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QUADERNI
CE.S.VO.P.
Vincenzo Borruso
UNA VITA DA CANI
Una vita da cani
Randagismo e prevenzione in Italia
V. Borruso
VINCENZO BORRUSO, medico, già
Dirigente Superiore presso l’Assessorato
Regionale Sanità, in atto cura la Collana di
Quaderni sulle attività delle Associazioni
di Volontariato e dirige il periodico del Cesvop «Mondo Solidale».
Cesvop
Secondo le stime di alcune Associazioni la morte da situazioni di randagismo,
ma anche per ospitalità nei canili lager,
raggiunge, nell’anno di abbandono il 5060% degli animali.
Siamo davanti, infatti, ad un randagismo triste, con animali depressi che dormono davanti ai nostri portoni, davanti
agli uffici e che si muovono solo all’offerta
del cibo o al passaggio di un qualche essere dal quale temono una aggressione.
Sembra strano, ma le stesse scene di
corteggiamento fra cani di diverso sesso o
quelle di accoppiamenti, tanto frequenti
negli anni della nostra infanzia e segno
della vitalità di questi animali, anche se
randagi, quasi non esistono più.
Sarà possibile amare questi nostri
animali sapendo cosa è più utile per loro,
cosa li fa meno soffrire.
Senza dimenticare gli obblighi che
l’uomo ha verso tutti gli esseri viventi.
Compresi gli stessi umani per i quali,
anche nella nostra terra, sono ormai frequenti le iniziative dei banchi alimentari
della Caritas e le mense parrocchiali per i
poveri.
Compresi i migranti, che dai paesi poveri dell’Africa e dell’Asia approdano alla
nostra terra in cerca di sopravvivenza.
In tali situazioni certo fanno senso gli
appelli di tante associazioni di volontariato per la raccolta di croccantini, fatti nelle
piazze delle nostre città, per gli animali
affamati nei rifugi, così come impressiona
lo spreco di avanzi davanti a molte delle
nostre case.
Tuttavia, sappiamo che anche queste
iniziative danno significato alla solidarietà fra gli uomini e fra questi e il resto del
mondo animale. Anche se non sempre le
cose coincidono.
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QUADERNI
del CE.S.VO.P.
Stampato in Italia
Copyright 2008
PittiGrafica s.a.s. Tecniche Editoriali
Il quaderno è stato realizzato con
il contributo del Comitato di Gestione per il Fondo Speciale
per il Volontariato della Regione Siciliana
finanziato dalle Fondazioni
- Compagnia di S. Paolo
- Monte dei Paschi di Siena
- Cariplo
- Banco di Sicilia
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Quaderni monografici a cura di Vincenzo Borruso
ISBN 978-88-6352-007-1
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QUADERNI
CE.S.VO.P.
Vincenzo Borruso
Una vita da cani
Randagismo e prevenzione in Italia
Presentazione di Ferdinando Siringo
Cesvop
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SOMMARIO
Presentazione di Ferdinando Siringo
1. Dal titolo alla ricerca
2. Quanto vicini al migliore amico dell’uomo?
3. I cani nella letteratura
4. I cani nell’arte
5. L’editoria, la stampa e i cani
5.1. La violenza dei cani
5.2. La violenza degli uomini
5.3 La stampa, gli animali di affezione e il mercato
6. La convivenza con gli animali e le malattie relative
7. L’abbandono degli animali e il randagismo
7.1 Il randagismo, l’Europa e la soppressione dei randagi
8. L’educazione sanitaria, una misura contro il randagismo e
le sue conseguenze
» 189 9. Conclusioni
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» 083
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A Roberto Lagalla,
da medico e Assessore regionale alla Sanità
ha tentato di fare capire come contro il randagismo
servano buone leggi, ma anche la collaborazione
intelligente dei cittadini.
PRESENTAZIONE
Nel vasto mondo del volontariato uno spazio non indifferente
è occupato dalle associazioni per la protezione degli animali.
Sono centinaia in Italia, dall’ENPA (Ente nazionale protezione animali) alla OIPA (Organizzazione internazionale protezione animali), agli Animalisti Italiani, all’ANPANA (Associazione nazionale protezione animali natura e ambiente).
Quest’ultima associazione ha 82 sedi in Italia, è presente in
quasi tutte le regioni con le sue guardie zoofile che prestano la
loro opera a titolo volontario. Scopi dell’Associazione la protezione degli animali, della natura e dell’ambiente con la vigilanza sull’osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e locali.
Abbiamo citato, a titolo di esempio, questa Associazione perché una documentazione su tutto il mondo degli animalisti in
Italia sarebbe particolarmente onerosa.
L’Italia ha una lunga tradizione in questo campo e rimonta al
1913, con la legge n. 611, l’istituzione delle guardie zoofile. Nel
corso degli anni varie leggi hanno disciplinato il settore, tra cui
la legge quadro n. 281/91 sull’anagrafe canina e sul randagismo,
la legge n.150/92, la legge n. 189/2004 contro il maltrattamento
degli animali.
In atto, esistono albi regionali e comunali che registrano associazioni di volontariato sia per la protezione animale che per
quella dell’ambiente: nella sola Sicilia le associazioni registrate
nell’albo regionale sono 32 e quelle in albi comunali 56.
Tali organizzazioni svolgono anche funzioni di protezione
della salute personale e collettiva. Può essere strano, di conseguenza, rilevare l’inesistenza di settori socio-sanitari comuni
nei quali volontariato sanitario e ambientale per la società degli
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uomini e volontariato per la protezione degli animali possano
incontrarsi per una sinergia delle loro azioni e per la eventuale
messa a punto di strategie nelle quali associare la protezione
degli esseri viventi e dell’ambiente.
L’offerta, ad esempio, che ogni anno viene dall’Associazione
Nazionale Medici Veterinari, per un controllo gratuito dal 1
marzo al 30 aprile di animali d’affezione (2.500 professionisti al
servizio per due mesi dei proprietari di cani e gatti), rappresenta un’importante occasione di protezione per gli animali, per i
padroni, per la collettività, una operazione di sanità pubblica
altamente meritoria.
Questa ricerca spera di creare il nesso, finora mancante, fra
un volontariato che si spende per gli umani e si riconosce organizzativamente nella legge n. 266/91 e un volontariato che dell’amore per il mondo animale e per l’ambiente ha fatto il proprio
scopo di impegno sociale. Così come spera che alcuni comportamenti degli uomini, nel bene e nel male, amici degli animali o
meno, possano essere consoni allo sviluppo della nostra società e
ai sentimenti di solidarietà che in essa tentiamo di coltivare.
Prof. Ferdinando Siringo
PRESIDENTE CE.S.VO.P.
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1. Dal titolo alla ricerca
«Una vita da cani»: quando e come è stata coniata questa espressione?
Certamente in anni estremamente lontani, almeno 15
mila anni, quando nella convivenza uomini-cani la vita di
questi ultimi non doveva essere facile.
Nemmeno quella degli uomini, in quei tempi, doveva
essere facile. E tuttavia, nella vita comune uomini-animali,
quando l’uomo divenne agricoltore e allevatore di bestiame, la vita dei suoi cani, precocemente addomesticati, dovette sembrare tanto più dura poiché dovevano accontentarsi di una alimentazione di risulta, di dormire fuori dalle
abitazioni, grotte o capanne che fossero, dovevano assolvere ai compiti di guardiania, caccia alla selvaggina, etc.,
quando e come i propri padroni pretendevano.
Ai quali, però, i cani si adattavano bene poiché nel loro
addomesticamento non si era attenuata la tendenza a fare
branco, anche quando capo di questo fosse stato un uomo, e a rispondere naturalmente, disciplinatamente possiamo dire.
Oggi, l’espressione può essere riferita ad una parte dei
cani, i randagi in particolare, che vivono nei paesi occidentali, od occidentalizzati, a quelli oggetto di trafugamento per l’accattonaggio, di sfruttamento sul piano dei
mercati clandestini e del mondo delle scommesse sui combattimenti.
Ma non è più adeguata per tanti cani che vivono, quasi
persone umane, in numerosissime famiglie. Suona falsa
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per milioni di essi per i quali si è sviluppato un mercato
che va dai prodotti di bellezza agli indumenti che riparino
e facciano belli, agli alimenti ricercati, ai farmaci, alle cucce riscaldate, ai guinzagli preziosi.
Sul venerdì di Repubblica del dicembre 2007 leggiamo:
«Accuditi, coccolati. E curati, se necessario. Cani e gatti
italiani sono sempre più longevi: nell’ultimo ventennio la vita
media dei nostri animali domestici si è allungata di circa due
anni».
Una prerogativa, aiutata dal progresso della medicina e
dalle cure domestiche, ma che riguarda soprattutto i «meticci, più forti rispetto ad alcune razze indebolite dalla mancanza di controlli genetici rigidi e di selezione accurata».
In una trasmissione televisiva, Che tempo che fa di novembre 2007, ospite di Fabio Fazio è stato lo scrittore Umberto Eco.
In una disquisizione sugli animali di affezione e sulla
possibilità di dare un nome ad essi, si convenne che difficilmente un gatto sarebbe stato individuato da un nome, abitudine invece corrente nei riguardi dei cani. Umberto Eco
rispose: È naturale, ma il cane è una persona!
Più che una battuta, una felice, paradossale intuizione
sulla collocazione nella nostra società del cane, di affezione
o meno, un compagno per tutte le stagioni, per tutte le necessità «umane».
Una collocazione che trova rispondenza anche nel fenomeno del randagismo presente fra i cani, ma anche fra gli
uomini che scelgono di vivere, spesso anche volontariamente, in libertà, paghi di quanto possono recuperare nei
cassonetti e di un angolo sotto ponti e porticati, o su una
panchina, per le ore di riposo diurno e notturno. Spesso in
compagnia di uno o più cani, come fanno alcuni ragazzi
punk, definiti per questo punkbbestia.
Una collocazione che non si limita a quanto detto poiché
il cane è presente nella nostra parlata di ogni giorno ed ha
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così influenzato alcune situazioni da rendere obbligatoria
la chiamata in causa del cane, quando a tale situazioni vuole darsi un certo significato. Che in genere è negativo: come
quando si dice, appunto, fare una vita da cane, essere un
cane, quando si vuole sottolineare un comportamento violento, essere come un cane in chiesa, in situazioni di imbarazzo, trattare come un cane, morire come un cane, solo come
un cane, rivolgersi a qualcuno come un cane, un elenco sterminato sulla astiosità degli uomini contro i cani e sulla loro
tendenza a identificarli con i comportamenti peggiori e con
le situazioni le più infelici.
Ma anche a sottolineare l’assenza degli uomini con un
riferimento all’animale: non c’era un cane. Poche altre riguardano aspetti positivi della convivenza uomini e cani:
fedele come un cane e sottomesso come un canuzzu, come si
dice in Sicilia. Un recente servizio giornalistico sui pesci ha
citato una specie di pesce-cane, così docile e innocuo da
essere chiamato dall’articolista un «cane-pesce».
Il cane è addirittura presente nelle espressioni violente,
negli epiteti negativi e in una forma attenuata di bestemmia
che, lasciati da parte santi e madonne, con «porco cane»
riunisce due bestie sulle quali l’uomo ha concentrato la rappresentanza delle maggiori nequizie che possono essere
consumate.
Infine, sull’eventuale nome da poter dare ad un cane esiste una pubblicistica non indifferente. In un libro pubblicato nel 2004 dalla Rusconi libri sono contenuti 1000 nomi di
cani divisi per provenienza: da persona, da luoghi geografici, da stranieri, da fumetti, da personaggi letterari, mitologici, storici. E, accanto ad ogni nome, il temperamento che
l’animale avrebbe rilevato da esso.
Su internet vi sono raccolte comprendenti 10 mila nomi
a dimostrazione di quanto importante sia la individuazione
della propria bestia, la «personalità», potremmo dire, legata al nome.
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Comunque si chiamino, bisogna ricordare che i cani, nel
nostro paese, beneficiano financo di un santo protettore, S.
Vito martire, raffigurato come un giovane che tiene al guinzaglio due cani, che sembrano meticci.
A proposito di personalità canina, o di considerazioni
evocate dai cani, da citare uno stranissimo libro (Susanna
Molinari, Più conosco le donne più amo il mio cane, ed. Armenia, Milano 2006) scritto da una donna ma con 292 riflessioni dovute esclusivamente ad uomini, tranne l’ultima firmata Mina.
Fra queste riflessioni difficile una cernita. La prima, a
firma di tale Andrea: «una delle ragioni per cui preferisco la
compagnia del mio cane a quella di certe donne è che lui si
accontenta di muovere la coda anziché la lingua». Altre ne
seguono, con uguale acrimonia maschilista, concluse
dall’ultima, nella quale una tale Mina dichiara di arrendersi a questa intesa fra uomo e bestia, scegliendo il silenzio
tra essi.
A contraddire, tuttavia, quanto illustrato dal libro la notizia di una accesa guerra fra due quarantenni agrigentini
che avevano posto fine al loro matrimonio facendosi guerra, soprattutto, per l’affidamento del cane di famiglia.
«Levatemi tutto ma non il cane. Tra due quarantenni di un
piccolo comune dell’agrigentino l’amore era finito» (dal Giornale di Sicilia del 15 dicembre 2007).
Da qui la decisione di separarsi. Problema, un cane dalmata che, dopo mesi di conflitto, la mediazione di un avvocato e una perizia che ha privilegiato la signora «perché
tra i due c’è un rapporto più profondo e il cane sembra avere bisogno di un legame di tipo materno», venne assegnato
alla moglie, con il diritto per il marito di vederlo e portarlo
a passeggio una volta la settimana e di averlo in qualche
week-end!
È dell’11 giugno 2008 la notizia data da reti televisive
nazionali e, il giorno dopo, dalla stampa (vedi Corriere
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della Sera del 12 giugno) su una giovane coppia senza figli
che a Cremona si presenta al giudice per una separazione
giudiziale.
Dopo essersi guardati un po’ in cagnesco (è il caso di dirlo)
hanno fatto subito capire che il problema vero della separazione erano Chira e Luna a cui nessuno dei due voleva rinunciare. «Non litigherete mica per i cani!» ha esclamato il giudice (dall’inviato Luigi Corvi).
Ma era così, e i due coniugi hanno dovuto trovare una
soluzione con i loro avvocati. In una scrittura privata è stato
deciso per una specie di affidamento condiviso: Chira che è
più legata alla donna starà con la «mamma», Luna con il
«papà». Le spese di mantenimento e cura saranno sostenuti da entrambi e ognuno potrà vedere l’altro cane quando
vorrà. La separazione è avvenuta, a questo punto, in modo
consensuale. Qualcuno, anche su internet, ha scritto: i cani
come i figli!
C’è voluto più di un secolo dal Codice Zanardelli e trentasei anni dalla istituzione del divorzio in Italia (la legge dell’affido congiunto è del 2006) perché gli italiani cambiassero una normativa che, di fatto, nelle separazioni assegnava i
figli quasi sempre alla madre.
Ci sono voluti solo due anni perché detta normativa venisse invocata e applicata per l’affido degli animali
d’affezione, cani soprattutto. Potenza dell’amore o insopportabilità della solitudine che, sempre più, vicaria gli uomini con gli animali?
Possiamo dire che la umanizzazione dei nostri cani non
ha limiti, anche in campi più gioiosi: adesso si festeggiano
anche i loro compleanni con iniziative che, sembra, non
badino a spese.
A Lecco (dal Giornale di Sicilia del 27 aprile 2008), un
medico affitta una discoteca per il compleanno del suo cane, pastore tedesco che compie cinque anni, con tanto di
torta, candeline e intrattenimento danzante! Speriamo che
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anche «il migliore amico del medico» si sia divertito in quella occasione.
Maggio del 2008 è stato caratterizzato da un’ondata di
caldo che, come tutti gli anni, ha provocato incendi nei boschi e nelle città soprattutto del sud. In Sicilia la stampa ha
dato particolare risalto agli avvenimenti che, per fortuna,
non hanno causato vittime, così come era avvenuto
nell’anno precedente.
A Palermo, i roghi in città hanno distrutto depositi di
macchine e di immondizia clandestini, depositi comunali di
attrezzature dismesse e i cittadini di alcuni quartieri hanno
avuto per più giorni appartamenti e ospedali minacciati
dalle fiamme e invasi dal fumo denso ed acre.
Ma un titolo di stampa ha dato il giusto risalto alla prontezza dei cittadini e alla loro generosità (Giornale di Sicilia
del 29 maggio 2008):
Veterinari, animalisti e personale Gesip non in servizio:
squadra che ha salvato i randagi dal rogo. Interventi tra
fumo e fiamme. I soccorsi all’ex mattatoio. Tutti in campo
per i cani.
Due ore di panico tra le fiamme e i cani spaventati che abbaiavano. Fiamme alte e tanto fumo, così tanto che non era
possibile distinguere nulla. La tempestività nell’intervento e
la collaborazione da più parti hanno tuttavia evitato il peggio
durante l’incendio scoppiato martedì pomeriggio in una discarica abusiva in via Macello e che ha coinvolto i locali
dell’ex mattatoio comunale che si trova proprio alle spalle.
Tutti salvi. In campo sono scesi veterinari del canile municipale, operai della Gesip, animalisti, personale comunale
del canile municipale accanto alla protezione civile e ai vigili
del fuoco. «La sensazione è stata quella di essere davanti a
una grande famiglia che si è data da fare per far si che tutto
finisse subito e senza danni», commenta Linda Tumbarello,
amante degli animali, anche lei accorsa sul posto.
