M A R I O
P
I L
A
T
RSEOLO
ILDEBRANDO PIZZETTI
1935
E D I Z I O N E
R I C O R D I
MILANO
(-Printed in Italy)
(Imprimé en Italie)
I
M A R I O
P
I L
A
T
ORSEOLO
DI
ILDEBRANDO PIZZETTI
1935
G. RICORDI & C.
MILANO
R O M A - N A P O L I - P A L E R M O
LEIPZIG -BUENOS AIRES - S. PAULO
PARIS: SOC. ANON. DES ÉDITIONS RICORDI
L O N D O N : G . R I C O R D I & Co., (London) Ltd.
N E W Y O R K : G . R I C O R D I & Co., I n c .
I
Proprietà G. RICORDI & C. - Editori - Stampatori
Milano.
Tutti i diritti sono riservati.
Tous les droits d’exécution, diffusion, représentation, reproduction,
traduction et arrangement sont réservés.
(Copyright MCMXXXV, by G. Ricordi & Co.)
/
123412
INDICE
Pagine introduttive
. Pag- 7
ATTO PRIMO :
Quadro primo.
„ 19
Primo intermezzo .
„ 42
Quadro secondo
„ 47
ATTO SECONDO.
„ 61
ATTO TERZO :
Quadro primo.
„ 83
Secondo intermezzo.
„ 90
Quadro secondo
„ 94
Nella produzione pizzettìana che ha preceduto Orun primo accostamento del musicista all’atmosfe­
ra nella quale avrebbe dovuto svolgersi il nuovo dramma
non ancora ben definito, è stato segnato dal Rondò ve­
neziano per orchestra. Traendo geniale e affatto nuovo
partito dalla classica forma musicale determinata dal
ritorno circolare — volta a volta con nuovi sviluppi —
dell’idea principale, egli seppe comporvi e far rivivere,
come in un arazzo dalle tinte squisite, caratteristici
aspetti del pittoresco veneziano, colti in momenti diversi
e fermati in plastici atteggiamenti di danza: dalla calda
sonorità di un « concerto di viole » nella sarabanda, ai
rabeschi del clavicembalo e ai sospirosi languori del vio­
seolo,
lino, accennanti vaghe movenze di minuetto, alla sgar­
bata rozzezza di un’orchestrina popolaresca nella turbi­
nosa furlana; paludate solennità di cerimonie dogaresche, melodiosi effluvii notturni da salotti patrizi illu­
minati sul Canal Grande, commossi dialoghi <Tinnamo­
rati, aria festosa e sottilmente profumata di una sera
domenicale nel « campiello »... E fra un quadro e l’altro
i ritorni del terna, fra lunari barbagli di acque ed echi
suggestivi.
Il Rondò è del 1929. Ma Venezia operava sul Mae­
stro i suoi irresistibili richiami da molto più tempo, e,
come egli stesso ha avuto modo di dichiarare recente­
mente, fra i sogni d’arte di più vasto quadro più desi­
derosamente accarezzati, uno aveva già da lunghi anni
preso nome dalla città incantevole, prima ancora di deli­
ncarsi compiutamente nella fantasia.
8
Nel tempo in cui Ildebrando Pizzetti fu alunno del
Conservatorio della natia Parma, sotto la direzione di
Giovanni Tebaldini, questi, che già con opportune rifor­
me ed innovazioni aveva dato razionale assetto all’istru­
zione tecnica nell’istituto a lui affidato, ebbe pure il non
piccolo merito di promuovere negli allievi una più com­
piuta educazione dello spirito con ogni sorta di intel­
ligenti iniziative, fra le quali quella di accompagnare o
inviare i giovani in viaggi istruttivi, sia perchè assistes­
sero ad esecuzioni musicali specialmente memorabili date
in questa o quella città, sia perchè traessero dai tesori
d’arte e di bellezza dei vari luoghi visitati incitamento a
maggiori cognizioni, stimolo a generosi entusiasmi. Opera
meritoria che va ricordata, tanto più perchè costò al
fervido e coraggioso direttore parmense non poche ama­
rezze causate dalla proverbiale incomprensione di quel
tempo.
Come è narrato nel volume che il Tebaldini stesso
ha dedicato a quel periodo ormai lontano del suo diret­
torato e dell’alunnato di Pizzetti (1), il futuro autore di
Orseolo specialmente si avvantaggiò di quei proficui
pellegrinaggi, in uno dei quali Venezia ebbe per la pri­
ma volta a rivelarglisi nella pienezza del suo sfolgorante
splendore. « Son partito da Venezia la sera ne lo stor­
dimento assoluto; — così egli ne riferiva al Tebaldini
in una lettera che porta la data del 9 settembre 1899 —
io credo di aver quasi sentita la ossessione del colore.
Oh quando ci ritornerò mai? ».
Più tardi, nel 1905, il Pizzetti si accingeva a mu­
sicare gli intermezzi e i cori per la Nave dannunziana,
(1)
Ildebrando
Pizzetti
nelle
«Memorie»
di Adelmo Damerini (Ed. Fresching, Parma, 1931).
di
Giovanni
Tebaldini,
con
prefazione
9
e sicuramente non mancò in tale circostanza di rivivere
in lui il ricordo di quei primi accesi contatti con l’opu­
lenta Regina della laguna, avvenuti quando già la sua
sensibilità si era venuta destando ed intimamente nu­
trendo ai richiami di voci per allora obliate, provenienti
dalla remota lontananza dei canti cristiani e dalle sonore
cattedrali della polifonia cinquecentesca.
Certo, è pure di quel tempo, se non un primo dise­
gno, il desiderio di dar vita di suoni ad una visione sce­
nica che avesse per sfondo Venezia. Ma solo oggi, nella
piena maturità dell’artista, il sogno è stato tradotto in
realtà: dalle elleniche aure mitologiche di Fedra, da
quelle bibliche e preistoriche di Dèbora e de Lo Stra­
niero, e infine da quella sua terra d’Emilia profumata
di campi e di canti dove Fra Gherardo vive il suo tor­
mentoso e pietoso dramma, l’ispirazione pizzettiana si
volge, con Orseolo, verso la Venezia dei Dogi.
E’ opportuno però disingannare chi in Orseolo si
attendesse scorgere una di quelle opere che devono al
prepotente stimolo dell’elemento ambientale — specialmente affascinante nel caso di Venezia — la loro prin­
cipale e spesso sola origine. Gli esempi non mancano, e
non mette conto citarne, trovandosene in abbondanza
specie fra le opere moderne più note, mentre per trovare
un raffronto con quella che è, in un certo senso che non
deve pertanto essere frainteso, l’indifferenza pizzettiana
per tutto ciò che va genericamente sotto il nome di
« colore », bisogna riportarsi ai nostri operisti del pas­
sato. (Non senza includervi il caso delFAida, che po­
trebbe
costituire
un’illustre
eccezione
al
riguardo
se
non fossero note le circostanze che indussero Verdi a mu­
sicare quel soggetto, e come il suo esotismo ricevesse
10
dal genio verdiano quelle coloriture appropriate, di pura
fantasia, che tutti conoscono ed ammirano).
Alla
resto,
prepotente
il
musicista
tirannia
pagava
il
del
colore
suo
tributo,
veneziano,
poco
del
prima
di
Orseolo, e nella più acconcia sede sinfo­
nica, col Rondò veneziano del quale si è detto, conce­
accingersi ad
dendosi
una
decorazione
e
tutto
volta
tanto
musicale,
particolare
alle
non
amabili
senza
segno
della
esteriorità
imprimervi
sua
della
quell’arioso
personalità
che
può
— unica del ge­
nere in tutta la produzione pizzettiana, — come una
vera e propria reazione anzi liberazione lirica dalla « os­
sessione del colore » cui egli accennava, nella lettera di
quel veneziano « autunno già lontano ».
farci
considerare
quella
composizione,
Nel suo recente esauriente volume sulla figura e l’o­
pera
del
musicista
parmense, G. M. Gatti ha acutamente
parafrasato per il nostro autore il noto versetto evange­
lico: in principio erat drama. Ed aggiunge che il dram­
ma è per Pizzetti « il problema essenziale della sua poe­
tica, quello per cui si risolve l’equazione della sua opera,
si scopre il segreto della sua creatività » (1).
Diverso
doveva
essere
quindi
il
punto
di
partenza
del drammaturgo, sulla cui sensibilità la storia veneziana
(1)
nente
GUIDO
scrittore
temporanea,
ha
Il
testé
volume
ed.
Bottega
per
Fra
musicale,
M.
per
di
apparso,
Gherardo,
1930),
critici
e
di
rifacendosi
autobiografici,
a
succeduto
cura
—
e
alle
ne
1922
una
—
dell’autore
quella
idee
esamina
di
Paravia
specialmente
Pizzetti
ad
{Ed.
Pizzetti
musicali,
dedicato
Milano
a
1928
Ildebrando
cose
primo
poesia,
Milano,
Roma,
GATTI,
torinese
la
sua
guida
attenzione
illustrativa
{altre
guide
della
presente,
M.
espresse
Rinaldi
da
per
Pizzetti
compiutamente
-
pertinenti
per
di
per
opere
l’opera
e
Dèbora
di
e
attraverso
con
ed obbiettivo, e può per questo ben dirsi prezioso per l’intelligenza dell’arte pizzettiana.
spirito
ed.
i
con­
esegeta.
Jaele
sono
Bollettino
—
L’emi­
italiana
critico
Straniero
stesso
1934).
pizzeltiane
ed.
—
Lo
Torino,
all’arte
—
quella
bibliografico
Novissima,
suoi
insieme
scritti
fervido
11
doveva
operare
altrettanto
fervidamente
quanto
il
colore,
il profumo, la luce, ranima canora di Venezia aveva col­
pito
quella
bretto,
ed
del
musicista.
a
composizione
già
distrutta
tornar
(successivamente
In
per
più rigorosa disciplina «
lava
semplicemente
con
intitolazione
che
ziano,
sua
successione
pittura
quasi
d’ambiente,
in
una
prima
avanzata
da
drammatica
sottotitolo:
ci
pare
della
capo
delle
termini,
li­
musica
con
significativa,
gerarchica
del
ancor
»), Vopera s’intito­
Dramma vene­
un
altri
stesura
ma
due
in
quella
parole.
ancora
e
Non
sempre
e soprattutto dramma, « vita in movimento, azione », la
parola
in
cui
può
riassumersi
l’intera
concezione
d’arte
e di vita, in cui si risolve e si compendia ogni esperienza
estetica pizzettiana.
Come già per Dèbora, per Lo Straniero e per Fra
Gherardo, i motivi drammatici furono ancora cercati in
una di quelle epoche di crisi da cui, secondo il concetto
del
Gatti
menti
un’umanità
riferirne
gloria
per
stesso,
lo
stesso
veneziana,
costringerli
sorgono
figure
quintessenziata.
autore'.
troppo
dentro
«
dorati
rappresentative
Ecco
quanto
Abbandonai
i
e
l’atmosfera
fulgenti,
di
un
espri­
ebbe
secoli
troppo
dramma;
a
della
grandi
rinun­
ciai al Settecento, troppo pallido e livido, sotto la bautta
e il belletto, troppo agonizzante e disperato, sotto la sua
molle
e
merlettata
eleganza.
Mi
fermai
nel
Seicento,
che
mi è sempre parso il secolo più drammatico della storia
veneziana. I gonfaloni di S. Marco sono ancora gonfi di
gloria,
ma
i
soldati
della
Repubblica,
in
Levante,
son
più pronti a morire da eroi che a vincere; sulle acque,
della Laguna trema già una prima ombra di dissolvi-
12
mento, e i fieri cuori dei maggiori veneziani sono stretti
da una angoscia nuova » (1).
Il dramma è tutto inventato, nè, al tempo in cui è
stata posta l’azione, ossia nel 1650, troviamo traccia di
alcuno dei personaggi, pure distinti da nomi venezianis­
simi, taluno illustre, come quello del protagonista. (Alla
famiglia degli Orseolo appartennero tre Dogi, uno dei
quali, Pietro, vissuto intorno al mille, fu santificato dalla
Chiesa. Il figlio di lui legò il nome degli Orseolo a me­
morabili imprese civili e guerresche, e fu il doge che
per primo istituì il rito della benedizione del mare, in
segno di dominio, divenuto più tardi la fastosa cerimonia
dello sposalizio, compiuto col simbolico lancio dell’a­
nello dall'alto del Bucintoro).
Di storico non c’è quindi che lo sfondo politico sul
quale l’azione si svolge e da cui il dramma si diparte.
Esso risale al tormentoso periodo attraversato da Venezia
durante la guerra di Candia, divenuta oggetto delle mire
dei turchi, e ad essi contesa in circa trentanni di lotte
che segnarono, per le sfortunate vicende cui dettero
luogo, l’inizio del lento tramonto della Repubblica, com­
piutosi fatalmente sulla fine del secolo successivo. Nono­
stante la decadenza morale che già veniva tarpando le
ali al glorioso leone di S. Marco, non mancarono in
quella guerra episodi di epico valore, in cui rifulsero i
nomi dei Morosini, dei Mocenigo, dei Corner, dei Mar­
cello, dei Contarmi ed altri capitani; ma l’impresa era
destinata a soccombere, comunque segnata qua e là da
luminosi ritorni dell’antico spirito eroico, e Venezia,
sfinita dalla lunga resistenza, più non potè opporre al
(1) Intervista di
del 23 dicembre 1934 - XIII.
G.
Cornali
con
Pizzetti,
pubblicata
nel
Corriere
della
Sera
»
13
dilagare
baldanzoso
degli
infedeli
quel
blocco
di
forze
militari e civili che erano state fino allora securo pre­
sidio della civiltà europea contro la cupidigia ottomana.
Oltre
guerra
che
costò
vasta
un
ricchezza.
espedienti
prezioso
alla
fu
patrimonio
Repubblica
Per
gran
sopperire
escogitata
la
di
parte
alle
spese,
concessione
sangue,
della
sua
fra
di
gli
la
già
altri
privilegi
nobi­
liari a chi offrisse forti somme allo Stato. Ciò favorì il
formarsi di una nuova classe plutocratica che agli orgo­
gliosi privilegi di sangue dei vecchi nobili opponeva Vor­
goglio
e
non
meno
l’intelligenza.
core
che
fiero
Di
sfogò
familiari,
a
coesione
morale
qui
ben
tutto
dei
privilegi
un
sordo
presto
danno
in
acquistati
col
antagonismo,
violenze,
della
disciplina
sommamente
preziosa
un
soprusi,
ran­
vendette
pubblica
in
lavoro
e
quei
della
gravi
momenti.
In questo clima agitato, turbolento, in cui si bilan­
ciano
tragicamente
sanabile
l’incombente
conflitto di
casta
pericolo
all’interno,
esterno
è
posto
e
il
l’in­
dramma
di Orseolo, che riassumiamo brevemente.
Esponenti
del
dissidio
fra
l’antica
e
la
nuova
ari­
stocrazia sono le due famiglie degli Orseolo e dei Fusinèr.
Della
prima
è
a
capo
il
senatore
Marco
Orseolo,
investito della carica di Capo del Consiglio dei Dieci e
Inquisitore
di
Stato,
la
magistratura
più
alta
della
Re­
pubblica, dopo il Doge. Della seconda, da umile retaggio
assurta
siede
a
nel
nobile
Senato
rango,
a
il
giovane
rappresentare
Rinieri
i
nuovi
tanto più vicini al popolo quanto gli altri se ne manten-
Fusinèr,
che
aristocratici,
14
gono sdegnosamente lontani. F’ appunto un gesto di sim­
patia verso il popolo da parte dei Fusinèr a determinare
Vincidente da cui si svilupperà il dramma.
Marino, il figlio di Marco Orseolo, saputo che i Fu­
sinèr
di
avrebbero
Murano,
partecipato
recentemente
ad
una
festa
condannate
delle
dal
maestranze
Senato,
e
rav­
visando in ciò un atto di spregio, si propone di punire
Voffesa,
sorprendendo
Fusinèr
mentre
si
di
notte,
con
recano
in
gondola
alcuni
compagni,
alla
vicina
i
isola.
Ma nella gondola viene trovata Cecilia, la giovane sorella
dei
Fusinèr,
che
disperata
si
getta
in
acqua
e
muore
poco dopo essere stata ritrovata.
Perseguitato
fugge.
dalla
Orseolo,
pavano
il
combattuto
dapprima
figlio,
fra
denuncia
poi,
il
incredulo
avutane
dovere
del
da
di
Rinieri,
alle
lui
voci
stesso
magistrato
e
Marino
che
incol­
la
certezza,
il
vivissimo
affetto del padre, si rende complice della sua fuga.
Mentre
Rinieri
lotta
dolorosamente
e
fieramente
contro i subdoli ostacoli frapposti al corso della giustizia,
invano da lui reclamata con una nuova denuncia al Doge
contro Marino e contro lo stesso Orseolo, i due più gio­
vani
suoi
fratelli
risolvono
di
agire,
all’insaputa
di
Ri­
nieri. La rappresaglia è compiuta col rapimento di Contarina, la figlia di Orseolo, che viene portata e tenuta
nascosta in unisoletta deserta della laguna.
Rinieri giunge al nascondiglio, informato dell’ope­
rato dei suoi, che però apertamente disapprova. Un antico
affetto egli nutre per la fanciulla, sua compagna di gio­
chi nell’infanzia, al quale è segretamente sensibile il
cuore di Contarina, già da lui chiesta in sposa ma sde­
gnosamente rifiutatagli da Orseolo.
15
Alla
vista
di
Rinieri,
Contarina
crede
sul
momento
che sia stato lui ad organizzare il rapimento, ed ergen­
dogli
altera
trema
un
e
sprezzante,
velato,
gli
amaro
rivolge
dure
disinganno.
parole
Solo
in
cui
quando
avrà
appreso da Rinieri la penosa realtà, e la colpa di Ma­
rino,
e
l’ingiusta,
superba
avversione
di
Orseolo
per
il
giovane generoso e leale che è venuto soltanto per resti­
tuirla intatta alla sua libertà, senz’altro chiedere che una
pietosa
parola
quanto
più
d’amore,
in
alto
sia
solo
allora
essa
comprende
Rinieri
delle
miserie
di
quegli
orgogli, di quelle vane rivalità. E ad Orseolo che soprag­
giunge
di
per
vendetta
liberarla
e
e
per
ruggente
come
arrestare
una
i
belva
Fusinèr,
ferita,
avido
trova
la
forza di gridare il suo amore e una disperata menzogna
che salverà Rinieri e i suoi fratelli : non rapita, ma spon­
taneamente
essa
è
venula nell’isola, per Rinieri che essa
ama, a cui si è promessa per sempre.
E’
un
fulmine
che
abbatte
la
vecchia
quercia,
già
stroncata dal primo strazio per la colpa e la sorte del
figlio:
perduta
attenderà
nei
figli,
anche
Orseolo,
uniche
che
Contarina,
una
il
ha
speranze,
destino
unico
spietata
colpito
sorriso
della
solitudine
terribilmente
sua
vec­
chiezza.
Passa cosi un anno, durante il quale Contarina è vis­
suta nel ritiro di un convento. Giunge notizia che Marino
ha incontrato in guerra morte gloriosa. Un’ambascieria
del Senato recherà ad Orseolo la reliquie del figlio, e
di essa farà parte Rinieri, che ha cancellato ogni odio
dall’animo. Ma prima egli vedrà Contarina. le chiederà
una suprema promessa d’amore. Poi anch’egli partirà per
la guerra.
