Vicente Pecharromán Tristán, CMF
Donarono
la loro vita
per Cristo
I Beati Martiri Clarettiani
di Sigüenza, Fernán Caballero e
Tarragona
MISSIONARI CLARETTIANI
DONARONO LA LORO VITA PER
CRISTO
I 23 Beati Martiri Clarettiani
di Sigüenza, Fernán Caballero e
Tarragona
Giuseppe Maria Ruiz Cano,
Tomás Cordero Cordero, Jesús Aníbal Gómez Gómez,
Primitivo Berrocoso Maillo, Vicente Robles Gómez,
Gabriel Barriopedro Tejedor, Claudio López Martínez,
Ángel López Martínez, Antonio Lasa Vidaurreta,
Melecio Pardo Llorente, Antonio Orrego Fuentes,
Otilio del Amo Palomino, Cándido Catalán Lasala,
Ángel Pérez Murillo, Abelardo García Palacios,
Felipe González de Heredia,
Antoni Capdevilla Balcells, Jaume Mir Vime,
Sebastiá Balcells Tonijuan, Pau Castellá Barberá,
Andreu Felíu Bartomeu, Antoni Vilamassana
Carulla, Frederic Vila Bartrolí,
MISSIONARI CLARETTIANI
Secolo XX, “il secolo dei martiri”
I 23 Martiri Clarettiani, il cui profilo si raccoglie in queste pagine,
appartengono al gruppo di Martiri del XX secolo, che il 13 ottobre
2013 saranno beatificati a Tarragona. Tutti loro, come recita il motto
della festa di beatificazione, furono “saldi e valorosi testimoni della
fede”. Morirono perdonando, per questo, sono martiri di Cristo, che
sulla Croce perdonò ai suoi persecutori. Celebrando la loro memoria
e affidandosi alla loro intercessione, la Chiesa desidera essere
seminatrice di umanità e di riconciliazione. Come modelli di fede e,
pertanto, di amore e di perdono, essi ci aiuteranno a professare con
integrità e valore la fede di Cristo.
(Cf. CI Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale Spagnola, I
martiri del XX secolo, saldi e valorosi testimoni della fede -19 aprile
2013)
I luoghi della testimonianza dei Martiri
di Sigüenza, Fernán Caballero e Tarragona
MARTIRI CLARETTIANI
DI SIGÜENZA E FERNÁN CABALLERO
Martiri di Sigüenza y Fernán Caballero
Quadro del pittore sivigliano Diego Coca Morales
Padre José María Ruiz Cano, di 29 anni, è protagonista di
un'emozionante storia di martirio nella città di Sigüenza. La sua
causa di canonizzazione si accompagna a quella dei Martiri di Fernán
Caballero, un gruppo formato da 14 giovani tra i 20 e i 26 anni,
prossimi all’ordinazione sacerdotale, e dal Fratel Felipe González, di
47 anni. Ad accomunarli, gli stessi sogni giovanili di fede e
generosità, stroncati con la stessa arma della violenza Il Papa
Emerito Benedetto XVI, il 1 luglio 2010, ha riconosciuto i sedici
Missionari Clarettiani come martiri della Chiesa per aver
testimoniato la propria fede con il dono della vita.
Le storie di questi giovani uomini sono storie che parlano di morte,
ma anche di amore e di perdono nei confronti di chi toglie la vita,
sulla scia di una non facile logica evangelica, espressa nel Vangelo di
Giovanni: Se il chicco di grano non muore, non può portare frutto
(Gv 12,24).
José María Ruiz Cano, martire di Sigüenza
Il Padre José María Ruiz è l’unico sacerdote del gruppo dei Martiri di
Sigüenza e Fernán Caballero. Nacque a Jerez de los Caballeros
(Badajoz) il 3 settembre 1906. Quattro giorni prima del suo
quattordicesimo compleanno, entrò nel Seminario Minore Clarettiano
di Don Benito. Ritornò alla sua città natale, Jerez, nel 1923, per fare
l'anno di Noviziato e frequentare i tre anni di filosofia. Di animo
generoso e amabile nel rapporto con gli altri, aveva una grande
devozione per la Vergine Madre, che espresse in una frase scritta
durante il Noviziato, nel decimo anniversario della sua Prima
Comunione: <<7 giugno 1914 – 7 giugno 1924! Che giorno felice
per me! Nello stesso giorno in cui si compie il decimo anniversario
della mia Prima Comunione, mi sono consacrato interamente a Voi,
Madre. Che gioia! ‘Totus tuus sum ego’! (Sono tutto tuo)>>.
José María compì gli studi di teologia a Zafra, e fu ordinato sacerdote
a Badajoz il 29 giugno 1932. Appena ordinato, iniziò in Aranda de
Duero (Burgos) l’anno di preparazione al ministero sacerdotale e
missionario. L’anno anno seguente fu destinato a Sigüenza
(Guadalajara) come aiutante del Prefetto del Postulantato che si
trovava nel Palazzo degli Infanti, passando nel 1934 ad assumere
l’incarico di responsabile formatore del gruppo di 60 seminaristi, di
età compresa tra i 12 e i 16 anni.
A Sigüenza il P. José María fu sorpreso dai tragici giorni della
persecuzione religiosa del 1936.
La vita breve e semplice del P. José María Ruiz era animata da un
vigoroso entusiasmo che ruotava attorno a una piena identificazione
con la sua vocazione di sacerdote Missionario Figlio del Cuore di
Maria, e plasmata dai suoi grandi amori: Cristo, il Cuore di Maria e i
seminaristi che gli furono affidati come formatore.
La vita a Sigüenza proseguì tranquilla fino al 25 luglio 1936, quando
la situazione divenne estremamente difficile. Il Vescovo e quattro
clarettiani collaboratori nel Seminario diocesano furono arrestati e
condannati a morte. Prima di questi avvenimenti, il P. José María
riunì i suoi seminaristi in cappella; <<Saranno state le ore
tredici>>, dice il cronista testimone dei fatti. -<<Voleva farci
coraggio, ma non poté trattenere le lacrime>>. Padre José María si
espresse così:
<<Non è successo nulla di grave, ma per prepararci quello che
potrebbe accadere, devo comunicarvi con profonda pena che il
Collegio verrà chiuso per alcuni giorni. Non piangete. Per adesso
non succede niente. I Superiori hanno preso questa decisione per
precauzione… Uscirete a gruppi verso i villaggi vicini, poiché tutti si
sono offerti per darvi ospitalità…>>
Presiedeva questa scena così difficile da descrivere una bella
immagine del Cuore di Maria con il Bambino tra le braccia. Ad essa
il Padre indirizzò la sua preghiera: <<Oh mia Signora! Oh Madre
mia! Ricordatevi che sono tutto vostro, conservatemi e difendetemi
come cosa e proprietà vostra!>>. E poi, in ginocchio e con le
braccia aperte e tese verso la Vergine esclamò: <<Se volete, o Madre,
una vittima, sono qui; prendete me, ma non permettete che succeda
qualcosa a questi innocenti che non hanno fatto male a nessuno>>.
Iniziò l’esodo del Seminario. Il Servo di Dio si mise a capo del
gruppo dei più giovani. <<Addio, Padre, a presto!>>, così lo salutò
il Fratel Víctor. <<In cielo!>>, rispose il Servo di Dio, e si
incammino verso Guijosa, a circa 7 Km da Sigüenza.
Arrivarono a Guijosa sul far della sera e furono accolti a braccia
aperte dal parroco e da tutto il vicinato. Qualcuno propose al Padre
che, visto che i ragazzi erano in salvo, sarebbe stato meglio per lui
fuggire e salvare la vita. La risposta, ripetuta più volte, fu sempre la
stessa: <<Anche se mi prendono e mi uccidono, non lascio i
ragazzi>>.
A Guijosa vennero a cercare il “Padre dei ragazzi che erano fuggiti
da Sigüenza”. Il giorno 27, poco prima del pranzo, arrivarono al
villaggio sette macchine delle milizie rivoluzionarie. Un miliziano di
Sigüenza disse: <<Questo è il Padre>> e il Padre esclamò:
<<Vergine del Carmelo, salvate la Spagna; muoio contento>>.
Per un’ora lo tennero prigioniero in una macchina affiancata da due
miliziani. I seminaristi si stavano incamminando verso il refettorio…
<<Non abbiate paura, non è niente. Muoio contento>>, diceva ai
suoi ragazzi.
La Chiesa di Guijosa e la Croce sul Monte del Otero
Dopodiché, alcuni miliziani che avevano profanato la Chiesa
trascinarono di malo modo un’immagine del Bambino Gesù e, con
sfrontatezza, la lanciarono a P. José María, dicendogli: <<Prendi,
perché tu muoia ballando con lui>>.
Il Padre se la strinse amorevolmente al petto, ma il miliziano gliela
strappò dalle mani e la gettò a terra.
La macchina si rimise in marcia… il Padre si congedò dicendo:
<<Addio, figli miei!>>, e benedì i suoi ragazzi. Poco dopo, il corteo
di macchine arrivò ai piedi del monte Otero, a metà strada tra
Guijosa e Sigüenza.
Al servo di Dio fu ordinato di scendere. Il Padre intese l’ordine,
perdonò i suoi nemici e iniziò, pellegrino del cielo, la salita all’Otero.
Si sentì una scarica di fucili e il nostro martire cadde a terra con le
braccia aperte, come in croce. Era l’una del pomeriggio del 27 luglio
1936. Uno dei miliziani avrebbe commentato, più tardi: <<Come
quel frate che stava con questo ragazzi, che persino diceva che ci
perdonava mentre lo stavamo uccidendo>>.
