Vicente Pecharromán Tristán, CMF Donarono la loro vita per Cristo I Beati Martiri Clarettiani di Sigüenza, Fernán Caballero e Tarragona MISSIONARI CLARETTIANI DONARONO LA LORO VITA PER CRISTO I 23 Beati Martiri Clarettiani di Sigüenza, Fernán Caballero e Tarragona Giuseppe Maria Ruiz Cano, Tomás Cordero Cordero, Jesús Aníbal Gómez Gómez, Primitivo Berrocoso Maillo, Vicente Robles Gómez, Gabriel Barriopedro Tejedor, Claudio López Martínez, Ángel López Martínez, Antonio Lasa Vidaurreta, Melecio Pardo Llorente, Antonio Orrego Fuentes, Otilio del Amo Palomino, Cándido Catalán Lasala, Ángel Pérez Murillo, Abelardo García Palacios, Felipe González de Heredia, Antoni Capdevilla Balcells, Jaume Mir Vime, Sebastiá Balcells Tonijuan, Pau Castellá Barberá, Andreu Felíu Bartomeu, Antoni Vilamassana Carulla, Frederic Vila Bartrolí, MISSIONARI CLARETTIANI Secolo XX, “il secolo dei martiri” I 23 Martiri Clarettiani, il cui profilo si raccoglie in queste pagine, appartengono al gruppo di Martiri del XX secolo, che il 13 ottobre 2013 saranno beatificati a Tarragona. Tutti loro, come recita il motto della festa di beatificazione, furono “saldi e valorosi testimoni della fede”. Morirono perdonando, per questo, sono martiri di Cristo, che sulla Croce perdonò ai suoi persecutori. Celebrando la loro memoria e affidandosi alla loro intercessione, la Chiesa desidera essere seminatrice di umanità e di riconciliazione. Come modelli di fede e, pertanto, di amore e di perdono, essi ci aiuteranno a professare con integrità e valore la fede di Cristo. (Cf. CI Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale Spagnola, I martiri del XX secolo, saldi e valorosi testimoni della fede -19 aprile 2013) I luoghi della testimonianza dei Martiri di Sigüenza, Fernán Caballero e Tarragona MARTIRI CLARETTIANI DI SIGÜENZA E FERNÁN CABALLERO Martiri di Sigüenza y Fernán Caballero Quadro del pittore sivigliano Diego Coca Morales Padre José María Ruiz Cano, di 29 anni, è protagonista di un'emozionante storia di martirio nella città di Sigüenza. La sua causa di canonizzazione si accompagna a quella dei Martiri di Fernán Caballero, un gruppo formato da 14 giovani tra i 20 e i 26 anni, prossimi all’ordinazione sacerdotale, e dal Fratel Felipe González, di 47 anni. Ad accomunarli, gli stessi sogni giovanili di fede e generosità, stroncati con la stessa arma della violenza Il Papa Emerito Benedetto XVI, il 1 luglio 2010, ha riconosciuto i sedici Missionari Clarettiani come martiri della Chiesa per aver testimoniato la propria fede con il dono della vita. Le storie di questi giovani uomini sono storie che parlano di morte, ma anche di amore e di perdono nei confronti di chi toglie la vita, sulla scia di una non facile logica evangelica, espressa nel Vangelo di Giovanni: Se il chicco di grano non muore, non può portare frutto (Gv 12,24). José María Ruiz Cano, martire di Sigüenza Il Padre José María Ruiz è l’unico sacerdote del gruppo dei Martiri di Sigüenza e Fernán Caballero. Nacque a Jerez de los Caballeros (Badajoz) il 3 settembre 1906. Quattro giorni prima del suo quattordicesimo compleanno, entrò nel Seminario Minore Clarettiano di Don Benito. Ritornò alla sua città natale, Jerez, nel 1923, per fare l'anno di Noviziato e frequentare i tre anni di filosofia. Di animo generoso e amabile nel rapporto con gli altri, aveva una grande devozione per la Vergine Madre, che espresse in una frase scritta durante il Noviziato, nel decimo anniversario della sua Prima Comunione: <<7 giugno 1914 – 7 giugno 1924! Che giorno felice per me! Nello stesso giorno in cui si compie il decimo anniversario della mia Prima Comunione, mi sono consacrato interamente a Voi, Madre. Che gioia! ‘Totus tuus sum ego’! (Sono tutto tuo)>>. José María compì gli studi di teologia a Zafra, e fu ordinato sacerdote a Badajoz il 29 giugno 1932. Appena ordinato, iniziò in Aranda de Duero (Burgos) l’anno di preparazione al ministero sacerdotale e missionario. L’anno anno seguente fu destinato a Sigüenza (Guadalajara) come aiutante del Prefetto del Postulantato che si trovava nel Palazzo degli Infanti, passando nel 1934 ad assumere l’incarico di responsabile formatore del gruppo di 60 seminaristi, di età compresa tra i 12 e i 16 anni. A Sigüenza il P. José María fu sorpreso dai tragici giorni della persecuzione religiosa del 1936. La vita breve e semplice del P. José María Ruiz era animata da un vigoroso entusiasmo che ruotava attorno a una piena identificazione con la sua vocazione di sacerdote Missionario Figlio del Cuore di Maria, e plasmata dai suoi grandi amori: Cristo, il Cuore di Maria e i seminaristi che gli furono affidati come formatore. La vita a Sigüenza proseguì tranquilla fino al 25 luglio 1936, quando la situazione divenne estremamente difficile. Il Vescovo e quattro clarettiani collaboratori nel Seminario diocesano furono arrestati e condannati a morte. Prima di questi avvenimenti, il P. José María riunì i suoi seminaristi in cappella; <<Saranno state le ore tredici>>, dice il cronista testimone dei fatti. -<<Voleva farci coraggio, ma non poté trattenere le lacrime>>. Padre José María si espresse così: <<Non è successo nulla di grave, ma per prepararci quello che potrebbe accadere, devo comunicarvi con profonda pena che il Collegio verrà chiuso per alcuni giorni. Non piangete. Per adesso non succede niente. I Superiori hanno preso questa decisione per precauzione… Uscirete a gruppi verso i villaggi vicini, poiché tutti si sono offerti per darvi ospitalità…>> Presiedeva questa scena così difficile da descrivere una bella immagine del Cuore di Maria con il Bambino tra le braccia. Ad essa il Padre indirizzò la sua preghiera: <<Oh mia Signora! Oh Madre mia! Ricordatevi che sono tutto vostro, conservatemi e difendetemi come cosa e proprietà vostra!>>. E poi, in ginocchio e con le braccia aperte e tese verso la Vergine esclamò: <<Se volete, o Madre, una vittima, sono qui; prendete me, ma non permettete che succeda qualcosa a questi innocenti che non hanno fatto male a nessuno>>. Iniziò l’esodo del Seminario. Il Servo di Dio si mise a capo del gruppo dei più giovani. <<Addio, Padre, a presto!>>, così lo salutò il Fratel Víctor. <<In cielo!>>, rispose il Servo di Dio, e si incammino verso Guijosa, a circa 7 Km da Sigüenza. Arrivarono a Guijosa sul far della sera e furono accolti a braccia aperte dal parroco e da tutto il vicinato. Qualcuno propose al Padre che, visto che i ragazzi erano in salvo, sarebbe stato meglio per lui fuggire e salvare la vita. La risposta, ripetuta più volte, fu sempre la stessa: <<Anche se mi prendono e mi uccidono, non lascio i ragazzi>>. A Guijosa vennero a cercare il “Padre dei ragazzi che erano fuggiti da Sigüenza”. Il giorno 27, poco prima del pranzo, arrivarono al villaggio sette macchine delle milizie rivoluzionarie. Un miliziano di Sigüenza disse: <<Questo è il Padre>> e il Padre esclamò: <<Vergine del Carmelo, salvate la Spagna; muoio contento>>. Per un’ora lo tennero prigioniero in una macchina affiancata da due miliziani. I seminaristi si stavano incamminando verso il refettorio… <<Non abbiate paura, non è niente. Muoio contento>>, diceva ai suoi ragazzi. La Chiesa di Guijosa e la Croce sul Monte del Otero Dopodiché, alcuni miliziani che avevano profanato la Chiesa trascinarono di malo modo un’immagine del Bambino Gesù e, con sfrontatezza, la lanciarono a P. José María, dicendogli: <<Prendi, perché tu muoia ballando con lui>>. Il Padre se la strinse amorevolmente al petto, ma il miliziano gliela strappò dalle mani e la gettò a terra. La macchina si rimise in marcia… il Padre si congedò dicendo: <<Addio, figli miei!