Da sottolineare il fatto, non rilevato dalla stampa, né da-
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gli animalisti, che il canile è stato situato in quel posto nel
2007 con il mancato rispetto di tutte le norme che regolano
questo delicato settore della salute umana e animale. In
ogni caso, il destino dei cani è così intricato con quello degli
uomini da condividerne gioie e dolori.
Adesso, ad esempio, subiscono anche la discriminazione
«razziale», se così si può dire.
Dal quotidiano la Repubblica del 31 maggio 2008:
«I cani? Da vietare le razze straniere»
Milano. - E dopo gli immigrati, i carcerati, gli omosessuali,
le prostitute, i cigni del Sile, tocca ai cani. Giancarlo Gentilizi, fantasioso prosindaco leghista di Treviso, nel nome di una
sorta di pulizia etnica che dagli umani ormai è passata agli
animali, lancia la sua ultima crociata. «Basta con le razze
straniere, come amici dell’uomo scegliamo i cani e le razze
che avevano i nostri progenitori».
Solo che, come scrive Cinzia Sasso, autrice dell’articolo,
nel Veneto non esiste alcuna razza locale e i trevigiani nelle
loro belle case e ville ospitano pastori tedeschi, setter irlandesi e husky siberiani, come avviene ovunque in Italia.
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2. Quanto vicini
«al migliore amico dell’uomo?»
In un recente libro (La mente animale, Einaudi 2007),
Enrico Alleva, dirigente del reparto di Neuroscienze comportamentali dell’Istituto superiore di sanità, chiedendosi
se la selezione e l’addomesticamento abbiano potuto avvicinare la mente canina a quella umana, tanto da giustificare questa intimità che permette di condividere pensieri
ed emozioni, riferisce che nel 1997 le analisi sul Dna dei
mitocondri
hanno fatto anticipare l’inizio della convivenza tra uomo
e cane, portandola a centotrentacinquemila anni fa. Se la
ricostruzione è esatta, l’addomesticamento cominciò ai tempi dell’evoluzione della nostra specie, forse assumendo un
ruolo nel processo evolutivo stesso (pagg.79-80).
E quindi, potremmo anche dedurre che uomo e cane
nel loro contemporaneo sviluppo si saranno condizionati
reciprocamente. Da qui l’intimità, da qui la naturale identificazione con un cane in una serie di situazioni ed eventi
dell’uomo nell’ambito della sua società e del cane nella
società degli uomini: come riporta Enrico Alleva, citando
Vilmos Csànyi della Università di Budapest, ancora oggi
«l’ambiente naturale del cane sarebbe infatti la famiglia
umana».
È probabile che dipenda da questa lunga convivenza il
valore obiettivo, o presunto, che si dà al cane come ottimo
soggetto per la pet therapy. Consigliato perché con la sua
presenza domestica contribuisca a risolvere problemi di
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disagio psichico fra i giovanissimi, è stato recentemente
indicato da una associazione animalista utile nell’accudimento e socializzazione di disabili e anziani. I cani
non hanno pregiudizi nei confronti delle disabilità (!) e
possono, come riporta il New York Times su una ricerca di
medici californiani, contribuire oltre alla integrazione dei
malati ad abbassarne la pressione arteriosa e a potenziarne le difese immunitarie.
In questi ultimi giorni, l’Aiuca (Associazione italiana
uso cani di assistenza), con l’Università zootecnica di Milano «darà inizio ad una ricerca per misurare il calo del livello di stress in pazienti malati di Alzheimer messi a contatto con i cani».
Ricerche archeologiche hanno permesso recentemente
il reperimento di ossa di cane accanto a scheletri umani in
strati riferibili all’età del bronzo. Alcune di queste ossa mostrano segni di macellazione.
È da presumere, quindi, che la convivenza uomo-cane
avesse anche lo scopo di un procacciamento di cibo. Come è
risaputo, esistono ancora popoli presso i quali allevare cani
da macellare e di cui alimentarsi rappresenta un’antica
consuetudine.
In ogni caso, per le epoche alle quali si riferiscono queste
scoperte e per quanto riporta Enrico Alleva, non disponiamo di una cultura documentata che, invece, risale solo ad
epoche storicamente a noi vicine: quali, ad esempio, alcune
testimonianze della civiltà egizia e dei poemi omerici.
Oggi, c’è un fiorire di studi sugli animali in genere, e sui
cani in particolare, relativamente alla possibilità che alcune specie siano fornite di intelligenza. Tale da permettere
loro scelte comportamentali alla guisa degli uomini e di avere sentimenti.
Secondo un articolo di Virginia Morrel (Pensieri bestiali, su National Geographic, marzo 2008), l’essere umano
non è la sola specie in grado di inventare, fare progetti,
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mentire e ingannare: primati e cani, uccelli e pesci sono
capaci di pensare.
Per molto tempo si ritenne che gli animali fossero poco
più che macchine con comportamenti istintivi, innati, scarsamente modificabili dalla esperienza.
Ma come sarà stato possibile che essi, a secondo la specie
alla quale appartengono, siano stati capaci, generazione
dopo generazione, di imparare quale cibo fosse più utile
alla loro sopravvivenza, quale e quando un frutto fosse maturo per essere mangiato, come orientarsi in un branco o in
uno stormo dove le coppie si riconoscono, riconoscono la
propria prole, dove sono possibili azioni collettive di difesa
o di caccia, quasi fossero concordate?
Seguendo Charles Darwin, come sottolinea l’autrice,
nello spiegare lo sviluppo dell’intelligenza umana, che è
cresciuta con l’evoluzione generale del nostro cervello,
siamo costretti a partire da organismi semplici fino ad
approdare a individui complessi, come gli uomini e i cani
di oggi.
Ma se gli animali in genere sono più che macchine, quando e in quali forme viventi sarà comparsa l’intelligenza, in
particolare quella umana? E perché questa, quasi una anomalia, deve riguardare solo la specie umana?
Allontanarsi dal modello meccanicista, fare propria
l’ipotesi evoluzionista darwiniana ci ha permesso di riconoscere che «l’intelligenza è una dote flessibile, le cui radici nel
mondo animale sono estese e profonde».
Scrive Virginia Morrel:
«Forse l’esempio migliore della facilità con cui possono
evolversi nuove capacità intellettive ci è dato dai cani. In
genere, chi possiede un cane ha l’abitudine di rivolgersi al
proprio animale e si aspetta di essere capito. Ma questo talento canino non era apprezzato appieno prima della performance di un border collie di nome Rico durante un quiz tele-
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visivo in Germania nel 2001. Rico conosceva i nomi di circa
200 oggetti e ne imparava di nuovi con facilità».
L’Istituto Max Planche per l’antropologia evolutiva di
Lipsia volle studiare il caso e paragonò la capacità di Rico
ad imparare nuovi vocaboli con quella di un bambino piccolo. Altri ricercatori avevano dimostrato che i bambini di
due anni imparano ogni giorno almeno dieci nuove parole.
La conoscenza del caso mise i ricercatori in grado di seguire altri cani, uno dei quali si dimostrò capace di riconoscere
almeno 300 parole.
Si è anche scritto della capacità di mostrare felicità da
parte degli animali, specie i cani, con comportamenti ed
espressioni che ricordano molto quelli dell’uomo in uguali
situazioni.
Sostanzialmente, la nostra cultura si è evoluta dando
personalità ad alcuni animali, non a tutti, che alle società
umane sono sembrati più vicini e in grado di accettare
una relazione comprendente avvenimenti e programmi
condivisi.
Secondo Peter Singer, citato da Roger Scruton (Gli animali hanno diritti?, Milano 2008), l’uomo ha distinto fra gli
animali quelli che esistono e quelli che non esistono come
individui. Fra questi gli insetti, i polli e altri volatili che
«non hanno una concezione della loro esistenza futura e
vivono esclusivamente nel momento presente».
Fra gli altri, quelli che, biologicamente più vicini a noi, ci
sembrano capaci di acquisire una individualità. Il ragionamento metafisico ed etico di Scruton, che cercheremo di
semplificare, sembra prendere spunto da queste considerazioni cercando di dimostrare la mancanza negli animali
di una consapevolezza quali esseri morali e, come tali, non
in grado di avere diritti e doveri verso l’uomo e nemmeno
sentimenti che non siano iscritti nel loro patrimonio genetico di «specie».
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Tuttavia, l’uomo è portato a considerare con un metro
umano quanto riesce a scoprire nei comportamenti di animali la cui «individualità» risulta essere una sorta di conquista. Che è difficile scoprire nella vita di una formica che
non ha una storia ed è indistinguibile da quella di qualunque altro membro della sua specie.
Non così nelle specie animali più vicine all’uomo.
Più una creatura è in grado di imparare dal suo ambiente
e di adattarvisi, più acquisisce un carattere che la contraddistingue dagli altri membri della sua specie e più possiamo
agire su di essa in modo da imprimere nel suo comportamento
un simulacro della nostra risposta. Man mano che si salgono i
gradini dell’attività mentale, ci scopriamo sempre più capaci
di attribuire agli animali carattere, storia, sviluppo emotivo
e intellettuale, fino al punto che alcuni di essi – in particolare
quelli che possiamo addestrare a reagire selettivamente nei
confronti degli esseri umani – acquisiscono un’individualità
che rende appropriato il dono di un vero nome. L’apice viene
raggiunto con quegli animali, quali i cani, che non hanno solo
un nome, ma vi rispondono (Scruton, op. cit., p. 33).
In definitiva, siamo noi umani ad attribuire sentimenti e
caratteri ad animali che sentiamo vicini e per i quali le società moderne hanno adottato comportamenti che li includono nel nostro sistema morale.
Ma, come ci avverte Scruton:
non solo cani e orsi non appartengono alla comunità morale, ma non hanno nemmeno un potenziale di appartenenza.
Non sono «il genere di cosa» che può conciliare controversie;
avere sovranità sulla sua vita e rispettare quella degli altri;
rispondere all’appello del dovere o assumersi responsabilità
in questioni di fiducia (op. cit., p. 44).
Da questo, le inutili riflessioni sulle situazioni anche tragiche in cui un animale di affezione, ad esempio, ha com-
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portamenti che sembrano tradire le aspettative del suo padrone e che, invece, si iscrivono nel suo patrimonio di «specie», quale risposta ad istinti che in un certo senso dovremmo conoscere.
Eppure, il riconoscimento di questa individualità negli
animali è così antico da avere connotato sul piano alimentare culture secolari ed importanti come quelle che oggi definiamo «occidentali».
È stato fatto notare che «un dibattito sui temi dell’alimentazione è anche un dibattito sull’organizzazione della
società, un dibattito di civiltà, un luogo di ricostruzione sociale del cibo e dei modelli alimentari (Jean-Pierre Poulain,
Alimentazione, cultura e società, Bologna 2008, pagg. 95-96).
Per quanto alimentarsi rappresenti una necessità assoluta per vivere, farlo con animali ritenuti commestibili non
può che significare la loro morte.
Nella maggior parte dei casi l’uccisione a scopo alimentare s’inquadra in un insieme di rituali di protezione o di
dispositivi sociali la cui funzione è quella di legittimare la
messa a morte dell’animale. L’ansia proviene allora dal conflitto morale fra il bisogno di mangiare carne e il fatto di
dovere per questo imporre sofferenze agli animali e di sottrarre loro la vita.
Mangiare è dunque un atto che impone scelte e decisioni,
ma anche assunzioni di rischi oggettivi e simbolici (ivi, p. 87).
Nelle società di cacciatori sono dimostrabili preghiere e
anche scuse rivolte allo spirito dell’animale ucciso. E nelle
religioni monoteiste mediterranee significative sono le differenze fra la giudaica, l’islamica, la cristiana. Sebbene nella Bibbia (Gen. 9,3), dopo la cacciata dal paradiso terrestre,
gli uomini siano stati autorizzati a mangiare animali, il giudaismo vi aggiunse una serie di divieti, così come gli islamici, così come i cristiani.
Lo scopo di rituali e divieti «è quello di rassicurare chi
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mangia, rendendo la morte degli animali moralmente accettabile» (ivi, p. 89).
E. R. Leach, citato da Poulain, ha mostrato come i rapporti che gli uomini hanno stabilito con gli animali siano
stati in grado di determinare la possibilità che questi diventassero alimenti (ivi, p. 192).
Gli animali possono essere distinti in quattro categorie a
seconda della distanza che li separa dagli uomini; andando
dal più lontano al più vicino distinguiamo le categorie del
selvatico, della cacciagione, del domestico, del familiare.
Le due categorie centrali rientrano nell’ordine del commestibile. La prima e l’ultima sono colpite da divieto, in quanto pensate come troppo lontane o troppo vicine all’umanità
(da Leach).
Lo stesso autore riconosce che le frontiere tra queste
differenti categorie possono variare nelle diverse culture:
Poulain cita come da questo punto di vista risulti esemplare
la cinofagia, il consumo di carne di cane.
Perché in certe culture si mangia il cane e in altre no? «Il
cane è il migliore amico dell’uomo, il suo più fedele compagno. È dunque a causa di questa prossimità che si spiegherebbe il divieto alimentare che lo colpisce nelle società occidentali» (ivi, p. 192).
Addirittura, per spiegare fra gli aborigeni australiani il
consumo di carne di «dingo», un animale selvatico appartenente alla famiglia dei canidi, alcuni antropologi hanno
spiegato il fenomeno come «una sottostruttura del cannibalismo praticato in quelle terre».
Ancora Poulain, citando J. Millet, nota come la posizione
del cane nelle società agricole occidentali si collochi fra
l’uomo e gli animali domestici. Questa «prossimità» spiegherebbe la riluttanza degli occidentali a cibarsi della carne di cane; ma non spiega a sufficienza la durezza del biasi-
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mo occidentale che considera barbari i mangiatori di cani
sull’onda di una antropologia evoluzionista che considerò
la cinofagia il segno di un livello di civiltà.
L’origine del disgusto e dell’orrore che essa suscita fra gli
occidentali per l’autore «va ricercata nel campo delle rappresentazioni simboliche e dell’associazione di quella pratica con il cannibalismo» (ivi, p. 194).
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3. I cani nella letteratura
È possibile che il naturale sviluppo di quanto abbiamo
detto abbia fatto del cane un soggetto adatto ad essere presentato anche sotto forma letteraria, una delle forme
espressive più alte dell’uomo.
La presenza del cane nella letteratura certamente è molto più frequente di quanto non avvenga per altri animali, di
affezione o meno. Non a caso il cane viene ritenuto «il migliore amico dell’uomo» e come tale, naturalmente, destinato ad una vita in comune con l’uomo, anche sul versante
letterario.
Come scrisse Maurice Maeterlinck, poeta belga (18621949), premio Nobel per la letteratura nel 1911 a soli 36
anni,
«Siamo soli, assolutamente soli su questo pianeta fortuito;
e fra tutte le forme di vita che ci circondano non una, tranne il
cane, ha stretto alleanza con noi».
Non è semplice concordare con l’amarezza del poeta. E,
tuttavia, non è un caso che il riferimento letterario più antico, e più personalizzato nei millenni, in una delle opere letterarie più antiche della cultura occidentale, sia quello di
Argo, il cane che Ulisse aveva lasciato partendo per la guerra di Troia. Quando torna ad Itaca, anche se reso irriconoscibile dalla Dea, viene riconosciuto dal cane, vecchio e morente:
Così dicean tra lor, quando Argo, il cane,
ch’ivi giacea, del paziente Ulisse
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la testa ed ambo sollevò le orecchie.
........... Ivi il buon cane,
Di turpi zecche pien, corcato stava.
Com’egli vide il suo signor più presso,
e benché tra que’ cenci, il riconobbe,
squassò la coda festeggiando, ed ambe
le orecchie, che drizzate avea da prima,
cader lasciò: ma incontro al suo signore
muover, siccome un dì, gli fu disdetto
Ulisse, riguardatolo, s’asterse
con man furtiva dalla guancia il pianto.
...........
Ed Argo, il fido can, poscia che visto
ebbe dopo dieci anni e dieci Ulisse,
gli occhi nel sonno della morte chiuse.
(Omero, Odissea, canto XVII, trad. Ippolito Pindemonte)
La letteratura moderna ha storie di cani che, se non
paragonabili a quella omerica, tuttavia, danno al cane dignità di protagonista, spesso al pari del protagonista uomo, suo padrone.
Tornano in mente le storie di Jack London. In particolare, nel romanzo «Il richiamo della foresta», scritto nel 1903,
lo scrittore racconta la storia di Buck, un canan dog sottratto al suo primo padrone e usato come cane da traino per le
slitte di cercatori d’oro nel nord degli Stati Uniti. Maltrattato dai suoi molti padroni e costretto a lottare per sopravvivere, viene salvato dall’intervento di John Thomton, ancora un cercatore d’oro.
Con questo nuovo padrone Buck, per la prima volta, prova un profondo affetto per un uomo e gode di una certa libertà che gli permette di allontanarsi nella foresta.
Di ritorno da una di queste assenze, trova che il suo
padrone è stato assassinato da indiani. Di fronte al cadavere di John, Buck si getta sugli indiani che festeggiano e
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fa una strage. Dopo di che, spezzato il vincolo che aveva
con gli uomini, torna nella foresta dove si unisce ad un
gruppo di lupi.
Il libro venne giudicato fra i più importanti della letteratura del ’900, e non solo per ragazzi. Ammirevole in esso,
soprattutto, il modo come i sentimenti di Buck vengano
descritti dall’autore.