Ai piedi dell’Otero, sul luogo del martirio, è stata eretta una croce a
perpetua memoria.
Tomás Cordero, Jesús Aníbal Gómez
e 13 compagni
Con la croce da Zafra a Fernán Caballero
Il clima di violenza contro i residenti del Seminario Clarettiano di
Zafra iniziò a percepirsi appena terminarono le elezioni del febbraio
1936. Alla fine di aprile il Padre Provinciale ordinò di lasciare la casa
e di recarsi a Ciudad Real, nella speranza di trovare nella capitale
della Mancia una situazione più favorevole. I seminaristi trovarono
alloggio presso una Casa per esercizi ceduta ai Clarettiani dal
Vescovo Don Narciso Esténaga; questa, tuttavia, non aveva le
condizioni necessarie per riceverli. La loro presenza al centro della
città creava nuove difficoltà ai suoi residenti.
Il Teologato di Zafra e la Casa di Esercizi di Ciudad Real
Jesús Aníbal Gómez, colombiano, scriveva così ai suoi familiari:
<<Non abbiamo un orto, e per il bagno ci arrangiamo come
possiamo… Da quando siamo arrivati non siamo mai usciti a fare
una passeggiata: di fatto viviamo un clausura strettamente papale;
questo esigono le circostanze. Per quello che ho detto, potete capire
che non siamo a Jauja (ricca regione del Perù) e che non abbiamo
altro da offrire al Signore>>.
Si respirava aria di martirio, e i seminaristi furono ben presto sospesi
da un assalto alla casa. Il Padre Superiore scriverà più tardi:
<<Furono quattro i giorni di prigionia per le quattordici vittime
sacrificate il 28, sei per le altre. È del tutto impossibile descrivere
quello che passammo durante quei giorni>>.
La situazione andò peggiorando in quel carcere che era diventato la
propria casa, fino al punto che <<portarono donne di strada e le
vedevamo passeggiare e avvicinarsi in modo provocatorio alle
nostre stanze, con le berrette e i paramenti sacri... Tutti eravamo
preparati alla morte, che vedevamo molto vicina… Sopportavamo le
vessazioni e le privazioni con rassegnazione e mansuetudine e con
commiserazione per i persecutori>>.
Nel tentativo di abbandonare quel luogo di supplizio, il P. Superiore
ottenne dal Governatore civile i salvacondotti necessari per rifugiarsi
a Madrid o dove era più conveniente. La prima spedizione si preparò
per il giorno 28 luglio: fu proprio quella a cui presero parte i nostri
martiri. <<Fate un buon viaggio!>>, gli augurarono quelli che
rimanevano.
Si recarono alla stazione di Ciudad Real con diverse macchine e
accompagnati dai miliziani. All’arrivo si levò un grande schiamazzo
e si udirono voci dire: <<Uccideteli. Sono dei frati. Non lasciateli
partire. Uccideteli!>>. Il treno partì in direzione di Madrid, ma le
minacce divennero fatti a 20 Km dalla capitale, nella stazione di
Fernán Caballero.
Memoriale sul lastricato dell’antica Stazione Ferroviaria di Fernán
Caballero
Un viaggiatore di quel treno racconta così la scena a cui assistette:
<<Ordinarono ai frati di scendere, dicendo loro che erano giunti a
destinazione. Alcuni scesero spontaneamente dicendo: “Sia fatta la
volontà di Dio, moriremo per Cristo e per la Spagna”. Altri opposero
resistenza, ma con il calcio dei fucili li obbligarono a scendere. I
miliziani si misero vicino al treno e i frati di fronte a loro. Alcuni dei
frati stesero le braccia, gridando Viva Cristo Re e Viva la Spagna!
Altri si coprirono il volto, altri ancora abbassarono la testa. Uno di
loro, che era di corporatura minuta, dava coraggio a tutti.
Iniziarono le scariche di fucile e tutti i frati caddero a terra… Alcuni,
alzandosi con le braccia tese verso il cielo, gridavano “Viva Cristo
Re!”, ma i miliziani spararono ancora ed essi caddero>>.
Nel mucchio sanguinante di cadaveri, Cándido Catalán rimase ferito
molto gravemente; morì alcune ore più tardi. <<Il suo aspetto
manifestava una rassegnazione meravigliosa, non si sentì alcun
lamento…>>, disse il medico che si prese cura di lui alla stazione.
È doveroso sottolineare che, in mezzo a tanto dolore, non mancarono
angeli di consolazione. Il P. Federico Gutiérrez, nel suo libretto I
martiri Clarettiani di Sigúenza e Fernán Caballero, raccoglie una
confidenza che gli fece Carmen Herrera, figlia del Capo della
Stazione: <<Io e la moglie del capotreno, Massimiliana Santos,
aiutammo i medici a curare il ferito. Io portai acqua calda per
lavargli le ferite e la moglie del capotreno procurò un lenzuolo per
fare bende. Alla stazione io gli diedi da bere…>>.
TOMÁS CORDERO CORDERO
Tomás
Cordero
nacque l’8 giugno
1910 a Robledino de
la
Valduerna,
provincia di León,
della
diocesi
di
Astorga.
I
suoi
genitori
si
chiamavano Vicente
e Tomasa, lavoratori
dalla vita semplice e
dalla
profonda
religiosità. Tomás era
il maggiore di sei fratelli, così come fu il più grande del gruppo dei
compagni martiri di Fernán Caballero.
Come ispirato dal Signore, Tommaso comprese subito che questo
privilegio richiedeva una grande responsabilità. In una sua nota, il
parroco espresse molto bene l'indole del ragazzo: <<A scuola è il
primo; in Chiesa il più esemplare>>.
Di forte impatto emotivo è uno scritto di suo padre: <<Dio gli diede
in dono la dolcezza di un fanciullo e la purezza di un angelo. Mi
chiese il permesso di diventare missionario e, in quel momento,
molto difficile per me perché avevo perso la mia sposa, mi opposi ai
suoi desideri, poiché Tomás era l’unico sostegno per la famiglia; ma
egli mi diede motivi così validi che io stesso lo accompagnai al
Postulantato dei Missionari a Plasencia il 10 ottobre 1924>>.
Vi rimase due anni, poi passò a Don Benito e più tardi al Noviziato
di Jerez de los Caballeros dove fece la professione perpetua il 15
agosto 1929. Nella stessa città iniziò gli studi di Filosofia.
Tomás era di animo generoso ed era felice che i suoi compagni
usufruissero di tutto ciò che era suo. La nota che il suo formatore
scrisse di lui durante gli anni di Filosofia è la seguente: <<Il Signor
Tomás Cordero è un soggetto molto raccomandabile, pio, sensibile,
obbediente, diligente, dedito in modo autentico alle virtù>>.
Nel dicembre del 1932 ricevette gli Ordini Minori, nel Teologato di
Zafra. Il Servo di Dio cresceva in sapienza mentre coltivava i propri
sentimenti spirituali e accresceva la sua devozione alla Vergine. Le
seguenti parole sono una chiara testimonianza del suo amore al
Cuore di Maria: <<Schiavitù d’amore. Lo schiavo si inchina davanti
alla Regina, ma il figlio si china sul petto della Madre per attingere
da lì le tenerezze del suo Cuore>>. Il più tenero abbraccio materno
della Vergine lo ricevette a Fernán Caballero, all’età di 26 anni.
JESÚS ANÍBAL GÓMEZ GÓMEZ
Jesús Aníbal nacque il 13
giugno 1914 nella città
colombiana di Tarso
(Antioquia), della diocesi
di Jericó.
I suoi genitori, Ismael e
Julia, erano cristiani con
un'intensa vita spirituale
e
occupavano
una
posizione sociale di un
certo livello. In casa si
recitava il Rosario tutte
le sere, e in collegio dicevano che era un ragazzo di grande pietà.
All'età di 11 anni, Jesús Aníbal entrò nel Seminario Clarettiano di
Bosa. Durante il noviziato il suo comportamento fu così esemplare
che il Padre Maestro era convinto avesse che avesse trascorso l’anno
senza commettere una sola colpa in modo consapevole.
Il giorno della sua Professione perpetua, Jesús scrisse: <<Sono già
vostro apostolo, Cuore di mia Madre. Non desidero la vita se non è
spesa per amarti>>. E come sua massima scelse la seguente:
<<Appassionarmi di Gesù>>. Nonostante provenisse da una
famiglia ricca e distinta, Jesús Aníbal preferì sempre la povertà più
stretta, la semplicità e l’umiltà.
A 21 anni fu inviato in Spagna per iniziare i suoi studi di teologia e
ricevere l’ordinazione sacerdotale. Nel novembre 1935 giunse al
Teologato di Zafra, in Estremadura. La sua permanenza a Zafra fu
di breve durata, poiché il 1° maggio 1936, davanti alle minacce
rivoluzionarie che si ripetevano quotidianamente, la Comunità fu
sciolta e i suoi membri dovettero trasferirsi nella capitale della
Mancia, Ciudad Real, per poter terminare il travagliato corso di
Teologia. I dissapori proseguirono fino al 24 luglio, quando fu
assalito il convento e Jesús Aníbal fu fatto prigioniero nella sua
stessa casa insieme ai suoi compagni.
Un episodio, avvenuto durante la prigionia, riflette il coraggio di
Jesús Aníbal. Quando un miliziano, avendo saputo che era
colombiano, lo apostrofò dicendo: <<E sei venuto da così lontano
per farti frate?>>, Jesús Aníbal rispose: <<Sì, e con molto
piacere>>. Il miliziano lo colpì con il fucile ed egli tacque per
prudenza.