16
Orseolo
Non
vive
è
ormai
più
che
Vombra
della
dell'antico
memoria
del
fiero
figlio,
patrizio.
ultimo
fiore
della sua gente, offerto in olocausto alla Patria. Riacco­
glierà
Contarina,
ma
non
potrà
perdonarle
il
sentimento
per lui colpevole, per Contarina purissimo, che ella, in una
nuova
confessione
dolorosa,
non
sa
nascondergli.
Rinieri
è sempre per lui il nemico, l’offensore. E quando l’arnbascieria giunge e Rinieri gli porge la spada e il berretto di
Marino, egli griderà ancora il suo odio ostinato e indoma­
bile. Ma sull’urto delle passioni, sull’intimo dramma dei
protagonisti
che
il
fato
accomuna,
colpevoli
o
incolpe­
voli, dominerà l’ombra del giovane Marino, che la morte
espiatrice ha redento e al quale Orseolo, già lontano dal
mondo, si ricongiungerà alfine placato.
Rinieri si allontana, dopo che Contarina gli si è
giurata in eterno e gli ha detto addio per un arcano
regno d’amore, là dove soltanto Rinieri e Contarina sa­
ranno i loro nomi. E il dramma si conclude, in una strug­
gente malinconia di tramonto.
Abbiamo
pizzettiana
del
colore.
meno
poter
che
dramma
detto
come
dramma
Trattandosi
facile
elementi,
del
già
del
si
nei
di
Venezia,
sfuggire
avrebbe
alla
nuociuto
necessaria
comporti
riguardi
alla
a
la
concezione
dell’ambiente
era
certo
impresa
preponderanza
quella
sua
di
formale
immediata
e
tali
nudità
evidenza,
senza soste che ne arrestassero lo svolgimento, in Orseolo
più
ancora
trovato
—
di
al
serrato
problema
un’arditezza
che
una
tutta
negli
altri
soluzione
pizzettiana,
drammi.
L’autore
originale
fatta
coerenza ai suoi assunti drammatici, — isolando in due
ed
di
ha
ardita,
profonda
17
intermezzi
—
scenici,
posti
simmetricamente
a
dividere
le due parti del primo e del terz’atto, — i motivi colo­
ristici
vera
e
e
pittoreschi
propria
rigorosamente
(tranne
brevi
esclusi
tocchi
nel
dalla
vicenda
primo
quadro
elei primo atto, alla canzone del gondoliere).
mezzi
non
rivestono
però
una
funzione
Tali inter­
meramente
estrin­
seca all’azione, ma, come vedremo a suo tempo, innestano
scorci
rapidi ed
efficaci
del più vasto dramma collettivo,
— il dramma di Venezia, — nel dramma dei singoli, che
da quello prende impulso e rilievo.
Per
la
bandonare
prima
volta,
Orseolo
con
Ildebrando
il
tema
Pizzetti
a
lui
sembra
caro
ab-
dell’amore
esaltante in se la suprema ragione del vivere, identificato
in
quel
bene
immateriale
ed
eterno
verso
cui
tendono
le anime, purificate da ogni colpa o passione men degna.
Tema
che
gli
ispirò
la
ideale
trilogia drammatica
costi­
tuita da Debora, da Lo Straniero e da Fra Gherardo, e
che già balena nei commossi accenti della morte di Fe­
Orseolo, che all’amore
dra.
Senza
tuttavia
rinunziarvi
che
unisce,
contro
ogni odio e sopra
in
ogni miseria, Ri­
nieri e Contarina, pur nel loro penoso tormento, è a f f i ­
data
la
luce
parola
l’atmosfera
eroine
consolatrice
oscura
pizzettiane
del
ritroveremo
che
rischiara
dramma.
in
E
di
molti
Contarina,
purissima
tratti
sorella
delle
spi­
rituale di Jaele, della Mariolo di Fra Gherardo e più
specialmente, forse, della Maria de Lo Straniero.
Ma al centro è la tragica figura di Orseolo e il suo
dolorante
dramma
momenti
culminanti,
paterno,
per
i
figura
suoi
che
richiamerà
atteggiamenti
stoso dolore e per la potenza con la quale esso è rappre-
di
nei
mae­
18
sent at o, l’eroe shakespeariano che tanto fascino esercitò
su Verdi, Re Lear.
Riflessa nella tragedia del protagonista è la tragedia
di Venezia: nella volontà indomita e fiera che Orseolo
oppone agli eventi contrarii vediamo fremere le ultime
resistenze di un mondo che è già per cedere, logoro di
gloria e di anni. E quando Orseolo raggiunge nell’al di
là il figlio prediletto, restituito puro all’amore del padre
dalla sua morte eroica, sembra che lo stesso spirito della
patria esali da un corpo ormai disfatto per ricongiun­
gersi alle grandi ombre dei suoi eroi.
Vibrano in Rinieri fremiti di vita nuova, fondata
sopra una più profonda giustizia, aneliti verso un’era di
uguaglianza e fratellanza sociale volta a supreme idealità
di patria. Ma è un miraggio ancora lontano : anch’egli
andrà incontro al suo destino di combattente, con nel
cuore il viatico d’amore della sua Contarina, mentre si
elevano al cielo voci di gloria e voci di preghiera.
ORSEOLO
- ATTO I. QUADRO I.
A T T O
P R I M O
L'opera non ha vero e proprio preludio, ma una
concisa introduzione orchestrale a guisa di annunzio, in
cui vengono presentati, quasi dramatis personae prin­
cipali, due tenti nettamente distinti.
Es. 1 (pag. 1)
Andante grave e sostenuto
PP ma pesante
Es. 2 (pag. 1)
Unico lo sfondo tonale di sol minore, ma i due temi
se ne dividono le opposte posizioni di tonica e di do­
minante, come a significare i poli entro cui si svol­
gerà il dramma. Possiamo riconoscere nel primo, espo­
sto da pesanti ottave degli archi gravi, la figura severa
e pensosa del vecchio Orseolo, nel secondo un arioso
richiamo a Venezia, diffuso di echi rispondentisi fra i
corni, di contro a un largo fraseggiare di archi e legni
acuti, di schietto sapore paesistico. Quattro sole battute,
barlume di chiarità improvvisa sopra il fluttuare scuro
N.B. — Le indicazioni di pagine si riferiscono allo spartito per canto e pianoforte.
22
ORSEOLÓ
del tema di Orseolo, successivamente ripreso e svilup­
pato attraverso progressioni crescenti di intensità ed al­
tezza (pag. 2). Ma un inatteso accordo di la bemolle,
primo rivolto, (la classica sesta napoletana, che po­
trebbe esser detta una specie di « congiunzione avver­
sativa » del discorso musicale), viene col suo peso
a toglier forza alla parabola tematica, riattratta verso
il grave con lento volteggiare che svanisce sugli ultimi
ondeggiamenti delle viole, lasciando scoperto l’inciso
caratteristico del tema di Venezia, subitamente riap­
parso e ribattuto dal corno sulla settima minore (sol
bemolle) dell’accordo, per fermarsi sulla quinta (mi
bemolle).
Su quest’ultima lunga nota tenuta, mentre dura
ancor fermo raccordo e altri corni ribattono al centro
un sommesso ritmo d’attesa, la scena si apre.
Appare la biblioteca di Orseolo. E’ sera, una sera
di aprile, e il buio è appena rischiarato da una lam­
pada a lucignoli che è sulla scrivania. E’ con Orseolo
a colloquio, seduto di fronte a lui presso il tavolo, il
senatore Michele Soranzo.
Gravi circostanze formano oggetto dei loro discorsi
e Orseolo cerca dissimulare all’altro la propria preoccu­
pazione. Voce di popolo accusa suo figlio Marino quale
autore del ratto della giovane Cecilia Fusinèr, avvenuto
due notti prima, mentre si recava in gondola ad una
festa, ed ora Soranzo avverte Orseolo che Rinieri Fu­
sinèr, il fratello maggiore di Cecilia, ha firmato in tal
senso una denuncia contro Marino e tre suoi complici
sconosciuti. E non basta, chè una seconda denuncia è
stata dallo stesso Rinieri presentata contro Orseolo in
persona, accusandolo, quale Inquisitore di Stato e Capo
dei Dieci, di avere ad arte ostacolate le ricerche dei rei.
ATTO PRIMO
23
— Se pur non sia, — aggiunge Soranzo, ripetendo
parole di Rinieri,
che di essi — e di quell’uri che più vi preme —
non abbiate voi stesso favorito
la fuga...
— Accusa stolta, — risponde indignato Orseolo, —
stolta e vile!
Quello stesso Rinieri Fusinèr, figlio di un volgare
tagliaboschi salito in fortuna e in onori, fino a diventar
patrizio e a sedere in Consiglio, e tuttavia aspro censore
dei nobili, al fine di guadagnarsi il favore del popolo,
quello stesso Rinieri Fusinèr non vuole che vendicarsi
della risposta avuta quando osò chiedere ad Orseolo la
mano di Contarina sua figlia, quasi fosse sua pari. Ma
che potrà mai egli contro Orseolo?
Rispettoso ma fermo, Soranzo ammonisce l’amico che,
s’egli ha dei diritti, ha pure, come Capo dei Dieci, dei
doveri.
Fino a questo punto, il dialogo non presenta par­
ticolari rilievi espressivi, procedendo colla stessa inci­
siva secchezza con cui Orseolo ribatte agli avvertimenti
e alle pacate considerazioni di Soranzo. Il tema di Or­
seolo circola variamente frammentato, e sempre nelle
regioni gravi dell’orchestra. Ad esso si unisce un nuovo
elemento dalla figurazione breve e tortuosa, che accom­
pagna ogni allusione all’accusa contro Orseolo ed a quella
che egli crede una calunniosa vendetta del Fusinèr.
Es. 3 (pag. 4)
Ma alFaccenno che fa Soranzo a Marino, che tutti
sanno caro al padre « come il lume degli occhi », la
24
ORSEOLO
voce di Orseolo è per tradire una improvvisa tenerezza.
— Ancor di più! — risponde semplicemente, ma
con contenuta intensità.
Un silenzio interrompe il dialogo, per dar luogo ad
una larga frase delle viole e dei violoncelli all’unisono,
densa di espressività.
Es. 4 (pag. 10)
Riprende Orseolo, e, come la frase continua evo­
cando il figlio, unica speranza degli Orseolo, la sua voce
assume accenti di trepido e insieme orgoglioso affetto.
Egli, il padre, sa di sue virtù, ed anche degli errori.
« Ma sono errori, non azioni infami... » Egli non può
aver commesso l’odiosa gesta di cui lo si incolpa.
Son due giorni
e una notte ch’io veglio e attendo. E ancora
attenderò, sin che il mio figlio torni
per udire da lui, da la sua bocca,
che Vaccusa è calunnia. Alla viltà
(Tun uomo del mio sangue e del mio nome
io no, non posso credere.
La sicurezza dell’innocenza del figlio vibra nelle sue
parole con una più chiara larghezza di canto e il tema
di Marino, dianzi esposto nella sua nuda linearità, ora
si scompone nei due incisi iniziali
Es. 5 a) * Lf-f
b) U=J
25
ATTO PRIMO
suddivisi e sviluppati indipendentemente fra viole e vio­
lini primi, formando con altra parte centrale un corposo
tessuto polifonico nella chiara tonalità di fa maggiore,
quasi a rendere il moto di affetti che il pensiero del
figlio suscita nell’animo di Orseolo (pag. 11).
Un altro, piuttosto, e amaro dubbio è sorto nel vec­
chio patrizio... Cessano le figurazioni del tema di Ma­
rino e il tema di Venezia riappare come un ambiguo
ricordo (pag. 13). E’ il presentimento di nuovi tempi
per la Repubblica, che costeranno il tramonto della sua
gloria e del vecchio mondo aristocratico. Che altro voglion dire le accuse e mormorazioni contro di lui se
non che a Venezia « la nobiltà del sangue è ormai spre­
giata? »
Ma se tale è il destino, egli è pronto, senza paura
e senz’odio. Il tema di Venezia si raddolcisce in armo­
niose quinte dei legni e la voce del vecchio magna­
nimo si leva con maestosa serenità.
17,- A /„ „ „ 1
Es.
(pag. 13).
Sostenuto e grave
maestoso (non
p
“g ^
/')
« Mandi pure la Signoria suoi messi ad arrestarlo... »
Ma Soranzo ferma con un’altera protesta il discorso
dell’amico. 11 Capo dei Dieci è sacro, e ne vada piut-
26
ORSEOLO
tosto della vita non di uno, ma di dieci suoi figli, se li
avesse, prima che un tale oltraggio sia permesso.
Irrita Orseolo quel troppo facile ragionare del­
l'amico senatore, che parla come se avesse in casa figli
bastardi... Ma subito si ricompone e si scusa con Soranzo, colpito da quelle violenti parole. Ritorna in lui,
con la calma, il senso della sua responsabilità di altis­
simo magistrato della Repubblica.
L’orchestra riaccenna il tema di Orseolo, il tono del
colloquio si rifa freddo, quasi solenne. Sa il suo dovere
Orseolo, e saprà compierlo, ove il figlio risulti veramente
colpevole. Ma non può accettare il consiglio di Soranzo
di non intervenire, la sera, alla festa che si darà in Ca’
Grimani. Vi andrà con sua figlia, apertamente, sfidando
gli assurdi sospetti. Il colloquio ha termine e Soranzo
si congeda.
Ancora ritorna il tema di Venezia, su pesanti lunghi
accordi degli archi gravi, sostenuti dai tre fagotti e dalla
tuba, mentre figurazioni cromatiche discendenti del
tema di Orseolo si perdono nei bassi.
Es. 7 (pag. 18-19).
27
ATTO PRIMO
Un la bemolle ribattuto dai corni in sordina e pun­
tato superiormente dall'oboe, allorché l'accordo di sol­
maggiore si cambia in quello della dominante vuoto di
terza, — sempre sull immobile pedale di tonica, — in­
crina l’apparente calma, lasciando l’atmosfera sospesa
finché, uscito Soranzo, dallo stesso la bemolle si diparte,
come liberato, il tema di Marino ripreso con intensità
dagli archi. Ma il tema di Venezia s’incide con insistenza
nei legni e agitate lineature cromatiche dello stesso tema
di Orseolo vengono ad insinuarsi sotto la calda frase
degli archi che guadagna in altezza con crescente conci­
tazione: insieme tematico contrastante, in cui si riflette
il corso tumultuoso dei pensieri ai quali Orseolo ora si
abbandona (pag. 19-20).
Ne è distolto ad un tratto da un canto che s’ode
venire giù dal canale. Un sommesso tremolìo di bassi,
— sullo stesso fa sul quale la frase degli archi, giunta
al grado di maggiore concitazione, è ridiscesa in sestine
precipitate di semicrome, dando ora gli ultimi fremiti
nel ricorrere interrotto di un frammento del tema (in­
ciso b), vedi es. 7), — fa da sfondo opaco alla voce lon­
tana, che si leva spiegata a intonare una giustinianea (1)
dalle delicate immagini amorose. La melodia ha le no­
stalgiche inflessioni di una nenia marinaresca, in un la
minore con seconda minore (si bemolle) caratteristico
dei vecchi modi popolari.
(1)
nome
Ballata
dell’autore
di
argomento
Leonardo
amoroso,
Giustiniani,
ad alte cariche della Repubblica ^1388-1466).
arieggiatile
patrizio,
le
poeta
forme
e
della
musicista
lirica
popolare,
veneziano,
dal
assurto
OBSEOLO
28
Es. 8 (pag. 20)
tuoi. gli oc •
• chi
tuoi
me---------------- fa
lari -
- gui -
- re...
Ma alle parole « Anzoletta vaga e bella », quasi il
canto ormai vincesse su ogni altro pensiero, l’inciso del
tema di Marino si dissolve nel cullante accompagna­
mento che l’orchestra delinea a ritmo di barcarola, nel­
l’indecisione suggestiva di un la minore-la maggiore.
Orseolo chiede al servo che rientra dall’aver accom­
pagnato Soranzo chi sia l’ignoto cantore. E’ il nuovo
gondoliere del traghetto, messo a sostituire il vecchio
Zuane cui era venuto male la mattina. « La vecchiaia.
Eccellenza!...» Il piccolo episodio sembra avere un si­
gnificato per i presentimenti di Orseolo... Rattristato, dà
al servo alcune monete perchè siano portate l’indomani
al vecchio gondoliere, ordinando che sia intanto avver­
tita Contarina di tenersi pronta fra un’ora.
Riprende il canto più lontano. Ardenti sono ora le
parole, che cercano melismi inquieti, avvolti da lente
spire cromatiche dell’orchestra (pag. 23-24).
Un piccolo uscio segreto si è nel frattempo aperto,
CONTAR!NA (ATTO I )
RINIERI ( ATTOII
ATTO PRIMO
31
lasciando entrare un uomo mascherato e ammantellato
che con fare circospetto va ad assicurarsi che tutti gli
altri usci sian chiusi. Il rumore riscuote Orseolo, che si
volge e, come l’uomo si toglie maschera e mantello, ri­
conosce in lui Marino.
Un accordo lacerante di tutta l’orchestra, come uno
schianto, e Orseolo indietreggia, invaso da un tremito,
lasciandosi cadere sul seggiolone, mentre Marino gli si
inginocchia davanti, chinando il capo in muta attesa.
In orchestra affiora da un cupo tremolo di bassi il
tema di Marino, che stenta a delinearsi, nella ripeti­
zione esitante del suo inciso iniziale (inciso a) vedi
es. 7) ad ottave delle viole e dei legni gravi, cui rispondono
all’acuto i violini, rappresi in tre freddi, enigmatici
accordi minori descriventi il doppio tritono la-mi be­
molle-la.
Es. 9 (pag. 25)
Non molto più mosso.ma più affannoso
E’ l’impazienza ansiosa di Orseolo, che forse ha già
intuito la verità e già paventa l’orrore della temuta ri­
sposta al tremendo interrogativo: « E’ vero? E’ vero?... »
Il tema di Marino avanza a poco a poco, vieppiù
concitato, ma sempre gli sovrastano e l’inseguono i tre
accordi ambigui, man mano che incalza Orseolo nella
sua imperiosa necessità di una risposta che fughi il
dubbio angoscioso (pag. 25 a 27).
32
ORSEOLO
Ma Marino tarda a rispondere. Supplica il padre
di calmarsi, forse, aggiunge, è quella l’ultima volta che
gli parla...
Ancora il tema di Marino si restringe nell’iterazione
a ritmo interrotto di un frammento (inciso b) dell’es. 7)
(pag. 27-28) e, quando finalmente Orseolo ha compreso
e trattiene il figlio che vorrebbe rialzarsi, il movimento
in orchestra sembra placarsi e lo stesso tema, ricomposto
nei suoi due incisi caratteristici, si ripresenta, riempiendo
i silenzi fra l una e l’altra domanda del padre : « Ov’è
quella fanciulla? Dove l’hai tu nascosta? Morta? Uc­
cisa? Con le tue mani, tu Marino? » (pag. 28-29).
— No, — scatta il figlio.
Perchè non lo credeste, io non fuggii
coi miei compagni. E se costei è morta
non fu per mano nostra. E morì pura.
