va via Bruno? Non le siamo più cari? -Oh, no davvero, signora, ho cercato di far capire bene a suo marito proprio questo- In presenza della donna s’era alzato ed a stento dissimulò l’empito passionale da cui era assalito a ritrovarsela davanti particolarmente interessante così scarmigliata, il viso pesto e senza trucco. Gli venne pure d’imprecare per essere stato colto in procinto di sparire, sebbene avesse predisposto tutto scrupolosamente per evitarlo, proprio a lei, responsabile non tanto involontaria della determinata fuga. -Allora perché?- Contrariata s’interessò la signora Irene. -Mi scusi signora, era prevista una mia breve permanenza qui, per impegni già prefissati. Sono colpevole di aver commesso la leggerezza di non averne parlato chiaro appena arrivato, ma la colpa a farmi temporeggiare più del voluto è anche vostra con il tipo di ospitalità accordatami. Mi sono trovato presto come a casa mia, e non faccio retorica ad assicurarvi quanto mi dispiace allontanarmene -Bene, con il vostro permesso vado a lavarmi- S’intromise Enzo -Mi auguro che lei ti sappia convincere Bruno si sentì smarrito, con lo sguardo supplicava l’amico a non lasciarlo solo con lei, inutilmente, perché non fu compreso. La donna avanzò di mezzo passo, scombussolandolo dentro. Lui resistette a gran fatica per tenersi ritto, mentre lei sembrava dilettarsi a tormentarlo -Bruno, non vada via -Debbo -O vuole? -No, la prego -Allora resti, sistemeremo tutto presto -E’ già tutto a posto -Davvero? -Sì, mi creda -Lei sta fuggendo -Non dica questo, per favore. Ho le mie faccende -Cosa sta cercando? -Non posso dirglielo -II segreto di comodo! -Tutti abbiamo dei segreti di comodo- Si fece ardimentoso -Li ha lei, li ha suo marito, se mi consente posso averne anch’io -Quelli miei e di Enzo non sono segreti. Sono fatti in corso di maturazione- Gli precisò seccata, girandosi di scatto per uscire. Bruno la seguì sin sulla soglia, mentre lei spedita dopo pochi passi nel corridoio entrò in una stanza dalla porta spalancata senza voltarsi e chiudendogliela in faccia. Lui restò imbambolato appoggiato ad uno stipite. Non era riuscito a fermarla per saperne di più. Concluse ch’era stato meglio così e sospirò dal profondo dell’animo. Intanto Enzo usciva da un’altra stanza in ordine per il lavoro. Dunque non dormivano insieme: ecco il mistero. La signora era stata chiara -"Sono fatti in corso di maturazione" con la mia complicità? Nient’affatto. Come ti sbagli signora Irene e quanto poco mi conosci- Mormorò in fretta prima che Enzo s’informasse degli sviluppi -Com’è andata a finire? -Lo chiedi a me? Aspetto ancora una tua risposta. Saresti tanto gentile da accompagnarmi? -Se non hai cambiato idea tu, io non posso trattenerti. Ci facciamo preparare il caffè prima di andare? -No, preferisco di no. Un favore ti chiedo di accordarmi al tuo rientro: abbraccia forte al petto i bambini e baciali per me. Dì che zio Bruno porta loro tanto bene e li ricorderà ogni giorno. Un’altra cosa superflua credo, riguardami la cagnetta -Non la porti più con te? -Starà meglio con Adelina ed Andrea. Ed anche loro ne trarranno più giovamento di quanto io portandomela appresso. Sono piccoli tutt’e tre ed è più logico lasciarli assieme per giocare. Per di più hanno raggiunto una tale concordia! Enzo ascoltava e con gli occhi lucidi e un groppo in gola, annuiva con il capo, poi lo pregò di attenderlo un attimo. Andò in camera sua per tornare subito dopo con delle banconote in mano -Ti prego, accetta almeno questi, ti potranno servire -Sei proprio incorreggibile- Gli rispose Bruno mentre da una tasca interna del sacco tirò fuori il portacarte contenente il suo tesoro. Estrasse la mazzetta, la tenne per un angolo, la allargò a ventaglio, la sventolò a mezz’aria, invitando l’amico a non darsi pensiero -Come puoi vedere sono un uomo ricco -Stai attento a non fartela rubare tutta quella grana. Forse è meglio portarla addosso -E’nelle mie intenzioni dopo aver fatto il biglietto II camioncino si mosse di malavoglia con un sobbalzo. Flynn gli porse il saluto d’addio con due abbai robusti e perentori. L’ombra di una sagoma per la sua immobilità sembrava appiccicata alle tendine di una finestra. Il sole ancora rosseggiante stuzzicava le fronde degli alberi con saltellante abbarbaglio. In stazione ci fu d’attendere più di un’ora. Quasi tutto il tempo Enzo trovò argomenti per condurre la conversazione rifacendosi della spenta loquacità degli ultimi giorni. Superò ogni tentazione di confidare il suo tormento limitandosi a scoprire il non sufficientemente velato fondo di amarezza generale. Il trillo del campanello annunciò l'arrivo del breve convoglio pigramente trainato da un’asmatica locomotiva a vapore. Dopo qualche minuto, il fischio d’ingresso, gli sbuffi, la stridente fermata, lo sfiato della sosta. I due si abbracciarono calorosamente. Di colpo Enzo turbato dalla commozione si sentì bloccata la parola. Con grande sforzo riuscì a pronunciare -Addio dottore -Nessun dottore. Eravamo rimasti così, mi pare -Per me rimani lo stesso dottore- Replicò quello con incerto accento e gli occhi acquosi. -Sei forse l’unico ad avere stima di me. Sarà perché non mi conosci appieno. Io non valgo nulla. Chi non me lo ha detto, me lo ha fatto capire -Sono stati gli altri a non conoscerti appieno. Tu sei un gran signore -Questo è un grave limite per i nostri tempi -E sei molto istruito -Per via dell’infibulazione? -Anche -E' una delle tante dimostrazioni di ferocia riguardante l’uomo. In questo caso non vuol rinunciare alla schiavitù della donna -Non è vero- Si ribellò Enzo mentre gli si staccava qualche lacrima ingrossata -Tu non conosci la verità. Sono stato stupido a vergognarmene con te. Solo, se tu fossi rimasto un giorno di più, ti avrei detto tutto e forse tu avresti trovato ragioni per restare, invece che per partire. Ma è tutto talmente complicato con quelle creature ancora così piccole Il capostazione invitò a salire in carrozza e chiudere gli sportelli. Bruno era già con un piede sul predellino quando la sua attenzione fu attratta da un noto guaire. Ebbe il tempo di voltarsi per vedere Nichitta aggirare Enzo con una larga virata, per paura di essere bloccata e balzare sparata entro la carrozza. L’inseparabile padrone fece spallucce per l’ostinazione della cagnetta di non volere rinunciare a lui. Il treno stentò a scuotersi e nel momento in cui pareva non farcela trovò la forza di allontanarsi. Bruno si premurò di andare a scovare l’animale dal nascondiglio in cui si era cacciata. La trovò in un cantuccio di uno scompartimento vuoto. Si sedette e la minacciò -Guai se ti muovi da lì per crearmi dei fastidi Nichitta lo guardava teneramente, dando ad intendere di aver capito ed invitandolo ad attendere per ricevere la dimostrazione della sua irreprensibile condotta. Il padrone si commosse ed in premio le accordò una grattata sulla testa facendola squittire e scodinzolare di riconoscenza, prima di concentrarsi negli ultimi avvenimenti per cercare di meglio comprenderli. Vagliò la vicenda con tutte le varianti possibili ed infine concluse con l’accordare più credito all’ipotesi ritenuta più solida. C’era da considerare il ruolo di Giulia, la sorella della signora Irene, a detta di Enzo meritevole dell’infibulazione, certo per scostumatezza! Dunque le cose dovevano stare press’a poco nel seguente modo: le due sorelle vivono nella grande città da sole. Enzo càpita lì chissà per quali motivi, conosce la signora Irene, se ne innamora, la corteggia, la conquista, la sposa. La coppia ha da trasferirsi in campagna, rimane il problema di Giulia, la quale forse non essendo in grado di sostentarsi è costretta a seguirli. La ragazza deve soffrire molto per ambientarsi. Può soddisfare soltanto le necessità primarie, ma dovrà rinunciare a tutto il resto. Adattarsi alla vita scialba della fattoria è ben deprimente: così per ribellione, disperazione o invaghimento seduce o tenta di sedurre il cognato. Vengono scoperti, lei scappa. A quel punto la signora non vuol sentire ragioni, mette in castigo il marito con il proposito di abbandonarlo, ma ci sono i figli. Le si aprono tre possibilità di scelta, tutt’e tre crudeli: abbandonare la prole ancora così piccola, portarla seco senza il reddito necessario per mantenerla, rassegnarsi alla coabitazione con l’adultero. Sceglie la terza. Poi arriva Bruno. Viene seguito, studiato, approvato. Può fare al caso suo. Sembra sbandato, ma intelligente e sensibile quanto occorra a comprendere, inoltre si è attaccato ai bambini manifestandolo con maggiore intensità che il padre, e se lei sarà in gamba potrà pure indurlo ad affrontare la situazione e a risolverla. Rifiorisce in lei la fede nella vita. Infatti appena ha da disilludersi la sua reazione diventa insospettatamente brusca. Tutte uguali le donne! Sospirò Bruno tra i denti, soddisfatto delle congetture vagliate. La trama reggeva a perfezione. Enzo non sembrava soffrire abbastanza di gelosia anzi a volte si aveva l’impressione di percepire vagamente una condiscendenza alla quasi auspicata occasione della moglie di potersi staccare da lui. Non si spiegava diversamente la simpatia dimostrata all’amico, inverosimile per un marito anche il più stufo della consorte! Aveva dovuto prendere una cotta non indifferente per la cognata e addirittura vedeva in Bruno chi lo avesse potuto salvare dalla tempesta sentimentale in cui versava. L’amico gli avrebbe sedotto la moglie e lui avrebbe ottenuto le buone ragioni per ripudiare la sposa infedele e correre felice dall’amata. Infatti se non fosse stato per la tenera età dei figli, la quale una così spregiudicata operazione avrebbe potuto segnare con gravi traumi, Enzo da come gli aveva fatto capire sino all’ultimo, si sarebbe sbottonato con lui e chissà avrebbe tentato di concordare una comune strategia. Ma allora la caduta di umore coincidente con l’accorgersi dello sbocciare di una reciproca attrattiva tra l’ospite e la signora Irene com’era da conciliarsi? I conti non tornavano, qualcosa gli sfuggiva. Tranne che quel comportamento fosse solo fittizio e mirasse a stimolare l’ospite ad impegnarsi col massimo zelo nell’opera di adescamento. Solo così si spiegava la facilità di Enzo di accogliere un estraneo in casa sua, il dispiacere della notizia della partenza e la speranza di annullarla tramite i buoni uffici della moglie. Indubbiamente aveva fatto centro. I tasselli combaciavano perfettamente. La signora pure aveva condotto il suo gioco. L’occasione dello sconosciuto si era rivelata anche per lei un buon affare. Le era piovuto in casa un uomo ancora giovane, d’un certo fascino, colto, intelligente, fine, generoso, con tanto tenero per lei e quel che più contava divenuto importante per il suo cuore, al punto di non volerlo perdere. Dai calcoli fatti s’era convinta da averci da guadagnare dallo scambio con il marito. L’unico intoppo erano i figli, ma sempre meno in quanto si erano già completamente armonizzati con il gradito ospite, quindi il tempo che aveva chiesto per sistemare l’intera faccenda era davvero agli sgoccioli. In ogni caso per poco non ci stava facendo la figura del fesso! Pensò Bruno, però ebbe delle perplessità. Davvero lui aveva preso un così grosso abbaglio sul conto di Enzo considerandolo sin dal giorno della conoscenza un animo semplice, oppostamente ad una personalità tanto intricata? E come mai sul punto di salutarsi definitivamente, Enzo, aveva da riconfermare stima ed affetto con una dimostrazione di sincera commozione, proprio a chi faceva svanire i suoi progetti? Era una manifestazione d’ipocrisia? La confessione della vergogna a confidarsi era anch’essa una pennellata d’ipocrisia? Inoltre l’interessamento all’infibulazione da praticare per punizione alla cognata era da ricondurlo pure ad un’esibizione d’ipocrisia? E per quanto riguardasse la signora Irene, una donna che per la presunta situazione propria fosse dovuta sprofondare nell’avvilimento più completo era normale la reazione così laconica ed orgogliosa alla decisione della fuga di lui, rassegnandosi a perdere una grossa opportunità di riscatto per nascondere un intrigo meschino troppo facilmente intuibile, invece di tentare di tutto per trattenerlo, cominciando proprio dal racconto particolareggiato dei motivi del naufragio coniugale? Era stato troppo facilone: la verità era ben lungi dal venire alla luce! Avvertì un senso di frustrazione e si confortò infine con la vittoria conseguita su tentazioni propizie a farlo ridiventare ancora uno strumento nelle mani di una donna e riservargli patimenti non meno atroci di quelli sofferti dopo aver abbassato la cornetta nell’indimenticabile giorno del suo calvario. Infatti non aveva avuto il tempo di ritirarsi in camera sua prima di sentirsi avvampare in tutto il corpo, abbandonato crudamente e precipitosamente dalla freddezza ostentata fino a quel momento. Fu come la folgore sorprendente ed improvvisa quando squarcia il cielo livido ed incombente, e lo arrostisce sconvolgendolo di elettricità. La sua dolorosa calma distillata dall’apprensione di un’imminente sventura, sofferta ora dopo ora per intere giornate, ed accumulatasi in quantità da consentirgli di mostrare una patina di autosufficienza, svaporò rapidissima e sferzandolo gli morse e gli torse il cuore con lancinante esecuzione, mentre lui si consumava peggio d’un bonzo. Era la fine. Mai aveva considerato quella parola nel pieno significato di tragicità. Si portò una mano sulla fronte, ritraendola subito dallo spavento per quanto fosse calda. Aveva la febbre? Ci contava! Ispezionò le pareti della stanza con inspiegabile odio. Rimase seduto, vuoto, inebetito, febbricitante, senza un’idea o un movimento, visitato ad intervalli regolari dai colpi della pendola della stanza attigua inavvertitamente assorbiti per assuefazione, ed ora per l’occasione martellanti il cervello come un maglio e incontrastabili a diffonderglisi per ogni fibra con una vibrazione totale e struggente. Stette lì simile ad un carbone acceso, aspettando di consumarsi ed esalare l’ultimo venefico sospiro. Dopo mille sobbalzi sconfitti dalla prostrazione e risorti pervicacemente, decise in un’ora piccola della notte di stendersi vestito sul letto e sperare nel pietoso soccorso del sonno per dare una pausa all’instancabile dolore. La decisione di allora di cercare conforto nel letto gli suggerì di cambiare posizione sul sedile dopo l’immobilità osservata durante il tempo delle insoddisfacenti congetture. Aveva persino dimenticata Nichitta e nell’alzarsi per sgranchirsi un poco, finì col pestarle una zampa procurandole guaiti di dolore. Di scatto, Bruno ritirò il piede maldestro come se l’avesse posato nudo su un cavo elettrico scoperto. Si chinò sull’innocente bestiola e prendendola in braccio la risarcì con delle coccole manifestamente gradite. Poi le disse -Càpiti giust’appunto. E’il momento di renderti utile dopo la testardaggine a volermi seguire. Ricordi il mio proposito di confidarmi con te? Bene, ne ho bisogno adesso ritrovandomi solo con te, altra disgraziata come me, quindi per dovere di solidarietà spalanca le orecchie e non ti stupire di sentirti raccontare come il sottoscritto si è ritrovato immerso nella merda. Però prima dobbiamo sistemarci comodamente- Adagiò con cura la docile compagna sul sedile di fronte al suo e quindi sistematosi a suo agio avvertì -Fino a che restiamo soli mi confesserò con te, sperando di guadagnarmi l’assoluzione. Dunque mi misi a letto che friggevo. Dopo poco mi ritrovai in una gelida, angusta e bassa segreta d’un castello diroccato, afflitto da mal di schiena per il muovermi curvo a cercare di trovare un punto adatto a farvi breccia con le mani sulla parete ad occidente, poiché quella di fronte a picco sul mare in tempesta non si prestava ad aiutare una fuga. Quando tutti i tentativi vanificarono l’assurda azione, e stavo per battere forte la testa contro la muffida selce e liberare almeno lo spirito, un cunicolo ai miei piedi insperatamente mostrò l’imboccatura nera e puzzolente. Mi tuffai tra i miasmi del condotto con più slancio di quando si entra nell’onda fresca e spumeggiante, ma dopo breve scivolarvi dentro, ebbi l’impressione di essere ridiventato un escremento in un intestino ansioso d’una immediata espulsione. Ero troppo nauseato e non resistevo più, rimpiansi le ristrettezze della cella e se il tornare indietro non mi fosse stato impedito dall’impossibilità di rigirarmi avrei ripreso la direzione della partenza. Allo stremo della sopportazione mi rassegnai al trapasso per asfissia, raccolsi le ultime briciole di vigore, chiusi gli occhi per spiccare il grande salto, ritrovandomi sospeso in un’attesa interminabile d’un treno destinato a non arrivare mai dentro un’immensa stazione abbacinante di desolazione. A quelle condizioni non mi potevo fidare del sonno, sicuramente l’esile gambo della mia vita si sarebbe spezzato- Cadde soprappensiero. Nichitta uggiolò per protesta, automaticamente carezzata dal padrone, e pronto a continuare a confidarle eventi che gli si ripresentarono ancora mortificanti -Mi alzai a scostare la persiana: il buio pesto lasciò le fessure cieche, allora capii d’essere stato sdraiato quel tanto per infrigidire gli assalti del sangue impazzito. Mi misi a passeggiare al buio avanti e indietro per la stanza ripassando le frasi e smontandole nelle parole ancora intinte e risonanti di varie emozioni. Le trovavo melodrammatiche, forzatamente corrucciate, false: così i sospiri, le invocazioni, il pianto, condotti magistralmente come del resto ben sanno le donne, mi sembravano gl’ingredienti d’una vile messinscena mirata a salvare la faccia, e a recuperare un poco di amor proprio distrutto dal mio flemmatico prendere atto della rigida risoluzione. Mi amava, abbandonandomi, in uno dei momenti più difficili, in cui più che mai avessi bisogno del suo conforto. Voleva conservare l’amicizia, dopo essere stata intransigente nel negarmi un ultimo incontro chiarificatore, dimenticando tanti anni di relazione, perché se non per sapersi cercata e desiderata? Annullare quanto era stato detto dopo un mese di crisi a disposizione per una ponderata e convinta scelta di campo, perché se non per tenermi ancora sulla corda e sentirsi confessare lo sconforto, atto mancante per legittimarla vincitrice in tutti i sensi? Era anche crudele. Avvertivo d’essere detestato per averle rifiutato l’ultimo capriccio. Perché d’un capriccio si trattava, in quanto una simile dilazione assegnata a chi non fosse un millantatore, un impostore, una spregiudicata canaglia accortamente mimetizzata, ma un galantuomo male gratificato economicamente, non aveva altra spiegazione. Da uomo sconfitto, tra non molto finito per diventare una palla al piede, non davo più garanzie, anche se non avessi fino allora minacciato un sol centesimo del suo stipendio ed anzi l’avessi sempre soccorsa con qualche prestito comodamente restituito, nelle frequenti bancarotte per impegni presi a soddisfare le varie futilità femminili, ed ero stato pronto ad accollarmi sistematicamente l’onere finanziario delle comuni spese correnti durante l’intera relazione, sia in principio di fronte alle frequenti visite ai ristoranti, ai cinema, ai bar, alle discoteche, agli spostamenti più impegnativi con la macchina in gite e week-end, sia nell’ultimo periodo in cui lei avrebbe potuto contribuire, ma trovando più utile soprassedere, aveva preferito sottostare a più gramo tenore di vita imposto dai miei fondi non rinsanguati da parecchio tempo. Passeggiavo incurante dei continui dietrofront, assorbito dalla volontà di trovare il fondamento delle apparenti contraddizioni. Mi ricordai di quella volta quando tra il serio ed il faceto mi fu chiesto se avessi accettato di continuare a mantenere intimi rapporti nell’evenienza in cui lei avesse avuto da catturare un buon partito, volgendo subito la sparata allo scherzo, appena dalla mia espressione disgustata trasse la risposta. Comprendevo poco a poco la probabilità del discorso di allora di volgere più al serio che al faceto. Una frase ricorrente, addirittura lusinghevole per la superficialità con cui la coglievo si svelò volgare ed offensiva: "Sei stupendo quando fai l’amore!". Solo allora rendevo, per il resto avrei potuto anche non esistere, povero me, votarmi a una tal donna anima e corpo! Ora tacque interamente assorbito da quell’eccitato andirivieni tessuto nella tenebra, frasi ed accenni torbidi lo sferzavano graffianti. In effetti in qualche occasione s’era mostrata immeritevole dell’alta considerazione e dell’altare su cui era stata collocata. La stessa ammirazione quasi fanatica della madre, soprattutto per la notevole bellezza giovanile di questa, alla quale si piccava aver attinto, gli scopriva di averla condotta al di là della riconoscenza per avere ereditate doti estetiche e femminilità, ritrovandosi ad avere assorbito anche il carattere, confermando la regola frequente per la quale l’allievo è portato a riflettere più compiutamente il modello, oltre le caratteristiche scelte da imitare, in modo particolare nel caso in cui l’originale è un genitore. Da una fotografia mostratagli da lei più d’una volta, non poteva non riconoscere alla madre la caratteristica di essere stata una donna molto bella, però il curriculum sentimentale non era altrettanto esaltante. Non le erano mancati pretendenti verso i quali avesse presagito irresistibili sconvolgimenti di cuore, ma avendo da rischiare il perdurare di una sistemazione precaria, dalla quale invece voleva uscire, poiché il ricordo della fame quasi materializzatasi da potersi tagliare con il coltello, nel periodo bellico ed anche dopo, era troppo vivo e l’atterriva, aveva preferito insordire alle intimazioni sentimentali, sposando un impiegato con lo stipendio sicuro. Aveva respinto il talismano della vita per una regolare, monotona esistenza. L’amore è poi così essenziale? Non ci sono altre componenti dell’animo a supplirlo degnamente? E’ il caso di essere troppo pretenziosi, o l’abitudine ai surrogati è in grado di salvaguardare da pericolosi guasti? L’affetto, la stima, la comprensione cosa non possono accordare alle aspettative d’una coppia? L’avvento della prole, lo svezzamento, l’educazione, l’armonia dell’intera famiglia, non sarebbero bastati infine a riempire qualsiasi vuoto, quanto si sarebbe presentato con la sua crudele bocca spalancata? Nel frattempo gli anni sarebbero passati senza lasciare traccia, e la maturazione del carattere, la conquistata posizione sociale, le piccole soddisfazioni godute avrebbero spazzato ogni residuo di rimpianto e dato ragione alla scelta ponderata e responsabile. Non si poteva prescindere dall’aspetto materiale troppo importante per la riuscita di qualsiasi rapporto. Tale filosofia ispirava i ragionamenti e di conseguenza i consigli alle figlie riguardo le scelte da effettuare. Nell’ambito delle amicizie, ovvero conoscenze più frequentate, in particolar modo quelle allacciate in ufficio con i colleghi, le opinioni sul senso della vita non divergevano affatto. La posizione sociale comandava su tutto. Occorreva farsi furbi, essere realisti e sapersi guardare bene attorno. Le romanticherie finivano sempre per segnare stupidamente. Con ciò non si escludeva la possibilità di prendere qualche sbandata: la natura della donna purtroppo è parecchio imperfetta! Però si doveva trovare la forza di rimediare. La depressione psichica di qualche settimana, imposta dal cattivo consigliere interiore a vendetta del rigetto della dabbenaggine suggerita, sarebbe andata a dissolversi all’arrivo delle prime piacevolezze mondane come afa a contatto con la brezza. Una casa confortevole, il ben di Dio a tavola, il guardaroba finemente assortito, il libretto degli assegni nella borsetta, il figlio appagato in ogni richiesta, un uomo sempre manovrabile e disponibile a qualsiasi capriccio, i viaggi, le spassose riunioni in famiglia, i restanti divertimenti non le avrebbero lasciato il tempo di grattarsi la testa, altro che malinconia sentimentale! Anche il lavoro sarebbe diventato un hobby, ed era lei a decidere se conservarlo o liberarsene. Dall’analisi fatta, aveva davanti il si- gnificato di quella maledetta parola "egoismo" e la personificazione in un gigantesco, mostruoso dio assetato del sangue dei nobili idealisti. Lui stava ai suoi piedi davanti l’ara sacrificale, atterrito attendere il compiersi della sua immolazione, per manifesta eresia. La sua stessa pretesa di voler dare più di quanto ricevesse in ogni occasione e con qualsiasi persona, lo accusava ed inchiodava alle gravi responsabilità. L’aveva fatta franca a lungo: la scellerata divinità gli mandava quelle difficoltà per le quali non riuscendo a propiziare un’ingorda vestale l’avevano fatto sorprendere in flagranza. La bestemmiò con indicibile fervore ed insultò la sacerdotessa con una sfilza di termini in lingua madre, nei vari dialetti e con l’uso di qualche forestierismo, corrispondenti a prostituta, scusandosi con le praticanti il mestiere alla luce del sole professionalmente e senza doppiezza -"Come farai senza di me". Povero cagnolino abbandonato dalla padroncina, come te Nichitta!- Esclamò Bruno a sorpresa dopo un lungo silenzio, scorgendo negli occhi dell’interpellata una luce di festa per aver sentito fare il suo nome, e adesso il grazioso animale scuoteva la testa cercando di catturare l’attenzione e magari riaccendere l’interrotta confidenza. Ma il suo padrone s’era già disposto a riassorbire certe dichiarazioni -"Non potrei impedirmi di buttarti le braccia al collo". Divoratore di cuori! "Bruno, io ti amo". Bruto quanto la fai soffrire! "Promettimi di restare amici". Andiamo a prendere il caffè assieme, scambiamo quattro chiacchiere, ci consigliamo, ci aiutiamo, ci consoliamo, scherziamo, ridiamo, piangiamo, godiamo, vomitiamo, vomitiamo, vomitiamo... Sì Bruno, ti resta da vomitare... Apri gli occhi... Osservala... La tua donna... Il grande amore... Nikitta... Svestiti scemo, vai a dormire! Si alzò all’ora di pranzo calmo e riposato, ma con scarso appetito. Il pomeriggio lo impiegò a guardarsi attorno attonito. Poi andò a letto insolitamente presto senza cenare. L’indomani la pioggia cadeva a catinelle, per cui si rassegnò a restarsene in casa chiuso nella sua stanza, inerte come un fantasma schiacciato dal tedio. Malgrado lo sfogo di due notti avanti si sentiva ancora come immerso nel torpore di un’anestesia, con la sofferenza risparmiata solo dal disappunto in procinto di risvegliarsi lacerante. Non si poteva capacitare d’esser tutto finito, così all’improvviso con una semplice telefonata, senza una sua pur piccola approvazione, tranne quella formale data con troppa facilità per accorciare un’esibizione da melodramma. No, non poteva essere, si sarebbero sentiti ancora e forse era quella convinzione a consentirgli di attendere come un relitto abbandonato. Con il trascorrere dei giorni diventava più nervoso, fino a che una sera, ripiegata sulla spalliera di una sedia, non scorse la giacchetta datale dalla signora Annina l’ultima volta in cui era stata a casa sua per farla riparare dai primi frizzi autunnali, svaporati presto a contatto con il corpo grazie agli effetti prodotti dall’ultima discussione consumata di presenza con lui. Fu come se avesse inciampato su una mina: tutto il suo essere saltò in minuscoli brandelli agonizzanti. Lei, con la restituzione della giacchetta tramite una collega d’ufficio compaesana di Bruno aveva trasmesso l’ultimo messaggio della sua decisione perentoria e definitiva: questa volta faceva sul serio, poteva mettersi l’animo in pace. Una parola! Da quella sera infatti cominciarono le più sofisticate torture. Ad aggravare la situazione concorsero pure le avverse condizioni meteorologiche: il cielo, tra tuoni e vampe, stava scaricando tanta pioggia quanta di solito in quelle contrade non ne cada in un inverno intero. Lui se ne stava attaccato ai vetri d’una finestra a raffrontare sgomento dal dolore la violenza dello spettacolo naturale con lo stato dello spirito, e in tal sprigionare di incessanti esalazioni credeva di star fuori allo scoperto ad assorbire similmente ad un blocco di calce. Era singolare davvero la coincidenza a tenerlo ingabbiato in una circostanza in cui il vagabondare gli avrebbe potuto giovare. Era scritto, dovesse espiare compiutamente, ma cosa? Quali peccati? Il grande amore portatole? L’intera dedizione per lei? La vigilante pretesa del rispetto altrui? Lei era stato il più grande investimento sentimentale, ed il ricondursi col pensiero ad altre precedenti esperienze lo faceva ridere soltanto. Ormai la sentiva un organo di se stesso e lei era fatta della sua carne, irrorata dal suo sangue, vivificata da ogni sua idea. Ed ora si pretendeva di distaccarsene così a vivo senza una tragica motivazione, ah! cosa andava mai dicendo, inorridiva!, da un suo braccio, da un occhio, dal cervello... Era assurdo, inconcepibile, no, non si poteva! Sarebbe stato più facile accettare la notizia di un decesso e non la dissezione di un unico inseparabile. Di fronte all’evento ferale si finisce col rassegnarsi. Ma come si poteva consentire la rottura di quella comunicazione diventata la ragione stessa della vita, per giunta a causa d’un ostacolo così ignobile, rispetto all’amore, l’egoismo? Dell’egoismo pronto ad intrufolarsi tra i sentimenti più ordinari, blandendoli sino a conquistarli, e permeandoli poi, sino a deformarli in ipocrite manifestazioni non si stupiva, anzi sapeva del suo alto tasso di frequenza, essere il fondamento della natura stessa della specie umana, ma che la spuntasse anche con l’amore, no, gli tornava assurdo. Era tale logica a tormentarlo e alla quale si aggrappava con ogni forza facendogli sperare una celere riconferma da lei al momento impulsivamente dissenziente. Certamente non poteva essere tarmata a tal punto, che diamine, nove anni d’intesa avrebbero dovuto non fargliele pensare certe cose! Anzi era stato sciocco quella notte a trarre conclusioni avventate. Presto avrebbe avuto condivise le sue certezze! Sospirava sollevato, però immediatamente dopo ripensava al lungo periodo di maturazione a monte del drastico provvedimento, a cui si era fatto ricorso per la prima volta in tutto l’arco della relazione, perché mai prima d’allora, nelle varie sospensioni accadute, si era parlato di separazione definitiva. Era un’altalena diabolica di speranze e crolli spaventosi, e poiché in quelle circostanze qualsiasi programmazione di comportamento risulta sterile, ad ogni proposito d’esser paziente ed attendere vi controbattevano ondate di soffocamento sempre più violente. Stava cedendo all’ossessione, infatti ogni nuovo giorno la rilevava più interessata, solerte e totalizzante, e vedeva i pensieri non dedicati a lei, strangolati sul nascere e fagocitati mentre lui si arrostiva sul braciere della folle disperazione. I tentativi di sottrarsi al suo perverso dominio fallivano nei continui quanto inutili cambi di posizione e di posto, per cui lo stare teso o rilassato per quanto potesse in poltrona, sul letto, nella sua stanza, o nelle altre, non sortivano sollievo alcuno, tanto valeva arrendersi a lasciarsi seviziare sino al limite della sopportazione, per poi riprendere ad agitarsi invano, e così alternativamente tirare avanti nell’uno e nell’altro modo sino alla pazzia! La mattina del giorno delle nozze, il “vescovo” aperta la stanza del torturato, gli annunciò con pretesca petulanza il suo appuntamento con l’altare e il ritenere un tradimento la sua non presenza, facendosi urlare di dirigersi meglio a prenderla in quel posto! Lo sfogo imprevisto gli portò sollievo e decise di uscire. Camminava a bella posta con lo sguardo in terra come se cercasse qualcosa perduta, per nascondere a chi incrociava il grande dolore, sicuramente facile a venir letto sulla sua faccia, ed evitare la loro presenza, diventatagli terribilmente odiosa. Anche le cose circostanti gli davano fastidio, ad esclusione dei manifesti di lutto appiccicati indiscriminatamente sui muri delle strade, per la conseguenza a fargli ritenere fortunato il citato estinto, finalmente andato a trovare tassativamente la serenità da lui tanto agognata invano da vivo. Essi lo incoraggiavano persino a fischiettare, ma solo i lugubri motivi di accompagnamento funebre verso i quali il suo stato d’animo era tanto ben versato. I passi lo portarono al parco, anch’esso immerso nell’afflizione premuta dal cielo basso, plumbeo, fosco d’umidità, aggravata dall’abbandono dei visitatori, nera dell’inzuppamento dei grossi tronchi di alberi secolari. Tutto era uggioso e tetro come il suo umore, benché il pulito delle fronde risaltasse al pari della sua innocenza. Vagava in compagnia del dolore per i vialetti deserti, ombra d’un tragico personaggio! Sotto il balcone, ai piedi della scoscesa campagna il mare mugghiava sbavando, più ostile che mai, e nello stesso tempo tanto attraente! Si sentiva rapito e incoraggiato in sommo grado a spiccare il liberatore tuffo a volo d’angelo, ma sul punto di cedere all’affascinante soluzione, finendo per autocompatirsi, si rimproverò di quella debolezza atta solo a mostrargli la goduta soddisfazione della cinica ispiratrice. Silente il lampo abbarbagliava lontano. Poi quando radi goccioloni anticiparono la ripresa del rovescio, indugiò ad aprire l’ombrello, sperando di ricevere refrigerio dalla pioggia, ma dentro di lui la calce ravvivò il bollore. Il sangue infuriava ed il cervello era lesto a sfasciarsi, se a riparo non avesse portato le mani alle tempie stringendole forte; le gambe vacillavano, diventò ansimante e solo il piccolo residuo di orgoglio ancora presente, valse ad impedire di lasciarsi cadere dentro l’aiuola uliginosa. In seguito, consegnandosi a vana speranza, quando il dolore diventava insopportabile, per cercare di lenirlo, non trovando altre alternative, prese l’abitudine di quella visita. In una di tali sperimentazioni dovette affrettarsi a rientrare intuendo imminente la dipartita. Non voleva farsi soccorrere in istrada, andar a finire sulla cronaca del giornale e magari procurare alla strega ulteriore gaudio tiepidamente dissimulato in posa di dolore. Lui desiderava morire, ah quanto! Però in forma più riservata, senza superflui clamori! Si mise quasi a correre per accorciare i tempi al minimo: aveva da stilare le ultime volontà, o meglio alcune raccomandazioni non avendo da lasciare eredità