Fu fucilato a Fernán Caballero all’età di 22 anni.
PRIMITIVO BERROCOSO MAİLLO
Primitivo nacque il 19
febbraio 1913 a Jerte,
provincia di Cáceres,
nella
diocesi
di
Plasencia. Entrò nel
Postulantato
dei
Missionari Clarettiani a
tredici
anni.
A
diciassette
anni
pronunciò i suoi voti
religiosi e, nel giugno
del 1935, ricevette la
Tonsura e gli Ordini minori dell’Ostiariato e del Lettorato.
La fanciullezza del nostro Servo di Dio ebbe pochi momenti felici.
Prima della sua nascita i suoi genitori si videro costretti ad emigrare
in Argentina per guadagnarsi da vivere. Durante il viaggio suo padre,
Primitivo, morì, e la madre Antolina fece ritorno in Spagna, nella
casa dei nonni, ancora più poveri di prima. Proprio a Jerte, un mese
dopo il suo rientro dall'Argentina, nacque suo figlio Primitivo.
Antolina si risposò e il piccolo fu allevato dai nonni.
Don Rámon, parroco del paese, raccontava: <<Un giorno chiesi se
c’era un bambino che poteva farmi da chierichetto e mi
presentarono “Tivo”, come lo chiamavano in famiglia. Ben presto
compresi che andava maturando in lui la vocazione sacerdotale. Lo
feci vivere con me e in otto mesi imparò l’Analisi logica e la Sintassi
latina. Il suo carattere si andava formando. E, quando aveva
appena compiuto tredici anni, lo affidai al Superiore dei Figli del
Cuore Immacolato di Maria di Plasencia, con queste parole: <<Qui
le consegno un futuro Generale dell’Ordine>>, tale era il mio affetto
verso quel bambino...>>.
Primitivo – secondo le notizie che ci arrivano - era esemplare in
tutto; la sua pietà era solida e grande la sua devozione alla Vergine. È
certo che ebbe vivo il desiderio del martirio fin dalla tenera età. Il
suo Maestro di Noviziato scrisse in una nota: <<E’ uno degli
Studenti più completi che abbia mai conosciuto; salute robusta, bella
voce,grandi ideali missionari, particolarmente portato per la
composizione letteraria, tanto che alcuni suoi lavori sono stati
premiati ai Concorsi Mariani>>.
Il 2 luglio 1936 chiese di ricevere gli ultimi due Ordini Minori
durante l'Ordinazione che si sarebbe tenuta il 25 dello stesso mese.
Non fu possibile. Al posto degli Ordini Sacri ricevette la palma del
martirio, insieme ai suoi compagni a Fernán Caballero. Aveva 23
anni.
VICENTE ROBLES GÓMEZ
Vicente Robles nacque
a
Villanueva
del
Conde (Salamanca), il
25 aprile 1914. Entrò
nel Postulantato dei
Missionari Clarettiani
a Plasencia a 11 anni,
e a 17 pronunciò la
professione religiosa a
Salvatierra (Álava). I
suoi genitori, Pedro
Ignacio e Fernanda,
erano una famiglia di
lavoratori con una fede
solida: <<L’ambiente
familiare era molto cristiano; mia madre pregava per la vocazione
dei suoi figli>>.
Il Maestro dei Novizi scrisse una nota di elogio sulle qualità del
servo di Dio: <<Il Sig. Vicente Robles è un vero gioiello: di grande
talento molto diligente, laborioso, costante, preciso. È molto pio e ha
lavorato sulla virtù con ardore e costanza insuperabili. È di buon
carattere e gode di buona salute>>.
I tristi avvenimenti del maggio 1931, l’incendio dei conventi e la
persecuzione religiosa senza scrupoli, costrinsero i superiori a
sciogliere il Noviziato. Insieme a suo fratello Agapito, già Studente
di Teologia, dovette tornare nel paese natale, in attesa di tempi
migliori. <<In paese –dice suo fratello- osservavamo gli atti di pietà
come se stessimo nella Congregazione: meditazione, santa messa,
comunione, lettura spirituale e esame di coscienza, e celebrammo il
mese di maggio con il libro La vera devozione alla Santissima
Vergine, di Grignon de Monfort>>.
Il Padre Augusto Andrés Ortega, suo Direttore spirituale durante gli
anni di filosofia a Plasencia, non risparmia lodi su Vicente Robles
nella sua dichiarazione processuale per la Causa di Canonizzazione,
aggiungendo a quanto espresso dal Maestro dei Novizi: «Desidero
esaltare Vicente Robles e Otello del Amo, in particolare Vicente
Robles, al quale non si poteva chiedere di più circa il
perfezionamento della sua vita spirituale… Credo che i due non
cedessero volutamente a peccati veniali… Credo che vivessero
abitualmente la presenza di Dio: erano due anime elette ed
eccezionali, specialmente Robles».
Vicente visse con ammirevole profondità la sua consacrazione al
Cuore di Maria, fino al punto di modificare la sua firma in “Vicente
del Cuore di Maria Robles”, perché voleva che tutti fossero a
conoscenza che ormai non apparteneva più a se stesso ma al Cuore
della Vergine; e nell’intestazione delle sue lettere e scritti appariva il
grido gioioso: Viva mia Madre!
Nel giorno del suo martirio Vicente Robles aveva 22 anni.
GABRIEL BARRIOPEDRO TEJEDOR
Gabriel nacque il
18 marzo 1915 a
Barahona,
provincia di Soria
e
diocesi
di
Sigüenza.
Era
figlio di Mariano e
Asunción, buoni
cristiani. Il piccolo
Gabriele <<a sei
anni
sapeva
perfettamente
rispondere
e
servire la messa e recitare il rosario in parrocchia>>. A dieci anni
divenne alunno interno del Seminario Conciliare di Sigüenza, diretto
dai Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria.
Diversi anni dopo sentì la vocazione alla vita religiosa sacerdotale e
missionaria e decise di entrare nella Congregazione Clarettiana.
Poche vocazioni saranno così duramente provate come la sua. Per tre
anni dovette lottare strenuamente contro l’opposizione dei suoi
genitori ma, quando aveva già terminato il primo anno di Teologia e
aveva ricevuto la Tonsura, <<miracolosamente>>, disse lui, i suoi
genitori cedettero e diedero il loro consenso.
Ebbro di gioia, chiese di poter iniziare il Noviziato e venne accolto a
Salvatierra (Ávala). Il Maestro dei Novizi scriveva: <<Il Novizio
Sign. Barriopedro ha 17 anni compiuti. Si trova con noi da tre mesi e
mezzo. Ha una salute eccellente, è disponibile, docile, austero,
tranquillo: si distingue per i suoi sentimenti socievoli, è amabile,
accondiscendente, benevolo, comprensivo, amante della pace, devoto
e pio: la sua condotta è esemplare>>.
Fece la professione il 29 giugno 1933 a Jerez de los Caballeros.
Passò al Teologato di Zafra per continuare i suoi studi, fino a che,
vittime della persecuzione, tutti gli Studenti furono costretti a cercare
rifugio a Ciudad Real.
La nota caratteristica della sua spiritualità era la devozione al Cuore
di Maria. Alla vigilia della sua professione, scrisse: «La Vergine
Maria per me è tutto… Le difficoltà non mi preoccupano più, né
riescono a rattristarmi le fatiche; nemmeno mi pesano i lavori,
perché basta un suo sguardo per rasserenare e riempire di gioia il
mio spirito». Quando morì, Gabriel aveva 21 anni.
CLAUDIO E ÁNGEL LÓPEZ MARTİNEZ
Claudio López e suo
fratello Ángel entrarono
insieme nel Seminario
clarettiano, professarono
lo
stesso
giorno,
frequentarono negli stessi
anni gli studi teologici e
insieme
furono
martirizzati a Fernán
Caballero.
I due fratelli nacquero a
Mundilla de Valdelucio
(Burgos); Claudio il 18 dicembre 1910 e Ángel il 2 ottobre 1912, in
una famiglia di stimati lavoratori e di buoni cristiani. Il padre si
chiamava Eusebio López Arroyo, e la loro madre, Joaquina Martínez
Val.
I due fanciulli fecero i chierichetti e <<di carattere erano molto
umili e ricevevano la Comunione con frequenza>>. Giunsero al
Postulantato di Plasencia il 22 settembre 1924. Frequentarono il
Noviziato e i tre anni di Filosofia a Jérez de los Caballeros.
Claudio, secondo le note dei Superiori, era un ottimo compagno,
robusto, buono, preciso, pio e di grande fiducia, e si distingueva per
una certa integrità e virilità che, senza volerlo, si imponeva sugli
altri. Ángel era pio, abbastanza esemplare, preciso, diligente e
affidabile, di buona salute, con un talento eccellente e buono di
carattere. Ángel e Claudio – dice un loro compagno di studi, Padre
José Riguera- erano realmente pii ed esemplari. Durante le ore di
silenzio li si vedeva sempre con il Rosario in mano e, tutti i giorni,
senza eccezione, facevano la Via Crucis. Avevano un grande zelo
missionario, soprattutto Angelo, e il loro ideale era di formarsi per
diventare buoni missionari.
Quando nel 1931 vi fu la rivoluzione e fu proclamata la Seconda
Repubblica, Ángel e Claudio tornarono al loro paese. Lì
continuarono con grande edificazione le loro pratiche di pietà e,
ricordando le loro visite da fanciulli, si recarono numerose volte al
vicino Santuario della Vergine de la Vega.
Nonostante i familiari e gli amici sconsigliassero loro di rientrare in
Seminario, Ángel e Claudio non ebbero dubbi. Più tardi, nel 1936, la
persecuzione li costrinse a lasciare Zafra e cercare rifugio a Ciudad
Real.