Ai motivi del tema di Marino è succeduto ora il
tema di Venezia a sottolineare il dialogo tra padre e
figlio. La rivelazione della colpa di questi è ormai certo
segno dei dolorosi presentimenti di Orseolo. E quando
Marino tenta giustificarsi adducendo che non la fan­
ciulla dei Fusinèr si voleva rapire, ma si voleva sol­
tanto dare una lezione ai suoi che
ormai da troppo tempo, impunemente,
van diffamando, in Piazza e nel Consiglio,
i nomi più onorandi di Venezia,
accusando i patrizi e le lor donne
di colpe e vizi infami...
Orseolo esclama con amarezza: — Hanno ragione!
33
ATTO PRIMO
Marino racconta. I Fusinèr, sprezzando la condanna
che il Senato aveva inflitto ai vetrai di Murano, ave­
vano ostentato di recarsi ad una festa indetta da quelle
maestranze. Ed egli e i suoi compagni risolsero di pu­
nire l’offesa.
In orchestra un greve altalenare di bassi e un mo­
tivo ondulante di terzine sembrano evocare il grigio pae­
saggio lagunare che ha visto la gesta delittuosa (pag. 33).
Si osservi come questo motivo, introdotto mentre Marino rac­
conta, e ripresentato d’ora innanzi come elemento tematico allu­
sivo al delitto, — sia che ad esso si riferiscano le parole dei per­
sonaggi, sia che esso domini come un pauroso fantasma l’atmo­
sfera in cui essi si agitano (ciò che vedremo nelle successive scene,
quando Marino si sarà allontanato e il pensiero della colpa di
lui perseguiterà Orseolo senza più pace), — non sia altro che una
trasformazione puramente ritmica del tema di Orseolo.
Es. 10
Nella sua primitiva figurazione, tal quale ci si presenta dalle
prime battute dell’opera fino a questo punto il tema di Or­
seolo, fondato sulla formula ritmica
, è l’immagine
musicale del vecchio mondo patrizio, statico, immobile, inacces­
sibile, personificato nella figura del protagonista. Ma come il
dramma procede, e Orseolo presente negli avvenimenti l’azione di
oscure forze disgregatrici che saranno fatali alla Repubblica, già
impegnata in lunghe sanguinose guerre, e all’ormai logoro regime
ORSEOLO
34
aristocratico, lo stesso tema subirà volta per volta modificazioni
ora suggerite da un vago spunto descrittivo (come nel racconto
di Marino), ora da un particolare stato d’animo o da una partico­
lare situazione del dramma (come nelle scene seguenti).
Non dunque nuovi elementi tematici inerenti a nuovi elementi
drammatici, ma atteggiamenti diversi dello stesso tema determinati
dalla reazione, per così dire, che gli avvenimenti provocano nell’animo del protagonista.
La musica nel dramma pizzettiano non fa capo ai motivi con­
duttori nel senso e nella funzione che essi hanno, per es., in quello
wagneriano, dove ciascuna ha un riferimento preciso, fisso e im­
mutabile, a questo o a quell’oggetto drammatico o anche soltanto
scenico, ma costituisce una materia pieghevole e multiforme che
viene plasmata dallo stesso destino che imprime una volontà, una
passione, un moto ai personaggi ed alle cose del dramma. Valen­
dosi di una tematica dalle infinite risorse di sviluppi, essa non
conduce, ma procede in rigorosa, inscindibile unità col dramma nel
suo progressivo divenire.
Viene realizzata così per la musica quella « possibilità di rive­
lare continuamente la misteriosa profondità delle anime, oltre i
limiti che la parola non può e non potrà mai varcare », da Pizzetti vagheggiata fin dai primi anni dei suoi tentativi dramma­
tici (1).
Non per altro quindi che per pura comodità di esposizione
continueremo a dare un nome ai vari temi e, ove occorra, alle
nuove figurazioni degli stessi quando si riferiscano a nuovi ele­
menti del dramma.
A un miglio dalla città la gondola fu abbordata.
Ma invece dei tre Fusinèr non vi fu trovata che Cecilia,
la sorella, sola. Ubriachi com’erano, « ma più di sdegno
e d’ira che di vino », la giovane fu rapita. All’improv­
viso, quando s’era giunti già presso all’Arsenale, con un
balzo essa si buttò in acqua, mentre una pattuglia pas­
sava nel buio della notte...
(1) Vedi lo scritto di I. P. su «Ariane e Barbebleu » di Dukas (Rivista Musicale
Italiana, Torino, 1907).
ATTO PRIMO
35
Estenuato, Marino s’interrompe. Nulla più sa da
quel momento. Ed ora egli è un infelice che ha bisogno
d’aiuto, di aiuto e di danaro, per fuggire. E da Orseolo
egli l'attende, da lui che è Capo dei Dieci e dovrebbe
punirlo, ma che è pur suo padre.
Riprendono viole e violoncelli, modificato negl in­
tervalli iniziali ma intatto nella struttura, il tema di Ma­
rino, in tono doloroso e implorante (pag. 36): altri stru­
menti si uniscono e danno a questo episodio un commosso
respiro affettuoso (pag. 37). Ma il ritorno del tema di Ve­
nezia esprime con accento inesorabile la severità della
legge che impedisce ad Orseolo il gesto atteso da Ma­
rino. Questi ha un moto di ribellione, alle parole del
padre, cui risponde ammonendo :
Prima legge è salvare la potenza
dello Stato. E lo Stato siamo noi,
il patriziato che lo fece grande.
Ora sono le parole di Marino che richiamano il
tema di Orseolo, quasi a suscitare la voce dell’antica,
orgogliosa potenza patrizia, e ancora il tema di Venezia,
vieppiù insistente nei corni, quando egli accenna al
padre il dilemma :
O mantenere intatti i privilegi
conquistati dai nostri, ed impedire,
con ogni mezzo, che ci sian contesi,
o noi favoriremo le congiure,
contro di noi e contro la Repubblica,
d’ogni gente più vile...
Ma Orseolo è inflessibile. La legge esige che egli,
Inquisitore di Stato e Capo del Consiglio dei Dieci, dia
ORSEOLO
36
corso alla giustizia, e lo stesso tema che pur ha dato
alle parole di Marino il senso della pericolosa realtà
che incombe sui nobili e sull’esistenza stessa della Re­
pubblica, ora si ferma ostinato nei bassi (pag. 41) e dà
un crudo rilievo alla perentoria risposta di Orseolo.
Qui non vi sono Orseolo e suo figlio!
Qui ve soltanto un criminale, reo
d’una colpa infamante, e contro a lui
un uomo onesto, un uomo senza colpe,
che diritto e dovere ha di colpirlo.
— E dunque denunziatemi, — risponde Marino. —
Ma giuro che vivo, no, nessuno potrà prendermi.
Una breve interruzione. Si bussa alla porta. E’ Contarina.
Orseolo le dice di attendere ancora, a più tardi. Il
dialogo fra padre e figlio riprende.
Cerca ora Marino di commuovere il padre. Come
potrà egli pensar suo figlio, l’unico suo figlio, messo in
catene, alla tortura, sospeso per i polsi, là nella camera
nera... « Neppur con una maschera di ferro! », grida
Orseolo, e un ultimo ritorno del tema, a doppie terze
per moto contrario dei legni, sembra inibire al figlio
altre parole ed al padre ogni volontà di ascoltarlo (pa­
gina 44).
Ad un commosso addio di Marino, Orseolo lo ferma,
sussultando. Prende una borsa di danaro che è sul ta­
volo e gliela porge, senza guardarlo in viso. Si riode,
ATTO PRIMO
37.
lontana, la voce del gondoliere, accompagnata da ottave
tremolate digradanti dei violini, continuate nel grave
dei bassi. Il canto suscita una improvvisa dolcezza di
nostalgie nel cuore del giovane, che mormora il nome
della sua Venezia quasi come un segreto doloroso addio.
« Non si torna più indietro », esclama Orseolo, richia­
mato alla realtà. Ma la malinconia dell’ora scioglie
anche il vecchio padre dall’amarezza troppo lungamente
contenuta. Ne è piena la sua dolente invocazione al Si­
gnore, in cui il tema di lui appena riaccennato cede alla
figurazione derivata rievocante il delitto, sulla quale
viene ad intessersi l’intera pagina densa di tristezza de­
solata ( pag. 46-48). E sconsolate sono le ultime parole :
« Non ho più forza, o Dio, son troppo vecchio! »
Vieppiù commosso, Marino invoca affettuoso per­
dono dal padre, cui sa di aver dato assai dolori, « anche
prima di questo così grande... » Non si volge Orseolo, e
la separazione avviene senza ch'egli pronunzi l’attesa
parola. Un’ultima preghiera, un bacio a Contarina, e
il giovane scompare.
Ancora rimane solo Orseolo, e come la prima volta
(vedi es. 7) ritornano i gravi accordi degli archi e legni
e il tema di Venezia, cui s’aggiunge ora quello di Ma­
rino, che s’allontana impallidendo in una ultima eco
(pag. 49-50).
Riscuotendosi, tenta Orseolo con sforzo di rialzarsi,
ma ricade, tende il braccio verso il campanello, chiama.
Contarina, la dolce figliuola, è di lì a poco con lui,
accompagnata dalla sua balia levantina.
ORSEOLO
38
Un breve agile tema accennato dal clarinetto pre^
cede l’apparizione della fanciulla
Es. 11 (pag. 50)
Armi mosso e leggero
e ancora, dopo un breve ritorno del « grave », ne accom­
pagna l’entrata, salendo di tonalità ed aggiungendovisi
l’arpa: le semiminime della seconda battuta sviluppate
in crome saltellanti e le garrule ripetizioni dell’inciso a
termine, sul pedale di re bemolle trillato dai violoncelli
e tenuto dal corno, danno al piccolo episodio un fresco
sapore di ilare leggerezza. In pochi tocchi è disegnata
la fìguretta gentile dell’ignara fanciulla.
Contarina crede di trovare Marino nella stanza col
padre, sembrandole averne udita la voce mentre era di
fuori. Ma Orseolo nega, ed evasivamente risponde alle
sue domande, mostrandosi ella preoccupata di non veder
rincasare da tre giorni il fratello.
Gravi d’incubo sono i pensieri e le parole di Or­
seolo. Per tutta la scena domina l’elemento tematico
derivato dal tema di Orseolo che accompagna il rac­
conto di Marino e le successive allusioni al delitto. Lo
disegnano ripetutamente i bassi, ora in cupi striscianti
movimenti di terzine
Es. 12 (pag. 51-53)
ma pesante
ATTO PRIMO
39
ora, — dopo un episodio digressivo suscitato dai lamen­
tosi presagi della balia levantina, che ha sentito gridare
per tre volte la civetta, segno di sventura, e non vuole
che il padre esca e conduca Contarina al hallo, —
Es. 13 (pag. 53)
in un affannoso incalzare di più rapide figurazioni,
Es. 14 (pag. 56)
allorché giungono dall'esterno voci concitate di gente
che sembra stia inseguendo qualcuno: « Dalli, dalli,
piglialo! »
Eccitato, Orseolo ordina al servo di andare a vedere
di che si tratti. Le progressioni affannose del tema del
delitto continuano incalzanti e ad un certo punto (pa­
gina 59) sfociano concitatissime in un pedale acuto di
la minore, sotto cui il tema di Orseolo si ripresenta vigo­
roso nei bassi, con posposizione dell’ictus letico iniziale
e suddiviso fra i tempi forti del « ritmo di due battute »
sul quale si svolge l’intero episodio a guisa di dramma­
tico « scherzo » di sinfonia. Così ripresentato, il tema
dà luogo a un inseguirsi di progressioni analoghe a quelle
dell'introduzione (vedi pag. 2).
/
ORSEOLO
40
Es. 15 (pag. 59)
Contarina atterrita si stringe al padre, che cerca do­
minarla, dominandosi.
Tu tremi?
Hai paura anche tu, come la balia?
Riprende incessante il tema del delitto nel grave
come un cupo rombare I pag. 60). « Non è paura, no »,
risponde la fanciulla,
Ma quelle grida,
la vostra voce, il vostro turbamento...
Che accade intorno a noi, che dunque accade?
Parlate... Una parola...
— Quale? — chiede Orseolo più a sè stesso che
ad altri, smarrito, mentre l’ossessionante insistenza del
tema nei bassi sembra placarsi, lontanando, — quale?...
ATTO PRIMO
41
E come seguendo pensieri che la fanciulla non in­
tende, la sua risposta è un oscuro interrogare (pag. 62).
Udisti mai che una parola possa
scoperchiare una tomba?
0 trarre a salvamento
uno che sia caduto dentro a un pozzo?
O soltanto, soltanto riaprire
la porta che uno schiuse di sua mano?
Non le parole, solo i fatti contano!
Se ne segua l’intonazione musicale, frase per frase.
La prima, sulla quale s’imposta l’intero brano, è la più
estesa, e sembra emergere, progredendo lenta e sinuosa
dalle note basse della tessitura verso le più alte, dallo
stesso fondo dell’animo di Orseolo, dove egli ormai cela
il penoso segreto.
Dal si basso la frase percorre due identici kola ri­
prodotti simmetricamente a distanza di quarta ascen­
dente, ciascuno costituito di tre semitoni cromatici e
una quarta, in levare quelli, in battere questa, ossia secon­
do gli accenti principali del verso. Guadagnata attraverso
quei due gradi faticosi la regione del si superiore, la
frase attinge il re acuto e vi si sofferma, per ridiscen­
dere ad intervalli digradanti di terza e ritornare verso
il punto di partenza, appoggiando l’interrogazione sul
re diesis basso che si flette sul si. La tonalità è indecisa
fra il si dominante di mi minore su cui è impostato il
canto e il si minore del disegno tematico di Marino che
serpeggia al basso.
42
ORSEOLO
Es. 16 (pag. 62-63)
Sostenuto
U • di - sti inai che u - ita pa
ro •
• sa geo • per « chia • - re u • na
torn
•
la
pos •
ba?
Non v’è salita nella seconda frase, essendo questa,
nel suo significato alterno, una continuazione della prima,
epperò più brevemente dal si superiore, ripiegato verso
il fa diesis, la melodia risale il cammino per portarsi
questa volta con maggior forza sul re diesis. Analogo
ridiscendere per terze verso il re diesis-si basso, dove
s’appoggia ancora l’interrogazione.
Es. 17 (pag. 63)
0
trar •
re a
sai
-
va
-
men
-
to
u-
• no che sia ca - du • to den ♦ tre a un poi • zo?
11 tema del delitto sottolinea sia il primo, come
abbiamo visto, che il secondo interrogativo, ma questa
seconda volta ben chiaramente in sol diesis minore. Nella
terza frase, in questa stessa tonalità, esso riappare anche
superiormente in ottave dei flauti ed oboi nella sua prima
figurazione di terzine di semiminime, accompagnando
l’ultimo interrogativo di Orseolo, che percorre le stesse
note del tema in ritmo più tardo (semiminime binarie)
per portarsi al mi acuto (ossia ancora un semitono di
più delle due volte precedenti), senza più ritornare verso
il basso. Il sol diesis minore, frattanto, è disceso attra­
verso un sol naturale (sesto grado abbassato) sul fa diesis
ATTO PRIMO
43
dominante di si maggiore, e, come l’interrogazione ha
già in sè l’affermazione (lo dirà subito dopo Orseolo
stesso: « Non le parole, solo i fatti contano! ») il canto
cadenza ampiamente nella raggiunta tonalità di si mag­
giore, e precisamente sul re diesis terza dell’accordo.
Es. 18 (pag. 63)
La più diffusa analisi che abbiamo fatta di questo brano,
prezioso pur nella sua brevità ed analogo ad altri numerosi dis­
seminati nelle partiture teatrali pizzettiane, ove appena lo svol­
gersi del dramma si accentri nello stato d’animo di un personaggio,
gioverà ad illuminare sull’essenza del linguaggio vocale realiz­
zato da Pizzetti. Esso è altrettanto lontano dal mero accoppiamento
di parola e musica, — alla cui efficacia la prima di solito contri­
buisce o in via secondaria, o non contribuisce affatto o, nel peg­
giore e non meno frequente dei casi, vi contribuisce negativa­
mente, — quanto da un puro e semplice arricchimento del potere
sensibile della parola, ottenuto col potenziare al massimo grado
quegli elementi sonori e ritmici che essa possiede in comune con
la musica ma che da questa la distinguono in forza di certi limiti.
44
ORSEOLO
Arricchimento che, ave fosse la sola finalità da raggiungere, coste­
rebbe alla musica un inutile sacrificio della sua individualità, do­
vendo essa condizionarsi strettamente al ritmo e al suono della
parola, dando luogo a quella che potrebbe chiamarsi una « musica
verbale », senza alcun positivo costrutto estetico. E come nel primo
caso la funzione della parola rimane subordinata alla musica, men­
tre nel secondo avverrebbe l’inverso, il problema di un linguag­
gio proprio del dramma, rispondente a quegli ideali di verità
espressiva lungamente perseguiti dal nostro autore, rimarrebbe
senza soluzione. Quella cercata ed attuata da Pizzetti si rifa ad
un principio ben più profondo quanto semplice: essa va oltre «i
limiti che la parola non può e non potrà mai varcare » per tra­
durne in musica la stessa emozione suscitatrice, seguendone gli
andamenti mutevoli e quasi oggettivandoli nella lineatura melo­
dica, trasfigurando quella che sembrerebbe a tutta prima una pre­
cisazione musicale soltanto ingegnosa ed affatto esteriore degli
elementi fisici della parola in un parlare commosso e vibrante,
non più soltanto parola nè soltanto musica nè musica verbale, ma
vocalità, canto.
Chi volesse ricercarne i precedenti li ritroverebbe, più che
nella particolare storia del cosiddetto « dramma musicale », ovvero
nel W ort-ton-drama dei Wagner, nel recitativo espressivo dei GluckCalzahigi e nel recitar cantando dei fiorentini della Camerata, in
quelle più remote regioni della storia della musica dove la voca­
lità costituì forma unica ed esclusiva di linguaggio, dal canto
gregoriano ai mottettisti e madrigalisti del Cinquecento. Presso
i quali ultimi in ispecial modo l’espressione musicale scaturiva
direttamente dall’interpretazione poetica del testo, episodio per
episodio, senza l’ostacolo di prestabiliti schemi formali, ma solo
attraverso
l’elementare
espediente
costruttivo
dell’imitazione
—
sfruttata con inesauribile fantasia nelle più estreme e complesse
risorse, — il che permetteva non solo di raggiungere una rigo­
rosa unità logica, ma possibilità e varietà infinite di forme volta a
volta determinate dalla libera intuizione musicale del significato
e della forma poetica.
A voler proseguire l’indagine ritornando verso tempi più re­
centi, ritroveremo quel principio profondamente intuito da uno
dei classici del melodramma italiano dell’Ottocento, Vincenzo Bel­
lini. Laddove Verdi, che raggiunse per altre vie e con quella po-
ATTO PRIMO
45
tenza che tutti sappiamo la verità drammatica, nel chiedere ai
suoi librettisti, più che dramma, « situazioni », esigeva altresì non
poesia, ma « parole sceniche » che ubbidissero ad un premeditato
accento drammatico, è noto come Bellini usasse ripetere: «Da­
temi della bella poesia ed io vi darò della bella musica » (ciò
che non impedì peraltro al suo genio di creare divine musiche
con della mediocre poesia, come nel caso dei Puritani). Ma ben
più interessante ed istruttivo riuscirà al lettore il seguente brano
di una lettera di Bellini, nella quale viene da lui stesso descritto
il processo d’ispirazione delle sue immortali melodie, lettera che
potrebbe dirsi posta a fondamento ideale del credo pizzettiano:
« Compiuto il lavoro, studio attentamente il carattere dei perso« naggi, le passioni che li predominano e i sentimenti che esprimono.