>>, e benedì i suoi ragazzi. Poco dopo, il corteo di macchine arrivò ai piedi del monte Otero, a metà strada tra Guijosa e Sigüenza. Al servo di Dio fu ordinato di scendere. Il Padre intese l’ordine, perdonò i suoi nemici e iniziò, pellegrino del cielo, la salita all’Otero. Si sentì una scarica di fucili e il nostro martire cadde a terra con le braccia aperte, come in croce. Era l’una del pomeriggio del 27 luglio 1936. Uno dei miliziani avrebbe commentato, più tardi: <<Come quel frate che stava con questo ragazzi, che persino diceva che ci perdonava mentre lo stavamo uccidendo>>. Ai piedi dell’Otero, sul luogo del martirio, è stata eretta una croce a perpetua memoria. Tomás Cordero, Jesús Aníbal Gómez e 13 compagni Con la croce da Zafra a Fernán Caballero Il clima di violenza contro i residenti del Seminario Clarettiano di Zafra iniziò a percepirsi appena terminarono le elezioni del febbraio 1936. Alla fine di aprile il Padre Provinciale ordinò di lasciare la casa e di recarsi a Ciudad Real, nella speranza di trovare nella capitale della Mancia una situazione più favorevole. I seminaristi trovarono alloggio presso una Casa per esercizi ceduta ai Clarettiani dal Vescovo Don Narciso Esténaga; questa, tuttavia, non aveva le condizioni necessarie per riceverli. La loro presenza al centro della città creava nuove difficoltà ai suoi residenti. Il Teologato di Zafra e la Casa di Esercizi di Ciudad Real Jesús Aníbal Gómez, colombiano, scriveva così ai suoi familiari: <<Non abbiamo un orto, e per il bagno ci arrangiamo come possiamo… Da quando siamo arrivati non siamo mai usciti a fare una passeggiata: di fatto viviamo un clausura strettamente papale; questo esigono le circostanze. Per quello che ho detto, potete capire che non siamo a Jauja (ricca regione del Perù) e che non abbiamo altro da offrire al Signore>>. Si respirava aria di martirio, e i seminaristi furono ben presto sospesi da un assalto alla casa. Il Padre Superiore scriverà più tardi: <<Furono quattro i giorni di prigionia per le quattordici vittime sacrificate il 28, sei per le altre. È del tutto impossibile descrivere quello che passammo durante quei giorni>>. La situazione andò peggiorando in quel carcere che era diventato la propria casa, fino al punto che <<portarono donne di strada e le vedevamo passeggiare e avvicinarsi in modo provocatorio alle nostre stanze, con le berrette e i paramenti sacri... Tutti eravamo preparati alla morte, che vedevamo molto vicina… Sopportavamo le vessazioni e le privazioni con rassegnazione e mansuetudine e con commiserazione per i persecutori>>. Nel tentativo di abbandonare quel luogo di supplizio, il P. Superiore ottenne dal Governatore civile i salvacondotti necessari per rifugiarsi a Madrid o dove era più conveniente. La prima spedizione si preparò per il giorno 28 luglio: fu proprio quella a cui presero parte i nostri martiri. <<Fate un buon viaggio!>>, gli augurarono quelli che rimanevano. Si recarono alla stazione di Ciudad Real con diverse macchine e accompagnati dai miliziani. All’arrivo si levò un grande schiamazzo e si udirono voci dire: <<Uccideteli. Sono dei frati. Non lasciateli partire. Uccideteli!>>. Il treno partì in direzione di Madrid, ma le minacce divennero fatti a 20 Km dalla capitale, nella stazione di Fernán Caballero. Memoriale sul lastricato dell’antica Stazione Ferroviaria di Fernán Caballero Un viaggiatore di quel treno racconta così la scena a cui assistette: <<Ordinarono ai frati di scendere, dicendo loro che erano giunti a destinazione. Alcuni scesero spontaneamente dicendo: “Sia fatta la volontà di Dio, moriremo per Cristo e per la Spagna”. Altri opposero resistenza, ma con il calcio dei fucili li obbligarono a scendere. I miliziani si misero vicino al treno e i frati di fronte a loro. Alcuni dei frati stesero le braccia, gridando Viva Cristo Re e Viva la Spagna! Altri si coprirono il volto, altri ancora abbassarono la testa. Uno di loro, che era di corporatura minuta, dava coraggio a tutti. Iniziarono le scariche di fucile e tutti i frati caddero a terra… Alcuni, alzandosi con le braccia tese verso il cielo, gridavano “Viva Cristo Re!”, ma i miliziani spararono ancora ed essi caddero>>. Nel mucchio sanguinante di cadaveri, Cándido Catalán rimase ferito molto gravemente; morì alcune ore più tardi. <<Il suo aspetto manifestava una rassegnazione meravigliosa, non si sentì alcun lamento…>>, disse il medico che si prese cura di lui alla stazione. È doveroso sottolineare che, in mezzo a tanto dolore, non mancarono angeli di consolazione. Il P. Federico Gutiérrez, nel suo libretto I martiri Clarettiani di Sigúenza e Fernán Caballero, raccoglie una confidenza che gli fece Carmen Herrera, figlia del Capo della Stazione: <<Io e la moglie del capotreno, Massimiliana Santos, aiutammo i medici a curare il ferito. Io portai acqua calda per lavargli le ferite e la moglie del capotreno procurò un lenzuolo per fare bende. Alla stazione io gli diedi da bere…>>. TOMÁS CORDERO CORDERO Tomás Cordero nacque l’8 giugno 1910 a Robledino de la Valduerna, provincia di León, della diocesi di Astorga. I suoi genitori si chiamavano Vicente e Tomasa, lavoratori dalla vita semplice e dalla profonda religiosità. Tomás era il maggiore di sei fratelli, così come fu il più grande del gruppo dei compagni martiri di Fernán Caballero. Come ispirato dal Signore, Tommaso comprese subito che questo privilegio richiedeva una grande responsabilità. In una sua nota, il parroco espresse molto bene l'indole del ragazzo: <<A scuola è il primo; in Chiesa il più esemplare>>. Di forte impatto emotivo è uno scritto di suo padre: <<Dio gli diede in dono la dolcezza di un fanciullo e la purezza di un angelo. Mi chiese il permesso di diventare missionario e, in quel momento, molto difficile per me perché avevo perso la mia sposa, mi opposi ai suoi desideri, poiché Tomás era l’unico sostegno per la famiglia; ma egli mi diede motivi così validi che io stesso lo accompagnai al Postulantato dei Missionari a Plasencia il 10 ottobre 1924>>. Vi rimase due anni, poi passò a Don Benito e più tardi al Noviziato di Jerez de los Caballeros dove fece la professione perpetua il 15 agosto 1929. Nella stessa città iniziò gli studi di Filosofia. Tomás era di animo generoso ed era felice che i suoi compagni usufruissero di tutto ciò che era suo. La nota che il suo formatore scrisse di lui durante gli anni di Filosofia è la seguente: <<Il Signor Tomás Cordero è un soggetto molto raccomandabile, pio, sensibile, obbediente, diligente, dedito in modo autentico alle virtù>>. Nel dicembre del 1932 ricevette gli Ordini Minori, nel Teologato di Zafra. Il Servo di Dio cresceva in sapienza mentre coltivava i propri sentimenti spirituali e accresceva la sua devozione alla Vergine. Le seguenti parole sono una chiara testimonianza del suo amore al Cuore di Maria: <<Schiavitù d’amore. Lo schiavo si inchina davanti alla Regina, ma il figlio si china sul petto della Madre per attingere da lì le tenerezze del suo Cuore>>. Il più tenero abbraccio materno della Vergine lo ricevette a Fernán Caballero, all’età di 26 anni. JESÚS ANÍBAL GÓMEZ GÓMEZ Jesús Aníbal nacque il 13 giugno 1914 nella città colombiana di Tarso (Antioquia), della diocesi di Jericó. I suoi genitori, Ismael e Julia, erano cristiani con un'intensa vita spirituale e occupavano una posizione sociale di un certo livello. In casa si recitava il Rosario tutte le sere, e in collegio dicevano che era un ragazzo di grande pietà. All'età di 11 anni, Jesús Aníbal entrò nel Seminario Clarettiano di Bosa. Durante il noviziato il suo comportamento fu così esemplare che il Padre Maestro era convinto avesse che avesse trascorso l’anno senza commettere una sola colpa in modo consapevole. Il giorno della sua Professione perpetua, Jesús scrisse: <<Sono già vostro apostolo, Cuore di mia Madre. Non desidero la vita se non è spesa per amarti>>. E come sua massima scelse la seguente: <<Appassionarmi di Gesù>>. Nonostante provenisse da una famiglia ricca e distinta, Jesús Aníbal preferì sempre la povertà più stretta, la semplicità e l’umiltà. A 21 anni fu inviato in Spagna per iniziare i suoi studi di teologia e ricevere l’ordinazione sacerdotale. Nel novembre 1935 giunse al Teologato di Zafra, in Estremadura. La sua permanenza a Zafra fu di breve durata, poiché il 1° maggio 1936, davanti alle minacce rivoluzionarie che si ripetevano quotidianamente, la Comunità fu sciolta e i suoi membri dovettero trasferirsi nella capitale della Mancia, Ciudad Real, per poter terminare il travagliato corso di Teologia. I dissapori proseguirono fino al 24 luglio, quando fu assalito il convento e Jesús Aníbal fu fatto prigioniero nella sua stessa casa insieme ai suoi compagni. Un episodio, avvenuto durante la prigionia, riflette il coraggio di Jesús Aníbal. Quando un miliziano, avendo saputo che era colombiano, lo apostrofò dicendo: <<E sei venuto da così lontano per farti frate?