Fu in questa città che trascorsero i giorni più duri della persecuzione
religiosa, arrivando ad essere prigionieri nella loro stessa casa.
Distribuiti a due a due nelle celle, Ángel López ebbe come
compagno il P. José María Márquez, più tardi vescovo di
Humahuaca (Argentina); questi, durante il processo di
canonizzazione, dichiarò: <<Eravamo preparati alla morte. Del mio
compagno Angelo posso dire che mi esortava a pregare per i
persecutori, per la Spagna, e a perdonare i nostri nemici,
incoraggiandomi>>. In un’altra cella con Claudio stava il Fr.
Gregorio Barriuso: <<Mi incoraggiava e passavamo il giorno e la
notte pregando>>.
La sera del 28 luglio 1936, i due fratelli, sempre insieme, raggiunsero
la gloria del martirio a Fernán Caballero. Claudio aveva 26 anni e
Ángel 24.
ANTONIO LASA VIDAURRETA
Antonio Lasa nacque il 28
giugno 1913, nel piccolo
paese di Loizu (Navarra).
Vari paesini formavano un
agglomerato, e non sempre
era garantita la presenza del
parroco. Per questo, tutta la
famiglia di Antonio si
recava nel paese più vicino
per partecipare alla Messa,
anche quando nevicava. I
suoi genitori, Miguel Lasa e
Josefa Vidaurreta, furono
“cristiani tutto d’un pezzo”.
Ogni quattro anni arrivavano a Erro, centro nevralgico della vallata a
cui apparteneva Loizu, alcuni Padri Missionari. Antonio voleva
diventare come loro, e quando compì undici anni entrò nel
Postulantato di Santo Domingo de la Calzada.
Antonio possedeva un'invidiabile insieme di qualità: intelligenza viva
e forte, buonissima memoria, costanza nello studio, e la sua pietà era
serena e razionale, figlia di una delicata armonia tra testa e cuore. La
nota scritta dal suo Maestro del Noviziato di Salvatierra fu più
sintetica, ma non meno elogiativa: <<Antonio Lasa nell’intelligenza
è meritissimus, ineccepibile, e nella condotta uno dei migliori
Novizi>>.
Terminati i tre anni di Filosofia a Beire e il primo di Teologia a
Santo Domingo de la Calzada, Antonio attraversò un momento di
forte crisi, tra il 1933 e il 1934. Sembra che fossero sorti diverbi tra
lui e il il formatore dei teologi, e questo lo rese abbastanza critico e
polemico. Al termine del terzo anno, ottenne il permesso dei
superiori di passare alla Provincia clarettiana di Bética, che aveva il
suo Seminario a Zafra, dove giunse nel 1935. Antonio si trovò
immediatamente a suo agio con i suoi nuovi compagni, ma i tumulti
sociali fecero sì che il seminario venisse trasferito subito a Ciudad
Real. Qui ricevette la visita di suo fratello, il medico Félix Lasa, che
riassunse così l’incontro: <<L’ho incontrato pochi giorni prima di
essere fucilato. Essendo venuto a conoscenza degli avvenimenti del 1
maggio a Madrid… mi ero recato a Ciudad Real con il proposito di
portarlo via con me>>.
Antonio rimase a Ciudad Real e, il 28 luglio 1936, morì martire a
Fernán Caballero. Aveva 23 anni.
MELECIO PARDO LLORENTE
Meleccio Pardo nacque il 3
agosto 1913 a Bustillo de
Chaves,
provincia
di
Valladolid. I suoi genitori,
profondamente cristiani, furono
Benigno Pardo e Isidora
Llorente.
Melecio entrò nel Postulantato
di Plasencia il 13 ottobre 1926.
I Prefetto affermò che, durante i
suoi anni di studi umanistici, si
distinse per il suo spirito
missionario e per la sua
inclinazione all’esercitazione oratoria che gli serviva per prepararsi
alla predicazione della divina parola. Per quanto non eccellesse nelle
qualità intellettuali, certamente compensava con quelle spirituali per
la sua grande dedizione alla pietà, alla vocazione, alla Vergine e ai
suoi ideali come missionario in paesi poveri di fede.
Il P. Joaquín Alonso, compagno di Melecio sino alle ore precedenti il
martirio, ricordava spesso la triste notte del 12 maggio 1931, in cui
dovettero abbandonare precipitosamente il Noviziato di Jerez…
Dopo aver trascorso alcuni giorni a Los Santos de Maimona, accolti
in casa della sorella di Antonio Orrego, Melecio dovette andare a
Bustillo de Chaves insieme a Otilio del Amo, suo compaesano e
amico fin dall’infanzia.
Colmi di coraggio, entrambi fecero ritorno al convento alla fine di
luglio e Melecio si preparò a fare la Professione il 15 settembre.
Scoppiava di gioia. Quando, alcuni anni dopo, nel 1936, dovettero
lasciare il Teologato di Zafra, Melecio e Otilio del Amo si
rifugiarono per alcuni giorni nella casa dei missionari clarettiani a
Cordoba, finché poterono raggiungere i loro compagni a Ciudad
Real. Qui, Melecio poté terminare il corso, sognando il pulpito:
<<L’Oratoria era la debolezza del Sig. Melecio Pardo. Il pulpito
sarebbe stato il suo luogo ideale>>, si diceva di lui.
Il suo spirito gioviale lo aiutò a sopportare le difficoltà del periodo,
che terminarono con una spietata persecuzione. Il pomeriggio del 28
luglio, mentre sognava di raggiungere la libertà, in cammino verso
Madrid, Melecio Pardo, 23 anni, ricevette la corona dei trionfatori.
La sua voce, addestrata per annunciare la vera libertà, non si
spegnerà mai.
ANTONIO ORREGO FUENTES
Oliva de la Frontera
(Badajoz) fu la culla
del martire Antonio
Orrego. Nacque il 15
gennaio 1915 da Pedro
e
Isabel,
umili
artigiani, di spirito
cristiano
fortemente
radicato. Il padre morì
quando Antonio era
molto piccolo.
Non aveva ancora compiuto gli undici anni, quando entrò nel
Postulantato di Plasencia. Non aveva le qualità per eccellere, ma la
sua mediocrità lo rendeva molto adatto per la virtù e per la vita
missionaria. Iniziò il Noviziato nel 1931, a Jerez de los Caballeros.
Le rivolte sociali costrinsero a chiudere il seminario e Antonio
Orrego, con altri quattro compagni, si rifugiò nel paese di Los Santos
de Maimona, a casa di sua sorella Amelia. Da qui passò a Salvatierra
(Álava) per terminare il Noviziato e ritornare poi a Plasencia per
studiare Filosofia.
Di Antonio si diceva che era pio, obbediente, caritatevole con i suoi
compagni, molto devoto alla Vergine e di condotta impeccabile.
Studiò Teologia a Zafra fino al giorno in cui si vide costretto a
ricorrere all’aiuto di sua sorella a Los Santos de Maimona. Di ciò che
accadde in quel periodo lasciò testimonianza il fratello Octavio:
<<Mia madre gli chiese con insistenza di tornare con lei nella sua
casa a Oliva, dicendogli che stava mettendo in pericolo la sia vita e
che sarebbe stata una grande sofferenza per la famiglia se lo
avessero ucciso. A queste parole, lui rispose: Quale gloria più
grande puoi ottenere tu che avere un figlio martire! >>.
I primi di maggio del 1936 si riunì ai suoi compagni a Ciudad Real.
Terminò il secondo anno di Teologia e si preparò per la Professione
perpetua, che fece il 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, un
mese prima del suo martirio. Il 5 luglio, avendo conosciuta la data
per ricevere gli Ordini Minori, il 25 dello stesso mese, scrisse a sua
madre: «I nostri sogni si stanno convertendo in una bella realtà.
Figlio del Cuore di Maria, e tra pochi giorni riceverò la Tonsura e
gli Ordini minori… e poi Ministro dell’Altissimo».
Antonio Orrego morì martire di Cristo a 21 anni.
OTILIO DEL AMO PALOMINO
Compaesano e compagno di
Melecio Pardo, Otilio del Amo
nacque a Bustillo de Chaves il 2
aprile 1913. I suoi genitori,
Eustasio e Basilisa, erano
<<coniugi
cristianissimi>>.
<<I miei genitori – diceva suo
fratello Eustasio, sacerdote erano di costumi molto
cristiani. Mio padre era un
operaio. Non volevano che
Otello si facesse religioso ma
sacerdote secolare. Mio fratello
era di natura molto pio>>.
Otilio entrò al Postulantato di
Plasencia il 28 settembre 1927.
Terminati gli studi Umanistici, nel 1931, dovette tornare a casa sua e
rimanere per due mesi al suo paese. <<Durante questa permanenza racconta suo fratello - fece nascere in me la vocazione religiosa, che
non accettai per via dell’opposizione dei miei genitori. Mi diceva:
«Non importa che debba sacrificare la vita: se la dono a Dio con il
martirio, meglio»>>.
Riportiamo qui la significativa testimonianza del P. Eladio Riol:
<<Il Sig. Otilio era una caso speciale. Riuniva un insieme di qualità
umane, intellettuali e morali in modo così armonico e così perfetto
da avere autorità evidente anche tra i suoi compagni. Era lo
Studente esemplare e indiscutibile in tutto. Sarebbe stato, senza
dubbio, nominato Superiore al termine dei suoi studi>>.