« Invaso dagli affetti di ciascun di loro, imagino esser divenuto
« quel desso che parla, e mi sforzo di sentire e di esprimere effi« cacemente alla stessa guisa. Conoscendo che la musica risulta da
« varietà di suoni, e che le passioni degli uomini si appalesano
« con tuoni diversamente modificati, dall’incessante osservazione
« di essi ho ricavato la favella del sentimento per l’arte mia. Chiù« so quindi nella mia stanza, comincio a declamare la parte del
« personaggio del dramma con tutto il calore della passione, e os« servo intanto le inflessioni della mia voce, l’affrettamento e il
« languore della pronuncia in quella circostanza, l’accento insom« ma ed il tuono dell’espressione, che dà la natura all’uomo in
« balìa delle passioni, e vi trovo i motivi ed i tempi musicali adatti
« a dimostrarle e trasfonderle in altrui per mezzo dell’armonia... » (1).
Dalla vaghezza melismatica del canto gregoriano alla concen­
trata espressività ed alla logica costruttiva del canto polivoco dei
cinquecentisti alla purissima vocalità di Bellini: questa a grandi
tratti, nel solco della più genuina ed esclusiva italianità e nel senso
più ampio della nostra tradizione, l’esperienza storica che Pizzetti
ha rivissuto nella sua sensibilità di artista ed ha ricreato nella voce
dei suoi personaggi drammatici.
Non comprende la fanciulla il significato di quelle
oscure parole. Ma non cura Orseolo che essa comprenda.
(1) Lettera riportata da Pizzetti nel suo saggio su Bellini (negli Intermezzi critici,
ed. Vallecchi, Firenze, 1920), contenuta nella Vita di Bellini di F. Cicconetti (Prato, 1859).
ORSEOLO
46
E’ lei sola che conta per lui ormai, il suo affetto, la sua
devozione. Non gli rimane altro. E avvicina a sè la
figliuola, con parole di benedizione.
Si riode il tumulto di fuori e l’angoscia riassale Orseolo. 11
finalmente
chiede
tema del delitto ritorna ancora insistente, ma
si disperde lontano. « Chi, chi han preso? »,
con
dissimulata
impazienza
Orseolo
al
servo
che
è rientrato. Solo un banale incidente di strada : « Han
preso un ladro, un borsaiolo, forse un levantino ».
lungo
L’angosciosa atmosfera d’attesa, già placatasi
accordo di fa maggiore dei tromboni, si
in un
ricom­
pone in una calma di bonaccia, appena increspata da
ultimi richiami, dei violoncelli e viole imitantisi, al tema
di Orseolo, che ha ritrovata la sua
mentre tutti si avviano e la scena si chiude.
Ne precede il riaprirsi sul
pensierosa
gravità,
PRIMO INTERMEZZO
un festoso squillare di ritmi carnevaleschi.
Es. 19 (pag. 71)
Ma
Venezia
è
in
guerra.
Sulla
Riva
degli
Schiavoni,
a notte stellata, donne e vecchi del popolo sono in attesa
dei soldati che passeranno per recarsi all’Arsenale e di
là imbarcarsi per il Levante. E tuttavia Venezia è spen­
sierata.
Gruppi
di
maschere
irrompono
l’interno giunge un canto di saluto al Carnevale.
dal
fondo,
dal­
O R S E O L O - INTERMEZZO -
ATTO PRIMO
49
Es. 20 (pag. 72-73)
Vivace
LE MASCHEBE
Verrà poi la contrizione: ora tregua a pianti e lai.
Ma è un'allegria che non riesce a vincere la dif­
fusa gravezza che è nell’aria. Meglio le si addice il rullo
dei tamburi che annunziano i soldati, e il loro canto di
guerra, che s’ode avvicinarsi.
Es. 21 (pag. 75-76)
(Movimento di Marcia)
I SOLDATI
e
chi ne li
_____ chi
voi tior ae
dar___ san - gue.
dar san • gue no voi---------------------- xe_______ fio • li in - de •
faz - za a * van • ti:______________ __
chi dar---------- «an - gue; ch;
* gn>-----—_
ORSEOLO
50
La
tanti
folla,
canzoni
che
è
di
baldoria,
rimasta
finora
si
indifferente
scuote
alle
invi­
a
quei
commossa
ritmi ed a quel canto pesantemente scandito, con un che
di
rustico
eroi,
e
fiero
di
marziale,
rimprovero
in
agli
cui
inetti.
è
orgoglio
Chi
«
di
dar
semplici
sangue
no
voi xe fioli indegni ». Ma la gaia canzone ha il soprav­
vento.
Entra
una
mascherata,
raffigurazione
del
Carne­
vale e delle sue maschere
che parvenza oppur sostanza
dicon tutte verità.
E
le
quali
tristi
presentazioni,
beffardo,
aperto
verità!
fra
le
scherno
Il
capo
della
sghignazzate
alle
false
mascherata
dei
inizia
compagni.
apparenze
di
E’
una
società insulsa e corrotta.
Sotto il manto del Dottore,
— Ehm, ehm, ehm, ehm, —
c’è uno Zanni sciocco e matto,
— Ah, ah, ah, ah! —
Dove vedi una gran dama,
— Ih, ih, ih, ih, —
cè una Gnaga col suo gatto.
— Miao, miao, miao, miao! —
Ma
la
folla
rimane
muta,
nè
sembra
l’ammonimento, di una spensieratezza falsa, sforzata:
Piangerete un altro giorno.
Oggi è giorno di godere.
che
ascolti
51
ATTO PRIJIO
Il
fine
contrasto
a
se
propria,
sfondo
è
sferzante,
stessa,
pur
la
essendo
ne
illumina
di
corale
alla
vicenda
pittura
isolata
scorcio
gli
dei
d’ambiente,
dall’azione
avvenimenti
protagonisti.
non
vera
e
Più
fa
che
e
da
in­
termezzo, è la didascalia animata di un dramma d’eventi,
più ancora che d’uomini.
Riecheggia
Si
fanno
il
tacere
tema
le
di
Venezia
maschere
squillato
fastidiose.
dalle
trombe.
Arrivano
i
sol­
dati. Cantano ora di teste di turchi da tagliare e da por­
tare a casa a rallegrar le feste, e la giovanile loro bal­
danza,
e
il
suono
dei
tamburi
e
le
trombe
dànno
alla
scena una nota di tonificante vigore.
« Accoppateli tutti, i Turchi cani, e poi tornate. Viva
la
Repubblica!
smo.
Le
una,
quella
»,
maschere
che
ad
adocchiare
dei
soldati,
il
fa
sono
una
si
dapprima
scomparse,
la
ragazza
innamorato.
audace,
rimprovero,
vecchio
guidato
bella
suo
Ne
ha
un
aveva
passati,
tante
grida
tremante
verso
Marco.
mascherata,
che
E
S.
sta
quando
d’entusia­
è
Solo
rimasta
salutando
uno
i
son
soldati
si
avvicina,
le
dice
ripulse
sdegnose,
e
perfino
uno
scot­
ad
invito
pressante
di
andar
un
più
cose
galanti.
con lui alla festa, a S. Tomà.
Quei che han coraggio partorì per la guerra.
Giunge
lontano,
attraverso
lentamente
l’aria
notturna,
appoggiato
su
intanto,
lunghi
un
acuti
canto
lamen­
tosi : tristezza d’addio, forse senza ritorno. Un velo bru­
moso
di
sembrano
violini
tremolare
ne
nei
Brividi e ombre nell’aria.
raccoglie
bassi
l’eco
le
acque
in
orchestra,
nere
della
dove
laguna.
ORSEOLO
52
Es. 22 (pag. 94-95)
Il giovane mascherato insiste. Verrà il suo turno per
andare alla guerra. Per ora vuol godersela.
A San Toma si balla... E siete giovane...
Occhio non vede, cuor non duole... Andiamo.
Già cede e sorride la ragazza, e ad un altro com­
plimento
più
degli
altri
lusinghiero,
si
allontana
col
gio­
vane verso la città. Si richiude la scena e svaniscono gli
echi della notte carnevalesca.
ATTO PRIMO
53
QUADRO SECONDO DELL’ATTO I.
Alla
ripresa
dell’azione,
del
palazzo
dei
sala
la
Grimani.
scena
Aria
è
di
in
una
festa
grande
anche
qui,
ma non gravata da presagi o turbamenti. La vita di fuori
sembra
che
non
man
apprendersi
mano
posto
delle
delle
canzoni
giungono.
maschere
pagheranno
il
della
Repubblica,
delle
zate
mutevoli
forme
canti
pareti
del
della
sordinato
dalle
della
della
di
solenni
popolo
vesti
chiasso
irridente
il
dei
loro
tragico
soldati
tributo
facili
laguna,
nobile
società
ricche
Del
fra
guerresche
vante
nostalgici
alle
fa
degli
fuori
una
eleganze
di
silenzio
che
di
nel
sangue
galanterie
nulla
casa.
fra
mille
volti
la
aristocratici,
composta
un
di
giunge
Ai
riscontro
degli
minuetto
della
folla,
Le­
alla
gloria
piazza,
le
tappez­
compassatezza
al
dei
inquieti
animazione
molto
Orchestra
sul palco
■ 4’—4) »
di­
ritmata
sostenuto
Movimento di Minuetto,molto sostenuto e pomposo
►—S
,.. ._______________—
e
uni­
movimento
Es. 23 (pag. 97)
♦
incom­
lontano
pomposo.
*
invitati
e
e
ORSEOLO
54
Ne
sono
giungono
nelle
le
sale
clavicembalo).
note
interne
L’orchestra
a
tratti
(due
dagli
pifferi,
sottolinea
a
strumenti
cornetto,
intervalli
che
archi
e
con
pas­
lente
della
saggi di semicrome, uno dei quali
Es. 24 (pag. 98)
vedremo
danza,
sviluppato
al
cui
in
suono
seguito,
le
s’intrecciano
movenze
convenevoli,
s’improv­
visano madrigali alle belle dame (pag. 101).
Nel sorrìso
delle sue donne specchiasi Venezia
e più risplende, sì che due bellezze
fanno un incanto solo.
Al
neature
tema
di
orchestrali
festa,
al
derivato
dalle
minuetto
(pag.
precedenti
97)
sottoli­
succede
un
altro tema delle viole e dei legni, di carattere serio e pen­
soso, che segna l’entrata del senatore Soranzo
Es. 25 ( pag. 103)
adombrando
l’atmosfera
festosa
della
scena,
discorsi andranno man mano convergendo sull’argomento
mentre
i
55
ATTO PRIMO
di attualità : il delitto di Marino e le accuse contro suo
padre.
Soranzo
abbia
voluto
deplora
ascoltare
con
il
Grimani
suo
che
consiglio
Orseolo
di
non
non
interve­
nire alla festa.
Ma Vamor ch’egli porta al suo figliuolo
gli fa dimenticar la dignità
del grado e i suoi deuteri.
Riprende
di
un
con
uomo
vivacità
mascherato,
il
tema
che
di
guarda
festa
all’entrata
intorno
come
in
cerca di qualcuno e si fa poi presso alle finestre, rima­
nendo
solo
spiritosi
e
taciturno,
motteggi
mostrando
rivoltigli
da
un
di
non
gruppo
ascoltare
di
dame
gli
che
lo hanno scorto e ridono di quel suo poco allegro atteg­
giamento.
Ma
seolo
fondo
dal
e
gentiluomini
la
giovane.
prevale
l’altro
insieme
si
Un
fanno
senatore
con
tema
allorché
Contarina
loro
avanza
Or­
109).
Dame
(pag.
incontro,
con
appare
complimentando
studiata
indifferenza
qualche domanda ad Orseolo su Marino, che non si vede
ancora apparire alla festa. Orseolo si domina. « Forse,
— dice, -— verrà più tardi ». Il senatore si fa più ardito:
N’ho piacere.
Talun diceva già fosse fuggito
per sottrarsi all’arresto, in conseguenza
di quel ratto...
— Davvero? — simula Orseolo. — E voi che dite?
— aggiunge subito.
56
ORSEOLO
—
Io?
Nulla,
—
gli
risponde
l’altro,
tra
misterioso
ed evasivo. — Ascolto e osservo...
La
conversazione
spinte.
la
Mentre
sala
zando,
da
di
vecchia
ture
Contarina
ballo,
star
dama
ne
a
gli
spunto
sempre
le
amiche
la
e
Soranzo
Una
punzecchia­
risposta.
non
scher­
figlia.
maligne
botta
più
verso
Orseolo,
rubino
per
a
finché
con
avverte
non
Orseolo,
dominarsi,
allusioni
avvia
altro
che
prende
di
con
si
qualcun
attento
all’indirizzo
continua
giuoca
Orseolo
interviene
a
toglierlo da quella disagevole situazione.
Durante
ramente
ai
tutta
violini
e
frammentato,
voluta
di
e
ad
ha
scena
dalle
Ma
ora
più
generosa
che
di
(vedi
altri
strumenti,
fatto
da
velate,
pietà
Il
es.
si
è
si
di
mondo
allontanato,
risveglia
tema
tema
25),
ripreso
in
dai
primie­
passato
poi
sviluppato
d’ombre
infiorata
quel
il
variamente
sfondo
di
Orseolo
tutti.
precedente
viole
convenzionale,
insinuazioni
l’animo
la
accennato
alla
o
festosità
subdole
ipocrisie,
fatuo
ciarliero.
un
quei
e
sentimento
cuori,
violini,
e
di
invade
contrap­
posto ad una espressiva frase di violini e flauti, dà luogo
ad un episodio in fa maggiore che è tutto un canto largo,
umano, commosso (pag. 118 a 120).
Si incrociano i commenti.
Avete visto? Gli occhi egli volgeva
intorno come Vuom che teme agguati.
Qualcuno
vato,
nè
si
compassiona
fanno
più
Orseolo,
misteri
sulla
invecchiato,
colpevolezza
rino. « Peccato! Era un sì bel ragazzo! E fiero! », rim-
incur­
di
Ma­
57
ATTO PRIMO
piangono
le
donne.
Un
gentiluomo,
discorrendo
con
una
dama, mostra di non far gran caso a quanto si dice.
Quei Fusinèr, infine, sono gente
volgare; e ancor può dirsi fortunata
la ragazza, se l’ha presa un dei nostri...
E
il
giudizio
compiacente
si
risolve
in
una
galan­
teria verso la bella compagna.
Continuano le musiche di dentro. Ora è la volta di
una
Sarabanda
dalle
gravi
cadenze
che
hanno
il
sapore
delle vecchie musiche da liuto.
Es. 26 (pag. 121)
L’uomo
mascherato,
intanto,
s"è
mescolato
anch'egli
alla folla, ed è entrato nelle sale. Un servo viene a cercar
di
Contarina.
dato
dalla
C’è
un
balia,
uomo giù
dice.
La
che
vuol
fanciulla
parlarle,
rientra,
man­
mostra
di
contrappone
ancora
il
e
Ma
comprendere, esce inosservata.
Alla
tema
di
serio
trombe
pare
poco
evviva
lo
Sarabanda
di
l’orchestra
prima,
insistente
l’interrompono.
dopo,
Si
rientrando
salutano,
cessando
ambiguo.
annunzia
dalle
sale
appena
il
Doge,
interne.
egli,
squilli
che
ap­
Grida
di
inchinatosi
a
ringraziare i presenti, fa cenno di parlare.
Ancora
le
viole
enunciano
un
tema
maestoso, tratteggiante la figura del nobile vecchio,
dall’incedere
ORSEOLO
58
Es. 27 (pag. 129)
che
con
bonarietà
sentenziosa
e
paterna
prende
congedo
dalla festa.
Ad ogni età ciò che l’età comporta:
ai giovani le danze, ai vecchi il letto...
L’alba non è lontana, e il nuovo giorno
deve trovarci pronti al nostro ufficio.
—
Vostra
Serenità
d’esempio
è
a
tutti...
—
osserva
cortigianescamente il Grimani. Ma il Doge si è accorto
dell’uomo mascherato che è ora dinanzi alla porta e si
è
tolto
il
mantello,
apparendo
vestito
a
lutto.
—
Chi
è
costui? — chiede aduggiato
che ha tanta malagrazia
d’ostentar le gramaglie dove il Doge
consente la letizia?
Senza
rivelarsi,
rogando a sua volta:
l’uomo
risponde
con
calma,
inter­
ATTO PRIMO
59
Consentirebbe il Doge la letizia
se sapesse d’avere intorno a sè,
in coloro che a lui sorridon lieti,
gli occultatori o i complici d’infamie?
Una
pacata
fierezza
spira
dal
suo
parlare,
appog­
giato semplicemente da nude ottave centrali delle trombe
e viole (pag. 130-131). Ma nel grave si profilano spezzet­
tature di una figura tematica dalle torbide volute
Es. 28 (pag. 131)
che si
in cui
teste
osare,
svilupperà in varia guisa durante l’intera
lo sconosciuto, dapprima sopraffatto dalle
irate
e
ed
poi
ingiuriose
invitato
dal
degli
Doge
astanti,
a
sorpresi
precisare
il
da
scena
pro­
tanto
significato
delle sue oscure parole, continuerà il suo discorso. La
sua voce è chiara e ferma. Il suo appello al « serenis­
simo Doge » spira giovanile arditezza,
giustizia del Magistrato supremo (pag. 133).
Serenissimo Doge! Or son due giorni
nell’acque di Venezia, una fanciulla
venia rapita a forza; rapitore
un nobil veneziano.
Inutile una prima, una seconda denunzia:
Perchè quel reo lo stesso nome porta
di tale che a Venezia è ancor potente,
i magistrati voglion dargli il tempo
di sottrarsi all’arresto con la fuga.
filiale
fiducia
nella
ORSEOLO
60
un
Riprende più acceso il tumulto delle proteste : « E’
pazzo! Fuori! Sia arrestato! Sia mandato ai pozzi! »,
si grida. Orseolo, che è riapparso ed ha udito, fa per
slanciarsi contro l’accusatore, ma Soranzo lo trattiene a
forza, e lo trascina ancora dentro. Intrepido inveisce il
giovane
E7 la paura che vi fa gridare?
Ma venni per dir tutto e parlerò.
E porge al Serenissimo un foglio in cui è contenuta
una
terza
denunzia,
togliendosi
la
maschera
e
gridando
il suo nome: Rinieri Fusinèr!
Una
rivelazione
vida,
il
concisa
:
tema
è
figura
uno
di
tematica
squillo
Rinieri
di
(già
segue
in
orchestra
alla
giovinezza
fiera
ed
impa­
introdotto
sotto
le
parole:
« E’ la paura, etc., pag. 138).
Es. 29 (pag. 140)
Esso
accompagnerà
le
successive
parole
di
lui
e
il
gesto di sfida che egli compirà gettando il foglio ai piedi
del Sovrano (pag. 141)
per provare se il Doge, raccogliendolo,
voglia inchinarsi alV alta maestà
della Giustizia; o s’egli, calpestandolo,
voglia significar che in questa terra,
sopra le leggi e sopra la Giustizia,
imperano l’arbitrio e la violenza.
ATTO PRIMO
61
Uno scoppio d’indignazione accoglie l’atto e le pa­
role temerarie. Le grida furiose del coro sono sostenute
daH’awicendarsi in orchestra, all’acuto e al grave, del
tema di Rinieri, nell’insistenza del suo caratteristico in­
ciso ritmico allargato, e del tema tortuoso dell’accusa
(vedi es. 28), il quale domina altresì il centro della di­
sposizione sinfonica, a ritmo raddoppiato (pag. 143).
