PROSA OPERETTA Foundation for Dance Promotion, Inc. presenta BILL T. JONES/ARNIE ZANE DANCE COMPANY La creazione di Serenade/The Proposition è stata resa possibile grazie al generoso sostegno del programma di commissione “Partners in Creation”, che include le seguenti donazioni: l’Argosy Foundation, Abigail Congdon e Joe Azrack, Anne Delaney, Eleanor Friedman, Barbara e Eric Dobkin, Ruth e Stephen Hendel, Ellen Poss, Marcia Radosevich e Carol H. Tolan. Un generoso sostegno per Serenade/The Proposition è stato fornito dal National Endowment for the Arts e dall’American Express Company. Ulteriore sostegno per la commissione musicale è stato fornito dall’American Music Center. La creazione di Serenade/The Proposition è stata commissionata dal The Joyce Theater’s Stephen and Cathy Weinroth Fund for New Work. Ulteriore sostegno è stato fornito dalla Montclair State University. Prima mondiale di Serenade/The Proposition: 10 luglio 2008, The American Dance Festival di Durham, NC. Bill T. Jones dedica Serenade/The Proposition a Andrea Smith, che ha fatto molto per la creazione di questo progetto. La Bill T. Jones/Arnie Zane Dance Company ringrazia SIPARI FURLAN TEATRO BAMBINI TEATRO GIOVANI TEATRO & lunedì 22 marzo - ore 20.45 MISCHA MAISKY violoncello Johann Sebastian Bach Suite n. 3 in do maggiore BWV 1009 Suite n. 2 in re minore BWV 1008 Suite n. 6 in re maggiore BWV 1012 mercoledì 24 marzo - ore 20.45 OPERETTA Compagnia Corrado Abbati MY FAIR LADY libretto di Alan Jay Lerner musiche di Frederic Loewe dall’opera Pigmalione di George Bernard Shaw adattamento e regia di Corrado Abbati con Corrado Abbati, Antonella Degasperi, Francesca Dulio, Mattia Lanteri, Fabrizio Macciantelli, Carlo Monopoli, Raffaella Montini, Alessandro Pini, Roberto Riganello sabato 27 marzo - ore 20.45 CROSSOVER domenica 28 marzo - ore 16.00 (fuori abbonamento) Licedei Clown Theatre, San Pietroburgo LA FAMIGLIA (SEMIANYKI) regia e scene di Boris Petrushansky con Alexander Gusarov, Olga Eliseeva, Marina Makhaeva, Kasyan Ryvkin, Elena Sadkova, Yulia Sergeeva Il leggendario teatro russo di clown e mimi creato da SLAVA Polunin martedì 30 marzo - ore 20.45 LOUIS LORTIE pianoforte Fryderyk Chopin 12 Studi op. 10 3 Nuovi studi op. post. 12 Studi op. 25 7 - 10 aprile - ore 20.45 domenica 11 aprile - ore 16.00 Compagnia Mauri Sturno L’INGANNO Sleuth di Antony Shaffer traduzione e adattamento di Glauco Mauri con Glauco Mauri, Roberto Sturno, Bruno Sorretto, Torn Borestour, Steno Burrotto regia di Glauco Mauri lunedì 12 aprile - ore 20.45 SERGEJ KRYLOV violino ENRICO PACE pianoforte Franz Schubert Sonatina n. 1 in re minore op. 137 - D 384 Fantasia in do maggiore op. 159 - D 934 Ludwig van Beethoven Sonata n. 9 in la maggiore op. 47 “A Kreutzer” Prevendite: lunedì 29 marzo per gli spettacoli di aprile 2010. Solo il primo giorno di prevendita la biglietteria sarà aperta anche la mattina: ore 09.30-12.30; 16.00-19.00. Biglietteria on line: www.teatroudine.it www.vivaticket.it print: La Tipografica srl Testi di Elisa Guzzo Vaccarino DANZA CROSSOVER ph: Paul B. Goode Bill T. Jones è da sempre il campione della danza contemporanea americana più impegnata, eticamente e socialmente, contro ogni discriminazione, di genere, di colore, di forma fisica, di credo, alla testa del suo gruppo fondato nel 1982 che porta - espressamente - anche il nome di Arnie Zane, il suo compagno fotografo di famiglia ebraica scomparso anzitempo per AIDS. Con il suo possente corpo d’atleta, Jones ha incontrato la danza all’università