inscena A destra, Manuela Uhl (Chrysothemis) e Jeanne Michèle Charbonnet (Elektra) nell’opera di Strauss diretta da Leopold Hager alla Deutsche Oper Berlin; sotto, Fabrizio Meloni e Nazzareno Carusi AMBURGOMeloni e Carusi È stata la prima collaborazione fra l’Istituto Italiano di Cultura di Amburgo e la Johannes-Brahms Gesellschaft della stessa città, alla quale faranno seguito altri concerti con altre istituzioni. Ed è stato il primo incontro con un modo di leggere Brahms che nella Germania del nord è impossibile trovare e perciò è risultato del massimo interesse. Soprattutto la parte pianistica della Sonata in mi bemolle maggiore op. 120 del compositore amburghese è stata eseguita in modo completamente nuovo e pieno di spirito, libero da patetismi e toni pesanti. Gli ascoltatori suoi concittadini, assuefatti a un certo modo di suonare il loro Brahms, hanno provato e accettato la magnetica scossa data loro dalla novità del non-legato del pianista Nazzareno Carusi, il quale comunque non ha negato, a suo piacere e di tanto in tanto, suoni pieni e intensi, tradizionalmente alla Brahms. Nel contempo, dal clarinettista Fabrizio Meloni sono arrivati colori dalle sfumature eleganti e di estrema delicatezza. Nel Gran duo concertante op. 48 di Weber entrambi i musicisti hanno brillato d’un livello tecnico incredibile e spericolato. Un insieme praticamente perfetto e una scala completa di espedienti espressivi hanno fatto dell’ascolto di questo capolavoro – raramente eseguito e spesso sottovalutato – un’avventura indimenticabile. La stessa cosa si dica della Sonata di Francis Poulenc, uno dei tre capolavori che il compositore ha dedicato agli strumenti a fiato con pianoforte. La serata era iniziata con cinque Sonate di Domenico Scarlatti, che Carusi ha presentato con un’arte del suono-secco assolutamente anticonvenzionale. La rinuncia a ogni tipo di legato è risultata anche qui sommamente vivificante e sarebbe stato certamente meraviglioso continuare ad ascoltare ancora altri gioielli di tale fattura. Il Duo, sommerso dagli applausi, ha ringraziato il pubblico con un’improvvisazione sull’Oblivion di Astor Piazzolla. Cord Garben BERLINOElettra e Cassandra La telepatia musicale di Strauss e Gnecchi L a Deutsche Oper di Berlino ha voluto riaprire, a cent’anni di distanza, quel famoso caso che volle individuare nell’Elektra di Richard Strauss, rappresentata a Dresda nel 1909, una sorprendente “telepatia musicale” in rapporto alla Cassandra del più giovane italiano Vittorio Gnecchi, su libretto di Illica, data a Bologna nel 1905 con la direzione di Toscanini. Avrebbe l’uno preso dall’altro? A Berlino per la prima volta i due lavori sono stati dati in forma consequenziale, anche se ciò, nelle intenzioni della regista e sovrintendente Kirsten Harms, avveniva più sulla base della successione narrativa della tragedia greca. In Cassandra Agamennone fa ritorno da Troia portando con sé la veggente e viene ucciso dalla moglie Clitennestra, nel frattempo concubina di Egisto, per vendicarsi del sacrificio della comune figlia Ifigenia; in Elektra la protagonista attende il ritorno del fratello Oreste, che vendicherà il padre uccidendo Clitennestra ed Egisto. Ma sulle identità o non identità musicali fra le due opere si è versato molto inchiostro; lo stesso Giovanni Tebaldini ritirò la mano dopo aver gettato il sasso, dicendo di non aver mai parlato di plagio, e peraltro aveva agito in malafede incollando frammenti di Cassandra per mostrare identità con Elektra. Gnecchi affermò di aver dato due volte il proprio spartito a Strauss, che avrebbe ringraziato per lettera: ma Gnecchi non la mostrò mai, sempreché esistesse, perché oggi non esiste, come non esiste traccia di Gnecchi nell’archivio di casa Strauss, che in pubblico non fece mai parola del “caso”. Se mai Strauss ha avuto Cassandra, ha letto la prima e l’ultima pagina: il gesto d’attacco di Cassandra è quasi identico a Elektra, identica è la tonalità, mentre nel finale della prima la protagonista invoca Oreste come farà Crisotemide nel finale di Elektra. Per il resto, il confronto mette in evidenza le differenze: Gnecchi era un promettente compositore d’opera italiana che guardava alla civiltà strumentale tedesca, mentre il sommo Strauss era tedesco fino al midollo. Il canto spiegato di Gnecchi condivideva qualcosa col verismo di un Giordano e col giovane Puccini, ma era rivestito da un’orchestra lussureggiante il cui modello poteva anche essere lo Strauss dei poemi sinfonici, ma che trova più affinità col viennese Zemlinsky, con Korngold, col tedesco Schreker, a sua volta intriso di puccinismi. Certo all’epoca nessuno in Italia orchestrava nel modo maiuscolo di Gnecchi, e Puccini lo farà in altra maniera. Però Elektra è altra cosa, la sua forza implacabile, oltre che da soluzioni radicali, viene dalla serrata drammaturgia che si serve dei motivi conduttori; non vi è neppure il coro che, invece, in Cassandra commenta alla maniera della tragedia greca. Lo stesso Tebaldini si difese affermando poi che le due opere non potevano essere paragonate: la direzione di Leopold Hager ha ampliato il solco, ma d’altronde l’orchestra conosce Elektra a menadito, mentre leggeva Cassandra per la prima volta. Giangiorgio Satragni 12 09-19 in scena e Addii 3.indd 12 15-01-2008 9:41:39