La tensione degli animi è al vertice. Il Doge, che
pur avrebbe voluto, non ha raccolto la denunzia, impe­
ditone dai signori, che ora calpestano furibondi il foglio
fra grida di morte. Sul tumulto sovrasta imperiosa la
voce di Rinieri, che ha tratto la spada per difendersi.
« Ormai tagliato è il ponte! Quel che avverrà l’avrete
voi voluto! », urla ai nobili, e ancora al Sovrano si ri­
volge e dice parole gravi di profetico dolore. L’invoca­
zione al « Serenissimo Doge », sugli stessi intervalli delle
due volte precedenti, non è più alla voce, quasi la fede
ormai scossa non le consenta più di pronunziarla, ma è
agli strumenti (pag. 152), che la riecheggiano sinistramente, come un’oscura allusione all’offuscato prestigio
del glorioso appellativo. L’alterno avvicendarsi e sovrap­
porsi di due nuovi elementi tematici,
Es. 30 (pag. 153) a) ^
cui si unisce in appresso il tema di Rinieri, segue l’inci­
sivo declamato del giovane Fusinèr rivolto al Doge
62
ORSEOLO
voi pur vestitevi a gramaglie,
che Venezia precipita a rovina
per colpa di chi avrebbe a custodirla
ed ai signori:
L’ombra del reo che, complici voi tutti,
ha potuto fuggire — egli, un Orseolo! —
quell’ombra vi sovrasta. E’ grande, e pesa:
vi soffoca e vi schiaccia. E insieme a quella
Vombre di quei che là, nei Mari caldi,
per Venezia a lor cara, anche se ingrata,
soffrono guerra e morte, mentre qui
la nobiltà tradisce leggi e Patria...
(pag. da 152 a 156).
Ma, come gli avversari gli si fan contro per pren­
derlo, Rinieri lancia ancora un ultimo grido di ammo­
nimento e si getta da una finestra nel canale sottostante.
Alcuni giovani si dispongono ad inseguirlo per la porta,
ma il Doge li ferma : « Non voglio altri delitti. Anche
se l’uccideste, rimarrebbe lo squillo della sua voce nel­
l’aria ». E quasi davvero risuonasse ancora l’eco pun­
gente di quella voce, tra le staffilate di rapide terzine
discendenti, allargantesi nella statica sonorità di un si
bemolle minore lungamente tenuto, emerge distinto un
mi ribattuto dalla tromba, che sembra squillare da una
remota lontananza (pag. 158). Ed ecco (« Già l’alba?
Ahimè, che nasce un triste giorno! »), scomparse le ombre
di quel si bemolle minore, la tonalità si schiarisce attra­
verso passaggi a do maggiore e a mi maggiore, riuden­
dosi il tema di Venezia sulla terza, ora maggiore, ora
ATTO PRIMO
63
minore (pag. 159). Su un successivo passaggio a re mi­
nore, mentre gli archi descrivono una lenta discesa, il
Doge rievoca con voce piena di commozione lontani
giorni di orgogliosa fierezza per la Patria, quando non
contese partigiane dividevano i cittadini, ma era su­
premo vanto, e « bastava a tutti »
potersi proclamare Veneziano.
............... E il nobile
non dispregiava il popolo; e il plebeo
rispettava ed amava i più potenti...
(pgg. 159-160).
Riprende anche il tema del Doge. « Tempo già fu!
La gloria di Venezia splendeva come un sole », esclama
con amarezza, e uno squillare di fanfare pare evocare
quella gloria di luce e di vessilli vittoriosi (pag. 161).
Tutti hanno ascoltato in silenzio, il Doge fa per
uscire e il corteo dei gentiluomini e delle dame si ap­
presta a seguirlo, quando a un tratto si volge e, domi­
nando l'intensa emozione, grida ai giovani l’appello della
Patria, la Madre di tutti, « che ha bisogno di tutti i
suoi figliuoli!... » Il tema del Doge ha vibrato alle so­
lenni parole del vecchio principe, e quindi svanisce
mentre egli varca lentamente la soglia.
Un « andante lento e stanco », in cui riappare spia­
nato in mesta dolcezza il tema che dominava le prime
scene della festa (vedi es. 25), accompagna l’uscita del
Doge e degli invitati (pag. 162). Si odono dal di fuori i
servi e i gondolieri gridare i nomi delle varie casate:
Ca’ Gritti, Ca’ Dolfin, Ca’ Gradenigo... Campane vicine
e lontane annunziano la prima messa, e poi, più lon­
tane, trombe che chiamano l’adunata all’Arsenale...
64
ORSEOLO
Ritornano dalla sala interna Orseolo e Soranzo. Non
deve Orseolo abdicare al suo ufficio, afferma questi,
anche a costo di mentire, quando il mentire è necessario
per salvare il prestigio dello Stato. Brevi incisi del tema
di Orseolo circolano qua e là, e un fugace accenno al
motivo che accompagnava, nella prima parte dell’atto,
l’entrata di Contarina, all’ordine da lui dato ad un servo
di avvertir la figliuola (pag. 166). Si vedrà in Consiglio
che cosa convenga fare del Fusinèr, dice Soranzo: « Im­
piccarlo! », gli risponde Orseolo, eccitato, mentre gli
incisi del tema vieppiù insistono. E quando torna il
servo a dire che le sale son vuote e Contarina non è
stata trovata, il tema si ripresenta nella sua integrità
nel basso, trasformato in battute di 6/4, riempiendo le
pause di un silenzio angoscioso, tra l’una e l’altra frase
balbettata da Orseolo, assalito da un tremendo sospetto :
Cercate ancora... Andate...
Chiamatela per nome... Contarina...
Che suo padre V aspetta...
Un pedale superiore di mi, viene ora tremolato ora
ribattuto e il tema, sempre partendo dal mi grave, si
ripete, aumentando sempre di una nota lo slancio ini­
ziale, due, quattro, sei volte, salendo sempre di grado e
di intensità, fino a raggiungere l’ottava (pag. 169), dove
si contrappone al tema che esprimeva i lamentosi pre­
sagi della balia levantina (vedi es. 13).
Dallo stesso pedale di mi concitatissimo scoppia
l’orchestra in un fortissimo di intensa drammaticità (pa­
gina 170 - inciso del tema di Marino, vedi es. 4 e 5 b).
Attraverso la finestra viene lanciato nella sala un in­
volto bianco. Orseolo intuisce la cosa terribile: anche
ATTO PRIMO
65
sua figlia, come Cecilia Fusinèr, è stata rapita! Dall’in­
volto che egli convulsamente raccoglie si svolge il velo
che Contarina portava in testa, e che qualcuno ha get­
tato dentro perchè Orseolo sappia che la vendetta è
compiuta. Lo sbigottimento invade i presenti, che vor­
rebbero accostarsi ad Orseolo, sorreggerlo. Ma l’infeli­
cissimo vecchio li respinge
No, no, nessuno, no... Voglio esser solo...
Io
solo...
E se ne va smarrito, barcollante, il velo stretto al
petto. L’orchestra riprende con veemenza il tema di
Marino
Es. 31 (pag. 172)
immagine e grido dolorante di quella straziata paternità.
ATTO SECONDO
L’azione prosegue nel giorno successivo al rapimento
di Contarina, tenuta nascosta in un casolare da pesca­
tore, sulla spiaggia di un’isoletta della laguna battuta
dal vento. La scena è divisa in modo che se ne scorga
l’interno : un rustico stanzone nel quale si vedranno i
due fratelli di Rinieri, Alvise e Delfino. In un angolo
un uscio che dà in un’altra stanza, dove Contarina è
rinchiusa. Di fuori, una macchia di alberi hassi, cipressi
e pioppi, riparano il casolare dal vento, che li agita e
incurva. Poco più lontano è la laguna.
A velario ancora chiuso, una introduzione sinfonica
« ambienta » la scena, quasi sul dramma alitassero voci
di un « dialogo del vento e del mare ». Su brontolìi
sordi e scale rapide dei bassi si rilevano due temi del
corno inglese,
Es. 32 (pag. 173-174)
"lì
68
ORSEOLO
il primo dei quali ritorna insistente, diffuso e riecheg­
giato da altre voci, ma sempre uguale, come il gemito
assillante del vento, mentre il secondo, ora da solo, ora
contrapposto al primo, si presenta ora concitato, ora
tempestoso, — nella reiterata sestina dell’inciso ini­
ziale, — ora con accenti dolcemente supplichevoli
Es. 33 (pag. 175)
e infine, dopo esplosioni di sonorità discendenti, si ri­
fugia nei bassi, dando gli ultimi guizzi ai ricorsi del
tema di Rinieri ai corni (pag. 176 - vedi es. 29), per
svanire completamente allorché la scena si apre e tutto
ritorna neH’immobilità dell’inizio, a tratti percorsa da
fremiti.
ORSEOLO -
atto I I .
ATTO SECONDO
71
Nello stanzone semibuio, i due Fusinèr discorrono.
Sono i due più giovani fratelli di Rinieri, ma Delfino,
che è il minore, è ancora quasi un fanciullo e spira dal
volto e dalla voce tanta mitezza quanto Alvise si di­
mostra rude e volitivo fino alla violenza, l’animo preco­
cemente indurito dalla sua vita di affari e mercanzie.
E’ il « giovane mastino » della famiglia. L’astio contro
gli Orseolo è per lui ragion di vita : l’avvenuto rapimento
di Contarina non è solo, per lui, rappresaglia a quello
della sorella Cecilia compiuto da Marino, ma risponde
a un più antico, profondo desiderio di vendetta contro
tutta la sua gente. Lo infastidiscono le titubanze di Del­
fino, impaziente per Rinieri che tarda a venire, turbato
per l’offesa arrecata a quella fanciulla incolpevole.
Che sei forse pentito?
Prendi la penna e scrivi
un bel lamento in versi.
Egli no, non è pentito, Alvise, che ha nel libro della
memoria scritto ogni suo debito, ma anche ogni credito.
E con gli Orseolo
debiti no, ma i crediti son molti.
E rievoca tempi passati, dell’infanzia, quando Or­
seolo non permise che i suoi figli avessero contatto con
loro, i Fusinèr, figli di un mercante di legne, e fece
alzar un muro che dividesse i giardini delle due case.
Più tardi, quando Rinieri salvò Contarina da un incen­
dio, il nobile suo padre « offerse un cuore d’oro alla
Madonna ».
ORSEOLO
72
Giusto!
Ma neppur si degnò varcar la soglia
di casa nostra, sol per dire un « grazie »
a chi l’avea salvata.
E vendette la villa a un forestiero.
Ai temi già noti, s’è venuto ad aggiungere un altro,
dalle rozze angolose movenze,
Es. 34 (pag. 183)
~!T ; ! * _..V i Î
che caratterizza Alvise e la sua gretta mentalità (« Rinieri fa discorsi: tu canzoni; da mercante ch’io sono,
io fo negozi », dice a Delfino). La morale d’ogni cosa è
per lui una questione di dare e avere. E allo stesso modo
che il suo sentimento gli fa veder tutto sotto quell'unico
lato, mentre egli parla e s’accende al ricordo di
quelle umiliazioni « che gli si son fatte tossico », quel
tema seconda il suo parlare assumendo volta a volta
figurazioni diverse, pur descrivendo gli stessi intervalli.
Es. 35 (pag. 187)
Andante mosso
ATTO SECONDO
73
Anche Contarina è per lui « preziosa valuta da ba­
ratto ».
Contarina
per Cecilia. E così come Cecilia
ci sarà resa — intendi? tale e quale —
renderò Contarina.
In orchestra hanno ripreso i cupi brontolamenti dei
bassi e i richiami lamentosi del corno inglese, quasi voci
del vento e del mare rumoreggiatiti di fuori. Si bussa
alla porta. Entra il pescatore Luca, devoto ai Fusinèr,
a recar notizie di Rinieri che è per giungere. Ed ag­
giunge che Orseolo si dice abbia « sguinzagliato i suoi
segugi in cerca della figlia... » C’è forse qualche indizio
di Cecilia nel ritrovamento di una giovane, tre notti
scorse, che giaceva svenuta in S. Giovanni in Bragora e
che fu portata alle Carmelitane.
Il tema di cui all’es. 32 b) e 33, raccorciato in un
disegno di crome all'entrata del pescatore (pag. 195),
dopo aver prestata la stessa figurazione insistente ad un
pedale di fa diesis, poi di si, — sui quali lo stesso tema
viene presentato in forma ancora più larga e raddolcita
negli accordi dei legni (all’accenno del presunto ritro­
vamento di Cecilia, pag. 198) e poi ancora dall’oboe,
dal clarinetto e dal corno, in una lenta discesa ad ottave
degli archi (pag. 199-200), — si perde infine nei bassi.
Una folata di vento entra dalla porta che qualcuno
ha spinto dal di fuori, e che Alvise va ad aprire. Appare
Rinieri, che si precipita nell’interno, in preda a visibile
agitazione. Una pausa occupata da un accenno intensa­
mente espressivo degli archi al tema di Rinieri — a) —
successivamente disciolto in terzine ribattute con forza
sulla nota che contiene l’accento, — b) —;
74
ORSEOLO
Es. 36 (pag. 201)
Molto'sobI. e pesante
pma intensissimo
b)
una severa domanda: « Dov’è? », e poi ancora: «Che
le avete fatto? ».
Il tema vieppiù insistente sostiene gli accenti impe­
riosi del giovane (pag. 203), impazientito dagli indugi
tergiversanti di Alvise, a sua volta corrucciato dal fare
perentorio di Rinieri. E non solo corruccio, ma stupore
suscita in Alvise l’atteggiamento di rimprovero che egli
vede in lui, quasi deplorasse invece di approvare l’ope­
rato dei suoi.
lo mi domando
se quello che ci parla è veramente
nostro fratei Rinieri, e se Rinieri
ha in petto un cuore d’uomo, oppur...
Ma « Rinieri sa lui quel ch’è da fare », gli risponde
il fratello, troncando ogni parola e prendendo la chiave
che l’altro gli getta sul tavolo. A un suo comando, Al­
vise e Delfino escono, non senza che il primo minacci:
egli sarà di fuori, ma
bada
che nessuno uscirà ch’io pur non voglia.
Ancora nella tonalità minore il tema di Rinieri, fra
una rapida discesa cromatica di legni e mormorii di
ATTO SECONDO
75
archi al centro, col tema a sestine e terzine ribattute
(es. 32-33) ripreso in quinte dai flauti e poscia risalenti
verso la quinta acuta della tonalità, rasserenata nella
risoluzione in modo maggiore (pag. 206).
Rinieri è rimasto solo. Muove qualche passo Verso
la stanza dove Contarina è chiusa, ma giunto presso la
porta non ha il coraggio di aprirla e si arresta, incerto,
come se in lui combattessero opposti sentimenti. '
Un’immediata transizione dal do al si (dominante
di mi), e un motivo introdotto dalle viole, a figure inter­
rotte, quasi esitando, si stacca dal si centrale, e dopo
aver percorsa una intera ottava, giunto al si superiore,
si risolve nell’armoniosa morbidezza di un mi maggiore
appena appoggiato da sommessi accordi e spianandosi
in una larga frase dei violini, mentre al centro le viole
ancora riprendono a guisa di espressivo dialogo.
Es. 37 (pag. 207)
Subito dopo si presenta un altro elemento tematico
caratterizzato da una quintina di crome ribattute, ossia
una nuova derivazione del tema di Rinieri, analoga a
quella dell’es. 36 b), ma privata della nota in levare ed
arricchita al centro di una espressiva appoggiatura su­
periore.
76
ORSEOLO
Es. 38
Dapprima solo, intensamente cantato dai violini
nella tonalità transitoria di do diesis minore, poi in
sol maggiore, esso viene ripreso ed imitato dal clari­
netto, cui si contrappone il tema precedente a risposte
delle viole e dei violini (pag. 207), dando luogo a un
breve ma denso sviluppo polifonico dei due temi.
Ritorna la tonalità iniziale, e una salita sul tema a
figure interrotte, ma con più forza e decisione, va ad
arrestarsi contro un improvviso, duro accordo di fa diesis
minore degli oboi e corno inglese. Un grido di Contarina dall’interno, ora che Rinieri ha aperto la stanza.
Ma egli non osa mostrarsi, e quando Contarina entra e
si volge intorno atterrita non si accorge di lui, che si è
ritratto in un angolo buio dello stanzone.
Un’agitata figura tematica accompagna l’entrata di
Contarina, — a) —, che vedremo subito dopo in ritmo
ora allargato, — b) —, ora stretto, — c) —.
Es. 39 ( pag. 209-210)
Sostenuto J - ^ del 2
ATTO SECONDO
77
Diversamente da quello accennato nella prima parte
del primo atto (pag. 50-51), che disegnava in agili tratti
la grazia ancora infantile della giovanissima figliuola di
Orseolo (es. 11), il nuovo motivo viene a segnare l’effettiva partecipazione di Contarina al dramma : elemento
predominante in tutta la prima parte del successivo
duetto con Rinieri, esso seguirà, con varietà di sviluppi
e di atteggiamenti diversi, gli impulsi che detteranno a
Contarina, fremente per raffronto subito, espressioni di
timore, di alterezza, di sdegno, di minaccia.
Ora si è accorta che qualcuno è nello stanzone.
Crede sia Alvise, e fatta vergognosa del terrore dimo­
strato cerca di ricomporsi in una calma altera, gli si
rivolge, chiede che cosa si voglia, che cosa si farà di lei,
propone un accordo : il perdono e l’impunità se la ri­
condurranno a casa. E un avvertimento :
Perchè, badate,
voi giocate la vita sol per perderla!
Poiché sono una Orseolo, e mio padre
è F uomo più potente di Venezia.
Apritemi la porta, voglio uscire!
Non prego più, comando.
Ma l’orgogliosa minaccia è messa in ridicolo da una
ironica risposta. Quei comandi, quel vantare in super­
bia il proprio nome e la paterna autorità risuonano in
quel luogo non più
d’uno stormir di fronde o del belato
d’un agnellino...
Contarina riconosce nell’uomo che le proferisce e
che le sta ora davanti, non meno di lei altero e sde-
ORSEOLO
78
gnoso, l’antico compagno della fanciullezza, quel Rinieri
Fusinèr che, adesso comprende, ha tramato l’inganno,
comandando ai fratelli di rapirla. E come egli s’avanza
verso di lei, afferra un coltello che è sul tavolo e lo alza
minacciando : « Se fate ancora un passo incontro a me,
in’uccido! ».
Ragione aveva il vecchio Orseolo di diffidare di chi
si nascondeva sotto quella nobiltà comprata, non acqui­
stata col sangue. Il «nobiluomo» Rinieri Fusinèr! E
sente vergogna di aver in passato appreso quasi con do­
lore del rifiuto sprezzante di Orseolo alla sua richiesta
di lei, di essergli stata, da bambina, amica e confidente,
ribrezzo perfino che le sue mani l’abbian potuta un
tempo toccare, le sue braccia prendere e tenerla, in
quella notte dell’incendio...
Voluto avesse Iddio che in quella notte
fossi morta bruciata tra le fiamme,
più tosto che da voi esserne tratta,
serbata a quest’oltraggio.