dedicandosi a quella afro-caraibica con maestri doc come Pearl Primus e Garth Fagan, studiando poi la tecnica di Martha Graham, la “Sacerdotessa del modern”, e quella a lui molto più congeniale della contact improvisation. Dopo di che la creatività zampillante del duo Jones/Zane si è affermata ben presto, negli anni Ottanta, con lavori come il colorito Secret Pastures, forte dei graffiti di Keith Haring e della musica di Peter Gordon, e Soon, magnifico duo destinato indifferentemente a coppie dello stesso sesso o di sesso diverso. È famosa, in questo tempo, la foto che ritrae Bill T. Jones nudo, di spalle, interamente dipinto di segni bianchi proprio da Haring, un’immagine riprodotta anche su t-shirt e poster, come icona pop di culto. Dopo la morte di Arnie, sul crinale del dolore e della rabbia, Jones reagisce con la lotta ed ecco un brano vitalissimo come D-Man in the Waters per un amico danzatore pure lui ucciso dall’AIDS. Il 1990 è l’anno di uno spettacolo clamoroso, approdato al Festival di Spoleto con gran scandalo: Last Supper at Uncle Tom’s Cabin/Promised Land (L’ultima cena nella capanna dello zio Tom/La terra promessa) con il suo finale ecumenico, all’insegna del nudo per tutti, alti e bassi, neri e bianchi, giovani e vecchi, grassi e magri, tutti uguali davanti alla morte. Nel 1993 arriva un altro choc, Still/Here, elaborato con malati terminali, un pezzo “forte” presentato alla Biennale di Venezia due anni dopo, quando alcuni dei protagonisti, presenti in video sulla scena, già non erano più in vita. Per questo e altri lavori dell’epoca, negli Stati Uniti Jones è accusato di giocare d’astuzia, ricattando la critica e gli spettatori con la sua «victim art». Un attacco che il coreografo respinge con tutta la forza della sua genuina sincerità umana. Dopo una fase meditativa e autoriflessiva condotta anche per metabolizzare, sapienzialmente, la sua condizione dichiarata di sieropositivo - basti qui citare The Breathing Show, solo del 1999 con uso di tecnologia virtuale per disegnare il suo stesso doppio - Jones alza di nuovo il tiro con lavori come Blind Date (2005) sul patriottismo, l’onore e il sacrificio, Another Evening (2004/2005), a tema decisamente politico, su commissione di RomaEuropa e dei Festival di Ravello e di Torino, o come Another Evening: I bow down (2006) sui conflitti personali e generali e sulla resistenza spirituale di fronte al disastro. I recenti Chapel/Chapter (2006) sulla passività indotta dall’era tecnologico/ mediatica, con i danzatori in tute arancio come quelle dei prigionieri a Guantanamo, e Fondly Do We Hope... Fervently Do We Pray (2009), che prende il titolo da una frase pronunciata da Abraham Lincoln due settimane prima di essere assassinato, non sono in contrasto con il contributo coreo-registico di Bill, l’anno scorso, al coloratissimo e vibrante musical di Broadway Fela!, tributo all’attivista antirazzista e anti-corruzione, ma soprattutto al musicista capofila dell’afrobeat, il nigeriano Fela Kuti, noto anche per le sue molte mogli, morto di AIDS nel 1997. MUSICA LIRICA Studio Patrizia Novajra Bill T. Jones via Trento, 4 - Udine Tel.: 0432 248411 [email protected] www.teatroudine.it venerdì 19 marzo 2010 - ore 20.45 DANZA Bill T. Jones / Arnie Zane Dance Company SERENADE / THE PROPOSITION Bill T. Jones/Arnie Zane Dance Company SERENADE/THE PROPOSITION ideazione e direzione di Bill T. Jones coreografia di Bill T. Jones con Janet Wong e i membri della compagnia scene di Bjorn Amelan luci di Robert Wierzel video di Janet