E ciò fa del cane un personaggio che sperimenta la
violenza dell’uomo ma anche la possibilità di un’amicizia
bestie-umani, capace di insegnare a questi ultimi i vantaggi di una convivenza dalla quale imparare a dare e
ricevere amore.
Sono da richiamare anche una serie di testimonianze
letterarie nelle quali il cane potrebbe non avere alcuna
funzione riguardo alla storia, alla vicenda, al tema
dell’opera e, tuttavia, vi compare alla stregua di un amico,
di un sodale al quale raccontare le proprie vicissitudini, da
avere come testimone e conforto nelle difficoltà della vita o
di quanto si sta esponendo nell’opera letteraria.
Caso recente quello di Paola Mastrocola, autrice di opere letterarie premiate in concorsi di livello nazionale, che,
insegnante delusa dalle ultime riforme, scrive «La scuola
raccontata al mio cane» (Guanda ed., Parma 2004). Un libro
nel quale confida il suo dolore al suo cane, al quale dà il nome di Perry e il cognome di Bau, per un mestiere, quello di
docente, che non c’è più, l’avversione a lavorare nella scuola «per progetti» e nel «Dipartimento». E scrive:
«Io penso e lui mi guarda. È capace di guardarmi fisso per
ore. Quindi diciamo che mi capita spesso, in salotto, di pensare insieme a lui. È come se ci parlassimo, tra di noi. Tutti e
due zitti.
Ad esempio adesso sto cercando di spiegargli che cos’è il
Pof. Lui crede che sia un pupazzetto di gomma che fa gnaugnau tra i denti.
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«No» gli dico, «è dove finiscono i Progetti»
«Allora» mi fa, «è un fiume?»
La capacità canina di comprendere le cose al di là delle
parole mi sorprende sempre di più».
Si tratta, evidentemente, di un artifizio letterario e tuttavia un artifizio utile all’economia del discorso nel quale
l’unica domanda da farsi è: Perché avere come interlocutore un cane? Perché si tratta di un animale che, nella sua lunga familiarità con gli uomini, si presta meglio di qualunque
altro a fare da interlocutore.
E il discorso della Mastrocola, indirizzato a personaggi
più esterni alla sua vita, più autorevoli socialmente che il
suo cane, tuttavia acquista maggiore efficacia in questa sua
forma di dialogo surrettizio.
In un racconto breve di Dacia Maraini (Mulino, Orlov e il
gatto che si crede pantera, Stampa Alternativa) l’incontro
con un cane randagio, che Dacia chiamerà Mulino, sarà il
miglior antidoto per un amore appena finito. Il racconto ha
un incipit che riguarda la sparizione del cane che, giunto
alla fine dei suoi giorni, forse ha cercato un luogo lontano,
dove morire da solo.
Sono quindici anni che stavamo insieme lui ed io. Avevamo imparato a sopportarci a vicenda. Lui con la sua pazienza
umana e io con le mie irrequietezze animalesche.
La prima volta che mi ha guardata, ho saputo che mi
avrebbe fatto da madre. Era un cane solitario, abituato alle
tragedie degli affetti. Scappato chissà da dove, abbandonato
chissà da chi, aveva imparato a cavarsela in ogni occasione.
Un trovatello. E cercava una persona da adottare.
Ero in campagna, come ogni sabato. Il cuore a pezzi per un
amore appena finito. Ho visto il suo corpo magro e rossiccio
che si nascondeva vicino al cancello. Mi ha lanciato uno
sguardo sospettoso. Ci siamo osservati un attimo. Ha subito
capito che non ero il tipo da cacciare un cane randagio.
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E più avanti, in una passeggiata nel bosco:
Mulino correva davanti sotto i castagni dalle foglie di un
verde irreale. Poi si fermava di botto. Girava la testa e mi
aspettava, la lingua penzoloni, gli occhi pieni di pazienza. Il
fatto è che era lui che stava adottando me e non io lui. Mi guardava da sotto in su, sornione, come a dire: tu dammi da mangiare e un tetto e io ti darò le gioie di un compagno indulgente
e vigile.
Nella presentazione del libretto, che contiene tre diverse
storie di animali, Dacia aveva tenuto a sottolineare l’affetto
che può legarci ad animali che, non a caso, vengono detti di
affezione:
Alcuni di questi racconti li ho scritto varie volte, in varie
versioni, rielaborandoli, cambiando angolatura e tono di
voce. Segno di un dolore che non riesco a fare morire: il dolore
di una perdita senza rimedio. Gli animali domestici sono destinati a darci dei grandi dolori: se ne vanno prima di noi,
sempre lasciandoci orfani e soli. Scrivere di loro, per me, significa mettere in moto quel complicato e fragile meccanismo
che è la memoria: perché l’inchiostro conservi quello che la
carne tende crudelmente a perdere.
Per chiunque abbia fatto un’esperienza di vita con animali è difficile non condividere, anche quando sembra trattarsi di vicende che dovrebbero riguardare lo sconforto che
ci coglie per la perdita di una persona cara e la difficoltà
nell’elaborarne il lutto.
Strana e tragica la storia di un cane che apre un libro di
racconti di Stefano Benni (La grammatica di Dio, Feltrinelli, 2007). La morte della moglie ha provocato in un uomo
l’inaridimento del suo affetto per il cane di famiglia. Anche
se (e forse per questo) l’ultima raccomandazione della moglie morente è stata quella di continuare a curarsi della bestia, di nome Boomerang.
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Comincia a non dargli più da mangiare e non riesce a
mutare l’atteggiamento amorevole del cane verso di lui.
Esasperato lo abbandona in un parco legato ad un albero,
lo abbandona cento chilometri lontano da casa e sulla
spiaggia di un isola, ma il cane, «un botolo salcicciometiccio, grasso e nerastro, con orecchioni da pipistrello», torna
sempre a casa con lo stesso atteggiamento amorevole verso il padrone.
- «Ma lo vuoi capire che ti ho abbandonato?», urlò il signor
Remo.
- «Ci sarà un perché. Tu sei il mio saggio padrone, e ti
voglio più bene di prima», rispose il cane con l’alfabeto
della coda.
Nell’ultimo, estremo tentativo che l’uomo fa di liberarsi
del cane, con un viaggio aereo di molte ore, alla consegna
bagagli se lo ritrova appresso, amoroso, essendosi sostituito ad un altro cane.
L’uomo, a questo punto, si trasferisce in albergo, sale
nella sua stanza e si getta nel vuoto.
L’ultima cosa che vide fu Boomerang, grasso e compatto
come un proiettile, che precipitava al suo fianco, con uno
sguardo di adorazione. Un gioco nuovo, padrone?
La stampa locale dedicò anche un titolo alla triste e commovente storia. Li seppellirono insieme.
Una storia difficile da verificarsi? Non ne siamo tanto
sicuri, conoscendo i rapporti di odio-amore che nell’attuale
società si sono andati strutturando fra uomini e cani.
Un amore dalle scelte sublimi, un odio che sembra non
avere mai fine. Almeno, a leggere Nagib Mahfuz, uno scrittore nato al Cairo, premio Nobel per la letteratura nel 1988.
Nel suo «Il ladro di cani» del 1961, pubblicato in Italia da
Feltrinelli nel 1990 e nel 2003 da Mediasat/Mds Books, racconta di Said, un ladro, che scarcerato dopo quattro anni,
medita vendetta contro chi lo aveva fatto imprigionare. A
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leggere il breve romanzo ci si accorge che i cani citati nel
titolo non hanno alcuna funzione nelle drammatiche vicende, ma sono presenti come metafora identificativa dei nemici. Appena uscito di prigione il suo primo pensiero è per il
suo nemico principale, Halish, che gli ha tolto financo moglie e figlia:
«Alish, non ricordi più quando ti strusciavi contro le mie
gambe come un cane? Non ti ho forse insegnato io a camminare? Chi è stato a fare di un ammasso di rifiuti un uomo? …
Ah, giuro che ti odio!»
E quando ha con lui il suo primo incontro, rimproverandolo di avergli portato via la moglie e i suoi beni, gli urla:
«E mia moglie e i miei beni, cani rabbiosi! Ah maledetto…
maledetto! Come vorrei incrociare il tuo sguardo, in modo da
poter poi rispettare gli scarafaggi, gli scorpioni e i vermi».
Sfogandosi con un amico d’infanzia, dice:
«Non è strano … che Halish sia riuscito ad impadronirsi
dei frutti della fatica dell’intera mia vita con una manovra
degna di un cane ?!?»
Per gran parte del romanzo ad ogni nemico viene affibbiato l’epiteto di cane e alla conclusione, quando essendosi macchiato di due omicidi, è inseguito dalla polizia o dai
cani (la cosa non è molto chiara), e fugge fra le tombe del
cimitero:
È terrorizzato dai cani, ma non sa come evitarli. …Si nasconde fra le tombe, mentre il guaiolare degli animali si avvicina sempre più. …Furioso, brandisce la pistola, mentre il
guaiolare si intensifica. Con movimenti circolari, una luce
accecante fruga quei luoghi. Said chiude gli occhi, poi si butta
a terra ai piedi di una tomba. Con voce trionfante, una voce
urla: «Arrenditi! Ogni tentativo di resistenza da parte tua è
inutile …»
Said rifiuta di arrendersi e gli inseguitori cominciano a
sparare.
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Ed ecco allora le pallottole infittirsi come pioggia. Accecato dalla collera, egli urla: «Cani!!» Anche lui spara ma, infine
«si arrende indifferente …Indifferente.
A chi si arrende? Alla polizia o ai cani? Per Said, infine,
sembra la stessa cosa.
In un libro di Gad Lerner (Tu sei un bastardo / Contro
l’abuso delle identità, Feltrinelli, Milano 2005), si avanza
l’ipotesi che nel mondo il pericolo maggiore sia rappresentato dalla ricerca di identità che muove dalla esaltazione
della propria persona a quella della propria etnia. Non disporre di uno straccio di araldica o memoria significativa
della propria persona o della propria gente provoca azioni
tese a ritrovare una condivisione di ascendenze che nobilitino la nostra miseria di sradicati.
In questa ricerca d’identità
ci avvolgiamo nella sensazione fallace di una ritrovata
autenticità, purezza, tipicità, originalità, tradizione, consanguineità, appartenenza, biodiversità, eticità, italianità,
unicità, differenza (p. 16).
E non ci accorgiamo che fra di noi si insinuano spacciatori d’oppio ideologico, gli avvelenatori delle coscienze, gli inventori di religioni civili e predicatori dei conflitti di civiltà.
Nevrotici reclutatori convinti che in tempo di guerra
l’identità non serva a sentirci diversi dagli altri, ma divenga
indispensabile a corazzarci contro il nemico (p. 16).
Anche l’autore cerca di darsi una identità pur venendo
la sua famiglia, ebrea, da infiniti luoghi europei e da molti
incroci di lingua e di religione. Ma deve arrendersi all’evidenza di una sua condizione di bastardo nella quale ha
quale ottimo compagno un suo cane meticcio di nome J. E
deve, infine, riconoscere che questo essere bastardi rappresenti la maggiore garanzia nel mondo per una pacifica
convivenza.
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Essere meticciati, come il suo cane J, è il migliore antidoto contro l’estinzione della nostra cultura, contro guerre
organizzate per difendere la purezza della razza.
Non so se questa sommaria lettura del libro di Gard Lerner sia la migliore interpretazione di quanto lo scrittore ha
voluto dire.
Ciò che più colpisce, tuttavia, è la significativa corrispondenza fra questa tesi e la constatazione, nel mondo della
cultura e in quello dell’antropologia sociale, della facile
estinzione di specie e culture che si isolano avendo raggiunto alti gradi di specializzazione.
Esser bastardi in questo mondo, in definitiva, è la migliore garanzia per allungare la vita e far durare la cultura
dell’uomo, nella quale la diversità è un pregio da «meticciare», ma non una qualità che ci autorizza a sottomettere i
nostri diversi.
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4. I cani nell’arte
Dall’antichità classica all’età moderna il cane è stato presente in una serie di raffigurazioni riguardanti dei, eroi,
guerrieri, santi.
Dal mondo classico al medio evo e ad oggi quasi non c’è
artista, scultore o pittore famoso che non abbia nella ritrattistica o nelle scene mitiche, di battaglia, di caccia (naturalmente) incluso figure di cani: cani da camera, come i piccoli
beagle, levrieri, segugi, cani da caccia, molossi assieme a
dee, regnanti, figli di re, santi, sposi e signore.
Cani sono presenti in scene riguardanti la Sacra Famiglia, la visita dei Re Magi, il Trionfo della Morte (sec. XV,
scuola fiamminga) del Palazzo Sclafani a Palermo. E fra i
pittori, per citare quelli della civiltà europea moderna, Tiziano con le sue Venere e Danae, Veronese con Venere e
Adone, Botticelli, Mantegna con gli affreschi del palazzo
ducale di Mantova, Dosso Dossi con la sua Maga Circe e il
molosso, Francesco Corradi con il suo Narciso che si specchia nella fonte guardato dal cane, Pietro Bruegel il Vecchio
con le sue scene di caccia e le mute di cani.
La presenza di questi animali nell’arte pittorica e nelle
sculture, testimonia la posizione alta dei cani nella cultura
europea e la familiarità da essi goduta con gli uomini: divinità, santi, eroi, belle donne, famiglie.
Ma non dice tutto e bisognerebbe un approfondimento
culturale, che non può essere di questo testo, sulla funzione
estetica, sui simboli che potevano rappresentare sul piano
della connotazione sociale i cani ritratti.
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In ogni caso, non hanno potuto che rappresentare simboli positivi, soprattutto nei casi in cui nell’economia della
raffigurazione la presenza del cane non aveva altra funzione che quella di ingentilire la scena o di trasmettere un messaggio riguardante soprattutto i soggetti ritratti.
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5. L’editoria, la stampa e i cani
Anche nell’editoria i cani hanno una visibilità non indifferente. In una libreria della Feltrinelli, a Palermo, a febbraio del 2008, il numero dei testi riguardanti gli animali
ammontavano a 175.
Alcuni dei quali, naturalmente, erano manuali per
l’allevamento e la cura di essi. Quasi il 32% (55) di questi
libri riguardava esclusivamente i cani. Esiste, quindi, un’offerta che ampiamente può soddisfare il cittadino che vuole
farsi una cultura sui cani.
Ma anche la stampa quotidiana e periodica dà visibilità
ai cani.
A parte la pubblicità di razze e prodotti di uso canino,
che occupa spesso intere pagine, il motivo più ricorrente è
quello che li vede protagonisti di azioni violente sia su i cittadini, sia su altri cani. Ma, naturalmente, la stampa riporta
anche notizie sulla violenza degli uomini sui cani che, secondo una vecchia legge sulla stampa, non scritta, è quella
che può considerarsi vera notizia: «un cane che morde un
uomo» non fa notizia, quanto invece la fa quella di «un uomo che morde un cane».
In realtà esistono entrambe le possibilità che tali eventi
si verifichino e vedremo di documentarle.
5.1. La violenza dei cani
Sui quotidiani del nostro paese quasi ogni giorno vengono riportate notizie riguardanti azzannamenti dovuti a cani
randagi ma anche a cani padronali.
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Da un florilegio non esaustivo di queste notizie le più
recenti e gravi sono da considerare le seguenti:
- la Repubblica, 11 aprile 2007, «Aggredita da un cane,
bimba gravissima. Parma, azzannata a due anni dallo
spinone di un amico di famiglia»;
- Corriere della Sera, 19 aprile 2007, «Torino, bambina
di nove mesi uccisa dai rottweiler dei genitori. È stata
azzannata e soffocata nel giardino di casa. La colf attaccata dopo una passeggiata. Ferita la nonna»;
- Corriere della Sera, 21 aprile 2007, «Provincia di Piacenza, Cane strappa un braccio alla padrona. Stava
giocando nel giardino. L’animale tra le razze pericolose (mastino francese)»;
- Giornale di Sicilia,
- 6 aprile 2007, «Enna. Allarme cani randagi sulle
strade di Pergusa»;
- 16 aprile 2007, «Vibo Valentia. Bimbo morso da un
cane medicato con cento punti»;
- 27 aprile 2007, «Azzannato da un cane randagio.
Partinico, ciclista in ospedale»;
- 29 aprile 2007, «Enna bassa. Una decina segnalati
in via Leonardo da Vinci. Cani in branco spaventano i passanti».
Il 21 aprile, sempre il Giornale di Sicilia, di spalla ad un
servizio relativo al regolamento sui randagi dovuto alla iniziativa dell’Assessore Lagalla, aveva dato una serie di notizie provenienti da diverse province:
- Marsala, 4 gennaio, «Raffica di aggressioni in diverse
zone»;
- Siracusa, 13 gennaio, «Randagi padroni del molo»;
- Trapani, 21 febbraio, «Ferita da un cane querela il sindaco»;
- Caltanissetta, 1 marzo 2007, Tutto pieno il canile convenzionato (a conclusione della notizia, venivano rife-
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rite le lamentele dei cittadini su branchi di meticci che
avevano invaso la periferia della città)»;
- Eolie, 6 marzo 2007, «Turisti aggrediti a Lipari»;
- Trapani, 26 maggio 2007, «A Trapani è emergenza:
oltre 3000 cani randagi»;
- Milano, 26 maggio 2007, «Cane morde ospite, maximulta al padrone».