Il tessuto tematico che segue il declamato di Contarina, ora che essa crede di vedere in Rinieri il colpe­
vole dell'infamia subita, continuando negli sviluppi del
motivo — vedi es. 39 — s’avvale ora anche di un altro
tema, esprimente il doloroso disinganno di Contarina.
Molto sost. ma non calmo
Es. 40 (pag. 218)
r
m
Ad esso e al tema precedente variamente trasfor­
mato, si uniscono o si alternano richiami al tema di
festa del II quadro del primo atto, — vedi es. 24 —
ATTO SECONDO
79
allusivi all’inganno che essa crede tramato da Rinieri,
e a quello di Orseolo, dando esagitato rilievo agli accenti
ora accorati ora frementi della fanciulla (pag. 218 a
223). Nel suo animo è un lottare di nascosti affetti col
sentimento del ferito orgoglio aristocratico. E se la voce
giunge ad invocare mortale vendetta dei suoi contro
l’offensore,
II mio padre
si chiama Marco Orseolo,
potente quanto il Doge, e mio fratello...
v’ucciderà. Marino ucciderà
Rinieri...
il cuore non regge allo sforzo, e la fanciulla s’accascia
piangendo, quasi implorando:
che avevo fatto
di male, perchè aveste u ripagarmi
così? Potete dunque voi pensare
di conquistar con frode e violenza
il cuor di Contarina?
O Santa Vergine,
Vergine dei Miracoli, aiutatemi!
11 tema di Contarina, da un concitato ff (pa­
gina 224), calmandosi, ricorre ora supplichevole e la­
mentoso nella tonalità di la minore (pag. 225), poi si
rifa concitato (« No, no, non vi muovete... Pietà, pietà! »)
( pag. 226), indi si perde, al prorompere troppo a lungo
rattenuto di quei singhiozzi di bimba, più che donna.
Rinieri ha ascoltato, a sua volta combattuto da in­
terno contrasto. Nella fanciulla che è lì dinanzi a lui,
ORSEOLO
80
nei suoi cocenti rimproveri, nel suo strazio affannoso,
nel suo pianto, egli ha visto Cecilia, sua sorella,
davanti a quell’infame
ladro di donne ch’è Marino Orseolo,
vostro fratello.
Le parti s’invertono. — No, non è vero! — grida
Contarina. Ma Rinieri continua, e Contarina apprende
la verità infamante, il ratto di Cecilia, compiuto a tra­
dimento da Marino « e da tre suoi degni sozi », la sua
fuga ignominiosa, la complicità del « padre venerando »,
Orseolo... E se Contarina ricevette offesa, ingiusta, sì,
ma umana, ora Rinieri è lì non per ripagar l’infamia,
ma per liberar lei, Contarina.
Tra poco quella porta s’aprirà
davanti a voi, e ne uscirete libera;
tornerete alla casa onde strisciarono
contro di me ed i miei l’odio e il delitto;
vi tornerete, qual ne usciste, pura.
In questa seconda parte del duetto, pure imper­
niata sul tema di Contarina, questo si alterna a quello
di Rinieri (pag. 230) e cede quindi al tema esitante che
era all’inizio della scena — v. es. 37 — ed a quello di­
stinto dalla quintina ribattuta — v. es. 38 —, che ritor­
nerà dapprima gravemente appoggiato dagli archi (pag.
233), poi sempre più raddolcendosi ed appassionandosi
secondo la crescente intensità del sentimento che vibra
nella voce di Rinieri (pag. 234 a 236).
Altro compenso egli non chiede a Contarina che
una parola
ATTO SECONDO
81
una parola umana di pietà
per quest'uomo che è l'uom più sventurato
fra quanti mai vedeste.
Una speranza era luce e ardore della sua vita. Un
Orseolo l’ha uccisa, oltraggiando il suo nome ed il suo
sangue. Ed ora il delitto invendicato sta come un’ombra
fra lui e la fanciulla di cui seppe, nella notte dell’in­
cendio, il morbido tepore del corpo, il profumo dei ca­
pelli d’oro... Nel ricordo, la passione divampa come le
fiamme di quella notte. Accentuato dai bassi in crescente
progressione, un nuovo elemento tematico, pieno di
appassionato fervore, si slancia verso l’acuto
Es. 41 ( pag. 237)
gravitando anch’esso su di una nota ribattuta, come
l’altro della quintina, che gli succede slargato in ottave
percosse reiteratamente da archi e legni ed imitate dai
bassi (pag. 238 a 240).
Ed io, io quel medesimo d’allora,
or v’ho dinanzi a me, voi sola inerme
............................ E
potrei
stringervi
fra le mie braccia ancora;
e su codesta dolce bocca premere
queste riarse labbra appassionate;
prendervi, farvi mia, sentirvi mia,
mia, mia...
82
ORSEOLO
L’invocazione di Rinieri culmina a questo punto
nell’esplosione di un /// pieno di disperata passione, che
le successioni sempre più serrate del motivo a quintine
ribattute hanno preparato e a cui fanno ora da com­
mento inquieto i motivi d’amore (v. es. 37 e 41) ripresi
da fagotti e violoncelli dialoganti e perdentisi su di un
agitato tremolo di viole in terza (pag. 240). In seguito, gli
stessi motivi intercorrono frammentati attraverso accordi
fermi dei tromboni mentre Rinieri, che alla vista della
fanciulla sgomenta da quel troppo impetuoso trasporto,
si ritrae quasi vergognoso dell’involontario eccesso, se­
guita, dopo un silenzio, con voce fatta più grave, ma
non meno commossa (pag. 241 a 243):
Or se di qui
uscirete non tocca, immacolata
come quando qui entraste, non virtù
sdegnosa e altera avrà fatto a voi scudo,
nè il pianto, nè le supplici preghiere,
nè la pura beltà, nè lo splendore
dei vostri occhi di cielo; ma soltanto
v’avrà salvata il disperato amore
d’un uom che soffocando nel suo petto
l’appassionato ardore ond’ei viveva,
vi chiede, ultimo clono per la torbida
sua sera, una parola di pietà...
Il duetto entra nella sua terza fase: dal conflitto
d’orgogli ad una dolorosa comunanza d’anime, che
prende sua voce fraterna nella parola di Contarina. la
« parola di pietà » che Rinieri le ha chiesta. « Che do­
vrei dirvi, povero Rinieri? », gli dice la fanciulla, mor­
morando come in un confuso ricordo le parole che il
ATTO SECONDO
83
giorno innanzi il padre aveva proferite, ed essa non
potè intendere, ma ora intende: « Non le parole, solo
i fatti contano... ».
Tace in orchestra il ricorrere dei motivi tematici
delle due precedenti frasi del duetto : solo ritorna, col
rombo del vento e del mare, come in una pausa di
immobilità, Teco lamentosa del corno inglese sul moti­
vo iniziale delFatto — v. es. 32 a) — ripetuto insisten­
temente come un domandare che non sa trovar risposta
(pag. 246).
Assorta in una visione lontana, esala dalla voce di
Contarina l’elegia della perduta speranza, un canto esta­
tico che parla di strade, di smarriti cammini.
Es. 42 (pag. 246).
La pura linea della melodia è appena appoggiata
all’inizio da lievi ottave dei clarinetti, mentre al basso
risuona in ritmica monotonia un vago cadenzare di passi.
Le strade erano due ma non diverse.
Potea dall’una il pellegrin guardare
al suo compagno, che il fatai viaggio
compia suiraltra: e lui con muto augurio
seguitando, se stesso confortava.
Che la segreta, timida speranza
84
ORSEOLO
di ritrovarsi alfine a un punto solo
bastava a entrambi, cui vietato udirsi,
ma dato era d’intendersi per gli occhi.
Le strade erano due ma non diverse.
E’ il primo e finora unico « pezzo chiuso » dell’o­
pera, una pagina di pensosa, delicatissima lirica che
vorremmo porre fra quelle che furono al Pizzetti ispi­
rate dalla poesia del Petrarca e del Leopardi. Il modulare
melismatico del canto alle parole « cui vietato udirsi,
ma dato era d’intendersi per gli occhi », — sulla ina­
spettata cadenza in re maggiore dell’accordo di settima
di sol sottodominante, — è di una ineffabile soavità
(pag. 246).
L’atmosfera si oscura subitamente : la tonalità cam­
bia in un si minore sinistro, cupi tremolìi interrotti di
violini in sordina danno sussulti misteriosi ai bassi che
continuano nel loro ritmico cadenzare di viandante in
cammino. Gli strumenti si appropriano le figure melo­
diche del canto e le elaborano spezzettandole in serrate
imitazioni: dapprima i violini, acutissimi, di un’acutezza
fredda e pungente, poi oboi, e violini, e viole. Il canto si
fa più concitato, vibra, grida disperato. « Ha tremato la
terra tutt’intorno, s’è aperto il suolo in baratri profondi.
Non v’è più strada, non v’è più sentiero. Nessun rispon­
de. Il mondo è nero e muto ».
Voci di lamentosa implorazione salgono dall’orche­
stra e Contarina ora invoca desolata :
0 Dio Signore,
libera me da quest’orrore! Manda,
a liberarmi, VAngel della Morte.
ATTO SECONDO
85
Un accenno del violoncello solo al motivo di quintine
(pag. 248): Rinieri, la sua trepida speranza d’amore...
Nulla più!
Voi non dovete più pensare a me,
Rinieri, se non sia per compatirmi,
e se un di lo possiate, e Dio v aiuti,
per perdonare... a tutti.
Ed ora... addio.
Ritorna la cupa atmosfera dell’inizio dell’atto, fra
il sordo mugghiare del mare e i flebili richiami destati
dal vento. Rinieri ferma Contarina che vuol uscire : sarà
ricondotta a casa dagli stessi che la rapirono. — Non
temete di nulla. Iddio vi guarda. Nessun potrà più
farvi del male. — Apre la porta e chiama i fratelli,
dando gli ordini per il ritorno di Contarina. Ma Alvise
non intende i disegni per lui assurdi del fratello, lo
richiama fra minaccioso e sarcastico ad una realtà che
gli sembra troppo facilmente dimenticata: Cecilia, la
loro sorella, la cui sorte è ancora sconosciuta, il cui ol­
traggio non è stato ancora lavato e non lo sarà che con
la vita e l’onore della Orseolo. — Se — aggiunge incisi­
vamente, — la donna raccolta a S. Giovanni in Bragora
e che è ora al convento delle Carmelitane, in preda al
delirio, forse già morta,
se, com io credo, elVè nostra sorella,
cui Dio teneva in sua santa custodia,
vo’ che contro di me costei non abbia
nessun altro custode e protettore.
Dall’entrata di Alvise, il noto motivo che lo caratte­
rizzava — v. es. 34 e 35 — dominerà variamente atteg-
86
ORSEOLO
giato per tutta la scena, alternato col tema di Rinieri
(pag. 252, 255 e segg.). Il dissidio si fa sempre più
drammatico e violento fino a scoppiare in una rissa fra
i due fratelli, che si avventano l’uno contro l’altro. Il
tema di Rinieri, allargato, riempie l’orchestra come di
un grido (pag. 260). Ad un tratto, un fascio di sarmenti,
nel focolare, prende fiamma all’improvviso. Delfino ha
un urlo : fra quelle fiamme egli ha visto la mamma, il
suo spirito è lì tra loro ad impedire la violenza fraterna.
L’urlo del giovinetto ha arrestato i contendenti, ma Al­
vise, che aveva già in mano un coltello, pronto a ferire,
ora ferisce di villana ingiuria Contarina.
Nostra sorella
non ebbe, per difenderla, il suo amante...
Rinieri vorrebbe slanciarsi ancora contro il forsen­
nato, ma Delfino gli si avvinghia alle spalle. Contarina
si fa innanzi ad Alvise, angosciata e disperata
Se voi credete a ciò che avete detto,
colpite me, soltanto me, colpitemi...
Si picchia alla porta. Un attimo di sospensione fa
intuire a Rinieri l’imminenza di un pericolo. Delfino
piange, e quel pianto ha il potere di scuotere Alvise,
che inorridisce di quanto ha commesso. Pone la mano
sul capo dell’adolescente, in un subitaneo moto di af­
fetto. — Non piangere. Delfino, ora è passato... Guarda...
— gli dice, gettando via il coltello.
Rientrano, all'aprirsi della porta, gli echi di fuori
(sul tema stretto dell’es. 32a)), che recano oscuri presagi
minacciosi. Il pescatore Luca viene ad avvisare che sono
in vista due barche a otto remi : è Orseolo che ha sco-
ATTO SECONDO
87
perto il rifugio! Il dramma incalza rapidamente. Rinieri
pensa a nascondere Contarina (pag. 269 — motivo dell’es. 41), ma la giovane è decisa a restare, vuol incon­
trarsi col padre. Si ode distinta la voce di Orseolo : — La­
sciatemi passare! Sono il Capo del Consiglio dei Dieci,
Marco Orseolo!, — risponde furibondo ai famigli dei
Fusiner che gli si oppongono. Col tema di Contarina
che è subentrato a quello precedente, si riode ora anche
quello di Orseolo a incisi distanziati (pag. 272 a 276) e
quindi a figure sempre più concitate (analoghe a quelle
dell'introduzione all’opera — vedi atto primo, pag. 2)
all’apparire di lui. I bagliori dei lampi illuminano a
tratti la figura del vecchio, i bianchi capelli scompi­
gliati dal vento, maestosa e tragica la sua persona sullo
sfondo del cielo tempestoso. I tre fratelli non muovono
un passo, nessuna resistenza gli è fatta. Contarina gli si
fa incontro, Orseolo le apre le braccia, la stringe al petto
con gioia convulsa.
Contarina! Figliuola mia! Tuo padre
è qui per liberarti e vendicarti.
I tre banditi avran degno castigo!
Alle colonne, a morte tutti e tre!
Riprende il tema di Contarina (pag. 277), mentre
ella supplica il padre di ascoltarla : rimandi la sua gen­
te, nessuno le ha fatto del male, non si aggiungano nuove
colpe a quella che già fu commesa da Marino... Orseolo
non ode, non comprende. E’ in lui solo 1 acre, spietata
gioia della vendetta che finalmente gli è dato compiere,
per lui e per Marino, sui loro nemici: alle colonne, a
morte !
ORSEOLO
88
E allora Contarina ha un grido di supremo appas­
sionato amore, ella che ha ormai tutto compreso e sola
può difendere il suo Rinieri dall’ingiusta, inumana ven­
detta.
Per la memoria santa di mia madre
vi giuro che se voi fate arrestare
costoro...
Grido a tutti
che son venuta io stessa, qui, da lui,
per lui, Rinieri, io stessa, io, io, perchè
gli voglio bene, io stessa, perchè Vamo!
(« Largo appassionato », pag. 281 - tema d’amore,
v. es. 37). Alla rivelazione, Orseolo è colpito come da
una mazzata sul capo. Col cuore schiantato, il vecchio
vacilla come impazzito, annaspa, cade sui ginocchi, il
braccio levato ad allontanar Contarina che vorrebbe cor­
rere a sostenerlo.
No, no! Va via, va via! Voglio piuttosto
morire solo! Io solo, solo, solo!
Riappare un breve, intensissimo inciso che già alla
line del primo atto (pag. 171) aveva preceduto le stesse
parole di Orseolo (Voglio esser solo... Io solo, io solo...).
Es. 43 (pag. 282).
Poi si rialza. Apre la porta.. Una folata di vento
furioso irrompe nella stanza. Barcollando, esce, scompa­
re nel buio della notte tempestosa.
ATTO SECONDO
89
Ritorna l’atmosfera dell’inizio, triste, desolata. Ri­
corre a tratti il tema dalla quintina ribattuta (pag. 284285). Alvise si avvicina a Contarina e si toglie il ber­
retto, le domanda perdono : egli non è che « un pover’
uomo rozzo ed ignorante... ». Contarina chiede di esser
condotta alle Carmelitane. Poi si abbatte sulla tavola,
in uno scoppio dirotto di pianto.
Ancora, concitato e doloroso, il tema di Contarina
(pag. 285) e poi un ultimo rombare lamentoso e lonta­
nante del vento.
ATTO TERZO
Un anno è trascorso dagli avvenimenti del primo e
del secondo atto.
Poco dopo essere stata raccolta, in seguito al suo
ritrovamento, nel convento delle suore Carmelitane, Ce­
cilia Fusinèr vi è morta, innocente e senza odio. Nello
stesso asilo di pace ha vissuto Contarina, dopo la dram­
matica separazione dal padre. Anche Marino è morto,
da valoroso, nella guerra contro i Turchi. A onorare la
sua fine gloriosa, il Senato ha decretato che una rap­
presentanza della Repubblica, — nobili, borghesi, popo­
lani, — rechi al vecchio Orseolo le reliquie del figlio.
Rinieri sarà tra questi : sarà anzi proprio lui a conse­
gnare all’antico avversario la spada ed il berretto di
Marino. Quanto è avvenuto dopo la terribile notte del­
l’isola e, ora, la morte espiatrice di Marino, ha spento
ogni rancore nel suo cuore generoso e leale. E anch’egli
è prossimo a raggiungere il campo dove si combatte per
i destini della Repubblica. Ma qual’è l’animo di Orseolo,
l’implacato nemico? Prima di recarsi da lui con l’ambascieria del Senato, prima di partire per Candia, Rinieri
va alle Carmelitane per incontrare Contarina, per avere
il suo consenso all’atto d’omaggio ch’egli dovrà compiere
presso Orseolo, e insieme una parola di speranza, una
parola d’amore che lo accompagni nel viaggio forse senza
ritorno.
La scena si apre sul parlatorio del convento, dopo
una pagina introduttiva dalle linee semplici ed ariose*
spiranti la pura serenità del chiostro, nel profumato
tepore di un mattino di maggio.
ORSEOLO
92
Es. 44 (pag. 287).
Quasi lento t : 2
Lo stesso tema, nella misura di 6/4 (pag. 289) accom­
pagna le parole della Madre Superiora, che rievoca a
Rinieri l’infelice sorella morta invocando pace su tutti.
Rinieri assicura la Madre che ogni odio è cancellato in
lui (tema di Rinieri, pag. 291) e allude ad Orseolo, al
suo pervicace rancore. Ma la risposta della religiosa non
lo fa continuare: « Lasciate giudicare a Chi può ». Altri
richiami al tema di Venezia (pag. 292-293) sottolineano
gli accenni alla fine eroica di Marino, e dopo un ritorno
al tema iniziale (pag. 295) la Superiora si ritira, intro­
ducendo Contarina.
L’espressivo tema della quintina ribattuta che già
conosciamo dal duetto del II atto (v. es. 38) viene ri­
preso dall’orchestra a imitazione fra violoncelli, corni
e bassi, mentre i due giovani, in piedi, l'uno di fronte
all'altra, si guardano contenendo in un lungo silenzio i
sentimenti che riempiono i loro cuori. Poi il tema si
ATTO TERZO
93
distende più calmo, s’addolcisce in armoniose successioni
di accordi di nona (archi e flautiI e l"oboe accenna al
tema di Contarina (v. es. 39).
Es. 45 (pag. 296).
Su questo episodio di fervida dolcezza ha inizio il
colloquio. Ma non d’amore, bensì di fraterna pietà è la
prima domanda della fanciulla: — Gli avete perdonato?
Perdonato ha. sì, Rinieri. Come avrebbe egli potuto
presentarsi a lei con odio in cuore?
Se la colpa di lui fu grave, ei seppe
nobilmente espiarla.
Y
Segue il racconto dell’epica morte incontrata da
Marino. Lo sostengono accordi in funebre ritmo su cui
si rileva un tema dell’oboe.
