M A R I O P I L A T RSEOLO ILDEBRANDO PIZZETTI 1935 E D I Z I O N E R I C O R D I MILANO (-Printed in Italy) (Imprimé en Italie) I M A R I O P I L A T ORSEOLO DI ILDEBRANDO PIZZETTI 1935 G. RICORDI & C. MILANO R O M A - N A P O L I - P A L E R M O LEIPZIG -BUENOS AIRES - S. PAULO PARIS: SOC. ANON. DES ÉDITIONS RICORDI L O N D O N : G . R I C O R D I & Co., (London) Ltd. N E W Y O R K : G . R I C O R D I & Co., I n c . I Proprietà G. RICORDI & C. - Editori - Stampatori Milano. Tutti i diritti sono riservati. Tous les droits d’exécution, diffusion, représentation, reproduction, traduction et arrangement sont réservés. (Copyright MCMXXXV, by G. Ricordi & Co.) / 123412 INDICE Pagine introduttive . Pag- 7 ATTO PRIMO : Quadro primo. „ 19 Primo intermezzo . „ 42 Quadro secondo „ 47 ATTO SECONDO. „ 61 ATTO TERZO : Quadro primo. „ 83 Secondo intermezzo. „ 90 Quadro secondo „ 94 Nella produzione pizzettìana che ha preceduto Orun primo accostamento del musicista all’atmosfe ra nella quale avrebbe dovuto svolgersi il nuovo dramma non ancora ben definito, è stato segnato dal Rondò ve neziano per orchestra. Traendo geniale e affatto nuovo partito dalla classica forma musicale determinata dal ritorno circolare — volta a volta con nuovi sviluppi — dell’idea principale, egli seppe comporvi e far rivivere, come in un arazzo dalle tinte squisite, caratteristici aspetti del pittoresco veneziano, colti in momenti diversi e fermati in plastici atteggiamenti di danza: dalla calda sonorità di un « concerto di viole » nella sarabanda, ai rabeschi del clavicembalo e ai sospirosi languori del vio seolo, lino, accennanti vaghe movenze di minuetto, alla sgar bata rozzezza di un’orchestrina popolaresca nella turbi nosa furlana; paludate solennità di cerimonie dogaresche, melodiosi effluvii notturni da salotti patrizi illu minati sul Canal Grande, commossi dialoghi <Tinnamo rati, aria festosa e sottilmente profumata di una sera domenicale nel « campiello »... E fra un quadro e l’altro i ritorni del terna, fra lunari barbagli di acque ed echi suggestivi. Il Rondò è del 1929. Ma Venezia operava sul Mae stro i suoi irresistibili richiami da molto più tempo, e, come egli stesso ha avuto modo di dichiarare recente mente, fra i sogni d’arte di più vasto quadro più desi derosamente accarezzati, uno aveva già da lunghi anni preso nome dalla città incantevole, prima ancora di deli ncarsi compiutamente nella fantasia. 8 Nel tempo in cui Ildebrando Pizzetti fu alunno del Conservatorio della natia Parma, sotto la direzione di Giovanni Tebaldini, questi, che già con opportune rifor me ed innovazioni aveva dato razionale assetto all’istru zione tecnica nell’istituto a lui affidato, ebbe pure il non piccolo merito di promuovere negli allievi una più com piuta educazione dello spirito con ogni sorta di intel ligenti iniziative, fra le quali quella di accompagnare o inviare i giovani in viaggi istruttivi, sia perchè assistes sero ad esecuzioni musicali specialmente memorabili date in questa o quella città, sia perchè traessero dai tesori d’arte e di bellezza dei vari luoghi visitati incitamento a maggiori cognizioni, stimolo a generosi entusiasmi. Opera meritoria che va ricordata, tanto più perchè costò al fervido e coraggioso direttore parmense non poche ama rezze causate dalla proverbiale incomprensione di quel tempo. Come è narrato nel volume che il Tebaldini stesso ha dedicato a quel periodo ormai lontano del suo diret torato e dell’alunnato di Pizzetti (1), il futuro autore di Orseolo specialmente si avvantaggiò di quei proficui pellegrinaggi, in uno dei quali Venezia ebbe per la pri ma volta a rivelarglisi nella pienezza del suo sfolgorante splendore. « Son partito da Venezia la sera ne lo stor dimento assoluto; — così egli ne riferiva al Tebaldini in una lettera che porta la data del 9 settembre 1899 — io credo di aver quasi sentita la ossessione del colore. Oh quando ci ritornerò mai? ». Più tardi, nel 1905, il Pizzetti si accingeva a mu sicare gli intermezzi e i cori per la Nave dannunziana, (1) Ildebrando Pizzetti nelle «Memorie» di Adelmo Damerini (Ed. Fresching, Parma, 1931). di Giovanni Tebaldini, con prefazione 9 e sicuramente non mancò in tale circostanza di rivivere in lui il ricordo di quei primi accesi contatti con l’opu lenta Regina della laguna, avvenuti quando già la sua sensibilità si era venuta destando ed intimamente nu trendo ai richiami di voci per allora obliate, provenienti dalla remota lontananza dei canti cristiani e dalle sonore cattedrali della polifonia cinquecentesca. Certo, è pure di quel tempo, se non un primo dise gno, il desiderio di dar vita di suoni ad una visione sce nica che avesse per sfondo Venezia. Ma solo oggi, nella piena maturità dell’artista, il sogno è stato tradotto in realtà: dalle elleniche aure mitologiche di Fedra, da quelle bibliche e preistoriche di Dèbora e de Lo Stra niero, e infine da quella sua terra d’Emilia profumata di campi e di canti dove Fra Gherardo vive il suo tor mentoso e pietoso dramma, l’ispirazione pizzettiana si volge, con Orseolo, verso la Venezia dei Dogi. E’ opportuno però disingannare chi in Orseolo si attendesse scorgere una di quelle opere che devono al prepotente stimolo dell’elemento ambientale — specialmente affascinante nel caso di Venezia — la loro prin cipale e spesso sola origine. Gli esempi non mancano, e non mette conto citarne, trovandosene in abbondanza specie fra le opere moderne più note, mentre per trovare un raffronto con quella che è, in un certo senso che non deve pertanto essere frainteso, l’indifferenza pizzettiana per tutto ciò che va genericamente sotto il nome di « colore », bisogna riportarsi ai nostri operisti del pas sato. (Non senza includervi il caso delFAida, che po trebbe costituire un’illustre eccezione al riguardo se non fossero note le circostanze che indussero Verdi a mu sicare quel soggetto, e come il suo esotismo ricevesse 10 dal genio verdiano quelle coloriture appropriate, di pura fantasia, che tutti conoscono ed ammirano). Alla resto, prepotente il musicista tirannia pagava il del colore suo tributo, veneziano, poco del prima di Orseolo, e nella più acconcia sede sinfo nica, col Rondò veneziano del quale si è detto, conce accingersi ad dendosi una decorazione e tutto volta tanto musicale, particolare alle non amabili senza segno della esteriorità imprimervi sua della quell’arioso personalità che può — unica del ge nere in tutta la produzione pizzettiana, — come una vera e propria reazione anzi liberazione lirica dalla « os sessione del colore » cui egli accennava, nella lettera di quel veneziano « autunno già lontano ». farci considerare quella composizione, Nel suo recente esauriente volume sulla figura e l’o pera del musicista parmense, G. M. Gatti ha acutamente parafrasato per il nostro autore il noto versetto evange lico: in principio erat drama. Ed aggiunge che il dram ma è per Pizzetti « il problema essenziale della sua poe tica, quello per cui si risolve l’equazione della sua opera, si scopre il segreto della sua creatività » (1). Diverso doveva essere quindi il punto di partenza del drammaturgo, sulla cui sensibilità la storia veneziana (1) nente GUIDO scrittore temporanea, ha Il testé volume ed. Bottega per Fra musicale, M. per di apparso, Gherardo, 1930), critici e di rifacendosi autobiografici, a succeduto cura — e alle ne 1922 una — dell’autore quella idee esamina di Paravia specialmente Pizzetti ad {Ed. Pizzetti musicali, dedicato Milano a 1928 Ildebrando cose primo poesia, Milano, Roma, GATTI, torinese la sua guida attenzione illustrativa {altre guide della presente, M. espresse Rinaldi da per Pizzetti compiutamente - pertinenti per di per opere l’opera e Dèbora di e attraverso con ed obbiettivo, e può per questo ben dirsi prezioso per l’intelligenza dell’arte pizzettiana. spirito ed. i con esegeta. Jaele sono Bollettino — L’emi italiana critico Straniero stesso 1934). pizzeltiane ed. — Lo Torino, all’arte — quella bibliografico Novissima, suoi insieme scritti fervido 11 doveva operare altrettanto fervidamente quanto il colore, il profumo, la luce, ranima canora di Venezia aveva col pito quella bretto, ed del musicista. a composizione già distrutta tornar (successivamente In per più rigorosa disciplina « lava semplicemente con intitolazione che ziano, sua successione pittura quasi d’ambiente, in una prima avanzata da drammatica sottotitolo: ci pare della capo delle termini, li musica con significativa, gerarchica del ancor »), Vopera s’intito Dramma vene un altri stesura ma due in quella parole. ancora e Non sempre e soprattutto dramma, « vita in movimento, azione », la parola in cui può riassumersi l’intera concezione d’arte e di vita, in cui si risolve e si compendia ogni esperienza estetica pizzettiana. Come già per Dèbora, per Lo Straniero e per Fra Gherardo, i motivi drammatici furono ancora cercati in una di quelle epoche di crisi da cui, secondo il concetto del Gatti menti un’umanità riferirne gloria per stesso, lo stesso veneziana, costringerli sorgono figure quintessenziata. autore'. troppo dentro « dorati rappresentative Ecco quanto Abbandonai i e l’atmosfera fulgenti, di un espri ebbe secoli troppo dramma; a della grandi rinun ciai al Settecento, troppo pallido e livido, sotto la bautta e il belletto, troppo agonizzante e disperato, sotto la sua molle e merlettata eleganza. Mi fermai nel Seicento, che mi è sempre parso il secolo più drammatico della storia veneziana. I gonfaloni di S. Marco sono ancora gonfi di gloria, ma i soldati della Repubblica, in Levante, son più pronti a morire da eroi che a vincere; sulle acque, della Laguna trema già una prima ombra di dissolvi- 12 mento, e i fieri cuori dei maggiori veneziani sono stretti da una angoscia nuova » (1). Il dramma è tutto inventato, nè, al tempo in cui è stata posta l’azione, ossia nel 1650, troviamo traccia di alcuno dei personaggi, pure distinti da nomi venezianis simi, taluno illustre, come quello del protagonista. (Alla famiglia degli Orseolo appartennero tre Dogi, uno dei quali, Pietro, vissuto intorno al mille, fu santificato dalla Chiesa. Il figlio di lui legò il nome degli Orseolo a me morabili imprese civili e guerresche, e fu il doge che per primo istituì il rito della benedizione del mare, in segno di dominio, divenuto più tardi la fastosa cerimonia dello sposalizio, compiuto col simbolico lancio dell’a nello dall'alto del Bucintoro). Di storico non c’è quindi che lo sfondo politico sul quale l’azione si svolge e da cui il dramma si diparte. Esso risale al tormentoso periodo attraversato da Venezia durante la guerra di Candia, divenuta oggetto delle mire dei turchi, e ad essi contesa in circa trentanni di lotte che segnarono, per le sfortunate vicende cui dettero luogo, l’inizio del lento tramonto della Repubblica, com piutosi fatalmente sulla fine del secolo successivo. Nono stante la decadenza morale che già veniva tarpando le ali al glorioso leone di S. Marco, non mancarono in quella guerra episodi di epico valore, in cui rifulsero i nomi dei Morosini, dei Mocenigo, dei Corner, dei Mar cello, dei Contarmi ed altri capitani; ma l’impresa era destinata a soccombere, comunque segnata qua e là da luminosi ritorni dell’antico spirito eroico, e Venezia, sfinita dalla lunga resistenza, più non potè opporre al (1) Intervista di del 23 dicembre 1934 - XIII. G. Cornali con Pizzetti, pubblicata nel Corriere della Sera » 13 dilagare baldanzoso degli infedeli quel blocco di forze militari e civili che erano state fino allora securo pre sidio della civiltà europea contro la cupidigia ottomana. Oltre guerra che costò vasta un ricchezza. espedienti prezioso alla fu patrimonio Repubblica Per gran sopperire escogitata la di parte alle spese, concessione sangue, della sua fra di gli la già altri privilegi nobi liari a chi offrisse forti somme allo Stato. Ciò favorì il formarsi di una nuova classe plutocratica che agli orgo gliosi privilegi di sangue dei vecchi nobili opponeva Vor goglio e non meno l’intelligenza. core che fiero Di sfogò familiari, a coesione morale qui ben tutto dei privilegi un sordo presto danno in acquistati col antagonismo, violenze, della disciplina sommamente preziosa un soprusi, ran vendette pubblica in lavoro e quei della gravi momenti. In questo clima agitato, turbolento, in cui si bilan ciano tragicamente sanabile l’incombente conflitto di casta pericolo all’interno, esterno è posto e il l’in dramma di Orseolo, che riassumiamo brevemente. Esponenti del dissidio fra l’antica e la nuova ari stocrazia sono le due famiglie degli Orseolo e dei Fusinèr. Della prima è a capo il senatore Marco Orseolo, investito della carica di Capo del Consiglio dei Dieci e Inquisitore di Stato, la magistratura più alta della Re pubblica, dopo il Doge. Della seconda, da umile retaggio assurta siede a nel nobile Senato rango, a il giovane rappresentare Rinieri i nuovi tanto più vicini al popolo quanto gli altri se ne manten- Fusinèr, che aristocratici, 14 gono sdegnosamente lontani. F’ appunto un gesto di sim patia verso il popolo da parte dei Fusinèr a determinare Vincidente da cui si svilupperà il dramma. Marino, il figlio di Marco Orseolo, saputo che i Fu sinèr di avrebbero Murano, partecipato recentemente ad una festa condannate delle dal maestranze Senato, e rav visando in ciò un atto di spregio, si propone di punire Voffesa, sorprendendo Fusinèr mentre si di notte, con recano in gondola alcuni compagni, alla vicina i isola. Ma nella gondola viene trovata Cecilia, la giovane sorella dei Fusinèr, che disperata si getta in acqua e muore poco dopo essere stata ritrovata. Perseguitato fugge. dalla Orseolo, pavano il combattuto dapprima figlio, fra denuncia poi, il incredulo avutane dovere del da di Rinieri, alle lui voci stesso magistrato e Marino che incol la certezza, il vivissimo affetto del padre, si rende complice della sua fuga. Mentre Rinieri lotta dolorosamente e fieramente contro i subdoli ostacoli frapposti al corso della giustizia, invano da lui reclamata con una nuova denuncia al Doge contro Marino e contro lo stesso Orseolo, i due più gio vani suoi fratelli risolvono di agire, all’insaputa di Ri nieri. La rappresaglia è compiuta col rapimento di Contarina, la figlia di Orseolo, che viene portata e tenuta nascosta in unisoletta deserta della laguna. Rinieri giunge al nascondiglio, informato dell’ope rato dei suoi, che però apertamente disapprova. Un antico affetto egli nutre per la fanciulla, sua compagna di gio chi nell’infanzia, al quale è segretamente sensibile il cuore di Contarina, già da lui chiesta in sposa ma sde gnosamente rifiutatagli da Orseolo. 15 Alla vista di Rinieri, Contarina crede sul momento che sia stato lui ad organizzare il rapimento, ed ergen dogli altera trema un e sprezzante, velato, gli amaro rivolge dure disinganno. parole Solo in cui quando avrà appreso da Rinieri la penosa realtà, e la colpa di Ma rino, e l’ingiusta, superba avversione di Orseolo per il giovane generoso e leale che è venuto soltanto per resti tuirla intatta alla sua libertà, senz’altro chiedere che una pietosa parola quanto più d’amore, in alto sia solo allora essa comprende Rinieri delle miserie di quegli orgogli, di quelle vane rivalità. E ad Orseolo che soprag giunge di per vendetta liberarla e e per ruggente come arrestare una i belva Fusinèr, ferita, avido trova la forza di gridare il suo amore e una disperata menzogna che salverà Rinieri e i suoi fratelli : non rapita, ma spon taneamente essa è venula nell’isola, per Rinieri che essa ama, a cui si è promessa per sempre. E’ un fulmine che abbatte la vecchia quercia, già stroncata dal primo strazio per la colpa e la sorte del figlio: perduta attenderà nei figli, anche Orseolo, uniche che Contarina, una il ha speranze, destino unico spietata colpito sorriso della solitudine terribilmente sua vec chiezza. Passa cosi un anno, durante il quale Contarina è vis suta nel ritiro di un convento. Giunge notizia che Marino ha incontrato in guerra morte gloriosa. Un’ambascieria del Senato recherà ad Orseolo la reliquie del figlio, e di essa farà parte Rinieri, che ha cancellato ogni odio dall’animo. Ma prima egli vedrà Contarina. le chiederà una suprema promessa d’amore. Poi anch’egli partirà per la guerra. 