Il 26 agosto 2007 Modugno.it, un portale della comunità
modugnese, riferisce di un agricoltore di Adelfia (Ba)
sbranato da un branco di cani randagi mentre lavorava in
campagna.
Sempre dal Giornale di Sicilia:
- 20 ottobre 2007 (Palermo), «Passeggia col cane, li assale un dalmata senza guinzaglio»;
- 19 novembre 2007 (Enna), «Una ragazza aggredita da
tre cani randagi»;
- 25 novembre 2007, «Cittadini feriti dai randagi, spesi
60 mila euro per i danni. In base ai dati del Comune,
dal 2006 ad agosto 2007 sono state oltre 200 le persone
aggredite»;
- 13 gennaio 2008, «Palermo-Brancaccio, presa una
cagna pericolosa: aveva azzannato alla gamba un giovane; un branco ha assaltato e ferito una ballerina alla
Zisa; spesso sono i cittadini che impediscono il lavoro
degli accalappiacani»;
- 17 gennaio 2008, Partinico (Pa), «Emergenza randagi.
Centinaia di cani senza padrone. Nel 2007 sono state
50 le persone morsicate da randagi, due in meno rispetto al 2006»;
- la Repubblica Palermo, 31 gennaio 2008, «Torretta (Pa),
Due bambini azzannati da un pitbull».
Giornale di Sicilia
- 5 febbraio 2008, «Bimbo azzannato, continua la caccia
al randagio (Casteldaccia, Palermo)»;
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- 18 febbraio 2008, «Bambino ferito al volto da un pitbull
nel pescarese»;
- 18 febbraio 2008, «Tre cani aggrediscono una ragazza
a Marsala»;
- 5 marzo 2008, «Caltagirone, subito operato è salvo.
Rottweiler azzanna bimbo. Il morso recide una vena»;
- 11 marzo 2008, «Cimiteri, randagi fra i viali. Anziana
morsa a S. Orsola (Palermo)»;
- 13 marzo 2008, «Aggredita da un rottweiler a Nuoro.
Ferita a 4 anni a Nuoro»;
- 17 marzo 2008, «Trapani, morsa da un pit bull rischia
una mano».
Da citare, tuttavia, il caso di un bimbo assaltato da un
cane e difeso da un altro. Come riferisce il Giornale di Sicilia del 29 gennaio 2008, ad Aci Catena (Ct), un randagio assale un bambino di 9 anni procurandogli ferite suturate con
35 punti. I parenti non riescono a strapparglielo dalle fauci.
Riesce ad allontanare l’aggressore un cucciolone meticcio
al quale Michele stava dando da mangiare!
- 30 marzo 2008, «Milazzo, una ragazza ferita da cani
randagi»;
- 31 marzo 2008, «Marsala, 14 pecore sbranate da cani
randagi»;
- 6 aprile 2008, «Palermo, Sperone, bimbo azzannato
dal pit bull del padre. Arriva la polizia e l’uomo dà in
escandescenze; denunciato. Il piccolo non è grave.
In via Ruggero Settimo un branco di randagi semina paura»;
- 7 maggio 2008, «Salerno, Donna sbranata dal suo pitbull. Il figlio uccide il cane a coltellate».
Quest’ultimo avvenimento pone, ancora una volta, il problema di alcune razze di cani che, contrariamente a quanto
dice la legge per la loro innata pericolosità, vengono allevate in casa da cittadini che non hanno la formazione necessa-
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ria ad allevare alcuni tipi di cane e che non tengono conto
della selezione di queste razze attuata al solo scopo di selezionare animali particolarmente violenti e pronti ad azzannare quanti, in quel momento, possono rappresentare un
potenziale nemico.
- 21 maggio 2008, «Washington, In Texas bimbo di 7 anni
sbranato da due pitbull dei vicini di casa».
Da questi avvenimenti più gravi certamente deriva la
recente normativa francese che obbliga i proprietari di cani, potenzialmente pericolosi, a fornirsi di patentino attestante la loro formazione ad allevarli e la possibilità che siano irrogate pene fino a dieci anni di carcere per i padroni di
cani responsabili della uccisione di persone.
È da ritenere che la misura possa rappresentare un deterrente efficace perché il «migliore amico dell’uomo» non
diventi anche un assassino.
Ma la stampa (anche quella on-line), riferendo delle aggressioni, riporta anche fatti che dimostrano da un lato
l’intimità nella quale convivono uomini e bestie, dall’altro
una conflittualità che difficilmente può essere nascosta, sia
perché randagismo e presenza nelle abitazioni mettono a
dura prova bestie nelle quali la lunga convivenza con gli
umani non ha fatto scomparire alcuni aspetti della vita animale, quali quelli della difesa del territorio e della predazione; sia perché è innaturale pretendere comportamenti
«umani» da chi umano non è, anche se addestramento e
buon trattamento possono sviluppare in alcune di questi
animali notevoli capacità di collaborazione e spesso una
tolleranza «quasi umana» e un riconoscimento delle azioni
non ostili degli umani.
È significativo un vademecum messo a punto da un animalista perché possa essere evitata l’aggressione di un cane o di un branco: fra i consigli suggeriti, non guardarli negli occhi, non compiere movimenti bruschi, non correre,
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non sorridere perché mostrare i denti equivale a ringhiare,
rimanere impassibili, non dar loro da mangiare, nell’aggressione offrire all’attacco il braccio sinistro difendendosi
con il destro, utilizzare uno spray antiaggressione, telefonare ai vigili.
Un vademecum nel quale i consigli utili sono, come si
vede, anche quelli riguardanti movimenti e atteggiamenti
del viso che possono essere interpretati come fatti ostili.
Un vademecum che può essere adoperato nell’incontro
con umani, con un branco di giovani bulli, ad esempio. In
cui anche il sorriso può essere pericoloso, non come ringhio, ma come sufficienza. Impressionante l’identità di alcune regole che vanno osservate per scongiurare azioni
violente fra gli uomini, o fra questi e i cani.
Enrico Alleva, nel saggio citato, ci avverte che in ogni
caso, al di là dell’episodio di cronaca nera, si tratta di fatti
che ci riguardano moralmente, dato che le spese di tali aggressioni canine riguardano molto spesso i bambini, almeno il 75%, e gli anziani.
Tra l’altro, certo a proposito delle scelte esibizionistiche
di molte persone per animali di razza, conosciuti per
l’aggressività che ne ha fatto cani da difesa e da combattimento e che avrebbero meno motivi oggi per essere moltiplicati, l’Autore nota che bisognerebbe anche tener conto
delle tare mentali di cui alcuni di questi animali possono
soffrire.
Quando la società dei consumi ha scoperto il cane... non si è
fatto scrupolo di infrangere le più elementari leggi della genetica dei vertebrati, quello che recita precisi standard di stile
selettivo e che aborrisce l’imbreeding fra stretti consanguinei.
E se poi il soggetto ha tare psicologiche per il troppo stretto
incrocio? Non sarebbe molto più sano e sicuro un bel bastardo
mischiato, che per la sacrosanta teoria dell’ibrido è meno delicato e certamente ben protetto da tare psicotiche? (pag. 90).
44
5.2. La violenza degli uomini
Si tratta di una violenza che si perde nella notte dei tempi, forse come quella dei cani, ma più decisa ed efferata
poiché tendente all’assoggettamento delle bestie, alla loro
utilizzazione come collaboratori nei trasporti, nella guardiania, nella caccia, come oggetto di divertimenti anche
violenti, come cibo. E rischia di fare la figura delle «gride»
manzoniane la normativa esistente sul maltrattamento
degli animali.
Secondo l’art. 2 dell’Accordo Stato-Regioni del 6 febbraio 2003, recepito dal DPCM del 28 febbraio 2003,
«chiunque conviva con un animale da compagnia o abbia
accettato di occuparsene è responsabile della sua salute e
del suo benessere e deve provvedere alla sua sistemazione
e fornirgli adeguate cure ed attenzioni».
Così come è vietato il taglio della coda, tranne che per
determinate razze canine, e da fare effettuare ad un veterinario nella prima settimana di vita della bestia, il taglio
delle orecchie, la recisione delle corde vocali.
Pratica da orrore, quest’ultima, specie quando si apprende che in un canile di Noha (Le) sono state folgorate
le corde vocali di 190 cani per ovviare all’inquinamento
acustico (Lecce Prima.it, quotidiano on line di Lecce, 1
febbraio 2008).
Dalla stampa abruzzese (Il Tempo e Il Messaggero del 3
agosto 2006) apprendiamo della cattura da parte dell’Asl
de L’ Aquila e della morte per strangolamento di un randagio di nome «Sebastiano» che era diventato la mascotte di
via dei Giardini ed era stato «adottato» da un bimbo disabile abitante nei pressi della Villa comunale, frequentata
dal cane.
Il tono degli articoli, i cui autori si soffermano anche sui
particolari della ricerca effettuata dagli animalisti aquilani e sul ritrovamento del cadavere in un frigorifero
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dell’Ausl, è accorato e rivelatore di un affetto «pubblico»,
come può esserci fra «umani».
Ma la stampa ci aiuta anche a ricordarci dei cani addestrati alla lotta e del mondo clandestino delle scommesse
che vi ruota intorno, o della deportazione dei cuccioli di
cani da una Europa che ancora dà ad essi il valore primordiale di animali da sfruttare e di una Europa che ne ha
fatto animali d’affezione, protagonisti di pet therapy, rimedio alla solitudine.
Nei giorni di Natale rappresenta una buona idea regalare un chihuahua o un terrier ai nipotini, ai fidanzati, ad
anziani soli.
Come riferisce Davide Carlucci la tratta dei cani rappresenta un business milionario che viene dall’Est:
(La Repubblica, 29 dicembre 2007)
In Ungheria, Slovacchia e Romania costano la metà del
prezzo italiano – ma anche venti volte meno – e te li consegnano a domicilio. Chi li acquista alimenta una tratta – gestita, si sospetta, dalla criminalità organizzata – che costringe i cuccioli a viaggiare stipati al freddo in un Tir, senza acqua e con quasi nulla da mangiare, esposti a parassiti e
malattie infettive. E non sempre è un affare. «Molti veterinari ci hanno segnalato che portano patologie e tare genetiche scomparse in Italia da anni», assicura Maria Rosaria
Esposito, responsabile del Nirda, il nucleo del Corpo forestale che si occupa della protezione degli animali. Per farli
sembrare sani, i contrabbandieri di cagnolini li imbottiscono di famaci o di cortisone. Ma i piccoli dopo pochi giorni,
spesso, muoiono. Di cimurro o di gastroenterite.
Il business è fiorente da anni e associazioni come Gaia
non fanno altro che denunciarlo, scoraggiando in tutti i modi l’acquisto sia dagli importatori abusivi che dai negozi e
dalle fiere spingendo, al contrario, per l’adozione di cani
abbandonati nei canili».
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Dal Rapporto Zoomafia 2007 della LAV si rileva come
ogni anno almeno 30 mila cuccioli entrino in Italia rappresentando un giro d’affari di 12 milioni di euro. I fornitori
sono spesso famiglie di operai dell’est europeo che per
arrotondare allevano cuccioli in casa: «ora sono diventati
più redditizi delle mucche».
Ma abbiamo anche comportamenti violenti individuali
ai quali non possiamo dare particolare significato. Come
quello di un cittadino di Misilmeri che investe ben due
volte lo stesso cane.
Dal Giornale di Sicilia del 4 maggio 2007 riportiamo il
racconto della notizia svolto con evidente ed emotiva partecipazione all’avventura del cane, un pastore tedesco
appellato «bestiola»:
Misilmeri, investe un cane due volte. Segnalato per maltrattamenti.
Infastidito da un cane ha reagito investendolo ripetutamente con l’auto. L’automobilista è stato denunciato dai carabinieri per maltrattamento di animali. È accaduto in via
Kennedy, a Misilmeri. L’animale, un pastore tedesco, ha
riportato gravissime conseguenze dall’insolito incidente
stradale e la condotta dell’uomo è finita sul tavolo di un magistrato della Procura di Termini Imerese. La bestiola è stata invece affidata alle cura di una ditta specializzata di Carini, a spese del Comune...
La scena straziante non scorre nell’indifferenza. Qualcuno assiste al doppio investimento, non fa finta di nulla. Sono alcuni residenti della zona che prestano le prime cure
all’animale, che intervengono quasi subito, così come i soccorsi. I testimoni riescono a fornire alle forze dell’ordine
preziosi indizi, fra cui la targa del veicolo, per l’individuazione del colpevole, G.C., trentotto anni, residente in paese.
(Antonella Folgheretti).
Comportamento lodevole quello di questi testimoni.
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Che, tuttavia, non sempre è rinvenibile in incidenti riguardanti persone investite da automobilisti pirati.
Ma la violenza spicciola contro i cani non si ferma qui.
Sempre secondo la stampa, (la Repubblica Palermo del 27
aprile 2007), una breve corrispondenza da Agrigento riferisce di un uomo di 33 anni che, dopo avere aggredito il
cane di un gruppo di ragazzi sul lungomare di S. Leone,
viene arrestato dalla polizia verso la quale, ubriaco, aveva
reagito dando in escandescenze.
Dal Giornale di Sicilia del 30 dicembre 2007 apprendiamo di un cane gettato nelle acque del porto di Palermo e
annegato, proprio nel giorno di Natale, da tre ragazzi immediatamente spariti dopo la bravata.
Certo, vi sono comportamenti ostili nel nostro paese
abbastanza pesanti. Soprattutto se si confrontano con
quanto può accadere in altri paesi.
In Inghilterra, ad esempio. Dalla quale, anche se l’episodio sembra di difficile credibilità, arriva questa notizia,
riportata dalla stampa italiana (Giornale di Sicilia del 30
aprile 2007):
Ragazzo abbaia a due cani: denunciato e multato.
Londra. Un ragazzo è stato denunciato e multato per avere abbaiato a due cani. Kyle Little, 19 anni di Newcastle
(nord-est dell’Inghilterra) era stato avvertito varie volte
dalla polizia di moderare il proprio comportamento e quando due agenti lo hanno visto abbaiare a due Labrador lo hanno arrestato. «Non ci potevo credere. Pensavo fosse uno
scherzo» racconta il giovane. Un tribunale lo ha condannato
a pagare 50 sterline (73 euro) di multa più 8.000 sterline di
spese processuali (11.000 euro) «per avere importunato e
causato preoccupazione ai cani di Sunuita Vedhara che, tra
l’altro, non aveva presentato denuncia. La sentenza è stata
però invalidata dalla giudice Beatrice Bolton «Abbaiare ad
un cane non è un reato. Non si può giocare con la legge» ha
tagliato corto.
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Tra l’altro, non credo sia ancora chiaro per gli uomini
quando abbaiare può significare importunare un cane o
tentare di stabilire una comunicazione amichevole. Dobbiamo ancora imparare tanto, anche se c’è chi studia in
nostra vece perché il linguaggio del cane possa essere compreso, in primo luogo dai propri padroni.
Repubblica del 26 aprile 2007, ci ha dato qualche buon
ragguaglio riportando a firma di Sandra Blakeslee la
notizia di un recente esperimento di neuroscienziati e
veterinari italiani. In apertura, l’articolo che riguarda
l’esperimento dice:
Ogni amante dei cani, sa bene come il «miglior amico
dell’uomo» esprime i suoi stati d’animo. Orecchie ben strette
alla testa, posizione rigida e coda dritta vogliono dire: «Non
darmi fastidio». Orecchie sollevate, corpo in movimento e
scodinzolio irrefrenabile significano: «Come sono felice di
vederti!». Ora però è stata scoperta un’altra caratteristica
del linguaggio dei cani che forse sorprenderà i padroni più
attenti. Quando un cane si sente ben disposto nei riguardi di
qualcosa o qualcuno, tenderà a scodinzolare più verso destra. Mentre scodinzolerà più verso sinistra quando nutre
sentimenti negativi.
Ci sarà un problema con i cani senza coda?
Tuttavia, un esempio lodevole ci viene anche dalla magistratura italiana: la Cassazione ha dichiarato reato abbandonare il proprio cane sotto il sole, anche se non ci sono
lesioni manifeste.
Ed ha confermato la condanna a 1200 euro di multa del
giovane che aveva lasciato il proprio cane chiuso in auto
sotto il sole.
Secondo la Suprema Corte rientra nel reato di maltrattamento tenere un cane in un luogo angusto per un lasso di
tempo apprezzabile, senza che fosse necessaria la volontà di
infierire sull’animale o che questo riportasse una lesione
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all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli
patimenti».
Su un terreno analogo si muove l’ordinanza di un Sindaco che ordina la rieducazione del padrone e del pitbull
che si è distinto per atti di violenza su altri cani:
Giornale di Sicilia, 17 novembre 2007.
Il cane aggressivo e il suo proprietario dovranno andare
a scuola di educazione da un istruttore qualificato. Lo prevede un’ordinanza del Sindaco di Modena.
Altro esempio positivo da una notizia siciliana che documenta la possibilità di una convivenza sul lavoro di uomini
e cani: dal Giornale di Sicilia del 12 ottobre 2007 apprendiamo di un cane, incrocio fra un labrador e un pastore
tedesco, che a Modica (Rg) passa le sue giornate in un cantiere edile dove aiuta gli operai a spostare blocchetti di
cemento e a portare da un piano all’altro dell’edifico in
costruzione i disegni arrotolati dei progettisti.
È notizia recente di un processo, chiusosi ad Enna per
sopravvenuta prescrizione, a carico di un giovane di Catenanuova che si era specializzato nella somministrazione
di polpette avvelenate ai cani della sua provincia (Giornale
di Sicilia, 13 aprile 2008).