di sorta. Primo, per nessun motivo si arrischiassero a portarlo in chiesa per aver magari dedicata una commovente omelia funebre da uno dei tanti don Sortino esistenti in giro! Secondo, tranne per gli adempimenti di legge non fosse data partecipazione del suo decesso ad alcuno. Terzo, non potendo usufruire della cremazione per mancanza d’attrezzatura, lo si fosse inumato dove la civiltà assegna il posto al povero in canna. Quarto, tutti gli oggetti personali fossero raccolti e dati alle fiamme. Quinto, non si versassero lacrime poiché ad andarsene vi aveva accordato tutto l’entusiasmo di cui era stato capace. Durante il tragitto ripeté a bassa voce questi cinque punti di cardinale importanza per non dimenticarli. Nella sua stanza vi arrivò quasi senza fiato, stravolto in viso, un terremoto dentro. Ma forse per l’istinto di conservazione o per la convinzione di non poter oltre ritardare l’ultimo atto, rimandò di redigere le istruzioni desiderate a rispetto della sua memoria, e si stese sul letto, soffocato dalla tensione, a respirare il più profondamente possibile, e ad aspettare da un momento all’altro di essere ghermito dall’ictus. Non aveva paura, anzi confidava in una liberazione così rapida come se l’era sempre augurata. Intanto continuava a gonfiare e sgonfiare d’aria la pancia, sibilando nell’inalare il massimo di ossigeno, dopo un breve giro purificatore fuggito dalla bocca in un flusso di fuoco. A turno il labbro superiore e le palpebre, elettrizzati da clonici tremiti, guizzavano frequenti e repentini. Attenzione totale era rivolta all’istante del trapasso vicino a sopraggiungere, ignorando la pressante richiesta della gola arsiccia d’un fresco beveraggio. Invece, bastevole a farlo riprendere, l’esercizio condusse all’attenuazione del trambusto interiore, svuotandolo della porzione di veleno. Così sfumata la buona occasione di mettersi in pace definitivamente, scopriva il modo di rimediare, seppur con affanno ad assalti di rara ferocia. Questo gli consentiva di guadagnare tempo in una lotta perduta in partenza e di coordinare una strategia più adatta, se qualche idea avesse saputo trovare il modo di soppiantare, magari in brevi pause, la presenza dell’unico pensiero fisso. Una sera mentre passeggiava, al corso principale, incurante delle perentorie staffilate inflitte dalla tramontana intenta a cavalcare il sereno di un cielo stellato, una nota sagoma di donna attrasse la sua attenzione. Ad una cinquantina di metri, una macchina posteggiata aspettava che lei finisse il discorso con la sua amica per accoglierla al posto accanto alla guida. Infatti dopo le ultime battute per salire si rassettò il grigio mantello guarnito di rosso, seguita prescrizione della moda per quella stagione, e si lasciò inghiottire dalla vettura. L’amica cortesemente chiuse lo sportello ed attraversò la strada, diretta ad un negozio di lane. Lui provò la sensazione di un passeggero d’aereo al quale pare di perdere l’aria dopo una caduta improvvisa di quota. Si scosse coraggiosamente e ringalluzzendo senza volerlo, cercò il passo più naturale possibile per affrontare l’insperata situazione. Le passò molto radente per poterla osservare bene senza essere scorto. Colse i tratti del suo viso disteso ed impassibile. Fu contrariato da un paio di occhiali più scuri di quelli da lei adoperati ad attenuare la luce solare e adesso inforcati ad impedire che le sue pupille venissero centrate. Ne aveva preventivato l’impiego nell’evenienza in cui si fossero incontrati e li sfoggiava a bella posta per sottrarre lo sguardo alla penetrazione di lui e impedirgli, serrate le finestre dell’animo, la condizione del suo stato? Ma simile precauzione di per se stessa non bastava a denunciare il disordine interiore cercato di nascondere? Solita sciocca la donna, pensò. Comunque a lui bastava una simile iniziativa mascherata dalla scusa di far compagnia all’amica, vedi caso, in luoghi dove facilmente si sarebbero potuti incontrare. Era il segnale giusto per una riconsiderazione d’una scelta senza senso, e l’occasione di una tirata d’orecchi per lui a causa della leggerezza e della fretta avuta nel formulare ed esprimere certi giudizi, i quali col nuovo corso lo facevano vergognare. Ritornò sui suoi passi per attaccarla frontalmente. I delicati lineamenti del viso, la dolcezza della bocca innaffiati dal magico flusso di luce della lampada della strada, sufficiente ad inondare tutta la macchina, comprendendola nel suo cono di proiettata luminosità, non si scomposero minimamente, né ci fu il più piccolo scostamento di capo, o un tradimento di nervosismo tra le dita intrecciate sul grembo. Restò immobile, un blocco di marmo, come ai tempi del primo incontro. Lo prendeva per i fondelli o stava canzonandolo affettuosamente? Solo dietro tali propositi potevano spiegarsi comportamenti simili. Rifece dietrofront, la guardò con provocante sostenutezza sino oltre averla superata, girando la testa verso il suo lato, niente da fare! Gli veniva di lanciarle seriamente un gesto di stizza, o scherzosamente una boccaccia per rompere il ghiaccio. Ma evitò di darle una soddisfazione nel primo caso, e di prendere nell’altro, un’iniziativa che non gli spettava, ritenendo di essere la sola parte lesa, perciò continuò dritto verso casa. Il resto della sera stette ad analizzare l’ambigua circostanza. Si diceva che non fosse lei, e si arrabbiava a non poterlo stabilire con certezza dopo una sì lunga relazione. Però l’imperturbabilità da maschera di cera gli confermava una risoluta volontà a non scomporsi, innaturale per una persona estranea, la quale partecipa anche se distrattamente con automatici segnali ricettivi ad ogni movimento le si svolga vicino. Ma d’altro canto non era nel suo carattere una teatralità così sconcertante, a parte che non capiva a cosa avesse potuto giovarle. Od aveva, appositamente istruita, indossato la veste d’enigma per condurlo allo svanimento? Decise di lasciare la risposta al telefono, poiché se fosse stata lei e fosse ricomparsa nella di lui patria, svelava, malgrado l’originalità del messaggio, l’intenzione a voler cancellare la decisione di rottura e presto si sarebbe fatta sentire. Passarono alcuni giorni di paziente attesa con relativo beneficio ai suoi malanni assorbiti quasi del tutto dalla straordinaria trepidanza dell’amante respinto, ma innamorato ed ancora speranzoso. Questi in ogni momento e dappertutto si sente accompagnato da chi vorrebbe sempre vicino, sino a convincersi di averla al proprio fianco. Respira con il suo fiato, palpita con il suo cuore, l’olfatto è colmo del suo profumo, gioisce con i suoi sorrisi, si affligge con le sue preoccupate espressioni, pensa, parla e cammina, producendo gli stessi concetti, accenti e movenze, soddisfa uguali desideri, curiosità e simpatie, dialoga scherzosamente credendo di tenerla a braccetto e porgendo qualche gesto delicato; se per un momento la metà si stacca, viene attesa non perdendola mai di vista, scrutando il luogo dove s’è diretta, se ha svoltato l’angolo, la soglia se è entrata in qualche posto, insomma, si è calato anima e corpo nell’altra personalità e con essa comunica talmente fittamente da sobbalzare agli accenni d’intromissione voluti od accidentali che siano, i quali nel corso di una giornata non si contano neppure e in uno stato di sì completa estraneazione finiscono per rendere irritati, perché allontanando la fittizia presenza tanto gradita, costringono ad assaporare l’amarezza della lontananza. La fine dell’illusione si presentò al quarto giorno, verso l’ora dell’apogeo di un sole splendido invitante a condurlo per le vie della città ad assorbirne il tepore più voluttuosamente d’un convalescente. Mentre si lasciava interessare a seguire i raggi rimbalzanti dai parabrezza delle macchine alle vetrine dei negozi e li vedeva frangersi in mille scintillii e scomparire assorbiti dai vestiti per solleticarlo piacevolmente e contagiarlo di umore giocondo, su per giù alla stessa altezza del precedente incontro serale, maestosa ed altera come una dea ancora in compagnia di un’amica, lei si avvicinava sull’altro marciapiede distogliendolo dalla spensieratezza proprio sul nascere. Lui s’irrigidì per un attimo, un attimo soltanto, quanto bastò per capire dallo sconfinato e dritto fissare della donna di ritrovarsi di fronte ad una cieca con la sua accompagnatrice. Credette di sprofondare turbinando nel vortice di prima, risucchiato dalle stesse, terribili sevizie, sospese in ossequio alla previsione dell’attuarsi della sola condizione per essere liberato, la riconciliazione. In procinto di scoppiare, ricominciò a ricorrere ai vecchi palliativi. Siccome la sopportazione cedeva la sera verso l’ora in cui la televisione comincia a trasmettere lo spettacolo clou appena trovava qualche lenimento dall’esercizio terapeutico ne approfittava per rifugiarsi sotto le coperte. L’insonnia si ripresentò spalancandogli gli occhi e con la complicità del letto accoltolo a contenerlo come una camicia di forza, lo trafiggeva più profondamente con l’orgia di sfrenati malesseri, e sul limitare dell’assopimento, per via di sogni beffardi, gli riproponeva lei intenzionata a comunicare. Tornandogli in mente il sogno, pensò a Nichitta, lì paziente e supplichevole a guardarlo. Non appena la barboncina si sentì al centro dell’attenzione cominciò ad ansimare, animandosi di piacere. Bruno, chinandosi cominciò a carezzarla per lungo e a raccontarle Finalmente avevo potuto udire trillare il telefono, dopo averlo implorato, io sempre pronto ad aborrirlo -Ciao, sono io, come stai? Affrancato da ogni titubanza non feci fatica ad essere decisamente brusco -Con chi desideri parlare? -Con te, forse disturbo?! -Certamente, anzi colgo l’occasione per invitarti a dimenticare questo numero, tranne tu voglia comunicare con qualcun altro della famiglia, in tal caso non ho l’autorità per fartene divieto, però quando così fosse, sei cortesemente pregata di abbassare la cornetta le volte in cui a rispondere sono io, poiché la tua voce non voglio sentire -Non sei per niente gentile -Non vedo il motivo di esserlo dal momento di non avere alcuna intenzione di perdere dell’altro tempo con te, addio... Ah! Com’ero stato severo e forte con la volgare egoista. Così bisognava essere Lisciato il mantello della cagna per rimettersi comodo a sedere e quasi annoiato della telefonata sognata, Bruno con la mano fece un gesto di reiezione e guardò oltre la porta dello scompartimento per accettarsi che non vi fosse controllo in vista, quindi rivoltosi a Nichitta, la confortò con gesti e parole di tutta tranquillità. Ma immediatamente si ricollegò con un leggero sussulto al dopo telefonata, dal quale con un improvviso rimescolamento fu riportato alla realtà invero dura e rimesso sulla via del calvario. Si era alle solite, sembrava caduto tra le braccia della maledizione ad essere vezzeggiato dalle sue carezze di tortura. Cominciava a convincersi di portare una fattura, una terribile fattura a liberazione della quale non riusciva a trovare l’apotropaico adatto. No, non si poteva continuare, voleva morire oppure piangere, forse incontrarla, sì anche questo, malgrado la parola "egoismo" lo facesse fremere di rabbia. Morire meno di prima in quanto inconsciamente andava emergendo il vero aspetto della vigliaccata. Piangere sì, lo avrebbe aiutato molto ed era arrabbiato con se stesso per il carattere ostico alle lacrime sin da bambino, e nocivamente inibitore a tale sfogo salutare. Avvertiva di essere ormai maturo dentro, e di non avere altra strada tranne quella del pianto per sperare in piccoli miglioramenti. Ogni altra iniziativa surrogatoria risultava vana. Cercò di corteggiare una ragazza molto giovane, bella e lusingata della sua attenzione, ma dopo alcuni giorni dovette dare forfeit poiché non si sentiva appagato dalla facilità della preda e dal completo difetto del saperlo coinvolgere. Delle più grandicelle maritabili, lo esilarava la loro serietà, imposta come un cilicio essenziale per accasarsi. Alle sposate insoddisfatte non intendeva fare alcun favore. Rigettò pure l’idea dei postriboli dentro i quali si sarebbe disgustato più di quanto non lo fosse, anche se le lavoratrici del settore quella professione praticassero alla luce del sole senza ipocrisia e non fosse corretto non portar loro rispetto. La verità era una sola, consistente nel non aver bisogno d’una donna vicino, ma di lei con tutto il bagaglio del tempo vissuto assieme, perché con le altre non aveva niente da spartire: gli erano estranee in tutti i sensi, mentre per Nikitta non vi era sfumatura fisica e spirituale, virtuosa o difettosa, da lui ancora non amata morbosamente. La natura degli affetti e dei comportamenti dell’uomo sarebbe facilmente intelligibile, se di fronte all’amore non ci si dovesse sbandare, poiché come per le impronte digitali è così soggettiva e misteriosa da infirmare qualsiasi tentativo di indagine, risultante fallito in partenza. Cosicché l’amore ogni soggetto lo gode e lo soffre in modo unico ed esclusivo, ed il cercare lumi sulle altrui esperienze per poterlo padroneggiare è tempo sprecato. Esso è la facoltà segreta dell’individuo incontrollabile e bizzarra. Una domenica esausto dal difendersi dagli spietati assalti, non sapendo più come resistere, voleva chiamarla ed atterrirla con l’interiore violenza dell’uragano imperversante, ed aveva cominciato a comporre il numero, riponendo tosto la cornetta veementemente. Non doveva cedere a costo di qualsiasi tormento, per recitare la parte dell’elemosinante dopo la crudezza con cui era stato licenziato, anzi occorreva trovare il modo di soffocare la sua arrogante indispensabilità, forse tentando di trarre dai trascorsi incontri le peculiarità più abitudinarie, interessanti o divertenti, riviverle solitariamente per dimostrarsi la superfluità della sua presenza, e sperare di riuscire a far funzionare i meccanismi al momento inceppati indispensabili a consentirgli un graduale e sicuro distacco da lei. Uscì di casa avvertendo di pranzare fuori. Rifece il percorso della loro abituale passeggiata, soffermandosi davanti le vetrine dalle quali lei era sistematicamente attratta, come ad esempio quella delle scarpe all’ultima moda dai colori sgargianti, l’altra della gioielleria luccicante di ori e pietre preziose elegantemente accoppiati, e l’esposizione della pasticceria a lei sembrata essere animata forse per via dei sacrifici a non frequentarla a causa delle proibizioni di dieta, se allentate sollecite a consegnarla a un odiato ingrassamento. Quegli oggetti gli parevano riflessi nelle pupille di lei sfavillanti di assaporamento e la ricognizione diventava troppo crudele, pur tuttavia si lasciava trafiggere con masochismo perché non ci sarebbe stata liberazione senz’averne accettata la sfida. All’ora di pranzo si diresse alla trattoria dove una volta entrambi si erano procurati noiosi disturbi enterici, con la speranza di subirli di nuovo a ravvivamento della situazione di disagio seguita allora: con tale aspettativa fece la stessa ordinazione, ma anche in quello la sfortuna gli fu benigna, perché si sa di non doverle cercare le cose per capitare. Saldato il conto andò al bar di prima a ordinare il babà con panna consumato eccezionalmente quando si era stati al ristorante insieme e premessa del caffè ristretto a culmine d’un perfetto soddisfacimento. Poi si diresse al parco, rispettando la vecchia prassi di affidare la digestione ad un prolungato deambulare lungo i vialetti, a quell’ora quasi deserti. Certo l’esperimento non fu indolore specie per essersi ritrovato a conversare con un interlocutore poco espansivo qual’era diventato il suo interiore ed in compagnia d’una invisibile, cinica versiera; però non fu inutile, in quanto il coraggio ritempra anche nella sconfitta. Rincasò con una vaga impressione di sollievo: aveva persino osato per strada cogliere furtivamente lo sguardo della gente, pervaso di svariate sensazioni e indifferente alla sua presenza, sì da dedurre per non averla incuriosita che l’alone di sofferenza si fosse ritratto. Rinunciò all’ascensore, preferendo impiegare, col fare le scale, l’esigua vitalità in via di recupero. Spinse fuori il muso e vi soffiò debolmente senza dar vita al fischiettare, bastandogli soltanto la disposizione all’atteggiamento. Era cauto e circospetto ad usufruire della tregua, ed ancora sorpreso ed incredulo! Sapeva di muoversi su un filo troppo fragile e tremava al pensiero di vederlo spezzare da un momento all’altro. Spontaneamente usava tutte le precauzioni ad evitare il più piccolo rumore come se avesse avuto da rispettare il riposo di qualcuno; così aprì l’uscio e lo richiuse con la prudenza del ladro. Andò in camera sua quasi in punta di piedi, si sedette sul letto con la leggerezza di una piuma, restando immobile ad aspettare. L’incantesimo non tardò a frantumarsi sotto un’improvvisa tempesta; la calce riprese a bollire, lui cominciò a bestemmiare con una vena delle migliori. Si stese supino ed iniziò l’esercizio allenta-tensione. La pendola s’intromise picchiando forte. La sua reazione scattò immediata scagliandosele contro violenta e brutale -Smettila puttana, puttana, puttana... -Essa, come ogni altro accidente presentatosi a esasperargli la contrarietà, cosa molto facile a capitare nello stato penoso in cui s’era ridotto, gli sembrava la longa mano stesa dalla vile fattucchiera ininterrottamente ovunque per suppliziarlo, e per tale connessione mentale ad ogni sua rappresaglia le si avventava collerico -Ti vincerò, perché... ti vincerò- A seguito delle espirazioni cominciò a ripetere questa frase anche se dopo il perché gli mancava ancora il coraggio di completarla come avrebbe voluto. Appena cominciò a star meglio trasse il bilancio della giornata, tutto sommato, causa l’esperimento in prova, favorevole a confronto di come l’avesse immaginata. Concluse di dover battere la pista del rinverdire i ricordi comuni, prestare direttamente il fianco alle loro lance senza nascondersi, ad evitare così di rinvigorire gl’incubi artefici di supplizi maggiormente devastanti. Lei continuava a tenerlo in pugno, era l’idea fissa della sua mente, inconsumata ossessione. In condizioni simili come poteva sfuggirle, ignorarla, o dimenticarla anche parzialmente? Serviva ancora del tempo! Solo il tempo avrebbe saputo riordinare la sua esistenza. Quindi il problema era come ingannarlo: bisognava scendere in agone con lei nei luoghi in cui loro erano stati felici protagonisti, e dalle iniziali, immancabili e numerose sconfitte, aspettare pazientemente il giorno dell’insospettato trionfo. Il silenzio della notte scoprì le dolorose sonorità della sua sofferenza: il cuore tumultuava più folle di un’arena, e gli sembrava attaccato dalle incornate di mille tori infuriati, le vie circolatorie dilatando quasi a scoppiare trasmettevano i gorgogli del bollore, le palpebre risuonavano del frullo d’ali d’avvoltoi eccitati dall’individuazione della preda. Le sue membra a dispetto della rigidità della temperatura sfrigolavano, inoltre quella maledetta pendola aggiungeva più colpi ad ogni nuovo, odioso intervento. Teneva gli occhi spalancati come un gatto verso il fitto, insondabile nero, il nulla entro il quale si torceva ingiustificatamente e per testardaggine, poiché a tutti i costi voleva trovarvi qualcosa. L’immenso nulla dunque, dove cercava con angoscia agognate apparizioni di niente! No, non poteva essere, lo sentiva grande e grosso come un pachiderma, qualcosa di vivo, palpitante e creatore anche se di dolore soltanto! E poi prima dell’incidente non aveva forse vissuto, gustato, gioito? -Oh povero me, è terribile quanto mi si vuole insinuare, ch’io sia stato stupido ed ingenuo va bene, ma cieco fino a questo punto no, mi ribello, non ci credo, io ho amato, non può essere un’illusione, io ho amato davvero. E se soffro così, perché soffro?L’amore c’era stato. Senza accorgersene Bruno riprese a raccontare a Nichitta con accento leggermente accorato -Due lucignoli lontanissimi e fiochi, incerti come due stelle ai primi tremolii occhieggiavano stancamente infissi a distanza irraggiungibile. Provai ad inseguirli attraverso le loro scie stese come due sottilissime rette proiettate all’infinito, sospinto da etereo soffio, sino ad avvicinarli, riconoscere note, pregiate pupille, ed assistere impotente ed affranto al loro intorbidire. La limpidezza dell’ambra scomparve cancellata dallo stesso moto sinistro dell’animo di lei ispiratore di forzate risate dimostrative nello scorgere l’inconsolabile abbandonato in un angolo della sala del locale dove la tiranna assieme ad una ristretta comitiva andava ad occupare un tavolo rettangolare adatto ad ospitare le sei persone. Gli uomini allisciati in panni attillati, le donne impellicciate e pittate come confetti! Si spogliarono del soprabito mostrando i cavalieri eleganza, finezza, fascino; le dame: gioielli, prorompenti avvenenze, umore gioviale. Io stranamente freddo e distaccato penetrai il mal dissimulato imbarazzo dell’avventuriera, arrampicatrice ed egoista. Poi fui invaso da un rimescolio convulso, uno sconcerto, una pena, un godimento denso, forte, incontenibile da far impazzire il sangue sotto la pelle e darmi fuoco. Non potei trattenermi da un ridere satanico e sputare fuori con disprezzo, sotto lo sguardo inebetito degli astanti, quel nome dannato: Nikitta! mentre mi allontanavo disincantato. Sussultai sudaticcio, forse avevo gridato, mi aveva sentito l’intero quartiere, coloro i quali mi avevano visto accanto a lei raggiante di felicità, i curiosi, gl’intriganti, i pettegoli, la gente sempre avida di qualsiasi notizia, maggiormente le più terribili. La gente spettatrice dappertutto, per le strade, dietro le finestre, con sfacciataggine o prudentemente, di giorno come di notte tra le pieghe dei suoi anfratti, l’orecchio teso, il gaudio pronto. Che ne ridesse pure, d’essa non mi è mai importato un fico secco! Mi rigirai sull’altro fianco, la cornetta implorava stridula: -Perché non possiamo più parlare, perché mi tratti così? Non t’mporta quando gli altri soffrono, è vero? Come sempre impermeabilizzato!- -Purtroppo non c’è nulla da dire, tranne quel tanto da poter tornare molto offensivo e ora, nel momento in cui l’indifferenza ha aggiustato ogni cosa, io posso tacere senza fatica, non trovandovi più alcuna soddisfazione- -Ebbene se è per me sono pronta a subire, però voglio sapere, avanti sbottonati, dài, senza complimenti- -Mi fai pena, soltanto pena- -Continua- -Sei un essere miserabile, abietto, schifoso... No, no, perché... Io ti amo, ti ho amato, senza riserve, ho dato tutto, tutto quello di cui sono stato dotato dalla natura. No, non è possibile, è assurdo, è assurdo, è assurdo...- Gridavo singhiozzando. Gli occhi finalmente riuscivano a distillare calde lacrime. Sussultando vi portai le palme delle mani e cercai di raccoglierle in esse con maggior venerazione di un agricoltore verso l’invocata pioggia, in extremis finalmente fiducioso dopo lo scampato mancato raccolto. Di colpo mi sentii leggero e contento più d’una zanzara che ha annusato un pezzo di carne da succhiare, e anche se intontito dal brusco risveglio sospiravo di soddisfazione volteggiando nelle morbide rotondità del buio. La calce aveva spento i fermenti divoratrici e mi vedevo in tutto il suo candore d’innocenza inondato nello spirito di luce radiosa. Mi addormentai supino seguendo le aeree evoluzioni fosforescenti della serenità sfiorarmi e coccolarmi in una danza di rapimenti e restituzioni della coscienza. Le cosce erano grassocce, arrossate d’intertrigine all’inguine e fiorenti di cellulite, eppure inspiegabilmente attraenti e care. "Che belle cosce, le più belle cosce!” Esclamavo mentre gliele accarezzavo appassionatamente spinto da un appetito crescente. La mano si fermò titubante sulla morbida culla, vi impresse i polpastrelli ancora incerta se stesse posando sulla soglia di un’antica, dolce dimora, persa tra gl’inconsci ricordi, ma mai dimenticata completamente. Era troppo emozionata e felice. Cominciò con l’indice a cercare delicatamente l’ingresso, con molta prudenza come se volesse scostare impercettibilmente un velo per accertarsi del campo libero ed entrare di soppiatto. Si decise a spingerlo con un conforto e piacere indicibili e si angustiò che il metacarpo non gli consentisse di scivolare oltre, sino a toccare il fondo venerabile. Però non ebbe a dolersi a lungo, poiché intanto l’indefinita ospite, scostandola amorevolmente interruppe l’esplorazione ontogenetica. Di scatto mi volsi a guardarla. Non era mia madre, aveva preso le sembianze di lei. Mi svegliai bestemmiando per la seguita polluzione per la quale fui costretto ad alzarmi e andare in bagno a lavarmi e cambiare le mutandine. Dopo essermi pulito sedetti sul letto, in sovrappensiero. Ero diventato oggetto di contesa tra le due donne più importanti della mia vita. Mia madre acclarata l’indegnità della fedifraga pretendeva la mia restituzione alla sua tutela dall’affidamento temporaneo in cui mi aveva ceduto. Mi sentii un animale in cattività e imprecai. Distintamente vidi riapparire Nikitta ritta su un gradino guardarmi senza alcuna emozione in viso come la cieca sere innanzi. Subito corsi a riparare il capo sotto un’ascella di lei per sentirmi protetto, e rimasi stupito dall’assenza di profumo della sua carne e del caldo pulsare di vita. Era terribilmente fredda. Mi scostai desolato a guardarle meglio il viso: causa la sua imperturbabilità sembrava quello della cieca per caso incontrata o la raffigurazione di uno dei tanti ovali appiccicati sulle tombe. Era morta, non mi tiranneggiava più, mi ero finalmente liberato, avevo vinto. Sospirò soddisfatto, riassaporando di nuovo la tanto invocata riuscita e tacque mentre con un cenno informava Nichitta del fortunato tramonto di quel passato. Ce l’aveva fatta perché non l’amava più. Anzi scopriva di averla amata solo formalmente, perché compiutamente una come lei non l’avrebbe mai potuto amare. Lo stesso vezzeggiativo Nikitta lo chiariva ampiamente. Quel nome tenero conteneva più generosi valori nutriti al superlativo: affetto, comprensione, fedeltà, dedizione, sacrificio, insomma gli antagonisti dell’egoismo. Nikitta era stata la sua invenzione, un’eterea creatura, la proiezione della sua immaginazione, per effetto di un’etica intrinseca governata dall’amore. L’amore con la "A" maiuscola, quella potenzialità contratta, nascosta, quieta ed insospettata, inesistente sino a che non collide con il detonante giusto, per cui esplode in tutta la magnificenza d’un bagliore inestinguibile per il resto dell’esistenza entro il quale ogni condizionamento finisce rarefatto. Lui aveva creduto a tutto questo dal primo momento in cui vennero presentati in quella lontana sera di carnevale, senza accorgersi invece d’essere incappato nello scherzo più cinico. Ed era stato il disappunto di aver scoperto la dabbenaggine e di non volerla accettare, ad averlo buttato nella disperazione. Aveva temporeggiato, in attesa d’una smentita riparatrice dell’insopportabile verità dissacratoria. Gli tornava atroce ammettere d’aver sprecato tanto tempo con una portatrice di personalità incompatibile con la sua, aspirante ad una relazione duratura, impegnativa e fondata su ideali di ben altra natura! Che fosse più esigente di lui nei desideri, lo aveva sempre saputo, ma da qui all’egoismo grossolano, volgare, da cocotte, ne correva. Si sentiva ridicolizzato ed umiliato per avere interpretato un ruolo serio suscitando derisione e compassione. La stima, le premure e le intimità affioravano viscide, sudice ed infette dalla mota del passato, protendenti abbracci repellenti. Tutta l’impalcatura dell’immenso sentimento sprofondava nell’abisso della delusione, di colpo e senza traccia. Adesso il rullino dei suoi affetti riproposto al proiettore della reminiscenza, in quel tratto partito dal giorno del loro incontro, lanciava sullo schermo una lunga sequenza di fotogrammi non impressionati, dolorosamente abbacinanti. Un’attività di nove anni vanificata e con un’eredità poco promettente, dal momento che si sentiva spolpato, desensibilizzato, privo d’interiorità. Da sì grave deperimento forse non si sarebbe più ripreso, se fosse svanita del tutto la forza morale necessaria per sopportare e superare lo sciagurato voltafaccia... Bruno usciva di malavoglia, ma costretto ad andare in trattoria per l’imminente arrivo degli sposini invitati in occasione della grande ricorrenza di Capodanno. Sarebbero giunti a causa della messa, all’ora usuale di prender posto a tavola. Lo sfrattato, sia per il freddo, sia per togliersi dalla vista di chi lo volesse seguire con lo sguardo dalla finestra, prese un’andatura frettolosa sino a svoltare. Gli venne di ripensare al giorno universalmente augurale, il primo dell’anno nuovo, partorito dall’inesauribile fecondità del tempo in mezzo ai più ardenti festeggiatori, riversatisi nei locali a rimpinzarsi del tradizionale cenone dietro l’emozionante conta dei secondi, e acclamato con lo scoppiettante stappar delle bottiglie e le coppe protese a brindare, o solennizzato dai ritardatari tra poco sulle ringiovanite mense di anziani capostipiti circondati dagli affetti dell’intera famiglia riunita, tranne rarissime eccezioni, con pranzi traboccanti di specialità casalinghe. Si era entrati in una epidemia di felicità per essersi liberati dell’anno vecchio, incuranti del peso da esso addossato sui gropponi di ciascun festeggiante, illuso per magia di poter dare alla vita un nuovo corso -Puah!