I tristi avvenimenti di aprile e maggio del 1936 a Zafra non gli
permisero di terminare in pace il suo primo anno di Teologia. A
seguito della chiusura del teologato trovò rifugio presso la casa dei
missionari clarettiani di Córdoba insieme al suo compaesano
Melecio. Pochi giorni dopo, i due ricevettero l’ordine di riunirsi con i
loro compagni a Ciudad Real. Sul treno, Otilio scrisse una lettera a
suo fratello: <<Viviamo come stranieri nella nostra terra: in ogni
parte ci odiano: non possiamo fermarci in nessun posto: in questo
momento viaggio con il treno verso Ciudad Real, da lì forse verso il
martirio; ma Dio sia servito>>. Divenne martire all’età di 23 anni.
CÁNDIDO CATALÁN LASALA
Cándido Catalán nacque a
Corella,
provincia
di
Navarra e diocesi di
Tarazona, il 16 febbraio
1916. I suoi genitori,
Feliciano e Jacinta, erano
una famiglia dotata di solidi
costumi cristiani. A 11 anni
si decise a seguire le orme di
suo zio paterno, il P.
Cándido Catalán Monreal,
allora Superiore Provinciale dei Missionari Clarettiani di Betica,
entrando nel Postulantato di Plasencia.
Fece il Noviziato a Salvatierra (Ávala), professando il 24 ottobre
1931. Di Candido Catalán, quanti lo hanno conosciuto dicono che fu
“un bambino molto bambino” con un marcato infantilismo sino ai 17
anni: fede, candore, indole abitudinaria. Al contrario, nell’anno 1934,
mentre frequentava già gli studi di Filosofia, una nota del Prefetto
presenta un tono molto diverso: «In Cándido Catalán si è visto un
cambiamento molto positivo sia nello studio, che lo ha posto al
primo posto nel suo corso, sia nella virtù». E già nel 1935, all’inizio
del suo primo anno di Teologia, il cambiamento divenne totale: «Uno
studente religiosamente completo, pio, caritatevole, obbediente,
umile, impegnato, ottimista».
Quando si trovava al culmine della sua felicità, sopraggiunsero i
tragici avvenimenti di Zafra e Cándido dovette andare a rifugiarsi
con i suoi compagni a Ciudad Real. Lì terminò il corso, ma i
problemi sociali continuavano a crescere.
Il 28 luglio 1936, Cándido e altri tredici compagni lasciarono Ciudad
Real per dirigersi verso Madrid: possedevano un salvacondotto che,
tuttavia, risultò poco affidabile. Salirono sul treno ma, a pochi
chilometri dalla capitale, furono obbligati a scendere e fucilati alla
presenza degli altri viaggiatori, mentre gridavano:Viva Cristo Re e
Viva la Spagna!.
Cándido Catálan non morì sul colpo, ma rimase ferito gravemente,
circondato dai cadaveri fatti a pezzi dei suoi compagni. Morì sei ore
più tardi, all’ospedale di Ciudad Real: <<Il suo aspetto manifestava
una rassegnazione meravigliosa, non si sentì alcun lamento…>>,
disse il medico che lo assisteva nella stazione.
Il bambino più bambino era il più giovane di tutti i martiri di Fernán
Caballero. Aveva solo 20 anni.
ÁNGEL PÉREZ MURILLO
Ángel nacque il 6 giugno 1915
nella città di Montánchez (Cáceres),
figlio di José Pérez Sánchez e
Josefa Murillo Cortijo.
Sua sorella Matilde racconta che
Ángel imparò a leggere e a scrivere
nella scuola del paese e poi entrò
nel Collegio dei Missionari del
Cuore di Maria a Montánchez.
Circa le prime inclinazioni del
fratello ci dice: <<Fin da piccolo
mostrava inclinazione alla vita
sacerdotale, imitava i gesti dei
sacerdoti, diceva messa, aveva un confessionale… Mio padre si
opponeva strenuamente a che diventasse un religioso, ma mio
fratello rispondeva che, se gli avessero impedito di esserlo, sarebbe
stato il ragazzo più infelice del mondo>>.
Ángel entrò nel Postulantato di Plasencia nell’ottobre del 1928, a
tredici anni. Nel 1931 i disordini e l’incendio dei conventi lo
costrinsero a tornare al suo paese. Successivamente tornò in
seminario, con coraggio e allegria, nonostante avesse dovuto vincere
nuovamente la resistenza di suo padre. Fece il Noviziato a Jerez de
los Caballeros e andò a Plasencia per i tre anni di Filosofia.
Sarebbe difficile aggiungere ulteriori elogi a quelli che i suoi
formatori scrissero su di lui: <<È amabile, benevolo, attento,
condiscendente, pacifico, affabile, allegro, docile e obbediente,
devoto e pio, tranquillo, composto, armonico, ingegnoso, pacato…
Intelligenza eccellente, buona memoria, una grande volontà,
sentimenti di simpatia, di nobiltà, di dignità, di allegria, di scienza e
prudenza, di carità nella sua duplice inclinazione verso Dio e verso
il prossimo>>.
Nell’agosto del 1935 iniziò il primo anno di Teologia a Zafra, e nel
maggio 1936, dopo essersi rifugiato per alcuni giorni nel suo paese,
andò a Ciudad Real per unirsi ai suoi compagni. Ángel, consapevole
del pericolo che li minacciava, disse con voce ferma: «Andiamo
incontro alla morte».
Il 16 luglio 1936, dodici giorni prima del suo martirio, fece la sua
Professione Perpetua. Aveva, allora, 21 anni.
ABELARDO GARCİA PALACIOS
Il piccolo paese di
Villandiego, provincia e
diocesi di Burgos, fu la
culla di Abelardo García,
nato il 15 ottobre 1913. I
suoi genitori, Ángel e
Estéfana, erano operai.
La madre morì quando
Abelardo aveva solo due
anni.
A undici anni entrò nel
seminario clarettiano di Plasencia spinto sicuramente da suo zio, il P.
Ignacio Abad Palacios, il quale morì, martire anch'egli, a Don
Benito. I suoi formatori dei suoi primi anni definiscono Abelardo di
indole docile e paziente. Iniziò il Noviziato con tante illusioni e
gioia, ma non fu ammesso alla Professione.
Iniziò così una nuova tappa della sua vita presso gli Agostiniani;
prima a Uclés e poi a La Vid (Burgos). Da qui, nel 1934, mentre
frequentava gli studi di Filosofia, scrisse chiedendo di essere
riammesso Congregazione dei Missionari Clarettiani: <<Non potete
immaginare il grande amore, che quasi mi conduce al delirio, che io
provo per la Congregazione; giorno dopo giorno e con ansia sempre
maggiore ho desiderato di tornare ad essa>>.
Abelardo chiedeva una risposta urgente giacché si avvicinava il
giorno della sua professione negli Agostiniani. Il Superiore gli
consigliò di non fare la professione, anche se era stato ammesso, e
Abelardo fece ritorno al suo paese senza che fosse giunta la risposta
dei Missionari. Quando finalmente gli arrivò la risposta di
ammissione, si trovava in ristrettezze tali da non aver neppure le
risorse necessarie per recarsi a Jerez de los Caballeros. La
Provvidenza lo aiutò in modo insperato e poté partire per Jerez, dove
iniziò un nuovo Noviziato e fece la sua professione il 3 gennaio
1936: aveva ottenuto ciò che tanto desiderava.
Fece la Teologia a Zafra e da qui passò a Ciudad Real con i suoi
compagni perseguitati. Di fronte ai timori di qualche compagno,
Abelardo disse: <<Bene, e che cosa può accaderci alla fin fine? Ci
uccideranno? Oh, che gioia, se un giorno si leggesse negli Annali
CMF: sono stati fucilati per Dio e per la Congregazione i Signori
Abelardo García, ecc.>>.
Il suo sogno si avverò quando aveva 22 anni.
Due mesi più tardi:
FR. FELIPE GONZÁLEZ DE HEREDIA BARAHONA
Anche il Fratel Felipe
subì il martirio a
Fernán Caballero, non
nella
stazione
ferroviaria, bensì alle
porte del cimitero, il 2
ottobre dello stesso
anno 1936. La sua
causa
di
canonizzazione venne
unita fin dall’inizio a
quella dei 14 studenti
clarettiani della prima
spedizione a Madrid.
Felipe González nacque il 24 maggio 1889 nella città di San Asensio
(La Rioja). I suoi genitori, José ed Ezequiela, si distinguevano nel
paese per la loro bontà, onestà e religiosità, per la carità verso i
bisognosi e per l'ottima educazione che diedero ai loro due figli
Felipe e Salvador.
La famiglia di Felipe mise duramente alla prova la sua vocazione,
come si evince dal seguente scritto: <<I sottoscritti, i genitori del
giovane Felipe González de Heredia dichiarano che, avendolo
sottoposto a quante prove suggeriva loro l'immaginazione per vedere
se la sua vera vocazione era di consacrare la sua vita a un Ordine
Religioso, e avendolo visto sempre risoluto e animato da ancor
maggiore desiderio di questo, sia come padre, sia come fratello, gli
concediamo la più ampia e assoluta libertà perché possa fare la sua
Professione religiosa, essendo il nostro più vivo desiderio che sia per
la maggior gloria di Dio e per l’utilità di tanto Santo e venerato
Ordine>>.
Felipe fece il suo Noviziato a Jerez de los Caballeros e professò il 25
marzo 1909 come Fratello Aiutante. Era giunto alla meta, era ormai
Missionario Figlio del Cuore Immacolato di Maria. Le testimonianze
di quanti lo conobbero coincidono: era un’anima privilegiata, umile,
semplice, servizievole, paziente, amabile e generosa, sommamente
dedito al sacrificio, devoto al Cuore di Maria e alla Congregazione.