>>, Jesús Aníbal rispose: <<Sì, e con molto piacere>>. Il miliziano lo colpì con il fucile ed egli tacque per prudenza. Fu fucilato a Fernán Caballero all’età di 22 anni. PRIMITIVO BERROCOSO MAİLLO Primitivo nacque il 19 febbraio 1913 a Jerte, provincia di Cáceres, nella diocesi di Plasencia. Entrò nel Postulantato dei Missionari Clarettiani a tredici anni. A diciassette anni pronunciò i suoi voti religiosi e, nel giugno del 1935, ricevette la Tonsura e gli Ordini minori dell’Ostiariato e del Lettorato. La fanciullezza del nostro Servo di Dio ebbe pochi momenti felici. Prima della sua nascita i suoi genitori si videro costretti ad emigrare in Argentina per guadagnarsi da vivere. Durante il viaggio suo padre, Primitivo, morì, e la madre Antolina fece ritorno in Spagna, nella casa dei nonni, ancora più poveri di prima. Proprio a Jerte, un mese dopo il suo rientro dall'Argentina, nacque suo figlio Primitivo. Antolina si risposò e il piccolo fu allevato dai nonni. Don Rámon, parroco del paese, raccontava: <<Un giorno chiesi se c’era un bambino che poteva farmi da chierichetto e mi presentarono “Tivo”, come lo chiamavano in famiglia. Ben presto compresi che andava maturando in lui la vocazione sacerdotale. Lo feci vivere con me e in otto mesi imparò l’Analisi logica e la Sintassi latina. Il suo carattere si andava formando. E, quando aveva appena compiuto tredici anni, lo affidai al Superiore dei Figli del Cuore Immacolato di Maria di Plasencia, con queste parole: <<Qui le consegno un futuro Generale dell’Ordine>>, tale era il mio affetto verso quel bambino...>>. Primitivo – secondo le notizie che ci arrivano - era esemplare in tutto; la sua pietà era solida e grande la sua devozione alla Vergine. È certo che ebbe vivo il desiderio del martirio fin dalla tenera età. Il suo Maestro di Noviziato scrisse in una nota: <<E’ uno degli Studenti più completi che abbia mai conosciuto; salute robusta, bella voce,grandi ideali missionari, particolarmente portato per la composizione letteraria, tanto che alcuni suoi lavori sono stati premiati ai Concorsi Mariani>>. Il 2 luglio 1936 chiese di ricevere gli ultimi due Ordini Minori durante l'Ordinazione che si sarebbe tenuta il 25 dello stesso mese. Non fu possibile. Al posto degli Ordini Sacri ricevette la palma del martirio, insieme ai suoi compagni a Fernán Caballero. Aveva 23 anni. VICENTE ROBLES GÓMEZ Vicente Robles nacque a Villanueva del Conde (Salamanca), il 25 aprile 1914. Entrò nel Postulantato dei Missionari Clarettiani a Plasencia a 11 anni, e a 17 pronunciò la professione religiosa a Salvatierra (Álava). I suoi genitori, Pedro Ignacio e Fernanda, erano una famiglia di lavoratori con una fede solida: <<L’ambiente familiare era molto cristiano; mia madre pregava per la vocazione dei suoi figli>>. Il Maestro dei Novizi scrisse una nota di elogio sulle qualità del servo di Dio: <<Il Sig. Vicente Robles è un vero gioiello: di grande talento molto diligente, laborioso, costante, preciso. È molto pio e ha lavorato sulla virtù con ardore e costanza insuperabili. È di buon carattere e gode di buona salute>>. I tristi avvenimenti del maggio 1931, l’incendio dei conventi e la persecuzione religiosa senza scrupoli, costrinsero i superiori a sciogliere il Noviziato. Insieme a suo fratello Agapito, già Studente di Teologia, dovette tornare nel paese natale, in attesa di tempi migliori. <<In paese –dice suo fratello- osservavamo gli atti di pietà come se stessimo nella Congregazione: meditazione, santa messa, comunione, lettura spirituale e esame di coscienza, e celebrammo il mese di maggio con il libro La vera devozione alla Santissima Vergine, di Grignon de Monfort>>. Il Padre Augusto Andrés Ortega, suo Direttore spirituale durante gli anni di filosofia a Plasencia, non risparmia lodi su Vicente Robles nella sua dichiarazione processuale per la Causa di Canonizzazione, aggiungendo a quanto espresso dal Maestro dei Novizi: «Desidero esaltare Vicente Robles e Otello del Amo, in particolare Vicente Robles, al quale non si poteva chiedere di più circa il perfezionamento della sua vita spirituale… Credo che i due non cedessero volutamente a peccati veniali… Credo che vivessero abitualmente la presenza di Dio: erano due anime elette ed eccezionali, specialmente Robles». Vicente visse con ammirevole profondità la sua consacrazione al Cuore di Maria, fino al punto di modificare la sua firma in “Vicente del Cuore di Maria Robles”, perché voleva che tutti fossero a conoscenza che ormai non apparteneva più a se stesso ma al Cuore della Vergine; e nell’intestazione delle sue lettere e scritti appariva il grido gioioso: Viva mia Madre! Nel giorno del suo martirio Vicente Robles aveva 22 anni. GABRIEL BARRIOPEDRO TEJEDOR Gabriel nacque il 18 marzo 1915 a Barahona, provincia di Soria e diocesi di Sigüenza. Era figlio di Mariano e Asunción, buoni cristiani. Il piccolo Gabriele <<a sei anni sapeva perfettamente rispondere e servire la messa e recitare il rosario in parrocchia>>. A dieci anni divenne alunno interno del Seminario Conciliare di Sigüenza, diretto dai Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria. Diversi anni dopo sentì la vocazione alla vita religiosa sacerdotale e missionaria e decise di entrare nella Congregazione Clarettiana. Poche vocazioni saranno così duramente provate come la sua. Per tre anni dovette lottare strenuamente contro l’opposizione dei suoi genitori ma, quando aveva già terminato il primo anno di Teologia e aveva ricevuto la Tonsura, <<miracolosamente>>, disse lui, i suoi genitori cedettero e diedero il loro consenso. Ebbro di gioia, chiese di poter iniziare il Noviziato e venne accolto a Salvatierra (Ávala). Il Maestro dei Novizi scriveva: <<Il Novizio Sign. Barriopedro ha 17 anni compiuti. Si trova con noi da tre mesi e mezzo. Ha una salute eccellente, è disponibile, docile, austero, tranquillo: si distingue per i suoi sentimenti socievoli, è amabile, accondiscendente, benevolo, comprensivo, amante della pace, devoto e pio: la sua condotta è esemplare>>. Fece la professione il 29 giugno 1933 a Jerez de los Caballeros. Passò al Teologato di Zafra per continuare i suoi studi, fino a che, vittime della persecuzione, tutti gli Studenti furono costretti a cercare rifugio a Ciudad Real. La nota caratteristica della sua spiritualità era la devozione al Cuore di Maria. Alla vigilia della sua professione, scrisse: «La Vergine Maria per me è tutto… Le difficoltà non mi preoccupano più, né riescono a rattristarmi le fatiche; nemmeno mi pesano i lavori, perché basta un suo sguardo per rasserenare e riempire di gioia il mio spirito». Quando morì, Gabriel aveva 21 anni. CLAUDIO E ÁNGEL LÓPEZ MARTİNEZ Claudio López e suo fratello Ángel entrarono insieme nel Seminario clarettiano, professarono lo stesso giorno, frequentarono negli stessi anni gli studi teologici e insieme furono martirizzati a Fernán Caballero. I due fratelli nacquero a Mundilla de Valdelucio (Burgos); Claudio il 18 dicembre 1910 e Ángel il 2 ottobre 1912, in una famiglia di stimati lavoratori e di buoni cristiani. Il padre si chiamava Eusebio López Arroyo, e la loro madre, Joaquina Martínez Val. I due fanciulli fecero i chierichetti e <<di carattere erano molto umili e ricevevano la Comunione con frequenza>>. Giunsero al Postulantato di Plasencia il 22 settembre 1924. Frequentarono il Noviziato e i tre anni di Filosofia a Jérez de los Caballeros. Claudio, secondo le note dei Superiori, era un ottimo compagno, robusto, buono, preciso, pio e di grande fiducia, e si distingueva per una certa integrità e virilità che, senza volerlo, si imponeva sugli altri. Ángel era pio, abbastanza esemplare, preciso, diligente e affidabile, di buona salute, con un talento eccellente e buono di carattere. Ángel e Claudio – dice un loro compagno di studi, Padre José Riguera- erano realmente pii ed esemplari. Durante le ore di silenzio li si vedeva sempre con il Rosario in mano e, tutti i giorni, senza eccezione, facevano la Via Crucis. Avevano un grande zelo missionario, soprattutto Angelo, e il loro ideale era di formarsi per diventare buoni missionari. Quando nel 1931 vi fu la rivoluzione e fu proclamata la Seconda Repubblica, Ángel e Claudio tornarono al loro paese. Lì continuarono con grande edificazione le loro pratiche di pietà e, ricordando le loro visite da fanciulli, si recarono numerose volte al vicino Santuario della Vergine de la Vega. Nonostante i familiari e gli amici sconsigliassero loro di rientrare in Seminario, Ángel e Claudio non ebbero dubbi. Più tardi, nel 1936, la persecuzione li costrinse a lasciare Zafra e cercare rifugio a Ciudad Real. Fu in questa città che trascorsero i giorni più duri della persecuzione