ENIGMI ASTRONOMICI DELLA DIVINA COMMEDIA L'Astronomia della Divina Commedia è basata sull’astronomia tolemaica, universalmente accettata nel Medio Evo; l'astronomia geocentrica che dall’antichità greco-alessandrina era giunta, attraverso gli Arabi, all'Occidente Cristiano. Dante dimostra di possedere ampie e rigorose conoscenze astronomiche che utilizza per costruire tutta la struttura architettonica dello spazio entro il quale si svolge la vasta azione del Poema, in particolare del "Paradiso", nel quale l'antico sistema di Tolomeo diventa la sede del cielo teologico cristiano, con i suoi splendori ed i suoi angelici canti. Ma è dell'Astronomia sferica, dell’Astronomia della Sfera Celeste, con i suoi sistemi di circoli ed i suoi astri ruotanti (per effetto del moto apparente diurno intorno alla Terra sui loro paralleli) che Egli fa maggiormente uso, sia nel distribuire seconda una precisa collocazione nel tempo gli episodi del Poema, sia nelle descrizioni, nelle quali l'impareggiabile maestria dell'Artista si unisce sempre alla perfetta rigorosità dell'Uomo di Scienza. Dante, infatti, fu anche Uomo di Scienza. Fu Uomo di Scienza del Medio Evo, un'epoca in cui la Scienza era ben diversa dalla nostra; era erudizione, dottrina, acquistata attingendo alle grandi fonti della Cultura antica ed attraverso meditazioni ed elaborazioni nelle quali, insieme ai primi elementi di una scienza appena nascente, si mescolavano la Teologia, la Filosofia Scolastica, la Fisica Aristotelica, l'Astrologia e la magia. Da questo mescolamento di differenti campi del Sapere nascevano spesso strani accostamenti fra gli elementi più disparati. Ad esempio, nel "Convivio" Dante fa corrispondere gli aspetti e le influenze dei sette pianeti alle proprietà delle sette arti del Trivio e del Quadrivio! Nasceva, inoltre, un'altra tendenza della Cultura Medioevale che era quella di ricorrere al simbolismo, all’allegoria, ai significati reconditi; quella del parlare "velato", del nascondere "Sotto il velame de li versi strani" (dirà Dante) i veri significati. I concetti apparivano tanto più alti e degni, quanto più la loro forma era enigmatica. Dante non sfugge a questa tendenza, anzi offre nel suo poema uno dei più grandi esempi, perché tutta la Divina Commedia è allegoria e simbolismo; anche il suo contenuto astronomico è ricco di simboli e d’enigmi. Un primo enigma Dante lo presenta iniziando il suo viaggio in un giorno di cui indica la data indirettamente, dando indicazioni astronomiche e indicazioni storiche o di fatti particolari, dalle quali quella data potrebbe essere dedotta se non conducessero a conclusioni discordanti. E' ben noto che, per la maggioranza dei commentatori, l'anno in cui il Poeta collocherebbe il suo mistico viaggio è il 1300, tra la fine di marzo e i primi giorni d’aprile. A questa conclusione porterebbero numerose indicazioni di carattere non astronomico che si trovano in passi diversi del Poema: - L'età di Dante (Inferno I); - La profezia di Ciacco (Inferno VI, 67-68); - La profezia di Farinata (Inferno X, 72-81); - La morte di Guido Cavalcanti (Inferno X, 110-111); - L'episodio di Casella (Purgatorio II, 98-99), - L'età di Can Grande della Scala (Paradiso .XVII, 79-81); - La profezia di Corrado Malaspina (Purgatorio VIII, 133-135). Si potrebbero aggiungere altre indicazioni ricavandole da fatti di quei tempi, come il Priorato di Dante, L'Anno Giubilare, ecc. Si tratta di passi nei quali sono indicati avvenimenti di data più o meno incerta, o di passi di incerta interpretazione, che sottoposti al vaglio di una critica rigorosa non consentirebbero, considerati singolarmente, di giungere ad una conclusione sicura; se vengono, però, considerati nel loro insieme possono rappresentare un convincente argomento a favore della tesi del 1300. Ma Dante ci dà anche indicazioni astronomiche rigorose sulle posizioni del Sole, della luna, di Venere, di Saturno, all'inizio e durante lo svolgersi del viaggio; posizioni che, confrontate con quelle ricavate dai calcoli astronomici, dovrebbero indicare le date di quei giorni senza alcuna possibilità di dubbio. I calcoli astronomici ed il confronto con le