Valga per tutte la testimonianza del Cardinale Arturo Tabera nel
Processo di Canonizzazione: <<Il Fratel Felipe, amabile figura di
Fratello Aiutante, semplice, pio, colto, sempre dedito alle faccende
più umili della casa, distaccato da tutte le cose del mondo. Lo
conobbi personalmente e passammo insieme tre o quattro anni al
Teologato di Zafra>>.
Il Fratel Felipe, da Zafra, giunse a Ciudad Real. Il 30 luglio, quando
la seconda spedizione della Comunità partì per Madrid, egli rimase a
Ciudad Real, rifugiato in casa di suo fratello Salvador. Scoperto, fu
portato al Seminario, dove rimase sino al 2 ottobre, quando lo
prelevarono per portarlo su un auto a Fernán Caballero. Quando la
macchina arrivò alla porta del cimitero, il Fratel Felipe si diresse alla
scala della porta, si mise con le braccia a forma di croce e gridò: Viva
Cristo Re e il Cuore di Maria! Una scarica di fucile lo mise a tacere.
Un testimone, che casualmente viaggiava sulla stessa macchina, più
tardi disse: <<Osservai come il Fratello fosse molto sereno in
macchina e il grido di Viva Cristo re e il Cuore di Maria! lo gridasse
con grande forza.>>
Sepolcro dei Martiri
Parrocchia di Sant’ Antonio Mª Claret, Siviglia
MARTIRI CLARETTIANI DI TARRAGONA
I sette Martiri Clarettiani di Tarragona provenivano da due Comunità
vicine tra di loro: Tarragona e la Selva del Camp. Il loro martirio
avvenne in giorni e luoghi diversi.
Martiri clarettiani di Tarragona (Ed. Claret Barcellona)
La Comunità Clarettiana di TARRAGONA, alloggiata in una casa
molto modesta, aveva il privilegio di annoverare tra i suoi ospiti un
gruppo di clarettiani dediti all’insegnamento in Seminario e
nell’Università Pontificia in cui furono sempre professori molto
stimati.
La casa di La Selva del Camp era una Casa Missione e luogo di
riposo per anziani e malati, che lì si sentivano a loro agio. Era molto
cara alla Congregazione perché in essa versò il suo sangue, nel 1969,
il protomartire clarettiano Padre Francisco Crusats, colui che fece
esclamare con invidia a Sant’Antonio María Claret, quando seppe la
notizia della sua morte gloriosa: <<Ah, sapevo che questi mi avrebbe
preceduto!>>.
ANTONI CAPDEVILA BALSELLS
La prima vittima del gruppo
fu
il
Fratello
Antoni
Capdevila, che, nella pienezza
dei suoi quarant’anni, morì
con ammirabile serenità.
Nacque a Espluga Calba
(Lleida) il 27 febbraio 1894. I
suoi genitori si chiamavano
Antoni e Filomena. Il Fratel
Antoni era un vero tesoro per
la vita delle comunità,
specialmente per i suoi servizi
come
sarto.
Fu
anche
professore
alla
scuola
primaria, dove si distinse per la sua serietà e bravura. Meritò sempre
la fiducia di tutti ed era considerato come un modello di spirito
eccezionale.
Quando scoppiò la rivoluzione nel luglio del 1936, il Fratello
apparteneva alla comunità di La Selva del Camp. La sua prima
preoccupazione fu di portare l’anziano e malato Fratel Ramón Garcés
all’Asilo delle Sorelle a Reus. Da lì, il 24 luglio, viaggiava in treno
fino a Borges Blanques per poi percorrere a piedi i 14 chilometri che
lo separavano da Mollerusa, vicina a Lleida, dove viveva la sua
famiglia. Il treno si fermò più del dovuto a Vimbodí per fare il
cambio della macchina, e Antoni scese dal vagone per passeggiare
lungo il marciapiede… Un viaggiatore in malafede nutrì dei sospetti
su di lui e lo fece arrestare. Gli fecero attraversare le strade fino al
Comité, gli rubarono il denaro che aveva con sé e, intorno a
mezzogiorno, lo condussero fino al luogo chiamato il Puntarró,
distante dal paese circa 500 metri.
Prima della fucilazione, con grande serenità, chiese ai suoi assassini:
⁃ Mi concedete di prepararmi per alcuni momenti?
Ottenuto il permesso, si scoprì con calma la testa, si mise a pregare e,
conclusa la sua fervente preghiera, invitò gli assassini a fare il loro
dovere. Prima di morire, attingendo le forze dal profondo della sua
anima missionaria, gridò: <<Viva Cristo Re!>>. Una raffica di spari
lo fece cadere a terra.
Gli umili abitanti del villaggio lo credettero santo fin dal primo
momento e si affannarono a procurarsi piccole pietre bagnate dal
sangue del martire… La glorificazione di Dio era cominciata.
I resti di Fratel Antoni riposano nella Chiesa di Sant’Agostino di
Tarragona insieme a quelli di P. Federico Vila.
JAUME MIR VIME
Il P. Jaume Mir Vime
nacque a Ciutadilla,
provincia di Lleida e
regione
di
Urgell.
Nacque il giorno 22
dicembre 1889. I suoi
genitori,
Jaume
e
Filomena, erano cristiani
esemplari. Ebbero due
figli e quattro figlie, la
più piccola delle quali fu
Carmelitana della Carità.
Pochi giorni dopo la morte del Fr. Antoni Capdevila, esattamente il
29 luglio, morì anche il P. Jaume Mir. Alto, magro, serio, sempre
chino sui libri di Filosofia, era l’incarnazione della Metafisica,
materia che insegnava con estrema competenza. Le sue eccellenti
doti intellettuali e una grande inclinazione allo studio gli avevano
dato una maturità di ingegno al punto che lo si poteva considerare
un’autorità nelle questioni filosofiche più complesse. Fin dal 1932
reggeva la cattedra dei Casi difficili o delle Tesi di Dottorato
all’Università Pontificia di Tarragona
Il suo stile di vita di asceta, sempre silenzioso e riflessivo, lo aveva
reso la comobinazione perfetta di “preghiera, studio e
insegnamento”, un trinomio che lo definiva alla perfezione.
La Rivoluzione scoppiò mentre P. Jaume dirigeva gli Esercizi
Spirituali presso le Sorelle Carmelitane della Carità a Esplugues de
Francolí. Senza sapere il perché, trattò più volte e con incredibile
fervore il tema dei martiri, che riempivano di gloria la Chiesa. Dopo
che fu sciolta la Comunità delle Religiose il 21 luglio, Jaume si
rifugiò con loro nella casa del Cappellano, e lì continuarono i loro
Esercizi Spirituali.
Il martirio del P. Giacomo porta su di sé l’impronta di un vile
tradimento. Dato che voleva trasferirsi a Tarragona, egli chiese al
Comité il lasciapassare corrispondente. Glielo diedero, ma gli stessi
che glielo avevano dato lo richiesero indietro il giorno dopo. Ne
chiese un altro e gli dissero che non ne aveva bisogno, perché essi
stessi lo avrebbero accompagnato al Comité di Montblanc. Il suo
commiato dalle religiose fu cordiale e sereno:
<<Addio! Non c’è nulla da fare. Se non ci vediamo in questa vita,
sarà in Cielo?>>
<<Padre, ci benedica! - risposero le Sorelle - Così avremo la
consolazione di aver ricevuto la benedizione di un martire>>.
I miliziani lo portarono in macchina verso Montblanc, per lasciarlo
alla stazione dei treni. Quella stessa sera del 29 luglio, il cadavere di
P. Jaume entrava nel cimitero di Tarragona.
SEBASTIANO BALSELLS TONIJUAN
Il Fratel Sebastiá
nacque
il
3
dicembre 1885 a La
Fuliola, provincia
di Lleida, regione
di Urgell. Dai suoi
buoni
genitori,
Baltasar
e
Buenaventura,
ereditò
molte
qualità naturali e, soprattutto, un’educazione cristiana che fin da
bambino lo aiutò a crescere nella fede. Dei sei figli nati da quel
matrimonio, una si fece religiosa e due seguirono la vocazione
clarettiana.
La vita di pietà del Fratel Sebastiá si manifestava nel servizio ai
fratelli della comunità, nel fervore spirituale che rendeva più efficace
con il suo buon umore e nelle pratiche di devozione verso Gesù
Cristo e la Madre di Dio, così come nell'eucaristia, la via crucis e il
santo rosario ogni giorno.
Era particolarmente portato per l'insegnamento ai più piccoli, e a
questo compito si dedicò nei collegi di Cervera, La Selva del Camp e
Játiva. Nel 1932 il Collegio di Játiva fu attaccato, e nel marzo del
1936 la comunità fu obbligata ad abbandonare definitivamente la
città. La rivoluzione del mese di luglio sorprese il Fratel Sebastiá a
La Selva del Camp.
Decise di andare a rifugiarsi nella sua casa natale nel paesino di La
Fuliola. Qui trovò rifugiata anche sua sorella religiosa Silveria. Un
giorno, lei gli domandò con curiosità:
<<Quanti rosari hai recitato oggi alla Vergine?>>
<<Ormai sono diciannove>> rispose il servo di Dio. Ed era soltanto
mezzogiorno… Il benedetto Fratello, umile innocente, fervoroso, non
rinunciava mai al rosario e all'ufficio breve della Vergine.