- Bisbigliò accompagnandolo con un gesto di ripulsa della mano, e seccato dalla logica conseguenza di codesti riti, responsabili di chiusura delle fonti pubbliche di ristoro. L’anno cominciava davvero bene, pensò, pur nondimeno non rinunciò a verificare. Le strade erano sgombre, inanimate, lunghi rami spogli, supini e martoriati da gelide punzecchiature, incupiti dai riflessi d’un cielo livido e disperante. La città era quieta, sorprendentemente silenziosa, calata in una suggestiva atmosfera di torpore, e però spesso la si vedeva sobbalzare sdegnata, o forse sembrava, specie dove mostrava le violenze ricevute, udendosi pure i lamenti della nobile decaduta. Bruno provò un empito di commozione: era troppo legato alla sua città. Fu sul punto di prometterle giustizia, e se non si fosse chiesto il come, avrebbe preso l’impegno con molto entusiasmo e poco successo, poiché per esperienza propria sapeva in quanto a sorte del disgraziato di non esserci verso di cambiarla, per cui si limitò ad esprimere il suo senso di solidarietà con molta amarezza. Trovò le saracinesche del locale abbassate. Ne sorrise con ironica autocommiserazione, e volle compiere tanto per camminare un giro di ricognizione per le altre cucine dislocate nella zona. Non s’era sbagliato, avevano dato forfeit. Tornò sui suoi passi spingendo l’attenzione attraverso la porta di vetro, senza entrare verso il banco dei bar con la tavola calda, a cercare i comparti delle teglie della pasta al forno ed i vassoi con altre vivande. Lungo il corso principale non ebbe fortuna, per cui proseguì ormai rassegnato a sopperire con qualche dolciume a tappare il buco apertosi nello stomaco. Raggiunse il bar della piazza rotonda, e ne varcò la soglia deciso ad uscirne con un involto di qualsiasi contenuto. Su un tavolo rettangolare s’allineava una sfilza di secondi piatti e contorni. Avrebbe potuto consumare lì stesso, seduto e riparato, ma allontanò l’idea di farsi pungere dalla curiosità del personale e commiserare del fatto di essersi ridotto in un giorno così fausto a consumare un pasto di fortuna, inchiodato in un angolo e tramestato dall’imbarazzo. La contrarietà sorgeva solo grazie all’indiretta partecipazione delle sue traversie a degli estranei. Gli sembrava dovessero trasparire da tutta la persona, anzi se ne sentiva l’incarnazione vivente e ad un individuo tanto geloso della riservatezza, questo non gli garbava. Il farsi incartare le porzioni e poi chiedere le posate di plastica avrebbe sanzionato la sua condizione di vagabondo, quindi orientò lo sguardo sulle guantiere dei pasticcini. Un cameriere con lo stereotipo, gentile sorriso, si offrì di servirlo e lui rispose impacciato -Veramente cercavo le arancine -C’è da aspettare cinque minuti circa- Gli rispose garbatamente l’inserviente. -Bene, allora aspetto- Concluse lui schermendosi. Aveva buttato lì quella richiesta senza convinzione, e invece la fortuna l’avrebbe gratificato con arancine calde, roba da stuzzicar gli anoressici. Si umettò le labbra, soddisfatto. Intanto cambiava il turno e lo sguattero prima di smontare si accinse a dare una passata detergente al pavimento. Appena gli arrivò vicino, quasi familiarmente, gl’indicò di spostarsi sul bagnato. Bruno ubbidì ed atteggiò un’espressione di scuse. Quegli scosse più volte il capo col proposito di fugare lo spontaneo dispiacere dell’avventore a dover pestare dove vi fosse stato appena passato lo straccio, e gli sorrise sinceramente cordiale. Era un uomo di mezza età, abituato alla fatica dei lavori più umili esplicati con servizievole consapevolezza di rendersi utile alla collettività, e sgobbava con buona lena, lieto di apportare il proprio contributo sociale. Certamente in quel momento era particolarmente contento non tanto per la conclusione della fatica giornaliera, la quale l’esercizio gliela faceva pesare poco, quanto per la pregustazione di vedersi già tra i suoi cari seduto e servito al desco eccezionalmente imbandito con dovizia. Nel frattempo dalla cucina portarono una bastardella colma di rotonde e conoidi crocchette di riso, deliziosamente fragranti. Alla cassa pagò per tre arancine ed una bibita in lattina. Porse lo scontrino al giovane immerso nel bianco della mezza divisa superiore macchiato dal nero cravattino a papillon intonato ai pantaloni, il quale lo ritirò assieme alla mancia ricambiando con un ringraziamento e l’insincera smorfia abituale di cortesia, ed eseguendo la richiesta di incartargli le arancine al burro e la bibita. Bruno fino a svoltare sentiva appiccicato lo sguardo del commesso scopritore nel giorno di generale letizia della sua fallimentare situazione di emergenza. Attraversò il sagrato della chiesa costruita da non molto e dall’architettura sbilenca, dirigendosi verso il parco completamente spopolato. Le nuvole s’avviluppavano in enormi cumuli bassi, lesti a sfondarsi, ma in compenso mitigatori delle buffate di tramontana. L’inatteso visitatore varcò il cancello con il timore d’un improvviso scataroscio e la speranza di non farsi sorprendere durante il tempo occorsogli per trangugiare il magro pasto. Andò a sedersi sotto le fronde dell’enorme ficus, ombrello della vasca coi cigni e del gruppo marmoreo del pastorello e della ninfa, straziati il primo dal macigno scaraventatogli addosso dal ciclope, l’altra, candido giglio di antitetico egoismo, dal dolore di dover assistere a causa del suo volersi conservare fedele alla tragica sorte dell’amato. Gemette di commozione. Però con determinazione s’impose a secondare i primi aneliti del suo risveglio di vita e senza por tempo in mezzo svolse il pacchetto. Prese la bibita, tirò l’anello e dopo la sbruffata, la sollevò con un cin cin all’anno nuovo, poi accostatala alle labbra ne bevve un sorso, subito riponendola perché essendo stata tenuta in frigorifero mordeva lo stomaco. L’arancina invece al primo morso fumò copiosamente. Pochi piselli e pezzetti di prosciutto cotto apparvero impaniati in una crema filante di formaggio. Fece pochi bocconi per ognuna, scolò la lattina, sparecchiò il sedile, ed andò a deporre nel più vicino cestino involucri e fazzoletti di carta, ruttando col frizzantino alle narici alla sola presenza di alberi imponenti. Uscito dalla villa constatò di sentirsi del tutto pago, tranne per il caffè, già stabilito di andarlo a prendere al solito posto. Mentre vi si dirigeva fu assorbito da una sensazione di piacevole rilassatezza e senza cercarne la ragione si dispose a godersela, camminando distaccato da alcun pensiero e tanto distratto da non accorgersi della macchina accostatasi al marciapiede e dell’amico con la portiera aperta in attesa di prenderlo a bordo. Dovette essere chiamato per nome prima di restituire alla mente le temporaneamente sospese facoltà percettive. Pensando a quanto avrebbe avuto da pensare ebbe difficoltà a convincere l’amico dello stato di totale svagatezza e perplessità verso se stesso. Si recarono ad un bar del centro a prendere il caffè. Risaliti in macchina la sigaretta fu d’obbligo dopo i pochi, centellinati sorsi dell’impagabile bevanda ordinata ristretta per aver voluto gustarne sin la quintessenza. Poco davanti a loro sulla soglia d’un negozio, all’angolo dello stipite con la saracinesca sedeva il posteggiatore, regolarmente abusivo, un pisellone un tantino matto. Era intento a scrivere su un foglio bianco da lettera, assorbito anima e corpo, eccetto brevissime divagazioni consistenti in boccacce e nei classici scatti d’un avambraccio trattenuto dalla mano, e indicanti il regalo offerto agli automobilisti in transito per il centro al momento a lunghi intervalli. Indossava larghi, informi, logori e sporchi indumenti sotto un cappotto anch’esso consunto, in testa un galero tarmato, calzava rotti tronchetti. Il bastone nodoso da pecoraio teneva posato di traverso all’inguine, sulle cosce. Aveva facile ispirazione e pareva possedere buona istruzione poiché scriveva con velocità e disinvoltura. Ogni tanto si fermava a rileggere, o vi faceva finta, biascicava per pochi attimi, e poi tornava alla stesura. Le uniche pause concessesi erano quelle durante il passaggio delle vetture, dedicate al colorito saluto osservato zelantemente e indistintamente per tutte. A volte vi aggiungeva un supplemento allusivo alla violenza sodomitica, e subito sotto a sciorinare pensieri. Bruno sembrava incantato a guardarlo, ed all’amico pronto ad avviare il motore gli trattenne il braccio, confessando la sua curiosità a conoscere il contenuto di quella compilazione, alimentato dallo straordinario fervore dell’autore. -Cosa vuoi che possa scrivere un imbecille perdigiorno? Scarabocchi, una serie interminabile di scarabocchi! -Sì, però sii gentile, restiamo ancora un pochino. D’altronde con un diluvio incombente dove vorresti andare? -Ti vedo strano, forse ti sei troppo abbuffato a tavola! -Puoi starne certo, no. Sono curioso, soltanto curioso -Lascia perdere, andiamo -Sta’ fermo, ti prego, aspettiamo che finisca. Dovrà pur stancarsi. E poi in questo momento l’invidio -Una bestia come quello! -Perché bestia, scusa? -Non lo vedi com’è ridotto, senza decoro, a pulire le soglie dei negozi, un omone di quella fatta, anche oggi! -E’ un povero diavolo, abbandonato da tutti -E chi ci potrebbe stare con un tipo simile? -Già è vero, hai ragione- Tagliò corto Bruno per non aprire una penosa polemica. Intanto il disgraziato da una tasca interna della giacca tirò fuori una busta rossa, e dopo averlo ripiegato vi custodì dentro il foglio, riponendo la lettera nella stessa tasca. Poi si alzò, e avvicinandosi dinoccolato chiese loro da fumare, con un ridere sincopato. Bruno gli porse il pacchetto di sigarette, invitandolo a prenderne più di una, nello stesso tempo approfittò per conversare senz’ombra di scherno -Ha scritto un poema! -Fesserie, per passatempo- Rispose l’omaccione, con un frammento di riso simile ad un colpo di tosse. -Ce le legge?- Azzardò Bruno sinceramente curioso. -Sono sciocchezze- Replicò con un altro frammento di riso lo sventurato. -Che importanza ha, ce le legga lo stesso- Insistette Bruno cordiale. -Ho fatto la terza elementare, quindi sono poco abituato a scrivere, non sarei in grado di capire quanto scritto- Confessò intramezzandovi i colpetti di riso, e allontanatosi un poco indietreggiando, si produsse in una dura requisitoria contro gl’imperialisti americani, continuando a guardare in direzione dei due, a suggere ingordamente la sigaretta, a ridere sconnessamente e a rivolgere alle macchine diventate più numerose i gesti di prima dettati più da fissazione che da risentimento o disprezzo. Bruno e l’amico rinunciarono a seguirlo in quella stura al delirio. -Soddisfatto del suo passatempo? Ho avuto ragione io sugli scarabocchi. Cos’altro ci si potesse aspettare!- Continuava l’amico con aria di vittoria a rinfacciare all’altro completamente distratto, da sobbalzare sotto lo scotimento ricevuto per la manica del giaccone. -Ah sì, è vero. Hai ragione- Ammise Bruno senza averlo seguito e solo per compiacerlo ancora una volta. L’amico continuò -Vedrai, appena ci muoveremo con la macchina, se anche noi non ci prenderemo un ben servito da questa specie d’idiota! -Ce lo saremo meritato- Rispose con franchezza Bruno. Intanto i venti avevano compresso le nuvole e stavano tentando di schiacciarle al suolo avvolgendo ogni cosa d’una cupa ombra. Una quiete improvvisa restò sospesa nell’aria per pochi attimi, preannunciando l’imminente rovescio. I primi goccioloni schizzarono sparati sull’asfalto. In breve davanti il parabrezza la pioggia stese un fitto lenzuolo opaco. Il reietto paranoico con preveggenza animalesca aveva capito in tempo di cercarsi un rifugio ed era sparito di colpo, trovandolo di sicuro al bar. La strada diventò l’alveo d’una fiumara traboccante e schiumosa di luridume. Quella sera Bruno seduto a tavolino in camera sua non si decideva ad avviare la lettura sulle righe del libro aperto davanti a sé. Era decisamente svogliato, non desideroso di sonno, svogliato. Spense la luce, restando seduto. Sentiva gravare l’animo e nello stesso tempo non riusciva ad aggirare il greve sentimento impegnandosi nella lettura come altre volte. Ripensava al pomeriggio controvoglia, poiché gli ripugnava lo squallore di certi aspetti dell’umanità, nonché l’indifferenza della risposta sociale. E più cercava di rifuggirne il ricordo, più gli si ripresentava assiduo ed insinuante -Che ci posso fare io!- Esclamò con rabbia a mezza voce -E’un perdente... E’un perdente- Ripeté sconcertato, bestemmiando dopo averlo classificato alla stessa stregua d’una sua vecchia conoscente -Quel sempliciotto mattacchione, un perdente? In quale competizione? Forse da quella ingaggiata lì, seduto dietro una saracinesca, appagato e deliziato dalle evoluzioni d’una patetica disgrafia, dimenticato da tutti nel giorno della celebrazione dell’amicizia. Un essere cui la civiltà gli aveva cancellato l’istinto dell’animale a sapersi mantenere per ridestinarlo così gravemente mutilato all’originario habitat e per giunta declassarlo alle specie più repellenti, come quelle del topo, del pipistrello, del verme, più verme che gli altri due, perché innocuo e rassegnato. Costui è un perdente? Un uomo ignaro del significato della lotta o della sua funzione, un imbelle patologico, un perdente? Quante miserie su questo pianeta illuminato da un sole appena tiepido! E quali bassezze tessute da schifosi pidocchi abbarbicati sulla buccia d’una mela vizza! Una gran bella vittoria conseguita su un inerme! Gli si ripresentava l’espressione del viso dell’amico, severa, irritata, sprezzante e ne coglieva il disagio e la preoccupazione successivi riguardo la possibilità d’esser mandato a quel paese da "questa specie d’idiota", lui, un appartenente alla casta dei vincitori. Sarebbe stato pure mascalzone per prendersi simili libertà con una persona per bene. Un lavoratore inappuntabile, impegnato col sudore della mente a mandare avanti la baracca, fatto oggetto di sodomia da un miserabile perdigiorno, senza proprio decoro e rispetto per quello degli altri. A qual punto si era arrivati! Gli sembrava di sentirgliene sfogare i pensieri. Da parte sua, Bruno, temeva per lo sciagurato emarginato di non essere riuscito a procacciarsi nemmeno il pasto, seppur parco come quello da lui consumato sotto ospitali fronde, mentre immaginava tra vivande prelibate le schifiltosità dei signori col ventre zeppo, il panettone, lo spumante, il digestivo, i distinti ruttini, il silente, accorto spetezzare... Gli si era accesa la fantasia. Gli sembrava di trovarsi di fronte alla ribalta di un teatro ad assistere allo spettacolo della vita. Una fievole luce perforò l’oscurità e si andò a posare su un oggetto sospeso a mezz’aria, ritto, indistinto, cangiante. Sembrava un enorme pene, ma c’era poca luce; ai suoi piedi un’informe accolta muta e dimenante. La luce rinforzò un poco e l’oggetto rifranse deboli raggi. Si trattava di uno scettro? Bisognava attendere un’ulteriore schiarita. La massa di materia vivente continuava a dimenarsi instancabilmente. Bruno seguiva affascinato l’evolversi della situazione. Era concentrato al massimo, intento con lo sguardo a scostare le tenebre nel tentativo di tirare fuori la realtà. L’emozione cresceva proporzionalmente alla rappresentazione proiettata dalla sua mente sul palco. L’alba mentre avanzava, per un verso sformò l’oggetto indefinito curvatosi alla sommità come il manico di un pastorale, dal quale sporse bifida lingua contorcendosi tutto prima di volatilizzarsi, per l’altro chiarì l’identità della calca: un brulichio di vermi indaffarati a protender la testa invano verso quel punto dove il talismano sentivano aleggiare come una presenza trina, e per amor suo smaniavano infelici senza tregua ed eccezione di rango: prelati, capitalisti, intellettuali, politici, militari, togati, professionisti, artigiani, impiegati, operai, disoccupati, diseredati... aggregati in stomachevoli grovigli! Fremette inorridito a vedere l’umanità ridotta ad una carcassa divorata dai vermi, e lui là in mezzo -Non può essere- Si ribellò bestemmiando -Io sono un dio. Non ho niente da spartire con costoro. Io amo, anzi ho amato, sì ho smesso, mi hanno costretto a smettere, ma non ho rinunciato, ricomincerò, in modo diverso però. Bastardo rettile non ti farò avvicinare. Sputa altrove il tuo veleno se non vuoi essere schiacciato da me. Camminerò dritto, anzi mi eleverò sui tuoi servi ubriachi- Si stropicciò gli occhi, il sonno lo lusingava, ma si sentiva incollato alla sedia e decise di respingere l’invito. Riprese il contatto interrotto, amareggiato al massimo. Ricomparve l’abietto verminaio rigurgitante. I viluppi accavallandosi aprivano piccole radure da dove sbucavano delicate foglioline tremolanti per lo scrollarsi della viscida bava alla quale erano soggiaciute e sbattendo più decise, appaiate in coppia, sollecite fuggivano. Pieridi, macaoni, vanesse si levarono in volo aprendo una speranza nell’animo di Bruno finalmente più calmo. In confronto all’ammasso era un esiguo sciame. Vi scorse il posteggiatore, qualcun altro conosciuto e non sospettato, nessuno invece di coloro stimati di poter essere ritrovati lì. Cercò di sé senza esito, ma non se ne rammaricò perché sapeva che presto anche lui sarebbe diventato farfalla. Di scatto s’alzò dalla sedia, accese la luce della stanza, si avvicinò all’armadio e vi frugò tra le grucce appese, tirando fuori pullover, magliette, camicie, ricevuti in regalo dall’immeritevole ex compagna, e tenuti conservati con grande devozione, compresi i capi più antichi ormai smessi perché sbiaditi o bucati. Dopo averli individuati, li sfilava con rabbia e li scaraventava sulla panca di fronte come indecorosi stracci. Poi tornato al tavolo vi tolse gli oggetti d’uso della stessa provenienza: primo fra tutti il freddo accendino d’acciaio con il quale era solito consolarsi della lontananza le volte in cui accendeva una sigaretta senza la presenza di lei, la penna indorata, il portassegni ancora tenuto dentro la custodia di cartoncino e sul quale era stata spesa tanta ironia, il disco di musica leggera con il loro brano propiziatore, un apribottiglie da lei portato al picnic nel bosco in collina e di cui ne era rimasto in possesso. Ne fece un mucchietto e andò a buttarlo sull’altro degl’indumenti, infossandovelo con le mani. Ebbe un attimo di tristezza a constatare le passate preziosità ridotte a ciarpame. Reagì con un inusitato moto di sdegno stabilendo di riporre tutto in uno di quei neri sacchi plastificati da procurarsi presso il netturbino del quartiere, dopo di che si sarebbe recato allo stesso posto dove la prima volta insieme a lei aveva toccato il sublime, restituendo all’ispiratore iniziale, il mare, da dove aveva visto emergere l’Amore, i rancidi avanzi d’una convivenza immaginata magnifica e risultata infetta. Inoltre decideva di partire lontano e per sempre, verso l’ignoto, con gli effetti personali e il denaro di cui disponeva. Si mise sotto le coperte con l’euforia del nuovo ordinamento di vita. Sradicava dalla sua terra, e di questo provava dispiacere; si sottraeva all’amorevole tirannide della famiglia sfruttata dallo Stato per tenere sotto controllo le vittime dei suoi arbitri. Non avrebbe dato il tempo a sua madre di dominarlo nuovamente. Finalmente si era deciso ad incamminarsi verso l’emancipazione! Fuggiva lo smanceroso, ipocrita ambiente, imputridito dall’egoismo. Pregustava la gioia di un’incondizionata libertà, la libertà assoluta, il dominio del mondo. Si recava ad ispezionare le sue proprietà costituite da nazioni e popoli, e raggiungendole per mari e monti, vi si stabiliva fino a saziarsi e riprendere l’itinerante soggiorno. Avrebbe respinto le tentazioni di qualsiasi relazione, avrebbe tenuto lontano i suoi simili, amandoli tutti in ugual misura: questo sarebbe stato l’unico modo di esistere degnamente e piacevolmente. Pensò per un attimo ai soldi presto finiti -Che sciocco preoccuparsi di denaro, un signore del mondo!- Commentò convinto, sbaragliando l’infondato timore. Sbadigliò debolmente, più forte, finché il sonno non lo rapì, con la libertà nel petto. Esso volle stuzzicargli la coscienza facendolo a tratti sobbalzare con domande inquietanti. Ciononostante si svegliò riposato come non accadeva da tanto tempo, beneficio dedotto di averlo meritato grazie allo stato di rettitudine in cui versava con le ultime decisioni. Guardò sulla panca le cianfrusaglie e provò l’ultimo moto di pena verso se stesso. Non sarebbe ricaduto nell’errore in cui conduce l’ingenuità delle illusioni. Adesso era forte, si sentiva un uomo sicuro e lo avrebbe dimostrato col sopraggiungere della primavera. Volle darsi una prova della conquistata maturità decidendo di smettere di fumare e senza porre tempo in mezzo, si alzò, prese dal tavolo il pacchetto di sigarette, lo appallottolò e lo lanciò sulla congerie di nefasti souvenir. Sopra l’armadio scorse l’astuccio del flauto. Allungò il braccio, era coperto di polvere, nonostante ciò lo carezzò con vero affetto. Provò il rimorso dell’abbandono per aver ripagato con la dimenticanza la docilità dello strumento sotto le sue dita. Gli promise non appena si fosse rinfrancato di dedicarvisi tanto da farsi perdonare l’ingratitudine di averlo sacrificato sempre ad indegni concorrenti quali il lavoro e l’amore. Ne poteva star sicuro in quanto anche se non brillasse per intelligenza era saggio quanto occorresse per prendere insegnamento dalle esperienze negative, specie dopo il flagrante, volgare tradimento di ambedue gli ideali... Bisognava scendere. Non era una delle innumerevoli fermate, bensì l’ultima. Per convincersene, guardò fuori dal finestrino il disteso avvicendarsi di binari e banchine. Stiracchiò le membra. Si alzò. Appese il sacco in spalla. Fischiò alla cagnetta impaziente di lasciare la carrozza per sgranchirsi. Si chinò per farle una moina e la lodò con voce riconoscente -Brava Nichitta, hai imparato a viaggiare in treno. Ti sarai ricordata di quando ci han fatto scendere Avviandosi, con tono grave continuò a comunicare con la bestiola intenta a prestargli l’orecchio e in grado di comprendere i diversi stati d’animo ispiratori dei suoi messaggi Stiamo entrando in una fase difficile. Ci vorranno dei grossi sacrifici per adattarci. Ma non sarà poi tanto dura, vedrai: assieme sapremo affrontarli. Sai, qui ci troviamo nella città più bella del mondo, avrai da vedere meraviglie a non finire, tante da non esser creduta nel raccontarle a qualche tuo simile Bruno stava per uscire sulla piazza, ma attraversato da un’idea subitanea, fece dietrofront. Andò a cercare sulla tabella degli arrivi e partenze. Consultò l’ora in uno dei tanti orologi elettronici esposti sulle colonne dell’ingresso ai binari. Si volse all’animale con l’invito alla comprensione -Ti prego di scusarmi per l’occasione mancata di farti visitare la capitale del mondo. Ci restano solo meno di due ore. Io credo, se la fortuna ci vorrà aiutare di poter finalmente chiarire il mistero della fattoria. Vieni, andiamo a fare il biglietto per Firenze, la nostra nuova destinazione Scesero dal treno allo spirar del crepuscolo. Bruno camminava a tratti sospinto dall’entusiasmo per l’inizio dell’avventura e a tratti in preda allo scoramento dinanzi a insistenti visioni di fastidi derivanti dal nuovo ordine di esistenza. La situazione era complicata dalla presenza di Nichitta, la quale non intendeva staccarsi da lui nemmeno per breve. Bruno volgendosi a guardarla, mentre essa felice di potersi dedicare interamente al diletto padrone, perdute le altre distrazioni, arrancava sulle sue orme, la rimproverò facendola guaire -Testona, cosa poteva mancarti in campagna tra persone tanto sollecite e due marmocchi disposti ad amarti più che ad una sorella, ed ora chissà in preda a quale dispiacere per la sparizione di un’ingrata del tuo stampo? E tutto questo per seguire un romantico sconfitto, preso a consolarsi con le confessioni a una perdente della sua stupidità! Lo capisci almeno in quali difficoltà mi metti? Come posso sperare di trovare un letto con te alle calcagna? E non guardarmi così compassionevole, tanto non attacca! Ma da dove mi sei piovuta? Non c’era altri di cui potevi invaghirti? La bestiola incassava continuando a lamentarsi mortificata e a non levargli di dosso gli occhi supplichevoli a rabbonirlo. Bruno s’impietosì presto, e non resistette a non cedere a un riso di capitolazione. L’animale con saltelli di gioia girò due volte attorno al suo prigioniero prima di fermarsi a dimenare il ponpon soddisfatta. -Contento e gabbato- Sospirò Bruno -Comunque sei stata brava. Mi ha fatto bene aprirmi con te. Ringrazio la mia confessora. Allora merito l’assoluzione per tanta idiozia?Chiese fiducioso, e riprese a ragionare con la carceriera intenta a seguirlo attentamente interessata. Nichitta per camminargli a lato senza distogliere lo sguardo comunicante, simile a quello d’una persona intelligente, dall’altro del parlatore, ogni tanto prendendo un colpo sulla zampetta emetteva un guaito di dolore. -Se mi stai così appiccicata finirai per prendere altre pestatine, non posso evitarle. Lo so è fiato sprecato, ma a me dispiace ugualmente. Comunque ti dicevo...- Le ammetteva di avere da esserle in fin dei conti riconoscente, in quanto senza la sua compagnia forse non si sarebbe mai deciso a prendere quelle abitudini, imposte dalla nuova condizione. Avrebbe cominciato col cercarsi una pensione e permettersi un letto che non poteva concedersi in una qualsiasi famiglia in quanto la società attuale lo passa solo ai violenti, ai servi, ai tutelati in vario modo. Lui in qualità d’indisciplinato pacifico non ne aveva diritto. D’altronde chi era mai per attendersi trattamenti di riguardo? Un qualunque impiegato amministrativo, uno degli elementi più eccedenti della grande macchina produttiva di cui non serve affatto l’utilizzazione, e quindi un pezzo di ferraglia da buttare via, un inetto alla ribalderia, alle accomodature, uno stupido con pretese da utopista. Era proprio deciso a continuare a coltivare assurdi sentimenti di libertà, dignità ed amore? Che si rassegnasse al meritato bando! Peggio per lui se avesse voluto continuare a snobbare le regole del vivere civile. Cercava forse un premio alla sua condotta sabotatrice? Apprezzamento e non condanna per l’esempio pericoloso da lui rappresentato? Legittimazione della sua insubordinazione? Aveva sputato sul piatto in cui aveva mangiato sino ad allora! Non si lamentasse dunque di piangerne le conseguenze! Aveva perduto e basta! Il letto era un lusso riservato ai più giudiziosi. Si passò una mano sulla faccia e si stupì di trovare troppo cresciuta la barba di un giorno. -E’ tempo della crescita libera del pelo- Confidò a Nichitta -Così pure per te. Ci riaccosteremo alla natura, e tu in questo mi sarai di valido conforto Si svegliò con le ossa ammaccate. Si sentiva segnato dalle assi di legno della panca. Nichitta gli era giaciuta accanto e il gradevole riposo le aveva messo addosso più vispezza che mai. Durante la notte la sala d’attesa della stazione era stata affollata di viaggiatori sospesi tra le coincidenze, per lo più giovani d’ambo i sessi, i quali stesi sul pavimento, lo zaino per cuscino, avevano trovato comoda la positura -Tetragona giovinezza!- Espresse malinconico. Dopo aver soddisfatto alla meno peggio le esigenze igieniche lasciò l’alloggio di fortuna di mattina presto. Fu un giorno lungo, intenso, duro. Camminò tanto da formarglisi le piaghe ai piedi. S’informò nelle agenzie, chiese consiglio al personale dei locali dove s’era fermato a ristorarsi, domandò ai vari artigiani delle botteghe visitate lungo il vagare, se nel loro vicinato avessero conoscenza della disponibilità di un qualsiasi abituro a buon mercato. Non ci fu verso nemmeno per coltivare una speranza. Affranto e scoraggiato, si abbandonò in un angolo di un ampio portone ad attingere un ritaglio di sollievo ed appena avvertì un piccolo ravvivamento di forze cominciò a monologare con la fedele compagna -La faccenda si mette male. Non tanto per te, in grado anche se la civiltà ha provato a snaturarti a conservare ancora il tuo bravo istinto originario, ma per me ormai privo d’ogni ricordo. Vedi, quando tu devi fare il bisognino, fletti le zampette e ti togli il pensiero. Io ho bisogno del water, se no, non si defeca, possono pure esplodere gl’intestini. Mi porterebbero dentro a causa della civiltà. Il bidè per lavarmi dopo essermi pulito con un tipo di carta soffice. Anche questa è civiltà. Occorre un lavandino e molta acqua, per pulire la bocca, lavare la faccia, le ascelle, il petto, di tanto in tanto fare lo shampoo, una doccia completa, così vuole la civiltà. Inoltre ho da cambiare la biancheria spesso, le camicie, i calzini, i fazzoletti, sempre per civiltà. La civiltà mi ha abituato ai cibi cotti, a un letto, a un tetto. Tutto questo prescrive la civiltà in maniera categorica, e quando ti mette sul lastrico non cessa di pretenderlo, anzi fa di più, ti colpisce nelle tue relazioni private, sentimentali. Le persone di cui pensavi di poterti fidare ti disapprovano, si irrigidiscono, ti maltrattano, nei tuoi confronti assumono atteggiamenti di sopportazione. La civiltà è sofisticata schiavitù al più alto grado di capziosità, corruttrice della maggior parte dell’umanità sino negli affetti più genuini, e sperar di trovare questi diventa più velleitario di pretendere di coglier ninfee dall’adusta sabbia del deserto, per cui vi si deve rinunciare ed imbrancarsi se non ci si vuol ritrovare nomadi come noi due. Non si può tornare indietro. La comunità si è organizzata secondo civiltà e tu sei costretto ad ottemperare ad essa, sia quando pretende, sia quando nega. Non è originale? La civiltà porta all’individualismo, all’egoismo. Sai tu cos’è l’egoismo? No? Peggio per te, non sai che ti perdi! Eppure lo conosci anche tu. Dunque, dicevo, dove conduce la civiltà: a sfrenate passioni. Si perdono i valori morali veri, contrabbandandoli con altri falsi, e la società si trasforma in una giungla. Pure gli affetti si sono dileguati, ne rimangono soltanto i simulacri, e fino in seno alle famiglie essi vengono scimmiottati più per un ipocrita senso di dovere che per un autentico corrispondere di amore. Questa è la civiltà da me conosciuta. Ma sono chiacchiere perse! Rimane il fatto che se le cose continueranno ad andare come oggi, vorrò vedere quale punizione ci affibbierà la civiltà- In un punto della schiena irraggiungibile dalla mano, avvertì un prurito petulante. Mentre si accingeva ad aiutarsi a domarlo con lo stipite del portone, giratosi di fianco, al centro in alto scorse una croce. Balzò in piedi sacramentando per non essersi accorto peggio di un cieco della caratteristica vistosamente esibita dalla dimora dello Spirito e tuonò contrariato -Grazie don Sortino, del vostro conforto inconsapevolmente ricevuto, me ne vergogno- Si disse che una giornata iellata non avesse potuto concludersi in modo diverso e sorrise di autoderisione, prima di riprendere la marcia. Nonostante avesse la testa invasa da seri problemi non poté ignorare l’attrazione dei luoghi. Specie in centro fu sbalordito dalla magnificenza di opere eccelse e rapito dalla suggestione storica godette momenti di glorioso passato. Raggiunse la stazione quasi zoppicante. Si rassegnò a passare la nottata nella stessa sala. Era scesa la sera senza che lui avesse risolto un bel niente. I giorni a seguire furono altrettanto infruttuosi. All’alba del sesto giorno fu scosso per una spalla. Aprì gli occhi dopo aver sobbalzato. Davanti a lui due agenti di pubblica sicurezza gli chiedevano i documenti. L’abitudine a quel ricovero aveva dato nell’occhio soprattutto a causa della compagna e qualcuno lo aveva denunciato per vagabondaggio. Uno dei due questurini dopo aver controllato la tessera cominciò ad interrogarlo -Lei non è del luogo. Cosa fa qui in stazione, è in attesa di partire o di qualcuno? -No, solo in attesa che faccia giorno -Se ho ben capito lei è senza domicilio -Per l’appunto -Allora deve seguirci -Dove? -In ufficio -Mi troveranno loro dove andare? -La rispediamo a casa -Io non ho casa -Noi abbiamo il dovere di farla rientrare nel comune di residenza risultante dai suoi effetti personali -Cioè, mi si fa rientrare da dove sono scappato -Perché cosa è accaduto?- S’interessarono con professionalità, i due agenti. -Niente di quello che potrebbe far scattare l’allerta, incresciose faccende familiari. Non ho commesso reati, sono pulito -Comunque, noi abbiamo da far rispettare le norme! -Così! Giocando con le persone come con le palline a ping-pong? Perché di questo si tratta. Voi mi rispedite laggiù, ma siccome io non ci voglio rimanere, non mi resta che riprendere la strada già percorsa, riproducendo la stessa infrazione con il bel risultato di ingaggiare un botta e risposta chissà quanto lungo -Non credo poi tanto- Lo tranquillizzò il più serio dei due -La prossima volta il giudice potrà assegnargli gli arresti domiciliari -Cosicché, in nome della tanto celebrata libertà dell’individuo, la legge può impormi una convivenza dagli esiti imprevedibili -Non sta a noi entrare nel merito del provvedimento. Noi siamo solo umili esecutori -Ma, con qualche margine di discrezionalità. Vedete, la mia aspirazione è solo quella di allontanarmi da persone non più tollerate, e questo si ottiene uscendo dalla coabitazione familiare, non con il consegnarmi a loro di nuovo a forza, né in alternativa una volta rientrato, mi assegneranno la disponibilità di un alloggio tutto per me. Ve lo assicuro, una evenienza del genere in Italia non sta né in cielo, né in terra. Allora tanto vale restar qui, nella città in cui ho scelto di vivere -Ci risulta che da una settimana ha preso a passare la notte qui -Quasi una settimana, ma il punto non è questo. Io non ho alcuna intenzione a diventare un habitué del posto. Guardate- Estrasse da una tasca dei pantaloni il gruzzolo arrotolato, lo dispiegò sul palmo della mano e invitandoli a prenderne atto proseguì -Io ho del mio, non chiedo la questua. Questi giorni ho cercato un buco come un pazzo. Non mi è riuscito di trovarlo ancora, e tuttavia non ho rinunciato a continuare nella ricerca. Non ho nessuna intenzione di rompermi le ossa su questo maledetto, legno duro -E va bene, vogliamo crederle, però se non vuole fastidi, ci deve garantire di sloggiare dal centro -Non è un problema con la buona stagione. E’ promesso -Suvvia allora, muoviamoci Bruno fischiò a Nichitta e con un cenno di capo la spronò a seguirlo, invitandola a capire -Contribuiamo a mantenere la facciata dignitosa Non bastarono né l’intenzione, né la buona volontà a soccorrerlo. Dovette continuare ad arrangiarsi. Passò le notti in posti sempre diversi e più mimetizzato possibile per non attirarsi altre noie. Di giorno vagava da un capo all’altro della città, sia a piedi, sia in autobus. Un pomeriggio prese il bus nella direzione sbagliata e si trovò dopo una lunga corsa ai confini della periferia con la campagna. Rise della disattenzione e non gli dispiacque assaporare l’imprevista tranquillità olente. Si allontanò dall’abitato attratto dalle villette isolate, dislocate nei poderi. Ognuna di esse era circondata da aiuole ben curate e giaceva a buona distanza dalle altre. Una costruzione più antica e più modesta colpì la sua attenzione per la trascuratezza in cui versava. Tutt’attorno vi lussureggiava l’erba alta, ma a destargli maggiormente interesse, furono alcune tegole rotte del tetto. La casa non era abitata. Provò l’esigenza di effettuare un approfondito sopralluogo, esigenza dettata da una mezza idea di sfruttare l’occasione se avesse rilevato incoraggianti segnali. All’ingresso un cancello in ferro battuto era stato serrato con due giri di catena d’acciaio assicurata ad un lucchetto. Era facile scavalcarlo, però Bruno preferì vagliare altre possibilità di accesso. Imboccò una stradina limitante uno dei confini, e ispezionò la recinzione in rete metallica interamente arrugginita. Ad una cinquantina di metri una smagliatura era stata riparata dozzinalmente. Era un gioco ripristinare l’apertura. Con le mani allentò il fil di ferro e scostò la riparazione. Ottenuto un discreto varco, dopo aver deposto al di là del muretto Nichitta e il sacco, Bruno sgusciò piano ed attento a non sdrucire la camicia. Attraversò l’incolto vigneto sino all’uscio di casa. Il legno della porta in più punti presentava le macchie delle scrostature della verniciatura, e s’era gonfiato e spaccato. Il guasto non consentiva il combaciamento delle due bande e a rimedio di tenerle chiuse vi era stato avvitato su ognuna un anello, dai quali pendeva un catenaccio. Quella misura non dava certo garanzia di resistenza neanche al più semplice tentativo di forzatura. Bruno cercò in giro un qualsiasi arnese atto a schiavardare. Su un sedile rustico trovò una lima senza manico. La impiegò a fare leva sull’anello più malfermo estirpandolo ai primi attacchi, come un dente dall’alveolo piorroico. All’interno la casa sprigionava odore di tanfo. Le due stanze erano arredate con mobili vecchi, pur nondimeno al visitatore gli sembrò una reggia. Questi stette alcuni minuti al centro del vano immaginando di stabilire l’iniziativa da prendere, poi andò in cucina e fu soddisfatto sia dall’ampiezza, sia degli utensili, aprì la porta dello sgabuzzino, ispezionò il bagno completo di tutte le comodità, infine decise di andare a chiedere nel vicinato informazioni sul proprietario. Fischiò a Nichitta impegnata ad eseguire una propria esplorazione e risistemati uscio e rete diede inizio alla ricerca. Raggiunta la zona residenziale all’indirizzo ricevuto lesse su una targhetta il cognome appuntato da una vicina di campagna su un foglietto di carta. Ebbe un momento di esitazione. Si accarezzò la barba ancora giovane e perciò ispida da pungersi, ravvivò i capelli con la mano, sistemò bene la camicia alla vita, batté i piedi sul selciato per spolverare le scarpe, si decise a suonare. Attese senza un risultato. Intanto dietro di lui un anziano signore prese a giocare con la cagnetta, solleticandola e facendola saltare ringhiosa nel tentativo di riuscire ad addentare la mano provocatrice. Bruno premette il pulsante ancora inutilmente, poi chiese all’anziano -Abita qui il dott. Marini? -Sì, sì- Gli rispose quello svagato, e divertito continuava a giocare con Nichitta, la quale non riuscendo nell’intento di morderlo, innervosita continuava a minacciarlo seriamente con secchi abbai. -Lo conosce per caso?