Es. 46 (pag. 299)
Più sostenuto
ORSEOLO
94
preceduto da una figurazione di terzine sugli intervalli
del tema di Orseolo, la cui terminazione a semicrome
ricorre successivamente nelle viole.
Ignorato da tutti, Marino aveva servito sulla nave
ammiraglia come uomo di ciurma, prendendone il co­
mando al posto del capitano, ucciso in un momento di
grave pericolo e mentre già gli uomini sbigottiti pensa­
vano alla resa. Solo quando, volte ormai in vittoria le
sorti della battaglia,
...stroncato in mezzo dallo scoppio
dolina bombarda, Valbero maestro
piombò sopra di lui, gli squarciò il petto,
e lo stese morente sovra il ponte,
solo allora rivelò il suo nome gli occhi splendenti per
la vittoria, mentre intorno cantavano inni di gloria.
Tale la sua morte, « degna del nome ch’ei portava ».
— Grazie, Rinieri, — mormora commossa la fan­
ciulla. Il giovane continua, mentre l’orchestra accenna
un andamento di marcia grave,
Es. 47 (pag. 303)
informando delle onoranze decretate dal Senato e del1 incarico che egli stesso assolverà presso Orseolo. Vorrà
consentire a quel gesto di onore e di omaggio il cuore
di Contarina? Sarà, il suo consenso, viatico al viaggio
del combattente.
ATTO TERZO
95
Il mio posto ora è là, dove Venezia
difende il proprio nome, e quella gloria
che già fulgida un dì, va declinando
tra fosche e dense nubi al suo tramonto.
Turba Contarina l’amaro presagio: — Disperate an­
che voi? Non lo vorrei! — Ma la gloria è dei puri, e
i veneziani purtroppo non son più tali. Quanto a lui,
egli non chiede, — se è scritto che una nuova era d’a­
more e di giustizia sorga sulle rovine della Repubblica
(tema dell’es. 47 allargato — il tema di Contarina al
violino — pag. 308), — che di lasciare esempio d’obbe­
dienza al dovere.
Se pur di me ricordo
resterà vivo in qualche cuor gentile,
aggiunge con tristezza (tema di Rinieri, pag. 309). Con­
tarina ha ascoltato piangendo silenziosamente. Ma il suo
pianto riaccende la passione che finora Rinieri ha cer­
cato di contenere, ed ora egli esalta in quelle lacrime
l’amore a lungo invocato, a lungo atteso. Anche ritorna
in orchestra, contrapposto al tema di Contarina lamen­
toso e penetrante, il tema appassionato dell’atto II
(v. es. 37), su di un ansioso sincopare di accordi (pagi­
ne 310-312). Supplica Contarina che cessi l’ingiusto tor­
mento, quel peccare contro la pace in cui ella ha fino
allora vissuto, e che egli è venuto a distruggere d’un
tratto. (Ancora il tema di Contarina, a ritorni vieppiù
concitati, pag. 313 e segg.). Le sue parole feriscono invo­
lontariamente Rinieri, che reagisce impulsivo. Come può
egli credere a quella pace, e come può ella affermarlo,
quando tutto un anno di aspra guerra contro tutto e
96
ORSEOLO
tutti egli ha vissuto, per quell’amore a lui più necessario
che l’aria e il sole? E qual’è il peccato che Contarina
teme, ingrata e ingiusta verso il purissimo sentimento
di lui? Solo l’amore seppe vincere sul desiderio, nella
notte in cui ella fu alla sua mercè: se da allora il suo
cuore s’è da lui allontanato, ed egli non è ormai più che
« un viandante senza volto », se il suo grido d’amore di
quella notte non fu che una menzogna, se tutto ciò è
vero, lo dica Contarina. E dica pure il suo odio, impla­
cabile quanto quello di suo padre!
Alla fremente invettiva, in cui ritornano (pag. 317)
elementi del duetto del II atto (v. es. 41), e resa acco­
rata da espressivi sviluppi del tema a quintine ripreso
da oboi e fagotti in ottava (pagg. 318 e segg.), Conta­
rina più non regge, e singhiozzando disperatamente, si
abbandona sul braccio di Rinieri, subitamente pentito
e intenerito. — No, Contarina! Non piangere così... Io,
sono ingiusto e ingrato!
Ritornano le armoniose successioni di accordi di
nona (v. es. 45), con echi evanescenti del tema di Con­
tarina (pag. 322), e la fanciulla richiama all'amato le
prove d’amore che spontaneamente gli ha dato :
L’aver trafitto io stesso il cuor d’Orseolo
e un anno di rimorso e amaro pianto,
non bastarono dunque a farti certo
che Contarina ti vuol bene, t’ama?
Si fa un silenzio, solamente riempito dal palpito
dei due cuori. Fuori, nel giardino, è un soave bisbiglio
di voci primaverili : riappare il tema dell’inizio, fra
gorgheggi del flauto, agresti richiami del corno (pagi­
ne 323-324).
ATTO TERZO
97
Oh, quanta pace in questo asii romito!
Se la vita finisse, ora, così...
mormora Rinieri, accarezzando lievemente i capelli della
fanciulla.
Come ti batte il cuore, anima mia!
Odi il ronzio dell’a pi, pare un canto.
Le rose e i gigli e il sole le fanno ebre.
Largamente si spiega il canto, accomunando in un
unico dolcissimo affetto i nomi di Venezia e di Contarina
(tema a quintine, pag. 326 e segg.).
Ma per me Contarina, e in esso è il mondo :
il mio cielo e il mio mare e la mia terra,
e il mioamare davanti a Dio...
Tremante di desiderio, avvicina la sua bocca a quella
deiramata : — Vuoi? Vuoi? — chiede ansioso, mentre
ritorna il tema d’amore, — in cui si confonde l’inciso
iniziale del tema di Contarina, — con un incalzare di
progressioni appassionate (pag. 328). Ma è breve mo­
mento d’oblio. — Miseri noi, Rinieri, entrambi miseri!,
— esclama Contarina riavendosi tristemente da quel fu­
gace abbandono. « Voi non dovete più pensare a me »,
gli disse quella sera, là nell’isola : e non fu possibile, nè
fu malvolere.
Ma là ove il tuo nome sarà solo
Rinieri, e il mio soltanto Contarina,
e nulla più, soltanto là potrà
fiorire il nostro amore.
98
ORSJÏOLO
Calma, con voce di mesta dolcezza, Contarina ha
proferito il suo giuramento d’amore, dalla semplice, toc­
cante melopea (pag. 329).
Ma Rinieri insiste, impaziente : egli vorrà umiliarsi
ai piedi di Orseolo, chiedere, implorare... Contarina non
osa turbare il dolce sogno nuziale che sorride al cuore
dell’amato, al suo stesso segreto cuore. — Iddio t’assista!,
— risponde, e ripete, e non sa dir altro. Un addio, e fa
per rientrare. Rinieri la ferma : vuole che il suo sguardo
l’accompagni mentre egli s’allontana. Ancora l’inciso a
quintine, supplichevole, su di un lieve tremolo d’archi.
E così, gli occhi negli occhi, sussurrando ultime parole
d’amore, indietreggia e scompare. L’orchestra riprende
il tema d’amore, intensamente. Ma già dall’interno giun­
gono suoni di trombe, incidendosi sulla sonorità sospesa
dell’ultimo accordo non risolto. La scena si è chiusa,
per dar luogo poco dopo, come nel I atto, ad un
SECONDO INTERMEZZO
In orchestra è un rispondersi di squilli festosi, un'a­
nimazione di ritmi mollemente scanditi, cui fanno da
sfondo larghe interiezioni del coro, ad andamento omo­
fono. Ad un certo punto si staglia a grandi ottave, sopra
un lungo pedale dell’orchestra, il motivo della canzone
del gondoliere udita nel I atto (v. es. 8), a ritmo allar­
gato. Il coro vi innesta un lineare contrappunto all’u­
nisono, di un vago carattere melismatico, e l’insieme con­
ferisce alla melodia popolaresca un che di religioso e
solenne (pag. 338).
' OZZ3 N ÌJ31NI - 0103S30
ATTO TERZO
99
La scena si apre ancora sulla Riva degli Schiavoni.
Mattina serena e luminosa. La vittoria ha arriso ai vene­
ziani, e il popolo affolla rive e piazze per salutare i
reduci, che una processione guidata dal Doge e dal Pa­
triarca si recherà ad incontrare allo sbarco per recarsi
alla Salute, per un Te Deum di ringraziamento e di
esultanza.
In un canto, una giovane madre se ne sta seduta
in terra, col suo piccino in grembo, e racconta di Vene­
zia, sorta d'incanto sulle acque, ad un gruppo di bam­
bini che le fanno circolo.
Es. 48 (pag. 342)
UNA GIOVANE MADRE
E tut to qui d’in •
Andante piuttosto mosso
Con l’ingenuità delle favole da bimbi, cullando la
voce al ritmo di una ninna nanna popolaresca, la gio­
vane evoca i primi veneziani, fondatori della più bella
100
ORSEOLO
di tutte le città, sul più bel mare del mondo. Il qua­
dretto squisito è interrotto da un alterco di uomini che
giuocano ai dadi, lì presso. I bambini impauriti si strin­
gono attorno alla popolana, che sogguarda scrollando il
capo come per indulgente rimprovero, e poi continua.
Ognuno dunque vide che Venezia
era di tutte le città più bella.
E allora venne voglia ai forestieri
di prendersela loro.
E tutti gli anni c erano battaglie.
Ma i Veneziani dissero: Venezia
è per le nostre donne e i nostri figli :
e contro i veneziani non cè barba
di foresto che mai potrà spuntarla.
Venezia grande e bella è tutta nostra.
Ancora il vocio dei giocatori che altercano, poi un
suono di campana : è il segno della Processione che è
per muovere da S. Marco. Rintuona il cannone: la galèa
capitana è entrata in porto e il Capitan del Mar ne di­
scende. — Viva S. Marco!, — è il grido di tutti. Ma
altri incidenti nascono fra la folla che si pigia per vedere
meglio. L’orchestra martella ritmi insistenti. Principii
di baruffa fra gente di rioni diversi. Nicolotti e Castel­
lani. Punzecchiature reciproche, vanterie di campanile,
botte e risposte : innocuo fuoco di parole, che ad uno
squillare di trombe (tema di Venezia, pag. 366 e segg.),
annunziante ravvicinarsi della Processione, l’entusiasmo
prende tutti, Nicolotti e Castellani si abbracciano, ogni
contesa è superata: — Tutti siam figli di una stessa ma­
dre. Viva Venezia! Viva la Repubblica.
ATTO TERZO
101
La folla s’inginocchia e intona un cantico di gloria
alla patria : una bellissima pagina corale, che ricorda il
canto dei Catecumeni nella Nave e quello dei Flagel­
lanti in Fra Gherardo, analogo al primo nello spunto
gregorianeggiante dei soprani e tenori ad ottave, cui ri­
spondono i bassi
Es. 49 (pag. 370)
Largo
Larghissimo, quasi
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ORSEOLO
102
e, come il secondo, pervaso dal mistico fervore di una
lauda religiosa, nell’aerea trasparenza del contrappunto.
Diversamente però che in quello, dove la nutrita poli­
fonia corale si riflette in un denso tessuto polivoco del­
l’orchestra, qui il coro sembra elevarsi come una sola
voce fervente di popolo da uno sfondo sonoro costituito
da larghissimi accordi dell’orchestra, solamente inter­
corsi da un luccicante ondulare di violini, suddivisi in
rapidi arpeggi di quinte e quarte. La sonorità attinge la
massima pienezza in un finale alleluia, all’arrivo della
Processione, fra un trionfo di vessilli e clangori osan­
nanti. Poi lentamente la scena si richiude sul luminoso
affresco, mentre voci e squilli vanno lontanando.
Un profondo pedale, lentamente ripercosso dai bassi
durante le ultime battute, fa da perno al trapasso mu­
sicale, che avviene senza soluzione di continuità mentre
la scena si riapre per il
QUADRO SECONDO DELL’ATTO III.
Ritroviamo il tema di Orseolo, in una ancor nuova
figurazione, a tratti interrotti, faticosi.
Es. 50 (pag. 379)
p ma intensissimo
Lo introducono i violini primi e secondi all’unisono,
proseguendo i primi, a guisa di esposizione fugata, in
ORSEOLO
"ATTO III. QUADRO
|l-
ATTO TERZO
105.
mi contrassoggetto alla quinta battuta, mentre le viole
fanno la risposta.
In una grande sala in casa di Orseolo, dalle cui fine­
stre aperte al caldo sole di maggio s’intravede la città
nell’incanto dei palazzi e dei giardini sulle acque, fer­
vono i preparativi per ricevere l’ambascieria che recherà
ad Orseolo le reliquie di Marino e l’omaggio reverente
del Senato e del popolo. Orseolo stesso sorveglia l’opera
dei servi. Vuole che siano fiori dappertutto, e alloro,
tutto l’alloro del suo giardino. — Ormai per chi s’avrebbe
a far crescere?...
Penoso è l’aspetto del vecchio, trascinante a fatica
le gambe paralizzate, sostenuto dai servi che l’aiutano
a sedersi. Ma per il gran giorno egli ha voluto indossare,
come in quelli della passata potenza, le sue maestose
vesti di senatore, con tutte le insegne del grado e delle
dignità. E tuttavia, se il fisico è vinto, lo spirito del fiero
patrizio, che sembra ormai assente da tutto per vivere
solo del geloso ricordo del figlio, ritrova gli antichi lam­
peggiamenti nel colloquio col sopraggiunto Soranzo. An­
che il tema di Orseolo ritorna, ricomposto nella primi­
tiva delineazione (pag. 383).
L’amico viene a dar notizia delle onoranze che sa­
ranno rese dalla processione dogale quando passerà
davanti alla casa (tema di Venezia - pag. 384-387). I
vessilli s’inchineranno per tre volte, in onore di Marino:
Così s’inchini ognuno in suo pensiero
al giovinetto eroe...
soggiunge, cercando di sondare nell’animo di Orseolo.
Per esser, degni del sacrifìcio compiuto dal giovane,
sgombri ognuno il suo cuore d’ogni mala passione e di
106
ORSEOLO
ogni ingiusto risentimento... Ma Orseolo para ironica­
mente i tentativi dell’amico sermoneggiante. E questi
allora gli parla schietto: non vorrà il padre, in quel
giorno memorando, riaprir le,braccia alla fanciulla del
suo sangue, che anela rivederlo, confortarlo, piangere
con lui?
All’affettuosa richiesta di Soranzo, che gli accenni
al tema di Marino (v. es. 4) sembrano appoggiare (pa­
gina 388), Orseolo risponde irritato. Si son dunque con­
certati tutti contro di lui, l’amico, Contarina, la Signoria
e quegli altri... — Io vo’ sperare di conoscere, un giorno,
il vostro patto!, — esclama fra sdegnoso e sarcastico.
Che fu della denuncia da lui presentata, in cui dichia­
rava di aver fatto fuggire Marino e d’esser pronto a
rispondere di lui, tosto che fosse tratto in giudizio l’of­
fensore « bastardo » ; perchè non fu risposto dal Senato,
nè fu istruito il processo? — Fu per l’onor vostro, —
spiega Soranzo. — Per l’onor d’Orseolo?, — grida questi
eccitato. — Bastavo io a difenderlo! E a difendere contro
i provocatori anche il mio figlio.
Un veneziano, lui, d’antica tempra.
Non come quei che scendono oggi a patti
con la gente volgare, alla Repubblica
infesta più dei Turchi.
Soranzo tronca lo sfogo, segnato da dolorose reite­
razioni del tema di Orseolo (pag. 392), ed insiste. Non
vuole dunque veder più Contarina, non Pania più? « Vi
s’è fatto di pietra, dunque, il cuore? »
Tentenna il capo il vecchio, alle parole un po’ dure,
ma umane dell’amico.
ATTO TERZO
107
Che ne sai tu, di questo vecchio cuore?
Ferite già ve n erano, anche prima.
Ma bastava un sorriso dei miei figli
a lenire ogni duolo...
Riprende con commossa dolcezza il tema di Ma­
rino, dialogato fra clarinetto e viola, di contro a una
frase discendente dei violini (pag. 394). Orseolo si copre
gli occhi con la mano, quasi a celare lacrime silenziose.
La resistenza è alfine vinta, dopo un’ultima ironica scher­
maglia. Soranzo esce per introdurre Contarina. Rimasto
solo, Orseolo tenta di alzarsi, ina non può reggersi.
Allora impegna tutta la sua forza nelle mani, attana­
gliate al seggiolone, le braccia irrigidite dallo sforzo:
riesce a sollevare il busto, ma le gambe paralizzate gli
si piegano. Il vecchio ha ormai perduta ogni forza, la
sua volontà non può più nulla, ed egli ricade d’un colpo,
vinto, avvilito. Nel breve episodio, descritto da una in­
tensissima frase dei violini sulla 4“ corda, contrapposti
al tema di Orseolo « grave e penosamente trascinato »
I pag. 396) è tutto il suo dramma.
Contarina appare, accompagnata dalla balia levan­
tina e da Soranzo, che escono subito dopo, lasciandola
sola con Orseolo. Il tema di Contarina segue ora la muta
scena della fanciulla, che l’angoscia soffoca, impeden­
dole di avanzare verso il padre. Ma finalmente si vince,
e corre ad inginocchiarsi davanti a lui, la testa sulle sue
ginocchia, in un sussultare di singhiozzi. Orseolo non
si è mosso. Ma, come il pianto di Contarina si va cal­
mando, rialza il capo e guarda davanti a sè fissamente.
Anche le figurazioni del tema di Contarina si sono a
poco a poco calmate, svaniscono, e in un lento anda­
mento di ottavi ritorna sommesso il tema di Orseolo, in
108
ORSEOLO
forma quasi analoga a quella dell’inizio del quadro
(v. es. 50): nel suo atteggiamento assorto, lontano, il
vecchio rievoca aspetti di perdute felicità (pag. 399 e
seguenti).
Un vecchio padre :
altro non era, altro esser non chiedeva.
Tutta la vita, perduta la sua donna, era per lui nei
figli. Nel maschio, « verde virgulto d’un’annosa quer­
cia », egli vedeva la sua stessa fierezza; nella fanciulla,
« la grazia della sposa inobliata ».
Poi venne per l’uno il « folle error funesto », l’in­
famia, l’esilio. Tragico epilogo, la morte, gloriosa, sì,
ma solitaria e lontana.
Al ricordo la voce del vecchio trema di commozione.
Il canto si fa più largo ed intenso, sostenuto da accordi
densi dì espressività, cui rispondono progressivi incisi del
tema di Orseolo, mentre quello di Venezia aveva, poco
prima, come un’eco, accompagnata l’evocazione glorio­
sa (pag. 401).
Forse la man di lui si tese a chiedere
nell’ora estrema un bacio, una carezza,
una parola. E’ solo, e muore.
E Contarina, quella che avea negli occhi il ciel
sereno e nel suon della voce un canto d’angeli », la più
soave creatura, la « sopra tutte amata »,
con solo una parola, da quei labbri
scagliata, già sì casti e sì pietosi,
ha tradito il suo padre e l’ha stroncato!
ATTO TERZO
109
Tutto il brano si svolge sugli accennati disegni ad
ottavi del tema di Orseolo, con brevi ricorsi di quello
di Cofntarina, che ritorneranno ripetuti e lamentosi
quando ella, accasciata dalla straziante invocazione del
padre (« O tutti voi viandanti che passate, fermatevi e
mirate a quale estremo Tonta e il dolor ridotto han Mar­
co Orseolo! »), si rivolgerà a lui implorante.