Il giorno 15 agosto, festa dell’Assunzione, i due fratelli religiosi,
Sebastiá e Silveria, furono protagonisti di una scena idilliaca e che
sembrava legata ai ricordi di Benedetto e Scolastica. Era già notte e
dopo la cena le due anime gemelle si intrattennero a parlare di Dio,
del cielo, della gioia di morire martiri per Gesù Cristo. Parlarono,
parlarono, e il tempo passò.
Tre ore dopo aver concluso questo celestiale colloquio, si udirono
alla porta otto colpi di odio, che reclamavano Sebastiá. I miliziani lo
caricarono su una macchina per condurlo, dissero, al Comité di
Tárrega, ma il fratello capì immediatamente che si trattava di una
menzogna.
La macchina procedeva. Rompendo il silenzio, Sebastiá domandò:
<<Volete uccidermi, vero?>>
<<Sì>>, gli risposero.
Di fronte a una tale sincerità, la vittima tolse con calma il rosario
dalla tasca, e inizia a bisbigliare più volte: Prega per noi… nell’ora
della nostra morte.
La macchina si fermò. I miliziani legarono il Fratello a un albero e
gli spararono otto colpi di fucile. Poco lontano, un guardiaboschi
contemplava la scena. La mano del cadavere era ancora stretta
attorno al rosario benedetto fino a quando, poco tempo dopo, il fuoco
alimentato con fasci di erba secca ridusse in ceneri i resti del martire.
I Fratelli Andreu Felíu e Pau Castellá,
figli di La Selva del Camp
I Fratelli Andreu Felíu e Pau Castellá rappresentano un caso di
fraternità umana, religiosa, missionaria e di martirio. I due venerabili
anziani furono un vero tesoro. Nati nello stesse paese, i due
condivisero la stessa vita religiosa nella Congregazione clarettiana;
spesero i loro anni migliori nella dura Missione della Guinea
Equatoriale; insieme trascorsero in pace la loro vecchiaia nella stessa
Comunità, con edificazione di tutti; e la Provvidenza di Dio, che
aveva unito in modo meraviglioso le loro vite, non volle separarli
nella morte e insieme andarono incontro al Signore che offriva loro
la palma e la corona del martirio.
Figli di La Selva del Camp, quando i rivoluzionari sciolsero la
Comunità fecero entrambi ritorno alle proprie famiglie, con le quali
rimasero per tre mesi, fino a quando il Comité di Reus decise di
sconvolgere la quiete degli abitanti della pacifica città vicina e
stesero l’elenco di coloro che dovevano essere fucilati. Un uomo
astuto, vicino de La Selva del Camp, intervenne per far cambiare loro
idea:
⁃ <<Perché non vi accontentate dei Religiosi?>>
Gli unici due religiosi che rimanevano erano i Fratelli Felíu e
Castellá.
Il 26 ottobre i due furono portati a La Riera de la Cuadra, confine del
municipio di Reus, per essere fucilati. Fratel Pau Castellá, avendo
difficoltà a camminare, tardava a salire in macchina: i miliziani,
perciò, lo fecero scendere con uno spintone e cadde bocconi a terra.
⁃ <<Uccidiamolo qui stesso!>>
Così, mentre era steso per terra, lo colpirono con una raffica di colpi
alla schiena.
I due validissimi Missionari morirono per la stessa ragione: perché
erano religiosi.
PAU CASTELLÁ BARBERÁ
Pau Castellá Barberá
nacque il 3 maggio
1862 a La Selva del
Camp
(Tarragona).
Dai suoi genitori, Pau e
Francesca, ereditò un
grande tesoro di qualità
umane e virtù cristiane:
tra queste, una voce
dolce e particolare e un
grande interesse per la
musica.
Pau fece il Noviziato a
Barbastro e in questa
stessa Comunità iniziò fu iniziato al mestiere di calzolaio. Da
Barbastro passò a Lleida e più tardi, dietro sua richiesta, nel 1892, i
Superiori gli concessero un nuovo campo di lavoro molto più
difficile: le missioni di Fernando Poo. Come missionario operò in
luoghi di servizio molto problematici: Corsico, Santa Isabel, San
Carlos e finalmente a Maria Cristina. In tutte le tappe dimostrò la sua
straordinaria attitudine a trattare con persone non abituate ad
obbedire. È certo che la natura lo avesse dotato di innumerevoli
qualità, al punto che si dimostrava abile in qualunque faccenda
domestica. In tutte le comunità era ben accolto, e si faceva voler
bene anche dai braccianti delle proprietà annesse, sebbene non lo
avessero mai visto. Il Fratel Paolo era un abile stratega nel prevenire
le difficoltà.
Quando si ammalò di una febbre persistente, si vide costretto a fare
ritorno in Catalogna. A La Selva lo attendevano la persecuzione
religiosa del 1936 e il martirio.
ANDREA FELİU BARTOMEU
Andrea Felíu nacque il 15
settembre 1870 a La Selva
del Camp (Tarragona). I suoi
genitori si chiamavano Josep
e Francesca.
Fin da piccolo fu in contatto
con i Missionari Clarettiani,
che avevano una casa a La
Selva dal 1868. Faceva il
chierichetto,
aiutava
il
Fratello sagrestano e cantava con una voce stupenda nel coro della
Chiesa di Sant’Agostino, affidata ai Missionari. A diciassette anni
chiese di essere Missionario Clarettiano come Fratello Aiutante.
Quello che più gli interessava era essere missionario, meglio ancora
in terra di missione.
Il Noviziato lo fece a Cervera, e questa fu la sua prima destinazione
come incaricato della sartoria. Si distinse sempre per la sua
laboriosità e il buon carattere ed era molto apprezzato per la sua vita
attiva e pia.
Nel 1903, mentre si trovava a Zafra, ricevette la destinazione tanto
attesa di andare nelle missioni di Fernando Poo.
Il Fratello Andreu Felíu, esperto in varie mansioni, lavorò come
sarto, sagrestano, infermiere molto caritatevole con i malati,
contadino ideale per la campagna, e incaricato della pulizia e
dell’ordine domestico. Era il servo affidabile di tutti, in qualunque
necessità. Nel 1934 dovette tornare in Catalogna per motivi di salute.
Il carcere della nave da carico
Fr. Antoni Vilamassana e P. Frederic Vila
In tutta la Catalogna divenne celebre il carcere galleggiante stabilito
all'interno del bastimento Cabo Cullera e trasferito molto presto a un
altro bastimento più grande, il Río Segre, che aveva una stazza di
5.000 tonnellate.
Nave da carico Rio Segre
Non è difficile immaginare quali erano le condizioni di vita di quel
luogo. Isolamento totale da parenti e amici, un caldo a volte
insopportabile in un'estate molto calda, monotonia insopportabile…
D’altra parte, la nave offriva distrazioni che in altre carceri sarebbero
state un lusso inaspettato.
Tra i prigionieri vi erano molti sacerdoti e religiosi, e i laici erano
cattolici impegnati che si intrattenevano come potevano
sovraccoperta, nonostante la stretta vigilanza dei miliziani che non
tolleravano la vista di un rosario (fatto con nodi su una corda!), né
tolleravano che le labbra si aprissero per recitarlo… L’ordine era
severo: <<Né labbra, né dita, né nodi…>>.
I prigionieri solevano riunirsi in piccoli gruppi per rilassarsi
cantando, e i più seri, come il nostro Padre Frederic Vila,
approfittavano del tempo per tenere conferenze di Morale o di altre
discipline cristiane.
Saranno dieci i Clarettiani che si succederanno in questo carcere così
poco appetibile, anche se soltanto due di loro pagheranno con la
morte: il Fratel Antoni Vilamassana e il P. Frederic Vila.
ANTONI VILAMASSANA CARULLA
Antoni Vilamassana nacque
a Massoteres, provincia di
Lleida,
territorio
della
Segarra, il 29 gennaio 1860.
I
suoi
genitori
si
chiamavano
Antoni
e
Josepa. A 23 anni entrò
nella Congregazione dei
Missionari Figli del Cuore
di Maria, e quattro anni
dopo fu destinato alle
difficili
Missioni
di
Fernando Poo.
Il Fratel Antoni si distinse per la sua serietà, per la sua dedizione al
lavoro e per il suo spirito religioso. Per due anni fu l'incaricato del
terreno di Banapà (1915-1916). Questi due anni minarono la sua
salute: il clima tropicale, ill sole, le piogge e la stanchezza pesarono
molto sul suo organismo e lo costrinsero a fare ritorno in Catalogna,
dove fu destinato alla Comunità di Tarragona. Lì continuò a lavorare
al pari di un giovane, servendo in ogni modo la Comunità, formata
principalmente dai professori clarettiani della Pontificia Università di
Tarragona.
Quando la persecuzione religiosa disperse la Comunità, si offrì con
grande spirito di carità, in quei giorni difficili, di accompagnare il P.
Frederic Vila, e entrambi furono arrestati e condotti al carcere
galleggiante sulla nave “Río Segre”, ancorata nel porto di Tarragona.
Il Fratel Antoni era un missionario tutto d’un pezzo. I suoi
settantacinque anni non avevano indebolito affatto la sua costituzione
vigorosa né le sue energie nel lavoro. Sulla nave-carcere continuò ad
essere pio e servizievole come sempre. Il giorno 25 agosto fu
“chiamato”: si confessò e raccolse alcuni oggetti personali e di
toeletta, dato che gli era stato comunicato che lo avrebbero trasferito
sulla nave Uruguay a Barcellona. Si congedò affettuosamente e uscì
tranquillo con la spedizione, che non si diresse verso la Uruguay, ma
verso il cimitero di Valls.
All'interno del camion furono portate via ventiquattro vittime.