- Domandò ancora Bruno. -Mi chiede se lo conosco, giovanotto? Quel tanto consentitomi. Mi guarda come se non fosse convinto della mia risposta -Oh no davvero, per quanto m’interessi, credo che basti. Desideravo solo sapere di più sul tipo d’uomo -Dovrebbe chiederlo a qualcun altro -Allora non lo conosce affatto -Non tanto da poter appagare la sua curiosità -Insomma lo conosce, oppure no? -Voi giovani fate presto a spazientirvi, specie quando il prossimo non vi torna utile come vi aspettate -Mi scusi sono stanco e preoccupato -Lo noto -Vede, io ho bisogno... -Lo so -Cosa sa? -Che lei ha bisogno del dott. Marini -Per me è importante -So anche questo. Al dott. Marini gliel’ho sentita ripetere tante volte la storia di diventare importanti solo quando si è in possesso di quello richiestoci -Lei si sta prendendo gioco di me -Niente affatto, posso dimostrarglielo. Mi segua. Lei parte dal sud, si sente dalla parlata, è siciliano e potrei anche dirle di quale provincia, arriva sin qui a Firenze e per motivi suoi vi si vuole fermare per molto tempo. Quindi ha bisogno di fare economia in quanto i mezzi sono scarsi. Cerca un alloggio a buon mercato, ma qui non è facile trovarlo, perché sappi giovanotto che il prezzo dell’offerta è legato all’intensità della domanda. C’è molta richiesta, capisce, per questo manca la disponibilità, e se rimane qualcosa, diventa inaccessibile. Lei non si perde di coraggio, gira in lungo e in largo andando a finire anche in campagna. Non mi guardi sbalordito, non sono indovino, si vede: scarpe impolverate, qualche lappola appiccicata ai pantaloni o impigliata nel pelo della barboncina, un leggero strappo dietro la camicia, prodotto forse da un non proprio impeccabile sgattaiolare verso una casetta disusata da lei abusivamente visitata, e trovata presumibilmente rispondente sia alle aspettative quanto alla sua portata -Come fa a sapere tutto? -Semplice, le notizie per telefono corrono più veloci che se date di presenza. Come adesso può capire, io la stavo aspettando. Qui in istrada perché ho da sbrigare delle faccende -II dott. Marini? -Per l’appunto -Oh! Sono lieto di conoscerla- Espresse subito Bruno, stringendogli la bella mano, morbida ed affusolata. -Anche io, pur se non mi piace diventare importante -Se è per quello, lei è simpatico senza che me ne venga niente -Grazie giovanotto. Allora sentiamo -Oltre ciò che sa, c’è ben poco da aggiungere, a parte le scuse per l’irruzione non autorizzata -Lasci correre. Mi dica piuttosto quali sono i problemi -Se lei acconsente di darmi la casa in locazione... -Penso le servano le chiavi. Ecco le avevo portate con me -E per i soldi? -Non mi dia motivi di pentirmene -Io desidero pagare, altrimenti non saprei come disobbligarmi -Sono io a restare in debito con lei per aver goduto il piacere di aiutarla -Ma se mi conosce appena! -Un viaggiatore come lei è un pellegrino della libertà. E gli amanti della libertà sono gli unici amici miei, giovanotto, e tanto cari in quanto sempre più rari. Finalmente la casa ha trovato l’ospite degno, ed è doveroso spalancargli le porte. Mi conceda solo di venirla a trovare di tanto in tanto -La casa è sua -La casa è sempre di chi vi abita -Se è così mi darò pensiero fin quando non l’avrò rivista -Arrivederci, debbo proprio andare, cercherò comunque di tranquillizzarla presto, e buona fortuna- Offrì a Nichitta un gesto schermistico facendola abbaiare di rancore, le espresse la speranza di diventare amici, poi rivolse a Bruno un altro sorriso d’intesa, e si allontanò speditamente. -Che strano tipo!- Mormorò il pellegrino giocando con le chiavi ed accompagnando con lo sguardo il simpatico benefattore. L’abbigliamento giovanile, l’andatura prestante e una contagiosa giovialità nei contatti umani contribuivano a mostrare un’età più verde della probabile effettiva. Non si capiva cosa avesse potuto svolgere nella vita, quale lavoro intellettuale. Oltre all’istruzione, cultura ed all’intelligenza, il suo gioiello più prezioso restava, l’appassionato culto della libertà. Forse era un filosofo. Chiunque fosse si comportava con stranezza, poiché un gesto come il suo non lo si riceve facilmente da un prossimo esclusivamente ispirato all’egoismo –Be’, lo scopriremo presto, vero Nichitta? Per il momento compiacciamoci di avere un ricovero!- Concluse le sue considerazioni Bruno con indicibile soddisfazione. Si svegliò riposatissimo. Il letto ampio una volta e mezzo quello di casa gli ricordò le circostanze in cui ne avesse desiderato un tempo uno eguale, e tuttavia pur nel condizionamento di non averlo avuto, la fruttificazione delle più dolci evoluzioni di illusoria felicità, se il tempo non ne avesse svelato la vera essenza, avrebbe potuto immortalarsi di incomparabile invece che di volgarità. Il primo bisogno provato dopo essersi alzato fu quello di spalancare la porta, e uscire fuori a respirare la balsamica aria di campagna, ovviamente con la cagna appresso. Trasalì nel trovare seduto sul sedile rustico del cortiletto il padrone di casa, flemmatico ad attendere la sua comparsa. Nichitta, lanciandosi all’attacco e fermandosi a debita distanza, gli digrignò i denti ringhiando. L’anziano signore gradì la provocazione e con accattivante disposizione le si avvicinava, mentre la barboncina rinculava abbaiando. Allora prese a rimproverarla bonariamente -Non vuoi simpatizzare con me, vero? Ed io stupido ad avere per te tanti riguardi. Ti ho portato persino il latte per la colazione- Poi si rivolse a Bruno -Non gli sono simpatico. E’troppo geloso -Gelosa, è femmina -Ora mi spiego tanta avversione per un povero vecchio, è innamorata del suo padrone. Voglio però vedere nel periodo dei calori -Mi convinco sia sempre più dubbia la possibilità di averli. Da quando sta con me se n’è rimasta troppo tranquilla. Certo ancora non si può escludere del tutto, però io nutro molte riserve -Vuol insinuare che sia stata castrata? -Sì, penso, abbia avuto fatto questo regalo dalla civiltà -Brutta bestia la civiltà. Castra gli uomini, figuriamoci che pena può avere per i cani! Comunque chi gliel’ha ceduto non gliene ha parlato? -Non ci crederà, ma il nostro è stato un incontro casuale, un coup de foudre. Io l’ho trovata, anzi lei ha trovato me ed ha completamente rovesciato le mie opinioni sugli animali -Gli animali, specie i cani, sono gli esseri più fidati donati dalla natura. Fedeli, leali, riconoscenti, devoti ed incuranti di sacrificare la vita per chi amano. Lo fossimo noi uomini uguali a loro! -Già- Espresse amaro Bruno -L’unico guaio è la loro breve esistenza. Un guaio procuratore di molto dolore il giorno della dipartita. Io ho vissuto l’angoscia del funesto evento e malgrado la mia folle passione per loro, non voglio più sentire di allevarne. Comunque adesso che le circostanze hanno voluto sottopormi a tentazioni, confesso di non essere in grado di respingerle -Debbo della riconoscenza a Nichitta per la fortuna piovutami? -Senti giovanotto... A proposito non conosco il tuo nome. Il mio è Tullio e gradirei ci si desse del tu -Io mi chiamo Bruno. Tanto onore mi emoziona da strozzarmi la parola- Barbugliando confessò al presunto filosofo. -E allora ascolta cosa stavo per dirti. Nichitta ha influito sulla mia disponibilità solo come riprova dell’esattezza delle congetture sul tuo conto. Tu sei un uomo ormai nauseato dall’attuale società. La tua indole indipendente ti ha imposto di essere ascoltata. Ed è quando ci si riaccosta a se stessi che si comincia a vivere compiutamente anche se ci si ritrovi soli. Un individuo con un sacco a tracolla, con la scritta in viso della sofferenza confermata da una barba incolta, accompagnato da una cagna, in cerca di un rifugio qualsiasi, colto e sentimentale, cos’altro può essere se non un ribelle indomabile, un fuggiasco coraggioso, un idealista coerente? Coerente. Eccezionale eccezione in un’epoca nella quale tutti hanno da blaterare qualcosa da loro disattesa e da insegnare agli altri. Ecco perché io avevo già deciso prima di presentarti da me, per averti conosciuto dai brevi cenni specificativi alle mie domande della vicina gentile a preavvisarmi della tua visita. Poiché a me non piace lo status del proprietario, e tuttavia non posso vendere per motivi affettivi, né intendo locare per realizzare una rendita superflua, ieri, grazie a te, ho individuato qual’è la destinazione più degna. La casa sarà sempre a disposizione dei disertori del branco e credo che di questa soluzione non se ne dispiacerebbe la donatrice, se fosse ancora in vita. Io non ho conosciuto mio padre. Il conflitto mondiale lo ghermì proprio negli ultimi giorni. Io nacqui dopo cinque mesi. Mia madre confortata dalla mia presenza non volle intraprendere una nuova relazione sentimentale e quindi coprì anche il ruolo di padre. Puoi immaginare la mia condizione di superamato. Così malgrado il totale impegno ad assicurarmi a costo di un suo smodato sacrificarsi, sordo alle mie vibrate rimostranze, il benessere più completo, non smise mai di preoccuparsi del mio futuro dopo di lei. Pensava su per giù in questo modo: ogni soldo speso per lei fosse un furto in mio dànno, per cui quando i suoi risparmi diventarono cospicui e si accorse dell’erosione subita per via dell’inflazione, pensò bene di investirli in un immobile dal quale aveva avvertito da sempre un particolare richiamo, e fosse potuto divenire per me una buona garanzia economica. Infatti questa casetta calata in mezzo al fazzoletto di vigneto soddisfaceva le due prerogative. Quando si ammalò gravemente, espresse il desiderio di venirci ad abitare. Aveva smesso l’insegnamento e le lezioni private, e la campagna la sostenne nelle sofferenze degli ultimi anni. Io intanto mi ero laureato in scienze politiche, ma già da un pezzo collaboravo in un giornale ed ero stato assunto da poco quando lei mi venne a mancare. Non me la sono sentita di continuare a vivere nella casa in cui vidi compiersi l’atroce agonia di colei la quale mi amò animalescamente, né può esistere alcuna ragione per alienarla- Tacque con le lacrime agli occhi. Le asciugò con un fazzoletto e riprese la parola con voce più attenuata, ma ferma –E’ successo tanto tempo addietro, eppur mi pare esser stato ieri soltanto, le volte in cui mi trovo qui. Forse, questo è il riflesso della mia sudditanza verso di lei mai superata. In effetti non sono riuscito ad emanciparmi da lei e sono rimasto celibe perché delle donne conosciute nessuna è stata all’altezza di tenere il paragone. Non ho saputo comprendere la diversità dei ruoli tra madre e compagna. Mi è mancato l’esempio potutomi venire solo da un padre non conosciuto. Sono stato condizionato dall’amore materno. Esso mi ha creato una tale dipendenza da impedire di convincermi alla disciplina coniugale. Come ho detto prima, sono stato oberato di attenzioni, non ero preparato ad una ridotta dose di amore. I figli non dovrebbero essere allevati dalle madri. Presentivo di dover cedere ad una mia prole la maggior parte del sentimento riuscito ad ottenere dalla compagna scelta. Di questo ne sono sicuro per l’esperienza di mia madre, la quale pur vedova molto giovane non ha sentito con la mia presenza l’esigenza di un nuovo compagno. Le donne riescono a sublimare primari bisogni fisiologici con non troppa sofferenza. Hanno perso il gusto della passione e le sparute eccezioni finiranno per farsi condizionare dalle indegne censure delle più infrigidite, e da insane fuggiranno il sacro fuoco in onore d’una falsa virtù. Tale esercizio a rattepidire è stato perpetuato nei secoli a causa della sottomissione al maschio, ed è il fulcro dell’etica femminile. Hanno inventato il pudore a schermo della loro connaturata insipidezza in opposizione al desiderio dell’uomo, che per quanto riguarda la sfera sessuale rimane bambino tutta la vita e non può rinunciare a ricrearsi di conseguenza. Anelano sposarsi, non per assaporare le gioie del talamo, ma per diventare madri e rivalersi sui figli della tirannide subita con l’effetto di danneggiare sia questi, sia i compagni defraudati, non disposti a privarsi di quel che precisi stimoli esigono e destinati a sbandare irrimediabilmente nella ricerca ossessiva della felicità sessuale. Il retaggio di millenni di schiavitù inoltre le ha connaturate di insincera arte adescatrice, aiutandole nei secoli ad alleggerire il loro stato quando riuscivano ad entrare nelle grazie di un padrone, e purtroppo perpetuata ancora oggi anche nei casi di raggiunta emancipazione senza rimorso alcuno per il raggiungimento di più spregevoli fini. Due situazioni, due comportamenti diversi, dai quali ci si aspetta da parte della donna maggior accoglimento ad esser più compagna, e meno madre. E’ tempo di scrollarsi le patologiche inibizioni e gl’inammissibili baratti e d’impegnarsi a riscoprire la pienezza del piacere, vuoi nel riceverlo vuoi nell’offrirlo, abbandonandosi con fiducia al gusto dell’amore genuino, importante a saldare un’unione e a conservarla indivisibile. L’uomo ha bisogno di amore genuino, vero, reciproco, completo- II simpatico anziano accortosi d’essersi lasciato cogliere dall’entusiasmo interruppe l’analisi psicofemminile per scrutare l’espressione dell’ascoltatore e carpire il grado di disposizione ad essere seguito. Bruno sembrava accondiscendere convinto, ma quello per timore di una cortesia di favore, stimò scusarsi -Anche se interessante una dissertazione non sostituisce affatto una buona colazione, non credi? -Io credo mi sia stata molto utile. La trovo aderente al vero. Per certi versi ho avuto delle risposte da tempo cercate -Grazie per l’approvazione. Comunque adesso nutrita la mente sarà bene pensare allo stomaco. Ho portato quel tanto consentitomi dal cestello della bicicletta: pane fresco, latte, zucchero, caffè, della marmellata, del burro e qui sotto c’è un paio di lenzuola. Tu fai con comodo, io intanto penso a Nichitta e dopo preparerò per noi -Ah, ma io disapprovo il tuo preoccuparti per noi! -Soltanto per oggi, in cui tu ti saresti trovato spaesato. Vai, vai, non star lì impalato a guardarmi. Sbrigati, voglio approfittare del mio inconsueto appetito Contrariamente alla giustificazione data, anche nei giorni a seguire il dott. Marini continuò a portare la spesa rispondendo alle proteste dell’altro con la candida bugia di averlo fatto per l’ultima volta. Intanto in credenza le provviste si accumulavano ed il frigorifero era stracolmo. Arrivava di buon mattino con la bicicletta carica, fischiettando allegramente, e da quando la cagnetta aveva preso l’abitudine di andargli incontro e fargli festa, lui si sentiva un fortunato. Si deliziava a giocare con la bestiola per un quarto d’ora, poi andava a preparare la colazione per tutti. Non di rado trovava l’ospite ancora a letto e lo spronava ad alzarsi con modi affettuosi. Era sempre di buon umore, teneva banco con amenità ed arguzia nella conversazione svolta durante lo spuntino, non permetteva a Bruno di occuparsi a sparecchiare o peggio ancora a pulire le stoviglie. La cucina era il suo regno ed oltre a brillare, produceva grazie alla di lui arte squisiti pranzetti, sui quali l’eccellente cuoco servendoli a tavola appuntava l’attenzione con apprensione, per come venissero accolti, deliziandosi a cogliere sulla faccia sbalordita dell’altro il sommo gradimento a gustarli. In effetti continuava ad esercitare la vigilanza svolta nel periodo della malattia della madre quando dovette cimentarsi con le più diverse ricette cercando di rendere i pasti stimolanti il più possibile per un appetito troppo svogliato. Sparecchiata la tavola rimetteva ordine in cucina, e solo dopo andava a stendersi sul divano per un’oretta di rilassamento. Il pomeriggio lo dedicava allo sviluppo di un proposito, balenatogli nella mente nel breve periodo di assidua frequentazione della campagna con l’intento di mantenersi attivo: la trasformazione del vigneto in parco. Su una mappa di buona grandezza stendeva la progettazione dettata dalla sua fantasia, ogni tanto chiedeva un consiglio e passava il tempo provando e riprovando diverse sistemazioni dell’area disponibile. La sera, al crepuscolo ripiegava la pianta con un riguardo da preziosità, la riponeva nella busta di cartone, ingaggiava l’ultima zuffa della giornata con Nichitta, salutava frettolosamente l’amico impegnato ad esercitarsi al flauto, e correva ad inforcare la bicicletta prima che s’insediasse l’oscurità per confondergli la vista. La progettazione, tra studio, stesura e modifiche, durò una settimana, e appena stabilì di averla perfezionata definitivamente la sottopose all’approvazione di Bruno. Su un foglio, eleganti schizzi traducevano raffinate idee di estetica. Era stato squadrato a perfezione e dai settori numerati risaltavano miniaturizzati, la piccola casa, il cortile, viali, aiuole, il prato, un bersò, una fontana con una vasca, siepi, alberi, fiori... una villa in piena regola. Altrettanti fogli quanti erano i numeri della pianta generale, mostravano ingranditi i particolari, e portavano specificata la collocazione delle piante stabilita con l’ausilio d’una guida botanica, per cui tenendo conto delle caratteristiche ed esigenze di ognuna, aveva suggerito l’esposizione geografica più propizia. -Hai fatto un lavoro degno di un artista- Si complimentò Bruno. -Nel disegno me la sono sempre cavata -Sin troppo bene. Però a realizzare tutto questo ci vorranno anni -E’quanto mi occorre per impiegare la vecchiaia nell’azione. Sono stufo di disquisizioni. Nella mia vita ho detto sinanco troppo e concluso poco. Ma adesso non voglio soggiacere più alle deformazioni professionali. Voglio agire, capisci, e godermi i frutti del mio operato, invece di star ingessato a costruire inutili chiacchiere. Il limite più grande della specie umana è quello di evolversi molto lentamente per cui la speranza di un risveglio dal letargo diventa un’illusione. Bene, dopo le buone intenzioni non bisogna perder tempo per passare all’opera. Domani stesso comprerò l’attrezzatura necessaria e mi recherò nei vivai. Comincerò a spiantare le viti dove dovranno essere insediati gli alberi, così a vederli crescere giorno dopo giorno sarò spronato ad andare avanti. Dopo di che dissoderò, concimerò, seminerò ove è destinato a coltura. Per ultimo delimiterò le aiuole, impianterò le siepi e abbellirò il luogo con tutti gli accessori già previsti. Farò all’inverso di una normale pianificazione, poiché, sistemati i sedili, vorrò potermene servire per ammirare e godere la realizzazione. Che te ne pare? -Se non fosse per la marcata sottolineatura della prima persona, l’esposizione dei piani di attuazione non farebbe una grinza -Vuoi forse dire d’esser disposto a darmi una mano? -Tu pretendevi da un avvezzo contadino la rinuncia ad una promozione a giardiniere? Diciamo meglio aiuto giardiniere- Si corresse Bruno con ammicchi lusinghevoli, graditi dall’anziano pubblicista tanto da essere ricambiati con un sorriso scintillante di entusiasmo e di gratitudine come da un ragazzino a cui gli si fosse concesso di correre la più ardita avventura della sua fantasia. Tullio la mattina arrivava sempre più presto, preso dal fervore del lavoro avviato e consigliato dall’opportunità di espletarlo nella fascia oraria in cui ancora il sole non si fosse troppo spinto in cielo. S’era creata l’entrata alla casa dalla porta dello sgabuzzino, dal quale passava in cucina e iniziava a preparare la colazione, provocando col non cauto affaccendarsi il rumore bastevole a svegliare i dormienti. Alle proteste del "giovanotto" rispondeva fischiettando i motivi imparati dall’ascolto del flauto durante le esercitazioni, e così gliene dissolveva la riluttanza ad alzarsi. Anticipando poco per volta, la sveglia per Bruno fu riportata all’usanza della fattoria e non gli fece pesare tanto la ripresa delle vecchie abitudini. Si lavorava di buona lena sin verso le undici, e Tullio non era secondo per vigore e resistenza. Rientrati in casa, mentre il giornalista prendeva la doccia, l’altro smaltiva le faccende domestiche di pulizia, fino a che non le avesse esaurite diligentemente. Nel frattempo il simpatico anziano lasciato il bagno, ringalluzzito e fischiettante, era andato in cucina a sbizzarrirsi in gastronomia. I profumi giungevano promettenti. Bruno sotto il getto tonificante dell’acqua intepidita aspirava per l’inebriamento dell’olfatto! La prima mezza giornata culminava con un pranzo raffinato, dopo il quale celermente, nel tempo impiegato dal "giovanotto" a sparecchiare, il sollecito anziano aveva pulito le stoviglie ed era già pronto a saltare in bicicletta, salutare frettolosamente e farsi rincorrere da Nichitta fino al cancello, diretto alla propria abitazione per godersi il meritato riposo pomeridiano. Si sarebbe rivisto col suo collaboratore la sera nella solita via dove questi aveva preso ad offrire ai passeggiatori le note del traverso invero per autocompiacimento anziché per la ricompensa dell’obolo. Infatti la soddisfazione più gradita sui passanti, non proveniva dalla colletta ma dalla compartecipazione dei loro moti d’animo stimolati dall’ascolto, ed era fiero quando rivedeva un viso già notato. Da qualche giorno una giovane turista andava a rendergli omaggio: una bionda ben fatta, con un viso regolare, pulito e l’espressione dell’ingenuità. Si fermava avanti la vetrina del negozio di fronte ad esporre il suo fascino inondato di luce. Il suo applauso era discreto, il sorriso invitante. Sembrava cercasse di stabilire un’intesa e con la lunghezza crescente delle visite sperava partecipare l’intenzione. Bruno comprese il messaggio, pregustò l’opportunità dell’avventura in quel momento, e le sue condizioni di spirito gliela condirono di un sapore urtante. Decise di ignorare la nordica e di consolarsi con l’ospite fissa delle sue esibizioni sicuramente la più invaghita e ad intervalli specie nei passaggi più struggenti, nei quali lui si mostrava interamente rapito, essa s’impennava allo stesso modo insegnato da Adelina e come se fosse stata ammaestrata ad animare il concerto di ammirato spettacolo. L’applauso strappato ogni tanto dalla coppia non era comprensibile se da attribuirsi alla qualità delle esecuzioni o alla graziosità della recita dell’animale. Tullio assicurava di scaturire dalla bravura di entrambi e l’esito dell’introspezione esercitata dallo sguardo interrogativo di Bruno, lo dava per sincero. Tale consenso ripagava l’accurato esecutore più della somma abbastanza remunerante, realizzata nella serata. La vita aveva preso un corso ordinato. Le ferite sembravano essersi completamente cicatrizzate e l’attuale stato di cose era talmente soddisfacente che il tempo prese a scorrere troppo velocemente con la soppiatteria dell’abile ladro. L’esistenza regge un cinico gioco: indugia nella sofferenza, fugge nella letizia! Bruno senza accorgersene si trovò a subire le tentazioni a causa della torrida calura di agosto di liberarsi della folta barba screziata di bianco. Il tetto della casa era stato riparato, la catasta delle viti divelte s’imponeva, parecchi alberi erano stati piantati, la terra attorno dissodata con la motozappa veniva giornalmente innaffiata in abbondanza. Inoltre i risparmi invece di assottigliarsi erano cresciuti, e l’apprensione di Bruno era quella di trovare il modo di disobbligarsi con l’incorreggibile mecenate. Questi un bel giorno andò oltre ogni immaginazione. Dopo essere stato a tavola qualche minuto ingiustificatamente in sovrappensiero cominciò con uno di quei discorsi in partenza stolidi, ma appunto per questo presaghi di sorprese -Guarda lo sciocco che sono- Esordì con un sorrisetto da truffaldino Tu sei credente? L’ho sparata grossa, ormai ci conosciamo abbastanza, quindi se non si crede ad una cosa si crederà automaticamente alla sua inesistenza. Praticamente tu credi all’inesistenza di alcun Dio -Sei davvero un bell’inventore, Tullio! -Te l’ho detto, sono sciocco, però ascolta lo stesso, per favore. Dunque tutte le fantasie dell’al di là non sono altro che panzane! -Panzane- Lo assecondava, ora incuriosito. -Allora di vita rimane solo quella vissuta su questa terra -Tullio mi sbalordisci! -Aspetta, ti dico. Quand’è così bisogna adoperarsi, certo con metodi moralmente corretti, a star meglio il più possibile. Ecco perché i governi sordi da quest’orecchio, sono i più fervidi propugnatori delle religioni. Esse manterranno sia la moltitudine dei diseredati quieta con la promessa della ricompensa nell’altra vita, sia il rispetto dei privilegi di coloro infervorati per un dio a cui disobbediscono con religiosa impenitenza. Però noi sapientoni di queste cose, dobbiamo comportarci diversamente, per cui io avevo pensato... Vedi Bruno, sono vecchio, la mia parabola volge al declino, problemi insoluti mi assillano -Tullio, Tullio, non m’incanti. C’è sotto qualcosa. Diversamente un uomo ricco di vigore come te non parlerebbe in tal guisa -Vengo al punto. Prima del tuo dimorare qui io ero un uomo scivolato nella scipitezza della quotidianità del pensionato rimasto solo. Ogni tanto, specie negli ultimi tempi, quando provavo fastidio a frequentare gente, pungeva il rodimento per la mia schifiltosità sentimentale, in un certo senso procuratrice di questo stato di cose, anche se svaporasse presto in un moto di delusione verso me stesso, consegnandomi ad una composta rassegnazione. La vita non è assolutamente adatta per imparare a tempo. Ed i rimpianti ce lo confermano! Bisogna sapersi accontentare poiché le perfezioni non sono di questo mondoSospirò malinconico, poi i suoi occhietti si ravvivarono, il viso s’increspò d’un sincero ed amichevole riso e riprese con soddisfazione -Tutto ciò appartiene al passato e non mi riguarda più, perché oggi credo di aver scoperto il vaccino contro l’abbattimento e mi congratulo con me stesso per non essere incappato in quelle more sotto le spinte depressive a cedimenti sicuramente destinati a finire per essere da me deplorati per il resto dei miei giorni. Colgo tali risultati forse tardi, ma sempre ben accetti. In breve, ho ritrovato la fiducia. Vedo crescere l’attuazione del mio progetto, mi scopro abbondantemente gagliardo e con una gran piacevolezza di vivere: m’illudo quasi d’esser ridiventato giovane. Contemporaneamente capisco che tutto ciò non capita a caso- Lanciò un’espressione di riconoscenza verso l’ascoltatore rimasto sospettoso, si umettò le labbra prima di continuare -Giovanotto, io ti debbo molto per la pazienza a sopportare ed accondiscendere i capricci di una tal fatta di vecchio -Tullio- Lo interruppe l’altro -A cosa mirano tante cerimonie? -E’semplice, io ti sono debitore di un miracolo, tuttavia quanto sto per dirti non vuol essere la contropartita al mio raggiunto stato di appagamento, poiché certi benefici non hanno prezzo. Io desidero, tu accettassi la donazione della nostra opera in corso di realizzazione -Non starai certo dicendo sul serio? -Invece sì -Allora sei meno conoscitore di quanto ti facessi -Di cosa? -Delle persone. Tu mi credi davvero un vagabondo in cerca di fortuna? -Quale fortuna può rappresentare una casa per abitarci? -No, Tullio, tu hai preso un abbaglio. Io voglio conservare la mia libertà -Chi te la sta insidiando? -Un uomo convintosi a mettere radici, non è più libero. La mia casa è il mondo e sarà solo esso a darmi un riparo -Ma qui ti servirà come punto fermo, potrai venirci le volte in cui ne avrai voglia soltanto. Però dovremo fare adesso l’operazione prima che il fondo acquisti valore, così potrò pagare diritti abbordabili, capisci? Io non intendo categoricamente dar a godere ad altri i frutti della nostra operosità. Tu non puoi negarmi la soddisfazione di saper acquisita la proprietà dalla persona degna. Ti prego, accondiscendi, penso a tutto io. Tu non dovrai far altro da firmare, appena tutte le carte saranno pronte. Sì? -No- Gridò Bruno come irretito -Non ci sarà alcun Tullio ad imbrogliarmi la vita. Io mi trovo qui per liberarmi dalle catene, non per cercarmele. E se il destino vuole sbarrarmi tutte le strade, ebbene io non intendo arrendermi, ne cercherò di nuove ora dopo ora, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Tutti avete da preoccuparvi per me, il mio futuro, una sistemazione sicura. Tutti avete da immischiarvi nelle mie idee, avete da consigliarmi, da proteggermi senza prendervi mai l’incomodo di saggiare la mia disponibilità alle vostre interferenze- Bruno si liberò d’un fiato dell’irritazione sopraggiunta e gli dispiacque molto ripagare a quel modo lo slancio generoso del suo anziano estimatore, rimastosene mortificato a subire con troppa arrendevolezza, per cui si precipitò a riparare Scusa la mia focosità, ancora non sono riuscito a rimuovere per intero incrostazioni del passato, inibitori riguardo certi temi, a condurmi a ben distinguere tra gl’interlocutori -Non pensarci più, ammetto di essermela meritata la tirata d’orecchi. Ho sottovalutato di avere a che fare con un vero purosangue. Sì, sì, non scherzo- Assicurò all’aspirante padrone del mondo visibilmente angustiato -Sono stato leggero, non si ripeterà più, te lo prometto La giovane bionda prese ad arrivare più tardi e ad allontanarsi quando Bruno riposto lo strumento, accarezzava Nichitta in premio alla sua artistica partecipazione, e intascate le offerte, si alzava sgranchendosi e richiudeva lo sgabello. Tullio frattanto andava a rilevarlo. Facevano assieme una buona passeggiata e si salutavano alla fermata del bus per la campagna. Di solito prendevano la direzione della ragazza, la quale prima di svoltare si girava e scorgendo andarle dietro chi si auspicava lo facesse per lei, un sorriso gli lanciava in segno di apprezzamento. Una sera indugiando per le vetrine dei negozi si fece superare per capirne meglio le intenzioni. Tullio disse all’amico -Siamo seguiti Questi meccanicamente si voltò a guardare e incontrò un sorriso molto significativo subito ricambiato con un lieve inchino. Da quella volta quando la silfide giungeva al solito posto delle esibizioni lanciava un aperto sorriso di saluto corrisposto da un cenno cortese di gratitudine. Un giorno a pranzo, Tullio più gioviale del solito annunciò la sua diserzione per quella sera al consueto appuntamento, ed alla richiesta di spiegazioni assunse la posa del commediante -Ti ho tenuto segreto un interesse sentimentale. Forse ho buone probabilità di soddisfarlo. Ma prima bisogna verificarne certi atteggiamenti. Sai, io vado molto cauto e non essendo più ragazzino non mi va di prendere lucciole per lanterne. Spesso mi dico di dover osare: mi pare di avere le polveri adatte e invece risultano bagnate. Con gli anni si diventa vili. Se fossi giovane come te, ti farei vedere io- Esitò allusivo, espresse un sorrisetto canzonatorio e riprese divertito -A volte quelle chiare, fluenti chiome più delle messi, quel vitino di vespa, il rigoglioso seno, elegante antilope dagli occhi insondabili come cieli, e la freschezza, l’aroma della giovinezza, quel tratto ingenuo ed il sorriso franco, la vispa voce... -Ed una mano di vernice, come si dice dalle mie parti, producono un bell’effetto -La frutta quand’è matura se non si coglie, cade -Lasciala cadere -Si fa peccato a rifiutare squisiti bocconi. Il perduto non si ritrova più, fatti pregare da me -Sarà come vorrà, ma io non ci sto con lo spirito. Le donne vogliono tutte qualcosa, ed io non ho intenzione alcuna di assecondarle. A mio avviso ci sono due categorie di donne: quella delle pretenziose, esibenti a ripagarsi del piacere concesso, e l’altra delle voluttuose, volte a cercare la propria soddisfazione sotto la spinta di menzognere illusioni da dare. Bene, io non ci sto con ambedue le categorie. No, tante grazie. Per me l’incontro, l’approccio, l’unione debbono essere esenti da condizioni perché partono da molto lontano, da tempi ignoti, da spezzate armonie e debbono ricondurre alla fonte. Io non cerco il divertimento, né mi presto a quello di alcuno -Ma l’avventura erotica è un’esigenza notevole allo spirito dell’uomo -Sì forse, ma non per me -Tu hai la disposizione a diventare schiavo per forza -Il mio spirito si è assopito, convintosi che ciò di cui andava in cerca, non fa parte di questa terra -II desiderio di conciliare l’avventura erotica con l’idillio è l’essenza stessa dell’edonismo e la ragione della sua impossibilità -Le donne sono solo egoiste, tranne nello stato di madre. Non fai mai abbastanza per ricevere della gratitudine. Quel che dài è loro dovuto anzi è meno di quanto devi e va perciò lamentato. Sei sempre in debito, puoi pure sputare l’anima. Io ho fatto fagotto per orgoglio, credendo di aggiustare tutto e senza capire di non essermi mai potuto separare dal legame naturale -Cioè? -Mia madre. Io sono un traditore. Avevo voluto contrabbandarla con quella e dopo l’insuccesso ho tradito per la seconda volta, fuggendo da lei. Tu invece sei sempre stato fedele al tuo ideale. Io non dovevo contrabbandarla -Credo, tu sia ingiusto a fartene una colpa. Noi diamo troppo rilievo al legame materno; arriviamo sino all’esaltazione perché ne siamo stati fortemente impressionati. Quel periodo d’incubazione è il primo strato della nostra coscienza cresciuta. Da parte della gestante il legame diventa ancora più saldo per il fermo convincimento di creare il nascituro con una porzione della sua carne. Mentre è la natura ad aver confezionato tutto sin dai tempi ed a porre in microscopici semi il suo divenire. Essa è la madre vera, l’altra è soltanto quella mediata. Tutto avviene e si svolge per esigenze della natura mirate alla conservazione della specie, quindi il singolo ha il dovere preciso di raccogliere l’invito della vera madre, unica ed universale, consistente a collaborare all’irrobustimento della specie, procreando. Ed è male delegare gli altri a farlo, perché anche se la specie non viene messa in pericolo, con la mancata partecipazione degli obiettori essa sarà impoverita di utili specificità inespresse, e quindi non presenti nell’arricchimento del crogiuolo dell’umanità. Il nostro errore dunque consiste nel dannarci per male abituarle. E’ una conseguenza, della sopravvalutazione dell’influsso materno ad indurci ad usare verso la donna del cuore la stessa devozione portata alla genitrice, senza tener conto della diversità di ruolo, e il nostro trattamento extrapremuroso porterà la ricevente ad una incolmabile insoddisfazione malgrado il fervore per cercare di contentarla. Anche la madre è impastata nell’egoismo. Un egoismo alla rovescia, attivo, ma non per questo meno dannoso. Infatti la comodità nel crogiolarci in quel calore finisce per viziarci e non farci distinguere. Spesso non cresciamo nemmeno -Motivo in più per allontanarci dagli archetipi, esplorare nuove terre, inventare. Lo so, è duro, per me e per lei, ma non ci sono altre vie. In quanto ai raffronti lasciamoli perdere: non si va a cercare una nuova madre. La sorte ce ne ha data una eccezionale, qualunque cosa si possa imputare ad una madre, ed in virtù di ciò ci portiamo appresso la sbronza -Siamo ubriachi di mamma! Penso di possedere i titoli per affermarlo con tutta sicurezza, tuttavia anche a costo di farci male dobbiamo combattere, e io ho preferito disertare, sbagliando, lo ammetto- Dichiarò con tono commosso, il pensionato giornalista. -Hai ragione Tullio, è una battaglia tutta da combattere, bisognerebbe, sempre chi ce la fa, mettere al bando la superbia… -E rendere onore alle alleate, cooperare, rendersi disponibili, esercitarsi. Solo così si può uscirne, pur mettendo in conto di finire sconfitti. Insomma verrà ciò che vorrà, e sarà accetto in ogni caso, poiché l’uomo ha la facoltà di adattarsi, e non di rado il comportamento negletto o disapprovato dal raziocinio finisce per rivelarsi il più adeguato. Nelle questioni di cuore è bene tenersi fuori da astratte sistemazioni, consigliere di mortificazioni alla natura a dispetto delle insulsaggini della civiltà. La natura lussureggia dall’incontro dei sessi, non dalla separazione. Dota i suoi esseri di stimoli indirizzati a quel fine senza prescrizioni di condizioni. Semmai verrà dopo la stabilità del rapporto, a coronamento di un’intesa reciproca, una festosa partecipazione ad amici e parenti -Ah, come fila bene quanto dici solo se ci si potesse scrollare del passato come nulla fosse! Ah, quanto sarebbe bello se dal fuoco si potesse venir fuori purificati senza dànno! Però esso lascia le cicatrici e uno schoc più o meno duraturi, a causa dei quali a volte non si guarirà più -Forse, quando la causa sia stata un lutto- Insinuò perplesso e malinconico Tullio. -E quando l’altra parte dal dispiacere probabilmente se la spassa? Scusa la mia brutalità, ma noi viviamo in un’epoca dove i valori sono cambiati, o mancano completamente, alcuni perduti, altri travisati. Si è creata una tal confusione da non raccapezzarcisi più. Non si sa cosa si cerchi, ed intanto nella generalità ci si strugge divorati da una febbre occulta. In una situazione del genere come poteva non affermarsi l’egoismo? Le nostre relazioni si consumano entro il suo fuoco e chi non mancia la minestra sarà un disadattato presto isolato ai margini della comunità. L’amore è il retaggio psicologizzato dell’istinto degli animali, vedi Nichitta, istinto che nel diventare sentimento spesso si presenta soggettivamente come misteriosa palingenesi -Troppo misteriosa -Specie per noi, smaniosi di cercare di strapparle i veli, tentando di ricondurci alla genuinità della natura, e ricalcitranti a voler fare i conti con la società, quindi dissennati e meritevoli di trovarci consegnati a tanta sofferenza -Bisogna trovare la forza per ribellarsi -Mi stai forse consigliando di aggrapparmi alla follia collettiva? -Non potrei. Provo solo a consigliarti di affrontare la vita con più filosofia Bruno si mostrò frastornato e commentò -Bah, sarà!