16 Orseolo Non vive è ormai più che Vombra della dell'antico memoria del fiero figlio, patrizio. ultimo fiore della sua gente, offerto in olocausto alla Patria. Riacco glierà Contarina, ma non potrà perdonarle il sentimento per lui colpevole, per Contarina purissimo, che ella, in una nuova confessione dolorosa, non sa nascondergli. Rinieri è sempre per lui il nemico, l’offensore. E quando l’arnbascieria giunge e Rinieri gli porge la spada e il berretto di Marino, egli griderà ancora il suo odio ostinato e indoma bile. Ma sull’urto delle passioni, sull’intimo dramma dei protagonisti che il fato accomuna, colpevoli o incolpe voli, dominerà l’ombra del giovane Marino, che la morte espiatrice ha redento e al quale Orseolo, già lontano dal mondo, si ricongiungerà alfine placato. Rinieri si allontana, dopo che Contarina gli si è giurata in eterno e gli ha detto addio per un arcano regno d’amore, là dove soltanto Rinieri e Contarina sa ranno i loro nomi. E il dramma si conclude, in una strug gente malinconia di tramonto. Abbiamo pizzettiana del colore. meno poter che dramma detto come dramma Trattandosi facile elementi, del già del si nei di Venezia, sfuggire avrebbe alla nuociuto necessaria comporti riguardi alla a la concezione dell’ambiente era certo impresa preponderanza quella sua di formale immediata e tali nudità evidenza, senza soste che ne arrestassero lo svolgimento, in Orseolo più ancora trovato — di al serrato problema un’arditezza che una tutta negli altri soluzione pizzettiana, drammi. L’autore originale fatta coerenza ai suoi assunti drammatici, — isolando in due ed di ha ardita, profonda 17 intermezzi — scenici, posti simmetricamente a dividere le due parti del primo e del terz’atto, — i motivi colo ristici vera e e pittoreschi propria rigorosamente (tranne brevi esclusi tocchi nel dalla vicenda primo quadro elei primo atto, alla canzone del gondoliere). mezzi non rivestono però una funzione Tali inter meramente estrin seca all’azione, ma, come vedremo a suo tempo, innestano scorci rapidi ed efficaci del più vasto dramma collettivo, — il dramma di Venezia, — nel dramma dei singoli, che da quello prende impulso e rilievo. Per la bandonare prima volta, Orseolo con Ildebrando il tema Pizzetti a lui sembra caro ab- dell’amore esaltante in se la suprema ragione del vivere, identificato in quel bene immateriale ed eterno verso cui tendono le anime, purificate da ogni colpa o passione men degna. Tema che gli ispirò la ideale trilogia drammatica costi tuita da Debora, da Lo Straniero e da Fra Gherardo, e che già balena nei commossi accenti della morte di Fe Orseolo, che all’amore dra. Senza tuttavia rinunziarvi che unisce, contro ogni odio e sopra in ogni miseria, Ri nieri e Contarina, pur nel loro penoso tormento, è a f f i data la luce parola l’atmosfera eroine consolatrice oscura pizzettiane del ritroveremo che rischiara dramma. in E di molti Contarina, purissima tratti sorella delle spi rituale di Jaele, della Mariolo di Fra Gherardo e più specialmente, forse, della Maria de Lo Straniero. Ma al centro è la tragica figura di Orseolo e il suo dolorante dramma momenti culminanti, paterno, per i figura suoi che richiamerà atteggiamenti stoso dolore e per la potenza con la quale esso è rappre- di nei mae 18 sent at o, l’eroe shakespeariano che tanto fascino esercitò su Verdi, Re Lear. Riflessa nella tragedia del protagonista è la tragedia di Venezia: nella volontà indomita e fiera che Orseolo oppone agli eventi contrarii vediamo fremere le ultime resistenze di un mondo che è già per cedere, logoro di gloria e di anni. E quando Orseolo raggiunge nell’al di là il figlio prediletto, restituito puro all’amore del padre dalla sua morte eroica, sembra che lo stesso spirito della patria esali da un corpo ormai disfatto per ricongiun gersi alle grandi ombre dei suoi eroi. Vibrano in Rinieri fremiti di vita nuova, fondata sopra una più profonda giustizia, aneliti verso un’era di uguaglianza e fratellanza sociale volta a supreme idealità di patria. Ma è un miraggio ancora lontano : anch’egli andrà incontro al suo destino di combattente, con nel cuore il viatico d’amore della sua Contarina, mentre si elevano al cielo voci di gloria e voci di preghiera. ORSEOLO - ATTO I. QUADRO I. A T T O P R I M O L'opera non ha vero e proprio preludio, ma una concisa introduzione orchestrale a guisa di annunzio, in cui vengono presentati, quasi dramatis personae prin cipali, due tenti nettamente distinti. Es. 1 (pag. 1) Andante grave e sostenuto PP ma pesante Es. 2 (pag. 1) Unico lo sfondo tonale di sol minore, ma i due temi se ne dividono le opposte posizioni di tonica e di do minante, come a significare i poli entro cui si svol gerà il dramma. Possiamo riconoscere nel primo, espo sto da pesanti ottave degli archi gravi, la figura severa e pensosa del vecchio Orseolo, nel secondo un arioso richiamo a Venezia, diffuso di echi rispondentisi fra i corni, di contro a un largo fraseggiare di archi e legni acuti, di schietto sapore paesistico. Quattro sole battute, barlume di chiarità improvvisa sopra il fluttuare scuro N.B. — Le indicazioni di pagine si riferiscono allo spartito per canto e pianoforte. 22 ORSEOLÓ del tema di Orseolo, successivamente ripreso e svilup pato attraverso progressioni crescenti di intensità ed al tezza (pag. 2). Ma un inatteso accordo di la bemolle, primo rivolto, (la classica sesta napoletana, che po trebbe esser detta una specie di « congiunzione avver sativa » del discorso musicale), viene col suo peso a toglier forza alla parabola tematica, riattratta verso il grave con lento volteggiare che svanisce sugli ultimi ondeggiamenti delle viole, lasciando scoperto l’inciso caratteristico del tema di Venezia, subitamente riap parso e ribattuto dal corno sulla settima minore (sol bemolle) dell’accordo, per fermarsi sulla quinta (mi bemolle). Su quest’ultima lunga nota tenuta, mentre dura ancor fermo raccordo e altri corni ribattono al centro un sommesso ritmo d’attesa, la scena si apre. Appare la biblioteca di Orseolo. E’ sera, una sera di aprile, e il buio è appena rischiarato da una lam pada a lucignoli che è sulla scrivania. E’ con Orseolo a colloquio, seduto di fronte a lui presso il tavolo, il senatore Michele Soranzo. Gravi circostanze formano oggetto dei loro discorsi e Orseolo cerca dissimulare all’altro la propria preoccu pazione. Voce di popolo accusa suo figlio Marino quale autore del ratto della giovane Cecilia Fusinèr, avvenuto due notti prima, mentre si recava in gondola ad una festa, ed ora Soranzo avverte Orseolo che Rinieri Fu sinèr, il fratello maggiore di Cecilia, ha firmato in tal senso una denuncia contro Marino e tre suoi complici sconosciuti. E non basta, chè una seconda denuncia è stata dallo stesso Rinieri presentata contro Orseolo in persona, accusandolo, quale Inquisitore di Stato e Capo dei Dieci, di avere ad arte ostacolate le ricerche dei rei. ATTO PRIMO 23 — Se pur non sia, — aggiunge Soranzo, ripetendo parole di Rinieri, che di essi — e di quell’uri che più vi preme — non abbiate voi stesso favorito la fuga... — Accusa stolta, — risponde indignato Orseolo, — stolta e vile! Quello stesso Rinieri Fusinèr, figlio di un volgare tagliaboschi salito in fortuna e in onori, fino a diventar patrizio e a sedere in Consiglio, e tuttavia aspro censore dei nobili, al fine di guadagnarsi il favore del popolo, quello stesso Rinieri Fusinèr non vuole che vendicarsi della risposta avuta quando osò chiedere ad Orseolo la mano di Contarina sua figlia, quasi fosse sua pari. Ma che potrà mai egli contro Orseolo? Rispettoso ma fermo, Soranzo ammonisce l’amico che, s’egli ha dei diritti, ha pure, come Capo dei Dieci, dei doveri. Fino a questo punto, il dialogo non presenta par ticolari rilievi espressivi, procedendo colla stessa inci siva secchezza con cui Orseolo ribatte agli avvertimenti e alle pacate considerazioni di Soranzo. Il tema di Or seolo circola variamente frammentato, e sempre nelle regioni gravi dell’orchestra. Ad esso si unisce un nuovo elemento dalla figurazione breve e tortuosa, che accom pagna ogni allusione all’accusa contro Orseolo ed a quella che egli crede una calunniosa vendetta del Fusinèr. Es. 3 (pag. 4) Ma alFaccenno che fa Soranzo a Marino, che tutti sanno caro al padre « come il lume degli occhi », la 24 ORSEOLO voce di Orseolo è per tradire una improvvisa tenerezza. — Ancor di più! — risponde semplicemente, ma con contenuta intensità. Un silenzio interrompe il dialogo, per dar luogo ad una larga frase delle viole e dei violoncelli all’unisono, densa di espressività. Es. 4 (pag. 10) Riprende Orseolo, e, come la frase continua evo cando il figlio, unica speranza degli Orseolo, la sua voce assume accenti di trepido e insieme orgoglioso affetto. Egli, il padre, sa di sue virtù, ed anche degli errori. « Ma sono errori, non azioni infami... » Egli non può aver commesso l’odiosa gesta di cui lo si incolpa. Son due giorni e una notte ch’io veglio e attendo. E ancora attenderò, sin che il mio figlio torni per udire da lui, da la sua bocca, che Vaccusa è calunnia. Alla viltà (Tun uomo del mio sangue e del mio nome io no, non posso credere. La sicurezza dell’innocenza del figlio vibra nelle sue parole con una più chiara larghezza di canto e il tema di Marino, dianzi esposto nella sua nuda linearità, ora si scompone nei due incisi iniziali Es. 5 a) * Lf-f b) U=J 25 ATTO PRIMO suddivisi e sviluppati indipendentemente fra viole e vio lini primi, formando con altra parte centrale un corposo tessuto polifonico nella chiara tonalità di fa maggiore, quasi a rendere il moto di affetti che il pensiero del figlio suscita nell’animo di Orseolo (pag. 11). Un altro, piuttosto, e amaro dubbio è sorto nel vec chio patrizio... Cessano le figurazioni del tema di Ma rino e il tema di Venezia riappare come un ambiguo ricordo (pag. 13). E’ il presentimento di nuovi tempi per la Repubblica, che costeranno il tramonto della sua gloria e del vecchio mondo aristocratico. Che altro voglion dire le accuse e mormorazioni contro di lui se non che a Venezia « la nobiltà del sangue è ormai spre giata? » Ma se tale è il destino, egli è pronto, senza paura e senz’odio. Il tema di Venezia si raddolcisce in armo niose quinte dei legni e la voce del vecchio magna nimo si leva con maestosa serenità. 17,- A /„ „ „ 1 Es. (pag. 13). Sostenuto e grave maestoso (non p “g ^ /') « Mandi pure la Signoria suoi messi ad arrestarlo... » Ma Soranzo ferma con un’altera protesta il discorso dell’amico. 11 Capo dei Dieci è sacro, e ne vada piut- 26 ORSEOLO tosto della vita non di uno, ma di dieci suoi figli, se li avesse, prima che un tale oltraggio sia permesso. Irrita Orseolo quel troppo facile ragionare del l'amico senatore, che parla come se avesse in casa figli bastardi... Ma subito si ricompone e si scusa con Soranzo, colpito da quelle violenti parole. Ritorna in lui, con la calma, il senso della sua responsabilità di altis simo magistrato della Repubblica. L’orchestra riaccenna il tema di Orseolo, il tono del colloquio si rifa freddo, quasi solenne. Sa il suo dovere Orseolo, e saprà compierlo, ove il figlio risulti veramente colpevole. Ma non può accettare il consiglio di Soranzo di non intervenire, la sera, alla festa che si darà in Ca’ Grimani. Vi andrà con sua figlia, apertamente, sfidando gli assurdi sospetti. Il colloquio ha termine e Soranzo si congeda. Ancora ritorna il tema di Venezia, su pesanti lunghi accordi degli archi gravi, sostenuti dai tre fagotti e dalla tuba, mentre figurazioni cromatiche discendenti del tema di Orseolo si perdono nei bassi. Es. 7 (pag. 18-19). 27 ATTO PRIMO Un la bemolle ribattuto dai corni in sordina e pun tato superiormente dall'oboe, allorché l'accordo di sol maggiore si cambia in quello della dominante vuoto di terza, — sempre sull immobile pedale di tonica, — in crina l’apparente calma, lasciando l’atmosfera sospesa finché, uscito Soranzo, dallo stesso la bemolle si diparte, come liberato, il tema di Marino ripreso con intensità dagli archi. Ma il tema di Venezia s’incide con insistenza nei legni e agitate lineature cromatiche dello stesso tema di Orseolo vengono ad insinuarsi sotto la calda frase degli archi che guadagna in altezza con crescente conci tazione: insieme tematico contrastante, in cui si riflette il corso tumultuoso dei pensieri ai quali Orseolo ora si abbandona (pag. 19-20). Ne è distolto ad un tratto da un canto che s’ode venire giù dal canale. Un sommesso tremolìo di bassi, — sullo stesso fa sul quale la frase degli archi, giunta al grado di maggiore concitazione, è ridiscesa in sestine precipitate di semicrome, dando ora gli ultimi fremiti nel ricorrere interrotto di un frammento del tema (in ciso b), vedi es. 7), — fa da sfondo opaco alla voce lon tana, che si leva spiegata a intonare una giustinianea (1) dalle delicate immagini amorose. La melodia ha le no stalgiche inflessioni di una nenia marinaresca, in un la minore con seconda minore (si bemolle) caratteristico dei vecchi modi popolari. (1) nome Ballata dell’autore di argomento Leonardo amoroso, Giustiniani, ad alte cariche della Repubblica ^1388-1466). arieggiatile patrizio, le poeta forme e della musicista lirica popolare, veneziano, dal assurto OBSEOLO 28 Es. 8 (pag. 20) tuoi. gli oc • • chi tuoi me---------------- fa lari - - gui - - re... Ma alle parole « Anzoletta vaga e bella », quasi il canto ormai vincesse su ogni altro pensiero, l’inciso del tema di Marino si dissolve nel cullante accompagna mento che l’orchestra delinea a ritmo di barcarola, nel l’indecisione suggestiva di un la minore-la maggiore. Orseolo chiede al servo che rientra dall’aver accom pagnato Soranzo chi sia l’ignoto cantore. E’ il nuovo gondoliere del traghetto, messo a sostituire il vecchio Zuane cui era venuto male la mattina. « La vecchiaia. Eccellenza!...» Il piccolo episodio sembra avere un si gnificato per i presentimenti di Orseolo... Rattristato, dà al servo alcune monete perchè siano portate l’indomani al vecchio gondoliere, ordinando che sia intanto avver tita Contarina di tenersi pronta fra un’ora. Riprende il canto più lontano. Ardenti sono ora le parole, che cercano melismi inquieti, avvolti da lente spire cromatiche dell’orchestra (pag. 23-24). Un piccolo uscio segreto si è nel frattempo aperto, CONTAR!NA (ATTO I ) RINIERI ( ATTOII ATTO PRIMO 31 lasciando entrare un uomo mascherato e ammantellato che con fare circospetto va ad assicurarsi che tutti gli altri usci sian chiusi. Il rumore riscuote Orseolo, che si volge e, come l’uomo si toglie maschera e mantello, ri conosce in lui Marino. Un accordo lacerante di tutta l’orchestra, come uno schianto, e Orseolo indietreggia, invaso da un tremito, lasciandosi cadere sul seggiolone, mentre Marino gli si inginocchia davanti, chinando il capo in muta attesa. In orchestra affiora da un cupo tremolo di bassi il tema di Marino, che stenta a delinearsi, nella ripeti zione esitante del suo inciso iniziale (inciso a) vedi es. 7) ad ottave delle viole e dei legni gravi, cui rispondono all’acuto i violini, rappresi in tre freddi, enigmatici accordi minori descriventi il doppio tritono la-mi be molle-la. Es. 9 (pag. 25) Non molto più mosso.ma più affannoso E’ l’impazienza ansiosa di Orseolo, che forse ha già intuito la verità e già paventa l’orrore della temuta ri sposta al tremendo interrogativo: « E’ vero? E’ vero?... » Il tema di Marino avanza a poco a poco, vieppiù concitato, ma sempre gli sovrastano e l’inseguono i tre accordi ambigui, man mano che incalza Orseolo nella sua imperiosa necessità di una risposta che fughi il dubbio angoscioso (pag. 25 a 27). 32 ORSEOLO Ma Marino tarda a rispondere. Supplica il padre di calmarsi, forse, aggiunge, è quella l’ultima volta che gli parla... Ancora il tema di Marino si restringe nell’iterazione a ritmo interrotto di un frammento (inciso b) dell’es. 7) (pag. 27-28) e, quando finalmente Orseolo ha compreso e trattiene il figlio che vorrebbe rialzarsi, il movimento in orchestra sembra placarsi e lo stesso tema, ricomposto nei suoi due incisi caratteristici, si ripresenta, riempiendo i silenzi fra l una e l’altra domanda del padre : « Ov’è quella fanciulla? Dove l’hai tu nascosta? Morta? Uc cisa? Con le tue mani, tu Marino? » (pag. 28-29). — No, — scatta il figlio. Perchè non lo credeste, io non fuggii coi miei compagni. E se costei è morta non fu per mano nostra. E morì pura. Ai motivi del tema di Marino è succeduto ora il tema di Venezia a sottolineare il dialogo tra padre e figlio. La rivelazione della colpa di questi è ormai certo segno dei dolorosi presentimenti di Orseolo. E quando Marino tenta giustificarsi adducendo che non la fan ciulla dei Fusinèr si voleva rapire, ma si voleva sol tanto dare una lezione ai suoi che ormai da troppo tempo, impunemente, van diffamando, in Piazza e nel Consiglio, i nomi più onorandi di Venezia, accusando i patrizi e le lor donne di colpe e vizi infami... Orseolo esclama con amarezza: — Hanno ragione! 