All’arrivo a Valls cantarono, lungo la strada che lo attraversava, il
Crec en un Déu, l’ineguagliabile Credo catalano, e altri canti
religiosi, che strapparono a una vecchietta questo commento, valido
come il più brillante panegirico: <<Che canti meravigliosi! Non
erano canti di baldoria, ma molto belli, ed era piacevole
ascoltarli!>>.
FREDERIC VILA BARTOLÍ
Il P. Frederic nacque nel
comune di El Brull,
provincia di Barcellona,
regione di Osona, il 3
marzo 1884. I suoi
genitori,
Antoni
e
Dolores, educarono i figli
nella
fede
cristiana.
Frutto
di
questa
educazione furono la
vocazione clarettiana di
Frederic e di suo fratello
Modest, e quella di tre sorelle che scelsero di prendere l’abito della
Domenicane del P. Coll.
Frederic trascorse la sua infanzia a Tona prima di entrare nel
Seminario di Vic. Più tardi chiese di essere ammesso nella
Congregazione dei Missionari Clarettiani. Fu ordinato nel 1907.
Dotato di grande volontà e memoria, brillava per la sua intelligenza,
rafforzata da conoscenze in ogni ambito, per il suo lavoro come
religioso e ricercatore, e per la sua grande attività culturale. Fu
professore nei Seminari Clarettiani di Solsona e Cervera e
all’Università Pontificia di Tarragona.
Qui lo sorprese la persecuzione religiosa del 1936.
Rifugiatosi nell’appartamento delle buone sorelle Muntés, il 24
luglio fu fatta una perquisizione, che non ebbe conseguenze.
Tuttavia, quando i miliziani se ne andarono, Padre Frederic, che
poteva benissimo essere scambiato per il padrone di casa, si
dimenticò del consueto <<Salute!>>, come richiedevano le
circostanze, e li salutò dicendo <<Addio!>>. Fu questo dettaglio a
essergli fatale. I miliziani lo arrestano, lo condussero al
Commissariato, e da lì, reo di essere sacerdote e religioso, lo
rinchiusero sul Cabo Cullera, per poi trasferirlo, due giorni dopo, sul
Rio Segre.
Nei suoi appunti personali, il P. Vila lasciava trasparire il dolore e
l’angoscia che a volte si impadronivano di lui, ma anche la pace della
sua anima e la consolazione che gli procurava la vicinanza dei suoi
fratelli di Congregazione.
Dietro suggerimento del Comandante, il Padre fece una richiesta di
libertà, e la ottenne grazie all'intervento di Durán, L’Archivista di
Catalogna. Purtroppo, però, quando gli portarono l'atteso ordine di
liberazione, l'undici novembre, era già troppo tardi. Quelli della
F.A.I. (Federazione Anarchica Iberica) li avevano raggiunti nella
notte. I prigionieri furono prelevati dai loro giacigli con grida e calci
e i miliziani lessero la lista di chi avrebbe fatto parte della spedizione
successiva: 24 nomi in tutto. I prigionieri, sul ponte della nave,
iniziarono a recitare tutti insieme un salmo che, secondo quanto
afferma un testimone, sembrò essere il Miserere.
Portati in camion sino alla cittadina di Torredembarra, e messi in fila
davanti alle mura del cimitero, tutti esalarono il loro ultimo respiro
con un trionfale <<Viva Cristo Re!>>
Il Padre Frederic Vila fu una figura esemplare tra i clarettiani di
Catalogna. Professore qualificato, scrittore, ricercatore paziente e
custode dei ricordi clarettiani e della congregazione… Ma,
soprattutto, era un’anima di squisita sensibilità e bontà che conquista.
Il 21 giugno 1959 la sua salma fu trasferita nella cappella della
Chiesa di Sant’Agostino a Tarragona.
SANT’ANTONIO MARÍA CLARET, FONDATORE
DEI MISSIONARI FIGLI DEL CUORE IMMACOLATO
DI MARIA
(MISSIONARI CLARETTIANI)
ANTONIO MARÍA CLARET nacque a Sallent (Barcellona) nel
1807.
Missionario Apostolico instancabile, percorse la Catalogna e le
Canarie predicando le missioni popolari. Fondatore dei Missionari
Clarettiani, Arcivescovo di Cuba e Confessore della regina Isabella
II, che accompagnò anche nell’esilio. Un sanguinoso attentato subito
ad Holguín (Cuba) gli permise, davanti ai Padri del Concilio
Vaticano I, di dire come san Paolo: <<Porto le cicatrice di Nostro
Signore Gesù Cristo nel mio corpo>>.
Morì a Fontfroide (Francia) il 24 ottobre 1870.
Pio XII proclamò santo il Claret il 7 maggio 1950 e di lui disse:
“Anima grande, nata per appianare i disaccordi… Forte di carattere,
ma con la soave dolcezza di chi conosce l’austerità e la penitenza;
sempre alla presenza di Dio anche in mezzo alla sua prodigiosa
attività; calunniato e ammirato, osannato e perseguitato. E, tra tante
meraviglie, come luce soave che illumina tutto, la sua devozione alla
Madre di Dio”.
Congregazione Martire
La Congregazione dei Missionari Clarettiani fu, tra le congregazioni
religiose spagnole, quella che subì maggiormente la persecuzione del
1936, che la privò di 271 membri.
Pochi anni prima, in Messico, aveva già pagato un tributo con il
martirio del Beato Andrés Solá. Qui di seguito vengono presentati
presentiamo i diversi gruppi di martiri clarettiani, alcuni dei quali
sono già stati beatificati, mentre per altri è in corso la causa di
canonizzazione.
I Beati Martiri Clarettiani di Barbastro
I Martiri Clarettiani di Barbastro, 51 in tutto, scrissero una pagina
gloriosa dell’eroismo cristiano. Nell’estate del 1936, in un
seminterrato con finestre rasenti la strada, soffrirono indicibili
sofferenze per venti lunghi giorni. La forza dell’Eucaristia e la
devozione alla Vergine permisero loro di mantenere un volto sereno
e la pace del cuore, mentre pregavano per tutti e perdonavano coloro
che stavano per ucciderli: “Moriamo perdonando coloro che ci
tolgono la vita e la offriamo per l’ordine cristiano nel mondo
operaio, per l’avvento definitivo della Chiesa Cattolica, per la nostra
amata Congregazione e per le nostre amate famiglie”.
Giovanni Paolo II li definì Seminario martire il giorno in cui
proclamò Beati il P. Felipe de Jesús Munárriz e i 50 compagni
Missionari Figli del Cuore Immacolato di Maria (25-10-1992).
Beato Andrés Solá, martire in Messico
Andrés Solá nacque a Taradell (Barcellona), nella Piana di Vic, nel
1895. Fu inviato in Messico come missionario nei difficili anni in
cui, sotto la presidenza del Generale Calles, non era permesso ai
sacerdoti stranieri di esercitare il ministero sacerdotale. Il P. Andrés,
ignorando tale proibizione, <<portava molte comunioni, faceva
molte Ore Sante, si sacrificava mettendo in pericolo la propria
vita>>.
Accusato ingiustamente, insieme al sacerdote Trinidad Rangel e al
laico Leonardo Pérez, di aver partecipato al deragliamento del treno
che andava da Città del Messico a Ciudad Juárez, fu ucciso insieme
agli altri due nel Rancho de San Joaquín, Lagos del Moreno (Jalisco).
Durante la sua agonia il P. Solá non cessava di ripetere: Gesù,
misericordia! Signore, muoio per la tua causa! E dite a mia madre
che ha un figlio martire.
I tre “Martiri di San Joaquín” furono beatificati a Guadalajara
(Messico) il 20 novembre 2005.
Beati Martiri di Sigüenza - Fernán Caballero e Tarragona
Insieme a un numeroso gruppo di Martiri spagnoli del XX Secolo i
Martiri di Sigüenza-Fernán Caballero e di Tarragona saranno
glorificati dalla Chiesa a Tarragona il 13 ottobre 2013.
Servi di Dio Mateo Casal e 108 Compagni
Questo gruppo è formato da clarettiani appartenenti a diverse
comunità: Barcellona, Lleida, Solsona, Vich, Santander e Valencia.
Tutti morirono eroicamente a causa della loro fede, perché erano
religiosi, e sono inseriti nella medesima Causa di canonizzazione. Tra
questi, è opportuno mettere in risalto gli Studenti di Filosofia del
Seminario clarettiano di Cervera, altro Seminario martire.
Alla comunità di Cervera apparteneva anche il Fratel Fernando
Saperas, conosciuto come “il martire della castità”, che per quindici
lunghe ore soffrì le umiliazioni più inimmaginabili nei postriboli di
Cervera e Tárrega. Fucilato alle porte del cimitero di questa piccola
città, i suoi resti riposano nella Chiesa parrocchiale di Santa Maria de
l’Alba, dove il 13 di agosto gli si rende un emozionante tributo e si
prega per la sua imminente glorificazione.
Ai quattro gruppi precedenti bisogna aggiungere più di 80 clarettiani
che, senza essere inseriti nel processo di beatificazione, meritano
tutto il nostro affetto e venerazione perché anche loro soffrirono a
motivo della fede.
______________
Un ringraziamento speciale ai PP. Federico Gutiérrez e Pietro
García, clarettiani, i cui scritti sui martiri sono serviti come base
per elaborare questo libretto.
Indirizzi Web:
www.claret.org
www.claretianosbetica.org
www.claretians.cat
jesusanibalgomez.blogspot.com
claretsdd.blogspot.com
Postulazione Generale-Roma : [email protected]
Vicepostulazione-Siviglia:
[email protected]
Vicepostulazione-Barcellona: [email protected]
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