religiosa, arrivando ad essere prigionieri nella loro stessa casa. Distribuiti a due a due nelle celle, Ángel López ebbe come compagno il P. José María Márquez, più tardi vescovo di Humahuaca (Argentina); questi, durante il processo di canonizzazione, dichiarò: <<Eravamo preparati alla morte. Del mio compagno Angelo posso dire che mi esortava a pregare per i persecutori, per la Spagna, e a perdonare i nostri nemici, incoraggiandomi>>. In un’altra cella con Claudio stava il Fr. Gregorio Barriuso: <<Mi incoraggiava e passavamo il giorno e la notte pregando>>. La sera del 28 luglio 1936, i due fratelli, sempre insieme, raggiunsero la gloria del martirio a Fernán Caballero. Claudio aveva 26 anni e Ángel 24. ANTONIO LASA VIDAURRETA Antonio Lasa nacque il 28 giugno 1913, nel piccolo paese di Loizu (Navarra). Vari paesini formavano un agglomerato, e non sempre era garantita la presenza del parroco. Per questo, tutta la famiglia di Antonio si recava nel paese più vicino per partecipare alla Messa, anche quando nevicava. I suoi genitori, Miguel Lasa e Josefa Vidaurreta, furono “cristiani tutto d’un pezzo”. Ogni quattro anni arrivavano a Erro, centro nevralgico della vallata a cui apparteneva Loizu, alcuni Padri Missionari. Antonio voleva diventare come loro, e quando compì undici anni entrò nel Postulantato di Santo Domingo de la Calzada. Antonio possedeva un'invidiabile insieme di qualità: intelligenza viva e forte, buonissima memoria, costanza nello studio, e la sua pietà era serena e razionale, figlia di una delicata armonia tra testa e cuore. La nota scritta dal suo Maestro del Noviziato di Salvatierra fu più sintetica, ma non meno elogiativa: <<Antonio Lasa nell’intelligenza è meritissimus, ineccepibile, e nella condotta uno dei migliori Novizi>>. Terminati i tre anni di Filosofia a Beire e il primo di Teologia a Santo Domingo de la Calzada, Antonio attraversò un momento di forte crisi, tra il 1933 e il 1934. Sembra che fossero sorti diverbi tra lui e il il formatore dei teologi, e questo lo rese abbastanza critico e polemico. Al termine del terzo anno, ottenne il permesso dei superiori di passare alla Provincia clarettiana di Bética, che aveva il suo Seminario a Zafra, dove giunse nel 1935. Antonio si trovò immediatamente a suo agio con i suoi nuovi compagni, ma i tumulti sociali fecero sì che il seminario venisse trasferito subito a Ciudad Real. Qui ricevette la visita di suo fratello, il medico Félix Lasa, che riassunse così l’incontro: <<L’ho incontrato pochi giorni prima di essere fucilato. Essendo venuto a conoscenza degli avvenimenti del 1 maggio a Madrid… mi ero recato a Ciudad Real con il proposito di portarlo via con me>>. Antonio rimase a Ciudad Real e, il 28 luglio 1936, morì martire a Fernán Caballero. Aveva 23 anni. MELECIO PARDO LLORENTE Meleccio Pardo nacque il 3 agosto 1913 a Bustillo de Chaves, provincia di Valladolid. I suoi genitori, profondamente cristiani, furono Benigno Pardo e Isidora Llorente. Melecio entrò nel Postulantato di Plasencia il 13 ottobre 1926. I Prefetto affermò che, durante i suoi anni di studi umanistici, si distinse per il suo spirito missionario e per la sua inclinazione all’esercitazione oratoria che gli serviva per prepararsi alla predicazione della divina parola. Per quanto non eccellesse nelle qualità intellettuali, certamente compensava con quelle spirituali per la sua grande dedizione alla pietà, alla vocazione, alla Vergine e ai suoi ideali come missionario in paesi poveri di fede. Il P. Joaquín Alonso, compagno di Melecio sino alle ore precedenti il martirio, ricordava spesso la triste notte del 12 maggio 1931, in cui dovettero abbandonare precipitosamente il Noviziato di Jerez… Dopo aver trascorso alcuni giorni a Los Santos de Maimona, accolti in casa della sorella di Antonio Orrego, Melecio dovette andare a Bustillo de Chaves insieme a Otilio del Amo, suo compaesano e amico fin dall’infanzia. Colmi di coraggio, entrambi fecero ritorno al convento alla fine di luglio e Melecio si preparò a fare la Professione il 15 settembre. Scoppiava di gioia. Quando, alcuni anni dopo, nel 1936, dovettero lasciare il Teologato di Zafra, Melecio e Otilio del Amo si rifugiarono per alcuni giorni nella casa dei missionari clarettiani a Cordoba, finché poterono raggiungere i loro compagni a Ciudad Real. Qui, Melecio poté terminare il corso, sognando il pulpito: <<L’Oratoria era la debolezza del Sig. Melecio Pardo. Il pulpito sarebbe stato il suo luogo ideale>>, si diceva di lui. Il suo spirito gioviale lo aiutò a sopportare le difficoltà del periodo, che terminarono con una spietata persecuzione. Il pomeriggio del 28 luglio, mentre sognava di raggiungere la libertà, in cammino verso Madrid, Melecio Pardo, 23 anni, ricevette la corona dei trionfatori. La sua voce, addestrata per annunciare la vera libertà, non si spegnerà mai. ANTONIO ORREGO FUENTES Oliva de la Frontera (Badajoz) fu la culla del martire Antonio Orrego. Nacque il 15 gennaio 1915 da Pedro e Isabel, umili artigiani, di spirito cristiano fortemente radicato. Il padre morì quando Antonio era molto piccolo. Non aveva ancora compiuto gli undici anni, quando entrò nel Postulantato di Plasencia. Non aveva le qualità per eccellere, ma la sua mediocrità lo rendeva molto adatto per la virtù e per la vita missionaria. Iniziò il Noviziato nel 1931, a Jerez de los Caballeros. Le rivolte sociali costrinsero a chiudere il seminario e Antonio Orrego, con altri quattro compagni, si rifugiò nel paese di Los Santos de Maimona, a casa di sua sorella Amelia. Da qui passò a Salvatierra (Álava) per terminare il Noviziato e ritornare poi a Plasencia per studiare Filosofia. Di Antonio si diceva che era pio, obbediente, caritatevole con i suoi compagni, molto devoto alla Vergine e di condotta impeccabile. Studiò Teologia a Zafra fino al giorno in cui si vide costretto a ricorrere all’aiuto di sua sorella a Los Santos de Maimona. Di ciò che accadde in quel periodo lasciò testimonianza il fratello Octavio: <<Mia madre gli chiese con insistenza di tornare con lei nella sua casa a Oliva, dicendogli che stava mettendo in pericolo la sia vita e che sarebbe stata una grande sofferenza per la famiglia se lo avessero ucciso. A queste parole, lui rispose: Quale gloria più grande puoi ottenere tu che avere un figlio martire! >>. I primi di maggio del 1936 si riunì ai suoi compagni a Ciudad Real. Terminò il secondo anno di Teologia e si preparò per la Professione perpetua, che fece il 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, un mese prima del suo martirio. Il 5 luglio, avendo conosciuta la data per ricevere gli Ordini Minori, il 25 dello stesso mese, scrisse a sua madre: «I nostri sogni si stanno convertendo in una bella realtà. Figlio del Cuore di Maria, e tra pochi giorni riceverò la Tonsura e gli Ordini minori… e poi Ministro dell’Altissimo». Antonio Orrego morì martire di Cristo a 21 anni. OTILIO DEL AMO PALOMINO Compaesano e compagno di Melecio Pardo, Otilio del Amo nacque a Bustillo de Chaves il 2 aprile 1913. I suoi genitori, Eustasio e Basilisa, erano <<coniugi cristianissimi>>. <<I miei genitori – diceva suo fratello Eustasio, sacerdote erano di costumi molto cristiani. Mio padre era un operaio. Non volevano che Otello si facesse religioso ma sacerdote secolare. Mio fratello era di natura molto pio>>. Otilio entrò al Postulantato di Plasencia il 28 settembre 1927. Terminati gli studi Umanistici, nel 1931, dovette tornare a casa sua e rimanere per due mesi al suo paese. <<Durante questa permanenza racconta suo fratello - fece nascere in me la vocazione religiosa, che non accettai per via dell’opposizione dei miei genitori. Mi diceva: «Non importa che debba sacrificare la vita: se la dono a Dio con il martirio, meglio»>>. Riportiamo qui la significativa testimonianza del P. Eladio Riol: <<Il Sig. Otilio era una caso speciale. Riuniva un insieme di qualità umane, intellettuali e morali in modo così armonico e così perfetto da avere autorità evidente anche tra i suoi compagni. Era lo Studente esemplare e indiscutibile in tutto. Sarebbe stato, senza dubbio, nominato Superiore al termine dei suoi studi>>. I tristi avvenimenti di aprile e maggio del 1936 a Zafra non gli permisero di terminare in pace il suo primo anno di Teologia. A seguito della chiusura del teologato trovò rifugio presso la casa dei missionari clarettiani di Córdoba insieme al suo compaesano Melecio. Pochi