33 ATTO PRIMO Marino racconta. I Fusinèr, sprezzando la condanna che il Senato aveva inflitto ai vetrai di Murano, ave vano ostentato di recarsi ad una festa indetta da quelle maestranze. Ed egli e i suoi compagni risolsero di pu nire l’offesa. In orchestra un greve altalenare di bassi e un mo tivo ondulante di terzine sembrano evocare il grigio pae saggio lagunare che ha visto la gesta delittuosa (pag. 33). Si osservi come questo motivo, introdotto mentre Marino rac conta, e ripresentato d’ora innanzi come elemento tematico allu sivo al delitto, — sia che ad esso si riferiscano le parole dei per sonaggi, sia che esso domini come un pauroso fantasma l’atmo sfera in cui essi si agitano (ciò che vedremo nelle successive scene, quando Marino si sarà allontanato e il pensiero della colpa di lui perseguiterà Orseolo senza più pace), — non sia altro che una trasformazione puramente ritmica del tema di Orseolo. Es. 10 Nella sua primitiva figurazione, tal quale ci si presenta dalle prime battute dell’opera fino a questo punto il tema di Or seolo, fondato sulla formula ritmica , è l’immagine musicale del vecchio mondo patrizio, statico, immobile, inacces sibile, personificato nella figura del protagonista. Ma come il dramma procede, e Orseolo presente negli avvenimenti l’azione di oscure forze disgregatrici che saranno fatali alla Repubblica, già impegnata in lunghe sanguinose guerre, e all’ormai logoro regime ORSEOLO 34 aristocratico, lo stesso tema subirà volta per volta modificazioni ora suggerite da un vago spunto descrittivo (come nel racconto di Marino), ora da un particolare stato d’animo o da una partico lare situazione del dramma (come nelle scene seguenti). Non dunque nuovi elementi tematici inerenti a nuovi elementi drammatici, ma atteggiamenti diversi dello stesso tema determinati dalla reazione, per così dire, che gli avvenimenti provocano nell’animo del protagonista. La musica nel dramma pizzettiano non fa capo ai motivi con duttori nel senso e nella funzione che essi hanno, per es., in quello wagneriano, dove ciascuna ha un riferimento preciso, fisso e im mutabile, a questo o a quell’oggetto drammatico o anche soltanto scenico, ma costituisce una materia pieghevole e multiforme che viene plasmata dallo stesso destino che imprime una volontà, una passione, un moto ai personaggi ed alle cose del dramma. Valen dosi di una tematica dalle infinite risorse di sviluppi, essa non conduce, ma procede in rigorosa, inscindibile unità col dramma nel suo progressivo divenire. Viene realizzata così per la musica quella « possibilità di rive lare continuamente la misteriosa profondità delle anime, oltre i limiti che la parola non può e non potrà mai varcare », da Pizzetti vagheggiata fin dai primi anni dei suoi tentativi dramma tici (1). Non per altro quindi che per pura comodità di esposizione continueremo a dare un nome ai vari temi e, ove occorra, alle nuove figurazioni degli stessi quando si riferiscano a nuovi ele menti del dramma. A un miglio dalla città la gondola fu abbordata. Ma invece dei tre Fusinèr non vi fu trovata che Cecilia, la sorella, sola. Ubriachi com’erano, « ma più di sdegno e d’ira che di vino », la giovane fu rapita. All’improv viso, quando s’era giunti già presso all’Arsenale, con un balzo essa si buttò in acqua, mentre una pattuglia pas sava nel buio della notte... (1) Vedi lo scritto di I. P. su «Ariane e Barbebleu » di Dukas (Rivista Musicale Italiana, Torino, 1907). ATTO PRIMO 35 Estenuato, Marino s’interrompe. Nulla più sa da quel momento. Ed ora egli è un infelice che ha bisogno d’aiuto, di aiuto e di danaro, per fuggire. E da Orseolo egli l'attende, da lui che è Capo dei Dieci e dovrebbe punirlo, ma che è pur suo padre. Riprendono viole e violoncelli, modificato negl in tervalli iniziali ma intatto nella struttura, il tema di Ma rino, in tono doloroso e implorante (pag. 36): altri stru menti si uniscono e danno a questo episodio un commosso respiro affettuoso (pag. 37). Ma il ritorno del tema di Ve nezia esprime con accento inesorabile la severità della legge che impedisce ad Orseolo il gesto atteso da Ma rino. Questi ha un moto di ribellione, alle parole del padre, cui risponde ammonendo : Prima legge è salvare la potenza dello Stato. E lo Stato siamo noi, il patriziato che lo fece grande. Ora sono le parole di Marino che richiamano il tema di Orseolo, quasi a suscitare la voce dell’antica, orgogliosa potenza patrizia, e ancora il tema di Venezia, vieppiù insistente nei corni, quando egli accenna al padre il dilemma : O mantenere intatti i privilegi conquistati dai nostri, ed impedire, con ogni mezzo, che ci sian contesi, o noi favoriremo le congiure, contro di noi e contro la Repubblica, d’ogni gente più vile... Ma Orseolo è inflessibile. La legge esige che egli, Inquisitore di Stato e Capo del Consiglio dei Dieci, dia ORSEOLO 36 corso alla giustizia, e lo stesso tema che pur ha dato alle parole di Marino il senso della pericolosa realtà che incombe sui nobili e sull’esistenza stessa della Re pubblica, ora si ferma ostinato nei bassi (pag. 41) e dà un crudo rilievo alla perentoria risposta di Orseolo. Qui non vi sono Orseolo e suo figlio! Qui ve soltanto un criminale, reo d’una colpa infamante, e contro a lui un uomo onesto, un uomo senza colpe, che diritto e dovere ha di colpirlo. — E dunque denunziatemi, — risponde Marino. — Ma giuro che vivo, no, nessuno potrà prendermi. Una breve interruzione. Si bussa alla porta. E’ Contarina. Orseolo le dice di attendere ancora, a più tardi. Il dialogo fra padre e figlio riprende. Cerca ora Marino di commuovere il padre. Come potrà egli pensar suo figlio, l’unico suo figlio, messo in catene, alla tortura, sospeso per i polsi, là nella camera nera... « Neppur con una maschera di ferro! », grida Orseolo, e un ultimo ritorno del tema, a doppie terze per moto contrario dei legni, sembra inibire al figlio altre parole ed al padre ogni volontà di ascoltarlo (pa gina 44). Ad un commosso addio di Marino, Orseolo lo ferma, sussultando. Prende una borsa di danaro che è sul ta volo e gliela porge, senza guardarlo in viso. Si riode, ATTO PRIMO 37. lontana, la voce del gondoliere, accompagnata da ottave tremolate digradanti dei violini, continuate nel grave dei bassi. Il canto suscita una improvvisa dolcezza di nostalgie nel cuore del giovane, che mormora il nome della sua Venezia quasi come un segreto doloroso addio. « Non si torna più indietro », esclama Orseolo, richia mato alla realtà. Ma la malinconia dell’ora scioglie anche il vecchio padre dall’amarezza troppo lungamente contenuta. Ne è piena la sua dolente invocazione al Si gnore, in cui il tema di lui appena riaccennato cede alla figurazione derivata rievocante il delitto, sulla quale viene ad intessersi l’intera pagina densa di tristezza de solata ( pag. 46-48). E sconsolate sono le ultime parole : « Non ho più forza, o Dio, son troppo vecchio! » Vieppiù commosso, Marino invoca affettuoso per dono dal padre, cui sa di aver dato assai dolori, « anche prima di questo così grande... » Non si volge Orseolo, e la separazione avviene senza ch'egli pronunzi l’attesa parola. Un’ultima preghiera, un bacio a Contarina, e il giovane scompare. Ancora rimane solo Orseolo, e come la prima volta (vedi es. 7) ritornano i gravi accordi degli archi e legni e il tema di Venezia, cui s’aggiunge ora quello di Ma rino, che s’allontana impallidendo in una ultima eco (pag. 49-50). Riscuotendosi, tenta Orseolo con sforzo di rialzarsi, ma ricade, tende il braccio verso il campanello, chiama. Contarina, la dolce figliuola, è di lì a poco con lui, accompagnata dalla sua balia levantina. ORSEOLO 38 Un breve agile tema accennato dal clarinetto pre^ cede l’apparizione della fanciulla Es. 11 (pag. 50) Armi mosso e leggero e ancora, dopo un breve ritorno del « grave », ne accom pagna l’entrata, salendo di tonalità ed aggiungendovisi l’arpa: le semiminime della seconda battuta sviluppate in crome saltellanti e le garrule ripetizioni dell’inciso a termine, sul pedale di re bemolle trillato dai violoncelli e tenuto dal corno, danno al piccolo episodio un fresco sapore di ilare leggerezza. In pochi tocchi è disegnata la fìguretta gentile dell’ignara fanciulla. Contarina crede di trovare Marino nella stanza col padre, sembrandole averne udita la voce mentre era di fuori. Ma Orseolo nega, ed evasivamente risponde alle sue domande, mostrandosi ella preoccupata di non veder rincasare da tre giorni il fratello. Gravi d’incubo sono i pensieri e le parole di Or seolo. Per tutta la scena domina l’elemento tematico derivato dal tema di Orseolo che accompagna il rac conto di Marino e le successive allusioni al delitto. Lo disegnano ripetutamente i bassi, ora in cupi striscianti movimenti di terzine Es. 12 (pag. 51-53) ma pesante ATTO PRIMO 39 ora, — dopo un episodio digressivo suscitato dai lamen tosi presagi della balia levantina, che ha sentito gridare per tre volte la civetta, segno di sventura, e non vuole che il padre esca e conduca Contarina al hallo, — Es. 13 (pag. 53) in un affannoso incalzare di più rapide figurazioni, Es. 14 (pag. 56) allorché giungono dall'esterno voci concitate di gente che sembra stia inseguendo qualcuno: « Dalli, dalli, piglialo! » Eccitato, Orseolo ordina al servo di andare a vedere di che si tratti. Le progressioni affannose del tema del delitto continuano incalzanti e ad un certo punto (pa gina 59) sfociano concitatissime in un pedale acuto di la minore, sotto cui il tema di Orseolo si ripresenta vigo roso nei bassi, con posposizione dell’ictus letico iniziale e suddiviso fra i tempi forti del « ritmo di due battute » sul quale si svolge l’intero episodio a guisa di dramma tico « scherzo » di sinfonia. Così ripresentato, il tema dà luogo a un inseguirsi di progressioni analoghe a quelle dell'introduzione (vedi pag. 2). / ORSEOLO 40 Es. 15 (pag. 59) Contarina atterrita si stringe al padre, che cerca do minarla, dominandosi. Tu tremi? Hai paura anche tu, come la balia? Riprende incessante il tema del delitto nel grave come un cupo rombare I pag. 60). « Non è paura, no », risponde la fanciulla, Ma quelle grida, la vostra voce, il vostro turbamento... Che accade intorno a noi, che dunque accade? Parlate... Una parola... — Quale? — chiede Orseolo più a sè stesso che ad altri, smarrito, mentre l’ossessionante insistenza del tema nei bassi sembra placarsi, lontanando, — quale?... ATTO PRIMO 41 E come seguendo pensieri che la fanciulla non in tende, la sua risposta è un oscuro interrogare (pag. 62). Udisti mai che una parola possa scoperchiare una tomba? 0 trarre a salvamento uno che sia caduto dentro a un pozzo? O soltanto, soltanto riaprire la porta che uno schiuse di sua mano? Non le parole, solo i fatti contano! Se ne segua l’intonazione musicale, frase per frase. La prima, sulla quale s’imposta l’intero brano, è la più estesa, e sembra emergere, progredendo lenta e sinuosa dalle note basse della tessitura verso le più alte, dallo stesso fondo dell’animo di Orseolo, dove egli ormai cela il penoso segreto. Dal si basso la frase percorre due identici kola ri prodotti simmetricamente a distanza di quarta ascen dente, ciascuno costituito di tre semitoni cromatici e una quarta, in levare quelli, in battere questa, ossia secon do gli accenti principali del verso. Guadagnata attraverso quei due gradi faticosi la regione del si superiore, la frase attinge il re acuto e vi si sofferma, per ridiscen dere ad intervalli digradanti di terza e ritornare verso il punto di partenza, appoggiando l’interrogazione sul re diesis basso che si flette sul si. La tonalità è indecisa fra il si dominante di mi minore su cui è impostato il canto e il si minore del disegno tematico di Marino che serpeggia al basso. 42 ORSEOLO Es. 16 (pag. 62-63) Sostenuto U • di - sti inai che u - ita pa ro • • sa geo • per « chia • - re u • na torn • la pos • ba? Non v’è salita nella seconda frase, essendo questa, nel suo significato alterno, una continuazione della prima, epperò più brevemente dal si superiore, ripiegato verso il fa diesis, la melodia risale il cammino per portarsi questa volta con maggior forza sul re diesis. Analogo ridiscendere per terze verso il re diesis-si basso, dove s’appoggia ancora l’interrogazione. Es. 17 (pag. 63) 0 trar • re a sai - va - men - to u- • no che sia ca - du • to den ♦ tre a un poi • zo? 11 tema del delitto sottolinea sia il primo, come abbiamo visto, che il secondo interrogativo, ma questa seconda volta ben chiaramente in sol diesis minore. Nella terza frase, in questa stessa tonalità, esso riappare anche superiormente in ottave dei flauti ed oboi nella sua prima figurazione di terzine di semiminime, accompagnando l’ultimo interrogativo di Orseolo, che percorre le stesse note del tema in ritmo più tardo (semiminime binarie) per portarsi al mi acuto (ossia ancora un semitono di più delle due volte precedenti), senza più ritornare verso il basso. Il sol diesis minore, frattanto, è disceso attra verso un sol naturale (sesto grado abbassato) sul fa diesis ATTO PRIMO 43 dominante di si maggiore, e, come l’interrogazione ha già in sè l’affermazione (lo dirà subito dopo Orseolo stesso: « Non le parole, solo i fatti contano! ») il canto cadenza ampiamente nella raggiunta tonalità di si mag giore, e precisamente sul re diesis terza dell’accordo. Es. 18 (pag. 63) La più diffusa analisi che abbiamo fatta di questo brano, prezioso pur nella sua brevità ed analogo ad altri numerosi dis seminati nelle partiture teatrali pizzettiane, ove appena lo svol gersi del dramma si accentri nello stato d’animo di un personaggio, gioverà ad illuminare sull’essenza del linguaggio vocale realiz zato da Pizzetti. Esso è altrettanto lontano dal mero accoppiamento di parola e musica, — alla cui efficacia la prima di solito contri buisce o in via secondaria, o non contribuisce affatto o, nel peg giore e non meno frequente dei casi, vi contribuisce negativa mente, — quanto da un puro e semplice arricchimento del potere sensibile della parola, ottenuto col potenziare al massimo grado quegli elementi sonori e ritmici che essa possiede in comune con la musica ma che da questa la distinguono in forza di certi limiti. 44 ORSEOLO Arricchimento che, ave fosse la sola finalità da raggiungere, coste rebbe alla musica un inutile sacrificio della sua individualità, do vendo essa condizionarsi strettamente al ritmo e al suono della parola, dando luogo a quella che potrebbe chiamarsi una « musica verbale », senza alcun positivo costrutto estetico. E come nel primo caso la funzione della parola rimane subordinata alla musica, men tre nel secondo avverrebbe l’inverso, il problema di un linguag gio proprio del dramma, rispondente a quegli ideali di verità espressiva lungamente perseguiti dal nostro autore, rimarrebbe senza soluzione. Quella cercata ed attuata da Pizzetti si rifa ad un principio ben più profondo quanto semplice: essa va oltre «i limiti che la parola non può e non potrà mai varcare » per tra durne in musica la stessa emozione suscitatrice, seguendone gli andamenti mutevoli e quasi oggettivandoli nella lineatura melo dica, trasfigurando quella che sembrerebbe a tutta prima una pre cisazione musicale soltanto ingegnosa ed affatto esteriore degli elementi fisici della parola in un parlare commosso e vibrante, non più soltanto parola nè soltanto musica nè musica verbale, ma vocalità, canto. Chi volesse ricercarne i precedenti li ritroverebbe, più che nella particolare storia del cosiddetto « dramma musicale », ovvero nel W ort-ton-drama dei Wagner, nel recitativo espressivo dei GluckCalzahigi e nel recitar cantando dei fiorentini della Camerata, in quelle più remote regioni della storia della musica dove la voca lità costituì forma unica ed esclusiva di linguaggio, dal canto gregoriano ai mottettisti e madrigalisti del Cinquecento. Presso i quali ultimi in ispecial modo l’espressione musicale scaturiva direttamente dall’interpretazione poetica del testo, episodio per episodio, senza l’ostacolo di prestabiliti schemi formali, ma solo attraverso l’elementare espediente costruttivo dell’imitazione — sfruttata con inesauribile fantasia nelle più estreme e complesse risorse, — il che permetteva non solo di raggiungere una rigo rosa unità logica, ma possibilità e varietà infinite di forme volta a volta determinate dalla libera intuizione musicale del significato e della forma poetica. A voler proseguire l’indagine ritornando verso tempi più re centi, ritroveremo quel principio profondamente intuito da uno dei classici del melodramma italiano dell’Ottocento, Vincenzo Bel lini. Laddove Verdi, che raggiunse per altre vie e con quella po- ATTO PRIMO 45 tenza che tutti sappiamo la verità drammatica, nel chiedere ai suoi librettisti, più che dramma, « situazioni », esigeva altresì non poesia, ma « parole sceniche » che ubbidissero ad un premeditato accento drammatico, è noto come Bellini usasse ripetere: «Da temi della bella poesia ed io vi darò della bella musica » (ciò che non impedì peraltro al suo genio di creare divine musiche con della mediocre poesia, come nel caso dei Puritani). Ma ben più interessante ed istruttivo riuscirà al lettore il seguente brano di una lettera di Bellini, nella quale viene da lui stesso descritto il processo d’ispirazione delle sue immortali melodie, lettera che potrebbe dirsi posta a fondamento ideale del credo pizzettiano: « Compiuto il lavoro, studio attentamente il carattere dei perso« naggi, le passioni che li predominano e i sentimenti che esprimono. « Invaso dagli affetti di ciascun di loro, imagino esser divenuto « quel desso che parla, e mi sforzo di sentire e di esprimere effi« cacemente alla stessa guisa. Conoscendo che la musica risulta da « varietà di suoni, e che le passioni degli uomini si appalesano « con tuoni diversamente modificati, dall’incessante osservazione « di essi ho ricavato la favella del sentimento per l’arte mia. Chiù« so quindi nella mia stanza, comincio a declamare la parte del « personaggio del dramma con tutto il calore della passione, e os« servo intanto le inflessioni della mia voce, l’affrettamento e il « languore della pronuncia in quella circostanza, l’accento insom« ma ed il tuono dell’espressione, che dà la natura all’uomo in « balìa delle passioni, e vi trovo i motivi ed i tempi musicali adatti « a dimostrarle e trasfonderle in altrui per mezzo dell’armonia... » (1). Dalla vaghezza melismatica del canto gregoriano alla concen trata espressività ed alla logica costruttiva del canto polivoco dei cinquecentisti alla purissima vocalità di Bellini: questa a grandi tratti, nel solco della più genuina ed esclusiva italianità e nel senso più ampio della nostra tradizione, l’esperienza storica che Pizzetti ha rivissuto nella sua sensibilità di artista ed ha ricreato nella voce dei suoi personaggi drammatici. Non comprende la fanciulla il significato di quelle oscure parole. Ma non cura Orseolo che essa comprenda. (1) Lettera riportata da Pizzetti nel suo saggio su Bellini (negli Intermezzi critici, ed. Vallecchi, Firenze, 1920), contenuta nella Vita di Bellini di F. Cicconetti (Prato, 1859). ORSEOLO 46 E’ lei sola che conta per lui ormai, il suo affetto, la sua devozione. Non gli rimane altro. E avvicina a sè la figliuola, con parole di benedizione. Si riode il tumulto di fuori e l’angoscia riassale Orseolo. 