A Caltagirone, invece, e sempre dal Giornale di Sicilia
dell’11 marzo 2007, gli umani mostrano, contemporaneamente, ferocia e compassione: sono stati trovati morti per
avvelenamento due cani meticci. Un terzo cane con chiari
sintomi di malessere è stato trasportato al canile municipale. Il fatto è stato denunciato dai volontari della Lida
anche ai carabinieri.
La stessa contraddizione di sentimenti a Caltanissetta
dove (Giornale di Sicilia del 12 marzo 2008), un cittadino
che stava buttando la spazzatura salva cinque cuccioli
meticci che erano stati scaraventati nel cassonetto «da
gente senza cuore».
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Frequenti nel nostro paese i casi di somministrazione di
bocconi avvelenati in quartieri cittadini afflitti dal randagismo e nelle campagne dove i cani liberi sono ritenuti
responsabili della uccisione di altri animali domestici.
Da una lettera a la Repubblica del 19 febbraio 2008 apprendiamo di una decina di cani morti per avvelenamento
in provincia di Roma.
Lo stesso in Sicilia dove (Giornale di Sicilia, 16 settembre 2007) un cane viene trovato con segni evidenti di avvelenamento nei boschi fra Enna e Piazza Armerina ed è
salvato dalle guardie del Corpo forestale che lo portano
dal veterinario dell’Ausl.
Nello stesso numero del giornale vengono riportate due
notizie abbastanza contraddittorie: a Gela (Cl),un cittadino al quale hanno avvelenato il cane, tappezza un intero
quartiere con un manifesto mortuario nel quale ricorda il
suo dolore per la perdita subita. Accanto, nella stessa pagina, si apprende di un pastore che a Cattolica Eraclea (Ag)
uccide a fucilate un pit bull che aveva azzannato ed ucciso
una sua pecora. Viene arrestato su denuncia del padrone
del cane.
Il 14 ottobre 2007, lo stesso giornale aveva dato notizia di
un cucciolo impiccato e di almeno 5 cani avvelenati nelle
zone di via Messina Marine e Brancaccio di Palermo.
Infine v’è da citare un evento nel quale risulta poco chiaro da che parte sta la violenza, se da parte dell’animale
cane, o da parte dell’animale uomo. La notizia, di un fatto
avvenuto negli USA, è riportata dal Giornale di Sicilia del
4 aprile 2008, ed è da riportare per intero:
Donna morde un pit bull per difendere il suo cane.
Washington. Per difendere il suo labrador aggredito da
un pit bull, una donna ha preso a morsi il feroce cane e ora
avrà bisogno dell’anti rabbica. È accaduto a Minneapolis,
in Minnesota. Amy Rice ha combattuto col pit bull dopo che
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questi era saltato nel giardino di casa e aveva attaccato il
suo labrador. Per costringere il cane a mollare la presa prima che il labrador venisse ucciso, la donna ha preso a morsi
il naso del pit bull, costringendolo a mollare.
È forse necessario concludere questo capitolo con quello che ha voluto dirci Enrico Alleva nel suo saggio «La mente animale», già più volte da noi citato:
L’essere umano non ha mai avuto rapporti facili con gli
altri animali: nella storia del mondo è stato, di volta in volta, predatore o preda. Ma, soprattutto, all’uomo occidentale
è rimproverabile un complesso di superiorità filosofica nei
riguardi degli animali; di essere stato, cioè, il creatore di
cosmologie culturali il cui centro gravitazionale era sempre
rappresentato da lui – Uomo – mentre agli altri esseri animali non restava che un ruolo dimesso, di sfondo, che magnificasse la superiorità dell’essere umano tra i viventi
(pag. 184).
5.3. La stampa, gli animali di affezione e il mercato
Dalla stampa in genere a quella riguardante la propaganda elettorale il passo non è lungo. E vale la pena citare
quanto accaduto nella campagna elettorale per il rinnovo
dell’attuale Consiglio comunale della città di Palermo.
Un’occasione nella quale un cinofilo ha fatto della sua
passione la motivazione più forte della sua «discesa in
campo».
Dalla Repubblica Palermo del 5 maggio 2007 riportiamo:
Il candidato cinofilo. Il calembour è apprezzabile: il candidato si chiama Piero Modesto e lo slogan che offre agli
elettori è, per l’appunto, «con modesto impegno vinci tu...»
Ma più che il gioco di parole, nel corposo pieghevole spicca
la foto: il candidato Modesto con accanto due bellissimi
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esemplari di husky. Basta girare pagina per accorgersi che
quella foto significa molto. C’è un intero paragrafo dedicato alla spiegazione della «grande passione del candidato
per i cani».
E come se non bastasse, il «programma politico» di Piero Modesto che ha corso per Sala delle Lapidi nelle liste di
An, è fortemente segnato dalla passione di cui sopra: si va
dalla «creazione di un impianto ad hoc per lo svolgimento
di manifestazioni canine», alla realizzazione di «almeno
un cimitero per animali», fino all’istituzione di una cassa
mutua per animali domestici». In tempi di riforma delle
pensioni c’è da pensarci. Di certo nessuno potrà dubitare
dello spirito disinteressato del candidato: i cani, come è
noto, non votano.
Bisogna ricordare che l’istituzione di cimiteri per gli
animali di affezione è prevista dall’art. 23 della legge regionale siciliana 3 luglio 2000, n. 15: «I comuni, singoli o
associati possono realizzare cimiteri per il seppellimento di
animali d’affezione, ossia cani, gatti, criceti, uccelli da gabbia, altri piccoli animali domestici di piccola dimensione e
cavalli», a condizioni che il decesso non sia dovuto a malattie trasmissibili all’uomo e che si abbia il parere preventivo della Ausl competente per territorio.
Tuttavia, ancora oggi, nessuno ha parlato o scritto di
cassa mutua per animali domestici. Lo ha fatto Piero Modesto e chissà se un giorno non si realizzi una qualche forma di assistenza veterinaria convenzionata!
Sempre i cani hanno suggerito nella campagna per le
amministrative del 13 e 14 maggio 2007 in Sicilia una
sdrammatizzazione della contesa con un manifesto riportante la immagine di un cane e la scritta: Scrivi Miki – Tra
tanti cani scegline uno di razza (dal Giornale di Sicilia del 7
maggio 2007).
Ma la stampa rappresenta anche il media attraverso il
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quale si apprende come gli animali di affezione abbiano
indotto, nei nostri paesi, la nascita di un cospicuo mercato
riguardante i loro alimenti.
Dal Giornale di Sicilia del 10 maggio 2007 apprendiamo:
- BOLOGNA. Da oggi a domenica la fiera Zoomark 2007
espone alimenti biologici, vegetariani e olistici per gli animali da compagnia. Prospera anche il mercato delle bibite
energetiche. Cani e gatti, è boom del cibo salutista: pappe su
misura per gli amici a 4 zampe.
- ROMA. Pappe personalizzate, bibite energetiche, prodotti aromaterapici e accessori all’ultima moda, ma soprattutto un boom di snack salutisti, insieme ad alimenti biologici, vegetariani, olistici o ipo-allergenici. Sono queste alcune
delle ultime tendenze del mercato dei prodotti per gli animali da compagnia fotografate nel rapporto di Zoomark 2007,
che verrà presentato alla fiera Zoomark intemational 2007,
in programma da oggi giovedì a domenica 13 maggio a Bologna Fiere.
Da questo studio emerge quanto i nostri Fido o Puffi vengano trattati sempre di più come esseri umani, in cerca di
cibo naturale e senza ogm, magari studiato per intolleranze
o allergie. A fare la parte del leone, in un giro d’affari che
già nel 2005, esclusi i servizi, ha superato i due miliardi di
euro, è sempre l’alimentazione (67,6%), con prodotti specifici per ogni fase d’età, taglia, razza o stato fisiologico del cane o del gatto. L’ultimo grido sono caramelle e snack, che
rinfrescano anche l’alito e dovrebbero prevenire possibili
problemi di irritazione alla gola, infiammazione delle gengive o formazione di placca.
In crescita anche il mercato di accessori come ciotole,
collari, guinzagli, ceste o cucce, copertine, ma anche profumi e vestitini. Secondo l’indagine realizzata dal centro studi
Zoomark, gli acquisti più frequenti riguardano detergenti e
shampoo, con almeno un acquisto al mese per il 43% degli
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intervistati, seguiti dalle spazzole (29%). Non mancano i
giocattoli, comprati da almeno quattro intervistati su dieci:
palle, ossi per i cani, animali di gomma e peluche sono spesso regalati per il compleanno o a Natale.
Tra i servizi spiccano le visite al veterinario (minimo
una volta all’anno per il 68% del campione) mentre meno
diffusi sono tolettatura e lavaggio. La spesa mensile, includendo sia prodotti che servizi, in Italia in media è di 77
euro.
Sul fronte della bellezza a Zoomark non mancheranno
novità, come prodotti aromaterapici pensati per i nostri
piccoli amici a quattro zampe, ma anche profumi, specie
quelli privi di alcol per non colpire l’olfatto particolarmente
sensibile degli animali. Ci saranno creme a base di citronella e geranio, oltre ad attrezzature specifiche come lettini e
brandine ergonomici indicati per cani anziani o con problemi alla spina dorsale, ma anche reinterpretazioni della cuccia e della brandina classiche, concepite come complementi
d’arredo e realizzati con materiali pregiati come pelle e metallo cromato.
Sempre nel campo degli accessori prende piede il «lusso»
per cani e gatti: collari e guinzagli realizzati in materiali
preziosi, ornati di pietre e cristalli rifiniti artigianalmente;
abbigliamento trendy e accessori coordinati cane-padrone.
Continua una tendenza alla umanizzazione dei cani che
non ha avuto riscontro nel passato e che, certamente non
mancherà di creare imbarazzi in società che nel mondo
hanno problemi ben più gravi di quelli riguardanti gli animali d’affezione.
L’interesse per la salute del proprio animale d’affezione
già induce ad una causidicità fra curanti e pazienti che,
solo in questi ultimi anni, è diventata una realtà anche fra
cittadini e medici del nostro paese: oggi è presente fra
padroni proprietari di cani e veterinari, come ci informa
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una notizia pubblicata da Repubblica Palermo il 29 dicembre 2007:
I due accusati di avere sbagliato l’intervento su un cocker malato:
Veterinari assolti dopo otto anni.
Dopo un processo durato cinque anni, ieri la Corte
d’appello di Palermo, presieduta da Rosario Luzio, accogliendo la richiesta del pg Enza Sabatino, ha assolto i veterinari Fernando Buffa e Claudio Brovida dell’accusa di truffa. I due professionisti erano stati denunciati nel 1999 da
Rita Giuffredo, proprietaria della cagnetta Desirèe, una
femmina di cocker spaniel ammalata di cancro che venne
affidata alle cure del palermitano Fernando Buffa, titolare
di un noto studio per la cura degli animali.
Il veterinario decise di asportare l’ovaio sinistro dell’animale, ma dopo l’intervento le condizioni del cane non
migliorarono. La proprietaria trasportò allora il cocker a
Moncalieri, rivolgendosi al veterinario Claudio Brovida.
Quest’ultimo decise di asportare l’altro ovaio, ma il cane
pochi giorni dopo morì. La proprietaria fece eseguire un
esame autoptico sul cocker. Il referto dell’esame rivelò in un
primo momento che le ovaie non erano state asportate, come affermato dai veterinari. In seguito, però, fu accertato
che l’animale era stato operato correttamente dai due professionisti. Buffa e Brovida erano stati assolti anche in primo grado.
Da notare i due aspetti della situazione: quello della
causidicità, che ormai si esprime con chiamata in causa
di veterinari a somiglianza di quanto avviene fra pazienti
umani e medici, ma anche quello del viaggio della speranza che si svolge fra Palermo e Moncalieri, fra la Sicilia
e il Piemonte, alla ricerca, certamente, di una professionalità medica veterinaria capace di ridare salute alla bestiola malata.
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Comportamento sul quale si può anche solidarizzare,
ma impensato che potesse essere realizzato fino a pochi
anni fa e difficoltoso, ancora oggi, per tanta parte della
popolazione meridionale, siciliana in particolare, che «fugge» al nord nella speranza di trovare per i congiunti malati cure più qualificate di quanto non ne possano ricevere
nella propria regione.
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6. La convivenza con gli animali
e le malattie relative
Quanto abbiamo detto è giustificato dalla convivenza
che, dalla notte dei tempi, si è realizzata fra gli uomini e i
loro cani.
Ha significato anche, così come è avvenuto nella convivenza con altre bestie nel momento in cui l’uomo diventa
allevatore, la condivisione di alcune malattie.
Più frequentemente, si cita la tubercolosi condivisa con
i bovini.
Ma anche la convivenza con i cani, ancora più stretta
che con gli altri animali, anche per quello che abbiamo
detto, ha significato una condivisione di malattie, quali la
leishmaniosi, la rabbia, l’idatidosi, la rickettsiosi da zecche,
la sindrome da larva migrans, etc.
Un retaggio che, soprattutto fra le popolazioni meridionali del nostro paese, afflitte dalla miseria, dalla scarsa
igiene e dalla superstizione, perdura fino ai giorni nostri e
che ha fatto considerare, fino a qualche tempo, curativo
per le ferite il pelo di cane.
La lunga convivenza ha portato l’uomo a soffrire con
l’animale una serie di malattie che possono essere sostenute da virus, batteri, miceti, protozoi, vermi. Senza considerare la condivisione di insetti, come le zecche, le pulci,
abituali ospiti dei cani e gli acari, responsabili di varie forme di allergia cutanea e respiratoria.
Come è intuitivo comprendere, le forme di trasmissione fra animale e uomo sono diverse e fra esse dobbiamo
mettere la saliva, che può contenere il virus della rabbia
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trasmesso dalla leccata di parti di cute con lesioni o con
eventuali ferite da morsi; così come dobbiamo mettere le
feci, nelle quali il cane ospita parassiti che sono tali anche
per l’uomo.
Per non parlare delle forme allergiche che colpiscono
gli umani viventi in ambienti chiusi con i cani, quali
l’orticaria e l’asma, sostenute dalla forfora che si stacca
dal pelo e dalla pelle dell’animale.
In un articolo riportato sul Giornale di Sicilia del 6 maggio 2007 si legge quanto segue:
Cani, il clima «pazzo» aumenta le malattie trasmesse
dagli insetti
Roma. Il clima «pazzo» mette a rischio anche la salute dei
cani, in Italia come in tutta Europa. Sono in aumento, infatti, le malattie trasmesse da pulci, zecche, zanzare, come la
Leishmaniosi e la Ehrlichiosi. La colpa è dell’aumento delle
temperature che rendono gli insetti più pericolosi, aumentando il periodo di «attività» e permettendo loro di «colonizzare» territori finora immuni. Con un particolare allarme
per il nostro Paese che, trovandosi ai margini meridionali
della zona temperata è uno dei più colpiti dalla rottura degli
equilibri climatici.
Lo hanno sottolineato i veterinari riuniti al Canile Vector-Borne Desease Interactive Video Conference (CVDB) di
Roma in videoconferenza con altre dieci città italiane, organizzato con il sostegno di Bayer Healtcare.
A preoccupare gli esperti sono i dati sulla diffusione della Leishmaniosi, malattia trasmessa da flebotomi (o pappataci), spesso responsabili della morte precoce dell’animale.
Il parassita colpisce i vasi sanguigni e il sistema immunitario e, anche con le moderne terapie, non viene mai eliminato
completamente.
La malattia considerata endemica fino ai primi anni ’90
nelle regioni del Sud Italia e nelle Isole, ora si sta diffonden-
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do anche nelle regioni del Nord, in particolare Piemonte,
Valle d’Aosta, Veneto e Lombardia. Nel Sud la prevalenza di
infezione è variabile tra il 20 e il 40%, mentre i dati del
Nord variano tra l’1 e il 10%.
Nelle zone endemiche, inoltre, l’incidenza (numero di
nuovi casi per anno) si attesta intorno al 10%. Complessivamente, indagini effettuate su animali clinicamente sospetti,
indicano sull’intero territorio nazionale una positività alla
Leishmaniosi del 23,80%.
Un’altra minaccia per i cani sono le zecche, responsabili
di malattie insidiose come l’Ehrlichiosi, la Babesiosi, la Borrelliosi, l’Encefalite da zecche che possono provocare danni
irreparabili al sangue e al sistema articolare.
Anche per queste malattie si sta assistendo ad una progressiva diffusione dalle tradizionali regioni tropicali alle
regioni con climi temperati e alle aree urbane.
In questo caso, però, è ancora da chiarire se l’aumento
delle infezioni è legato ai cambiamenti climatici o se più
semplicemente ai frequenti spostamenti degli animali che
diventano essi stessi responsabili della trasmissione delle
zecche ad altri cani.
Per arginare l’aumento di queste malattie, secondo gli
esperti, l’arma più efficace resta la prevenzione.
L’allarme per i cambiamenti climatici è condivisa dal
settimanale Repubblica Salute che, nel numero del 1 maggio 2008, riporta un puntuale servizio di Maria Paola Salmi sulla diffusione delle parassitosi nei paesi industrializzati per effetto dei cambiamenti climatici.
Secondo il parere di una ricercatrice del Dipartimento
malattie infettive dell’Università Federico II di Napoli, «il
cambiamento climatico globale dovuto all’aumento dell’anidride carbonica (CO2) impatta in maniera critica sui parassiti, zecche, pulci, vermi e sui vettori, zanzare e moschini, che li trasmettono».