- E dopo essersi alzato aggiunse ancora -Per l’intanto caduto il tuo appuntamento ti aspetto alla stessa ora- La disquisizione con Tullio lo mise in stato di agitazione. Immaginò Nicole impegnata in una nuova relazione scaturita dall’esigenza di un vantaggio materiale. Una convivenza nutrita dalla convenienza come del resto gli era già apparsa in sogno e una volta scherzosamente s’era auspicata lei, e possibilmente garantita con la ratifica del tanto sospirato matrimonio. Gli parve di coglierla nell’esercizio delle sue prestazioni e dal fondo della stanza ove era stato acquattato dietro una tenda, vide avanzare Enzo con ago e filo autorizzato a procedere all’infibulazione, mentre si schiudeva la porta d’ingresso e appariva la signora Irene, intenta con la mano ad invitare lui a seguirla, approfittando dell’allentata sorveglianza del marito per l’incarico ricevuto da portare a compimento. Quando stava per muoversi una mano l’afferrò per una spalla. Si girò e vide la nordica sostituire all’espressione d’ingenuità l’altra del desiderio. Al saluto di Tullio in uscita per andare a riposare, sobbalzò sul divano dove s’era disteso, e i suoi pensieri avevano cominciato a palpitare in sella a scalpitanti suggestioni. L’originario supposto filosofo aveva fatto presto a consigliarlo. Avrebbe dovuto dunque prendere le cose con filosofia. Appallottolare la pagina scritta in nove anni dai suoi sentimenti come una minuta mal riuscita e sbarazzarsene buttandola nella spazzatura, alla stessa stregua della lettera ispirata dal sig. Ministro. Tradire la generosità di un amico fraterno ed insidiargli la moglie. Prestarsi ad arricchire l’esperienza sessuale d’una capricciosa cacciatrice. Rigettare la condizione dello scrupoloso come pretendevano i tempi e torcersi da neuropatico tra le spire dell’insoddisfazione. Intrupparsi nel branco di eroici guitti in gonnella. Rincitrullirsi -No, caro intellettuale, il tuo servizio sull’opportunismo comportamentale non mi trova proselito. Non per niente mi sono spinto fin qui! So quasi per certo di non averlo anche tu condiviso, e i tuoi consigli non scaturiscono da pentimento, bensì vogliono dare un avvertimento sulle avversità alle quali bisogna esser preparati. Ebbene tu sappi che ai successi ed alla gloria dei furbi balordi preferisco le prove del libero vivere- Declamò con fierezza. Tale risoluzione lo teneva al riparo di cedimenti, ed alle scherzose insinuazioni dell’amico tentatore, rispondeva d’esser costretto a sacrifici di rinuncia per il raggiungimento di una sintonizzazione più completa con l’ispirazione, elemento inderogabile per delle accettabili esecuzioni. A parte la funzione pretestuosa, quella spiegazione aveva un fondamento se si fosse voluta valutare la concentrazione del flautista, così totale da concedergli di trascendere spesso l’animazione della strada. Infatti fu solo l’esorbitanza di un seno scollacciato ed il flusso intenso di profumo emanato nell’atto di mostrare la rosolatura concessa alla sua epidermide candida da un’abbronzatura artificiale, mentre la formosa donna poneva una piccola banconota nel piattino, a distrarre il flautista quel poco sufficiente a sbalordirlo. Bruno si smarrì dentro la luce viola vivificata nelle pupille della preziosa signora dal sorriso di lode alla sua bravura. L’improvviso calo di fiato agonizzò per la canna dello strumento con voce lamentevole. Non vi erano dubbi sull’identità della giovane donna. La rivide in un baleno stagliarsi dalla fotografia mostratagli alla fattoria dalla signora Irene. Il pensiero di Bruno s’impaniò nell’indecisione. Intanto la zia cattiva si allontanava con procace andatura. Lui rimase combattuto da tre opposte tendenze, una a lasciar perdere e a non impicciarsi, la seconda fondata sulla curiosità di sapere, l’ultima d’impegnarsi in un tentativo di generale riconciliazione dopo aver scelto Firenze con la speranza d’incontrare il personaggio chiave delle di sicuro gravi contrarietà di una famiglia cara. Prevalse la più impegnativa. Si alzò risoluto. Mise il guinzaglio a Nichitta, diede ordine alle sue cose e affidò tutto a Tullio, pregandolo di fargli il favore di attenderlo. Si avviò speditamente, tanto assorto da ignorare il volto preoccupato della nordica. La strada era affollata e lui aveva un buon margine di svantaggio. Sveltì ancora il passo. I suoi occhi frugarono parecchio tra la confusione prima di trovare il collegamento con lo speciale ancheggiare dell’indossatrice di un pantalone galeotto. Accelerò ancora fino a portarsi al fianco di lei. Le si rivolse con emozione -Mi scusi, signora Lei s’indignò per essere infastidita da un suonatore vagabondo, e gli tolse subito lo sguardo, sprezzante, ma l’abbordatore non si scoraggiò ed insistette più deciso, sempre con garbo -Mi scusi, non ho intenzione di disturbare la sua passeggiata, avrei solo da chiederle cortesemente un’informazione. La donna si fermò senza aprir bocca, gli puntò uno sguardo di minaccia e riprese a camminare con la stessa superbia. Bruno tornò alla carica questa volta più sbrigativamente -Ascolti Giulia Al sentire il suo nome lei trasalì, perdendo tutta la burbanza, e con uno sforzo chiese Chi è lei? -Un tale che ha usato il suo ciclomotore -Chi la manda?- Lo interrogò ora incredula, la rintracciata fuggitiva soffocata dall’ansia. In cuor suo si sprigionava un violento tumulto: glielo si leggeva sul viso disperato, tuttavia attendeva una spiegazione con umile trepidanza. Diventò persino supplichevole per la fame improvvisa di notizie -La prego, non mi tenga sulle spine Un uomo inaspettatamente si parò dinanzi a loro. Di dispendiosa eleganza, sul petto sfoggiava un pesante monile d’oro. Giulia si spaurì? Sussultò brevemente e subito riprese con l’incognito ambasciatore la condotta iniziale, rimproverandolo -Mi lasci in pace, per favore L’intruso con molta padronanza le prese la borsetta, vi frugò dentro in un attimo, dopo di che restituendogliela, le comandò di allontanarsi. Lui l’avrebbe raggiunta di lì a poco, dopo aver chiarito la situazione. Giulia mostrò un attimo d’incertezza; sembrava volesse invitare l’amico a recedere da propositi a lei ben noti. Ma quello la inibì a parlare solo con lo sguardo, e con un cenno del capo le ingiunse di muoversi. La donna continuò ad indugiare con una voglia abortita di protestare, mentre Bruno sorpreso per la scena traccheggiata, seguiva l’evolversi senza rendersi conto o sospettare... e al no gridato da Giulia restò attonito, fino al momento in cui delle gocce rosse non gli colassero sul braccio. Capì d’essere stato sfregiato. Si portò una mano sulla guancia e la ritrasse macchiata di sangue. Tuonò dietro al lenone in ritirata -Magnacciu e figghiu di buttana- Ricambiato presto dal pie' veloce con -Baluba e terrun Tullio al riapparire dell’amico così conciato, gli corse incontro agghiacciato, e non ci fu verso di sapere cosa fosse successo, poiché vittima incredula, il malcapitato non smetteva di intercalare bestemmie a giuramenti di rivincita. Al pronto soccorso dichiarò di essersi affacciato ad una finestra con le imposte chiuse. Se la cavò con la barba rasa sulla mezza faccia segnata, dodici punti di sutura e l’antitetanica. Fu rassicurato della superficialità del taglio, il quale benché lungo non avrebbe lasciato una traccia vistosa. Infatti dopo la rimozione dei punti la cicatrice sembrava il risultato di un graffio più che di uno sfregio. In quella circostanza il vice giardiniere e musico smise le due mansioni per intraprendere la nuova di detective. Raccolse informazioni sui posti dove avesse potuto trovare facile compagnia, e negli orari più adatti a tal uopo compiva il giro della città con la bicicletta fattasi prestare da Tullio. Su una mappa aveva segnato le zone equivoche, e vi aveva scritto le denominazioni dei locali sospetti. Rientrava a notte alta con i muscoli delle gambe rotti per l’eccessivo pedalare. Nichitta riuscì ad evitare la detenzione grazie all’interessamento a lei da parte del suo anziano ammiratore. Trascorsa una settimana l’unico esito dell’indagatore fu di aver dovuto battere in ritirata più presto del solito durante una perlustrazione bagnato fradicio, essendo stato colto a sorpresa da una rabbiosa precipitazione preautunnale, terrificante per l’incessante sovrapporsi delle esplosioni di scariche elettriche. Quell’evento sconvolgente anche per i più ardimentosi, gli parve il segno premonitore al suo insuccesso a scovare la criminale coppia. Confidò in una buona dose di immunizzazione alle malattie da brusco raffreddamento e già all’indomani dello spavento riprese i concerti in istrada, dopo aver cimato la barba ad uniforme lunghezza. La ferita non si vedeva e l’accorciatura dei peli era servita anzi a dargli un’aria più giovanile. Lo si riscontrava nell’espressione della nordica raggiante e di rivederlo e di cogliere in lui un look più interessante. Sebbene Bruno avesse perso le speranze di imbattersi nella coppia, specie il ganzo per fargli piangere la vigliaccata, ancor più della svitata degna della crudeltà sentenziata da Enzo, in cuor suo non riusciva a dimenticare, tanto da non esaurirsi conversazione con Tullio senza che di punto in bianco lui non palesasse imprecando la sua sete di vendetta. Il giornalista insisteva a dissuaderlo a pensarci ancora, poiché dopo il fattaccio sicuramente i responsabili si sarebbero trasferiti lontano per paura di noie con la giustizia, e simile spiegazione finiva per essere condivisa. Una sera però l’implacato sfregiato si sentì serrare la gola. A buona distanza gli sembrò di vedere bighellonare, interessata alle vetrine, un’insperata sagoma femminile. Aguzzò la vista al massimo convincendosi sempre più di quanto il ragionamento respingesse per l’improbabilità che la provocazione potesse assurgere a siffatta spudoratezza. Gli sembrava lei per statura, abbigliamento e disinvoltura. In ogni caso non bisognava lasciar cadere l’occasione per controllare, ma non poteva, in quanto Tullio non era ancora arrivato e non aveva a chi affidare le sue cose e potersi allontanare tranquillo. Pensò di portarsi tutto appresso, ma Nichitta ne scoraggiò l’iniziativa. Sempre essa! In una situazione come quella si commiserò per il condizionamento derivatogli dal far da balia ad una cagna -Che bel guadagno me n’è venuto- Le spiattellò nella breve pausa tra la fine di un adagio e l’inizio del rondò successivo. Si pentì della lagnanza e riprese a suonare con l’occorrente carica di brio, senza smettere di allentare la sorveglianza. Fortunatamente la donna in questione non accennava a dileguare, anzi lentamente si avvicinava e il maggior risalto dei tratti della persona aumentava in lui il convincimento di averne azzeccata l’identificazione. Tullio continuava a tardare, proprio la sera in cui non avrebbe dovuto! Finalmente comparve trafelato per la corsa dell’ultimo tratto di strada, sostenuta per giungere presto dall’amico, ed informarlo dell’impressione ricevuta di aver superato a un cento metri circa quel tipo di buona donna. -Meno male, che io ho te- Lo gratificò Bruno smettendo di suonare e apprestandosi ad allontanarsi. -Non ti cacciare in altri guai- Gli raccomandò paternamente l’anziano vigilatore. -Non ti preoccupare, questa volta offrirò l’altra guancia, cosi almeno rimedierò il paio Si capiva d’essere stato atteso dal sorriso da lei lanciatogli nel rivederlo. Lui l’avrebbe strozzata, tuttavia ricambiò la simulata cortesia. Seguì un muto, imbarazzante, reciproco perscrutarsi, finché la donna non si decise a prendere la parola -Non sono venuta sin laggiù perché mi vergognavo. Ho cercato di farmi notare a distanza per lasciare a lei la scelta di un colloquio -Perché pensa forse vi si potesse rinunciare dopo dieci giorni d’inferno nell’animo? -Mi dispiace per l’incidente accaduto. Io non volevo. Le chiedo scusa -Bella invenzione il chiedere scusa. Chiedendo scusa si può riparare dall’involontaria pestata d’un piede al colpo di pistola. Cosa vuoi che sia una gomitata, uno spintone, uno schiaffo, un cazzotto, la cavata di un occhio, un accoltellamento? Tante scuse e via! Anzi denota un ottimo stato di educazione -Sono profondamente addolorata, io non volevo -Certo, come no, lei non ne ha colpa. Da assistente del chirurgo non avrebbe potuto rifiutargli il bisturi, o cos’altro? -Era una lametta da barba stretta dalla testa di un rasoio opportunamente adattata -E lo porti sempre con te un simile gioiello della tecnica? Me lo faresti ammirare? -Lei è cattivo adesso -Già, perché mi sono un po’ scaldato, invece di congratularmi e farti festa. Ma non aver paura, non ti tirerò un sol capello. Io cerco lui, lo voglio, e tu mi ci porterai. Forse non ce ne sarà bisogno di scomodarti, come la volta scorsa si ripresenterà da solo per rifarmi il servizio, o magari un lavoretto più completo -Al momento è fuori città -Ebbene rientrerà! -Domani -A che ora, come, e dove?- Con fermezza le intimò di rispondere. -Non posso dirlo L’impaziente indagatore in un accesso d’ira le prese un polso e glielo stava stritolando. Lei produsse una smorfia di acuto dolore senza un gemito o una protesta. I suoi occhi cominciarono a lacrimare copiosamente. Bruno abbandonò la stretta per agguantarle le braccia e scuoterla da farle lamentare cedimenti alla schiena. Dopo di che smise di sbatterla e fissandola inferocito l’ammonì -Tu parlerai Giulia cadde in una crisi di nervi. Travolta dai singhiozzi non riusciva a pronunciare le parole affannosamente provate a tirare fuori. A tratti boccheggiava abbandonata dal respiro. Dal naso le colava fluido il moccio. Era diventata una bambina sconvolta dalla paura. Bruno espirò il fuoco interiore alquanto impietosito. Le adagiò il capo sul suo petto, ripetendole -Calmati, per favore Qualche passante fermatosi in attesa di un epilogo, riprese la passeggiata, chi più tranquillo, chi invece deluso. In maggioranza i meno curiosi, giudicato lo screzio pubblicamente partecipato come un incidente di gelosia tra innamorati, avevano proseguito abbozzando sorrisetti. La donna stentava a riprendersi. Bruno le carezzava i capelli e aveva finito col supplicarla a riaversi. Ma lei all’acme del parossismo non dava segni di rincorarsi, e intanto l'impaziente vendicatore si pentiva d’esser stato eccessivamente brutale e provava grande amarezza a non essere in grado di rimediare. Ad un tratto Giulia prese a sussultare tra scariche di singhiozzi brevi ed incessanti. Riprovò a parlare senza riuscirvi. Tentò ancora, spronata da un bisogno insopprimibile. Pronunciò delle parole incomprensibili e si aggrappò ad esse come all’ultimo spuntone di roccia prima di precipitare. Bruno le porse il pacchetto dei fazzoletti di carta e la invitò ad asciugare il viso e soffiarsi il naso, dopo si sarebbe fatta capire meglio. Lei lo guardò imbelle per qualche attimo, poi accettò ed attese a compiere l’operazione tra gl’insistenti spasmi senza abbandonare le incomprensibili querimonie. Finito che ebbe sollevò il viso prudentemente. Le si leggeva spossatezza e strazio. Riprese i lamenti sebbene i sussulti non l’abbandonassero. Era estremamente avvilita. Sembrava avesse deciso di consegnarsi ad una resa incondizionata, quando ad un tratto le pupille sfavillarono di odio, con una spinta si liberò del magnanimo consolatore e prese a correre con poco successo condizionata com’era dai tacchi alti delle scarpe. Bruno le fu subito addosso e senza cerimonie cominciò a trascinarsela dietro per un braccio, voltandosi ad intervalli a ripeterle Tu verrai con me- Poi venutagli in mente un’altra soluzione si fermò a comunicargliela Puoi anche scegliere: con me o al comando dei carabinieri Giulia capì di non avere scampo, si riaffidò alle lacrime e riprese pure a lanciare le invocazioni questa volta comprensibilmente -Voglio tornare a casa mia Bruno non si lasciò impietosire, si fermò a guardarla. Trovandole la testa bassa, gliela sollevò con un energico sergozzone e con l’indice dell’altra mano la minacciò furente -Ti romperò le ossa se non vorrai fare come ti dico io. Tu mi porterai da lui... e poi... solo dopo... se sarà il caso, sarò io stesso ad accompagnarti a casa tua La disgraziata sembrava non udirlo e rinforzava i suoi lamenti ormai immersa in uno stato di alienazione. Ogni ripetizione la effettuava con un aumento di tono sino ad arrivare a gridare indifferente del folto pubblico. Lo sconcertato provocatore di tali escandescenze sorpreso anche lui fu assalito dalla preoccupazione e non di meno dalla vergogna causa l’errato convincersi della gente ingannata dalle apparenze e cercava con una mano di tapparle la bocca, producendo l’effetto di irretirne maggiormente la voce, quindi sentitosi perso, riprese a scuoterla come all’inizio dello scontro, gridando anche lui -Adesso basta, basta ti dico- E fu solo grazie a questo disperato intervento se 1’insospettata folle riuscì a ritrovare se stessa, limitandosi a supplicare quasi sfinita -Voglio riabbracciare i miei bambini, i miei figli, capisce? Andreuccio, Adelina dolce, la vostra mamma vi adora! -E ad Enzo non ci pensi? -Sì, anche lui... Mi ha trattato bene i figli miei Bruno avvertì rammollirsi di colpo, lasciò cadere le braccia e si abbandonò ad un muto e continuo scotimento del capo, infine sospirò gravemente e senza accento -Dunque è così. Poveri frugoletti innocenti! In trattoria erano tutti imbarazzati, compresa Nichitta restatasene acquattata docilmente ad un piede del tavolo. Tullio inoltre era preoccupato. Ad un tratto sbottò -Ho trovato Gli altri due si scossero e si disposero ad ascoltare attentamente la proposta da lui pensata. -La ragazza può dormire da me. Io andrò in campagna, ospite di Bruno. Che ve ne pare? Giulia arrossì di tanta disinteressata generosità, però obiettò -Potrei dormire a casa mia, ma sono attesa in albergo. Debbo tornarvi- Il suo viso avvampò di vergogna e ad occhi bassi proseguì -Lì svolgo la professione -Potresti non andarci per una sera, vista l’assenza del controllore- Ribatté precipitoso Bruno. -Lui ha l’abitudine di telefonare -Non ti troverà -Chiamerà a casa -Gli dirai di star male -Finirebbe per mandarmi qualcuno a verificare, ed io non so se me la saprei cavare -Stando così le cose un pizzico di prudenza non guasta. Faremo così. Tullio, tu andrai a dormire nel suo albergo. Ti ci recherai appena usciti da qui e prenoterai una stanza con due letti, dicendo di aspettare un familiare ed anzi lascerai l’appunto fasullo al portiere perché si sapesse regolare, quando sarà arrivato il tuo inventato ospite. Ad una certa ora dopo un bel pezzo di finta attesa, e sarà cinque minuti dopo il rientro di lei, chiederai al portiere notizie del mancato rendez-vous, e al suo gesto dispiaciuto di non avvenute novità, manifesterai il desiderio di poterti consolare con una non meno dolce compagnia -Non va- Intervenne nervosa Giulia. -Perché? -Avrebbero potuto prenotare altri, prima di lui. Il sistema c’è. Potrei telefonare adesso in albergo ed avvisare di essere già impegnata in quanto rientrerò...- Fece uno sforzo enorme -... con un cliente. Potrei giustificarlo con un incontro fortuito. Il punto è un altro: dai documenti il signore risulterà residente a Firenze. E questo insospettirà, non poco, in quanto, ad evitare complicazioni ci viene raccomandata sempre la precauzione di non praticare i locali, poiché non ci occorrono, vista la sovrabbondanza della richiesta forestiera difficilmente esauribile. In più ci sono da considerare, i non pochi fastidi cui andrà incontro, dopo la scoperta dell’inganno, tramite il recapito lasciato da lei in albergo nel prendere la stanza. A questo punto Tullio guardò l’amico con chiara significazione da non consentirgli di recedere di fronte alla fatale necessità. La stazione brulicava di gente indaffarata. Maledettamente agitata Giulia attendeva sulla banchina. Aveva paura di tradirsi o di insospettire l’infame sfruttatore quel tanto da mandare in aria il piano convenuto in mattinata con i due personaggi, forse mandati dal cielo in qualità di paladini alla sua causa. Da quando l’immondo parassita era riuscito a circuire l’ingenua aspirazione della protetta ad una vita più pepata rispetto alla tranquillità della campagna, ed in seguito ad una battuta di reclutamento, con perfetta arte lusingatrice l’aveva convinta a seguirlo, trasformandola ben presto in un volgare oggetto di mercimonio, l’occasione del momento era l’unica valida a sottrarre l’incauta ingenua alla disumana condizione in cui s’era cacciata. Per tale motivo lottava con tutte le forze per restare calma. Lei non possedeva affatto una natura perversa. Non era maturata abbastanza, specie a causa dell’indulgenza della sorella maggiore verso ogni suo capriccio, compreso quello di vedersi rubato il fidanzato. Infatti Enzo promesso sposo della signora Irene, si trovò invischiato in una fuga d’amore con la cognata farfallina. Con tutto ciò dopo l’insensato abbandono dei bambini e del marito per il primo millantatore di passaggio, la signora Irene si prodigò a tamponare la falla. Corse a sovvenire i due dolcissimi nipotini, sacrificando persino la propria attività di avviata agente di turismo. Lei si sobbarcò a sopportare lo scorno di una vivenza domestica vicino il fidanzato traditore, precludendosi in un certo senso, confinata in quell’eremo, anche le buone opportunità di sistemazione avanzatele nello scorrere del lavoro e continuate a pioverle a catinelle sia per posizione sociale, sia per doti di avvenenza e serietà. Aveva sacrificato senza batter ciglio anni importantissimi, stabilendo all’inizio dell’emergenza di accudire i marmocchi durante il periodo più critico, e se la situazione di latitanza della madre avesse dovuto continuare, di cercare altre soluzioni praticabili, e conciliabili con la programmazione del proprio avvenire. Però il passare dei giorni aveva complicato tale programma, poiché sia la mansione esercitata, sia l’affetto verso i pargoli e di questi verso lei l’avevano consacrata madre a tutti gli effetti, con la conseguenza di ritrovarsi di fatto rescissa l’ipotesi di distacco, tant’è che al momento di pensare a lei, nella circostanza della partenza di Bruno dalla fattoria, non era riuscita ad andare più in là del divisare la procrastinazione di una decisione risolutiva. Era prevalsa la scelta dell’abnegazione come fosse prevedibile per chi ne conoscesse la sua sconfinata sensibilità. E chi avrebbe potuto constatarla meglio della sorella abituata a ristorarsi insaziabilmente a quella preziosissima sorgente? Giulia sapeva a causa dello scrupolo della sorella quale larga disponibilità arrivasse ad avere concessa, ed invece di preoccuparsi della troppo friabile formazione verso cui andava ad accostarsi, ne approfittava senza ritegno, tanto da ritrovarsi a guazzare nel fango, quasi incredibilmente. Sapeva pure quanto tale scrupolo avrebbe colpevolizzato Irene, la quale per mettersi in pace con la coscienza avrebbe deciso di pagare per le follie di chi aveva troppo viziato, con maggiore rassegnazione di averle consumate lei in persona. Giulia vittima e non operatrice della malvagità era arrivata a precipitare nel baratro della perdizione solo per un ingenuo desiderio di frivolezza. Da tempo aveva maledetto la stupida aspirazione, senza esser potuta tornare indietro, poiché aveva capito di rischiare la vita, non trovando di conseguenza la forza di emendarsi, non tanto per la fragilità del carattere, quanto esclusivamente per l’insopprimibile desiderio di rivedere i figli, prima di morire. Però finalmente s’era decisa a sfidare la sorte, convinta dell’inevitabilità del pericolo in qualsiasi tempo avesse tentato una fuga. Questa al momento le dava più garanzie, specie se l’indecifrabile suonatore, fosse stato in grado di strapazzare a dovere il suo sfregiatore. Meccanicamente si toccò il polso, ed ebbe più fiducia. La motrice scivolò sui binari dolcemente sospinta dall’ultimo residuo della forza d’inerzia scaturita dalla frenata. Gli sportelli si spalancarono come braccia. Giulia rispose al saluto del protettore appena sceso, agitando la manina con ritrovato coraggio. Gli corse incontro simulando slancio, e raggiuntolo, a mo’ di fidanzata recatasi con entusiasmo all’appuntamento, gli porse la guancia per farsi baciare, scusandosi di non poter offrire le labbra perché tinte di rossetto. Lui s’informò di possibili novità, poi acquietato dalle rassicurazioni della protetta, le cinse la vita ed insieme incamminatisi verso l’uscita della stazione, presero un taxi. Bruno aspettava al luogo convenuto con olimpica calma. Sfogliava un giornale. Di tanto in tanto guardava l’angolo da dove sarebbe dovuta spuntare la coppia, come se avesse avuto da rispondere al saluto di qualche passante di sua conoscenza e non da controllare l’arrivo del nemico con il quale tra breve avrebbe ingaggiato una zuffa dai pronostici difficili. Tullio passeggiava con Nichitta al guinzaglio a buona distanza. Il taxi arrivò sul posto con pochi minuti di ritardo sull’ora prevista. Il magnaccia pagò frettolosamente, sussurrò dolci paroline all’orecchio di Giulia e rise compiaciuto prefigurando l’attuazione dei suoi lubrici propositi. Camminava tenendo stretta al fianco la dispensatrice dei suoi ambiti giochi libertini, e l’allegria l’imbaldanziva alla maniera d’un becero. A un tratto senza accorgersene urtò Bruno, il quale repentinamente s’era portato ad ostacolare i suoi passi euforici ancora con la faccia nascosta dal giornale. Quello fece l’atto di respingere bruscamente l’improvvido rompitore con più stizza di quanto provocata da un oggetto sul quale ci si sbatte inavvertitamente, ma lo trovò saldamente cementato. Si fermò tosto, con rabbia raddoppiata, strappò il giornale dalle mani del cercatore di rogna, scoprendo un viso beffardo. Comprese all’istante e si mostrò contrariato di dover sacrificare un ben più allettante abboccamento rispetto all’imprevisto non proprio gradito. Si voltò a cercare la mancipia lesta a scostarsi ed a squadrarlo con disgusto. Si sentì tradito e vile. La donna, per prendere posizione prima dell’esito della vicenda, doveva essere sicura del fatto suo! Riesaminò l’espressione del rivale ed avvertì uno smarrimento: quello aspettava paziente adagiato nel provocante sorriso derisorio, forse sostenuto dalla scoperta della di lui pavida natura. Il miserabile sfruttatore fu segnato in viso da una contrazione nervosa. Sentiva di aver perduto anche le forze per scappare. E se l’altro avesse scoperto il suo stato interiore di crollo? Ricorse al bluff, gonfiando il torace, come un serpentello innocuo di fronte al pericolo, a minaccia di reazioni simulatamente sgomentevoli e prive di sostanza, diversamente dall’appartenente alla specie veramente perniciosa al quale assomiglia a perfezione solo nelle sembianze, poiché l’imitato modello sicuro di sé, in quanto non gli serve, non ricorre a far sfoggio di recitazione. In risposta ebbe dal rivale l’accentuazione della posa sfottente. Le idee gli si annebbiarono. Quanto desiderava potersi volatilizzare! Invece era in balia del vendicatore dell’ultimo suo gesto fortunato di codardia. Cosa poteva inventare per impietosirlo? Quale parola magica avrebbe potuto pronunciare, o quale atto di sottomissione offrire? Poteva provare a farsi perdonare con un’offerta di denaro. Avrebbe accumulato la somma pattuita risparmiando sui proventi del lenocinio. Che stupido! Il baluba era lì anche per contendersi l’indegna, ingrata meretrice! Si convinse di esser letto nel pensiero dal furbastro terrun. Fu sommerso dalla collera, e non trovando altro modo di sfogarsi, dopo quei lunghissimi secondi di rovente almanaccare inveì contro colei, la quale qualche minuto prima, ispirato dalla libidine, avrebbe innalzata sul più fastoso degli altari -Lurida puttana! Bruno lo raggiunse fulmineamente con uno schiaffo e mentre il pusillanime si era abbandonato a cadere sotto il tremendo effetto, lo raddrizzò con un altro ugualmente poderoso, gridandogli di difendersi e reagire -Infame, magnaccio, bastardo, dove hai lasciato i muscoli? Che fine ha fatto l’aria dentro i polmoni? Spaccamontagne, gradasso, rodomonte dei miei coglioni!