11 finalmente chiede tema del delitto ritorna ancora insistente, ma si disperde lontano. « Chi, chi han preso? », con dissimulata impazienza Orseolo al servo che è rientrato. Solo un banale incidente di strada : « Han preso un ladro, un borsaiolo, forse un levantino ». lungo L’angosciosa atmosfera d’attesa, già placatasi accordo di fa maggiore dei tromboni, si in un ricom pone in una calma di bonaccia, appena increspata da ultimi richiami, dei violoncelli e viole imitantisi, al tema di Orseolo, che ha ritrovata la sua mentre tutti si avviano e la scena si chiude. Ne precede il riaprirsi sul pensierosa gravità, PRIMO INTERMEZZO un festoso squillare di ritmi carnevaleschi. Es. 19 (pag. 71) Ma Venezia è in guerra. Sulla Riva degli Schiavoni, a notte stellata, donne e vecchi del popolo sono in attesa dei soldati che passeranno per recarsi all’Arsenale e di là imbarcarsi per il Levante. E tuttavia Venezia è spen sierata. Gruppi di maschere irrompono l’interno giunge un canto di saluto al Carnevale. dal fondo, dal O R S E O L O - INTERMEZZO - ATTO PRIMO 49 Es. 20 (pag. 72-73) Vivace LE MASCHEBE Verrà poi la contrizione: ora tregua a pianti e lai. Ma è un'allegria che non riesce a vincere la dif fusa gravezza che è nell’aria. Meglio le si addice il rullo dei tamburi che annunziano i soldati, e il loro canto di guerra, che s’ode avvicinarsi. Es. 21 (pag. 75-76) (Movimento di Marcia) I SOLDATI e chi ne li _____ chi voi tior ae dar___ san - gue. dar san • gue no voi---------------------- xe_______ fio • li in - de • faz - za a * van • ti:______________ __ chi dar---------- «an - gue; ch; * gn>-----—_ ORSEOLO 50 La tanti folla, canzoni che è di baldoria, rimasta finora si indifferente scuote alle invi a quei commossa ritmi ed a quel canto pesantemente scandito, con un che di rustico eroi, e fiero di marziale, rimprovero in agli cui inetti. è orgoglio Chi « di dar semplici sangue no voi xe fioli indegni ». Ma la gaia canzone ha il soprav vento. Entra una mascherata, raffigurazione del Carne vale e delle sue maschere che parvenza oppur sostanza dicon tutte verità. E le quali tristi presentazioni, beffardo, aperto verità! fra le scherno Il capo della sghignazzate alle false mascherata dei inizia compagni. apparenze di E’ una società insulsa e corrotta. Sotto il manto del Dottore, — Ehm, ehm, ehm, ehm, — c’è uno Zanni sciocco e matto, — Ah, ah, ah, ah! — Dove vedi una gran dama, — Ih, ih, ih, ih, — cè una Gnaga col suo gatto. — Miao, miao, miao, miao! — Ma la folla rimane muta, nè sembra l’ammonimento, di una spensieratezza falsa, sforzata: Piangerete un altro giorno. Oggi è giorno di godere. che ascolti 51 ATTO PRIJIO Il fine contrasto a se propria, sfondo è sferzante, stessa, pur la essendo ne illumina di corale alla vicenda pittura isolata scorcio gli dei d’ambiente, dall’azione avvenimenti protagonisti. non vera e Più fa che e da in termezzo, è la didascalia animata di un dramma d’eventi, più ancora che d’uomini. Riecheggia Si fanno il tacere tema le di Venezia maschere squillato fastidiose. dalle trombe. Arrivano i sol dati. Cantano ora di teste di turchi da tagliare e da por tare a casa a rallegrar le feste, e la giovanile loro bal danza, e il suono dei tamburi e le trombe dànno alla scena una nota di tonificante vigore. « Accoppateli tutti, i Turchi cani, e poi tornate. Viva la Repubblica! smo. Le una, quella », maschere che ad adocchiare dei soldati, il fa sono una si dapprima scomparse, la ragazza innamorato. audace, rimprovero, vecchio guidato bella suo Ne ha un aveva passati, tante grida tremante verso Marco. mascherata, che E S. sta quando d’entusia è Solo rimasta salutando uno i son soldati si avvicina, le dice ripulse sdegnose, e perfino uno scot ad invito pressante di andar un più cose galanti. con lui alla festa, a S. Tomà. Quei che han coraggio partorì per la guerra. Giunge lontano, attraverso lentamente l’aria notturna, appoggiato su intanto, lunghi un acuti canto lamen tosi : tristezza d’addio, forse senza ritorno. Un velo bru moso di sembrano violini tremolare ne nei Brividi e ombre nell’aria. raccoglie bassi l’eco le acque in orchestra, nere della dove laguna. ORSEOLO 52 Es. 22 (pag. 94-95) Il giovane mascherato insiste. Verrà il suo turno per andare alla guerra. Per ora vuol godersela. A San Toma si balla... E siete giovane... Occhio non vede, cuor non duole... Andiamo. Già cede e sorride la ragazza, e ad un altro com plimento più degli altri lusinghiero, si allontana col gio vane verso la città. Si richiude la scena e svaniscono gli echi della notte carnevalesca. ATTO PRIMO 53 QUADRO SECONDO DELL’ATTO I. Alla ripresa dell’azione, del palazzo dei sala la Grimani. scena Aria è di in una festa grande anche qui, ma non gravata da presagi o turbamenti. La vita di fuori sembra che non man apprendersi mano posto delle delle canzoni giungono. maschere pagheranno il della Repubblica, delle zate mutevoli forme canti pareti del della sordinato dalle della della di solenni popolo vesti chiasso irridente il dei loro tragico soldati tributo facili laguna, nobile società ricche Del fra guerresche vante nostalgici alle fa degli fuori una eleganze di silenzio che di nel sangue galanterie nulla casa. fra mille volti la aristocratici, composta un di giunge Ai riscontro degli minuetto della folla, Le alla gloria piazza, le tappez compassatezza al dei inquieti animazione molto Orchestra sul palco ■ 4’—4) » di ritmata sostenuto Movimento di Minuetto,molto sostenuto e pomposo ►—S ,.. ._______________— e uni movimento Es. 23 (pag. 97) ♦ incom lontano pomposo. * invitati e e ORSEOLO 54 Ne sono giungono nelle le sale clavicembalo). note interne L’orchestra a tratti (due dagli pifferi, sottolinea a strumenti cornetto, intervalli che archi e con pas lente della saggi di semicrome, uno dei quali Es. 24 (pag. 98) vedremo danza, sviluppato al cui in suono seguito, le s’intrecciano movenze convenevoli, s’improv visano madrigali alle belle dame (pag. 101). Nel sorrìso delle sue donne specchiasi Venezia e più risplende, sì che due bellezze fanno un incanto solo. Al neature tema di orchestrali festa, al derivato dalle minuetto (pag. precedenti 97) sottoli succede un altro tema delle viole e dei legni, di carattere serio e pen soso, che segna l’entrata del senatore Soranzo Es. 25 ( pag. 103) adombrando l’atmosfera festosa della scena, discorsi andranno man mano convergendo sull’argomento mentre i 55 ATTO PRIMO di attualità : il delitto di Marino e le accuse contro suo padre. Soranzo abbia voluto deplora ascoltare con il Grimani suo che consiglio Orseolo di non non interve nire alla festa. Ma Vamor ch’egli porta al suo figliuolo gli fa dimenticar la dignità del grado e i suoi deuteri. Riprende di un con uomo vivacità mascherato, il tema che di guarda festa all’entrata intorno come in cerca di qualcuno e si fa poi presso alle finestre, rima nendo solo spiritosi e taciturno, motteggi mostrando rivoltigli da un di non gruppo ascoltare di dame gli che lo hanno scorto e ridono di quel suo poco allegro atteg giamento. Ma seolo fondo dal e gentiluomini la giovane. prevale l’altro insieme si Un fanno senatore con tema allorché Contarina loro avanza Or 109). Dame (pag. incontro, con appare complimentando studiata indifferenza qualche domanda ad Orseolo su Marino, che non si vede ancora apparire alla festa. Orseolo si domina. « Forse, — dice, -— verrà più tardi ». Il senatore si fa più ardito: N’ho piacere. Talun diceva già fosse fuggito per sottrarsi all’arresto, in conseguenza di quel ratto... — Davvero? — simula Orseolo. — E voi che dite? — aggiunge subito. 56 ORSEOLO — Io? Nulla, — gli risponde l’altro, tra misterioso ed evasivo. — Ascolto e osservo... La conversazione spinte. la Mentre sala zando, da di vecchia ture Contarina ballo, star dama ne a gli spunto sempre le amiche la e Soranzo Una punzecchia risposta. non scher figlia. maligne botta più verso Orseolo, rubino per a finché con avverte non Orseolo, dominarsi, allusioni avvia altro che prende di con si qualcun attento all’indirizzo continua giuoca Orseolo interviene a toglierlo da quella disagevole situazione. Durante ramente ai tutta violini e frammentato, voluta di e ad ha scena dalle Ma ora più generosa che di (vedi altri strumenti, fatto da velate, pietà Il es. si è si di mondo allontanato, risveglia tema tema 25), ripreso in dai primie passato poi sviluppato d’ombre infiorata quel il variamente sfondo di Orseolo tutti. precedente viole convenzionale, insinuazioni l’animo la accennato alla o festosità subdole ipocrisie, fatuo ciarliero. un quei e sentimento cuori, violini, e di invade contrap posto ad una espressiva frase di violini e flauti, dà luogo ad un episodio in fa maggiore che è tutto un canto largo, umano, commosso (pag. 118 a 120). Si incrociano i commenti. Avete visto? Gli occhi egli volgeva intorno come Vuom che teme agguati. Qualcuno vato, nè si compassiona fanno più Orseolo, misteri sulla invecchiato, colpevolezza rino. « Peccato! Era un sì bel ragazzo! E fiero! », rim- incur di Ma 57 ATTO PRIMO piangono le donne. Un gentiluomo, discorrendo con una dama, mostra di non far gran caso a quanto si dice. Quei Fusinèr, infine, sono gente volgare; e ancor può dirsi fortunata la ragazza, se l’ha presa un dei nostri... E il giudizio compiacente si risolve in una galan teria verso la bella compagna. Continuano le musiche di dentro. Ora è la volta di una Sarabanda dalle gravi cadenze che hanno il sapore delle vecchie musiche da liuto. Es. 26 (pag. 121) L’uomo mascherato, intanto, s"è mescolato anch'egli alla folla, ed è entrato nelle sale. Un servo viene a cercar di Contarina. dato dalla C’è un balia, uomo giù dice. La che vuol fanciulla parlarle, rientra, man mostra di contrappone ancora il e Ma comprendere, esce inosservata. Alla tema di serio trombe pare poco evviva lo Sarabanda di l’orchestra prima, insistente l’interrompono. dopo, Si rientrando salutano, cessando ambiguo. annunzia dalle sale appena il Doge, interne. egli, squilli che ap Grida di inchinatosi a ringraziare i presenti, fa cenno di parlare. Ancora le viole enunciano un tema maestoso, tratteggiante la figura del nobile vecchio, dall’incedere ORSEOLO 58 Es. 27 (pag. 129) che con bonarietà sentenziosa e paterna prende congedo dalla festa. Ad ogni età ciò che l’età comporta: ai giovani le danze, ai vecchi il letto... L’alba non è lontana, e il nuovo giorno deve trovarci pronti al nostro ufficio. — Vostra Serenità d’esempio è a tutti... — osserva cortigianescamente il Grimani. Ma il Doge si è accorto dell’uomo mascherato che è ora dinanzi alla porta e si è tolto il mantello, apparendo vestito a lutto. — Chi è costui? — chiede aduggiato che ha tanta malagrazia d’ostentar le gramaglie dove il Doge consente la letizia? Senza rivelarsi, rogando a sua volta: l’uomo risponde con calma, inter ATTO PRIMO 59 Consentirebbe il Doge la letizia se sapesse d’avere intorno a sè, in coloro che a lui sorridon lieti, gli occultatori o i complici d’infamie? Una pacata fierezza spira dal suo parlare, appog giato semplicemente da nude ottave centrali delle trombe e viole (pag. 130-131). Ma nel grave si profilano spezzet tature di una figura tematica dalle torbide volute Es. 28 (pag. 131) che si in cui teste osare, svilupperà in varia guisa durante l’intera lo sconosciuto, dapprima sopraffatto dalle irate e ed poi ingiuriose invitato dal degli Doge astanti, a sorpresi precisare il da scena pro tanto significato delle sue oscure parole, continuerà il suo discorso. La sua voce è chiara e ferma. Il suo appello al « serenis simo Doge » spira giovanile arditezza, giustizia del Magistrato supremo (pag. 133). Serenissimo Doge! Or son due giorni nell’acque di Venezia, una fanciulla venia rapita a forza; rapitore un nobil veneziano. Inutile una prima, una seconda denunzia: Perchè quel reo lo stesso nome porta di tale che a Venezia è ancor potente, i magistrati voglion dargli il tempo di sottrarsi all’arresto con la fuga. filiale fiducia nella ORSEOLO 60 un Riprende più acceso il tumulto delle proteste : « E’ pazzo! Fuori! Sia arrestato! Sia mandato ai pozzi! », si grida. Orseolo, che è riapparso ed ha udito, fa per slanciarsi contro l’accusatore, ma Soranzo lo trattiene a forza, e lo trascina ancora dentro. Intrepido inveisce il giovane E7 la paura che vi fa gridare? Ma venni per dir tutto e parlerò. E porge al Serenissimo un foglio in cui è contenuta una terza denunzia, togliendosi la maschera e gridando il suo nome: Rinieri Fusinèr! Una rivelazione vida, il concisa : tema è figura uno di tematica squillo Rinieri di (già segue in orchestra alla giovinezza fiera ed impa introdotto sotto le parole: « E’ la paura, etc., pag. 138). Es. 29 (pag. 140) Esso accompagnerà le successive parole di lui e il gesto di sfida che egli compirà gettando il foglio ai piedi del Sovrano (pag. 141) per provare se il Doge, raccogliendolo, voglia inchinarsi alV alta maestà della Giustizia; o s’egli, calpestandolo, voglia significar che in questa terra, sopra le leggi e sopra la Giustizia, imperano l’arbitrio e la violenza. ATTO PRIMO 61 Uno scoppio d’indignazione accoglie l’atto e le pa role temerarie. Le grida furiose del coro sono sostenute daH’awicendarsi in orchestra, all’acuto e al grave, del tema di Rinieri, nell’insistenza del suo caratteristico in ciso ritmico allargato, e del tema tortuoso dell’accusa (vedi es. 28), il quale domina altresì il centro della di sposizione sinfonica, a ritmo raddoppiato (pag. 143). La tensione degli animi è al vertice. Il Doge, che pur avrebbe voluto, non ha raccolto la denunzia, impe ditone dai signori, che ora calpestano furibondi il foglio fra grida di morte. Sul tumulto sovrasta imperiosa la voce di Rinieri, che ha tratto la spada per difendersi. « Ormai tagliato è il ponte! Quel che avverrà l’avrete voi voluto! », urla ai nobili, e ancora al Sovrano si ri volge e dice parole gravi di profetico dolore. L’invoca zione al « Serenissimo Doge », sugli stessi intervalli delle due volte precedenti, non è più alla voce, quasi la fede ormai scossa non le consenta più di pronunziarla, ma è agli strumenti (pag. 152), che la riecheggiano sinistramente, come un’oscura allusione all’offuscato prestigio del glorioso appellativo. L’alterno avvicendarsi e sovrap porsi di due nuovi elementi tematici, Es. 30 (pag. 153) a) ^ cui si unisce in appresso il tema di Rinieri, segue l’inci sivo declamato del giovane Fusinèr rivolto al Doge 62 ORSEOLO voi pur vestitevi a gramaglie, che Venezia precipita a rovina per colpa di chi avrebbe a custodirla ed ai signori: L’ombra del reo che, complici voi tutti, ha potuto fuggire — egli, un Orseolo! — quell’ombra vi sovrasta. E’ grande, e pesa: vi soffoca e vi schiaccia. E insieme a quella Vombre di quei che là, nei Mari caldi, per Venezia a lor cara, anche se ingrata, soffrono guerra e morte, mentre qui la nobiltà tradisce leggi e Patria... (pag. da 152 a 156). Ma, come gli avversari gli si fan contro per pren derlo, Rinieri lancia ancora un ultimo grido di ammo nimento e si getta da una finestra nel canale sottostante. Alcuni giovani si dispongono ad inseguirlo per la porta, ma il Doge li ferma : « Non voglio altri delitti. Anche se l’uccideste, rimarrebbe lo squillo della sua voce nel l’aria ». E quasi davvero risuonasse ancora l’eco pun gente di quella voce, tra le staffilate di rapide terzine discendenti, allargantesi nella statica sonorità di un si bemolle minore lungamente tenuto, emerge distinto un mi ribattuto dalla tromba, che sembra squillare da una remota lontananza (pag. 158). Ed ecco (« Già l’alba? Ahimè, che nasce un triste giorno! »), scomparse le ombre di quel si bemolle minore, la tonalità si schiarisce attra verso passaggi a do maggiore e a mi maggiore, riuden dosi il tema di Venezia sulla terza, ora maggiore, ora ATTO PRIMO 63 minore (pag. 159). Su un successivo passaggio a re mi nore, mentre gli archi descrivono una lenta discesa, il Doge rievoca con voce piena di commozione lontani giorni di orgogliosa fierezza per la Patria, quando non contese partigiane dividevano i cittadini, ma era su premo vanto, e « bastava a tutti » potersi proclamare Veneziano. ............... E il nobile non dispregiava il popolo; e il plebeo rispettava ed amava i più potenti... (pgg. 159-160). Riprende anche il tema del Doge. « Tempo già fu! La gloria di Venezia splendeva come un sole », esclama con amarezza, e uno squillare di fanfare pare evocare quella gloria di luce e di vessilli vittoriosi (pag. 161). Tutti hanno ascoltato in silenzio, il Doge fa per uscire e il corteo dei gentiluomini e delle dame si ap presta a seguirlo, quando a un tratto si volge e, domi nando l'intensa emozione, grida ai giovani l’appello della Patria, la Madre di tutti, « che ha bisogno di tutti i suoi figliuoli!... » Il tema del Doge ha vibrato alle so lenni parole del vecchio principe, e quindi svanisce mentre egli varca lentamente la soglia. Un « andante lento e stanco », in cui riappare spia nato in mesta dolcezza il tema che dominava le prime scene della festa (vedi es. 25), accompagna l’uscita del Doge e degli invitati (pag. 162). Si odono dal di fuori i servi e i gondolieri gridare i nomi delle varie casate: Ca’ Gritti, Ca’ Dolfin, Ca’ Gradenigo... Campane vicine e lontane annunziano la prima messa, e poi, più lon tane, trombe che chiamano l’adunata all’Arsenale... 