giorni dopo, i due ricevettero l’ordine di riunirsi con i loro compagni a Ciudad Real. Sul treno, Otilio scrisse una lettera a suo fratello: <<Viviamo come stranieri nella nostra terra: in ogni parte ci odiano: non possiamo fermarci in nessun posto: in questo momento viaggio con il treno verso Ciudad Real, da lì forse verso il martirio; ma Dio sia servito>>. Divenne martire all’età di 23 anni. CÁNDIDO CATALÁN LASALA Cándido Catalán nacque a Corella, provincia di Navarra e diocesi di Tarazona, il 16 febbraio 1916. I suoi genitori, Feliciano e Jacinta, erano una famiglia dotata di solidi costumi cristiani. A 11 anni si decise a seguire le orme di suo zio paterno, il P. Cándido Catalán Monreal, allora Superiore Provinciale dei Missionari Clarettiani di Betica, entrando nel Postulantato di Plasencia. Fece il Noviziato a Salvatierra (Ávala), professando il 24 ottobre 1931. Di Candido Catalán, quanti lo hanno conosciuto dicono che fu “un bambino molto bambino” con un marcato infantilismo sino ai 17 anni: fede, candore, indole abitudinaria. Al contrario, nell’anno 1934, mentre frequentava già gli studi di Filosofia, una nota del Prefetto presenta un tono molto diverso: «In Cándido Catalán si è visto un cambiamento molto positivo sia nello studio, che lo ha posto al primo posto nel suo corso, sia nella virtù». E già nel 1935, all’inizio del suo primo anno di Teologia, il cambiamento divenne totale: «Uno studente religiosamente completo, pio, caritatevole, obbediente, umile, impegnato, ottimista». Quando si trovava al culmine della sua felicità, sopraggiunsero i tragici avvenimenti di Zafra e Cándido dovette andare a rifugiarsi con i suoi compagni a Ciudad Real. Lì terminò il corso, ma i problemi sociali continuavano a crescere. Il 28 luglio 1936, Cándido e altri tredici compagni lasciarono Ciudad Real per dirigersi verso Madrid: possedevano un salvacondotto che, tuttavia, risultò poco affidabile. Salirono sul treno ma, a pochi chilometri dalla capitale, furono obbligati a scendere e fucilati alla presenza degli altri viaggiatori, mentre gridavano:Viva Cristo Re e Viva la Spagna!. Cándido Catálan non morì sul colpo, ma rimase ferito gravemente, circondato dai cadaveri fatti a pezzi dei suoi compagni. Morì sei ore più tardi, all’ospedale di Ciudad Real: <<Il suo aspetto manifestava una rassegnazione meravigliosa, non si sentì alcun lamento…>>, disse il medico che lo assisteva nella stazione. Il bambino più bambino era il più giovane di tutti i martiri di Fernán Caballero. Aveva solo 20 anni. ÁNGEL PÉREZ MURILLO Ángel nacque il 6 giugno 1915 nella città di Montánchez (Cáceres), figlio di José Pérez Sánchez e Josefa Murillo Cortijo. Sua sorella Matilde racconta che Ángel imparò a leggere e a scrivere nella scuola del paese e poi entrò nel Collegio dei Missionari del Cuore di Maria a Montánchez. Circa le prime inclinazioni del fratello ci dice: <<Fin da piccolo mostrava inclinazione alla vita sacerdotale, imitava i gesti dei sacerdoti, diceva messa, aveva un confessionale… Mio padre si opponeva strenuamente a che diventasse un religioso, ma mio fratello rispondeva che, se gli avessero impedito di esserlo, sarebbe stato il ragazzo più infelice del mondo>>. Ángel entrò nel Postulantato di Plasencia nell’ottobre del 1928, a tredici anni. Nel 1931 i disordini e l’incendio dei conventi lo costrinsero a tornare al suo paese. Successivamente tornò in seminario, con coraggio e allegria, nonostante avesse dovuto vincere nuovamente la resistenza di suo padre. Fece il Noviziato a Jerez de los Caballeros e andò a Plasencia per i tre anni di Filosofia. Sarebbe difficile aggiungere ulteriori elogi a quelli che i suoi formatori scrissero su di lui: <<È amabile, benevolo, attento, condiscendente, pacifico, affabile, allegro, docile e obbediente, devoto e pio, tranquillo, composto, armonico, ingegnoso, pacato… Intelligenza eccellente, buona memoria, una grande volontà, sentimenti di simpatia, di nobiltà, di dignità, di allegria, di scienza e prudenza, di carità nella sua duplice inclinazione verso Dio e verso il prossimo>>. Nell’agosto del 1935 iniziò il primo anno di Teologia a Zafra, e nel maggio 1936, dopo essersi rifugiato per alcuni giorni nel suo paese, andò a Ciudad Real per unirsi ai suoi compagni. Ángel, consapevole del pericolo che li minacciava, disse con voce ferma: «Andiamo incontro alla morte». Il 16 luglio 1936, dodici giorni prima del suo martirio, fece la sua Professione Perpetua. Aveva, allora, 21 anni. ABELARDO GARCİA PALACIOS Il piccolo paese di Villandiego, provincia e diocesi di Burgos, fu la culla di Abelardo García, nato il 15 ottobre 1913. I suoi genitori, Ángel e Estéfana, erano operai. La madre morì quando Abelardo aveva solo due anni. A undici anni entrò nel seminario clarettiano di Plasencia spinto sicuramente da suo zio, il P. Ignacio Abad Palacios, il quale morì, martire anch'egli, a Don Benito. I suoi formatori dei suoi primi anni definiscono Abelardo di indole docile e paziente. Iniziò il Noviziato con tante illusioni e gioia, ma non fu ammesso alla Professione. Iniziò così una nuova tappa della sua vita presso gli Agostiniani; prima a Uclés e poi a La Vid (Burgos). Da qui, nel 1934, mentre frequentava gli studi di Filosofia, scrisse chiedendo di essere riammesso Congregazione dei Missionari Clarettiani: <<Non potete immaginare il grande amore, che quasi mi conduce al delirio, che io provo per la Congregazione; giorno dopo giorno e con ansia sempre maggiore ho desiderato di tornare ad essa>>. Abelardo chiedeva una risposta urgente giacché si avvicinava il giorno della sua professione negli Agostiniani. Il Superiore gli consigliò di non fare la professione, anche se era stato ammesso, e Abelardo fece ritorno al suo paese senza che fosse giunta la risposta dei Missionari. Quando finalmente gli arrivò la risposta di ammissione, si trovava in ristrettezze tali da non aver neppure le risorse necessarie per recarsi a Jerez de los Caballeros. La Provvidenza lo aiutò in modo insperato e poté partire per Jerez, dove iniziò un nuovo Noviziato e fece la sua professione il 3 gennaio 1936: aveva ottenuto ciò che tanto desiderava. Fece la Teologia a Zafra e da qui passò a Ciudad Real con i suoi compagni perseguitati. Di fronte ai timori di qualche compagno, Abelardo disse: <<Bene, e che cosa può accaderci alla fin fine? Ci uccideranno? Oh, che gioia, se un giorno si leggesse negli Annali CMF: sono stati fucilati per Dio e per la Congregazione i Signori Abelardo García, ecc.>>. Il suo sogno si avverò quando aveva 22 anni. Due mesi più tardi: FR. FELIPE GONZÁLEZ DE HEREDIA BARAHONA Anche il Fratel Felipe subì il martirio a Fernán Caballero, non nella stazione ferroviaria, bensì alle porte del cimitero, il 2 ottobre dello stesso anno 1936. La sua causa di canonizzazione venne unita fin dall’inizio a quella dei 14 studenti clarettiani della prima spedizione a Madrid. Felipe González nacque il 24 maggio 1889 nella città di San Asensio (La Rioja). I suoi genitori, José ed Ezequiela, si distinguevano nel paese per la loro bontà, onestà e religiosità, per la carità verso i bisognosi e per l'ottima educazione che diedero ai loro due figli Felipe e Salvador. La famiglia di Felipe mise duramente alla prova la sua vocazione, come si evince dal seguente scritto: <<I sottoscritti, i genitori del giovane Felipe González de Heredia dichiarano che, avendolo sottoposto a quante prove suggeriva loro l'immaginazione per vedere se la sua vera vocazione era di consacrare la sua vita a un Ordine Religioso, e avendolo visto sempre risoluto e animato da ancor maggiore desiderio di questo, sia come padre, sia come fratello, gli concediamo la più ampia e assoluta libertà perché possa fare la sua Professione religiosa, essendo il nostro più vivo desiderio che sia per la maggior gloria di Dio e per l’utilità di tanto Santo e venerato Ordine>>. Felipe fece il suo Noviziato a Jerez de los Caballeros e professò il 25 marzo 1909 come Fratello Aiutante. Era giunto alla meta, era ormai Missionario Figlio del Cuore Immacolato di Maria. Le testimonianze di quanti lo conobbero coincidono: era un’anima privilegiata, umile, semplice, servizievole, paziente, amabile e generosa, sommamente dedito al sacrificio, devoto al Cuore di Maria e alla Congregazione. Valga per tutte la testimonianza del Cardinale Arturo Tabera nel Processo di Canonizzazione: <<Il Fratel Felipe, amabile figura di Fratello Aiutante, semplice, pio, colto, sempre dedito alle faccende più umili della casa, distaccato da tutte le cose del mondo. Lo conobbi personalmente e passammo insieme tre o quattro anni al Teologato di Zafra>>. Il Fratel Felipe, da Zafra, giunse a Ciudad Real. Il 30 luglio, quando la seconda spedizione della Comunità partì per Madrid, egli rimase a Ciudad Real, rifugiato in casa di suo fratello Salvador. Scoperto, fu portato al Seminario, dove rimase sino al 2 ottobre, quando lo prelevarono per portarlo su un auto a Fernán Caballero. Quando la macchina arrivò alla porta del cimitero, il Fratel Felipe si diresse alla scala della porta, si mise con le braccia a forma di croce e gridò: Viva Cristo Re e il Cuore di Maria! Una scarica di fucile lo mise a tacere. Un testimone, che casualmente viaggiava sulla stessa macchina, più tardi disse: <<Osservai come il Fratello fosse molto sereno in macchina e il grido di Viva Cristo re e il Cuore di Maria! lo gridasse con grande forza.