Wong suono di Sam Crawford costumi di Anjia Jalac e della compagnia un ringraziamento speciale a Liz Prince musica originale composta, arrangiata da Jerome Begin, Lisa Komara e Christopher Antonio William Lancaster eseguita da Wynne Bennett, Lisa Komara e Christopher Antonio William Lancaster musica e testi ulteriori di Wolfgang Amadeus Mozart, Julia Ward Howe, William Walker, Alexander Means, Abraham Lincoln e musica folk tradizionale americana testi di Bill T. Jones con estratti da: Lecture on Discoveries and Inventions di Abraham Lincoln (Jacksonville, 11 Febbraio 1859) The Battle Hymn of the Republic di Julia Warde Howe, 1861 The Cause of Civil War di Frederick Douglass, scritto nel 1862 The Soldier’s Faith di Oliver Wendell Holmes Jr. (Harvard University, Memorial Day, 30 Maggio 1895) “1. The Evacuation” The Fall of Richmond di Clement Sulivane, in Battles and Leaders vol. 4, 1893 President Lincoln Enters Richmond, 1865, Eyewitness to History, www.eyewitnesstohistory.com, 2000 Second Inaugural Address di Abraham Lincoln (4 Marzo 1865) Farwell Address at Springfield di Abraham Lincoln (11 Febbraio 1861) Le foto della Guerra civile sono state usate per concessione della Library of Congress, Prints & Photographs Division. Bill T. Jones/Arnie Zane Dance Company direttore artistico Bill T. Jones direttore esecutivo Jean Davidson direttore artistco associato Janet Wong in collaborazione con ATER - Associazione Teatrale Emilia Romagna Serenade/The Proposition Perché Bill T. Jones, controcorrente rispetto alla danza contemporanea nordamericana, per lo più astratta, racconta delle storie? Perché, nel costruire la “sua” danza, ci tiene ad agitare idee? Con l’approccio schietto da grande comunicatore che lo contraddistingue, in scena e nella vita, risponde: «Pensano che la danza sia antiquata e poco significativa. Per questo la mia danza si muove nel mondo reale, nelle sensazioni forti, nell’inferno in terra in cui tutti viviamo». In questa precisa linea etico-artistica si colloca Serenade/The Proposition del 2008, uno dei capitoli della trilogia che il coreografo afroamericano va scrivendo per celebrare Abraham Lincoln, il sedicesimo presidente degli Stati Uniti che volle l’abolizione della schiavitù, morto assassinato, come poi accadrà ai democratici fratelli Kennedy. Di fatto un lavoro su commissione, visto che nel 2009 ricorreva il bicentenario dalla nascita di Lincoln, ma su un tema assai caro al coreografo-combattente per i diritti di tutte le minoranze e di tutte le categorie discriminate. Con il suo gruppo multietnico e volutamente diversificato nella provenienza e nell’aspetto fisico, la Bill T. Jones/Arnie Zane Dance Company, Jones ha congegnato con Serenade/The Proposition una serata che in Europa definiremmo tranquillamente di teatrodanza, associando melodie familiari alle orecchie del pubblico degli States, e non solo, tratte da The Battle Hymn of the Republic - è l’arcinoto Glory, Glory, Alleluiah, con cui i Bush accolsero persino Benedetto XVI alla Casa Bianca - e da Dixie, inno dei Confederati, in dialogo con Mozart, in una colonna sonora concepita da Jerome Begin e da Christopher Antonio William Lancaster, e inoltre proiettando immagini di città devastate, foto di soldati scattate durante la Guerra Civile, e declamando testi di Jones stesso, ma soprattutto di Lincoln, di cui l’attuale presidente USA Barack Obama si ritiene il successore e continuatore. Le colonne bianche della scenografia di Bjorn G. Amelan rinviano al patio di una qualunque casa di