64 ORSEOLO Ritornano dalla sala interna Orseolo e Soranzo. Non deve Orseolo abdicare al suo ufficio, afferma questi, anche a costo di mentire, quando il mentire è necessario per salvare il prestigio dello Stato. Brevi incisi del tema di Orseolo circolano qua e là, e un fugace accenno al motivo che accompagnava, nella prima parte dell’atto, l’entrata di Contarina, all’ordine da lui dato ad un servo di avvertir la figliuola (pag. 166). Si vedrà in Consiglio che cosa convenga fare del Fusinèr, dice Soranzo: « Im piccarlo! », gli risponde Orseolo, eccitato, mentre gli incisi del tema vieppiù insistono. E quando torna il servo a dire che le sale son vuote e Contarina non è stata trovata, il tema si ripresenta nella sua integrità nel basso, trasformato in battute di 6/4, riempiendo le pause di un silenzio angoscioso, tra l’una e l’altra frase balbettata da Orseolo, assalito da un tremendo sospetto : Cercate ancora... Andate... Chiamatela per nome... Contarina... Che suo padre V aspetta... Un pedale superiore di mi, viene ora tremolato ora ribattuto e il tema, sempre partendo dal mi grave, si ripete, aumentando sempre di una nota lo slancio ini ziale, due, quattro, sei volte, salendo sempre di grado e di intensità, fino a raggiungere l’ottava (pag. 169), dove si contrappone al tema che esprimeva i lamentosi pre sagi della balia levantina (vedi es. 13). Dallo stesso pedale di mi concitatissimo scoppia l’orchestra in un fortissimo di intensa drammaticità (pa gina 170 - inciso del tema di Marino, vedi es. 4 e 5 b). Attraverso la finestra viene lanciato nella sala un in volto bianco. Orseolo intuisce la cosa terribile: anche ATTO PRIMO 65 sua figlia, come Cecilia Fusinèr, è stata rapita! Dall’in volto che egli convulsamente raccoglie si svolge il velo che Contarina portava in testa, e che qualcuno ha get tato dentro perchè Orseolo sappia che la vendetta è compiuta. Lo sbigottimento invade i presenti, che vor rebbero accostarsi ad Orseolo, sorreggerlo. Ma l’infeli cissimo vecchio li respinge No, no, nessuno, no... Voglio esser solo... Io solo... E se ne va smarrito, barcollante, il velo stretto al petto. L’orchestra riprende con veemenza il tema di Marino Es. 31 (pag. 172) immagine e grido dolorante di quella straziata paternità. ATTO SECONDO L’azione prosegue nel giorno successivo al rapimento di Contarina, tenuta nascosta in un casolare da pesca tore, sulla spiaggia di un’isoletta della laguna battuta dal vento. La scena è divisa in modo che se ne scorga l’interno : un rustico stanzone nel quale si vedranno i due fratelli di Rinieri, Alvise e Delfino. In un angolo un uscio che dà in un’altra stanza, dove Contarina è rinchiusa. Di fuori, una macchia di alberi hassi, cipressi e pioppi, riparano il casolare dal vento, che li agita e incurva. Poco più lontano è la laguna. A velario ancora chiuso, una introduzione sinfonica « ambienta » la scena, quasi sul dramma alitassero voci di un « dialogo del vento e del mare ». Su brontolìi sordi e scale rapide dei bassi si rilevano due temi del corno inglese, Es. 32 (pag. 173-174) "lì 68 ORSEOLO il primo dei quali ritorna insistente, diffuso e riecheg giato da altre voci, ma sempre uguale, come il gemito assillante del vento, mentre il secondo, ora da solo, ora contrapposto al primo, si presenta ora concitato, ora tempestoso, — nella reiterata sestina dell’inciso ini ziale, — ora con accenti dolcemente supplichevoli Es. 33 (pag. 175) e infine, dopo esplosioni di sonorità discendenti, si ri fugia nei bassi, dando gli ultimi guizzi ai ricorsi del tema di Rinieri ai corni (pag. 176 - vedi es. 29), per svanire completamente allorché la scena si apre e tutto ritorna neH’immobilità dell’inizio, a tratti percorsa da fremiti. ORSEOLO - atto I I . ATTO SECONDO 71 Nello stanzone semibuio, i due Fusinèr discorrono. Sono i due più giovani fratelli di Rinieri, ma Delfino, che è il minore, è ancora quasi un fanciullo e spira dal volto e dalla voce tanta mitezza quanto Alvise si di mostra rude e volitivo fino alla violenza, l’animo preco cemente indurito dalla sua vita di affari e mercanzie. E’ il « giovane mastino » della famiglia. L’astio contro gli Orseolo è per lui ragion di vita : l’avvenuto rapimento di Contarina non è solo, per lui, rappresaglia a quello della sorella Cecilia compiuto da Marino, ma risponde a un più antico, profondo desiderio di vendetta contro tutta la sua gente. Lo infastidiscono le titubanze di Del fino, impaziente per Rinieri che tarda a venire, turbato per l’offesa arrecata a quella fanciulla incolpevole. Che sei forse pentito? Prendi la penna e scrivi un bel lamento in versi. Egli no, non è pentito, Alvise, che ha nel libro della memoria scritto ogni suo debito, ma anche ogni credito. E con gli Orseolo debiti no, ma i crediti son molti. E rievoca tempi passati, dell’infanzia, quando Or seolo non permise che i suoi figli avessero contatto con loro, i Fusinèr, figli di un mercante di legne, e fece alzar un muro che dividesse i giardini delle due case. Più tardi, quando Rinieri salvò Contarina da un incen dio, il nobile suo padre « offerse un cuore d’oro alla Madonna ». ORSEOLO 72 Giusto! Ma neppur si degnò varcar la soglia di casa nostra, sol per dire un « grazie » a chi l’avea salvata. E vendette la villa a un forestiero. Ai temi già noti, s’è venuto ad aggiungere un altro, dalle rozze angolose movenze, Es. 34 (pag. 183) ~!T ; ! * _..V i Î che caratterizza Alvise e la sua gretta mentalità (« Rinieri fa discorsi: tu canzoni; da mercante ch’io sono, io fo negozi », dice a Delfino). La morale d’ogni cosa è per lui una questione di dare e avere. E allo stesso modo che il suo sentimento gli fa veder tutto sotto quell'unico lato, mentre egli parla e s’accende al ricordo di quelle umiliazioni « che gli si son fatte tossico », quel tema seconda il suo parlare assumendo volta a volta figurazioni diverse, pur descrivendo gli stessi intervalli. Es. 35 (pag. 187) Andante mosso ATTO SECONDO 73 Anche Contarina è per lui « preziosa valuta da ba ratto ». Contarina per Cecilia. E così come Cecilia ci sarà resa — intendi? tale e quale — renderò Contarina. In orchestra hanno ripreso i cupi brontolamenti dei bassi e i richiami lamentosi del corno inglese, quasi voci del vento e del mare rumoreggiatiti di fuori. Si bussa alla porta. Entra il pescatore Luca, devoto ai Fusinèr, a recar notizie di Rinieri che è per giungere. Ed ag giunge che Orseolo si dice abbia « sguinzagliato i suoi segugi in cerca della figlia... » C’è forse qualche indizio di Cecilia nel ritrovamento di una giovane, tre notti scorse, che giaceva svenuta in S. Giovanni in Bragora e che fu portata alle Carmelitane. Il tema di cui all’es. 32 b) e 33, raccorciato in un disegno di crome all'entrata del pescatore (pag. 195), dopo aver prestata la stessa figurazione insistente ad un pedale di fa diesis, poi di si, — sui quali lo stesso tema viene presentato in forma ancora più larga e raddolcita negli accordi dei legni (all’accenno del presunto ritro vamento di Cecilia, pag. 198) e poi ancora dall’oboe, dal clarinetto e dal corno, in una lenta discesa ad ottave degli archi (pag. 199-200), — si perde infine nei bassi. Una folata di vento entra dalla porta che qualcuno ha spinto dal di fuori, e che Alvise va ad aprire. Appare Rinieri, che si precipita nell’interno, in preda a visibile agitazione. Una pausa occupata da un accenno intensa mente espressivo degli archi al tema di Rinieri — a) — successivamente disciolto in terzine ribattute con forza sulla nota che contiene l’accento, — b) —; 74 ORSEOLO Es. 36 (pag. 201) Molto'sobI. e pesante pma intensissimo b) una severa domanda: « Dov’è? », e poi ancora: «Che le avete fatto? ». Il tema vieppiù insistente sostiene gli accenti impe riosi del giovane (pag. 203), impazientito dagli indugi tergiversanti di Alvise, a sua volta corrucciato dal fare perentorio di Rinieri. E non solo corruccio, ma stupore suscita in Alvise l’atteggiamento di rimprovero che egli vede in lui, quasi deplorasse invece di approvare l’ope rato dei suoi. lo mi domando se quello che ci parla è veramente nostro fratei Rinieri, e se Rinieri ha in petto un cuore d’uomo, oppur... Ma « Rinieri sa lui quel ch’è da fare », gli risponde il fratello, troncando ogni parola e prendendo la chiave che l’altro gli getta sul tavolo. A un suo comando, Al vise e Delfino escono, non senza che il primo minacci: egli sarà di fuori, ma bada che nessuno uscirà ch’io pur non voglia. Ancora nella tonalità minore il tema di Rinieri, fra una rapida discesa cromatica di legni e mormorii di ATTO SECONDO 75 archi al centro, col tema a sestine e terzine ribattute (es. 32-33) ripreso in quinte dai flauti e poscia risalenti verso la quinta acuta della tonalità, rasserenata nella risoluzione in modo maggiore (pag. 206). Rinieri è rimasto solo. Muove qualche passo Verso la stanza dove Contarina è chiusa, ma giunto presso la porta non ha il coraggio di aprirla e si arresta, incerto, come se in lui combattessero opposti sentimenti. ' Un’immediata transizione dal do al si (dominante di mi), e un motivo introdotto dalle viole, a figure inter rotte, quasi esitando, si stacca dal si centrale, e dopo aver percorsa una intera ottava, giunto al si superiore, si risolve nell’armoniosa morbidezza di un mi maggiore appena appoggiato da sommessi accordi e spianandosi in una larga frase dei violini, mentre al centro le viole ancora riprendono a guisa di espressivo dialogo. Es. 37 (pag. 207) Subito dopo si presenta un altro elemento tematico caratterizzato da una quintina di crome ribattute, ossia una nuova derivazione del tema di Rinieri, analoga a quella dell’es. 36 b), ma privata della nota in levare ed arricchita al centro di una espressiva appoggiatura su periore. 76 ORSEOLO Es. 38 Dapprima solo, intensamente cantato dai violini nella tonalità transitoria di do diesis minore, poi in sol maggiore, esso viene ripreso ed imitato dal clari netto, cui si contrappone il tema precedente a risposte delle viole e dei violini (pag. 207), dando luogo a un breve ma denso sviluppo polifonico dei due temi. Ritorna la tonalità iniziale, e una salita sul tema a figure interrotte, ma con più forza e decisione, va ad arrestarsi contro un improvviso, duro accordo di fa diesis minore degli oboi e corno inglese. Un grido di Contarina dall’interno, ora che Rinieri ha aperto la stanza. Ma egli non osa mostrarsi, e quando Contarina entra e si volge intorno atterrita non si accorge di lui, che si è ritratto in un angolo buio dello stanzone. Un’agitata figura tematica accompagna l’entrata di Contarina, — a) —, che vedremo subito dopo in ritmo ora allargato, — b) —, ora stretto, — c) —. Es. 39 ( pag. 209-210) Sostenuto J - ^ del 2 ATTO SECONDO 77 Diversamente da quello accennato nella prima parte del primo atto (pag. 50-51), che disegnava in agili tratti la grazia ancora infantile della giovanissima figliuola di Orseolo (es. 11), il nuovo motivo viene a segnare l’effettiva partecipazione di Contarina al dramma : elemento predominante in tutta la prima parte del successivo duetto con Rinieri, esso seguirà, con varietà di sviluppi e di atteggiamenti diversi, gli impulsi che detteranno a Contarina, fremente per raffronto subito, espressioni di timore, di alterezza, di sdegno, di minaccia. Ora si è accorta che qualcuno è nello stanzone. Crede sia Alvise, e fatta vergognosa del terrore dimo strato cerca di ricomporsi in una calma altera, gli si rivolge, chiede che cosa si voglia, che cosa si farà di lei, propone un accordo : il perdono e l’impunità se la ri condurranno a casa. E un avvertimento : Perchè, badate, voi giocate la vita sol per perderla! Poiché sono una Orseolo, e mio padre è F uomo più potente di Venezia. Apritemi la porta, voglio uscire! Non prego più, comando. Ma l’orgogliosa minaccia è messa in ridicolo da una ironica risposta. Quei comandi, quel vantare in super bia il proprio nome e la paterna autorità risuonano in quel luogo non più d’uno stormir di fronde o del belato d’un agnellino... Contarina riconosce nell’uomo che le proferisce e che le sta ora davanti, non meno di lei altero e sde- ORSEOLO 78 gnoso, l’antico compagno della fanciullezza, quel Rinieri Fusinèr che, adesso comprende, ha tramato l’inganno, comandando ai fratelli di rapirla. E come egli s’avanza verso di lei, afferra un coltello che è sul tavolo e lo alza minacciando : « Se fate ancora un passo incontro a me, in’uccido! ». Ragione aveva il vecchio Orseolo di diffidare di chi si nascondeva sotto quella nobiltà comprata, non acqui stata col sangue. Il «nobiluomo» Rinieri Fusinèr! E sente vergogna di aver in passato appreso quasi con do lore del rifiuto sprezzante di Orseolo alla sua richiesta di lei, di essergli stata, da bambina, amica e confidente, ribrezzo perfino che le sue mani l’abbian potuta un tempo toccare, le sue braccia prendere e tenerla, in quella notte dell’incendio... Voluto avesse Iddio che in quella notte fossi morta bruciata tra le fiamme, più tosto che da voi esserne tratta, serbata a quest’oltraggio. Il tessuto tematico che segue il declamato di Contarina, ora che essa crede di vedere in Rinieri il colpe vole dell'infamia subita, continuando negli sviluppi del motivo — vedi es. 39 — s’avvale ora anche di un altro tema, esprimente il doloroso disinganno di Contarina. Molto sost. ma non calmo Es. 40 (pag. 218) r m Ad esso e al tema precedente variamente trasfor mato, si uniscono o si alternano richiami al tema di festa del II quadro del primo atto, — vedi es. 24 — ATTO SECONDO 79 allusivi all’inganno che essa crede tramato da Rinieri, e a quello di Orseolo, dando esagitato rilievo agli accenti ora accorati ora frementi della fanciulla (pag. 218 a 223). Nel suo animo è un lottare di nascosti affetti col sentimento del ferito orgoglio aristocratico. E se la voce giunge ad invocare mortale vendetta dei suoi contro l’offensore, II mio padre si chiama Marco Orseolo, potente quanto il Doge, e mio fratello... v’ucciderà. Marino ucciderà Rinieri... il cuore non regge allo sforzo, e la fanciulla s’accascia piangendo, quasi implorando: che avevo fatto di male, perchè aveste u ripagarmi così? Potete dunque voi pensare di conquistar con frode e violenza il cuor di Contarina? O Santa Vergine, Vergine dei Miracoli, aiutatemi! 