Ma il dubbio è nel cuore di Orseolo, e gli fa paura,
e tuttavia vuole, deve sapere.
Or tu distruggi dunque
la caligine densa avvelenata
in cui da un anno il tuo padre respira.
Che fu di lei in quella notte ch’ella trascorse là,
« nel covo dei banditi » ? Per qual compenso fu da loro
rimessa ogni imputazione a Marino ed a lui suo com­
plice, quale è il prezzo della protezione che quel Fusinèr, Rinieri, si arroga ora di esercitare sugli Orseolo?
Le crudeli parole offendono profondamente Contarina, che si rizza dolorante a gridare la sua repulsione
sdegnosa per l’orrendo sospetto. — Nè mai sentiste che
prima sarei morta, che mi sarei più tosto uccisa?
Al sincero impeto di Contarina, Orseolo dà in un
grido di gioia: Iddio gli ha dunque serbata degna di
lui la figliuola, degna del nome degli Orseolo.
Un vivo scatto del tema di Marino in orchestra,
ripreso poi con intensità in un movimento più lento,
esprime col suo accenno al figlio eroico l’orgoglio pa­
terno di Orseolo, ravvivato e confortato, pur nel dolore,
dalla certezza datagli da Contarina (pag. 411-412). Alle
sue pressanti richieste, Contarina ammette di aver men­
tito, quella sera, e che veramente essa fu rapita a tradi-
no
ORSEOLO
mento e minacciata. Or dunque essa sarà con lui, —
incalza il padre, — a chiedere che Rinieri e i suoi fra­
telli sian perseguiti e condannati. Anche il tema di
Orseolo incalza, nella originaria figura di biscrome, quasi
il riacceso odio, e il miraggio della vendetta ormai pos­
sibile, restituissero al vecchio l’antica virulenza (pa­
gina 414). Ma interiezioni lamentose che con esso con­
trastano (pag. 415) dicono tutto il tormento della povera
fanciulla, che non può mentire il suo vero sentimento e
che finalmente, in uno slancio appassionato del tema a
quintine (allargato in 5/4, pag. 410-417), confessa: —
No, padre, no, non l’odio, l’amo! L’amo da morirne!
E’ un nuovo colpo terribile. — Ridammi un’ora sola
della mia forza!, — invoca dal Signore Orseolo, stra­
ziato. E alla figlia che si è buttata in ginocchio davanti
a lui getta sul viso domande spietate che non chiedono
più risposta: — Qual’è la verità? Quando hai mentito?
In quella sera o dianzi? — e la respinge violento.
La drammatica scena è interrotta dall’annuncio dell’ambascieria del Doge e del Senato. Ritorna l’andamento
di marcia grave e solenne che era stato accennato nel
primo quadro dell’alto (v. es. 47).
Entrano, guidati da Soranzo, i dieci cittadini desi­
gnati dal Senato. Fra i quattro Senatori che fanno parte
dell’ambascieria è Rinieri, che regge su di un cuscino
la spada e il berretto di Marino. All’allocuzione di So­
ranzo ricompare il tema di Venezia (pag. 421), poi an­
cora il tema di marcia, allorché Rinieri, a un cenno di
Soranzo, si avanza verso Orseolo per porgere le reliquie.
Il vecchio lo riconosce, sussulta, si volge duramente a
Soranzo: — Non da costui... Da voi, Soranzo... Prendete
voi le cose sacre. Ho detto da voi! Ecco, così...
ATTO TERZO
111
Avanzano dal basso, irrueuti, le biscrome del
tema di Orseolo (pag. 424). Come per prodigio, il
vecchio si è rizzato in piedi, sostenendosi da solo e gran­
deggiando su tutti « con la maestà del suo aspetto, con
la forza del suo sguardo, con i segni del suo dolore
augusto ». Prende con ambo le mani la spada, « e par
che i suoi occhi non vedano più altro che quella lama
nuda: e nella luce di essa l’ombra del figlio perduto».
Una pausa tesa, fra lo stupore attonito di tutti. Poi tre
ampi squilli dell’orchestra digradanti di forza, fermati
in un acuto pedale pianissimo, e il vecchio inizia il suo
monologo, lo sguardo fisso sul ferro, in un’atmosfera di
allucinazione riecheggiante qua e là, come voce spersa,
il tema di Marino.
Avvicinando la spada alle labbra, Orseolo la bacia
una, due, tre volte, — per l’esilio - e per la gesta eroica
- e per la morte...
Un’intensa emozione invade i presenti. Nessuno osa
parlare. Padre e figlia soltanto, l’uno nel suo calmo
delirio, l’altra mormorando accenti di supplice preghiera
(Signore Iddio, che il babbo possa in pace finire la sua
vita! Ch’egli possa sgombrar la mente e il cuore d’ogni
sospetto impuro, d’ogni rancore ingiusto!) levano la
loro voce nell’intenso e commosso silenzio. Lievemente
appoggiati, nella consolatrice dolcezza di un re maggiore
in cui si è finalmente risolto l’acuto pedale precedente,
sommessi accordi sostengono un’ultima larghissima tra­
sfigurazione del tema di Orseolo, in un intensissimo pp
dell’intera massa dei violini, disteso in otto battute (pa­
gina 426 e segg.), poi ripreso e riportato progressiva­
mente verso la sua notazione più serrata (pag. 430) all esclamazionc di Orseolo, largamente cantata
112
ORSEOLO
Eri l’ultimo, ed in te
vedea tuo padre splendere il futuro.
Ora tutto di lui, dei suoi, sarà silenzio e oblio,
quando i suoi occhi saran chiusi al mondo.
E poi... E poi... A te non fan più velo
terrene illusioni e umani inganni.
Per esser là dove Iddio ti volle
tu sai, tu sai...
Qual’è la verità?
Qual’è il dovere? Parlami.
Un segno, dammi un segno. O figlio! Figlio!
Invaso da un tremito, il vecchio si è appoggiato con
tutto il corpo alla spada puntata in terra, che al peso
si spezza, fra Forrore e il raccapriccio degli astanti. —
E’ il segno della pace e del perdono, il Signore ha
esaudito le preghiere di Marino!
Rinieri si è slanciato per rialzare Orseolo. Forse
generose parole son già sul suo labbro. Ma Orseolo lo
investe, ancora nemico, ancora implacato. — Non sei
ancora sazio? Che vuoi tu dunque ancora dagli Orseolo?
Agli incisi ostinati del tema di Orseolo risponde
squillante il fiero tema di Rinieri (pag. 438), che un irre­
sistibile impeto muove a ritorcer Foffesa con roventi,
crudeli parole: — 0 implacabile vecchio, ma chi fu la
prima, la sola causa della vostra e mia rovina? — Ma
subito si pente, a un grido angosciato di Contarina, e
si scosta, indietreggia verso la porta. — Non dovevo par­
lare!, — esclama dolorosamente. Ma un vecchio popo­
lano che è fra quelli dell’ambascieria lo ferma, lo con­
forta con parola di semplice, profonda saggezza, quasi
ATTO TERZO
113
umano « commiato » del dramma. Di nessuno è la colpa,
gli dice, nè dell’uno nè dell’altro.
Ogni principio ha il proprio compimento.
E una stella che cadde, anch’essa deve
cadere, sino a spegnersi nel mare.
S’ode di fuori il coro della Processione che s’avvi­
cina, recitando le litanie dei Santi, a semplice anda­
mento accordale. Grida di gloria a Marino Orseolo. Le
trombe squillano il tema di Venezia (pag. 451), si ve­
dono dalle finestre i vessilli che s’inchinano davanti
alla casa.
Orseolo si è riavuto, ha udito il canto, che riprende
allontanandosi. A un tratto reclina il capo, ridotto all’e­
stremo dalle emozioni e dagli sforzi compiuti. Soranzo
gli si rivolge con affettuosa esortazione, indicando Contarina e Rinieri. Non vorrà indurlo l’ora tanto solenne
a un atto di perdono e di bontà verso i due giovani,
entrambi di lui degni? Ma ormai nulla più intende
Orseolo, nulla più lo riguarda. Egli è giunto al termine,
supremamente stanco.
Come par meglio a voi, Signori... Come
più vi convenga. Io sono troppo vecchio...
Dalle finestre entra il caldo sole meridiano, ma
egli le vuol chiuse, chè per lui, già sul limite, annotta,
e ha freddo. Chiede il berretto di Marino, lo stringe, vor­
rebbe coprirlo di fiori e li cerca col braccio, non reg­
gendogli più la vista. Contarina intuisce, gli pone pie­
tosamente fra le mani una manciata di gigli, ed egli le
stringe la sua, cercando la testa per accarezzarla. —
Contarina! Figliola! Cara, cara...
114
ORSEOLO
Le ultime parole, a Contarina che gli chiede di
perdonarla, (— Perdonare... Abbiam tutti bisogno di
perdono. Ad ogni colpa il suo castigo. E’ giusto.), esa­
lano dal suo spirito ormai pacato, rassegnato ad una
suprema giustizia. — Signore Iddio... Venezia... — E
ancora le parole del suo accorato vaneggiare : — Oh
lasciatemi solo... solo... solo!
Tutta l’ultima scena del dramma si svolge sopra
un incessante ribattere di bassi su di un’unica nota pe­
dale che durerà fino alla fine del dramma. Vi si rileve­
ranno il tema di Marino, prima allargato in semiminime
(pag. 456) con brevi entrate a canone, poi ristretto in
un agitato disegno di semicrome, indi il .tema di Ve­
nezia (pag. 459) pure a richiami imitati, mentre riap­
pariranno le quintine del noto tema d’amore, successi­
vamente allargato in lenti, dolcissimi accordi. E’ Rinieri, è l’amore che attende.
Rinieri esce silenziosamente. Contarina lo segue con
lo sguardo, e poi ripete come a sè stessa, con un filo
di voce, un nodo di pianto nella gola : — Là dove il
nome tuo sarà soltanto Rinieri, e il mio soltanto Conta­
rina... (v. quadro I dell’atto, pag. 329).
Già cereo e lontano è il volto di Orseolo, nè più
risponde al richiamo ansioso della fanciulla, che rompe
in pianto sulle ginocchia di lui. I servi s’inginocchiano.
Un ultimo accenno al tema di Orseolo, e il dramma ha
termine.
OPERE E COMPOSIZIONI
di ILDEBRANDO PIZZETTI (i)
di proprietà G. RICORDI & C.
LAVORI TEATRALI.
DÈBORA E JAÉLE. Dramma in 3 Atti :
— Partitura d’Orchestra - voi. rileg. in tela e oro . L. 100,—
— Riduzione per Canto e Piano - ediz. di lusso
in 8“ grande su carta a mano speciale, rileg. in
cuoio bulgaro............................................................................ » 500,—
— idem, in edizione comune.................................................... » 60,—
------- col
testo
tedesco di A. Briiggemann . .
Mk. 15,—
— Libretto,
dello
stesso Autore............................................. L.
5,—
------- col
testo
tedesco di A. Briiggemann . . . Mk.
1,20
LA SACRA RAPPRESENTAZIONE DI ABRAM E
D’ISAAC. Scene bibliche in 3 Parti :
— Partitura d’Orchestra - voi. rileg. in tela e oro L.
— Riduzione per Canto e Piano..................................................... »
— Libretto, di Feo Beicari.................................................................»
60,—
30,—
2,—
FRA GHERARDO. Dramma in 3 Atti. Riduzione per
Canto e Piano..................................................................................» 60,—
------- col testo tedesco di A. Briiggemann .
. . Mk. 15,-—
— Libretto, dello stesso Autore........................................................ L.
5,—
------- col testo tedesco di A.
Briiggemann .
. Mk.
1,20
LO STRANIERO. Dramma in 2 Atti. Riduzione per
Canto e Piano ................................................................................ L.
— Libretto, dello stesso Autore.........................................................»
RONDÒ VENEZIANO. Azione coreografica. Tre visio­
ni veneziane. Riduzione facilissima per pianoforte »
— Libretto, di Caramba.....................................................................»
ORSEOLO. Drapima in 3 Atti. Riduzione per Canto e
Piano............................................................................................... »
— Libretto, dello stesso Autore..............................................................»
(1) Per la Bibliografia vedi anche :
Pag. 27. (Bollettino Bibliografico Musicale,
Pizzetti. Pag. 113 (G. B. Paravia, 1935 - Torino).
50,—
5,—
10,—
1,—
50,—
4,—
PILATI M. - Fra Gherardo, di I. Pizzetti.
1928, Milano). — GATTI G. M. - Ildebrando
116
OPERE E COMPOSIZIONI DI I. PIZZETTI
CANTO E PIANOFORTE.
Didattica.
Tre Vocalizzi:
voce grave
per
voce
acuta,
per
voce
media,
per
— Fanno parte della Raccolta: Autori diversi. Voca­
lizzi nello stile moderno, 1° Serie (E.R. 1046, 1047,
1048)
cad.
Composizioni a una voce.
Tre Canzoni, su poesie popolari italiane (S). Riduzione
dall’originale per Canto e Quartetto d’Archi
— 1. Donna lombarda (120236).............................................
— 2. La prigioniera (120237)..................................................
— 3. La pesca dell’anello (120238)
Tre Sonetti del Petrarca:
— 1. La vita fugge e non s’arresta un’ora (MS-Br)
(119228) ......................................................................
— 2. Quel rosignuol che sì soave piagne (S-T)
(119229) ......................................................................
— 3. Levommi il mio pensiero in parte ov’era (MSBr) (119230) .................................................................
all’« Acamennone » di Eschilo per Or­
chestra e Coro a 5 voci miste. Riduzione dell’Autore
(122078) ..................................................................................
Introduzione
Altre Cinque Liriche:
— 2 Canti d’amore:
— 1. Adjuro vos, filiae Jerusalem - dal Canticum
Canticorum (MS-Br) (122835)................................
— 2. Oscuro è il ciel. Versi di G. Leopardi (dal
greco di Saffo) (MS-Br) (122836) . . . .
— 3 Canti greci - su parole di canti popolari greci,
tradotti da P. Bondioli:
— 1. Augurio (MS-Br) (122837)......................................
— 2. Mirologio per un bambino (MS-Br)
(122838) ! .......................................................
— 3. Canzone per ballo (S-T) (122839) . . . .
OPERE E COMPOSIZIONI DI I. PIZZETTI
117
CANTO E QUARTETTO D’ARCHI.
Tre Canzoni (S) - Partitura in-16" (120234)........................................L.
— Parti staccale degli Archi in-4° (120235) . . . .
I. Donna lombarda — 2. La prigioniera — 3. La
pesca dell’anello.
»
15,—
15,—
CORI A VOCI SOLE.
Due Canzoni corali (testo italiano e francese):
— 1. Per un morto ■ a 4 voci maschili - Partitura
(120225).....................................................................................»
.5 —
— Parti staccate :
— Tenori I e II (uniti) (120920).................................. »
— Bassi I e II (uniti) (120921).................................... »
1,50
1,50
— 2. La Rondine - a 6 voci miste ■ Partitura
—
—
—
—
—
»
5,—
Parti staccate :
Soprani I e II (uniti) (120922)................................ »
Contralti (120923)...................................................»
Tenori I e II (uniti) (120927)...................................»
Bassi (120928).................................................................... »
(120226)
2,—
1,50
2,—
1,50
Messa di requiem - per voci miste - Partitura (119490)
»
15,—
»
6,—
6,—
voci miste - Partitura (119755)....................................................... »
7,—
— Parti staccate:
— Soprani e Contralti (uniti) (119491)
. . . .
— Tenori e Bassi (uniti) (119492)............................... »
Sanctus ( dalla Messa di requiem ) per triplo Coro, a
PIANOFORTE A QUATTRO MANI.
Concerto dell’Estate. Riduzione (Pilati) (121220) . ,
»
20,—
(Pilati) (121075)............................................................................. »
12,—
Tre Preludi per l’« Edipo Re » di Sofocle. Riduzione
DUE PIANOFORTI.
Canti della stagione alta. Concerto per Pianoforte e
Orchestra. Riduzione (Zanon) ( 122911)........................................ »
15,—
118
OPERE E COMPOSIZIONI DI I. PIZZETTI
VIOLINO E PIANOFORTE.
Tre Canti (119894).....................................................................................L.
1. Affettuoso — 2. Quasi grave e commosso — 3.
Appassionato.
Canto, dal Vocalizzo per voce media: b ) Quasi lento.
Trascrizione (Corti)
(122452).................................................... »
12,—
5,—
VIOLONCELLO E PIANOFORTE.
Tre Canti (119895)..................................................................................... »
12,—
1. Affettuoso — 2. Quasi grave e commosso — 3.
Appassionato.
Sonata in Fa (119404).................................................................................»
24,—
Movimento di danza, dal Vocalizzo per voce acuta: a )
Allegretto vivace e leggero. Trascrizione (Silva)
( 122429)................................................................................................ »
5,—
MUSICA DA CAMERA.
Trio in La, per Violino, Violoncello e Pianoforte - Par­
titura e Parti (119896).............................................................................»
— Partitura in-ló" (119985).................................................................. »
20,__
12,—
1. Mosso arioso - 2. Largo - 3. Rapsodia di settembre.
Quartetto in Re, per 2 Violini, Viola e Violoncello Partitura in fac-simile dell’autografo (123151)
»
30,__
— Parti staccate (123152).....................................................................»
.
.
305__
COMPOSIZIONI SINFONICHE.
(Partiture d’Orchestra).
Concerto dell’Estate, in 3 tempi - Materiali di noleggio
— Partitura in-16° (121027)..........................................................»
1. Mattutino - 2. Notturno - 3. Gagliarda e Finale.
20,_
Tre Preludi per l’« Edipo Re » di Sofocle - Materiali
di noleggio...................................................................................... »________
— Partitura
in-16° (119226).................................................... »
25,__
Rondò veneziano - Materiali di noleggio............................................»________
— Partitura
in-16“ (121575).....................................................»
20,__
OPERE E COMPOSIZIONI DI I. PIZZETTI
di Eschilo, per or­
chestra e coro - Materiali di
noleggio.................................. L.
— Partitura
in-16° (122069).................................................. »
119
Introduzione all’« Agamennone »
Preludio, da
«Lo Straniero » - Materiali di noleggio »
— Partitura
in-16° (122180).................................................. »
Coro o senza) Materiali di noleggio................................................................ »
— Partitura
in-16° (122169).................................................. »
—,—
12,—
—,—
10,—
L’Ultima caccia di Sant’Uberto (con
per Pianoforte e
Orchestra - Materiali di noleggio............................................. »
— Partitura in-16° (122812)................................................... »
—,—
8,—
Canti della stagione alta. Concerto
Do, per Violoncello e Orchestra - Materiali
di noleggio...................................................................................... »
—,—
30,—
Concerto in
—,—
PICCOLA ORCHESTRA.
con Pianoforte conduttore.
ERA GHERARDO. 2 Fantasie (Sirlen Milanesil:
— 1. Fantasia
— 2. Fantasia
(121796)............................................................»
(121797)............................................................»
12,—
12,—
LA SACRA RAPPRESENTAZIONE DI ABRAM E DI
ISAAC. 2 Pezzi (De Cecco):
— Intermezzo (121946)............................................................»
— Danza (121947) ..... ..................................................................»
8,—
12,—
Scarica

l`«orseolo» di pizzetti