un qualsiasi stato del Sud ma anche a quelle del Lincoln Memorial, che conosciamo bene nel cinema - come nell’esemplare Mr Smith goes to Washington (1939) di Frank Capra con James Stewart - e che è diventato, come si dice gergalmente, un “America’s soapbox”, un’icona ultrapopolare, tanto più dopo aver fatto da sfondo al discorso epocale del 1963 di Martin Luther King, il famoso «I have a Dream». Certo Bill, nel suo tocco utopico-positivo, sposa perfettamente la frase-chiave di Mr Smith-Jimmy Stewart: «Papà diceva sempre che le sole cause per cui vale la pena di combattere sono le cause perse». C’è anche un refrain «Si potrebbe dire che la storia è…» che scorre nell’intero pezzo, interrogandosi sui legami con il passato. E la danza, in tutto questo? Le frasi di movimento elaborate dal coreografo e dai suoi interpreti, per accumulo, finiscono per offrire un quadro epico di lotte e ingiustizie, che sta a chi guarda interpretare, cogliere, comprendere, scrivendo una propria storia, in consonanza con ciò che ha fatto Jones, assemblando con generosità i frammenti della sua “autocoscienza” di americano, procedendo quasi per tableaux vivants, simili a vecchi dagherrotipi in cui il movimento si infiltra a dar vita alle figure. Ai dieci ballerini si aggiungono stavolta un attore afroamericano, l’imponente Jamyl Dobson, alter ego di Jones, ma anche del bianco Lincoln, abbigliato formalmente in giacca e cravatta - fine dicitore, tra l’altro, di un elenco infinito di città, quelle attraversate da Lincoln o quelle di un viaggio nell’America profonda? - e tre musicisti dal vivo, il violoncellista e direttore Lancaster, il pianista Wynne Bennett e la vocalist Lisa Komara, capace di magnifiche sfumature drammatiche. Non c’è sentimentalismo in questa sorta di album di appunti per un suo trattato di storia, che l’oggi cinquantanovenne Bill T. Jones ha voluto rendere visivamente ricco nei costumi con lunghe gonne e giacche, liberamente ispirate al passato ottocentesco, ma decostruite, in bianco e nero con strisciature di rosso, e nell’apporto di immagini video raffinatamente seppiate, opera di Janet Wong. Che ruolo ha la danza in Serenade/The Proposition, sommatoria di materiali e di componenti? È una danza che parla, in senso proprio, con le sue dinamiche dove le gambe falciano l’aria e i torsi si impennano per buttarsi a tuffo; è una danza che pone domande, anche in senso metaforico e figurato, con il suo partnering minimale, e magari con un bel quartetto al bisogno, con gli strumenti compositivi “giusti” cioè per un coreografo che “predica” dando una voce potente al corpo. Serenade/The Proposition è “cool”, cioè elegante, calmo nel gestire raffreddandoli contenuti caldi, come la religione, la guerra, la schiavitù, intrecciando l’alta politica di Lincoln con elementi autobiografici di Bill T. Jones e i pensieri più “prosaici” dei danzatori che si chiedono come venire a patti con la propria identità e le proprie appartenenze, tra esperienze vissute, ferite del passato e pensiero aperto sul futuro, come è nella migliore anima dell’America progressista. Con l’abituale generosità e con lo spirito pugnace che non lo ha mai abbandonato, Jones tenta di fare il punto sul suo grande paese, oggi a una svolta epocale, tra guerre e lotte civili, tra fede e scienza, tra progresso sociale e intraprendenza nella realizzazione personale, tra libertà e limitazioni della libertà per fondamentalismo e terrorismo, utilizzando ogni mezzo, la parola, il video, la fotografia, gli inni e i discorsi, e