11 tema di Contarina, da un concitato ff (pa gina 224), calmandosi, ricorre ora supplichevole e la mentoso nella tonalità di la minore (pag. 225), poi si rifa concitato (« No, no, non vi muovete... Pietà, pietà! ») ( pag. 226), indi si perde, al prorompere troppo a lungo rattenuto di quei singhiozzi di bimba, più che donna. Rinieri ha ascoltato, a sua volta combattuto da in terno contrasto. Nella fanciulla che è lì dinanzi a lui, ORSEOLO 80 nei suoi cocenti rimproveri, nel suo strazio affannoso, nel suo pianto, egli ha visto Cecilia, sua sorella, davanti a quell’infame ladro di donne ch’è Marino Orseolo, vostro fratello. Le parti s’invertono. — No, non è vero! — grida Contarina. Ma Rinieri continua, e Contarina apprende la verità infamante, il ratto di Cecilia, compiuto a tra dimento da Marino « e da tre suoi degni sozi », la sua fuga ignominiosa, la complicità del « padre venerando », Orseolo... E se Contarina ricevette offesa, ingiusta, sì, ma umana, ora Rinieri è lì non per ripagar l’infamia, ma per liberar lei, Contarina. Tra poco quella porta s’aprirà davanti a voi, e ne uscirete libera; tornerete alla casa onde strisciarono contro di me ed i miei l’odio e il delitto; vi tornerete, qual ne usciste, pura. In questa seconda parte del duetto, pure imper niata sul tema di Contarina, questo si alterna a quello di Rinieri (pag. 230) e cede quindi al tema esitante che era all’inizio della scena — v. es. 37 — ed a quello di stinto dalla quintina ribattuta — v. es. 38 —, che ritor nerà dapprima gravemente appoggiato dagli archi (pag. 233), poi sempre più raddolcendosi ed appassionandosi secondo la crescente intensità del sentimento che vibra nella voce di Rinieri (pag. 234 a 236). Altro compenso egli non chiede a Contarina che una parola ATTO SECONDO 81 una parola umana di pietà per quest'uomo che è l'uom più sventurato fra quanti mai vedeste. Una speranza era luce e ardore della sua vita. Un Orseolo l’ha uccisa, oltraggiando il suo nome ed il suo sangue. Ed ora il delitto invendicato sta come un’ombra fra lui e la fanciulla di cui seppe, nella notte dell’in cendio, il morbido tepore del corpo, il profumo dei ca pelli d’oro... Nel ricordo, la passione divampa come le fiamme di quella notte. Accentuato dai bassi in crescente progressione, un nuovo elemento tematico, pieno di appassionato fervore, si slancia verso l’acuto Es. 41 ( pag. 237) gravitando anch’esso su di una nota ribattuta, come l’altro della quintina, che gli succede slargato in ottave percosse reiteratamente da archi e legni ed imitate dai bassi (pag. 238 a 240). Ed io, io quel medesimo d’allora, or v’ho dinanzi a me, voi sola inerme ............................ E potrei stringervi fra le mie braccia ancora; e su codesta dolce bocca premere queste riarse labbra appassionate; prendervi, farvi mia, sentirvi mia, mia, mia... 82 ORSEOLO L’invocazione di Rinieri culmina a questo punto nell’esplosione di un /// pieno di disperata passione, che le successioni sempre più serrate del motivo a quintine ribattute hanno preparato e a cui fanno ora da com mento inquieto i motivi d’amore (v. es. 37 e 41) ripresi da fagotti e violoncelli dialoganti e perdentisi su di un agitato tremolo di viole in terza (pag. 240). In seguito, gli stessi motivi intercorrono frammentati attraverso accordi fermi dei tromboni mentre Rinieri, che alla vista della fanciulla sgomenta da quel troppo impetuoso trasporto, si ritrae quasi vergognoso dell’involontario eccesso, se guita, dopo un silenzio, con voce fatta più grave, ma non meno commossa (pag. 241 a 243): Or se di qui uscirete non tocca, immacolata come quando qui entraste, non virtù sdegnosa e altera avrà fatto a voi scudo, nè il pianto, nè le supplici preghiere, nè la pura beltà, nè lo splendore dei vostri occhi di cielo; ma soltanto v’avrà salvata il disperato amore d’un uom che soffocando nel suo petto l’appassionato ardore ond’ei viveva, vi chiede, ultimo clono per la torbida sua sera, una parola di pietà... Il duetto entra nella sua terza fase: dal conflitto d’orgogli ad una dolorosa comunanza d’anime, che prende sua voce fraterna nella parola di Contarina. la « parola di pietà » che Rinieri le ha chiesta. « Che do vrei dirvi, povero Rinieri? », gli dice la fanciulla, mor morando come in un confuso ricordo le parole che il ATTO SECONDO 83 giorno innanzi il padre aveva proferite, ed essa non potè intendere, ma ora intende: « Non le parole, solo i fatti contano... ». Tace in orchestra il ricorrere dei motivi tematici delle due precedenti frasi del duetto : solo ritorna, col rombo del vento e del mare, come in una pausa di immobilità, Teco lamentosa del corno inglese sul moti vo iniziale delFatto — v. es. 32 a) — ripetuto insisten temente come un domandare che non sa trovar risposta (pag. 246). Assorta in una visione lontana, esala dalla voce di Contarina l’elegia della perduta speranza, un canto esta tico che parla di strade, di smarriti cammini. Es. 42 (pag. 246). La pura linea della melodia è appena appoggiata all’inizio da lievi ottave dei clarinetti, mentre al basso risuona in ritmica monotonia un vago cadenzare di passi. Le strade erano due ma non diverse. Potea dall’una il pellegrin guardare al suo compagno, che il fatai viaggio compia suiraltra: e lui con muto augurio seguitando, se stesso confortava. Che la segreta, timida speranza 84 ORSEOLO di ritrovarsi alfine a un punto solo bastava a entrambi, cui vietato udirsi, ma dato era d’intendersi per gli occhi. Le strade erano due ma non diverse. E’ il primo e finora unico « pezzo chiuso » dell’o pera, una pagina di pensosa, delicatissima lirica che vorremmo porre fra quelle che furono al Pizzetti ispi rate dalla poesia del Petrarca e del Leopardi. Il modulare melismatico del canto alle parole « cui vietato udirsi, ma dato era d’intendersi per gli occhi », — sulla ina spettata cadenza in re maggiore dell’accordo di settima di sol sottodominante, — è di una ineffabile soavità (pag. 246). L’atmosfera si oscura subitamente : la tonalità cam bia in un si minore sinistro, cupi tremolìi interrotti di violini in sordina danno sussulti misteriosi ai bassi che continuano nel loro ritmico cadenzare di viandante in cammino. Gli strumenti si appropriano le figure melo diche del canto e le elaborano spezzettandole in serrate imitazioni: dapprima i violini, acutissimi, di un’acutezza fredda e pungente, poi oboi, e violini, e viole. Il canto si fa più concitato, vibra, grida disperato. « Ha tremato la terra tutt’intorno, s’è aperto il suolo in baratri profondi. Non v’è più strada, non v’è più sentiero. Nessun rispon de. Il mondo è nero e muto ». Voci di lamentosa implorazione salgono dall’orche stra e Contarina ora invoca desolata : 0 Dio Signore, libera me da quest’orrore! Manda, a liberarmi, VAngel della Morte. ATTO SECONDO 85 Un accenno del violoncello solo al motivo di quintine (pag. 248): Rinieri, la sua trepida speranza d’amore... Nulla più! Voi non dovete più pensare a me, Rinieri, se non sia per compatirmi, e se un di lo possiate, e Dio v aiuti, per perdonare... a tutti. Ed ora... addio. Ritorna la cupa atmosfera dell’inizio dell’atto, fra il sordo mugghiare del mare e i flebili richiami destati dal vento. Rinieri ferma Contarina che vuol uscire : sarà ricondotta a casa dagli stessi che la rapirono. — Non temete di nulla. Iddio vi guarda. Nessun potrà più farvi del male. — Apre la porta e chiama i fratelli, dando gli ordini per il ritorno di Contarina. Ma Alvise non intende i disegni per lui assurdi del fratello, lo richiama fra minaccioso e sarcastico ad una realtà che gli sembra troppo facilmente dimenticata: Cecilia, la loro sorella, la cui sorte è ancora sconosciuta, il cui ol traggio non è stato ancora lavato e non lo sarà che con la vita e l’onore della Orseolo. — Se — aggiunge incisi vamente, — la donna raccolta a S. Giovanni in Bragora e che è ora al convento delle Carmelitane, in preda al delirio, forse già morta, se, com io credo, elVè nostra sorella, cui Dio teneva in sua santa custodia, vo’ che contro di me costei non abbia nessun altro custode e protettore. Dall’entrata di Alvise, il noto motivo che lo caratte rizzava — v. es. 34 e 35 — dominerà variamente atteg- 86 ORSEOLO giato per tutta la scena, alternato col tema di Rinieri (pag. 252, 255 e segg.). Il dissidio si fa sempre più drammatico e violento fino a scoppiare in una rissa fra i due fratelli, che si avventano l’uno contro l’altro. Il tema di Rinieri, allargato, riempie l’orchestra come di un grido (pag. 260). Ad un tratto, un fascio di sarmenti, nel focolare, prende fiamma all’improvviso. Delfino ha un urlo : fra quelle fiamme egli ha visto la mamma, il suo spirito è lì tra loro ad impedire la violenza fraterna. L’urlo del giovinetto ha arrestato i contendenti, ma Al vise, che aveva già in mano un coltello, pronto a ferire, ora ferisce di villana ingiuria Contarina. Nostra sorella non ebbe, per difenderla, il suo amante... Rinieri vorrebbe slanciarsi ancora contro il forsen nato, ma Delfino gli si avvinghia alle spalle. Contarina si fa innanzi ad Alvise, angosciata e disperata Se voi credete a ciò che avete detto, colpite me, soltanto me, colpitemi... Si picchia alla porta. Un attimo di sospensione fa intuire a Rinieri l’imminenza di un pericolo. Delfino piange, e quel pianto ha il potere di scuotere Alvise, che inorridisce di quanto ha commesso. Pone la mano sul capo dell’adolescente, in un subitaneo moto di af fetto. — Non piangere. Delfino, ora è passato... Guarda... — gli dice, gettando via il coltello. Rientrano, all'aprirsi della porta, gli echi di fuori (sul tema stretto dell’es. 32a)), che recano oscuri presagi minacciosi. Il pescatore Luca viene ad avvisare che sono in vista due barche a otto remi : è Orseolo che ha sco- ATTO SECONDO 87 perto il rifugio! Il dramma incalza rapidamente. Rinieri pensa a nascondere Contarina (pag. 269 — motivo dell’es. 41), ma la giovane è decisa a restare, vuol incon trarsi col padre. Si ode distinta la voce di Orseolo : — La sciatemi passare! Sono il Capo del Consiglio dei Dieci, Marco Orseolo!, — risponde furibondo ai famigli dei Fusiner che gli si oppongono. Col tema di Contarina che è subentrato a quello precedente, si riode ora anche quello di Orseolo a incisi distanziati (pag. 272 a 276) e quindi a figure sempre più concitate (analoghe a quelle dell'introduzione all’opera — vedi atto primo, pag. 2) all’apparire di lui. I bagliori dei lampi illuminano a tratti la figura del vecchio, i bianchi capelli scompi gliati dal vento, maestosa e tragica la sua persona sullo sfondo del cielo tempestoso. I tre fratelli non muovono un passo, nessuna resistenza gli è fatta. Contarina gli si fa incontro, Orseolo le apre le braccia, la stringe al petto con gioia convulsa. Contarina! Figliuola mia! Tuo padre è qui per liberarti e vendicarti. I tre banditi avran degno castigo! Alle colonne, a morte tutti e tre! Riprende il tema di Contarina (pag. 277), mentre ella supplica il padre di ascoltarla : rimandi la sua gen te, nessuno le ha fatto del male, non si aggiungano nuove colpe a quella che già fu commesa da Marino... Orseolo non ode, non comprende. E’ in lui solo 1 acre, spietata gioia della vendetta che finalmente gli è dato compiere, per lui e per Marino, sui loro nemici: alle colonne, a morte ! ORSEOLO 88 E allora Contarina ha un grido di supremo appas sionato amore, ella che ha ormai tutto compreso e sola può difendere il suo Rinieri dall’ingiusta, inumana ven detta. Per la memoria santa di mia madre vi giuro che se voi fate arrestare costoro... Grido a tutti che son venuta io stessa, qui, da lui, per lui, Rinieri, io stessa, io, io, perchè gli voglio bene, io stessa, perchè Vamo! (« Largo appassionato », pag. 281 - tema d’amore, v. es. 37). Alla rivelazione, Orseolo è colpito come da una mazzata sul capo. Col cuore schiantato, il vecchio vacilla come impazzito, annaspa, cade sui ginocchi, il braccio levato ad allontanar Contarina che vorrebbe cor rere a sostenerlo. No, no! Va via, va via! Voglio piuttosto morire solo! Io solo, solo, solo! Riappare un breve, intensissimo inciso che già alla line del primo atto (pag. 171) aveva preceduto le stesse parole di Orseolo (Voglio esser solo... Io solo, io solo...). Es. 43 (pag. 282). Poi si rialza. Apre la porta.. Una folata di vento furioso irrompe nella stanza. Barcollando, esce, scompa re nel buio della notte tempestosa. ATTO SECONDO 89 Ritorna l’atmosfera dell’inizio, triste, desolata. Ri corre a tratti il tema dalla quintina ribattuta (pag. 284285). Alvise si avvicina a Contarina e si toglie il ber retto, le domanda perdono : egli non è che « un pover’ uomo rozzo ed ignorante... ». Contarina chiede di esser condotta alle Carmelitane. Poi si abbatte sulla tavola, in uno scoppio dirotto di pianto. Ancora, concitato e doloroso, il tema di Contarina (pag. 285) e poi un ultimo rombare lamentoso e lonta nante del vento. ATTO TERZO Un anno è trascorso dagli avvenimenti del primo e del secondo atto. Poco dopo essere stata raccolta, in seguito al suo ritrovamento, nel convento delle suore Carmelitane, Ce cilia Fusinèr vi è morta, innocente e senza odio. Nello stesso asilo di pace ha vissuto Contarina, dopo la dram matica separazione dal padre. Anche Marino è morto, da valoroso, nella guerra contro i Turchi. A onorare la sua fine gloriosa, il Senato ha decretato che una rap presentanza della Repubblica, — nobili, borghesi, popo lani, — rechi al vecchio Orseolo le reliquie del figlio. Rinieri sarà tra questi : sarà anzi proprio lui a conse gnare all’antico avversario la spada ed il berretto di Marino. Quanto è avvenuto dopo la terribile notte del l’isola e, ora, la morte espiatrice di Marino, ha spento ogni rancore nel suo cuore generoso e leale. E anch’egli è prossimo a raggiungere il campo dove si combatte per i destini della Repubblica. Ma qual’è l’animo di Orseolo, l’implacato nemico? Prima di recarsi da lui con l’ambascieria del Senato, prima di partire per Candia, Rinieri va alle Carmelitane per incontrare Contarina, per avere il suo consenso all’atto d’omaggio ch’egli dovrà compiere presso Orseolo, e insieme una parola di speranza, una parola d’amore che lo accompagni nel viaggio forse senza ritorno. La scena si apre sul parlatorio del convento, dopo una pagina introduttiva dalle linee semplici ed ariose* spiranti la pura serenità del chiostro, nel profumato tepore di un mattino di maggio. ORSEOLO 92 Es. 44 (pag. 287). Quasi lento t : 2 Lo stesso tema, nella misura di 6/4 (pag. 289) accom pagna le parole della Madre Superiora, che rievoca a Rinieri l’infelice sorella morta invocando pace su tutti. Rinieri assicura la Madre che ogni odio è cancellato in lui (tema di Rinieri, pag. 291) e allude ad Orseolo, al suo pervicace rancore. Ma la risposta della religiosa non lo fa continuare: « Lasciate giudicare a Chi può ». Altri richiami al tema di Venezia (pag. 292-293) sottolineano gli accenni alla fine eroica di Marino, e dopo un ritorno al tema iniziale (pag. 295) la Superiora si ritira, intro ducendo Contarina. L’espressivo tema della quintina ribattuta che già conosciamo dal duetto del II atto (v. es. 38) viene ri preso dall’orchestra a imitazione fra violoncelli, corni e bassi, mentre i due giovani, in piedi, l'uno di fronte all'altra, si guardano contenendo in un lungo silenzio i sentimenti che riempiono i loro cuori. Poi il tema si ATTO TERZO 93 distende più calmo, s’addolcisce in armoniose successioni di accordi di nona (archi e flautiI e l"oboe accenna al tema di Contarina (v. es. 39). Es. 45 (pag. 296). Su questo episodio di fervida dolcezza ha inizio il colloquio. Ma non d’amore, bensì di fraterna pietà è la prima domanda della fanciulla: — Gli avete perdonato? Perdonato ha. sì, Rinieri. Come avrebbe egli potuto presentarsi a lei con odio in cuore? Se la colpa di lui fu grave, ei seppe nobilmente espiarla. Y Segue il racconto dell’epica morte incontrata da Marino. Lo sostengono accordi in funebre ritmo su cui si rileva un tema dell’oboe. Es. 46 (pag. 299) Più sostenuto ORSEOLO 94 preceduto da una figurazione di terzine sugli intervalli del tema di Orseolo, la cui terminazione a semicrome ricorre successivamente nelle viole. Ignorato da tutti, Marino aveva servito sulla nave ammiraglia come uomo di ciurma, prendendone il co mando al posto del capitano, ucciso in un momento di grave pericolo e mentre già gli uomini sbigottiti pensa vano alla resa. Solo quando, volte ormai in vittoria le sorti della battaglia, ...stroncato in mezzo dallo scoppio dolina bombarda, Valbero maestro piombò sopra di lui, gli squarciò il petto, e lo stese morente sovra il ponte, solo allora rivelò il suo nome gli occhi splendenti per la vittoria, mentre intorno cantavano inni di gloria. Tale la sua morte, « degna del nome ch’ei portava ». — Grazie, Rinieri, — mormora commossa la fan ciulla. Il giovane continua, mentre l’orchestra accenna un andamento di marcia grave, Es. 47 (pag. 303) informando delle onoranze decretate dal Senato e del1 incarico che egli stesso assolverà presso Orseolo. Vorrà consentire a quel gesto di onore e di omaggio il cuore di Contarina? Sarà, il suo consenso, viatico al viaggio del combattente. ATTO TERZO 95 Il mio posto ora è là, dove Venezia difende il proprio nome, e quella gloria che già fulgida un dì, va declinando tra fosche e dense nubi al suo tramonto. Turba Contarina l’amaro presagio: — Disperate an che voi? Non lo vorrei! — Ma la gloria è dei puri, e i veneziani purtroppo non son più tali. Quanto a lui, egli non chiede, — se è scritto che una nuova era d’a more e di giustizia sorga sulle rovine della Repubblica (tema dell’es. 47 allargato — il tema di Contarina al violino — pag. 308), — che di lasciare esempio d’obbe dienza al dovere. Se pur di me ricordo resterà vivo in qualche cuor gentile, aggiunge