- Intanto lo colpiva ora a destra, ora a manca e lo incalzava mentre il barcollante bersaglio indietreggiava -Dovrai sputare i denti, miserabile iena, uno per uno, hai capito? Eri diretto al bar, vero? Ti ci accompagnerò io, vedrai quale bel divertimento gli avventori potranno godersi gratis! -Al bar, no, al bar, no- Cominciò ad implorare il malcapitato. -Non vuoi farli divertire? E invece sì, perché avrai bisogno di soccorso. Vedi, quante premure ho verso di te, invece tu! Ricordi, vero? -L’ha voluto lei. E’lei la responsabile, ti supplico lasciami qui, abbi pietà, ti supplico -Ti condurrò al bar A risentire la minaccia con uno sforzo estremo l’intrappolato coniglio fece l’atto di sottrarsi allo spietato picchiatore e tentare di scappare. Bruno non si fece sorprendere. Lo afferrò per la gola, e trapassandogli con lo sguardo la faccia disfatta gli ripeté con fermezza -Ti condurrò al bar, perché tutti dovranno conoscerti per quello che sei nella vera sostanza: un magnaccio di merda, un verme tenia schifoso, stomachevole, con nessun diritto a vivere in comunità. Tu dovrai impazzire per la vergogna o sparire dalla circolazione. Credo ti convenga quest’ultima soluzione, così avrò il merito di aver pulito la città di un escremento puzzolente- Riprese a schiaffeggiarlo con una sola mano mentre con l’altra lo spingeva ad arretrare verso il bar. Non dovette entrare per avere il pubblico preventivato: l’acrimonia della voce e delle sberle l’aveva richiamato ed assembrato sulla soglia del locale. A quel punto lo guardò un’altra volta feroce, poi addolcì l’espressione e la colorì del sorriso dell’accoglienza iniziale, infine si liberò del vigliacco con disprezzo spingendolo contro gli spettatori, e prima di abbandonarlo al sottile ludibrio di giovani sfaccendati, gli ricordò di non permettersi di alzare nemmeno gli occhi su quella donna smaniosa di sottrarsi alla sua infamia, se avesse voluto continuare a vivere, di andarlo a trovare dove lui sapeva, se avesse voluto rivalersi, e per ultimo di denunciarlo con tanta abbondanza di testimoni, se avesse ritenuta quella la risposta più opportuna da dargli. Chiusa la partita con tali consigli si avvicinò a Giulia e sincamminò con lei verso Tullio dicendole con tono dispiaciuto riguardo la selvaggia rivincita -Non ho potuto evitare di abbassarmi al suo livello. Un parassita non può mai udire dalla coscienza di rinunciare ad un ruolo incentivato di fatto dallo Stato in tutte le più varie diversificazioni democratiche e onorato dalla parte più grossa di società, quella abituata a subire. Ti ringrazio per aver collaborato -Sono io a doverti ringraziare -Non me, semmai la fortuna, generosa con te nell’assegnarti parenti eccezionali, e con me nel volermi aiutare a ritrovarti. Tu ormai hai conosciuto cosa muove quel mondo ingenuamente sognato, e per avervi partecipato da vittima hai ancora facoltà di decidere. Questa sarà l’ultima volta in cui potrai scegliere La donna in ascolto a capo chino, piangendo felicemente della riconquistata libertà, rispose sostenuta dalla fiducia -Non dovrò fare alcuna scelta. Io voglio solo riabbracciare i miei figli- Fece una breve pausa per riprendere -E se Enzo vorrà- Non finì la frase. Si morse le labbra e attese. Bruno con una mano le sospinse il viso: le pupille di una deliziosa bambina già conosciuta, scintillavano infervorate come pensées irrorate sotto il primo bacio di sole. La sera fu spesa ai preparativi della partenza. Tullio protestò un bel pezzo con l’amico prima di arrendersi a fare da accompagnatore alla giovane. Acconsentì convincendosi della validità dei motivi sia di carattere riservato sia di abilità a condurre una delicatissima riappacificazione, addotti dall’altro per stornare da sé l’incombenza. E una volta accettato, l’incarico gli mostrò non pochi lati interessanti. Un grande onore, data la parte di ambasciatore di pace. La curiosità di conoscere persone descritte dall’allievo, ricche di squisitezza. Il piacere di andare a visitare contrade di campagna incorrotte e pulsanti di linfa. Inoltre trovò il viaggio comodo per l’effettuazione di giorno, non molto affaticante per lunghezza ed esaltante grazie alla giovane e bella compagnia! Concluse di non essere mai riuscito a trarre tanti vantaggi assieme da nessun’altra situazione d’impegno, e finì per esprimere entusiasmo -La più ghiotta missione d’inviato speciale ch’io ricordi! L’ex aiutante bracciante agricolo per l’occasione si sbizzarrì a scegliere un regalino appropriato da far arrivare ad ognuno dei vecchi amici. Giulia da parte sua intransigente a non volere accettare un prestito da entrambi i nuovi conoscenti, impiegò con la più saggia oculatezza, da riuscire a permettersi di non dover sacrificare alcuno, i pochi soldi posseduti. Alla stazione ci pensò Nichitta, con la sua abituale irrequietezza aggravata dalla confusione, a distrarre il terzetto da un’atmosfera inaspettatamente rifattasi imbarazzante malgrado la normalizzazione ottenuta il giorno avanti... Il provvidenziale liberatore dell’ingenua abbindolata sentiva il bacio di Giulia posatogli sulla guancia prima di salire sulla vettura ancora carico di gratitudine e per lui era stato il più ambito riconoscimento potutogli derivare dalla sua alacrità a recuperare la povera disillusa. Quel bacio lo ripagava abbondantemente delle ultime peripezie, cicatrice compresa. Lo sentiva palpitare sotto la barba come la cessione di un pezzetto di cuore da parte di una vita risorta grazie a lui. Era indicibilmente fiero! Di tanto in tanto lo accarezzava amorevolmente finché purtroppo il pensiero non pretese di scorrere pagine del passato. Gli sembrò allora il premio ricevuto a seguito di fallimentari sperimentazioni dell’inverso di vecchi consigli da lui dati. Indirettamente gli sembrava di leggere capitoli successivi all’interruzione della sua storia. Non poteva essere andata diversamente! La posa del bacio aveva effetti inconfondibili. Era Nikitta a voler ritornare sui suoi passi. Una delle tante, innumerevoli, effimere apostate dell’illusorio sulla corriera del riflusso a palme spiegate dopo aver visto svanire dai propri pugni gl’inebrianti aromi della vanità! Si rannuvolò a spese del precedente breve fremito di gioia e concluse che l’insana mens è il problema fisiologico del sesso debole. La collocazione della donna in una comunità infelice della ortodossia corrente, è sancita dal suo stesso convincimento di indispensabilità al maschio, sufficiente a demotivarla affettivamente sino a devitalizzare in lei le radici dei sentimenti puri. A soluzione della sua apatia, continua a cercare o il contratto di unione solo a garanzia di contropartite, ricucendo in tal modo l’insoddisfazione con la tirannia sui figli, o in alternativa continua a scegliere la scostumatezza con l’immancabile risultato di farsi condurre ben presto al disgusto dalla ludica libidine del maschio ispirata alle sue frigide prestazioni professionali. La positiva conclusione della disavventura, a Bruno gli portò dell’amaro in bocca, poiché se per un verso avesse da complimentarsi della ventata feconda a spazzare, con l’arrivo di Giulia, grazie ai buoni uffici dell’accompagnatore e non ultima la bontà di Enzo, la persistente coltre depressionaria dalla fattoria, dall’altro si trovò a debellare riacutizzazioni di antichi malanni come se un’ulcera recidiva riprendesse i morsi allo spirito. Quella vicenda gli aveva avvelenato la tranquillità sembratagli definitivamente raggiunta. Diventò irrequieto e ruvido, facendo pagare a Nichitta gli sbalzi di umore prodotti dalla sua strana frenesia. Cercò di contemperarsi attraverso l’attività fisica: sgobbando la mattina dietro le più pesanti azioni dell’aggiardinare tornando la sera dopo pochi giorni di ferie ad esibirsi al solito posto. La nordica non andava più ad ascoltarlo. Forse era partita o forse avendo assistito all’episodio intimidatorio, come tanti altri lo aveva interpretato in modo errato. Era meglio così, per quanto non avesse da temere repentini dietrofront, preso dall’attuale instabilità emozionale nei confronti delle donne, dopo la trasformazione dell’indifferenza in avversione. Malgrado le sue energie fossero impegnate al massimo, la sera al rientro in campagna le trovava ancora valide a tormentarlo. Esse rifiorivano al servizio dell’ansia risorta da non remote ceneri a beccare senza riguardi. Il subconscio tornava alla carica con il missaggio di fallite rimozioni. In effetti Bruno finora era ricorso ai surrogati della droga quotidiana dalla quale voleva uscire. La fattoria, la villa, cos’altro erano se non riproposizioni della stessa salsa? Lui era fuggito dalla convenzionale servitù alla quale aveva dovuto soggiacere a seguito della subita discriminazione arbitraria, per il rifiuto di quel tipo di protezione tanto anomala per lui quanto strutturalmente regolare. Maledì la tara degli affetti: l’egoismo. Un egoismo connaturato, proteico, biochimico, molecolare, cromosomico. Bestemmiò disperato. Raccolse le sue cose, deciso a partire senza indugio il mattino seguente. Erano passati cinque giorni senza che Tullio fosse rientrato. Considerò la formulazione dello scritto di ringraziamento e di addio. Erano cose dell’ultima ora. Ci avrebbe pensato l’indomani prima di lasciare definitivamente la villa ancora in corso di sistemazione. Nelle sue condizioni non poteva più perdere tempo a rinnegare la propria specie. Declassarsi ad animale; e come tale non aveva bisogno di una casa. Uscì senza un programma, combattuto da indefinibili assalti, infine interiorizzati in una ridda di teneri simulacri. Un cinico, lirico contrappunto per una sinfonia di sofferenza orchestrata, diretta ed interpretata dall’amore, l’invincibile mostro proteiforme. La campagna sonnecchiava al tepore dei raggi morenti nel grembo di un cielo impassibile. Com’era tutto tranquillo, impudente, provocatorio! Ne fu disgustato. Camminò a lungo senza vedere o sentire, lasciandosi andare ad intervallate imprecazioni quando gli capitava d’inciampare con la cagnetta istintivamente comprensiva. Si fermò in un’antica e suggestiva piazzetta. Sedette a metà gradinata del portico. Per sfuggire all’angoscia montò l’onda sonora elargita dal suo strumento, aiutandosi con qualche virtuosismo. Fu distolto da un ragazzino distinto intento a guardarlo stupito ed indeciso con una banconota in mano. Gli parve di averlo già visto in qualche altro posto, ma la sua memoria non lo soccorse. Aspettò che il piccolo depositasse l’obolo, poi lo seguì con lo sguardo fino all’altro lato della piazza, dove genitori innamorati, stretti per la vita camminavano lentamente, aspettando d’esser raggiunti dal rampollo. Aveva rivisto u picciutteddu, il quale sicuramente di contro la sua perplessità l’aveva riconosciuto all’istante. Ne ebbe conferma dagli sguardi della coppia al suo indirizzo, a seguito del resoconto del figlio. Tanino in giro per l’Italia forse per scegliere, deciso a riciclarsi, la città nella quale presto si sarebbe trasferito assieme alla famiglia, dai gesti sembrava non contestare la probabilità di coincidenza del suonatore randagio con l’amico incontrato sul treno, e con naturale sufficienza stava pure spiegando all’attento ragazzino dell’indispensabilità a volte di sapersi arrangiare per vivere, in quanto affermarsi in questo mondo non è cosa facile, e quando capita di poter contribuire a dare un aiuto al prossimo è cosa meritoria non sottrarsi, proprio come aveva fatto testé! Bruno provò tenerezza per la carità dei borghesi e sospirò con vero sollievo. Il fortuito incontro bastò a rincuorarlo. Produsse una carezza a Nichitta e le confidò l’idea balenatagli quasi di riflesso alla fresca coincidenza: andare a telefonare ai vecchi. In fin dei conti sei mesi scarsi non erano sufficienti a cancellare quarant’anni di coabitazione, ancor più per non essere riuscito ancora a liberarsi dalla condizione umana. Giurò a se stesso di cedere per l’ultima volta a tentazioni sabotatrici del programma prefissosi, anche se avesse da soffrire parecchio prima di riuscire a svelenire i suoi sentimenti plagiati. Dopo essersi procurati i gettoni si fermò alla prima cabina telefonica. Attese agitato da un’imprevista emozione l’uscita dell’occupante, e anche durante la composizione del numero non smise di fervere. Il legame continuava ad esistere. Forse non si sarebbe mai spezzato. Ascoltava il crepitio del disco combinatore con speciale attrazione. Quel suono di mitragliera lo affascinò. Il segnale acustico dava libera la linea. Lui assorbiva ingordamente la breve attesa, felice ad entrare a momenti nell’agognata, dolcissima conversazione. Ad ogni impulso si diceva fosse l’ultimo e vedeva una deliziosa mano esser sul punto di sollevare la cornetta all’altro capo. Aveva la sillaba in bocca pronta a farla esplodere. Pregustava la gioia di pronunciare il nome meraviglioso. Non gl’importava più delle sue ubbie, dell’intimo travaglio o della sudditanza: era comandato dalla sbornia a cui soggiaceva Tullio, ed ora smaniava di ristabilire il contatto un quarto d’ora prima giudicato folle. Causa l’impazienza tamburellava con le dita sull’apparecchio pigro a produrre il collegamento. Al ricevitore il suono disteso della chiamata si segmentò in urtanti picchiettii. Indispettito ricompose il numero. Attese inutilmente. Riprovò altre volte senza esito. Uscì dalla cabina, enormemente incazzato. In casa non c’era nessuno, in un giorno feriale e ad un’ora, secondo le abitudini dei suoi genitori, inconsueta per star fuori. Cominciò a preoccuparsi. Voleva chiamare il fratello, ma aveva trascurato di appuntarne il numero. Sforzò la memoria al massimo e riuscì ad ottenere tre affidabili composizioni. Non era un problema se una delle tre fosse stata almeno esatta. Alla messa in prova fece fiasco. Pensò, bestemmiando, che se le cose non corrono lisce di solito nascondono sgradite sorprese. Aveva bisogno di un elenco telefonico del distretto di appartenenza della sua città. Uscì dalla cabina sconsolato, ripetendosi i numeri provati. Non si dava pace. A tutti i costi doveva avere notizie. Oscuri, inquietanti presentimenti gli s’insinuavano con gran torcimento -Merda di un numero, devi uscire- Esclamò incazzatissimo. Riprovò a spostare le cifre e a ripetere i numeri ottenuti confidando in un lampo di lucidità. Ne venne fuori un gioco di una gran quantità di possibilità. Decise di arrendersi, pur con la convinzione di veder uscire da quell’esercizio una risposta. Cercò di rappresentarsele tutte scritte le maledette combinazioni, avvertendo simpatia per una in particolare. Gli sembrava, gli ammiccasse al pari di una compagna di giochi fanciulleschi. La esaminò attentamente. Era una delle tre trovate prima. La accomiatò con un vaffanculo!, furente di dover rimandare al nuovo giorno l’appagamento di un ritorno di nostalgia per la madre. S’era messo a parlare con Nichitta -Una vera fortuna la vecchiaia incipiente: ci fa tradire dalla memoria, abbandonare dall’inventiva per rimediare, ci fa svaporare la calma per ragionare. Io sono sicuro, ci deve pur essere una scappatoia, un mezzo di soccorso, qualcosa che ti risolva il busillis, un lampo d’ingegno, ed infatti dialogando con grazia come sto facendo con te adesso, ti riscopro che è la cosa più semplice di questo mondo avere delucidazioni su problemi del mio tipo. E sì, perché c’è un numero a dir poco favoloso a toglierti dalla disperazione, il dodici, non lo dimenticare, il dodici, vieni con me, te ne darò la riprovaRientrò in cabina e dal numero ricevuto dalla telefonista di servizio poté appurare di aver incanalato la penultima cifra calante di due punti -Vedi, volendo parlare con Mario al penultimo posto avrei dovuto immettere il sei al posto del quattro- Saltò di gioia per aver trovato la chiave d’una comunicazione mai così tanto desiderata. Nello stesso tempo fu assalito dal batticuore. Accompagnò il disco delicatamente e ascoltò le battute piane del segnale con lo stesso assaporamento di un preludio musicale a trionfi esistenziali -Pronto, Mario? -Bruno, sei tu? E’ una fortuna questa, non sapevamo come rintracciarti. Pensa, papà si è messo in testa di farci la donazione dei beni. Occorre la tua presenza, qui per firmare dal notaio. Sai, per queste cose ci sono sempre carte da firmare! Ti comunico pure la mia seconda paternità. E’arrivata un’altra bella femminuccia. E’ nata ponchia: non fa che mangiare, ridere e dormire. E’andato tutto a meraviglia. Noi stiamo bene... e tu? Scusa se te lo chiedo solo adesso- La sua favella era uscita come una granata difettosa dal mortarello, cosicché all’atto di erompere in multicolori zampilli di luce, spirò in cilecca. Mario non era avvezzo a tanta parlantina, piuttosto si poteva definire un avaro di parole, perciò sotto doveva covare qualcosa. -Non preoccupatevi per me- Gli rispose frastornato, Bruno. E chiese ansioso -Piuttosto a quest’ora come mai i vecchi non sono a casa? -Papa è a casa di nostra sorella -E mamma? -Mamma? -Sì, mamma!- Ripeté seccato Bruno. -Mamma... mamma, non c’è più Bruno rimase paralizzato, mentre dall’altro capo la ferale notizia si completava di dettagli -Due mesi... Un infarto... Un fulmine- A questo punto la cornetta gli scivolò dalle mani, lo strumento da sotto il braccio, Nichitta prese ad abbaiare con furia. La voce di Mario insisteva a chiamare il fratello e a chiedergli quando pensasse di arrivare. Bruno uscì dalla cabina con passi pesanti e malfermi. Nichitta non si dava pace continuando ad abbaiargli intorno. Lui si appoggiò alla facciata di un’abitazione e si abbandonò sino a scivolare e a trovarsi seduto sul margine interno del marciapiede. Prese tra le braccia la bestiola accarezzandola inebetito. Stette un bel pezzo così: sordo, muto, spiritato, lisciando il dorso ricciuto dell’animale molto condiscendente anche all’apatica moina. Poi pronunciò snervato –E’morta- Continuando a fissare il vuoto davanti a sé; presto fu inondato da un’improvvisa vampata interna. Fu investito dalla furia del sangue. Si alzò dì scatto liberandosi della cagna con ira e gridandole mentre si batteva il petto ad indicare il cuore -Va via da me, qui non c’è più posto per te, per altri, per nessuno. Va via, ti dico- Le intimò spazientito poiché la bestiola continuava a resistere con compassionevoli guaiti. Infine gridò con rabbia –E’morta- Andò a riprendere il flauto e si mise a correre seguendo l’impulso di andare a cercare la nordica. La chiamava a squarciagola, intercalandovi bestemmie -Silfide... Vichinga... Valchiria...- Avvertì dei crampi allo stomaco. Si fermò, tossendo di disgusto. Nichitta lo raggiunse trafelata e scampando miracolosamente un calcio andato a vuoto. Lui fu attaccato da conati di vomito. Con una mano a tappare la bocca si diresse verso un albero del marciapiede. Accostò la fronte al tronco e non si mosse da lì fino a che i rigurgiti non si placarono. Si sentiva solo al mondo ed indifeso: un bambino abbandonato a se stesso. Riprese a camminare lentamente, imprecando per avere inciampato contro il sensibilissimo animale comprensivo a capire tutto tranne il comando di staccarsi da lui. A un tratto gli prese a ridere beffardamente. Aveva gli occhi umidi e rossi. Dapprincipio furono scariche di ghigni nervosi sfuggite al controllo, man mano infittite in una cadenza più continua, infine scioltesi in un pietoso pianto dirotto. Appoggiò il bacino su un muretto delimitante una graziosa villetta. Estrasse dal pacchetto un fazzoletto e si asciugò in viso mentre provava brividi di freddo. Si rivolse a Nichitta con gentilezza -Il tuo padrone sta male. Vieni qui, per favore, portagli del conforto- Le tese una mano e l’animale obbediente saltò sulla cresta del muro -Vedi- Le confidava -Oggi la mia coscienza è stata ferita a morte. A quarant’anni avrò da ricominciare daccapo, smarrito e solo ad eccezione di te. Non sarà facile, credimi, ricominciare con tanti anni sulla schiena. Ma tu col tuo esempio mi farai da sprone, anche se diventerò capriccioso, dispettoso, scorbutico, e tu avrai da sopportare una non facile esistenza. So che non te ne dorrai di sacrificarti, anche lei era così, e io l’ho uccisa e tuttavia continuerò a non capire, continuerò a maltrattarti senza ritegno per accorgermi della mia brutalità, se sarò ancora vivo e solo dopo averti perduta. Io non ero così, sai? Mi sono sbandato nel volere scoprire il volto all’illusione, ho voluto sapere, conoscere più da vicino senz’esserne preparato. Ho violato il patto di solidarietà sociale, e questo si paga- Avvertì freddo. Batté i denti e se ne dolse con l’animale -La paura già lavora! E' bene prendere le necessarie contromisure. Muoviamoci- Camminava spinto da una precisa esigenza. Cercava un bar. Appena lo scorse, si diresse deciso alla cassa ad ordinare una bottiglia di whisky qualsiasi, risultata di una marca sconosciuta. Sragionando tra una sorsata e l’altra avanzava verso l’indistinto. Il persistente velo di nebbia davanti a sé, lo spinse a procedere. Il misterioso senso d’orientamento degli sborniati, lo guidò sino alla dimora. Il cortile era illuminato. Tullio conversava con una donna, ed appena vide appiccicata al cancello la sagoma dell’amico intento a scrutare la situazione, si alzò per andargli incontro. -Non ti scomodare- Lo fermò l’ubriaco strascicando le parole -Piuttosto, non vorrei disturbare, data la buona compagnia La barboncina corse di slancio verso l’anziano suo corteggiatore a dargli il bentornato, senz’esserne ricambiata da questi, rimasto esterrefatto a controllare lo stato in cui s’era ridotto lo sciagurato flautista. Bruno fece qualche passo ciondolando e con gli occhi sgranati addosso alla nuova arrivata, meccanicamente piegatasi per consolare con vezzi graditi l’allegra bestiola della precedente accoglienza mal ripagata, senza stornare molto preoccupata l’attenzione da lui, fermatosi incredulo. Con la mano impegnata a tenere la bottiglia, lo sborniato produsse un gesto di scostamento della cortina davanti la vista. Si ravvivò. Riempì la bocca del caustico liquore senza ingurgitarlo. Si sfregò gli occhi con il dorso della mano. Dilatò le pupille al massimo. Le narici iniziarono a palpitare. Causa la sorpresa fu costretto a sputare il liquido a premessa d’una bestemmia e d’una incontenibile, fragorosa risata -Lei- Ripeteva. tra i soffocamenti -La signora Irene! Adesso capisco il ritardo di paparino. Ha avuto da attendere il passaggio delle consegne. Bisognava convincere quelle anime innocenti della resurrezione della zia cattiva, e di fidarsi di lei per capire presto di non essere affatto cattiva. Intanto l’affascinante signora riconquista il suo stato vergineo. Missione compiuta con il massimo della pro-fes-sio-na-li-tà- Concluse, barbugliando -Sei ubriaco- L’interruppe lei con sdegno. -Sì, sì, lo ammetto, sono sbronzo ed è un bene, così, non riuscendo a farmi compatire per quel che sono, in quanto non sapete, proverò a farmi compatire per quel che credete di sapere e invece non sono. Dico bene? Capite l’utilità della sbornia?- Ebbe un nauseante singhiozzo, ma continuò senza farci caso -Inoltre per certe cose rende più lucidi e pronti a cogliere l’invito a familiarizzare, rendo l’idea? Entrare in confidenza, darsi del tu... Allora occorre festeggiare. Tieni, fammi compagnia a bere -No grazie, non sono abituata -Sei scortese, è d’obbligo un brindisi, e poiché non vuoi gradire lo farò in compagnia dei vecchi amici: gli ex principali datori di pane e perciò papà acquisiti, il faccenderiere, il compare, bravo ragazzo il compare, e poi Ni... Ninì... Ninininì- Ruttò senza ritegno deliziandosi con un prolungato esclamare di soddisfazione -Dove eravamo arrivati a Nininininininininininì. Non è un bel motivetto?- Chiese sarcastico -E ancora Anna, Rosy, Nuccio e Saro e Alfio e il Ministro, perché no, così bello e pacioccone, e al resto dei benefattori dell’umanità che non menziono tutti, per stringere- Produsse il gesto con la mano libera -Esclusa la dolce Irene, posso dirlo adesso, sì? Perché è una creatura piena di virtù! -Hai bisogno di un letto -Sì mammina, ed anche della ninna nanna. Tu sei pratica di tali faccende, e lieta di farmi il favore, vero? Però, purtroppo la mammina è morta. L’ho uccisa io, capisci? La donna più deliziosa del mondo! Uccisa dalla mia negligenza. Il gioiello più prezioso, trascurato ed abbandonato!- Pronunciava le parole in un misto di balbuzie, singhiozzi ed ebeti risolini -Ed ora me ne consolo con questa- Mostrò la bottiglia barcollando -Sai, fa bene, lenisce, anestetizza quasi, e nello stesso tempo tira su. Vuoi? Porca la memoria, dimenticare che l’incarnazione della virtù non beve! Ma anch’io è la prima volta che bevo a gogo, lo giuro- Fece una specie di saluto nazista per poco non risoltosi in una caduta, si riprese a stento e con i polsi provò a tirar più su i pantaloni come a rimedio della perdita d’equilibrio -Ti sto annoiando?- Chiese ora rauco -Però c’era un discorsetto da fare. Ho perso il filo- Allargò le braccia in segno di dispiacere, ma se ne ricordò in extremis -Ah! Parlavamo della mammina, sì, della mammina. Una mammina tanto cara! Ci ho fatto pure l’amore- Dichiarò debolmente, cedendo ad un’ondata, di nostalgia. Ma si riscosse subito per paura d’essere frainteso e si premurò a chiarire senza però deflettere dal suo proposito di ferire -Non turbarti. E’difficile spiegare. No, nel modo pensato da te, nel quale tu lo troveresti con me, se mi è consentito, confacente Irene fremette di disappunto e non potendo replicare ad una malacreanza impune nella miserevole circostanza, guardò Tullio in segno d’intesa. Fece per dirigersi dentro casa senza rispondere, allo scopo di togliere definitivamente all’ubriaco l’occasione di esibirsi con altre sconcezze. Bruno cercò di giustificarsi, riuscendo a fermarla in tempo -Scusami, non volevo essere volgare: non connetto a sufficienza. Certo, non meriti questo; io non riesco a spiegare. Ecco! E’ l’alcool a toglierti da un impiccio ed a rimediartene altri cento. Ecco! Io so di dovervi dire delle cose importanti senza riuscirci. Ecco! E intanto ci provo, ci debbo riuscire- S’era fatto più serio, adesso dispiaciuto, quasi arrendevole... E invece l’atteggiamento derisorio finì per prevalere -Il punto è, che per una mammina trapassata da qualche mese, ma con la scoperta della funesta notizia di qualche ora fa, ce n’è presto pronta un’altra. Non solo, anche il ripudio di un paparino viene colmato immediatamente da un paparino pu-ta-ti-vo. Cosicché inaspettatamente ed inopportunamente ti ritrovi con una mammina da un lato e paparino dall’altro, nuovi di zecca- Adesso mimava in modo grottesco anche se la parola fosse diventata meno sconnessa -Sai paparino, pure l’altro, il naturale, vorrebbe farmi una donazione. Che fissazione, tenuto conto del suo carattere poi!, forse, troppo tardi ridimensionato, solo ora a seguito della dipartita del suo mal ponderato sostegno di vita, quando non c’è più la possibilità di potersi emendare, perché la nostra intelligenza soltanto allora capisce il valore intrinseco del gioiello perduto per sempre. Scusate, ho perso il filo! Ah, l’importanza della donazione per i paparini! Sempre vogliosi di dare, basta la solita firmetta, mentre le mammine han bisogno di affibbiare il loro inesauribile amore. Mammina, paparino, bébé. Che bella famiglia! In carrozza si parte! Ricomincia un nuovo ciclo. Nooo!- Urlò all’improvviso, scagliando la bottiglia lontano con una mezza torsione del busto -Non permetterò un mio nuovo incatenamento. Non ci saranno altre mammine, né paparini, e Nikitta è andata via per sempre. L’atto si è compiuto. Lei è l’unico pezzetto rimasto- Aggiunse accorato, mostrando la cagnetta -Perché siamo compagni di sventura e viviamo castrati entrambi- Le lacrime cominciarono a fluire copiosamente sul viso. Si mosse verso la casa passando davanti ai due a testa bassa, aggiungendo sommessamente -Scusa Tullio, la libertà è un bene allergico ai compromessi. Scusami Irene, a chi ha fatto l’amore con la propria madre non è più consentito innamorarsi. Vi prego accettate la mia volontà di vivere sull’unica strada percorribile- Fece pochi passi, si rigirò e con impeto riprese a gridare -Ho provato con tutte le mie forze a costringermi ad amare. E’inutile, ho perduto la capacità d’illudermi! Io non posso, non posso, non posso!Confessò attenuando il tono sino al sussurro come se stesse pronunciando l’ultimo segreto prima di spirare. Volse il capo a guardare ancora una volta gli allibiti spettatori con occhi dilatati, incandescenti d’alcool e di rabbia. Un riso schernitore subito dileguò la ferocia ostentata. Pietosamente barcollante entrò in casa a ritirare il sacco. Lo caricò in spalla. Fuori si sentì lo stridore di un mobile spostato e un tonfo sordo. L’umiliato anziano ed Irene accorsero lesti. Bruno russava supino sul letto con il flauto a lato ed il bagaglio caduto sul pavimento. Irene lo raccolse rattristata e andò a posarlo sul tavolo della cucina commentando -Continua a voler fuggire! -E’perché teme d’imboscarsi prima di aver compiuto il suo presupposto dovere sino in fondo- Ribatté l’anziano signore con accento dispiaciuto. -Ma di grazia, chi è l’altra Nichitta a cui ha fatto riferimento? -Irene, non l’ha capito ancora? E’il fallimento di una sua idealizzazione, la più grande ed ineguagliabile poiché comprendeva compagna e madre assieme -Ora comincio a capire qualcosa Sulla soglia di casa Nichitta sbadigliava in faccia ad una notte tersa e leggiera, divinatrice del giorno a venire, sicuramente fulgido di sole come il precedente! A metà notte, la coscienza lessata nel sonno, i muscoli specie delle gambe indolenziti, la testa vuota, la bocca amara, Bruno si svegliò nervoso. Se ne chiese ragione ancora con gli occhi chiusi, in uno di quei momenti brevi e confusi d’interruzione del riposo, assolutamente dimentico degli ultimi avvenimenti, e invece di riassopirsi come di solito succede prima di trarne una risposta, ebbe un sobbalzo. Spinse le palpebre con fatica, attese immobile, trattenne il respiro, inghiottì un afflusso di rancore, imprecò sommessamente, minacciò -Ve ne accorgerete tosto- Levandosi con ogni precauzione a non infrangere la quiete, constatò di essere vestito e se ne rallegrò. Su un fianco si sentì lambire da un oggetto, il flauto giaciuto accosto a lui. Gli mancava solo il sacco per potersi allontanare indisturbato. Ricordò della caduta ai piedi del letto. Cominciò a tastare prudentemente con le mani senza effetto: l’oscurità piena non gli consentiva l’agio desiderato. Decise di provare ad uscire di casa di soppiatto. Prese il flauto e a tentoni si diresse verso la cucina, vi toccò il tavolo e lisciandolo per orientarsi urtò l’agognato bagaglio. Era stata una fortuna: gli ospiti se li era giocati come nulla fosse. Appena fuori sospirò di soddisfazione. Finalmente poteva fuggire gli ultimi tentatori -Fuggire- Pensò quanto spesso gli stesse accadendo, per cui si commiserò e si dolse non poco per non avere altra scelta. Era stanco, soprattutto psichicamente stressato. Dall’aria frizzante del primo mattino gli parve di ricevere la gratificazione di una vittoria compiuta. Ebbe un empito di nostalgia per il piccolo podere dal quale si accingeva a staccarsi prima di averne ultimati i lavori di conversione in villa come avrebbe desiderato se gli avvenimenti non lo avessero incalzato con tanta crudeltà. Volle inoltrarsi per i viali a dare con l’ultima ricognizione l’addio per sempre ad un luogo di allettanti promesse rigettate... Improvvisamente un grido atroce perforò le ombre stinte della campagna in procinto del risveglio -Nooo!- Ne seguì un altro, uguale, disperato, atterrito. Poi una breve pausa tutta piena di smarrimento, e subito appresso la voce spezzata di Bruno erotta a non darsi pace -No, non è possibile, non può essere. Assassino, assassino, assassino! Era successo che dall’uscio della cucina, lasciato accostato al fine di non produrre rumore, Nichitta, ansimante e lamentevole, aveva potuto lanciarsi alla caccia del suo padrone, ed appena l’ebbe raggiunto, aveva cominciato ad abbaiare di gioia. Lui l’aveva supplicata inutilmente -Zitta disgraziata, tu rovini sempre tutto- Ma cosa sperava ne avesse potuto comprendere una bestiola felice del vitale ritrovamento? Infatti Nichitta aveva continuato a saltellargli chiassosamente intorno. A questo punto Bruno era stato costretto a buttarsi addosso alla sgradita persecutrice, agguantarla e serrarle le mascelle per indurla a desistere. Aveva cercato di tenerla ferma imprecando e non smettendo di supplicare, mentre la barboncina si dimenava vigorosamente per non soffocare, e più essa si dibatteva, più lui s’impegnava a tenerla avvinghiata senza accorgersi di quel che le stesse procurando, fino a quando l’agonia consumata per intero non gliela avesse trasformato in docilissima, rilassata, imperturbabile creatura. La falce spietata della morte aveva sibilato davanti gli occhi dell’incauto fuggiasco, per la seconda volta in meno di dodici ore. Riuscito ad alzarsi dietro uno sforzo tremendo, tacendo e tenendo raccolta sulle braccia protendenti l’innocente vittima della sua febbre di persecuzione, l’osservava muto ed inorridito. Iniziò a piangere... a singhiozzare... ed a ripetere con ossessiva insistenza -L’ho uccisa io, la mia tenera confessora- Se la strinse al petto... Vi affondò la faccia nella lana ancora calda. Per qualche minuto sicuramente eterno rimase inerte in quella posa di dolore. Appena la mente lo soccorse con un leggero risveglio dall’ottundimento in cui s’era immersa, si chinò ad adagiare sull’aiuola più vicina l’infinitamente devota quanto sventurata cagnetta. Vide gli ospiti attoniti nel cortile. Si raddrizzò di scatto, ma non trovò la forza d’inveire, quindi si rassegnò a parlare lentamente, atono nella voce, impassibile nell’espressione -Vi siete goduti la scena... Vi odio... Già. vi odio! Come si fa ad odiare quando s’è perduta la facoltà di amare? Voi non rappresentate niente per me, mi siete solo conoscenti a causa di bizzarre circostanze consumate in un coinvolgimento comune, mi auguro definitivamente concluse. Ognuno ha avuto la sua parte, recitata a perfezione, e tanto è bastato. Io non mi sono risparmiato a ripagare i favori ricevuti. Io vi debbo tanto quanto mi aspetto da voi: niente! Mi sono spiegato? Niente!- Si chinò a prendere le sue cose ed all’accenno dei due pietosi amici ad avvicinarsi a lui, li redarguì ancor con meno partecipazione, sebbene puntasse contro loro il dito -Non avete rispetto, tranne per il vostro egoismo florido di civiltà. Le mie parole sono buttate al vento! A quaranta anni non sono padrone di fare a modo mio. Per favore, lasciatemi imboccare la mia strada- Si fece querulo -Io non so battermi, sono un incapace, un perdente, un vinto schiacciato dalla civiltà, perché anelante di un briciolo di libertà. Sono rimasto un verme senza ali, altro che bella vanessa! Aspiravo diventare un dio. Ma un dio, almeno quello a cui aspiravo io, distingue bene il grano dal loglio, e non falcia di certo il primo a respiro dell’altro. Avrei dovuto sapere estirpare solo il loglio, salvando il grano. Invece ho fatto esattamente il contrario. Avrei dovuto trovare la pazienza del giusto e non falciare scriteriatamente. Vedi Tullio, questo m’imbarbarisce al tuo confronto. Vedi Irene, è tale cecità ad inibirmi- La destinataria arrossì pudicamente -Ho bisogno dunque di espiare le mie colpe. Io sono in debito di rispetto con mia madre e con Nichitta, Tullio. Non meno di rivincita con colei di cui tu non sai, IreneAdesso lei abbassò gli occhi, non potendo reprimere un impeto di fierezza -Per favore, lasciate almeno che ci provi, aiutatemi a cancellare un lungo periodo di stoltezze. Chissà se lasciandomi tornare indietro verso le origini, non ritrovi qualche speranza d’un futuro più nobile. Forse imparerò a conoscere il sole ed a riscaldarmi in esso, a dissetarmi di acque pure, a nutrirmi del pane di grano, a scorgere i fiori, a gustare la melodia degli uccelli, invece di accostarmi alle fonti di colluvie, ammaliarmi all’ululato dei lupi, adagiarmi su giacigli di spine, invece di inseguire le folgori, l’avventatezza, l’illusione... In fin dei conti me l’ero sempre cavata sino ad un passato neanche troppo remoto, e quindi non dispero del tutto. Ero tanto diverso allora! Sapete, ero un figlio in gamba, avevo un’occupazione dignitosa, frequentavo un compare di programmato illustre avvenire attraverso i suoi accorti propositi, stavo accanto a belle conigliette, vivevo la mia epoca lieto e con coscienza tranquilla. Poi sono caduto nella rete tessuta dal più ributtante dei ragni e sostenuta da una stolida umanità, dalla quale quando eccezionalmente ci si libera, ci si ritrova distrutti. Ed è questo il mio stato attuale per non aver saputo o voluto apprendere dal mio ex compare. Eccovi il relitto d’uomo dal quale non resta nulla da rimediare! Ho da ricominciare daccapo, risalire il corso della memoria sino all’oasi dei ricordi perduti, e da lì ripartire preparato e convinto verso l’ardua scelta di contrapposizione alla civiltà, così come soltanto la mia natura pretende, e la mia intelligenza approva. Io non ho l’audacia di un Tano, la mistica del vescovo, il cinismo del faccendiere, la disinvoltura di don Sortino, o la scostumatezza di un Alfio, non ho il senso pratico di un Nuccio o di un Saro, né la vanagloria dell’irrequieto ex compare finalmente pacificato dal matrimonio con una signorina grazie alla sua ricchezza saputasi elevare al suo rango, e mi manca pure la pazienza di un Melo, l’adattabilità di Ciccio, l’ingenuità di Renatino o l’inclinazione alla bontà di una Tina o di un Enzo. Come vedete non ho alcun diritto di vivere in mezzo alla comunità. Io sono una canna vuota dentro, un handicappato ed incapace, per nulla accostabile, senza neanche 'nciauru come si dice dalle mie parti, alla personalità di una qualunque di codeste mie vecchie conoscenze, quindi non voletemene se non posso fermarmi. Ho da partirmi e presto, prima che l’ultima porta si richiuda definitivamente. Addio amici cari, non posso non riconoscerlo, e grazie tante- Si girò lentamente sicuro d’essersi guadagnato il permesso di allontanarsi. Irene fu trattenuta dal dott. Marini a seguito d’un impulso a fermarlo. -Lo lasci andare a smaltire il suo stato di desolazione- Le fu detto con amarezza. -Lei è sicuro dott. Marini che non si vada a cercare l’irrimediabile? -Non lo so. D’una cosa però sono certo: per alcuni eventi non esiste forza umana in grado di fermarli, io ci ho provato vanamente -Vuol dire di dover restarcene spettatori? -Purtroppo sì. Capisce, lui ha ingaggiato una battaglia contro il tempo, spingendosi oltre l’egoismo, contro il quale magari avremmo potuto dare il nostro apporto. Ma il tempo non lo si può attaccare, esso incide troppo in profondità e ci modella in modo immodificabile a nostra insaputa, e anche Bruno dovrà accettare se vuol sopravvivere. Oggi è troppo confuso. Due sventure in un sol giorno sono troppe per chiunque. Venga dentro la prego, preparo del caffè, ci aiuterà a lenire le nostre ansie. Vede, quant’è stupido l’uomo? Da una sostanza eccitante si attende i rimedi alle proprie angosce -Eppure a volte è salutare -Quando l’omeopatia rimane un metodo giudizioso a volte funziona, ma se si abusa nel dosaggio, allora si va in malora. Così è per gl’ideali, bisogna stare attenti a non lasciarsi travolgere. Non sarebbe male oliarli spesso con umiltà e tolleranza -Ma da quanto mi risulta, Bruno è nient’affatto intrattabile o superbo -Pur se qualche segnale avevo notato, anch’io ne ero convinto, fino al momento in cui non è scattata la molla. La sua inumanità ha avuto il sopravvento. Fino a che non capirà il sentimento dell’egoismo naturale ed universale, praticato da tutti gli animali per la sopravvivenza, dalle radici delle piante per farle prosperare, dalle stelle con i loro pianeti costringendoli a girar loro attorno per essere illuminati, non ne verrà fuori. Se sarà in grado di rientrare entro i confini dell’umanità, allora saprà capire i ruoli degli altri compreso il suo, e si accorgerà di non poter continuare a marciare in direzione opposta ad una relativa vivibilità. Non è più tempo di caverne, e la solitudine è cosa seria e complicata, e pur se la si è coltivata a lungo non può essere mai assoluta. Senza un minimo di relazioni c’è un baratro davvero insuperabile! Si nasce per appartenere al prossimo, in un grado di dipendenza proporzionale alle affinità con esso, per cui non si può uscire dalla socialità Si ritirarono in casa frastornati, lasciando inosservato il meraviglioso spettacolo dell’alba. Nel pomeriggio del quarto giorno, dopo i tre di struggente attesa trascorsi senza esito, il dott. Marini affranto non meno di Irene se ne stava rincantucciato in un angolo del taxi diretto ad accompagnarli entrambi alla stazione a seguito della decisione di lei di rientrare nella sua città natale, rassegnata a riorganizzarsi la vita diversamente da come avrebbe voluto. Tullio, similmente a quasi tutti i generosi, pensava alla fatalità di dover subire, e l’unico modo di ribellarsi ad un così avverso destino era stato quello di tendere al massimo i muscoli della faccia e lasciarsi assorbire interamente dall’amaro sentimento di una cocente e vana riprovazione. Quindi trasalì nel ricevere una stratta da Irene, la quale rispettando il comune fondo del carattere femminile, era stata invece attenta alla socievole espansione del conducente incline ad offrire se accetta ai casuali clienti al posto del prammatico contegno professionale da serioso, la chiacchierata del toscano bontempone. -Che c’è?