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Di conseguenza, molte vecchie parassitosi hanno acquistato maggiore aggressività sia per gli uomini che per gli
animali. Viene citata, in particolare, la leishmaniosi dei
cani che ha invaso tutta l’Europa.
Così come la babesiosi in Germania, l’ehrlichiosi monocitica canina nell’Europa meridionale.
L’Italia, per la sua particolare posizione e per le ondate
di calore che l’hanno investita, è diventata un vero laboratorio con una moltiplicazione di parassiti. G. Cingoli, ordinario di parassitologia alla Federico II di Napoli, stima che
siano presenti sul territorio nazionale circa 40 specie di
zecche, oltre 20 di pulci.
La zoonosi emergente sembra essere la filariosi, malattia provocata dai vermi della dirofilaria le cui larve vengono inoculate con la puntura di zanzare infette a cani, gatti
e uomini. Fra queste la zanzara tigre, recente acquisizione
del nostro paese, che ha modificato l’epidemiologia della
malattia.
La prevenzione è la migliore difesa in quanto la malattia, oltre a provocare danni gravissimi al cuore, ai polmoni, alle arterie di cani e gatti, provoca nell’uomo infezioni
cutanee e oculari.
Non esiste ancora un vaccino per la malattia e il consiglio che viene dato è quello di somministrare agli animali
meno medicinali, ma avere più igiene. E frequentare più
assiduamente i veterinari perché si realizzi una protezione globale uomini-animali.
In definitiva, le principali malattie condivise sono in
primo luogo le leishmaniosi. Riguardano varie forme di
malattie che colpiscono la pelle, le membrane mucose e gli
organi interni; malattie provocate da parassiti trasmessi
agli uomini dalla puntura di minuscole mosche, i pappataci. Serbatoi di questi parassiti del genere Leishmania sono
cani e roditori da cui i pappataci li assumono trasferendoli
all’uomo con le loro punture.
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La forma più grave è rappresentata dal kala-azar che si
manifesta con febbre elevata, indurimento della milza,
anemia, scurimento della pelle. Può manifestarsi anche
dopo due anni dall’infezione iniziale.
Le forme cutanee di leishmaniosi si manifestano con
un’ulcera nella sede del morso che persiste. Quando guarisce, lascia una cicatrice antiestetica.
Per la diagnosi di kala-azar ci si serve di una biopsia del
midollo osseo, mentre nelle forme cutanee il parassita è
ricercato in strisce di cute scura prelevata dal bordo
dell’ulcera.
Un parassita dello stesso genere, la leishmania tropica,
che ha come vettore fra l’uomo e l’animale un moscerino
notturno, il flebotomo, provoca sulle parti cutanee scoperte papule arrossate da cui deriva un’ulcera. Nella nostra
regione è stata frequente questa persistente lesione chiamata bottone d’oriente.
Il numero delle persone affette nel mondo dalle leishmaniosi sembra aggirarsi sui 12 milioni.
Una maggiore pericolosità è rappresentata dalla rabbia.
Si tratta di un’infezione virale che il cane può soffrire per
morsi da altri cani, da animali selvatici, da pipistrelli, da
roditori.
In atto si descrivono due forme di rabbia, una infezione
causata da un virus, il Rhabdoviridae: quella urbana, trasmessa da cani e gatti non immunizzati, e quella silvestre
propagata da volpi, faine, lupi.
Il virus, trasmesso con il morso, ma anche con la saliva
da leccate su parti di cute ferita, si trasmette lungo i nervi
sensitivi, arriva al sistema nervoso centrale provocando la
morte del soggetto colpito. Non esiste ancora una cura
specifica.
I cani, infine, possono essere affetti da infezioni assai
comuni, come quelle da salmonella, che possono essere
trasmesse all’uomo.
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Recentemente, un quotidiano nazionale (la Repubblica,
22 aprile 2008) ha dedicato un’intera pagina ad una corrispondenza proveniente dall’Inghilterra.
Dove il dottor Fred Landeg, da poco dimesso dal prestigioso incarico di Chief Veterinary Officer del Governo inglese ha messo in guardia i suoi concittadini (almeno 6
milioni e mezzo di famiglie) della pericolosità di una eccessiva vita in comune con i cani, proprio per il rischio di
avere trasmessa una malattia dai propri beneamati animali domestici.
La raccomandazione è sostenuta dai risultati di alcune
ricerche, a campione, secondo le quali, almeno nei comuni
rurali inglesi, il 20% dei cani di affezione dorme in camera
da letto con i proprietari, il 14% dorme proprio sul letto
del padrone.
Da una ricerca della Liverpool University, pubblicata
dal Veterinary Record, risulta che il 42% dei cani dorme in
cucina, il 79% mangia in cucina, il 24% viene lasciato in
cucina quando i padrone sono assenti.
Da questo, la necessità che siano rispettate alcune semplici regole di igiene per prevenire i pericoli di una stretta
convivenza domestica; regole di prevenzione che, condivise da Carlo Scotti, presidente dell’Anmvi, possono essere
riassunte nelle seguenti:
- lavarsi le mani dopo aver toccato l’animale;
- fare attenzione a ciò che mangia e a ciò che beve evitando che beva acqua della toilette e mangi nella ciotola di altri animali;
- non toccarlo quando ha la diarrea se non per portarlo dal veterinario;
- non portare a casa un animale ammalato;
- non toccare mai le sue feci;
- indossare i guanti quando si cambia la sabbia della
lettiera;
- non lasciare che lecchino la bocca di soggetti umani.
64
La nostra speranza è che, per quanto non si possano
evitare convivenze uomini-animali, spesso utili per entrambi i soggetti, non si dimentichi la necessità che con gli
animali si adottino le stesse cautele che, in genere, abbiamo per la convivenza con i nostri simili.
65
7. L’abbandono degli animali
e il randagismo
Da quando i cani sono diventati i migliori amici dell’uomo mai hanno avuto il peso che in atto esercitano, certo
senza volerlo, sulla società degli uomini. Soprattutto nei
paesi a sviluppo avanzato nei quali cani da salotto, cani da
guardia, cani guida ai non vedenti, cani di compagnia, pet,
cani randagi rappresentano una popolazione eccezionalmente numerosa. Secondo dati Eurispes (dicembre 2005),
22 milioni di italiani, il 35% di tutta la popolazione nazionale, possedevano un cane o un gatto. Fra questi, gli animali
di compagnia erano rappresentati da 6,9 milioni di cani e da
7,4 milioni di gatti. Un complesso di 14,3 milioni di animali
conviventi con gli umani e diretti protagonisti di consumi
alimentari, igienici, veterinari di difficile computo, animali
le cui deiezioni quotidiane, se mediamente calcolate, avrebbero dovuto ammontare a 1400 tonnellate per i cani e a 148
tonnellate per i gatti. La spesa annua per il loro mantenimento è stata stimata (anno 2003) dagli Animalisti ItalianiPeTa pari a 3,7 miliardi di euro, con una media annua di 700
all’anno per ogni cane e di 200 euro per ogni gatto.
Da questa massa di animali, ma anche da altri che si
riproducono liberamente nelle campagne e nelle città, è
derivato un randagismo che comprendeva 816.610 cani e
1.290.692 gatti nel 2001, secondo dati del Ministero della
Sanità. Di essi l’80% è destinato a morire di fame, di sete,
in incidenti stradali, e, per quanto riguarda i cani, nei combattimenti clandestini. Il restante 20% è candidato ad una
vita di stenti e maltrattamenti in strada, nei canili e nei
67
gattili. Ai randagi vaganti per le nostre strade sono attribuiti almeno 4000 incidenti l’anno con 400 persone ferite e
20 morte. Secondo uno studio della Eidos le regioni con il
più alto numero di randagi sono l’Emilia Romagna con 102
mila, la Campania con 90 mila, la Calabria con 80.500, la
Sicilia con 40 mila, il Lazio con 38.690.
I dati ufficiali sono però distanti da queste cifre: quelli
riguardanti gli anni 2005 e 2006 e resi pubblici nel 2007 dal
Ministero della Salute sono riassunti nella seguente tabella:
Cani di proprietà, cani randagi ospitati nei canili
e numero presunto dei randagi
cani di
proprietà
randagi
nei canili
canili
sanitari
canili
rifugio
n. presunto
randagi
Piemonte 964.918
Valle d’A.
21.200
Lombardia 413.956
Bolzano
35.000
Trento
34.641
Veneto
455.450
Friuli V.G. 142.008
241.075
Liguria
Emilia R. 566.183
357.447
Toscana
330.460
Umbria
202.022
Marche
377.159
Lazio
115.000
Abruzzo
38.631
Molise
Campania 223.415
142.184
Puglia
22.400
Basilicata
190.000
Calabria
246.000
Sicilia
Sardegna 230.000
5.349.150
Totale
7.500
180
2.654
150
116
2.789
1.787
3.218
8.804
4.870
2.809
5.878
11.263
3.511
2.613
81.253
61.671
3.688
10.377
9.563
4.750
229.444
54
1
30
1
2
15
7
3
65
30
27
33
24
6
68
1
77
1
3
11
13
31
9.548
147
8.575
0
0
17.645
0
3.841
7.994
2.321
23.000
n.d.
41.782
22.500
14.300
69.070
63.145
10.400
77.000
68.000
22.000
461.068
Regione
Tab. n. 1 - Ministero dalla Salute
68
104
61
9
15
11
6
501
30
24
14
9
64
8
21
34
19
428
Anno
2006
2006
2005
2006
2006
2006
2006
2006
2006
2006
2006
2006
2006
2006
2006
2006
2005
2005
2005
2006
2005
A discutere su questi dati vi sono molte riflessioni da
fare: i cani di proprietà sembra non abbiano rapporti costanti con la popolazione umana.
Così come non li hanno i dati riguardanti il numero dei
canili esistenti e il numero dei randagi. Dati certamente
legati alla diversa organizzazione dei servizi regionali e al
senso di responsabilità della popolazione.
Rapporto popolazione italiana (2006) e cani di proprietà,
numero presunto dei randagi e dei cani ospitati nei canili sanitari e rifugio
Regione
Piemonte
Valle d’A.
Lombardia
Bolzano
Trento
A. A.
Veneto
Friuli V.G.
Liguria
Emilia R.
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale
Popolazione Cani proprietà Cani randagi Canili sanitari Canili rifugio
(anno 2006)
x 1000 ab.
x 1000 ab.
x 1000 ab.
x 1000 ab.
4.352.828
128.812
9.545.441
221
164
43
2,19
1,14
0,89
994.703
70
0
4.773.554
1.212.602
1.607.878
4.223.264
3.638.211
872.967
1.536.098
5.493.308
1.309.797
320.074
5.790.187
4.069.869
591.338
1.998.052
5.016.861
1.659.443
59.131.287
95
117
150
134
98
378
131
69
88
121
39
35
38
95
49
139
90,5
3,7
0
2,38
1,89
0,6
26,3
n. d.
7,6
17,2
45
12
15,5
17,6
38,5
13,5
13,2
7,8
0,12
0,01
0,003
0,008
Non
calcolabile
0,003
0,005
0,001
0,01
0,007
0,03
0,02
0,004
0,004
0
0,02
0,01
0,01
0,007
0,002
0,004
0,008
Non
calcolabile
0,002
0,01
0,02
0
0,008
0
0,01
0
0,01
0,03
0
0,01
0,01
0,01
0,006
0,01
0,007
Tab. n. 2 - Nostra elaborazione su dati Istat e Ministero della Salute.
69
Cani randagi ospitati nei canili e liberi (2005-2006)
Regione
Piemonte
Valle d’A.
Lombardia
Bolzano
Trento
Veneto
Friuli V.G.
Liguria
Emilia R.
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale
Cani randagi Cani sanitari Media cani
ospitati n. + c. Rifugio n. per canile n.
7.500
180
2.654
150
116
2.789
1.787
3.218
8.804
4.870
2.809
5.878
11.263
3.511
2.613
81.253
61.671
3.688
10.377
9.563
4.750
229.444
122
2
107
2
5
26
20
34
65
57
27
57
24
20
9
104
125
17
36
45
25
929
62
90
25
75
23
107
87
95
135
85
104
103
469
176
290
781
493
217
288
213
190
247
Randagi ospitati Randagi ospitati
+ r. liberi - n.
sul totale - %
17.048
327
11.229
150
116
20.434
1.787
7.059
16.798
7.191
25.809
non determ.
53.045
26.011
16.913
150.323
124.816
14.088
87.377
77.563
26.750
690.512
43,9
55,0
23,6
100,0
100,0
13,6
100,0
45,6
52,4
67,7
10,9
21,2
13,5
15,4
54,0
49,4
26,2
11,9
12,3
17,7
33,2
Tab. n. 3 - Nostra elaborazione su dati Ministero della Salute.
Un commento di questi dati è difficile: in alcune regioni
sembra che il numero dei randagi sia proporzionato al
numero dei cani in proprietà (vedi l’Umbria e il Molise, ad
esempio).
Questo potrebbe giustificare una alimentazione del
randagismo da parte di un maggior numero di proprietari
che abbandonano le loro bestie. Non sempre, però, è così e
gli esempi migliori sono offerti dal Piemonte e dalla Valle
d’Aosta. Nemmeno l’esiguità dei servizi (media italiana: 8
70
canili sanitari e 7 canili rifugio per 100 mila abitanti), molti
dei quali si allineano con i dati nazionali, rendono conto
della variazione del fenomeno nel paese e nelle singole
regioni.
Certamente, quasi 8 cani randagi per mille abitanti rappresentano una realtà tanto più grave in quanto esistono
paesi europei nei quali il randagismo è sconosciuto.
Così come sono troppi i 26 cani randagi per mille abitanti nell’Umbria, i 17 in Abruzzo, i 45 nel Molise, i 38 in
Calabria.
È probabile che nel determinismo del fenomeno giochino un ruolo importante i comportamenti individuali e sociali che conducono a non incrementare il mercato e a non
abbandonare i propri animali.
Altri dati di forte criticità, ammesso che le cifre fornite
dalle Regioni al Ministero siano esatte, sono quelli che si
riferiscono all’esistenza di canili nelle singole regioni. Così
come meraviglia la ipotetica loro capacità ospitante poiché si va da canili, come quelli della Campania, capaci di
ospitare 781 cani, a quelli della Puglia con 493 cani per
struttura, a quelli del Lazio con 409 cani. Sempre che le
cifre siano esatte, la media nazionale con 247 cani per
struttura non depone per servizi «umani», per servizi a
misura di «cane».
Vi è certamente la necessità di un modello unico per
tutto il paese con cifre di affollamento che non dovrebbero
essere superate.
Il dato, se corretto, ci rende anche conto della mortalità
fra i cani ricoverati poiché, al di là di certe dimensioni,
problemi come quelli di una sufficiente e corretta alimentazione, del controllo della conflittualità fra gli animali,
del rispetto di norme igieniche aggravate dal sovraffollamento, sono difficili da controllare.
Infine, di fronte a Regioni che ospitano il cento per cento dei loro randagi, meravigliano i dati di alcune altre Re-
71
gioni nelle quali appena il 13 o 15 per cento dei ricoveri
rappresentano la regola.
Nella regione siciliana il problema del randagismo non
sembri secondario. Un fatto positivo è stato rappresentato
nel 2007 dalla pubblicazione del regolamento esecutivo
della legge che ha istituito fin dal lontano 2000 l’anagrafe
canina in Sicilia. Esso avrebbe dovuto vedere la luce centottanta giorni dalla pubblicazione della legge permettendo alle Asl entro un anno di attivarsi. Il notevole ritardo
autorizza il timore che, negli anni, il problema di come
lottare il randagismo canino sia poco maturato nella coscienza di molti pubblici amministratori, sanitari o meno.
Infatti, non è con quello che è stato detto, e sostenuto
da qualche associazione animalista, che si risolve il problema, ad esempio, nella città di Palermo.
L’approntamento di 43 nuove gabbie nell’area dell’ex
mattatoio non diminuirà le morsicature dei randagi che,
per ammissione dello stesso servizio, sono aumentate del
30% fra il 2005 e il 2006.
Certo, gli animali staranno più comodi ma lo staranno
per poco tempo in quanto la popolazione canina da «rastrellare» in città farà velocemente aumentare le presenze
in quelle gabbie e la condizioni inevitabile di lager in cui
sono tenuti gli animali.
Ne sanno qualcosa gli abitanti delle nuove zone di
espansione del corso dei Mille, da via Bennici a via dei
Picciotti, da via Saitta al moderno hotel S. Paolo, tenuti
svegli dalla canea di centinaia di animali ristretti nei locali
dell’ex mattatoio e di via Tirassegno e che riempie gran
parte delle loro notti.
Il nuovo canile, infatti, è nato senza alcun rispetto del
Decreto del Presidente della Regione (gennaio 2007) che,
al capitolo I impone che la scelta del luogo ove insiste la
struttura per il ricovero e la custodia dei cani e dei gatti sia
tale da mitigare i fattori microclimatici, sia collocata ad
72
almeno 500 metri da nuclei abitati o a distanze previste dai
regolamenti comunali, abbia un perimetro dotato di idoneo sviluppo di alberatura sempre verde con scarso rinnovamento vegetativo e struttura compatta, per svolgere
opportunamente funzioni fonoassorbenti e frangivento.