la danza, al nobile fine di esprimere tutta la sua fiducia nel potere incisivo e universale del corpo intelligente. Danzare idee per il futuro Di Fondly Do We Hope... Fervently Do We Pray, che apre il portfolio di lavori in onore del presidente Lincoln, Bill T. Jones ha parlato diffusamente sulla rete televisiva statunitense PBS, una conversazione da cui è utile partire per capire meglio il senso del suo lavoro creativo, anche per Serenede/The Proposition. Come si fa a far danzare un presidente degli Stati Uniti, la cui maschera tragica è incisa, gigante, sul mitico Mount Rushmore? Da dove si inizia, viste le tantissime biografie, non di rado romanzate, che sono state scritte su dilui come Padre della Patria? Non volendo mettere in scena un’agiografia, Jones afferma di essersi ispirato soprattutto al libro di Daniel Mark Epstein su Lincoln appaiato a Walt Whitman, lo scrittore che ha regalato la sensualità alla cultura americana. Attraverso la lente di Whitman si scopre la poesia negli scritti del Presidente, e anche la corporeità, nei suoi discorsi, ad esempio proprio sui neri, performer naturali, seducenti, attraenti, spesso considerati clown da entertainment e oggetti sexy. Aveva detto Lincoln: «Se non voglio una donna nera come moglie, non per questo devo averla come schiava». Uomo del suo tempo, utopista ma non ingenuo quando si batteva dalla parte del popolo, Lincoln non era sicuro che bianchi e neri fossero uguali, ma era sicuro che dovessero avere gli stessi diritti, in America, tra cui formare una famiglia con chi volessero e vivere dove volessero, senza essere cacciati o discriminati. Spiega Jones di aver cercato una forma postmoderna, astratta, per connettere parola politica e gesto corporeo, per cui la danza è una punteggiatura, mentre si parla del corpo nominandone le parti, come si faceva nelle aste di schiavi, e ricordando che il corpo è centrale nella questione della razza e della schiavitù, e che il corpo è anima. Bisogna connettere - dice il coreografo - l’idea del corpo con il corpo reale, connettere il corpo personale e il corpo universale. Rivela Bill T. Jones: «La mia è stata una generazione radicale, che non credeva ai leader. Oggi che Obama afferma: ‘Yes, we can’, sentiamo di dover correre il rischio di crederci, anche a costo di restare delusi. Occorre restaurare il contratto sociale, ognuno nel suo campo, ognuno nella sua vita, perché non puoi aspettarti la pace nel mondo se non hai la pace nella mente. Proviamo a dire: We, the people (Noi, la gente), proviamo ad avere fiducia». Come si può danzare oggi pensieri tanto alti? «Nell’epoca di internet, della tv anziché dei libri, con la danza che è altrettanto visuale, miro a portare la gente a teatro per qualcosa di bello, usando una strumentazione multimediale, perché voglio incoraggiarla, senza nascondere le tragedie, anzi ben conoscendole, ma senza mai smettere di combattere. È il processo democratico di ‘continuare a stare sul treno, anche se la destinazione è difficile’. Abbiamo diritto di raccontarci la storia a nostro uso e consumo - si chiede Bill T. Jones ora che Obama ha segnato la fine di un lungo viaggio per i neri d’America, da quando il presidente Thomas Jefferson teneva nascosta la sua compagna di colore, madre dei suoi quattro figli, da quando Martin Luther King è stato assassinato? Lincoln è come uno specchio, in cui guardiamo anche all’oggi, coltivando la speranza nella trasformazione. E dopo l’11 settembre più che mai bisogna danzare pensieri, parole, idee per il futuro».