Se Francesco «sfascia tutto»? A tu per tu con chi teme “ io non mi vergogno del vangelo “ Luigi Accattoli T orno sull’allarme che papa Bergoglio provoca in alcuni tra la festa dei più. Anch’io sono in festa ma sto attento all’allarme, che immagino crescerà. Non mi ingegno a rintuzzarlo perché vedo che lo fanno in tanti. Mi studio di capirlo esaminando le doglianze dei delusi come si esprimono nel mio blog. Qualcosa ho già fatto qui e nel volumetto EDB Il vescovo di Roma. Gli esordi di papa Francesco, con un excursus su «I delusi da Francesco». Ma l’ho fatto per doglianze: trauma delle dimissioni di Benedetto, sorpresa per l’elezione di chi non era stato eletto nel 2005, segni di discontinuità posti da Francesco fin dal primo affaccio. No: stavolta voglio procedere per persone, ad personam. Credo sia più fruttuoso, aiuta a uscire dagli schieramenti. Parto dal blog perché conosco i miei polli Metterò a fuoco gli argomenti e la sofferenza di ognuno che si lamenta, protesta, inveisce. Li studierò per intendere il peso che si trovano a portare. Per aiutare me a capire Bergoglio e loro ad amarlo. Comprendendo la loro delusione, posso forse aiutarli con il mio modo di narrare Francesco. Parto dal blog perché conosco i miei polli. I blog non sono adatti al dibattito perché esaltano la conflittualità, ma sono utili per studiare i conflitti. L’anonimato favorisce la sincerità e il radicalismo che portano le posizioni al calor bianco. Così accalorate esse risultano viepiù inconciliabili, ma possono venirne delle buone lastre con contrasto. È ciò che voglio tentare. Inizio dal più amichevole e pensoso tra i visitatori del blog che resistono a papa Bergoglio. Si firma Fabrizio, interviene poco ma legge sempre e mai sragiona. È un cultore della liturgia e del canto. Come biglietto da visita mette, sotto lo pseudonimo, il link al sito www.laetare. it. Il suo primo commento su Francesco partiva dal canto: «Ora abbiamo un papa santo che ahimè non canta (probabilmente perché non sa cantare). Certamente oggi la Chiesa ha bisogno di ben altro rispetto a un papa intonato, ma è altrettanto certo (se certi sono i documenti conciliari) che recitare quello che dovrebbe essere cantato è un difetto (passatemi il termine) e non un pregio. Detto questo, lodo lo Spirito Santo per l’elezione di Bergoglio» (2 aprile 2013). Era un commento che reagiva a una mia segnalazione di qualche voce – nella blogosfera – che rimproverava al nuovo papa di non cantare. Insistevo ricordando Paolo VI che s’impegnava a cantare non essendone capace e chiedevo: «Non è meglio per tutti se un papa stonato non canta?». E Fabrizio tenace nel suo solco: «Certo che è meglio, ma ancor meglio sarebbe se fosse intonato, o se da giovane seminarista si fosse formato in materia come Concilio comanda (cf. Sacrosanctum concilium, n. 115). Ormai da papa ha ben altro da fare» (3 aprile 2013). La questione del canto veniva posta in quei giorni al portavoce Lombardi che provava a fronteggiarla con humour ricordando il detto che i gesuiti «nec rubricant nec cantant». «Spiegazione infelice – ribatte Fabrizio – perché né i gesuiti né altri sono esentati dal seguire la Sacrosanctum concilium». Altro disappunto liturgico segnalato da Fabrizio il 9 aprile 2013: «Il papa decide di tagliare la Liturgia della Parola della Veglia pasquale, eliminando tre letture e leggendo in forma breve la prima e nessuno dice niente» (9 aprile 2013). Quel taglio è previsto dalle rubriche e riduzioni simili le attuavano tutti i papi, da quando sto dietro a loro, e quasi tutti i vescovi e i parroci. Benedetto faceva quattro letture del Primo Testamento, Francesco in questi primi due anni ne ha fatte tre. Una riduzione identica a quella di papa Bergoglio l’ho vista, quest’anno, nel santuario di Campocavallo, Osimo, che è affidato ai Francescani dell’Immacolata, non certo tendenti a libertà liturgiche. Faccio questi richiami per chiarire che io sono vicino alla sensibilità che muove Fabrizio, preferendo che non si tolga né s’abbrevi nessuna delle sette letture e che la Veglia attraversi la notte, ma gli dico: con quello che succede in cielo, sulla terra e sotto la terra, lui e io staremo qui a misurare la differenza tra quattro letture e tre letture? Dove ci porteranno tutte queste discontinuità Fabrizio non prende bene il ritorno nelle mani del papa del crocifisso pastorale di Paolo VI: «Nell’Ottava di Pasqua, quando ci si aspetta che tutto parli di risurrezione, decide di abbandonare la croce vuota e gloriosa con al centro l’Agnello pa- Il Regno - attualità 10/2014 367 «Preferisco mille volte una Chiesa incidentata» La conclusione è allarmata: «Per quel che vale il mio parere (cioè nulla) a tutto questo può porre rimedio solo Francesco, pesando meglio quello che dice alla luce del magistero dei predecessori. In altre parole, o la rivoluzione di Francesco si sviluppa in una chiara e netta continuità dottrinale di fondo con i predecessori, oppure essa correrà il rischio reale di sfasciare tutto». Il