>> Sepolcro dei Martiri Parrocchia di Sant’ Antonio Mª Claret, Siviglia MARTIRI CLARETTIANI DI TARRAGONA I sette Martiri Clarettiani di Tarragona provenivano da due Comunità vicine tra di loro: Tarragona e la Selva del Camp. Il loro martirio avvenne in giorni e luoghi diversi. Martiri clarettiani di Tarragona (Ed. Claret Barcellona) La Comunità Clarettiana di TARRAGONA, alloggiata in una casa molto modesta, aveva il privilegio di annoverare tra i suoi ospiti un gruppo di clarettiani dediti all’insegnamento in Seminario e nell’Università Pontificia in cui furono sempre professori molto stimati. La casa di La Selva del Camp era una Casa Missione e luogo di riposo per anziani e malati, che lì si sentivano a loro agio. Era molto cara alla Congregazione perché in essa versò il suo sangue, nel 1969, il protomartire clarettiano Padre Francisco Crusats, colui che fece esclamare con invidia a Sant’Antonio María Claret, quando seppe la notizia della sua morte gloriosa: <<Ah, sapevo che questi mi avrebbe preceduto!>>. ANTONI CAPDEVILA BALSELLS La prima vittima del gruppo fu il Fratello Antoni Capdevila, che, nella pienezza dei suoi quarant’anni, morì con ammirabile serenità. Nacque a Espluga Calba (Lleida) il 27 febbraio 1894. I suoi genitori si chiamavano Antoni e Filomena. Il Fratel Antoni era un vero tesoro per la vita delle comunità, specialmente per i suoi servizi come sarto. Fu anche professore alla scuola primaria, dove si distinse per la sua serietà e bravura. Meritò sempre la fiducia di tutti ed era considerato come un modello di spirito eccezionale. Quando scoppiò la rivoluzione nel luglio del 1936, il Fratello apparteneva alla comunità di La Selva del Camp. La sua prima preoccupazione fu di portare l’anziano e malato Fratel Ramón Garcés all’Asilo delle Sorelle a Reus. Da lì, il 24 luglio, viaggiava in treno fino a Borges Blanques per poi percorrere a piedi i 14 chilometri che lo separavano da Mollerusa, vicina a Lleida, dove viveva la sua famiglia. Il treno si fermò più del dovuto a Vimbodí per fare il cambio della macchina, e Antoni scese dal vagone per passeggiare lungo il marciapiede… Un viaggiatore in malafede nutrì dei sospetti su di lui e lo fece arrestare. Gli fecero attraversare le strade fino al Comité, gli rubarono il denaro che aveva con sé e, intorno a mezzogiorno, lo condussero fino al luogo chiamato il Puntarró, distante dal paese circa 500 metri. Prima della fucilazione, con grande serenità, chiese ai suoi assassini: ⁃ Mi concedete di prepararmi per alcuni momenti? Ottenuto il permesso, si scoprì con calma la testa, si mise a pregare e, conclusa la sua fervente preghiera, invitò gli assassini a fare il loro dovere. Prima di morire, attingendo le forze dal profondo della sua anima missionaria, gridò: <<Viva Cristo Re!>>. Una raffica di spari lo fece cadere a terra. Gli umili abitanti del villaggio lo credettero santo fin dal primo momento e si affannarono a procurarsi piccole pietre bagnate dal sangue del martire… La glorificazione di Dio era cominciata. I resti di Fratel Antoni riposano nella Chiesa di Sant’Agostino di Tarragona insieme a quelli di P. Federico Vila. JAUME MIR VIME Il P. Jaume Mir Vime nacque a Ciutadilla, provincia di Lleida e regione di Urgell. Nacque il giorno 22 dicembre 1889. I suoi genitori, Jaume e Filomena, erano cristiani esemplari. Ebbero due figli e quattro figlie, la più piccola delle quali fu Carmelitana della Carità. Pochi giorni dopo la morte del Fr. Antoni Capdevila, esattamente il 29 luglio, morì anche il P. Jaume Mir. Alto, magro, serio, sempre chino sui libri di Filosofia, era l’incarnazione della Metafisica, materia che insegnava con estrema competenza. Le sue eccellenti doti intellettuali e una grande inclinazione allo studio gli avevano dato una maturità di ingegno al punto che lo si poteva considerare un’autorità nelle questioni filosofiche più complesse. Fin dal 1932 reggeva la cattedra dei Casi difficili o delle Tesi di Dottorato all’Università Pontificia di Tarragona Il suo stile di vita di asceta, sempre silenzioso e riflessivo, lo aveva reso la comobinazione perfetta di “preghiera, studio e insegnamento”, un trinomio che lo definiva alla perfezione. La Rivoluzione scoppiò mentre P. Jaume dirigeva gli Esercizi Spirituali presso le Sorelle Carmelitane della Carità a Esplugues de Francolí. Senza sapere il perché, trattò più volte e con incredibile fervore il tema dei martiri, che riempivano di gloria la Chiesa. Dopo che fu sciolta la Comunità delle Religiose il 21 luglio, Jaume si rifugiò con loro nella casa del Cappellano, e lì continuarono i loro Esercizi Spirituali. Il martirio del P. Giacomo porta su di sé l’impronta di un vile tradimento. Dato che voleva trasferirsi a Tarragona, egli chiese al Comité il lasciapassare corrispondente. Glielo diedero, ma gli stessi che glielo avevano dato lo richiesero indietro il giorno dopo. Ne chiese un altro e gli dissero che non ne aveva bisogno, perché essi stessi lo avrebbero accompagnato al Comité di Montblanc. Il suo commiato dalle religiose fu cordiale e sereno: <<Addio! Non c’è nulla da fare. Se non ci vediamo in questa vita, sarà in Cielo?>> <<Padre, ci benedica! - risposero le Sorelle - Così avremo la consolazione di aver ricevuto la benedizione di un martire>>. I miliziani lo portarono in macchina verso Montblanc, per lasciarlo alla stazione dei treni. Quella stessa sera del 29 luglio, il cadavere di P. Jaume entrava nel cimitero di Tarragona. SEBASTIANO BALSELLS TONIJUAN Il Fratel Sebastiá nacque il 3 dicembre 1885 a La Fuliola, provincia di Lleida, regione di Urgell. Dai suoi buoni genitori, Baltasar e Buenaventura, ereditò molte qualità naturali e, soprattutto, un’educazione cristiana che fin da bambino lo aiutò a crescere nella fede. Dei sei figli nati da quel matrimonio, una si fece religiosa e due seguirono la vocazione clarettiana. La vita di pietà del Fratel Sebastiá si manifestava nel servizio ai fratelli della comunità, nel fervore spirituale che rendeva più efficace con il suo buon umore e nelle pratiche di devozione verso Gesù Cristo e la Madre di Dio, così come nell'eucaristia, la via crucis e il santo rosario ogni giorno. Era particolarmente portato per l'insegnamento ai più piccoli, e a questo compito si dedicò nei collegi di Cervera, La Selva del Camp e Játiva. Nel 1932 il Collegio di Játiva fu attaccato, e nel marzo del 1936 la comunità fu obbligata ad abbandonare definitivamente la città. La rivoluzione del mese di luglio sorprese il Fratel Sebastiá a La Selva del Camp. Decise di andare a rifugiarsi nella sua casa natale nel paesino di La Fuliola. Qui trovò rifugiata anche sua sorella religiosa Silveria. Un giorno, lei gli domandò con curiosità: <<Quanti rosari hai recitato oggi alla Vergine?>> <<Ormai sono diciannove>> rispose il servo di Dio. Ed era soltanto mezzogiorno… Il benedetto Fratello, umile innocente, fervoroso, non rinunciava mai al rosario e all'ufficio breve della Vergine. Il giorno 15 agosto, festa dell’Assunzione, i due fratelli religiosi, Sebastiá e Silveria, furono protagonisti di una scena idilliaca e che sembrava legata ai ricordi di Benedetto e Scolastica. Era già notte e dopo la cena le due anime gemelle si intrattennero a parlare di Dio, del cielo, della gioia di morire martiri per Gesù Cristo. Parlarono, parlarono, e il tempo passò. Tre ore dopo aver concluso questo celestiale colloquio, si udirono alla porta otto colpi di odio, che reclamavano Sebastiá. I miliziani lo caricarono su una macchina per condurlo, dissero, al Comité di Tárrega, ma il fratello capì immediatamente che si trattava di una menzogna. La macchina procedeva. Rompendo il silenzio, Sebastiá domandò: <<Volete uccidermi, vero?