- Chiese con manifesta agitazione il dott. Marini. -Non ha sentito cos’è accaduto ieri?- Quasi gli rimproverò lei, per nulla pentita di averlo distolto. -No, me ne scuso, stavo pensando... -La prego- Lo interruppe la giovane donna. Quindi attaccata dall’ansia si rivolse al conducente -Potrebbe signore, ricominciare il racconto degli ultimi intollerabili avvenimenti della città? -Certamente signorina, comunque c’era su tutti i giornali Debolmente Tullio commentò -Dopo una vita in mezzo alla carta stampata dovevo proprio privarmene nei giorni in cui non avrei dovuto, ma chi poteva mai supporre? -Come dice, signore? -Dicevo di non averci fatto caso -Be’, proverò ad essere il più esauriente possibile. Le cose stanno press’a poco così. Iersera, alla periferia nord della città, già in campagna, un uomo è stato pestato brutalmente e ridotto in fin di vita. Si trattava di un forestiero, forse un barbone, si portava dietro un sacco... -Ed un flauto?- Gli fu chiesto con accoramento dall’ascoltatore adesso attentissimo. -Questo non lo so- Rispose cortese il tassista, continuando a raccontare -Casualmente c’è stata una testimone, ma di ombre pare, in quanto la distanza e l’incipiente oscurità l’avevano condizionata molto a seguire la vicenda dal terrazzino della propria casetta, dov’era andata a stendere della biancheria intima dei suoi ragazzi. Dalla testimonianza comunque risulta, sempre a dire della Stampa, che il vagabondo mentre s’inoltrava per la campagna fosse stato incrociato da una vettura di grossa cilindrata, la quale dopo averlo superato e dietro ripensamento degli occupanti, con una lunga manovra di retromarcia, effettuata con gran stridore di pneumatici, lo accostò. Ne scesero in fretta tre o quattro persone. Si pararono intorno al malcapitato con fare minaccioso. Questi non si scompose affatto, e al bischero più insistente degli altri a chiedergli ragione non si sa di cosa, il disgraziato gli sputò in faccia. Da quel momento iniziò il pestaggio di un uomo assolutamente rinunciatario a qualsiasi azione di difesa. La donna da lontano prese a gridare atterrita. La casa si animò di altre persone, pronte ad intimare la cessazione della vile bravata senza con ciò intimidire i delinquenti, i quali, si ritirarono solo al sopraggiungere di un veicolo provvidenziale a farli saltare precipitosamente sulla propria auto e a farli ripartire con uno sconquasso del diavolo. Il poveretto fu prontamente soccorso dall’automobilista in arrivo. Intorno a lui erano sparsi parecchi biglietti di grosso taglio. Sembrava pronunziasse qualcosa in tedesco Irene si precipitò a chiedere -Sa cosa? -No, proprio -Era forse una sola parola? -Mi spiace -Ricorda qualche nome? -Veramente ho dimenticato di chiederlo -Ma non ha detto di averla letta la notizia? -Mi è stata riferita da un mio collega, io sa, avevo fatto il turno di notte, ed oggi sono montato solo di pomeriggio -Oh Dio!- Esclamò lei, guardando eccitata il dott. Marini in viso per carpirne il parere. Questi domandò bonariamente al conducente chiacchierone e quindi presumibilmente dotato di molta fantasia e poca attendibilità, senza con ciò rifugiarsi nella stima dedotta per acquietarsi -Sa dove si trovi adesso il poveretto? -In ospedale -Conosce quale? -Si, certo -Allora presto, ci conduca lì -E la stazione? -Dopo, forse. Se è lui, pagheranno- Dichiarò risoluto il dott. Marini. Il tassista cercò di approfondire la possibilità di far luce sull’efferato accaduto, sperando di diventare protagonista dinanzi a conoscenti, amici e parenti nel caso fosse risultato la pedina determinante per la scoperta della persona chiave, indispensabile allo smascheramento dei malviventi, e quasi si augurava la coincidenza della vittima con la persona cui i suoi clienti invece scongiuravano. Però dovette rimandare a conoscere l’esito della sua aspettazione, in quanto gli fu solo raccomandato di far presto. Dopo una corsa sembrata interminabile i due solerti amici andarono ad informarsi al pronto soccorso delle generalità del presunto girovago tedesco. Erano quelle di Bruno. Le sue condizioni rimanevano critiche, la prognosi riservata. Il dott. Marini posò sconsolatamente una mano sulla spalla di Irene e gliela strinse in segno di solidarietà, quindi tornò indietro a riferire al tassista di attendere. -Lo conosce signore?- Gli fu chiesto da questi con ambigua apprensione. -Purtroppo si -Mi spiace proprio. E’ ancora in vita? Già Tullio correva indietro col proposito di chiamare immediatamente alla fattoria di Enzo e pregarlo di accompagnare la moglie a Firenze in modo da agevolare le indagini con l’aiuto di lei a condurre al vile protettore. Avrebbero trovato tutti ospitalità da lui. Era indaffaratissimo: correva di qua e di là in preda allo scombussolamento. Andò a confortare la giovane donna, cingendole la spalla con un braccio. Lei reclinò il capo sul petto dell’amico divenuto in quel frangente tanto caro e prezioso. Questi le sussurrò -Se la caverà, è ti tempra dura, e noi pure!- L’accompagnò ad una panca e la fece sedere con amorevole attenzione. Le carezzò il capo prima di lasciarla ancora per tornare fuori a ritirare i bagagli e congedare il tassista pronto a chiedergli -Siete suoi parenti? Lei non sarà forse il padre? -Sì- Ammise peritoso il trepido cliente mentre saldava il conto, sebbene fosse stato di fresco diffidato a non impersonarsi in quel ruolo, ma ormai fiducioso del dissolvimento della spiacevole sconfessione, ed aggiunse commovendosi ed inorgogliendo, non sentito per il ronzare del motore del taxi già avviato -Putativo! -Malgrado sotto il peso delle due valigie tornò da Irene con sollecitudine. Lei s’era procurato un giornale e l’indice puntava su un termine riportato tra virgolette e monco della vocale finale. Commentò infelice la trascrizione errata potuta dipendere da una pronuncia difettosa da parte di Bruno per lo strazio delle sofferenze o per qualcosa d’altro che titubante non espresse. Attese l’assenso del dott. Marini, sebbene in cuor suo fosse convinto della seconda ipotesi taciuta stante alla quale lo strazio dovevasi imputare alle implorazioni di una coscienza rinata, e si decise con le lacrime agli occhi a pronunciare -Nikitta- Un nome tanto infausto per il disilluso coniatore, quanto ambito da lei e di sua esclusiva appartenenza dopo averlo riscontrato nell’articolo sul giornale, dove le sembrava racchiudere oltre i nobili valori dai quali era scaturito, anche un volto, sicuramente il suo, poiché era certa, e della definitiva resa di Bruno, specie dopo l’estremo, vanificato tentativo d’inselvatichire, e della scelta fondata stavolta su di lei, d’altronde fortemente determinata a concretizzarla. Ancora malconcio, qualche giorno dopo essere stato dimesso, debole e sfiduciato Bruno espresse il desiderio di adempiere una sua responsabilità -Debbo partire, tornare giù -In queste condizioni non credo riusciresti a far molta strada- Insinuò Tullio. -Intanto ci provo -E’ un affare così urgente da non potersi rimandare?- Chiese ancora l’amico con un quasi rimprovero. -Non si tratta di un affare, è un dovere ed è molto urgente. Debbo andare a controllare, vedere con i miei occhi, ed allora forse potermi rassegnare... Irene guardò il dott. Marini preoccupata, ottenendo da questi un cenno di smentita del capo finalizzato a quietarla sull’interpretazione delle parole del convalescente. Bruno riprese con fatica -Voglio partire molto presto. Non preoccupatevi per me, sono duro a morire- E sorrise con un certo sforzo. -Io verrò con te, ti terrò compagnia- S’affrettò a dichiarare Irene, forse più frastornata rispetto alla degenza. -Per favore- La interruppe Bruno -Lasciatemi cominciare a camminare da solo- E addolorato si volse a fissare intensamente l’anziano benefattore, il quale senza spezzare il silenzio creatosi, si limitò a promettere la sua solidarietà, con un cenno d’accondiscendenza. Irene intanto lottava a contenere una lacrima sul punto di rompersi e appena fu il suo turno ad essere fissata, assentì rassegnatamente docile, mordendosi il labbro superiore. Bruno volle partire l’indomani di buon mattino. Dopo aver impiegato tutte le forze a simulare coraggiosamente una prestanza fisica e una piacevolezza d’umore mai tanto lontani da lui come nella presente circostanza. Portava con sé un leggero bagaglio, nonostante in esso fosse contenuto il flauto dentro la custodia, divenutogli inseparabile in rispetto alla sua solenne promessa fatta nel prendere la decisione di abbracciare la condizione di girovago. Teneva l’itinerario di viaggio in tasca, amorevolmente procuratogli dai due amici, sapendo bene che a guidarlo sarebbero state principalmente le precarie risorse di salute. Durante l’ultima esibizione di disinvoltura nel salire il predellino della vettura ferroviaria provò dolori lancinanti ad un legamento inguinale, ma pur con un brivido, conservò la fisionomia allegra con freddo stoicismo, rimandando a quando il convoglio si fosse messo in movimento la ripresa di un soffrire più umano. Ebbe a patire il viaggio quel tanto fino a che con grande tenacia non riuscì ad abituarsi alle intermittenti trafitture, aiutate a farsi sentire dalla zoppicante andatura del treno, e malgrado ciò finite per essere ignorate, così da lasciarsi assorbire dai pensieri irruenti e non meno dolorosi. A tarda sera, a traghettamento concluso, scese alla stazione di Messina. Si accinse a cercare un albergo per passarvi la notte, volendo arrivare a destinazione di mattina e trattenersi solo il tempo necessario a concludere il programma prefissosi. Si accorse di non aver pensato nemmeno lontanamente a rifocillarsi, lasciando la piccola scorta di vitto preparatagli a giacere intatta dentro il sacco e scrollò le spalle in segno di noncuranza: forse avrebbe mangiato qualcosa appena trovato un letto in quel momento reclamato più del cibo. Giunse nella sua città alle nove circa. Fece attenzione ad evitare qualsiasi tipo di incontri, e dopo aver comprato una dozzina di rose rosse in un negozio d’una zona da lui abitualmente poco frequentata, con sfrenata impazienza s’incamminò verso il cimitero. A quell’ora trovò pochi visitatori, ma lui non si sarebbe accorto nemmeno della presenza d’una grande folla tanto era concentrato al massimo a cercare l’ultima dimora della madre. Assalito dall’agitazione volgeva il capo verso le tombe con sguardo folle dando l’impressione di voler portare o chiedere aiuto a qualcuno. Inoltre il sangue pompato a fiotti gli aveva reso il volto congestionato e sudato. Il suo essere più profondo tremava. Era quella piccola particella dell’essenza dell’io nella più schietta autenticità a bussare con impellente ardore, sprigionando i vapori dell’ansia minacciosi di farlo restare soffocato. Tentava di difendersi tossendo. Improvvisamente fu afferrato ad un braccio. Si ritrovò faccia a faccia con una donna avviluppata in gramaglie e annichilita dal dolore sembratagli ravvivarsi a seguito dell’attrazione prodottale dal suo viso. Infatti lo esaminava con avidità. Bruno lasciò fare completamente scombussolato, fino a ricordarsi e riconoscere donna Mara. -Voi qui, che ci fate? La donna appena ricevuta la riprova di avere individuato giusto, malgrado la prima indecisione per via della barba, a guisa di una parente gli buttò le braccia al collo ed eruppe in un pianto dirotto, prima di trovare la forza di smozzicare -Grazie a Dio è lei, un amico. Tanino. Me lo hanno strappato senza pietà, maledetti bastardi!- Abbandonò l’abbraccio e si passò sul viso un fazzoletto già inzuppato, mentre l’antico conoscente, ancora incredulo, balenatagli davanti agli occhi la recentissima scena dell’obolo ricevuto da parte du picciutteddu, le chiese -Quand’ è successa la tragedia?- La distrutta anziana, dopo aver soffiato il naso, riprese più comprensibilmente -Una settimana addietro. Era rientrato di fresco da un giro di perlustrazione, dal quale avrebbe scelto la nuova residenza -Sì, lo so- Le sussurrò quasi Bruno, forse senza neppure essere stato sentito, perché la disgraziatissima madre, non capacitandosi ancora del tutto della gravissima sciagura subita, però premuta da un immane strazio, aveva da informare compiutamente -Sono intervenuti di fretta forse per non dargli il tempo di allontanarsi definitivamente, vili traditori, evitandosi così delle complicazioni nel dover chiudere la partita, maledetti infami, eliminando un ragazzo sveglio, intelligente, affettuosissimo, generoso, profondamente giusto e coerente, un ragazzo coraggioso, ammazzandolo a tradimento- Aveva iniziato a ritessere l’elogio di circostanza, e chissà a quale recita fosse arrivata, perché si notava la sicurezza e la scioltezza di esposizione -Tanino non si vergognava affatto della sua professione, agiva sempre in completa onestà di coscienza. Diceva di andare a recuperare quanto gli altri gli avevano sottratto: un’abitazione per esseri umani, un’alimentazione sufficiente, abbigliamento decente e qualche svago a buon mercato. Era sempre angosciato perché costretto ad agire da duro mentre in cuore gli abbondava la tenerezza. Che figlio, che marito, che padre, che amico, che uomo! Un uomo dolce, un uomo buono, come lei signor Bruno -Oh donna Mara, la prego... -Sì, sì, mi consenta, come lei signor Bruno! -Per piacere... Bruno si sentiva dilaniare dentro senza difesa. Il tormento preesistente, di sua sola appartenenza, per la perdita della madre, uno tormento immane e mal riuscito ad essere contenuto, ora raddoppiava quasi per il dolore di quell’anziana stremata e lo sentiva travasare nel suo, ormai dilagante come un incendio distruttore. Perciò sconvolto dal fuoco, gli occhi luccicanti di liquide fiamme di pianto trattenuto, le membra abbandonate ad un sordo singhiozzare, stavolta fu lui ad abbracciare l’inerme creatura, sfinita, ripetendo implorante -Per piacere, per piacere I pochi secondi di abbraccio furono attraversati da una schiacciante sofferenza sovrumana. Lei sentì un sostegno sincero ed ebbe la forza di riprendere con rinata passione -Mi ripeteva sempre di essersi impegnato a tirar su una famiglia rispettata. In lui il senso della famiglia era qualcosa di sublime. Fanno presto i ben noti porci ad esaltare il culto della famiglia senza piani concreti per proteggerla! Mi ripeteva spesso di non essere un seminatore di disperazione nelle famiglie, al pari di certi carnefici, e perciò la parola droga non la voleva sentire nominare... -Lo so, donna Mara, lo aveva assicurato anche a me -E mio figlio quando prometteva, diversamente dai cornuti, manteneva. Mi confidava di essere un professionista serio, mi guardava in tralice e sorrideva. Stava per ritirarsi, ma i suoi stessi amici non hanno voluto. Non gliel’hanno permesso. Nel fiore degli anni, pieno di vigore, sottoterra. Maledetti! Me lo hanno ammazzato a tradimento. Infami! -Almeno sono stati presi gli esecutori? -In questi casi gli esecutori non si conosceranno mai, solo i mandanti. Sono lì nella capitale a fare bisboccia a spese della gente stupida come me orientata a credere... a credere ingenuamente al diavolo, da fessacchiotta... E’ a Roma che si nasconde il diavolo... Anzi no, non si nasconde: vive felice, regna, schernisce, bagorda. Vigliacchi me l’avete ammazzato voi a tradimento- Gridò verso la prima direzione alla quale le venne di volgersi -Sa, era pieno di iniziative: si stava istruendo con passione per non fare sfigurare in avvenire il figlio per il quale stravedeva, ed aveva preteso da mia nuora altrettanta diligenza. Aveva tanti progetti per il futuro, ormai era ricco, e comunque non se ne voleva restare con le mani in mano. E’ stato lui a mantenermi in un pensionato di quelli con la retta salata. Io con le mie sole risorse avrei potuto permettermi uno di quei posti di torture qualche volta mostrato in televisione più per fare del cinico spettacolo che per intervenire ad abolirli. E quanti regalini mi portava nelle sue ricorrenti visite, visite sempre presenziate da mia nuora e mio nipote, per fortuna, sinceramente affezionati. Eppure in rare circostanze per fraintesa mancanza di rispetto nei miei confronti avevano dovuto subire da Tanuzzu delle tremende lavate di capo. E le attenzioni durante gl’inviti a casa loro, nemmeno una regina potrebbe vantarle. Vede, questo è stato il primo regalo di un certo impegno- Indicò l’elegante borsetta nera in pelle finissima stretta in mano -Ancora io mi prodigavo con tutte le mie forze al suo recupero alla vile società del nostro Paese dove dei poveri ne fanno carne da macello. Non volevo accettarla assolutamente. Lui mi guardava torvo e disperato contro la mia ostinazione a non voler capire. Non parlava, malgrado la sua espressione fosse tanto eloquente. Mi faceva tanta pena. E lui restava lì ad aspettare muto con pertinacia. Io non volevo cedere: accettare sarebbe equivalso ad una legittimazione del suo operare. Ero molto combattuta. Lui inflessibile non smetteva di guardarmi. Quel che mi faceva principalmente male della sua espressione, più dello sconcerto provato per la mia riluttanza ad accettare, era la sua sicurezza e la tranquillità di coscienza di chi ha fatto il proprio dovere. Insomma un innocente incompreso. Come capisco adesso! Donna Mara cercò l’approvazione di Bruno. Questi annuì, mentre premeva stancamente il fazzoletto sulla metà inferiore del viso per cercare di ricacciare indietro i ricorrenti spasmi. Anche l’anziana continuava a sussultare e spesso le parole venivano fuori ciancicate, ma non si perdeva d’animo e riprendeva a sfogare raccontando. –L’allungamento della mano ad accettare fu un indicibile momento ppu figghiuzzu miu. In un attimo la tenebra del viso gli si trasformò in sole. Oh quant’era bello. Tanino in quel momento, era un Gesuzzu -Sì, un Gesuzzu- Mormorò Bruno. Le lacrime ingrossarono -Era beddu, beddu, figghiu ciatu. Meno male mi convinsi ad accettare. Almeno oggi non ho un rimorso tanto grande. Sì, lui diventò beddu comu Gesuzzu. Mi sorrise in modo mai più ripetuto, estrasse dalla tasca uno scontrino mostrandomelo a chiarimento del regolare pagamento effettuato con il frutto del suo lavoro, poi lo stracciò riponendo i pezzetti in tasca per non farmi sapere quanto aveva speso e sempre zitto girò sui tacchi ed uscì in istrada. Vede, signor Bruno, è nuova nuova, non l’avevo mai usata, invece adesso è diventata mia compagna inseparabile: me la porto sempre appresso, vuota di oggetti, ma colma dell’amore di Tanuzzu per me- Uno scoppio di pianto l’arrestò nel commovente panegirico. Bruno le offrì di nuovo il suo abbraccio e mentre lei balbettando ripeteva -Era buono, era buono, come lei signor Bruno-, la stringeva al petto cercando di darle conforto. Dopo essersi sollevata un poco accennò ai prodromi della tragedia fiutata dal figlio -Nel pomeriggio della vigilia della vigliaccata a seguito d’una telefonata aveva detto alla moglie d’aspettare gente che sarebbe venuta dopo cena a rilevarlo per una riunione d’affari, cosa del resto successa tante altre volte. Si chiuse nello studio e per un paio d’ore non diede segni di vita. Anche questo succedeva di tanto in tanto, ma non per un tempo così prolungato. In ogni caso sia la moglie quanto il figlio sapevano che tale appartarsi non andava per nessun motivo disturbato, e quindi se ne stettero ad aspettare guardandosi, spesso interrogativamente, specie nell’ultima mezz’ora, ma pazientemente. Lo immagina lei a cosa è servito l’isolamento? Bruno scosse il capo in segno negativo. -A scrivere due lettere...- Ebbe un altro scoppio di pianto, ma farfugliando continuò -Una per la moglie, ed una per me. Le so a memoria. Oh figghiu, figghiu d’oru…- Invocò gridando rivolta alla tomba e sbarrando gli occhi atterriti nel fissare il monumentino sepolcrale -A mia pinsasti quannu capisti di iri a cullittina. Scialarati, a mia v’àutu a pigghiari. Cchi mi ni fazzu da mo vita ora. Tagghiastu lu ramu sanu a scanciu di lu siccu... Scialarati!- Il finale dell’invettiva uscì tra i singhiozzi e fu completato abbracciata al collo di Bruno ormai esausta, floscia e pesante. Pur tuttavia trovò ancora un residuo di vitalità e prese a recitare sommessamente le ultime tenerezze di Tano -“Matruzza amata, quando tu leggerai la presente, vuol dire che mi hanno già fatto la festa. Sono stati i miei stessi colleghi, gli amici di una volta, i compagni del fronte contro la legge, quelli come me che si sono distinti nella ribellione contro l’ingiustizia che ci voleva sottomettere. Nel togliermi la vita, loro obbediscono alle regole accettate da tutti al momento di entrare nell’organizzazione, quindi non avercela con loro perché compiono un dovere giurato. Io con la mia intransigenza verso la droga vado contro i loro interessi e quindi vado eliminato. E’ giusto che chi sa molte cose taccia per sempre, ecco perché anche volendo non mi possono graziare. Non vorrei trovarmi nei loro panni, perché sono certo che per ciò che devono fare soffrono terribilmente. Io ho capito, sai, ma mi consegno a loro con rassegnazione. Ho perduto e debbo pagare. Non provo nemmeno a sottrarmi alla mia condanna poiché a loro non si sfugge. Evito quindi di coinvolgere voi che io amo più della mia vita. Ti prego aiuta Graziella a fare quello che gli chiedo e vigila su u picciutteddu”. Chiama così il figlio. “Ti prego non piangere troppo per la mia perdita, io sono tranquillo. Ti bacio con serenità. Tuo figlio affettuosissimo". Vede, signor Bruno di cosa va a preoccuparsi in quei momenti terribili? Delle mie lacrime e delle sofferenze dei colleghi. E me lo chiamano duro il mio Tanuzzu. Sono loro i duri, coloro che praticano l’ingiustizia della legge e ci governano e ci angariano e ci disprezzano e ci abbandonano...- Riprese a singhiozzare e pur se spossata volle produrre un compendio della lettera lasciata alla moglie- Li chiama adoratissimi, moglie e figlio. Chiede loro di essere perdonato per averli lasciati rispettivamente vedova ed orfano. Spiega come ha fatto con me i motivi e l’inevitabilità della sua esecuzione e l’accettazione per non rischiare la loro vita preziosa. Li prega di lasciare la città per il nord e di attuare i programmi già in corso. Inoltre u picciutteddu non dovrà mai conoscere i trascorsi giovanili del padre. Impegna la moglie a far fronte alle spese per il mio sostentamento e in casi di bisogno ad aiutare Ciccio e Sarina. Poi usa le testuali parole: "Mai in vita mia sono stato così lucido come in questi momenti e in virtù di tale bellissimo stato d’intelligenza ti ordino per il bene du picciutteddu di rompere il nostro patto di reciproca fedeltà anche quando uno dei due se ne fosse andato. Tu risposerai per mio espresso desiderio (scusami il ti ordino di poco prima) e regalerai o picciutteddu la sorellina che gli avevamo promesso"- Lamentandosi l’anziana chiese a Bruno -A parlare così le pare il cuore di un duro? Figghiu d’oru, figghiu ciatu- Gridò quasi senza più voce, e malgrado semiafona riprese a riferire -Dopo cena lui stesso volle mettere a letto u picciutteddu, e dopo avergli carezzati parecchie volte i capelli, appena il bambino si fu appisolato gli pose sulla fronte un lungo ed intenso bacio. Al suono del campanello baciò la moglie con lo stesso trasporto della prima volta. Anche lei aveva presagito e lo supplicò a non andare, ma lui cercò di quietarla "Non stare preoccupata per me. Non mi aspettare, farò tardi, mettiti a letto. Tranquilla allora". Questo le disse. Come può una donna, una giovane moglie dimenticare tutto ciò? Ah, se la vedesse signor Bruno, non la si riconosce più, non si dà pace, smania il giorno intero. Povera figghia mia- Continuava a piangere e a lamentarsi. Era una sorgente inesauribile di lacrime e di dolore. Gli occhi le si erano infossati e le pupille appannate s’erano quasi ritirate. Pesta in viso, l’armoniosità di sempre s’era dileguata entro abbondanti pieghe come su di una prugna secca. I gesti erano diventati lenti, la parola arrochita, e dalla testa ai piedi era attraversata da una specie di leggero parkinsonismo. Tuttavia la presenza dell’imprevisto conoscente sembrava rivitalizzarla nel momento in cui si temesse un crollo -Tanuzzu aveva il presentimento d’una fine prematura, e già da tempo aveva acquistato la tomba. Io avrei voluto far incidere sulla lapide "Perseguitato ed ucciso per le doti di padre e marito affettuosissimo e figlio incomparabile". Ma come giustamente fece osservare mia nuora, queste parole precluderebbero le visite du picciutteddu qui, e perciò ricorreremo alle solite, adoperate da tutti, senza distinzione, in tali circostanze La resistenza di donna Mara faceva impressione e se non avesse avuto la fibra quasi indistruttibile gli ultimi avvenimenti l’avrebbero sicuramente stroncata. Così come per miracolo emise ancora dei suoni chiocci a supporto di parole sgangherate prima di scusarsi con l’antico vicino di casa cloroformizzato da tanta sofferenza imprevista in aggiunta alla sua preesistente, per aver approfittato di tanta bontà concessale e per averlo sottratto un così lungo tempo alla visita alla madre. Indicò alla fine del lungo viale appena svoltava a sinistra, il colombario dov’era stata sistemata. Lei, il giorno dopo della grave notizia appresa, l’aveva onorata in chiesa al funerale e in seguito era andata a trovarla già prima della perdita del figlio. Espresse eccellenti apprezzamenti per l’impareggiabile signora Annina -Una gran signora, una donna che non ne nascono più- Ne ricordò la generosità nei suoi confronti, in quei tempi di miseria, quando era stata da lei colmata di ogni ben di Dio della campagna, compreso pure l’olio, ed era stata incoraggiata a lottare per il sostentamento di tre orfani di padre. Infine tacque, continuando però a lamentarsi. Bruno intanto sfilava due rose dal mazzo per la madre e le riponeva accanto alla gran varietà di fiori cosparsi a coprire la lastra di marmo dell’avello in cui riposava l’antico suo coetaneo ribelle, vicino di casa. Appena rialzatosi, in risposta alle proteste di donna Mara espresse con l’accentuazione dei lamenti, l’abbracciò per l’ultima volta spiegandole -A mia madre farà piacere, le assicurò. Mi lasci adempiere un dovere di fraterna solidarietà. So io se ne ho il motivo- E aggiunse con tono filiale -Non stia ancora qui, vada a riposarsi Con grande travaglio lei spiccicò -Dove e come potrei trovare riposo. Il mio posto è qui. Io debbo tenergli compagnia. Più volte sa, anche lui si è mostrato ed allora abbiamo conversato come prima che me lo avessero strappato- Poi scostandolo amorevolmente aggiunse -Vada adesso, sua madre lo starà aspettando. Grazie di tutto, Gesù la benedica Bruno si mosse come un automa, intontito e vuoto. Non percepiva più neanche i lamenti che peraltro stavano morendo, di quella anziana nel volgere di qualche giorno ritrovatasi vecchia ormai allo stremo. Alla sommità del viale, secondo l’anticipazione di donna Mara, sua madre sorridente lo stava aspettando. Lui corse di slancio ad abbracciarla. -Sapevo che saresti venuto. Non ti ho atteso invano -Oh mamma!- Implorò il figlio enormemente confuso. -Ti ritrovo un po’ strano, appesantito, forse è per via della barba, sembri emergere da un mare di peli -La porto a causa... -Lo so, della cicatrice. Per fortuna si è richiusa bene -Se vuoi, la rado -No, gioia, so che a parte la cicatrice a te piace. Mi ci abituerò. Che belle rose! Non saranno mica per me? -Oh sì, invece- Assicurò Bruno porgendogliele. Intanto sentiva placarsi per via dell’inaspettato conferire con la nutrice, sia il malessere fisico sia quello spirituale, anzi si sentiva già ricondotto ai vecchi tempi, come se finalmente dopo tante sofferte peripezie di straniamento fosse potuto ritornare nel suo elemento. -Quanto sei caro! -Ne ho tolte due per dedicarle a Tanino, il figlio di donna Mara. Sai, i vecchi vicini di casa. Sulla povera donna si è abbattuta una tragedia. Com’era ridotta male... -Lo so, povera disgraziata. Hai fatto bene. Lei è venuta a trovarmi. Rispetto a lei io sono stata più fortunata. -Che dici, mamma? Forse perché hai dovuto sopportare invece della mia dipartita, la mia fuga, purtroppo presto risultata per te letale? Cosa ne sarà ora di me con un tal rimorso, per averti condotto qui, io con la mia grande malvagità verso una madre senza eguali? -Sssttt!