giorno dopo – 26 aprile 2014 – Fabrizio commenta ancora a partire dall’affermazione papale «chi sono io per giudicare»: «In sé è una frase 368 Il Regno - attualità 10/2014 impeccabile, persino banale. Peccato che ancora ieri sia stata usata da Vargas Llosa per dare dei trogloditi ai vescovi peruviani colpevoli di ribadire la visione antropologica di Giovanni Paolo II. Una parola di chiarimento sarebbe troppo? Altrimenti devo pensare che il fraintendimento sia voluto». Credo che l’uscita predicata e praticata da Francesco comporti rischi reali. Il dialogo con Scalfari, la telefonata a Pannella, quel motto rivolto ai gay sono uscite. Quando si esce si esce: «Preferisco mille volte una Chiesa incidentata (…) che una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite!» (Francesco, 18 maggio 2013; Regno-doc. 11,2013,321s). Io sono per l’uscita, ma trovo sincera la preoccupazione di Fabrizio. Solo lo invito a guardare più ampiamente per vedere anche il rischio di morire per asfissia qualora decidessimo di non uscire. Furoreggia l’avversativa «mi piace / non mi piace» L’urgenza di uscire dal modello di «Chiesa costituita» della tradizione europea era risultata evidente nelle giornate del Sinodo del 2012, che mostrarono i padri europei serrati a testuggine nella tristezza, di rimpetto alla gioia del Vangelo attestata dagli altri. Provvidenzialmente il Conclave, cinque mesi dopo, decise l’uscita, non perché ne fosse garantito l’esito ma perché dentro mancava il respiro. Una buona maggioranza dei cardinali elettori veniva dal Sinodo e sapeva quale favola esso avesse narrato. “ io non mi vergogno del vangelo “ squale e alle estremità i simboli dei quattro evangelisti testimoni dell’evento, che rappresenta proprio la risurrezione, per tornare al crocifisso dell’uomo dei dolori che rimanda al Venerdì di passione» (9 aprile 2013). Il buon Fabrizio affronta poi questioni più complesse: come mai nel 2013 sia stato eletto il cardinale che non era stato eletto nel 2005 e se ciò non implichi un giudizio negativo del Conclave sul pontificato benedettiano; Francesco che si è mostrato «estremamente avventato» ad affidarsi a un interlocutore come Scalfari; dove ci porteranno le discontinuità bergogliane. Sulle discontinuità così argomenta il 25 aprile 2014: «Con Francesco stiamo assistendo a una situazione mai vista nella storia recente della Chiesa. È chiaro che ogni papa aveva il suo stile, i suoi umori e la sua sensibilità, spingendo il suo programma su un aspetto piuttosto che su un altro, fino ad arrivare a innovazioni profonde. Di conseguenza il singolo fedele poteva avere più feeling con un papa rispetto a un altro e arrivare pure a sentirsi stretto all’interno di un pontificato, ma sulle questioni di fondo non poteva (in onestà) imputare alle parole di quel papa nulla che si discostasse dall’insegnamento precedente della Chiesa. Ora per la prima volta abbiamo un papa che tra le tante sue esternazioni a diversi livelli dice (o quantomeno lascia intendere) cose che smentiscono quanto sostenuto dai predecessori». Dico dunque a Fabrizio e agli altri che sentono come lui: un Conclave compie un tale passo epocale e noi ci tormenteremo sul perché lo faccia nel 2013 invece che nel 2005? Nel tentare quel salto senza rete ci si affida a un uomo che non canta e noi staremo male per questo? I delusi da Francesco, li chiamo io. Altri li chiamano diversamente. «I detrattori» è un capitolo del volume Francesco. Vita e rivoluzione di Elisabetta Piqué (Lindau 2013). «Chi resiste a Francesco» è un titolo del libretto di Gianni Di Santo, Chiesa anno zero. Una rivoluzione chiamata Francesco (San Paolo 2014). Dall’altro versante furoreggia l’avversativa «mi piace / non mi piace», che fa il verso sia al linguaggio canalizzato dei social network sia al «placet - non placet» ecclesiastico: «Questo papa non ci piace», famoso articolo di Gnocchi e Palmaro che ora è al centro del volume di Giuliano Ferrara, Questo papa piace troppo (Piemme 2014). Le sorprese di Dio e le paure degli uomini La controversia su Francesco è vasta. «Le paure anacronistiche di alcuni ambienti ecclesiastici» è un capitolo di Bartolomeo Sorge nel libro Con papa Francesco oltre la religione della paura (Piemme 2014). «Da quali nemici si deve guardare?», chiede Aldo Maria Valli a Enzo Bianchi nel volume Le sorprese di Dio. I giorni della rivoluzione di Francesco (Àncora 2013). Poi magari diventano detrattori e anche nemici, ma all’inizio sono delusi e preoccupati, come il mio visitatore Fabrizio. Delusi nell’amore addirittura. Perché un papa ti arriva come la pioggia e tu puoi trovarti senza ombrello. Da quando fu eletto Roncalli all’anno scorso, di quante fatiche di Ercole sono stato testimone: umorali, teologiche, ideologiche. Le più dure le ho viste nel 2005 e le rivedo oggi, con il cambio campo. Io non le ho mai patite ed è per questo che mi adopero a ridurre la fatica altrui. Continuerò nell’impresa con altre divagazioni ad personam. www.luigiaccattoli.it