>> <<Sì>>, gli risposero. Di fronte a una tale sincerità, la vittima tolse con calma il rosario dalla tasca, e inizia a bisbigliare più volte: Prega per noi… nell’ora della nostra morte. La macchina si fermò. I miliziani legarono il Fratello a un albero e gli spararono otto colpi di fucile. Poco lontano, un guardiaboschi contemplava la scena. La mano del cadavere era ancora stretta attorno al rosario benedetto fino a quando, poco tempo dopo, il fuoco alimentato con fasci di erba secca ridusse in ceneri i resti del martire. I Fratelli Andreu Felíu e Pau Castellá, figli di La Selva del Camp I Fratelli Andreu Felíu e Pau Castellá rappresentano un caso di fraternità umana, religiosa, missionaria e di martirio. I due venerabili anziani furono un vero tesoro. Nati nello stesse paese, i due condivisero la stessa vita religiosa nella Congregazione clarettiana; spesero i loro anni migliori nella dura Missione della Guinea Equatoriale; insieme trascorsero in pace la loro vecchiaia nella stessa Comunità, con edificazione di tutti; e la Provvidenza di Dio, che aveva unito in modo meraviglioso le loro vite, non volle separarli nella morte e insieme andarono incontro al Signore che offriva loro la palma e la corona del martirio. Figli di La Selva del Camp, quando i rivoluzionari sciolsero la Comunità fecero entrambi ritorno alle proprie famiglie, con le quali rimasero per tre mesi, fino a quando il Comité di Reus decise di sconvolgere la quiete degli abitanti della pacifica città vicina e stesero l’elenco di coloro che dovevano essere fucilati. Un uomo astuto, vicino de La Selva del Camp, intervenne per far cambiare loro idea: ⁃ <<Perché non vi accontentate dei Religiosi?>> Gli unici due religiosi che rimanevano erano i Fratelli Felíu e Castellá. Il 26 ottobre i due furono portati a La Riera de la Cuadra, confine del municipio di Reus, per essere fucilati. Fratel Pau Castellá, avendo difficoltà a camminare, tardava a salire in macchina: i miliziani, perciò, lo fecero scendere con uno spintone e cadde bocconi a terra. ⁃ <<Uccidiamolo qui stesso!>> Così, mentre era steso per terra, lo colpirono con una raffica di colpi alla schiena. I due validissimi Missionari morirono per la stessa ragione: perché erano religiosi. PAU CASTELLÁ BARBERÁ Pau Castellá Barberá nacque il 3 maggio 1862 a La Selva del Camp (Tarragona). Dai suoi genitori, Pau e Francesca, ereditò un grande tesoro di qualità umane e virtù cristiane: tra queste, una voce dolce e particolare e un grande interesse per la musica. Pau fece il Noviziato a Barbastro e in questa stessa Comunità iniziò fu iniziato al mestiere di calzolaio. Da Barbastro passò a Lleida e più tardi, dietro sua richiesta, nel 1892, i Superiori gli concessero un nuovo campo di lavoro molto più difficile: le missioni di Fernando Poo. Come missionario operò in luoghi di servizio molto problematici: Corsico, Santa Isabel, San Carlos e finalmente a Maria Cristina. In tutte le tappe dimostrò la sua straordinaria attitudine a trattare con persone non abituate ad obbedire. È certo che la natura lo avesse dotato di innumerevoli qualità, al punto che si dimostrava abile in qualunque faccenda domestica. In tutte le comunità era ben accolto, e si faceva voler bene anche dai braccianti delle proprietà annesse, sebbene non lo avessero mai visto. Il Fratel Paolo era un abile stratega nel prevenire le difficoltà. Quando si ammalò di una febbre persistente, si vide costretto a fare ritorno in Catalogna. A La Selva lo attendevano la persecuzione religiosa del 1936 e il martirio. ANDREA FELİU BARTOMEU Andrea Felíu nacque il 15 settembre 1870 a La Selva del Camp (Tarragona). I suoi genitori si chiamavano Josep e Francesca. Fin da piccolo fu in contatto con i Missionari Clarettiani, che avevano una casa a La Selva dal 1868. Faceva il chierichetto, aiutava il Fratello sagrestano e cantava con una voce stupenda nel coro della Chiesa di Sant’Agostino, affidata ai Missionari. A diciassette anni chiese di essere Missionario Clarettiano come Fratello Aiutante. Quello che più gli interessava era essere missionario, meglio ancora in terra di missione. Il Noviziato lo fece a Cervera, e questa fu la sua prima destinazione come incaricato della sartoria. Si distinse sempre per la sua laboriosità e il buon carattere ed era molto apprezzato per la sua vita attiva e pia. Nel 1903, mentre si trovava a Zafra, ricevette la destinazione tanto attesa di andare nelle missioni di Fernando Poo. Il Fratello Andreu Felíu, esperto in varie mansioni, lavorò come sarto, sagrestano, infermiere molto caritatevole con i malati, contadino ideale per la campagna, e incaricato della pulizia e dell’ordine domestico. Era il servo affidabile di tutti, in qualunque necessità. Nel 1934 dovette tornare in Catalogna per motivi di salute. Il carcere della nave da carico Fr. Antoni Vilamassana e P. Frederic Vila In tutta la Catalogna divenne celebre il carcere galleggiante stabilito all'interno del bastimento Cabo Cullera e trasferito molto presto a un altro bastimento più grande, il Río Segre, che aveva una stazza di 5.000 tonnellate. Nave da carico Rio Segre Non è difficile immaginare quali erano le condizioni di vita di quel luogo. Isolamento totale da parenti e amici, un caldo a volte insopportabile in un'estate molto calda, monotonia insopportabile… D’altra parte, la nave offriva distrazioni che in altre carceri sarebbero state un lusso inaspettato. Tra i prigionieri vi erano molti sacerdoti e religiosi, e i laici erano cattolici impegnati che si intrattenevano come potevano sovraccoperta, nonostante la stretta vigilanza dei miliziani che non tolleravano la vista di un rosario (fatto con nodi su una corda!), né tolleravano che le labbra si aprissero per recitarlo… L’ordine era severo: <<Né labbra, né dita, né nodi…>>. I prigionieri solevano riunirsi in piccoli gruppi per rilassarsi cantando, e i più seri, come il nostro Padre Frederic Vila, approfittavano del tempo per tenere conferenze di Morale o di altre discipline cristiane. Saranno dieci i Clarettiani che si succederanno in questo carcere così poco appetibile, anche se soltanto due di loro pagheranno con la morte: il Fratel Antoni Vilamassana e il P. Frederic Vila. ANTONI VILAMASSANA CARULLA Antoni Vilamassana nacque a Massoteres, provincia di Lleida, territorio della Segarra, il 29 gennaio 1860. I suoi genitori si chiamavano Antoni e Josepa. A 23 anni entrò nella Congregazione dei Missionari Figli del Cuore di Maria, e quattro anni dopo fu destinato alle difficili Missioni di Fernando Poo. Il Fratel Antoni si distinse per la sua serietà, per la sua dedizione al lavoro e per il suo spirito religioso. Per due anni fu l'incaricato del terreno di Banapà (1915-1916). Questi due anni minarono la sua salute: il clima tropicale, ill sole, le piogge e la stanchezza pesarono molto sul suo organismo e lo costrinsero a fare ritorno in Catalogna, dove fu destinato alla Comunità di Tarragona. Lì continuò a lavorare al pari di un giovane, servendo in ogni modo la Comunità, formata principalmente dai professori clarettiani della Pontificia Università di Tarragona. Quando la persecuzione religiosa disperse la Comunità, si offrì con grande spirito di carità, in quei giorni difficili, di accompagnare il P. Frederic Vila, e entrambi furono arrestati e condotti al carcere galleggiante sulla nave “Río Segre”, ancorata nel porto di Tarragona. Il Fratel Antoni era un missionario tutto d’un pezzo. I suoi settantacinque anni non avevano indebolito affatto la sua costituzione vigorosa né le sue energie nel lavoro. Sulla nave-carcere continuò ad essere pio e servizievole come sempre. Il giorno 25 agosto fu “chiamato”: si confessò e raccolse alcuni oggetti personali e di toeletta, dato che gli era stato comunicato che lo avrebbero trasferito sulla nave Uruguay a Barcellona. Si congedò affettuosamente e uscì tranquillo con la spedizione, che non si diresse verso la Uruguay, ma verso il cimitero di Valls. All'interno del camion furono portate via ventiquattro vittime. All’arrivo a Valls cantarono, lungo la strada che lo attraversava, il Crec en un Déu, l’ineguagliabile Credo catalano, e altri canti religiosi, che strapparono a una vecchietta questo commento, valido come il più brillante panegirico: <<Che canti meravigliosi! Non erano canti di baldoria, ma molto belli, ed era piacevole ascoltarli!