- Lo interruppe lei posando l’indice a sbarrargli le labbra. Il figlio fu infilzato da un brivido agghiacciante, al quale subito tentò di sottrarsi con un brusco movimento di rigetto. La signora Annina cercò di acquietarlo con dolcezza, avendone compreso il motivo dell’istantanea reazione al suo delicato gesto, confessandogli -A volte mi comporto come lei Bruno parve arretrare di qualche centimetro, spinto da un sussulto. La madre continuava, più dolcemente -Io e lei ti abbiamo reso difficile la vita Bruno protestò energicamente -Solo lei -No, ragazzo mio- Insistette al solito generosa la signora Annina -Io più di lei, perché sono stata l’artefice ad impressionare il tuo subconscio -Se è così, ho ricevuto la fortuna più grande potutami capitare -No, dal momento che l’operazione ti ha portato tanta confusione- Nell’invitarlo a passeggiare per i viali, adagiate provvisoriamente le rose su un cippo, gli si mise a braccetto e sfiorata dal sacco del girovago appeso in spalla, gli chiese -Cosa ti porti appresso? -E’il mio bagaglio con le mie cose. C’è anche il flauto. Mi ci guadagno il pane -So anche questo. Suonerai per me? Il nostro motivo, ricordi? -Oh, se vuoi -Prima di separarci, allora. Per adesso torniamo al problema principale. Si parlava, credo, della mia ingerenza nella tua personalità -Non è vero- Cercò di dissuaderla a continuare, il figlio. -Lascia che io dica- Lo pregò lei con un sorriso carico d’amore -Purtroppo senza volerlo, io ho pesato molto su di te, finendo per bloccarti. Lo conferma quella specie d’inspiegabile avversione nei miei confronti nel periodo immediatamente prima di partireBruno abbassò il capo per la vergogna. Lei glielo sollevò delicatamente a guardarlo benevola negli occhi e continuò –E’ l’animo umano a far di questi scherzi le volte in cui non riesce a trovare chiarezza. Tu non hai colpa alcuna. Agiva il disappunto causa l’errore di valutazione commesso nell’avere posto me e la tua compagna sullo stesso piano. Ti rimproveravi di non aver voluto capire, sino al punto di esserti costretto a vedere in lei le stesse doti attribuite a me, qualità indispensabili per far presa su di te, anche se presumevi esser praticate con più riserbo. Infatti appena le hai viste svanire inappellabilmente, non potendoti rivalere direttamente sulla fallita riproduzione, hai diretto la punizione verso l’originale, una punizione trasversale, creando pretesti per colmare la coscienza. Sei arrivato a scorgere un sottile egoismo velato d’ipocrisia nelle mie manifestazioni d’affetto, quindi il sospetto d’insincerità al servizio del corroborante al tuo spirito diventato quasi distruttivo Il figlio assorbiva con lo sguardo a terra, e a questo punto s’intromise debolmente -A quel tempo è mancato poco che impazzissi -Oh, tesoro mio. Immagino cosa si prova a vedere frustrata un’immensa sorgente d’amore, incompresa, fraintesa, disprezzata, non contraccambiata. Tu per lei, come del resto per me, avresti sacrificato, sopportato tutto, per proteggerci avresti lottato contro la fiera più terribile, ricevendone in premio l’abbandono: il premio dei giusti, la vigliaccata epocale. Vedi, l’equilibrio della nostra civiltà si fonda sul dominio dell’uomo sulla donna, senza vie di mezzo, in quanto procurerebbero solo attriti e tensioni. Non è un problema di giustizia e non si può rimandare a teorie o buoni propositi: l’uomo deve dominare, è tempo che tu lo capisca una volta per tutte! Non si possono sovvertire in un sol giorno millenni di mistificate imposizioni e fatalistiche accettazioni. Non è un fatto di cuore: la generosità c’entra poco con l’impossibile modificabilità dei ruoli nei due sessi, almeno fino a quando sopravvivrà l’attuale civiltà. L’uomo deve comandare secondo l’immemorabile cultura conservatasi fino ai giorni nostri. E per l’uomo, la contropartita al ruolo di superiorità comporta l’onere di sostentare il suo nucleo di convivenza. Avete sbagliato entrambi: tu a lasciare il lavoro, lei a consentirtelo. La pretesa di concedere parità di diritti è inidonea a causa dell’avidità della donna che incoraggiata dall’inattesa proposta ne vorrà approfittare senza ritegno. Ella è per natura essenzialmente egoista, unica eccezione verso i figli -Allora tu? -Io non ero indipendente economicamente -Appunto potevi rivalerti della tua dipendenza economica con qualche angheria -Avevo da proteggere voi. L’uomo non ha verso i figli lo stesso trasporto della madre: quindi una madre più premurosa è verso l’uomo, più probabilità ha di salvaguardare la prole. Il padre rimane immaturo verso la discendenza. A volte la guarda come intoppo indesiderato, seccatura di troppo, come vero infortunio. Lui arriva a maledire la maternità specie se è arrivata presto, perché con essa viene a cessare gran parte del suo divertimento. Proprio così -Quello che le è successo all’innominabile con il marito di passaggio -Eppure l’essere a cui fai riferimento comportandosi con abiezione durante il rapporto, almeno in seguito, col far perdere del tutto le sue tracce, in modo molto relativo ha saputo alleggerire la sua vigliaccata. L’uomo vuole lottare contro natura non volendosi rassegnare alla imposta rinuncia dei suoi trastulli, perché non vuole convincersi dello scopo principale delle specie: la perpetuazione attraverso il generare. A tal fine è stato inserito nella donna un desiderio insopprimibile di questo segno. Per cui diventa tra i due sessi una lotta continua: il maschio per allontanare l’evento, la femmina per propiziarlo. E a successo ottenuto noi siamo costrette ove è possibile a convertire il partner all’accettazione mediante la sofisticata arte delle blandizie ed ove non si può ad abbandonarlo senza rimorso alcuno. Tu ne sai qualcosa -Già, già. E’proprio vero, fino a quando io ho rappresentato o ne ho dato l’impressione, un’assicurazione per Massimo quasi obbligata, le cose sono andate meravigliosamente, anzi ho creduto persino d’essere amato -Essere amato nel modo da te desiderato, quello conosciuto per esperienza, e del quale non vi possono essere duplicazioni -Ma allora le donne siete maghe sino al punto di creare illusioni così perfette, quando vi conviene per un qualche motivo? -Per i figli soltanto, non per qualsiasi motivo. Vedi, lei non ha compiuto alcun atto di eroismo a lasciare il marito, in quanto tale soluzione è contenuta di per sé nelle eventualità avverse. La molla è scattata automaticamente non tanto per i maltrattamenti a lei, sui quali avrebbe potuto passarci sopra, quanto per gli altri imperdonabili, destinati alla creatura già portata in grembo. Con te è stato diverso. Superate le preoccupazioni di sopravvivenza sia per lei sia per il figlio, in quanto con l’impiego s’era resa indipendente, restavano le altre prettamente femminili, cioè di genere voluttuario, placate le prime per noi donne altrettanto importanti. Tu non hai capito i vari segnali, e se una donna si mette in testa una cosa, quella cosa le è dovuta, ricordatelo. Tu ormai eri diventato di troppo, senza arte né parte, senza discendenza sulla quale poter fare assegnamento, e per di più con la pretesa di essere amato. Chi eri per lei, forse il padre dei suoi figli? No! Forse l’amante ricco e generoso? No! Forse un santo in grado di tenerla infervorata? No! Un musicista tanto bravo da incantarla? No! Un boss, un millantatore, un matricolato furfante? No, no, no! Ad ogni no, Bruno avvertiva come la punta di un piccone fargli breccia nel cervello e un gelido soffio lo agghiacciava in tutta la persona. La madre intanto molto insospettatamente continuava in tono implacabile. -Tu eri diventato un soggetto inutile, improduttivo, un essere da doversene vergognare. Tu hai voluto ignorare la diversità dei ruoli tra madre ed amante, pretendevi rifocillarti ad un unicum impossibile e ad un’intera esistenza ludica. Tu hai preteso troppo, hai osato troppo, hai peccato...- Ci fu una pausa imbarazzante, finché la genitrice non decise di essere estremamente chiara -Tu stai pagando la tua edipica pretesa! -Bruno subì un moto di spavento. Ricordò quel sogno sopraggiunto come il palesarsi di un’abreazione, mentre la madre continuava decisa –E’stata sempre l’eterna illusione dell’umanità rifugiarsi nell’arcano. Da parte mia forse ti ho staccato presto dal mio seno -Ma io non mi sento mancare il tuo sangue, so di esserne irrigato per intero. Di te, a me manca lo spirito, la certezza delle scelte, la gioia degli eventi della vita, la disponibilità, la comprensione, la bontà. E’ la tua personalità... -Figliuolo queste caratteristiche non si trasmettono, si acquisiscono con la pazienza, l’indulgenza e l’umiltà, giorno dopo giorno, ora dopo ora, e in ogni caso non si possono pretendere dal prossimo, bisogna sapere accettare la propria condizione di vita, e andare avanti fiduciosi, prendendo di petto le situazioni e respingendo le tentazioni di appartarsi, abbandonarsi alla solitudine, separarsi dagli affetti più cari. Questo non è possibile perché gli affetti sono le radici dell’uomo, e se si tagliano, l’uomo muore con esse. L’uomo vive di affetti in tutti e cinque i sensi, selezionando per l’intera esistenza odori, cibi e suoni di cui vuole pascersi, persone ed oggetti desideroso di ammirare e carezzare. Rifugiarsi nel passato non è vivere. Il passato è un tempo morto e ad un tempo morto è sottratta la vita. Io sono un tempo morto dentro il quale non si può vivere- Il figlio sussultò smarrito -Io sono la tua vita precedente, il presente è soltanto tuo. Io ho fatto da tramite per una nuova vita. Dalla madre dopo il varo si salpa, non si approda. La luce della vita è l’amore per il prossimo, per una compagna e per quanto si costruirà assieme a lei. So che dove più grande e stato l’amore, si radicherà il dolore più intenso, ma so anche che dove sembra definitivamente appassito, lì rigetterà con più rigoglio. Nella lettera ricevuta da te ho intuito il tuo mentire nel tentativo di acquietarmi. Che tu avessi trovato un’ottima sistemazione al sud, a chi volevi darla a bere? Ma che avevi conosciuto ottime persone, a quello ho creduto, perché da noi malgrado difficoltà di ogni tipo, i galantuomini abbondano -Sai, ho tenuto con me una cagnetta. Mi ha fatto da confessora -So anche questo -Ed è capitato a me di averla uccisa a rimerito del bene sviscerato che mi voleva, povera bestiola. Io sarò stato maledetto. Le mie mani sono imbrattate di sangue. Io sono un assassino. Sono stato io ad uccidere te -Tu ti stai ammalando, oh figlio mìo!- Si staccò dal suo braccio per passargli la mano tra i capelli -Le tue sono ossessioni senza fondamento. Tu devi assolutamente svezzarti da me. Promettimi di provarci- Bruno la guardò spaventato come mai prima gli fosse accaduto, infine si decise a promettere con tre cenni assenzienti del capo. Lei lo baciò sulla fronte, quindi riprese -Tornando alla fattoria, una donna con una tal superiorità d’animo dove la si trova, specie ai giorni nostri. E se c’è del tenero, cosa aspetti ancora? Dimentica certe stramberie: l’amore filiale e l’amore muliebre non hanno niente da spartire. Io voglio essere la tua salute, non una malattia per te. Spero che al prossimo incontro mi saprai dare delle buone nuove -La porterò qui e tu ci benedirai -Io vi benedico sin da adesso- Gli si avvicinò e lo baciò ancora una volta sulla fronte -Adesso vai, su vai- Insistette, notando la cattiva disposizione del figlio a staccarsi da lei e aggiunse -Vigilerò su voi, ti assicuro- Gli sorrise maternamente e gli ricordò -Non dovevi suonarmi il nostro motivo? -Ah già!- Pronunciò Bruno riscuotendosi e frugando nervosamente nel sacco. Si convinse poi ad allontanarsi lentamente e per non staccare lo sguardo dalla personificazione del suo passato, dimenticando le dieci rose rimaste sul cippo a palpitare della sua devozione per lei tanto vigile e cara da non essersi voluta esimere dall’andargli incontro malgrado la crudele condizione, camminava di fianco soffiando dolcemente sull’imboccatura del calamo. Stonò nel momento in cui la madre salutando con la mano, scomparve. Lui era arrivato al cancello d’uscita. Meccanicamente ripose lo strumento nel sacco. Si mise a camminare sveltamente. Si sentiva le gambe possenti. Lo constatò con soddisfazione dal momento che tanta strada gli restava da percorrere. La conversazione era stata piana, suadente, tonificante. Lui aveva riacquistato una leggerezza fisica e soprattutto spirituale assolutamente insperate. La soddisfazione più grande scaturiva dal constatare negli ultimi tempi dentro di sé la maturazione di una svolta di vita in considerevole accordo ai precetti della madre. Era lieto dell’incontro e strano a dirsi si godeva afflussi di buon umore misti agli effetti anticipati della rivincita verso la quale si stava dirigendo. Sceso dall’autobus con largo anticipo gli sovvenne delle rose lasciate sul monumento sconosciuto e contrariato si ripromise di riparare col portargliene alla sua ispiratrice esistenziale a centinaia nelle successive visite. Ridiventato tranquillo, bighellonò un poco prima di andarsi a cercare il posto adatto a controllare senz’essere visto. Non gli fu difficile in quanto la zona in costruzione era molto ampia e pullulava di edifici incompleti così da offrire in mezzo a tanta confusione qualsiasi tipo di riparo cercato. Lui scelse un quieto tavolato a larghe fessure, e lì dietro attese con pazienza. Qualche minuto prima dell’orario di chiusura, l’ufficio sfornò una folla d’impiegati frettolosi. A differenza degli altri, lei si guardava attorno come per orientarsi. Indossava un completo nero. La solita simpatia verso quel colore per via di vedersi snellita, pensò Bruno il quale era a buona distanza, ma la vedeva distintamente. Espirò il fiato senza indugi e le note si alzarono nell’aria a danzare accattivanti. Lei ebbe un attimo di esitazione, poi si girò verso il punto di provenienza del suono ed arrossì visibilmente. Lanciò lo sguardo tra il disordine del cantiere, divenendo irrequieta. Un ragazzone ben piantato la chiamò facendola sussultare. Portava anche lui una camicia nera ed indicò una macchina in sosta abusiva sulla quale si appoggiava una donna vestita anche lei in nero, in attesa di essere raggiunta. Bruno si mostrò senza scomporsi. Lei seguendo il figlio in direzione della macchina si voltava frequentemente e visibilmente frastornata. Appena raggiunse la madre, questa ebbe a chiederle qualcosa, da lei approvata reiteratamente con il capo, mentre Massimo prendeva posto nella parte posteriore dell’abitacolo. A questo punto Bruno smise di suonare ed atteggiò la bocca ad un largo sorriso di sfida. Le due donne salirono in macchina e si allontanarono velocemente lasciandogli gustare il sapore della rivincita. Portato a termine il programma, il vindice musico si diresse alla stazione a prendere il primo treno utile. A differenza di come si fosse prefigurato il sapore in bocca lo trovò asprigno -Per via del solito carattere da fessoAmmise contrariato, e subito s’immedesimò nella presumibile vicenda. Il convoglio viaggiava spedito. Dai finestrini semiabbassati l’aria giungeva frizzante. Bruno se ne stava rincantucciato nell’angolo laterale della vettura orientato al senso di marcia. Non seguiva la corsa della campagna incontro al treno preso com’era dall’almanaccare gli ultimi avvenimenti. Si sentiva in colpa a causa della messinscena dimostrativa, meglio se non adempiuta e se risparmiata a persone provate da sicura sciagura. Stava perdendo anche il senso di pietà più comune, d’obbligo in certe circostanze pur se tra persone in conflitto, in rispetto ad una minima dose d’umanità. Si stava rimproverando in questo senso, però ricordò di non ne essere al corrente della disgrazia e così poté in parte assolversi. Non c’era dubbio dall’abbigliamento dei tre, specie, diversamente dalla figlia, della mancata suocera riluttante verso il nero, che un lutto stessero portando. L’anziano brav’uomo non ce l’avrà più fatta dopo una nutrita serie di allarmi, inefficaci a scoraggiarlo a perseguire una vita senza condizionamenti, in quanto diversamente non la riteneva più vita, ed infatti delle trasgressioni alle proibizioni del medico lui se ne faceva vanto. Diceva di star a posto con la coscienza, d’essersi prodigato per il mantenimento della famiglia, d’esserci riuscito in parte, di lasciare la moglie eventualmente garantita da una sufficiente pensione, quindi i giorni rimastigli, li voleva vivere bene anche se l’azzardo gli accelerasse la fine ineluttabilmente sicura a dispetto della medicina. La sua irriducibile nemica era stata l’ipertensione, ed i vari assalti scampati servirono poco a distoglierlo dalla passione del giocare a carte con la sigaretta accesa in bocca quasi costantemente, dal ricorrente caffè e dal bicchierino da centellinare tenuto accosto. E in dimenticanza di averglielo servito il suo prelibato cognac, protestava energicamente adducendo all’alcol la proprietà di lubrificare le arterie, invitando a diffidare dei sostenitori del contrario. Con ciò non si deve credere d’aver avuto a che fare con un vizioso, tutt’altro, era solo un conformista perfetto e come tale vecchissime abitudini, le più innocenti, avevano un valore quasi sacro e non andavano rigettate anche a detrimento della salute stessa. Dunque il mite gaudente se n’era andato senza rimpianti. Bruno provò un moto di commozione. Quel giorno aveva appreso di due decessi insospettati tra le conoscenze familiari, inoltre veniva da far visita a sua madre. Era stata una giornata parecchio deprimente! Tali scomparse improvvise gli pesavano tormentosamente, il tasso era insopportabile, e chissà nei mesi di assenza e di disinformazione dal suo ambiente quanti altri fossero trapassati senza averne il pur minimo sospetto. La cerchia di parenti, amici e conoscenti si stava impoverendo minacciosamente. Era un segnale di allarme in qualche modo volto a ricordargli la sua età un po’ stagionata. Non bisognava perdere altro tempo. Anche la madre ne aveva sollecitate le iniziative più adeguate. Diversamente dai terribili giorni da non molto trascorsi in cui desiderava morire, adesso s’era convertito alla cultura della vita e ammise di essere in ritardo a darle ordine. Pensò a come Irene avrebbe preso la proposta in animo da farle. Immaginava una diatriba sul nodo cruciale da sciogliere: la rinuncia al matrimonio. Fidava di poterla convincere perché vedeva nella giovane donna abbastanza sensibilità ed intelligenza da capire. Lo stop al matrimonio era il solo ostacolo da superare, tutto il resto ormai cominciava a sapergli di favola, una favola con la benedizione della sua onnipresente madre. Com’era stata esplicita, chiara, suadente. La rivedeva in veste di veggente, ritta, all’apice del viale, leggergli l’avvenire. Conosceva sino nei particolari la di lui disavventura, da profugo. Com’era suo solito non si era risparmiata a vigilare. Provò a riattivare l’incontro, accorgendosi però di essere stato poco caloroso, senza eccessivo entusiasmo. In una congiuntura tanto commovente e tra due innamorati come loro non si addiceva un incontro così pacato, a volte quasi distaccato, un incontro più confacente tra due parenti meno stretti o tra maestro e discepolo, tra superiore e subalterno, un incontro di routine per niente speciale, senza passione, dolore, tormento, come invece era d’obbligo. Un incontro tronco, composto, per essere reale... reale..., ma cosa andava pensando. Ebbe un moto di stizza palesato con la mano, per niente preoccupato delle persone sistemate nello stesso scompartimento per lui assolutamente inesistenti, ed anche al momento del gesto di plateale disapprovazione continuò ad ignorarle malgrado molti sguardi si fossero appuntati su di lui. Che tutto fosse stata una visione evocata dallo stato di eccitazione nervosa? In effetti l’incontro di prima con donna Mara, avrebbe potuto prepararlo a qualcosa di paranormale. E donna Mara stessa non gli aveva forse confidato di essere riuscita ad ottenere qualche volta l’approccio con il figlio? Non poteva essere diversamente: lui aveva sfondato i confini del reale. Mentalmente attese ad una riproposizione degli eventi interrogandoli con un muto partecipar delle labbra e ove occorresse deducendo con gesti della mano. Sua madre come aveva potuto smaltire l’enorme simpatia manifestata sin dalle prime occasioni di conoscenza verso quella brava figliola, tanto gentile e con una bella voce? Simpatia rafforzatasi per solidarietà di donna di fronte alla confessione della giovane di essere separata dal marito, in attesa di divorzio e con un figlio a carico, e sfociata con l’apporto di tutta la sua fede di cattolica, in un sincero augurio di benedizione da parte di Dio. E la contentezza provata nel constatare la diminuzione delle attenzioni del figlio nei suoi confronti per essere destinate alla nuova fiamma, dov’era andata a finire? E il suo ardore ad intercedere presso il figlio perché s’incontrasse con Nicole le volte che per screzi passeggeri se ne fosse allontanato? E la grande impressione mista a gioia ricevuta per la circostanza della presentazione ufficiale. E la spontaneità a chiamarla "figlia mia" e a spronarla a farsi dare del tu. L’immediata familiarità, non realizzatasi per esempio con la fidanzata di Mario, incoraggiante a condurre le due innamorate di Bruno ad offrire qualche cenno della loro intimità riguardante lui: specialmente l’insaziabile passione per i seni di entrambe. L’affettuoso battesimo entusiastico a consacrarla "bell’alfana" e la soddisfazione a trovarla meritevole del figlio: tutto questo quale fine aveva fatto? E per la vicenda dei due autolicenziamenti aveva forse dimenticato di essersi calata nelle vesti di paladina per proteggere la "bell’alfana" contro gli attacchi indiscriminati degli altri della famiglia, eccezione la neutralità di Mario, mirati ad imputarle di non essere stata in grado ad opporsi alle sciagurate risoluzioni? E non ricordava nemmeno di èsserlesi in quel frangente affezionata di più grazie al coraggio dimostrato nel resistere a continuare la relazione con il figlio malgrado il brutto momento, dichiarando al marito la sua solidarietà verso la ragazza pesantemente criticata, una brava ragazza, una ragazza di cuore, una ragazza leale? E dove s’erano nascosti il disappunto e lo scoramento quando a seguito della restituzione tramite la compaesana in forza nello stesso ufficio di Nicole, della giacchetta prestatale a difesa delle prime sfide dell’autunno, dovette constatare il franare della situazione? E il dolore provato nel vedere il figlio ridotto ad un cencio? Innanzitutto della stessa ragazza voluta bene al pari di una figlia e della quale si era prodigata a prendere sempre le difese non aveva pronunciato mai il nome. Aveva dimenticato anche questo o lo aveva eluso per delicatezza nei confronti di lui? E perché era arrivata a tacciare, dopo le innumerevoli dimostrazioni di attaccamento quasi morboso, l’inevitabile abbandono come di un’ingiusta vigliaccata? Quale motivo c’era di cercare di colpevolizzarla dichiaratamente a relazione ormai dissolta? L’accenno all’amore interessato non era forse un’allusione di non voler risparmiare nemmeno Nicole dalla regola? Il rimprovero mossogli per la mancata distinzione del ruolo tra madre ed amante non aveva il preciso compito di alludere all’irresponsabile considerazione da lui assegnata ad una ragazza rivelatasi immeritevole? Ed anche il rimprovero per la sua fisima di voler concedere parità di diritti non sapeva di tirata d’orecchi per un suo eccessivo assegnamento di fiducia? E se a lei fossero così chiare la differenza di ruoli e la diversità, e l’intensità del sentimento, di conseguenza non diventava ovvia per lei la condotta assunta da Nicole in risposta al fallimento produttivo del figlio? Cosa aveva da scandalizzarsi, da recriminare o quanto meno da restarci male? Forse la coerenza s’era fatta assorbire dall’ipocrisia? Non era stata la prima a riconoscere l’egoismo un mal comune delle donne, annullabile solo nei confronti dei figli? Forse si era fatta più esigente nel pretendere per il figlio una deroga alla regola, richiedente da parte della compagna un affetto più completo includendovi le caratteristiche materne? Ed era forse l’esercizio alla funzione di madre, il motivo dell’accoglimento entusiasta a favore di Irene ritenuta idonea a far scampare al figlio la solitudine? Ed infine l’invito a suonarle il "nostro motivo" con sottolineatura di quel "nostro", voleva forse essere una spruzzatina di sarcasmo all’indirizzo di chi aveva scelto il brano musicale in questione a simbolo di una importantissima relazione sentimentale andata in malora? Come aveva fatto presto a sostituire un affetto per un altro! No, no. Non andava. Così pure per una donna tanto salda quanto buona quale fosse stata sua madre, il sospetto d’incoerenza e d’ipocrisia non aveva fondamento -Non quadra- Pronunciò chiaramente senza accorgersene. I suoi compagni di viaggio si volsero a guardarlo con apprensione. Lui, inconsapevole donator di numeri, ricambiò, misurandoli dall’alto in basso in dispregio alla loro sfacciata curiosità. Poi si accarezzò la barba, astraendosi di nuovo. Ripassò i punti deboli facendo una conta con le dita, e stabilì di aver sentito parlare la madre come lui si aspettava che parlasse. Adesso gli sembrava di avergliele estratte lui di bocca quelle parole, perché si attagliassero perfettamente al suo stato d’animo ricomposto dopo una frantumazione in minuzzoli, ancora debole, incerto e per giunta emotivamente sollecitato. Non era affatto improbabile, però ci voleva una conferma -La prova- Disse tranquillamente a mezza voce -Una prova valida, schiacciante, incontestabile, definitiva, inappellabile...- Mormorò preoccupato. Dove andava a pescarla una tal prova? E magari, avesse potuto rimediare un altro incontro con la madre, per chiederle direttamente, a cosa sarebbe valso per la tacitazione di simili sospetti? Si sarebbe rimasti sempre al punto di partenza -Non sono affatto guarito- Ammise sconsolato. Tutta colpa della spacconata. Rivide il turbamento dell’innominabile a risentire le soavi note, da un po’ di tempo in qua diventate infelici, e non gli dispiacque indugiare nel ricordo. Gli altri viaggiatori dello scompartimento s’erano saziati di interessarsi a lui, qualcuno russava pure! Capì di aver traghettato senza accorgersene. Si era fatta già notte. Il treno risucchiato dalla morbida ombra nera lanciava i monotoni gorgheggi in uno spazio intessuto di silenzio. Erano rimaste accese le luci di riposo dalle quali gli sembrava ricevesse massaggi ai bulbi degli occhi indolenziti, appropriati a farlo appisolare. Fu svegliato da una stratta: la luce del giorno rischiarava le cose. Sulla carrozza del treno c’era un certo movimento mentre questa incanalata fra le banchine avanzava ormai a singhiozzi sul suo paio di ferree parallele esposte numerosissime sullo scalo ferroviario come grossi rebbi d’una forchetta gigante. Aveva la testa pesante e pur stropicciandosi gli occhi, sapeva, di non aver dormito, o meglio di aver perduto la coscienza fisica, ma non quella psichica. Lui aveva lavorato di mente per tutto il tempo in cui s’era assopito: aveva pensato, ragionato, contato, e malgrado fosse molto stanco, era decisissimo a continuare una sorta di pesca della risoluzione dei dubbi. La sentiva sott’acqua afferrata dalla sua intelligenza nel mare dell’incertezza, protetta soltanto dalla mancata penetrazione per tirarla fuori. Quando ad un tratto l’ostinazione a non desistere fu premiata e lui poté annunciare ai presenti -Quadra!- Questi, la maggior parte pronti a scendere lo guardarono un’ultima volta compassionevoli, notando sul viso sciupato del girovago un’espressione di inattesa vivacità. Aveva trovato: l’incontro con la madre era stato un parto psichico delle sue ansie. La prova inequivocabile tanto cercata stava lì davanti, imbelle come una lepre abbagliata dal faro. La luttuosa circostanza avendo teso i suoi nervi al massimo, gli aveva procurato l’improvvisa, fittizia apparizione e la solidarietà fondamentale della madre, condizione imprescindibile, per il superamento definitivo delle tribolazioni, riconfortandolo infine con lo svaporamento residuo delle vecchie ossessioni. Infatti la conversazione non era andata oltre i fatti da lui conosciuti. La genitrice sapeva del decesso più recente di Tanino, ma si era dimostrata completamente all’oscuro di quello del padre di Nikitta, perché, anche se da lei conosciuto, ancora ignoto al figlio. Fu l’atto di rivincita presosi, a chiarire a Bruno il mistero dell’ostentazione d’un cambiamento così radicale dei sentimenti della madre. Quella vigliaccata gli aveva portato bene forse a premio del suo precipitoso pentimento. La signora Annina, una donna di fede incrollabile non disposta ad arretrare per un suo convincimento anche su questioni poco importanti nemmeno di fronte ad un carro armato in movimento, mai si sarebbe potuta disaffezionare alla "bell’alfana". Ne era rimasta troppo incantata sia dal fascino fisico sia da quello caratteriale. E se il giorno avanti fosse stata davvero lei in spirito a prendere parte alla conversazione, avrebbe pregato il figlio di stornare a suo nome alla brava figliola, tanto gentile, leale e di cuore! il bel mazzo di rose ricevuto in regalo. D’altro canto non si sarebbe sbagliata affatto dei meriti della ragazza, affiorati autenticamente all’uscita dell’ufficio, nell’imbarazzo sofferto per la sorprendente presenza dell’incorregibile teachter. Bruno lesse da tutte le parti il nome della stazione di Roma. Ebbe un tonfo dentro il petto, si animò sino all’agitazione, sprizzava entusiasmo dai pori. Non pose tempo in mezzo alla decisione di interrompere il viaggio e fermarsi nella città per lui depositaria di tanti bei ricordi. Prese il sacco e con uno schivare non proprio ortodosso superò altri viaggiatori in procinto di scendere, ed appena messo piede a terra si mise a correre lungo la banchina. Aveva da telefonare subito: doveva procurarsi i gettoni ed un elenco telefonico, poiché a quell’ora Nikitta stava in ufficio, buon per lui in quanto non avesse da evitare eventuali inopportune ingerenze. Riuscì a provvedere in fretta, indizio di buon esito! -Sono Bruno, scusami per ieri -Bruno...- Seguì uno sbotto di lacrime -Mio padre... Dopo due settimane tua madreAdesso singhiozzava -L’avevo data a lei per telefono la brutta notizia… Tu eri già partito... Ci siamo messe a piangere insieme… -Lascia perdere, per favore! -Ci eravamo accordate a sentirci spesso… Lei sapeva consolarmi come fossi una figlia… Ma quella volta è stata tua sorella a comunicarmi… -Per favore, lascia perdere!- Ribadì con autorità Bruno incapace di sopportare oltre l’effetto della riesumazione di dolorose circostanze. Lei si scusò arrendevolmente prima di chiedere con febbrile curiosità, se la stesse chiamando da casa. -No- Rispose secco lui. -Da dove allora? -Da Roma -Che ci fai a Roma? -Mi sono stabilito qui -Ti posso chiedere dove ti si può trovare?- Azzardò lei con voce tremolante, e per le lacrime, e per la nuova emozione. -Sto sempre nella piazza appena si esce dalla stazione. Non c’è modo di sbagliarsi. Specie la sera, un uomo con un flauto si guadagna da vivere- Il segnale avvertì dell’imminente interruzione della comunicazione. Lei si premurò a chiedere -Cosa debbo fare allora? In quel momento la conversazione s’interruppe perché Bruno in un empito d’orgoglio riagganciò la cornetta, indispettito della domanda rivoltagli -Debbo dirtelo io cosa devi fareRipeteva sacramentando. Però un’altra domanda prese subito ad interessarlo -Cosa farà mai, verrà o non verrà?- Non s’era sbagliato affatto. Al cimitero, la madre, nell’occasione dell’evocazione psichica del figlio, pur sapendo non gli poteva parlare di quanto da lui indovinato solo il giorno avanti. Altro che prova schiacciante. Era, a parte l’ulteriore fresca testimonianza di Nikitta, l’indubitabile riprova solare dell’inconscia evocazione della madre nel colloquio avuto al cimitero. Fosse stata veramente lei, avrebbe consigliato ben altro comportamento. Quindi schiaritasi ormai ogni ambage dell’insospettato ragionamento della madre, ed in sintonia, invece con le sue virtuali direttive, Bruno si diresse di nuovo alla cabina telefonica, ad avvisare gli amici fiorentini di non aspettarlo, perché lui non sarebbe più tornato, ed a comunicazione ultimata, aggiunse mentre andava a scegliersi sulla piazza il posto in cui sistemarsi ed attendere -Comunque vadano le cose Assaporò la leggerezza della mente inebriata di perspicuità! Nei giorni a venire non smise mai di fissare nella stessa direzione, l’unica in cui la melodia del flauto gli sembrava confluire. E’ inutile dire il suo stato di estraniazione dalla circostante animazione, e sebbene la piazza fosse frequentatissima non vide, né sentì mai persona alcuna. Tutte le facoltà del suo essere s’erano raccolte entro il fascio dello sguardo proiettato nella stessa direzione ed insensibile all’esplicazione del quotidiano. Un’esplicazione diventata incorporea, fluida e diafana, per quanto frenetica a lui invisibile, qualcosa di simile all’indistinto ribollire entomico dell’atmosfera dentro la quale la luce dei suoi occhi navigava fiduciosa di giungere a localizzare la figura inconfondibile del millenario retaggio d’assoluto archetipo, astratto in ideale indistruttibile, per il cervello, le membra, il cuore dell’erede assegnato dai tempi! Lei insomma, la nobile e "bell’alfana" diretta a rilevarlo per incrisalidarglisi definitivamente. E quando finalmente ciò accadde la sua memoria esultò. La melodia sbocciò con ineffabili colori nel motivo consacrato alla palingenesi di prodigiose relazioni fino ad allora con sofferenza inconsce. Nikitta incedeva maestosa ed altera come una dea, i delicati lineamenti del viso disteso ed impassibile nel sostenere lo sconfinato e dritto fissare riprodussero l’enigma dell'incontro con la cieca. Stavolta Bruno senza perplessità, le andò incontro, continuando a suonare. Non si guardarono nemmeno in viso. Lei gli si accostò, cingendogli con il braccio la vita, e la testa appoggiò sulla sua spalla. Si accingeva ad unirglisi dopo lunghi mesi d’inconsolabile mutilazione, impigliati dal più subdolo degli aracnidi, l’egoismo, nella sua ragna, ora perentoriamente dissolta dall’ardore dell’amore. Finalmente salvatisi l’un con l’altra, potevano procedere eterei sopra la folla, sospinti dalle ali di un’inscindibile vanessa, verso un futuro d’immortalità. Bruno affrontò Nikitta agitando il flauto in aria -Non lo voglio, tu lo sai che non mi piace la musica. Io non farò l’orchestrale come papà, io diventerò campione, campione, campione pilota -Ah, che strana mania la tua, quanto sei buffo! La musica è l’arte divina, e tu se mi saprai ascoltare diventerai un dio -Io lo diventerò ugualmente un dio con i motori, nella formula uno. Anche lì si fa musica! -Musica, quel rumore assordante? Ebbene, se musica si deve chiamare sarà la musica del diavolo! -Mamma è d’accordo con me. Per la festa dei morti dovevi regalarmi il motorino, secondo i miei desideri -Non farò mai l’ambasciatrice dell’inferno. Voi ragazzi moderni siete tanto entusiasti di produrre rumore per colmarvi il cervello ricevuto vuoto dalla nascita. Tua madre, tanto per non smentirsi ti asseconda? Bene, fattelo regalare da lei il motorino -Lei ha provveduto a regalarmi gli accessori sportivi -E Massimo? -Papà mi ha fatto trovare una bellissima cinepresa, utilissima nei gran premi che mi porterà ad assistere. Poi lo farò vedere anche a te cosa sarò in grado di riprendere: un inimmaginabile spettacolo -Lo terrai per te il tuo spettacolo. Certi obbrobri non li voglio nemmeno sentire nominare. Invece da papà, ai suoi spettacoli, mi ci faccio condurre volentieri -E’giusto pensarla ognuno a modo suo -Quando si è maturi, soltanto allora. Tu a dodici anni, hai ancora bisogno d’esser saputo coltivare. Ci voleva tuo nonno. Lui sì, sarebbe stato in grado di farti apprezzare la vera musica. Lui è stato il teachter mio e di tuo padre, sapessi quale opera di trasformazione è stato capace di compiere in noi! -Era davvero così bravo nonno Bruno? Lui lo è saputo diventare un dio? -Un dio meraviglioso! -Ha insegnato lui a suonare a papà? -Gli ha trasmesso la passione -Ma perché doveva morire così presto? -Morire? Non dire sciocchezze, un dio non muore mai, lui è sempre qui a vigilare su di noi -Io però non l’ho conosciuto -Lui era tutto ciò che tu apprezzi di me e papà. Certo non puoi ricordartene, però sei stato tenuto parecchie volte in braccio dal nonno, e sapessi con quale amore! -Era bello come te? -Mi ci ha fatto lui bella come mi vedi, con la sua straordinaria bellezza interiore. Te lo ripeto, è riuscito a diventare il dio che voleva -L’ha scelto lui, Nikitta? -Sì, mi ha ribattezzata quarant’anni addietro -Allora, quando è nato papà! -Un anno dopo -E perché non prima? -Tu conosci il significato di Nikitta? -No, ma se vorrai spiegarmelo, ti ascolto -E’ una storia molto sofferta e tanto deliziosa...- Nonna Nikitta sospirò malinconica, e commossa si ricondusse a quella lontana sera di carnevale... -FINE- 2/VII/1986