con tristezza (tema di Rinieri, pag. 309). Con tarina ha ascoltato piangendo silenziosamente. Ma il suo pianto riaccende la passione che finora Rinieri ha cer cato di contenere, ed ora egli esalta in quelle lacrime l’amore a lungo invocato, a lungo atteso. Anche ritorna in orchestra, contrapposto al tema di Contarina lamen toso e penetrante, il tema appassionato dell’atto II (v. es. 37), su di un ansioso sincopare di accordi (pagi ne 310-312). Supplica Contarina che cessi l’ingiusto tor mento, quel peccare contro la pace in cui ella ha fino allora vissuto, e che egli è venuto a distruggere d’un tratto. (Ancora il tema di Contarina, a ritorni vieppiù concitati, pag. 313 e segg.). Le sue parole feriscono invo lontariamente Rinieri, che reagisce impulsivo. Come può egli credere a quella pace, e come può ella affermarlo, quando tutto un anno di aspra guerra contro tutto e 96 ORSEOLO tutti egli ha vissuto, per quell’amore a lui più necessario che l’aria e il sole? E qual’è il peccato che Contarina teme, ingrata e ingiusta verso il purissimo sentimento di lui? Solo l’amore seppe vincere sul desiderio, nella notte in cui ella fu alla sua mercè: se da allora il suo cuore s’è da lui allontanato, ed egli non è ormai più che « un viandante senza volto », se il suo grido d’amore di quella notte non fu che una menzogna, se tutto ciò è vero, lo dica Contarina. E dica pure il suo odio, impla cabile quanto quello di suo padre! Alla fremente invettiva, in cui ritornano (pag. 317) elementi del duetto del II atto (v. es. 41), e resa acco rata da espressivi sviluppi del tema a quintine ripreso da oboi e fagotti in ottava (pagg. 318 e segg.), Conta rina più non regge, e singhiozzando disperatamente, si abbandona sul braccio di Rinieri, subitamente pentito e intenerito. — No, Contarina! Non piangere così... Io, sono ingiusto e ingrato! Ritornano le armoniose successioni di accordi di nona (v. es. 45), con echi evanescenti del tema di Con tarina (pag. 322), e la fanciulla richiama all'amato le prove d’amore che spontaneamente gli ha dato : L’aver trafitto io stesso il cuor d’Orseolo e un anno di rimorso e amaro pianto, non bastarono dunque a farti certo che Contarina ti vuol bene, t’ama? Si fa un silenzio, solamente riempito dal palpito dei due cuori. Fuori, nel giardino, è un soave bisbiglio di voci primaverili : riappare il tema dell’inizio, fra gorgheggi del flauto, agresti richiami del corno (pagi ne 323-324). ATTO TERZO 97 Oh, quanta pace in questo asii romito! Se la vita finisse, ora, così... mormora Rinieri, accarezzando lievemente i capelli della fanciulla. Come ti batte il cuore, anima mia! Odi il ronzio dell’a pi, pare un canto. Le rose e i gigli e il sole le fanno ebre. Largamente si spiega il canto, accomunando in un unico dolcissimo affetto i nomi di Venezia e di Contarina (tema a quintine, pag. 326 e segg.). Ma per me Contarina, e in esso è il mondo : il mio cielo e il mio mare e la mia terra, e il mioamare davanti a Dio... Tremante di desiderio, avvicina la sua bocca a quella deiramata : — Vuoi? Vuoi? — chiede ansioso, mentre ritorna il tema d’amore, — in cui si confonde l’inciso iniziale del tema di Contarina, — con un incalzare di progressioni appassionate (pag. 328). Ma è breve mo mento d’oblio. — Miseri noi, Rinieri, entrambi miseri!, — esclama Contarina riavendosi tristemente da quel fu gace abbandono. « Voi non dovete più pensare a me », gli disse quella sera, là nell’isola : e non fu possibile, nè fu malvolere. Ma là ove il tuo nome sarà solo Rinieri, e il mio soltanto Contarina, e nulla più, soltanto là potrà fiorire il nostro amore. 98 ORSJÏOLO Calma, con voce di mesta dolcezza, Contarina ha proferito il suo giuramento d’amore, dalla semplice, toc cante melopea (pag. 329). Ma Rinieri insiste, impaziente : egli vorrà umiliarsi ai piedi di Orseolo, chiedere, implorare... Contarina non osa turbare il dolce sogno nuziale che sorride al cuore dell’amato, al suo stesso segreto cuore. — Iddio t’assista!, — risponde, e ripete, e non sa dir altro. Un addio, e fa per rientrare. Rinieri la ferma : vuole che il suo sguardo l’accompagni mentre egli s’allontana. Ancora l’inciso a quintine, supplichevole, su di un lieve tremolo d’archi. E così, gli occhi negli occhi, sussurrando ultime parole d’amore, indietreggia e scompare. L’orchestra riprende il tema d’amore, intensamente. Ma già dall’interno giun gono suoni di trombe, incidendosi sulla sonorità sospesa dell’ultimo accordo non risolto. La scena si è chiusa, per dar luogo poco dopo, come nel I atto, ad un SECONDO INTERMEZZO In orchestra è un rispondersi di squilli festosi, un'a nimazione di ritmi mollemente scanditi, cui fanno da sfondo larghe interiezioni del coro, ad andamento omo fono. Ad un certo punto si staglia a grandi ottave, sopra un lungo pedale dell’orchestra, il motivo della canzone del gondoliere udita nel I atto (v. es. 8), a ritmo allar gato. Il coro vi innesta un lineare contrappunto all’u nisono, di un vago carattere melismatico, e l’insieme con ferisce alla melodia popolaresca un che di religioso e solenne (pag. 338). ' OZZ3 N ÌJ31NI - 0103S30 ATTO TERZO 99 La scena si apre ancora sulla Riva degli Schiavoni. Mattina serena e luminosa. La vittoria ha arriso ai vene ziani, e il popolo affolla rive e piazze per salutare i reduci, che una processione guidata dal Doge e dal Pa triarca si recherà ad incontrare allo sbarco per recarsi alla Salute, per un Te Deum di ringraziamento e di esultanza. In un canto, una giovane madre se ne sta seduta in terra, col suo piccino in grembo, e racconta di Vene zia, sorta d'incanto sulle acque, ad un gruppo di bam bini che le fanno circolo. Es. 48 (pag. 342) UNA GIOVANE MADRE E tut to qui d’in • Andante piuttosto mosso Con l’ingenuità delle favole da bimbi, cullando la voce al ritmo di una ninna nanna popolaresca, la gio vane evoca i primi veneziani, fondatori della più bella 100 ORSEOLO di tutte le città, sul più bel mare del mondo. Il qua dretto squisito è interrotto da un alterco di uomini che giuocano ai dadi, lì presso. I bambini impauriti si strin gono attorno alla popolana, che sogguarda scrollando il capo come per indulgente rimprovero, e poi continua. Ognuno dunque vide che Venezia era di tutte le città più bella. E allora venne voglia ai forestieri di prendersela loro. E tutti gli anni c erano battaglie. Ma i Veneziani dissero: Venezia è per le nostre donne e i nostri figli : e contro i veneziani non cè barba di foresto che mai potrà spuntarla. Venezia grande e bella è tutta nostra. Ancora il vocio dei giocatori che altercano, poi un suono di campana : è il segno della Processione che è per muovere da S. Marco. Rintuona il cannone: la galèa capitana è entrata in porto e il Capitan del Mar ne di scende. — Viva S. Marco!, — è il grido di tutti. Ma altri incidenti nascono fra la folla che si pigia per vedere meglio. L’orchestra martella ritmi insistenti. Principii di baruffa fra gente di rioni diversi. Nicolotti e Castel lani. Punzecchiature reciproche, vanterie di campanile, botte e risposte : innocuo fuoco di parole, che ad uno squillare di trombe (tema di Venezia, pag. 366 e segg.), annunziante ravvicinarsi della Processione, l’entusiasmo prende tutti, Nicolotti e Castellani si abbracciano, ogni contesa è superata: — Tutti siam figli di una stessa ma dre. Viva Venezia! Viva la Repubblica. ATTO TERZO 101 La folla s’inginocchia e intona un cantico di gloria alla patria : una bellissima pagina corale, che ricorda il canto dei Catecumeni nella Nave e quello dei Flagel lanti in Fra Gherardo, analogo al primo nello spunto gregorianeggiante dei soprani e tenori ad ottave, cui ri spondono i bassi Es. 49 (pag. 370) Largo Larghissimo, quasi lento P dolce, ma fervente a SOPR._________ Il |> [• TT4* 0 Ve zia. ■ n- Re • gi na del P dolce, ma fervente j2j ten. ** - jrT jm Ó Ve BASSI I. -^J •- Re • gi na del P________ 0 BASSI IL zia. re p-"-. Ve iP ne zia, Re - ---------------1-----------•1 — fcFr : 0 Ve - ne zia. Re • ORSEOLO 102 e, come il secondo, pervaso dal mistico fervore di una lauda religiosa, nell’aerea trasparenza del contrappunto. Diversamente però che in quello, dove la nutrita poli fonia corale si riflette in un denso tessuto polivoco del l’orchestra, qui il coro sembra elevarsi come una sola voce fervente di popolo da uno sfondo sonoro costituito da larghissimi accordi dell’orchestra, solamente inter corsi da un luccicante ondulare di violini, suddivisi in rapidi arpeggi di quinte e quarte. La sonorità attinge la massima pienezza in un finale alleluia, all’arrivo della Processione, fra un trionfo di vessilli e clangori osan nanti. Poi lentamente la scena si richiude sul luminoso affresco, mentre voci e squilli vanno lontanando. Un profondo pedale, lentamente ripercosso dai bassi durante le ultime battute, fa da perno al trapasso mu sicale, che avviene senza soluzione di continuità mentre la scena si riapre per il QUADRO SECONDO DELL’ATTO III. Ritroviamo il tema di Orseolo, in una ancor nuova figurazione, a tratti interrotti, faticosi. Es. 50 (pag. 379) p ma intensissimo Lo introducono i violini primi e secondi all’unisono, proseguendo i primi, a guisa di esposizione fugata, in ORSEOLO "ATTO III. QUADRO |l- ATTO TERZO 105. mi contrassoggetto alla quinta battuta, mentre le viole fanno la risposta. In una grande sala in casa di Orseolo, dalle cui fine stre aperte al caldo sole di maggio s’intravede la città nell’incanto dei palazzi e dei giardini sulle acque, fer vono i preparativi per ricevere l’ambascieria che recherà ad Orseolo le reliquie di Marino e l’omaggio reverente del Senato e del popolo. Orseolo stesso sorveglia l’opera dei servi. Vuole che siano fiori dappertutto, e alloro, tutto l’alloro del suo giardino. — Ormai per chi s’avrebbe a far crescere?... Penoso è l’aspetto del vecchio, trascinante a fatica le gambe paralizzate, sostenuto dai servi che l’aiutano a sedersi. Ma per il gran giorno egli ha voluto indossare, come in quelli della passata potenza, le sue maestose vesti di senatore, con tutte le insegne del grado e delle dignità. E tuttavia, se il fisico è vinto, lo spirito del fiero patrizio, che sembra ormai assente da tutto per vivere solo del geloso ricordo del figlio, ritrova gli antichi lam peggiamenti nel colloquio col sopraggiunto Soranzo. An che il tema di Orseolo ritorna, ricomposto nella primi tiva delineazione (pag. 383). L’amico viene a dar notizia delle onoranze che sa ranno rese dalla processione dogale quando passerà davanti alla casa (tema di Venezia - pag. 384-387). I vessilli s’inchineranno per tre volte, in onore di Marino: Così s’inchini ognuno in suo pensiero al giovinetto eroe... soggiunge, cercando di sondare nell’animo di Orseolo. Per esser, degni del sacrifìcio compiuto dal giovane, sgombri ognuno il suo cuore d’ogni mala passione e di 106 ORSEOLO ogni ingiusto risentimento... Ma Orseolo para ironica mente i tentativi dell’amico sermoneggiante. E questi allora gli parla schietto: non vorrà il padre, in quel giorno memorando, riaprir le,braccia alla fanciulla del suo sangue, che anela rivederlo, confortarlo, piangere con lui? All’affettuosa richiesta di Soranzo, che gli accenni al tema di Marino (v. es. 4) sembrano appoggiare (pa gina 388), Orseolo risponde irritato. Si son dunque con certati tutti contro di lui, l’amico, Contarina, la Signoria e quegli altri... — Io vo’ sperare di conoscere, un giorno, il vostro patto!, — esclama fra sdegnoso e sarcastico. Che fu della denuncia da lui presentata, in cui dichia rava di aver fatto fuggire Marino e d’esser pronto a rispondere di lui, tosto che fosse tratto in giudizio l’of fensore « bastardo » ; perchè non fu risposto dal Senato, nè fu istruito il processo? — Fu per l’onor vostro, — spiega Soranzo. — Per l’onor d’Orseolo?, — grida questi eccitato. — Bastavo io a difenderlo! E a difendere contro i provocatori anche il mio figlio. Un veneziano, lui, d’antica tempra. Non come quei che scendono oggi a patti con la gente volgare, alla Repubblica infesta più dei Turchi. Soranzo tronca lo sfogo, segnato da dolorose reite razioni del tema di Orseolo (pag. 392), ed insiste. Non vuole dunque veder più Contarina, non Pania più? « Vi s’è fatto di pietra, dunque, il cuore? » Tentenna il capo il vecchio, alle parole un po’ dure, ma umane dell’amico. ATTO TERZO 107 Che ne sai tu, di questo vecchio cuore? Ferite già ve n erano, anche prima. Ma bastava un sorriso dei miei figli a lenire ogni duolo... Riprende con commossa dolcezza il tema di Ma rino, dialogato fra clarinetto e viola, di contro a una frase discendente dei violini (pag. 394). Orseolo si copre gli occhi con la mano, quasi a celare lacrime silenziose. La resistenza è alfine vinta, dopo un’ultima ironica scher maglia. Soranzo esce per introdurre Contarina. Rimasto solo, Orseolo tenta di alzarsi, ina non può reggersi. Allora impegna tutta la sua forza nelle mani, attana gliate al seggiolone, le braccia irrigidite dallo sforzo: riesce a sollevare il busto, ma le gambe paralizzate gli si piegano. Il vecchio ha ormai perduta ogni forza, la sua volontà non può più nulla, ed egli ricade d’un colpo, vinto, avvilito. Nel breve episodio, descritto da una in tensissima frase dei violini sulla 4“ corda, contrapposti al tema di Orseolo « grave e penosamente trascinato » I pag. 396) è tutto il suo dramma. Contarina appare, accompagnata dalla balia levan tina e da Soranzo, che escono subito dopo, lasciandola sola con Orseolo. Il tema di Contarina segue ora la muta scena della fanciulla, che l’angoscia soffoca, impeden dole di avanzare verso il padre. Ma finalmente si vince, e corre ad inginocchiarsi davanti a lui, la testa sulle sue ginocchia, in un sussultare di singhiozzi. Orseolo non si è mosso. Ma, come il pianto di Contarina si va cal mando, rialza il capo e guarda davanti a sè fissamente. Anche le figurazioni del tema di Contarina si sono a poco a poco calmate, svaniscono, e in un lento anda mento di ottavi ritorna sommesso il tema di Orseolo, in 108 ORSEOLO forma quasi analoga a quella dell’inizio del quadro (v. es. 50): nel suo atteggiamento assorto, lontano, il vecchio rievoca aspetti di perdute felicità (pag. 399 e seguenti). Un vecchio padre : altro non era, altro esser non chiedeva. Tutta la vita, perduta la sua donna, era per lui nei figli. Nel maschio, « verde virgulto d’un’annosa quer cia », egli vedeva la sua stessa fierezza; nella fanciulla, « la grazia della sposa inobliata ». Poi venne per l’uno il « folle error funesto », l’in famia, l’esilio. Tragico epilogo, la morte, gloriosa, sì, ma solitaria e lontana. Al ricordo la voce del vecchio trema di commozione. Il canto si fa più largo ed intenso, sostenuto da accordi densi dì espressività, cui rispondono progressivi incisi del tema di Orseolo, mentre quello di Venezia aveva, poco prima, come un’eco, accompagnata l’evocazione glorio sa (pag. 401). Forse la man di lui si tese a chiedere nell’ora estrema un bacio, una carezza, una parola. E’ solo, e muore. E Contarina, quella che avea negli occhi il ciel sereno e nel suon della voce un canto d’angeli », la più soave creatura, la « sopra tutte amata », con solo una parola, da quei labbri scagliata, già sì casti e sì pietosi, ha tradito il suo padre e l’ha stroncato! ATTO TERZO 109 Tutto il brano si svolge sugli accennati disegni ad ottavi del tema di Orseolo, con brevi ricorsi di quello di Cofntarina, che ritorneranno ripetuti e lamentosi quando ella, accasciata dalla straziante invocazione del padre (« O tutti voi viandanti che passate, fermatevi e mirate a quale estremo Tonta e il dolor ridotto han Mar co Orseolo! »), si rivolgerà a lui implorante. Ma il dubbio è nel cuore di Orseolo, e gli fa paura, e tuttavia vuole, deve sapere. Or tu distruggi dunque la caligine densa avvelenata in cui da un anno il tuo padre respira. Che fu di lei in quella notte ch’ella trascorse là, « nel covo dei banditi » ? Per qual compenso fu da loro rimessa ogni imputazione a Marino ed a lui suo com plice, quale è il prezzo della protezione che quel Fusinèr, Rinieri, si arroga ora di esercitare sugli Orseolo? Le crudeli parole offendono profondamente Contarina, che si rizza dolorante a gridare la sua repulsione sdegnosa per l’orrendo sospetto. — Nè mai sentiste che prima sarei morta, che mi sarei più tosto uccisa? Al sincero impeto di Contarina, Orseolo dà in un grido di gioia: Iddio gli ha dunque serbata degna di lui la figliuola, degna del nome degli Orseolo. Un vivo scatto del tema di Marino in orchestra, ripreso poi con intensità in un movimento più lento, esprime col suo accenno al figlio eroico l’orgoglio pa terno di Orseolo, ravvivato e confortato, pur nel dolore, dalla certezza datagli da Contarina (pag. 411-412). Alle sue pressanti richieste, Contarina ammette di aver men tito, quella sera, e che veramente essa fu rapita a tradi- no ORSEOLO mento e minacciata. Or dunque essa sarà con lui, — incalza il padre, — a chiedere che Rinieri e i suoi fra telli sian perseguiti e condannati. Anche il tema di