>>. FREDERIC VILA BARTOLÍ Il P. Frederic nacque nel comune di El Brull, provincia di Barcellona, regione di Osona, il 3 marzo 1884. I suoi genitori, Antoni e Dolores, educarono i figli nella fede cristiana. Frutto di questa educazione furono la vocazione clarettiana di Frederic e di suo fratello Modest, e quella di tre sorelle che scelsero di prendere l’abito della Domenicane del P. Coll. Frederic trascorse la sua infanzia a Tona prima di entrare nel Seminario di Vic. Più tardi chiese di essere ammesso nella Congregazione dei Missionari Clarettiani. Fu ordinato nel 1907. Dotato di grande volontà e memoria, brillava per la sua intelligenza, rafforzata da conoscenze in ogni ambito, per il suo lavoro come religioso e ricercatore, e per la sua grande attività culturale. Fu professore nei Seminari Clarettiani di Solsona e Cervera e all’Università Pontificia di Tarragona. Qui lo sorprese la persecuzione religiosa del 1936. Rifugiatosi nell’appartamento delle buone sorelle Muntés, il 24 luglio fu fatta una perquisizione, che non ebbe conseguenze. Tuttavia, quando i miliziani se ne andarono, Padre Frederic, che poteva benissimo essere scambiato per il padrone di casa, si dimenticò del consueto <<Salute!>>, come richiedevano le circostanze, e li salutò dicendo <<Addio!>>. Fu questo dettaglio a essergli fatale. I miliziani lo arrestano, lo condussero al Commissariato, e da lì, reo di essere sacerdote e religioso, lo rinchiusero sul Cabo Cullera, per poi trasferirlo, due giorni dopo, sul Rio Segre. Nei suoi appunti personali, il P. Vila lasciava trasparire il dolore e l’angoscia che a volte si impadronivano di lui, ma anche la pace della sua anima e la consolazione che gli procurava la vicinanza dei suoi fratelli di Congregazione. Dietro suggerimento del Comandante, il Padre fece una richiesta di libertà, e la ottenne grazie all'intervento di Durán, L’Archivista di Catalogna. Purtroppo, però, quando gli portarono l'atteso ordine di liberazione, l'undici novembre, era già troppo tardi. Quelli della F.A.I. (Federazione Anarchica Iberica) li avevano raggiunti nella notte. I prigionieri furono prelevati dai loro giacigli con grida e calci e i miliziani lessero la lista di chi avrebbe fatto parte della spedizione successiva: 24 nomi in tutto. I prigionieri, sul ponte della nave, iniziarono a recitare tutti insieme un salmo che, secondo quanto afferma un testimone, sembrò essere il Miserere. Portati in camion sino alla cittadina di Torredembarra, e messi in fila davanti alle mura del cimitero, tutti esalarono il loro ultimo respiro con un trionfale <<Viva Cristo Re!>> Il Padre Frederic Vila fu una figura esemplare tra i clarettiani di Catalogna. Professore qualificato, scrittore, ricercatore paziente e custode dei ricordi clarettiani e della congregazione… Ma, soprattutto, era un’anima di squisita sensibilità e bontà che conquista. Il 21 giugno 1959 la sua salma fu trasferita nella cappella della Chiesa di Sant’Agostino a Tarragona. SANT’ANTONIO MARÍA CLARET, FONDATORE DEI MISSIONARI FIGLI DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA (MISSIONARI CLARETTIANI) ANTONIO MARÍA CLARET nacque a Sallent (Barcellona) nel 1807. Missionario Apostolico instancabile, percorse la Catalogna e le Canarie predicando le missioni popolari. Fondatore dei Missionari Clarettiani, Arcivescovo di Cuba e Confessore della regina Isabella II, che accompagnò anche nell’esilio. Un sanguinoso attentato subito ad Holguín (Cuba) gli permise, davanti ai Padri del Concilio Vaticano I, di dire come san Paolo: <<Porto le cicatrice di Nostro Signore Gesù Cristo nel mio corpo>>. Morì a Fontfroide (Francia) il 24 ottobre 1870. Pio XII proclamò santo il Claret il 7 maggio 1950 e di lui disse: “Anima grande, nata per appianare i disaccordi… Forte di carattere, ma con la soave dolcezza di chi conosce l’austerità e la penitenza; sempre alla presenza di Dio anche in mezzo alla sua prodigiosa attività; calunniato e ammirato, osannato e perseguitato. E, tra tante meraviglie, come luce soave che illumina tutto, la sua devozione alla Madre di Dio”. Congregazione Martire La Congregazione dei Missionari Clarettiani fu, tra le congregazioni religiose spagnole, quella che subì maggiormente la persecuzione del 1936, che la privò di 271 membri. Pochi anni prima, in Messico, aveva già pagato un tributo con il martirio del Beato Andrés Solá. Qui di seguito vengono presentati presentiamo i diversi gruppi di martiri clarettiani, alcuni dei quali sono già stati beatificati, mentre per altri è in corso la causa di canonizzazione. I Beati Martiri Clarettiani di Barbastro I Martiri Clarettiani di Barbastro, 51 in tutto, scrissero una pagina gloriosa dell’eroismo cristiano. Nell’estate del 1936, in un seminterrato con finestre rasenti la strada, soffrirono indicibili sofferenze per venti lunghi giorni. La forza dell’Eucaristia e la devozione alla Vergine permisero loro di mantenere un volto sereno e la pace del cuore, mentre pregavano per tutti e perdonavano coloro che stavano per ucciderli: “Moriamo perdonando coloro che ci tolgono la vita e la offriamo per l’ordine cristiano nel mondo operaio, per l’avvento definitivo della Chiesa Cattolica, per la nostra amata Congregazione e per le nostre amate famiglie”. Giovanni Paolo II li definì Seminario martire il giorno in cui proclamò Beati il P. Felipe de Jesús Munárriz e i 50 compagni Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria (25-10-1992). Beato Andrés Solá, martire in Messico Andrés Solá nacque a Taradell (Barcellona), nella Piana di Vic, nel 1895. Fu inviato in Messico come missionario nei difficili anni in cui, sotto la presidenza del Generale Calles, non era permesso ai sacerdoti stranieri di esercitare il ministero sacerdotale. Il P. Andrés, ignorando tale proibizione, <<portava molte comunioni, faceva molte Ore Sante, si sacrificava mettendo in pericolo la propria vita>>. Accusato ingiustamente, insieme al sacerdote Trinidad Rangel e al laico Leonardo Pérez, di aver partecipato al deragliamento del treno che andava da Città del Messico a Ciudad Juárez, fu ucciso insieme agli altri due nel Rancho de San Joaquín, Lagos del Moreno (Jalisco). Durante la sua agonia il P. Solá non cessava di ripetere: Gesù, misericordia! Signore, muoio per la tua causa! E dite a mia madre che ha un figlio martire. I tre “Martiri di San Joaquín” furono beatificati a Guadalajara (Messico) il 20 novembre 2005. Beati Martiri di Sigüenza - Fernán Caballero e Tarragona Insieme a un numeroso gruppo di Martiri spagnoli del XX Secolo i Martiri di Sigüenza-Fernán Caballero e di Tarragona saranno glorificati dalla Chiesa a Tarragona il 13 ottobre 2013. Servi di Dio Mateo Casal e 108 Compagni Questo gruppo è formato da clarettiani appartenenti a diverse comunità: Barcellona, Lleida, Solsona, Vich, Santander e Valencia. Tutti morirono eroicamente a causa della loro fede, perché erano religiosi, e sono inseriti nella medesima Causa di canonizzazione. Tra questi, è opportuno mettere in risalto gli Studenti di Filosofia del Seminario clarettiano di Cervera, altro Seminario martire. Alla comunità di Cervera apparteneva anche il Fratel Fernando Saperas, conosciuto come “il martire della castità”, che per quindici lunghe ore soffrì le umiliazioni più inimmaginabili nei postriboli di Cervera e Tárrega. Fucilato alle porte del cimitero di questa piccola città, i suoi resti riposano nella Chiesa parrocchiale di Santa Maria de l’Alba, dove il 13 di agosto gli si rende un emozionante tributo e si prega per la sua imminente glorificazione. Ai quattro gruppi precedenti bisogna aggiungere più di 80 clarettiani che, senza essere inseriti nel processo di beatificazione, meritano tutto il nostro affetto e venerazione perché anche loro soffrirono a motivo della fede. ______________ Un ringraziamento speciale ai PP. Federico Gutiérrez e Pietro García, clarettiani, i cui scritti sui martiri sono serviti come base per elaborare questo libretto. Indirizzi Web: www.claret.org www.claretianosbetica.org www.claretians.cat jesusanibalgomez.blogspot.com claretsdd.blogspot.com Postulazione Generale-Roma : [email protected] Vicepostulazione-Siviglia: [email protected] Vicepostulazione-Barcellona: [email protected]