Tutte cose inesistenti in via Tirassegno e nell’ex mattatoio di via Macello, al corso dei Mille.
Da quella inaugurazione certo i cittadini palermitani
avranno sofferto in maggiore misura i problemi paventati
dagli entomologi: uno sviluppo eccessivo degli insetti tipici dei mesi estivi. Talchè, hanno messo in guardia anche i
proprietari di animali d’affezione.
Si saranno avuti forse più pulci, più zecche ma anche
più zanzare e pappataci: vettori quest’ultimi della leishmaniosi, una malattia che può essere trasmessa dai cani
agli uomini. Per questi insetti, che spesso non hanno un
grande raggio d’azione, i modi di difendersi sono, oltre
alla disinfezione costante dei canili, la distanza di questi
dagli agglomerati umani.
Nell’ultima campagna amministrativa della città abbiamo avuto anche animalisti che hanno dichiarato di volersi
battere per canili a norma di legge e, addirittura, per una
mutua degli animali.
La speranza è che si battano, anche al di fuori delle campagne elettorali, per una divisione equa degli spazi vitali
fra umani e animali, che convincano molti loro concittadini a non abbandonare sulla strada animali che li «divertono» finchè sono cuccioli e finchè non arriva il momento di
andare in vacanza; che facciano funzionare la pubblica
amministrazione perché siano attuate tutte le misure, che
non riguardano solo i canili, atte a sgombrare le strade e i
nostri ospedali da branchi di cani affamati e aggressivi.
Un recente servizio sul quotidiano «Giornale di Sicilia
del 7 maggio 2008», forse nel tentativo di darci conforto,
ha riferito una serie di notizie contrastanti: sono aumen-
73
tati gli ingressi di cani nei canili municipali, almeno a Palermo (468 nei primi cinque mesi del 2008, contro i 178
dell’anno precedente), sono diminuiti del 20% le morsicature canine, dopo otto mesi di stop sono ripartite le sterilizzazioni, ha ripreso a funzionare il servizio degli accalappiacani sospeso alla fine del 2007, sono aumentati gli abbandoni delle cucciolate (sette nell’ultimo mese).
Numeri positivi, ma che non migliorano molto la realtà
siciliana (per la quale, tuttavia, non abbiamo notizie recenti come quelli di Palermo e provincia). Realtà che, come abbiamo scritto più avanti, secondo dati del Ministero
della Salute, fra il 2005 e il 2006, era connotata dalle seguenti cifre: 9.563 cani ricoverati nei canili siciliani, 68.000
liberi, randagi.
Una buona notizia, data dal Dr. Iacolino, Direttore Generale dell’Ausl 6 di Palermo, ci sembra l’organizzazione
di un corso per «cinieri», ovvero infermieri cinofili, della
durata di ottanta ore, tenuto da veterinari e avente lo scopo di specializzare all’interno del corpo della polizia municipale un nucleo di operatori in grado di soccorrere animali infortunati e malati, riconoscere la pericolosità di
alcuni di essi, attuare con maggiore efficacia la lotta al randagismo in collaborazione con il servizio veterinario
dell’Azienda sanitaria locale.
È evidente, tuttavia, la scarsa presenza delle amministrazioni locali.
Anche se non manca nel settore la presenza dello Stato.
Per la prevenzione del randagismo il Ministero della Salute ha distribuito a Regioni e Province autonome una somma pari a 3.998.000 euro. La Finanziaria del 2008 ha previsto una progressione di fondi per lo stesso scopo di
4.872.000 euro per il 2008, 4.945.000 euro per il 2009,
4.901.000 euro per il 2010. Nella Finanziaria citata viene
sancito l’obbligo «per i Comuni, singoli o associati, e le
Comunità montane di gestire canili e gattili sanitari diret-
74
tamente o tramite convenzioni con le associazioni animaliste e zoofile o con soggetti privati che garantiscano la
presenza nella struttura di volontari delle associazioni
animaliste e zoofile preposte alla gestione delle adozioni e
degli affidamenti dei cani e dei gatti».
La cultura contadina, anteriore allo sviluppo medico
attuale e alle trasformazioni socio-demografiche del mondo moderno, non permetteva di valutare la pericolosità
sanitaria della convivenza. Ma sapeva valutare il peso e il
vantaggio che essa poteva dargli sul piano economico.
Con gli animali da cortile e da lavoro, consumatori di
granaglie e di erba, il peso della loro alimentazione poteva
essere misurato e paragonato ai vantaggi. Con i cani, la cui
convivenza dovette essere apprezzata nel mondo occidentale per i servizi di guardiania e di reperimento di selvaggina, la concorrenza per il cibo dovette farsi sentire fin
dall’inizio, in quanto abbastanza rapidamente essi divennero onnivori e come tali consumatori di tutto quanto la
comunità umana trovava per la propria alimentazione.
Tranne in quei paesi dove gli umani cominciarono a
considerare i cani alla stregua degli altri animali fornitori
di carne, alla stregua degli animali da cortile che hanno
rappresentato per secoli la prima fonte di proteine
nell’alimentazione dell’uomo.
Il randagismo, in tali contesti, era rappresentato da piccole bande di cani inselvatichiti viventi ai margini delle
comunità dell’uomo.
Le società occidentali hanno una lunga tradizione di
convivenza con i cani e la loro utilità è stata misurata sul
piano dei servizi che potevano essere ottenuti da essi: protezione degli uomini e degli armenti da altri uomini o animali feroci, governo delle mandrie, reperimento di tutto
ciò che poteva lasciare una traccia odorosa, animale o fungo che fosse.
Da qui allevamenti e incroci che hanno condotto ad una
75
grande varietà di razze canine, ognuna con una propria
specializzazione. Forse nessun altro animale ha subito con
tanta intensità da parte dell’uomo azioni atte a selezionare
razze adatte ai diversi scopi per i quali la società degli umani li ha utilizzati.
Le razze canine oggi sono centinaia e la differenza fra
esse è notevole: si va dai cani che non superano il peso di
2,5/3 chili a quelli che superano i 60 chili.
Ci sono cani, come i bassotti, che hanno gambe cortissime per meglio cacciare nel sottobosco e cani, come i levrieri, con gambe lunghissime per potere inseguire le predi veloci. Ci sono cani per la guardiania e per la lotta, come
i mastini, e cani con un fiuto particolare per la ricerca di
selvaggina e di tartufi.
Ma gli uomini hanno governato questa convivenza con
misura: fino a qualche decennio fa, solo i grandi signori si
permettevano mute di cani per cacce speciali o per popolare i loro grandi parchi.
Nelle famiglie contadine, fino ai nostri giorni, si è allevato un numero di bestie estremamente esiguo per la
guardiania e la conduzione delle greggi; fra artigiani e
borghesi qualche cane era presente solo se il capofamiglia
era appassionato alla caccia o alla raccolta dei tartufi, ad
esempio.
Si sono preferiti gli esemplari di sesso maschile e le figliolate delle cagne, con l’eccezione di qualche esemplare
richiesto da vicini e parenti, sono state soppresse tirandole contro il muro di un cimitero, ad esempio, o contro il
rudere di una vecchia e diruta casa di campagna.
In un suo articolo (settembre 2000), pubblicato su Internet (www.nautilaus.com), Giuseppe Davini ricorda l’art.
672 del CP del 1930 che sanziona penalmente l’omessa
custodia e il malgoverno di animali. Ma ricorda anche
l’art. 85 del Regolamento di Polizia Veterinaria del 1954
secondo il quale «i cani catturati perché trovati vaganti
76
senza la prescritta museruola devono essere sequestrati
nei canili comunali per il periodo di 3 giorni. Trascorsi i 3
giorni senza che i legittimi possessori li abbiano reclamati
e ritirati, i cani sequestrati devono essere uccisi con metodi eutanasici ovvero concessi ad istituti scientifici o ceduti
a privati che ne facciano richiesta».
La disposizione riguardante la soppressione delle bestie catturate e non reclamate è stata limitata dalla legge
quadro in materia di animali d’affezione e prevenzione del
randagismo (L. 14 agosto 1991, n. 281): «I cani catturati...
possono essere soppressi …ad opera di medici veterinari,
soltanto se gravemente malati, incurabili o di comprovata
pericolosità».
Secondo Giuseppe Sedda, veterinario dell’Asl di Cagliari (Randagismo a Quartu S. Elena, 2006), la popolazione canina, sia padronale che vagante, solo negli ultimi decenni ha subito una vera esplosione demografica in seguito a fattori come il miglioramento delle condizioni economiche delle nostre popolazioni e la maggiore disponibilità
di cibo.
Da aggiungere fattori di non secondaria importanza,
quali il rinnovamento del patrimonio edilizio che ha permesso una coabitazione uomini/animali, anche senza una
specifica necessità, la urbanizzazione di notevoli aliquote
di popolazioni rurali abituate ad un qualche cane (che nei
borghi però dormiva davanti la porta di casa), il bisogno di
rapporti affettivi notevolmente penalizzati dalla coabitazione in condominio.
In una realtà mutata, quindi, da un lato la famiglia che
cresceva con figli desiderosi di un animale quasi giocattolo, dall’altro l’invecchiamento che accentuava la solitudine di uomini e donne abituati alla vita corale della strada
paesana.
Dal Forum Terzo settore (www.forumterzosettore.it) e
dalla Lega Anti Vivisezione, che ha lanciato una campa-
77
gna di sensibilizzazione contro gli abbandoni di animali il
1 maggio 2007, abbiamo appreso che gli abbandoni si verificano tutto l’anno con punte di oltre il 30% nel periodo di
apertura della stagione venatoria, ad opera dei cacciatori,
e del 25% in estate per un totale di circa 150 mila cani ogni
anno. Di essi oltre il 70% muore nel primo anno di vagabondaggio.
Secondo Gianluca Felicetti, presidente della LAV, «il
fenomeno degli abbandoni alimenta peraltro un enorme
affare intorno alla gestione di molti canili privati che hanno costruito la loro fortuna grazie a convenzioni milionarie con le amministrazioni comunali che si dimenticano
della sorte degli animali accatastati in vere e proprie discariche a quattro zampe».
Tale giro di affari è stato stimato dalla LAV in circa 500
milioni di euro all’anno, una cifra che spesso non corrisponde a strutture adeguate e a un corretto mantenimento degli animali.
Secondo un’indagine svolta da Zoomark solo un italiano su tre porta il proprio animale in ferie, il 25% lo lascia a
casa, affidandolo a conoscenti o cat e dog sitter, il 21% lo
trasferisce in casa di parenti e amici, il 18% rinuncia del
tutto alle vacanze, mentre il 2% lo affida a pensioni per
animali.
Ne deduciamo che, secondo questa stima, solo del 4%
non si sa nulla ed essa potrebbe rappresentare la quota
degli abbandoni, circa 276 mila cani ogni anno sui 6,9 milioni presenti nella famiglie italiane.
Su queste cifre, tuttavia, non c’è un accordo. Secondo
quanto riporta Forum Terzo Settore del 1 maggio 2007,
desumendo i dati da diverse fonti, la situazione certificata
dal Ministero della Salute dovrebbe essere la seguente:
esistono in Italia 990 fra canili e rifugi, 640 mila cani randagi di cui un terzo o un quarto nei canili, quindi tra i 160
mila e i 213 mila.
78
Secondo la Lav, invece, i cani vaganti in Italia sarebbero almeno un milione e 550 mila quelli nei canili. In ogni
caso, si tratta di cifre notevoli, credibili per il gran numero
di fonti dalle quale provengono gli animali di affezione.
Tanto che alcune Associazioni, come l’Ente Nazionale
Protezioni Animali ha manifestato la sua contrarietà (comunicato del 6 nov. 2007) all’acquisto di animali dagli allevamenti perché tali allevamenti contribuiscono fortemente a far peggiorare il problema del randagismo; ogni animale in più comprato in allevamento è un randagio in meno adottato, e ogni randagio in meno adottato è un cane in
più che muore di stenti, malattie e tristezza.
Solo quando non esisteranno più cani randagi e abbandonati si potrà, forse, iniziare a pensare di farne nascere
appositamente.
Diversa la situazione illustrata da alcuni dati di una
ricerca della OIPA Sicilia. Alla richiesta «da dove viene il
tuo cane» le risposte sono state: comprato, 12%; regalato,
10%; trovato,70%; non ho animali, 6%.
V’è motivo di ritenere non molto esatta la ricerca, anche se uno dei più frequenti modi di avere un cane è rappresentato dal ritrovamento sulla strada, nei cassonetti
dell’immondizia, nelle aiuole di giardini pubblici, etc.
Fra le proposte per contrastare il fenomeno dell’abbandono, appena finita la «luna di miele» padrone-cane, vi è
quella di una tassazione che scoraggi quanti non hanno un
vero interesse, o una necessità, ad avere un animale di
affezione.
Fra le prime proposte, quella di una tassa comunale
avanzata dalla Regione Sardegna e che ha già provocato
qualche obiezione. Sarebbero esentati i cani da pastore,
mentre i cani da guardia, se non sterilizzati, sarebbero
soggetti all’imposta di circa 20 euro. Cominciaitalia.net
2008 osserva che sarebbero protetti dalla tassa i cani ma
non le tasche dei sardi.
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Interessanti le proposte avanzate all’inaugurazione
della campagna di sensibilizzazione e riguardanti l’aumento delle quote di detrazione delle spese veterinarie
(totale, nel caso di adozione di un randagio), riduzione del
10% sull’Iva di spese per alimenti e cure veterinarie, un
servizio sanitario mutualistico per gli animali di affezione,
sostegni e incentivi nell’utilizzo di strutture turistiche,
inclusione dell’anagrafe canina, felina ed equina nel certificato di «stato di famiglia» utilizzata da una banca dati
nazionale sugli animali domestici.
7.1. Il randagismo, l’Europa e la soppressione
dei randagi
Per quanto l’Unione Europea abbia una Convenzione firmata a Strasburgo il 13 novembre 1987 per la protezione degli animali randagi e di affezione, la situazione all’interno
dell’Unione continua ad essere abbastanza variegata.
Il Consiglio dell’UE avrebbe dovuto riunirsi ogni cinque
anni per il rinnovo di tale convenzione. Ciò non è avvenuto
e le associazioni animaliste pressano per una maggiore attenzione sull’argomento e chiedono una Convenzione che
commini pene severe per gli abbandoni e i maltrattamenti,
identifichi gli animali attraverso microchip leggibili in tutta
l’Unione, organizzi e finanzi un piano di cattura, di sterilizzazione e vaccinazione per tutti i cani randagi presenti nei
territori europei, finanzi la costruzione di rifugi confortevoli
a dirigere i quali devono essere indicati operatori adeguatamente preparati.
Purtroppo la situazione, ancora oggi, sembra essere la
seguente: secondo notizie riportate dalle Associazioni di
protezione degli animali non esiste il randagismo in Gran
Bretagna, in Germania, in Danimarca, in Francia.
Nel resto dell’Europa il randagismo è presente in Italia,
in Grecia, Irlanda, Serbia, Romania, Bulgaria. Non si han-
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no dati relativi alla Spagna, all’Ungheria, alla Polonia, al
Portogallo.
L’OIPA Italia, un’Associazione di animalisti, in un articolo diffuso su Internet nel gennaio 2007, riferisce che in
Grecia, per quanto esista una legge che punisce chiunque
uccida, maltratti o abbandoni gli animali, il randagismo è
così presente da indurre buona parte della popolazione
alla eliminazione di cani e gatti attraverso avvelenamento
con bocconi avvelenati da stricnina, topicidi, insetticidi,
diserbanti.
Esistono pochi canili e in essi la morte delle bestie è
frequentissima, specie fra i più deboli e i cuccioli.
Secondo i radicali di Milano e l’associazione Save the
dogs (settembre, 2007), la Romania conosce il fenomeno
del randagismo e la lotta contro di esso è fatta soprattutto
con l’eliminazione delle bestie: a Bucarest, negli ultimi
quattro anni sono stati uccisi 200 mila cani con una spesa
pari ad un milione e mezzo di euro l’anno. La Bulgaria è al
secondo posto in Europa per il numero di cani soppressi,
30 mila ogni anno.
In Irlanda viene soppresso l’85% dei cani catturati, annualmente circa 23 mila. Nella sola Belgrado si stima che
ogni anno siano 7-8 mila i cani e i gatti randagi soppressi
tramite l’iniezione di T-61, una sostanza che agisce sul cuore e sui polmoni, causando una morte lenta e atroce per
soffocamento.
Nemmeno l’Italia è immune da queste pratiche e sono
frequenti, come abbiamo visto, le denunzie sulla stampa
di avvelenamenti anonimi di cani e gatti nell’ambito di
quartieri particolarmente affollati da randagi.
Per alcune di queste nazioni, recentemente entrate a
far parte dell’UE, è evidente la necessità di un loro allineamento alla normativa europea, se vorranno far parte a
pieno titolo dell’Unione.
Fra i paesi presso i quali è più evidente l’influenza euro-
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pea, da segnalare il caso dell’Egitto, paese nel quale il Ministero dell’Agricoltura (maggio, 2007) ha organizzato una
campagna informativa verso la popolazione nella quale è
ampiamente documentata la soppressione dei randagi
sparando o somministrando loro bocconi avvelenati.
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8. L’educazione sanitaria,
una misura contro il randagismo
e le sue conseguenze
A quanti hanno cercato di capire quali origini abbia il
randagismo, nelle forme attuali da noi conosciute, è apparsa evidente la complessità del problema che ha radici
sia nella lunga consuetudine delle nostre popolazioni alla
convivenza con animali, che sono appunto definiti «di affezione», e nei sentimenti di tenerezza soprattutto verso i
cuccioli, sia nell’istinto a possedere altri esseri viventi,
tipico del genere umano.