Orseolo incalza, nella originaria figura di biscrome, quasi il riacceso odio, e il miraggio della vendetta ormai pos sibile, restituissero al vecchio l’antica virulenza (pa gina 414). Ma interiezioni lamentose che con esso con trastano (pag. 415) dicono tutto il tormento della povera fanciulla, che non può mentire il suo vero sentimento e che finalmente, in uno slancio appassionato del tema a quintine (allargato in 5/4, pag. 410-417), confessa: — No, padre, no, non l’odio, l’amo! L’amo da morirne! E’ un nuovo colpo terribile. — Ridammi un’ora sola della mia forza!, — invoca dal Signore Orseolo, stra ziato. E alla figlia che si è buttata in ginocchio davanti a lui getta sul viso domande spietate che non chiedono più risposta: — Qual’è la verità? Quando hai mentito? In quella sera o dianzi? — e la respinge violento. La drammatica scena è interrotta dall’annuncio dell’ambascieria del Doge e del Senato. Ritorna l’andamento di marcia grave e solenne che era stato accennato nel primo quadro dell’alto (v. es. 47). Entrano, guidati da Soranzo, i dieci cittadini desi gnati dal Senato. Fra i quattro Senatori che fanno parte dell’ambascieria è Rinieri, che regge su di un cuscino la spada e il berretto di Marino. All’allocuzione di So ranzo ricompare il tema di Venezia (pag. 421), poi an cora il tema di marcia, allorché Rinieri, a un cenno di Soranzo, si avanza verso Orseolo per porgere le reliquie. Il vecchio lo riconosce, sussulta, si volge duramente a Soranzo: — Non da costui... Da voi, Soranzo... Prendete voi le cose sacre. Ho detto da voi! Ecco, così... ATTO TERZO 111 Avanzano dal basso, irrueuti, le biscrome del tema di Orseolo (pag. 424). Come per prodigio, il vecchio si è rizzato in piedi, sostenendosi da solo e gran deggiando su tutti « con la maestà del suo aspetto, con la forza del suo sguardo, con i segni del suo dolore augusto ». Prende con ambo le mani la spada, « e par che i suoi occhi non vedano più altro che quella lama nuda: e nella luce di essa l’ombra del figlio perduto». Una pausa tesa, fra lo stupore attonito di tutti. Poi tre ampi squilli dell’orchestra digradanti di forza, fermati in un acuto pedale pianissimo, e il vecchio inizia il suo monologo, lo sguardo fisso sul ferro, in un’atmosfera di allucinazione riecheggiante qua e là, come voce spersa, il tema di Marino. Avvicinando la spada alle labbra, Orseolo la bacia una, due, tre volte, — per l’esilio - e per la gesta eroica - e per la morte... Un’intensa emozione invade i presenti. Nessuno osa parlare. Padre e figlia soltanto, l’uno nel suo calmo delirio, l’altra mormorando accenti di supplice preghiera (Signore Iddio, che il babbo possa in pace finire la sua vita! Ch’egli possa sgombrar la mente e il cuore d’ogni sospetto impuro, d’ogni rancore ingiusto!) levano la loro voce nell’intenso e commosso silenzio. Lievemente appoggiati, nella consolatrice dolcezza di un re maggiore in cui si è finalmente risolto l’acuto pedale precedente, sommessi accordi sostengono un’ultima larghissima tra sfigurazione del tema di Orseolo, in un intensissimo pp dell’intera massa dei violini, disteso in otto battute (pa gina 426 e segg.), poi ripreso e riportato progressiva mente verso la sua notazione più serrata (pag. 430) all esclamazionc di Orseolo, largamente cantata 112 ORSEOLO Eri l’ultimo, ed in te vedea tuo padre splendere il futuro. Ora tutto di lui, dei suoi, sarà silenzio e oblio, quando i suoi occhi saran chiusi al mondo. E poi... E poi... A te non fan più velo terrene illusioni e umani inganni. Per esser là dove Iddio ti volle tu sai, tu sai... Qual’è la verità? Qual’è il dovere? Parlami. Un segno, dammi un segno. O figlio! Figlio! Invaso da un tremito, il vecchio si è appoggiato con tutto il corpo alla spada puntata in terra, che al peso si spezza, fra Forrore e il raccapriccio degli astanti. — E’ il segno della pace e del perdono, il Signore ha esaudito le preghiere di Marino! Rinieri si è slanciato per rialzare Orseolo. Forse generose parole son già sul suo labbro. Ma Orseolo lo investe, ancora nemico, ancora implacato. — Non sei ancora sazio? Che vuoi tu dunque ancora dagli Orseolo? Agli incisi ostinati del tema di Orseolo risponde squillante il fiero tema di Rinieri (pag. 438), che un irre sistibile impeto muove a ritorcer Foffesa con roventi, crudeli parole: — 0 implacabile vecchio, ma chi fu la prima, la sola causa della vostra e mia rovina? — Ma subito si pente, a un grido angosciato di Contarina, e si scosta, indietreggia verso la porta. — Non dovevo par lare!, — esclama dolorosamente. Ma un vecchio popo lano che è fra quelli dell’ambascieria lo ferma, lo con forta con parola di semplice, profonda saggezza, quasi ATTO TERZO 113 umano « commiato » del dramma. Di nessuno è la colpa, gli dice, nè dell’uno nè dell’altro. Ogni principio ha il proprio compimento. E una stella che cadde, anch’essa deve cadere, sino a spegnersi nel mare. S’ode di fuori il coro della Processione che s’avvi cina, recitando le litanie dei Santi, a semplice anda mento accordale. Grida di gloria a Marino Orseolo. Le trombe squillano il tema di Venezia (pag. 451), si ve dono dalle finestre i vessilli che s’inchinano davanti alla casa. Orseolo si è riavuto, ha udito il canto, che riprende allontanandosi. A un tratto reclina il capo, ridotto all’e stremo dalle emozioni e dagli sforzi compiuti. Soranzo gli si rivolge con affettuosa esortazione, indicando Contarina e Rinieri. Non vorrà indurlo l’ora tanto solenne a un atto di perdono e di bontà verso i due giovani, entrambi di lui degni? Ma ormai nulla più intende Orseolo, nulla più lo riguarda. Egli è giunto al termine, supremamente stanco. Come par meglio a voi, Signori... Come più vi convenga. Io sono troppo vecchio... Dalle finestre entra il caldo sole meridiano, ma egli le vuol chiuse, chè per lui, già sul limite, annotta, e ha freddo. Chiede il berretto di Marino, lo stringe, vor rebbe coprirlo di fiori e li cerca col braccio, non reg gendogli più la vista. Contarina intuisce, gli pone pie tosamente fra le mani una manciata di gigli, ed egli le stringe la sua, cercando la testa per accarezzarla. — Contarina! Figliola! Cara, cara... 114 ORSEOLO Le ultime parole, a Contarina che gli chiede di perdonarla, (— Perdonare... Abbiam tutti bisogno di perdono. Ad ogni colpa il suo castigo. E’ giusto.), esa lano dal suo spirito ormai pacato, rassegnato ad una suprema giustizia. — Signore Iddio... Venezia... — E ancora le parole del suo accorato vaneggiare : — Oh lasciatemi solo... solo... solo! Tutta l’ultima scena del dramma si svolge sopra un incessante ribattere di bassi su di un’unica nota pe dale che durerà fino alla fine del dramma. Vi si rileve ranno il tema di Marino, prima allargato in semiminime (pag. 456) con brevi entrate a canone, poi ristretto in un agitato disegno di semicrome, indi il .tema di Ve nezia (pag. 459) pure a richiami imitati, mentre riap pariranno le quintine del noto tema d’amore, successi vamente allargato in lenti, dolcissimi accordi. E’ Rinieri, è l’amore che attende. Rinieri esce silenziosamente. Contarina lo segue con lo sguardo, e poi ripete come a sè stessa, con un filo di voce, un nodo di pianto nella gola : — Là dove il nome tuo sarà soltanto Rinieri, e il mio soltanto Conta rina... (v. quadro I dell’atto, pag. 329). Già cereo e lontano è il volto di Orseolo, nè più risponde al richiamo ansioso della fanciulla, che rompe in pianto sulle ginocchia di lui. I servi s’inginocchiano. Un ultimo accenno al tema di Orseolo, e il dramma ha termine. OPERE E COMPOSIZIONI di ILDEBRANDO PIZZETTI (i) di proprietà G. RICORDI & C. LAVORI TEATRALI. DÈBORA E JAÉLE. Dramma in 3 Atti : — Partitura d’Orchestra - voi. rileg. in tela e oro . L. 100,— — Riduzione per Canto e Piano - ediz. di lusso in 8“ grande su carta a mano speciale, rileg. in cuoio bulgaro............................................................................ » 500,— — idem, in edizione comune.................................................... » 60,— ------- col testo tedesco di A. Briiggemann . . Mk. 15,— — Libretto, dello stesso Autore............................................. L. 5,— ------- col testo tedesco di A. Briiggemann . . . Mk. 1,20 LA SACRA RAPPRESENTAZIONE DI ABRAM E D’ISAAC. Scene bibliche in 3 Parti : — Partitura d’Orchestra - voi. rileg. in tela e oro L. — Riduzione per Canto e Piano..................................................... » — Libretto, di Feo Beicari.................................................................» 60,— 30,— 2,— FRA GHERARDO. Dramma in 3 Atti. Riduzione per Canto e Piano..................................................................................» 60,— ------- col testo tedesco di A. Briiggemann . . . Mk. 15,-— — Libretto, dello stesso Autore........................................................ L. 5,— ------- col testo tedesco di A. Briiggemann . . Mk. 1,20 LO STRANIERO. Dramma in 2 Atti. Riduzione per Canto e Piano ................................................................................ L. — Libretto, dello stesso Autore.........................................................» RONDÒ VENEZIANO. Azione coreografica. Tre visio ni veneziane. Riduzione facilissima per pianoforte » — Libretto, di Caramba.....................................................................» ORSEOLO. Drapima in 3 Atti. Riduzione per Canto e Piano............................................................................................... » — Libretto, dello stesso Autore..............................................................» (1) Per la Bibliografia vedi anche : Pag. 27. (Bollettino Bibliografico Musicale, Pizzetti. Pag. 113 (G. B. Paravia, 1935 - Torino). 50,— 5,— 10,— 1,— 50,— 4,— PILATI M. - Fra Gherardo, di I. Pizzetti. 1928, Milano). — GATTI G. M. - Ildebrando 116 OPERE E COMPOSIZIONI DI I. PIZZETTI CANTO E PIANOFORTE. Didattica. Tre Vocalizzi: voce grave per voce acuta, per voce media, per — Fanno parte della Raccolta: Autori diversi. Voca lizzi nello stile moderno, 1° Serie (E.R. 1046, 1047, 1048) cad. Composizioni a una voce. Tre Canzoni, su poesie popolari italiane (S). Riduzione dall’originale per Canto e Quartetto d’Archi — 1. Donna lombarda (120236)............................................. — 2. La prigioniera (120237).................................................. — 3. La pesca dell’anello (120238) Tre Sonetti del Petrarca: — 1. La vita fugge e non s’arresta un’ora (MS-Br) (119228) ...................................................................... — 2. Quel rosignuol che sì soave piagne (S-T) (119229) ...................................................................... — 3. Levommi il mio pensiero in parte ov’era (MSBr) (119230) ................................................................. all’« Acamennone » di Eschilo per Or chestra e Coro a 5 voci miste. Riduzione dell’Autore (122078) .................................................................................. Introduzione Altre Cinque Liriche: — 2 Canti d’amore: — 1. Adjuro vos, filiae Jerusalem - dal Canticum Canticorum (MS-Br) (122835)................................ — 2. Oscuro è il ciel. Versi di G. Leopardi (dal greco di Saffo) (MS-Br) (122836) . . . . — 3 Canti greci - su parole di canti popolari greci, tradotti da P. Bondioli: — 1. Augurio (MS-Br) (122837)...................................... — 2. Mirologio per un bambino (MS-Br) (122838) ! ....................................................... — 3. Canzone per ballo (S-T) (122839) . . . . OPERE E COMPOSIZIONI DI I. PIZZETTI 117 CANTO E QUARTETTO D’ARCHI. Tre Canzoni (S) - Partitura in-16" (120234)........................................L. — Parti staccale degli Archi in-4° (120235) . . . . I. Donna lombarda — 2. La prigioniera — 3. La pesca dell’anello. » 15,— 15,— CORI A VOCI SOLE. Due Canzoni corali (testo italiano e francese): — 1. Per un morto ■ a 4 voci maschili - Partitura (120225).....................................................................................» .5 — — Parti staccate : — Tenori I e II (uniti) (120920).................................. » — Bassi I e II (uniti) (120921).................................... » 1,50 1,50 — 2. La Rondine - a 6 voci miste ■ Partitura — — — — — » 5,— Parti staccate : Soprani I e II (uniti) (120922)................................ » Contralti (120923)...................................................» Tenori I e II (uniti) (120927)...................................» Bassi (120928).................................................................... » (120226) 2,— 1,50 2,— 1,50 Messa di requiem - per voci miste - Partitura (119490) » 15,— » 6,— 6,— voci miste - Partitura (119755)....................................................... » 7,— — Parti staccate: — Soprani e Contralti (uniti) (119491) . . . . — Tenori e Bassi (uniti) (119492)............................... » Sanctus ( dalla Messa di requiem ) per triplo Coro, a PIANOFORTE A QUATTRO MANI. Concerto dell’Estate. Riduzione (Pilati) (121220) . , » 20,— (Pilati) (121075)............................................................................. » 12,— Tre Preludi per l’« Edipo Re » di Sofocle. Riduzione DUE PIANOFORTI. Canti della stagione alta. Concerto per Pianoforte e Orchestra. Riduzione (Zanon) ( 122911)........................................ » 15,— 118 OPERE E COMPOSIZIONI DI I. PIZZETTI VIOLINO E PIANOFORTE. Tre Canti (119894).....................................................................................L. 1. Affettuoso — 2. Quasi grave e commosso — 3. Appassionato. Canto, dal Vocalizzo per voce media: b ) Quasi lento. Trascrizione (Corti) (122452).................................................... » 12,— 5,— VIOLONCELLO E PIANOFORTE. Tre Canti (119895)..................................................................................... » 12,— 1. Affettuoso — 2. Quasi grave e commosso — 3. Appassionato. Sonata in Fa (119404).................................................................................» 24,— Movimento di danza, dal Vocalizzo per voce acuta: a ) Allegretto vivace e leggero. Trascrizione (Silva) ( 122429)................................................................................................ » 5,— MUSICA DA CAMERA. Trio in La, per Violino, Violoncello e Pianoforte - Par titura e Parti (119896).............................................................................» — Partitura in-ló" (119985).................................................................. » 20,__ 12,— 1. Mosso arioso - 2. Largo - 3. Rapsodia di settembre. Quartetto in Re, per 2 Violini, Viola e Violoncello Partitura in fac-simile dell’autografo (123151) » 30,__ — Parti staccate (123152).....................................................................» . . 305__ COMPOSIZIONI SINFONICHE. (Partiture d’Orchestra). Concerto dell’Estate, in 3 tempi - Materiali di noleggio — Partitura in-16° (121027)..........................................................» 1. Mattutino - 2. Notturno - 3. Gagliarda e Finale. 20,_ Tre Preludi per l’« Edipo Re » di Sofocle - Materiali di noleggio...................................................................................... »________ — Partitura in-16° (119226).................................................... » 25,__ Rondò veneziano - Materiali di noleggio............................................»________ — Partitura in-16“ (121575).....................................................» 20,__ OPERE E COMPOSIZIONI DI I. PIZZETTI di Eschilo, per or chestra e coro - Materiali di noleggio.................................. L. — Partitura in-16° (122069).................................................. » 119 Introduzione all’« Agamennone » Preludio, da «Lo Straniero » - Materiali di noleggio » — Partitura in-16° (122180).................................................. » Coro o senza) Materiali di noleggio................................................................ » — Partitura in-16° (122169).................................................. » —,— 12,— —,— 10,— L’Ultima caccia di Sant’Uberto (con per Pianoforte e Orchestra - Materiali di noleggio............................................. » — Partitura in-16° (122812)................................................... » —,— 8,— Canti della stagione alta. Concerto Do, per Violoncello e Orchestra - Materiali di noleggio...................................................................................... » —,— 30,— Concerto in —,— PICCOLA ORCHESTRA. con Pianoforte conduttore. ERA GHERARDO. 2 Fantasie (Sirlen Milanesil: — 1. Fantasia — 2. Fantasia (121796)............................................................» (121797)............................................................» 12,— 12,— LA SACRA RAPPRESENTAZIONE DI ABRAM E DI ISAAC. 2 Pezzi (De Cecco): — Intermezzo (121946)............................................................» — Danza (121947) ..... ..................................................................» 8,— 12,—