Su queste radici si sono innestate nelle società affluenti
la facilità nel reperimento del cibo, anche per le bestie di
casa, ma si sono innestate anche la mobilità che caratterizza le popolazioni dei paesi sviluppati per motivi di studio,
di lavoro, di divertimento, la necessità tutta moderna che
«ogni bel gioco duri poco».
Prendersi un animale in casa, se non vi sono indicazioni
come quelle della guardiania, del pet, della guida per i ciechi, etc., significa un impegno per anni, se non per qualche decennio. Questo ha significato la crescita di una realtà economica e di servizi, dai negozi di tolettatura a quelli
di indumenti per animali, di cucce, etc., agli ambulatori
cittadini per animali di piccola taglia.
Un giro economico non indifferente.
Che ha significato, inoltre, il frequente abbandono dell’animale per la mobilità temporanea o definitiva del suo
padrone, per la fine di una «luna di miele» che ha messo in
risalto gli inconvenienti più che il piacere di possedere un
animale.
83
È stato naturale che all’abbandono sia prevalso, negli
animali sopravvissuti alla fame, al freddo, agli incidenti
stradali, l’istinto a ricercarsi un branco e in esso a riprodursi.
C’è in questi comportamenti umani una carenza culturale, come hanno osservato alcuni studiosi dell’argomento, c’è una incapacità a programmare la propria vita tenendo conto di un altro essere vivente al quale ci si associa, c’è una ignoranza verso le patologie che possono scaturire da una convivenza, c’è scarso senso civico e scarsa
«umanità» nel momento in cui, unilateralmente, si decide
di interrompere il sodalizio.
Tutti elementi per giustificare programmi di educazione civica e di educazione alla salute che dovrebbero essere
in cima ai pensieri dell’amministrazione sanitaria e a quelli delle associazioni di animalisti.
Fra i programmi di educazione sanitaria il più recente è
quello per i punkabbestia, quei giovani girovaghi, randagi
possiamo dire, che si muovono e stazionano sulle nostre
piazze in compagnia di cani, spesso anche più di uno. Dalla Repubblica del 2 febbraio 2008 leggiamo:
Bologna, un patentino per i punkabbestia
- di Luigi Spezia.
I punkabbestia con il diploma. È l’ultima idea del sindaco
Sergio Cofferati per evitare che i cani dei giovani girovaghi
provochino incidenti, azzannino altri cani, mordano inermi
passanti. Pochi giorni fa è stato assalito anche un agente di
polizia e i suoi colleghi hanno reagito a pistolettate contro
un povero animale (non è morto) lanciato all’assalto dal
padrone, finito in carcere. Un nuovo fronte del sindaco che
ha già richiamato all’ordine immigrati abusivi, lavavetri,
occupanti di case, venditori di alcol fuori orario. Per i punkabbestia, basta con le multe dei vigili urbani, misura inefficace perché nessuno le paga, ma ecco un’ordinanza per
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frenare i pericoli per le strade del centro storico dove i punkabbestia girano con i loro compagni a quattro zampe senza
guinzaglio, troppo spesso causa di incidenti con i residenti.
Il programma prevede che chi non sta alle regole, chi crea
rischi per la popolazione perché non accudisce a dovere il
proprio cane, dovrà essere educato con lezioni ad hoc alla
fine delle quali verrà rilasciato un patentino. Pena in caso
di svogliatezza: il sequestro dell’animale da consegnare al
canile municipale (omissis).
È probabile che a questi giovani girovaghi non sarà sembrata disdicevole una notizia come quella comparsa su la
Repubblica dell’11 maggio 2008:
«Soldati Usa cremati insieme a cani e gatti. Imbarazzo al
Pentagono, il Ministro si scusa».
Sostanzialmente, 200 soldati americani caduti in Iraq e
in Afghanistan sono stati cremati negli Usa da una azienda specializzata nell’incenerimento di cani e gatti. Il Ministro della Difesa si è detto indignato e ha presentato «profonde scuse» ai familiari dei soldati.
Avere lo stesso destino, dopo morti, dei loro compagni
di randagismo in definitiva potrebbe sembrare una soluzione affettuosa, naturale.
A Palermo, un problema nel problema è rappresentato
da branchi di cani che hanno invaso il Policlinico e l’Ospedale Civico. Si sono lamentati pazienti e medici che si sono
trovati a respingere l’assalto di cani, soprattutto nelle ore
serali e notturne, quando frequentemente il trasferimento
veloce da un padiglione all’altro di queste aree ospedaliere attira i cani e li eccita contro medici, infermieri, familiari, pazienti.
La presa di posizione dell’Assessore regionale alla Sanità pro tempore, Roberto Lagalla, che ha avvertito personale e frequentatori delle aree ospedaliere perché si astenessero dal fornire cibo ai randagi, ha sollevato le proteste
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degli animalisti sulla inopportunità del comportamento,
sia perché non sarebbe stato giusto non nutrire i cani, sia
perché il loro allontanamento avrebbe richiamato altri
randagi dalla città: meglio acclimatare i cani già abituati a
frequentare le aree ospedaliere.
Come ha dichiarato Giovanni Guadagna, responsabile
della LAV siciliana il 2 marzo 2007 in un comunicato Internet:
Di fatto chi tra medici, infermieri, degenti e semplici volontari, provvede a dare da mangiare e da bere ai pochi cani
che vivono in prossimità degli ospedali… non solo li tiene
sotto osservazione anche sotto il profilo sanitario (si tratta
spesso di animali sterilizzati, vaccinati e con il trattamento
antiparassitario opportuno) ma mantiene un equilibrio tra
queste piccole colonie e i cani randagi liberi in città.
Non è chiaro chi, fra medici, infermieri e degenti, abbia
attuato il controllo di cui parla il comunicato della LAV.
Ammesso che ne fossero obbligati, magari per «umanità
canina» hanno omesso di darne formale informazione alle
Autorità competenti!
In ogni caso, anche se non è reato fornire cibo ad animali randagi o comunque in libertà (Circolare Consiglio di
Stato, Sez. III, 1997, sentenza 883), questo deve avvenire
nel rispetto delle norme igieniche. Cosa difficile da realizzarsi nell’area di un Policlinico a padiglioni separati in cui
residui di cibo e feci di cani contrassegnano i viali e possono essere causa di inquinamento ambientale e di facile
contaminazione di uomini e cose.
Tuttavia, la Lav ha dichiarato che avrebbe intrapreso le
azioni necessarie in sede giudiziaria appena la circolare
dell’Assessore fosse stata messa in atto.
L’Assessore alla Sanità, autore della dichiarazione o circolare per la quale ha protestato la LAV, intanto, il 12 gennaio 2007 aveva varato, dopo sette anni d’inerzia di chi lo
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aveva preceduto, il regolamento previsto dalla legge regionale del 3 luglio 2000, n. 15 e riguardante l’istituzione
dell’anagrafe canina e le norme per la tutela degli animali
d’affezione e prevenzione del randagismo.
Si tratta di un documento che avrebbe dovuto istituire
l’anagrafe canina entro sei mesi dalla legge regionale, e il
cui ritardo di elaborazione non solo ha costretto a rivedere,
in euro, le penalità che nella legge regionale erano state
previste in lire, ma anche ad un maggiore impegno per il
recupero dei danni provocati dalla mancata applicazione
del regolamento, certamente alla base dell’attuale situazione canina siciliana.
Che può essere ripresa con una rigida osservanza di
quanto considerato dal regolamento citato, la cui pubblicazione nella Gazzetta regionale del 6 aprile 2007 (D.P. 12 gennaio 2007, n. 7) è stata seguita dalle linee guida per il controllo del randagismo in Sicilia, bandi per la concessione di
contributi da destinare al risanamento e alla costituzione di
rifugi, attuazione dei piani di controllo delle nascite canine
(D.A. 13 dicembre 2007) pubblicate nella Gazzetta regionale
del 25 gennaio 2008.
Dal Decreto sul Regolamento sono da citare, tra l’altro,
l’individuazione, attraverso microchip sottocutaneo dei
cani iscritti all’anagrafe canina, e le procedure per la iscrizione all’anagrafe di cani ritenuti appartenenti a razze particolarmente pericolose (bulldog, dogo argentino, pit bull,
etc.), con foto dell’animale allegata alla scheda anagrafica.
Nel Decreto assessoriale sulle linee guida, non considerando le istruzioni complesse e minuziose a Comuni e Ausl
per una corretta prevenzione del randagismo e per l’approntamento di strutture adeguate alla custodia e alla sterilizzazione dei randagi, vi sono da citare: l’educazione
sanitaria diretta agli studenti per una corretta convivenza
con il proprio cane e per la prevenzione delle aggressioni;
la formazione del personale addetto che va motivato e in-
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centivato, la individuazione e delimitazione di aree urbane
da destinare all’attività motoria dei cani di affezione, provvedendo a periodici interventi di bonifica e disinfestazione
di esse; la stipula di assicurazione da parte dei Comuni per
eventuali danni causati a terzi da cani vaganti sprovvisti di
proprietario.
Indicazioni che sono alla base di una corretta politica di
prevenzione del randagismo, che si basi sulla informazione, l’educazione, e la protezione di municipalità e cittadini,
senza che siano trascurati i provvedimenti di carattere tecnico sulla organizzazione di una anagrafe canina, di regole
per la costruzione di canili modello, etc.
Naturalmente, al meglio non possono esserci limiti ed è
interessante citare un disegno di legge della regione Toscana nel quale, tra l’altro, verrà consentito ai cani, con i loro
padroni, l’accesso sui mezzi e nei luoghi pubblici, quali musei o teatri, e la possibilità che gli anziani ricoverati in case
di riposo possano avere accanto un cane.
D’altro canto, oltre ai ciechi, altre categorie di cittadini
disabili beneficiano della compagnia di un animale di affezione in un paese, come il nostro, nel quale la quota di cittadini che vivono soli cresce ogni giorno.
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9. Conclusioni
Sarà facile risolvere i problemi di cui abbiamo parlato?
C’è da dire, intanto, che le cifre che abbiamo citato, desumendole da documenti ufficiali, non sempre fotografano la
realtà poiché il numero dei cani registrati si mantiene ancora basso nel nostro paese e perché sul numero dei randagi si
procede con stime, che hanno il valore delle stime.
Così come non abbiamo stime dei procedimenti penali
intentati per risarcimento contro privati ma, nel caso di
randagi, contro Comuni ed Ausl.
È di questi mesi la notizia di un risarcimento di 931 euro
chiesto ed ottenuto, dopo sei anni, al Comune e all’Ausl di
Sciacca (Ag) da un cittadino morso da un randagio (Giornale di Sicilia, 13 aprile 2008).
Si tratta di richieste quantitativamente in crescita, sia
per il numero dei randagi di molte città siciliane, sia per la
possibilità di rivolgersi ad un giudice di pace, sia per un aumento della causidicità che ormai caratterizza il mondo
della sanità.
Bisogna fare un grosso lavoro di informazione ed educazione per le responsabilità civili e penali che oggi comporta
la proprietà di un animale in grado di procurare danni ad
altri animali e alle persone.
Bisogna ricordare come, ormai, per un cane che viene a
convivere in famiglia il tempo di convivenza da considerare
non è minore di un decennio.
Un periodo notevole durante il quale possono cambiare
tante situazioni per le quali, nel momento in cui avevamo
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deciso di prendere in casa un cucciolo, non avevamo potuto
adeguatamente riflettere.
La mobilità sul territorio degli attuali cittadini non è più
quella del nostro mondo contadino. Compresa quella stagionale che ci porta al mare, in montagna, in crociere nelle
quali avere un cane al seguito può essere tanto penalizzante da indurci all’abbandono.
Secondo le stime di alcune Associazioni, la morte da situazioni di randagismo, ma anche per ospitalità nei canili
lager, raggiunge, nell’anno di abbandono il 50-60% degli
animali.
Siamo davanti, infatti, ad un randagismo triste, con animali depressi che dormono davanti ai nostri portoni, davanti agli uffici e che si muovono solo all’offerta del cibo o al
passaggio di un qualche essere dal quale temono una aggressione.
Sembra strano, ma le stesse scene di corteggiamento fra
cani di diverso sesso o quelle di accoppiamenti, tanto frequenti negli anni della nostra infanzia e segno della vitalità
di questi animali, anche se randagi, quasi non esistono più.
Sarà possibile amare questi nostri animali sapendo cosa
è più utile per loro, cosa li fa meno soffrire.
Senza dimenticare gli obblighi che l’uomo ha verso tutti
gli esseri viventi.
Compresi gli stessi umani per i quali, anche nella nostra
terra, sono ormai frequenti le iniziative dei banchi alimentari della Caritas e le mense parrocchiali per i poveri.
Compresi i migranti, che dai paesi poveri dell’Africa e
dell’Asia approdano alla nostra terra in cerca di sopravvivenza.
In tali situazioni certo fanno senso gli appelli di tante
associazioni di volontariato per la raccolta di croccantini,
fatti nelle piazze delle nostre città, per gli animali affamati
nei rifugi, così come impressiona lo spreco di avanzi davanti a molte delle nostre case.
90
Tuttavia, sappiamo che anche queste iniziative danno
significato alla solidarietà fra gli uomini e fra questi e il
resto del mondo animale. Anche se non sempre le cose
coincidono.
Uno degli esempi più eclatanti, legato soprattutto alla
notorietà del personaggio e alla sua influenza nella storia
del mondo, lo ha fornito Hitler che ebbe atteggiamenti sentimentalistici verso gli animali in generale e possedette personalmente animali da compagnia. Fu l’uomo che, primo
capo di Stato europeo, dichiarò illegale la caccia perché
violenza contro creature innocenti, ma non ebbe alcun rimorso ad ordinare lo sterminio di milioni di esseri umani
(R. Scruton, op. cit., p. 68).
Dobbiamo allo stesso autore un’amara considerazione,
che può essere non condivisibile da quanti ritengono il proprio sentimento verso l’animale d’affezione assolutamente
sincero, ma che obbliga ad una fondata riflessione che ci
aiuta a spiegare i tanti comportamenti contraddittori, spesso alla base degli abbandoni e del randagismo.
Comportarsi con sentimentalismo nei confronti degli
animali, farne oggetto di attenzioni smodate – e in qualche
modo di cattivo gusto – può sembrare a molti l’epitome della bontà di cuore.
Di fatto è spesso vero il contrario; è il modo di godere il
lusso di calde emozioni senza il normale prezzo da pagare
provandole davvero, di evitare di rivelare un temperamento insensibile semplicemente facendo di una vittima innocente il bersaglio di un amore simulato che essa non è in
grado di rifiutare o criticare (p. 68).
Sarà indispensabile, quindi, che si valutino con correttezza le capacità personali nell’alimentare per lunghi periodi sentimenti «umani» per i propri animali, nel giustificare comportamenti che, naturali per l’uomo, non sempre
lo sono per gli animali da compagnia (privazione della libertà, privazione di socializzazione con altri soggetti della
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propria specie, abolizione di ogni attività sessuale, etc.).
Non a caso, legata a questa ultima privazione, la bellissima
esortazione di una associazione di amici dei cani: Amateli
ma non moltiplicateli!
Sarà la maniera migliore, questa, per garantire a quelli
che terremo vicini una vita che somiglierà sempre più artificiosamente alla nostra, ma che, almeno, eviterà che aumentino i morti fra i randagi, frequentemente tali per gli
abbandoni che seguono alla fine delle tante, brevi «lune di
miele» fra uomini e cani.
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COLLANA «QUADERNI CESVOP»
Quaderno n. 1, Una Guida per i cittadini disabili e loro famiglie.
Quaderno n. 2, Note sugli aspetti contabili e fiscali delle
associazioni di volontariato e ONLUS.
Quaderno n. 3, Manuale di Protezione civile. Procedure operative ANPAS Sicilia.
Quaderno n. 4, Alla ricerca della solidarietà.
Quaderno n. 5, Per un’educazione alla salute.
Quaderno n. 6, Allarme mobbing - Atti di convegno.
Quaderno n. 7, Sicurezza sociale ed esecuzione penale.
Quaderno n. 8, Educare alla salute. Bioetica e malattie, oggi.
Quaderno n. 9, Il volontariato nella sanità. L’utilizzo moderno e mirato (Atti di convegno).
Quaderno n. 10, Aspetti contabili e fiscali nella gestione delle associazioni di Volontariato e ONLUS.
Quaderno n. 11, Cittadini del villaggio globale.
Quaderno n. 12, Nuova geografia dei diritti umani.
Quaderno n. 13, Consigli pratici alla famiglia del malato di
Alzheimer.
Quaderno n. 14, L’altra Onda. Il volontariato nella ricostruzione post-tsunami.
Quaderno n. 15, Terapia anticoagulante orale e assistenza
domiciliare.
Quaderno n. 16, Partecipare al sistema «salute». Il volontariato e l’applicazione in Sicilia della legge sulla integrazione
socio-sanitaria.
93
Finito di stampare
nel mese di giugno 2008
coi tipi della Pittigrafica s.a.s. – Tecniche Editoriali
Palermo, via S. Pelligra n. 6 - 90128 Palermo
Tel./Fax 091.481521 - Tel. 091.6614212
e-mail: [email protected]
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Una vita da cani. Randagismo e prevenzione in Italia