posizioni indicate da Dante, sono stati eseguiti dal Prof. Filippo Angelitti (Direttore dell'Osservatorio Astronomico di Palermo ed illustre dantista), che nel 1897 presentava all'Accademia Pontaniana di Napoli una sua memoria dal titolo "Sulla data del viaggio dantesco desunta dai dati cronologici e confermata dalle osservazioni astronomiche riportate nella Commedia". Dallo studio del Prof. Angelitti (poco considerato nei commenti) emerge che esiste una data, quella del 25 marzo 1301, che soddisfa rigorosamente a tutte le condizioni astronomiche che Dante ha indicato nel Poema. Tali condizioni sono: • Il Sole in Ariete; • La coincidenza dell'inizio del viaggio con un plenilunio; • La posizione di Venere mattutina nei Pesci; • La posizione di Saturno nel Leone. Esaminiamole brevemente. La posizione del Sole nel segno dell’Ariete (di poco successiva all'equinozio di Primavera) è indicata nel canto I (38-40) dell’inferno, nel canto IV del "Purgatorio" (61-66) e nel Canto I (43-45) del "Paradiso”. Nel canto I dell’inferno (38-40) infatti, si legge: Temp’era dal principio del mattino, e ’l sol montava ‘n sù con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino mosse di prima quelle cose belle; I versi indicano che siamo all’inizio della primavera, stagione in cui (secondo una credenza del medioevo cristiano) ebbe luogo la creazione del mondo, ed il sole compie nel cielo il suo percorso insieme alla costellazione dell’ariete. L'indicazione del plenilunio è data da Virgilio nel Canto XX dell'Inferno (126-128): E già iernotte fu la luna tonda; Ben ten dee ricordar, chè non ti nocque Alcuna volta per la selva fonda. La "notte" è quella che Dante trascorre errando nella selva; la "luna tonda" è quella del plenilunio che, secondo i calcoli astronomici, avvenne proprio fra il 24 e il 25 marzo 1301, trovandosi il Sole nel 12° grado dell’Ariete e la Luna a 192° di longitudine celeste, ossia a 180° di differenza di longitudine dal Sole, condizione necessaria al verificarsi del plenilunio. La posizione mattutina di Venere è indicata dai ben noti e bellissimi versi del canto I del "Purgatorio" (19-21): Lo bel pianeto che d’ amar conforta Faceva tutto rider l'oriente, Velando i Pesci ch'erano in sua scorta. Siamo allo spuntare del giorno e Venere illumina la parte orientale del cielo, nascondendo con la sua luce la costellazione dei pesci. del sole) Venere quindi (nei pesci) precedeva (si trovava a ponente il sorgere del sole che era nell’ariete. Tale condizione si presentò perfettamente, secondo il calcolo astronomico, proprio in quei giorni del marzo 1301; mentre negli stessi giorni del 1300 Venere era a levante del Sole, nella costellazione del Toro, ed era visibile di sera. Se si volessero prendere in seria considerazione le indicazioni astronomiche di Dante, la posizione di Venere indicata nel Canto I deI "Purgatorio", dimostrerebbe, da sola, senza possibilità di dubbio che l'anno 1301, indicato dall'Angelitti, è veramente quello nel quale il Poeta immaginò di compiere il suo viaggio. Sennonché, i commentatori non hanno preso in seria considerazione il valore scientifico di quell’indicazione ed hanno preferito considerarla come una creazione della fantasia dell'Artista, come un abbellimento scenico e poetico, senza tenere conto che Dante descrive la posizione mattutina di Venere non solo nel Canto I del "Purgatorio”, ma anche nel Canto XXVII, quando alla fine del terzo giorno della salita al Monte, si addormenta e gli appare in sogno la bellissima visione di Lia (95-100): Nell'ora, credo, che dall'oriente Prima raggiò nel monte Citerea, Che di fuoco d'amor par sempre ardente, Giovane e bella in sogno mi parea Donna veder andar per una landa Cogliendo fiori; E' un sogno premonitore, di quelli che appaiono verso l'alba; e Venere, secondo il calcolo, sorgeva proprio verso le 3h del mattino, all'alba. Ed infine, della posizione di Saturno il Poeta dice, nel canto XXI del "Paradiso" (13-15): Noi sem levati al settimo splendore, Che sotto il petto del Leone ardente Raggia mo misto giù del suo valore. L'indicazione "Sotto il petto" ben si addice alla posizione che il pianeta aveva, secondo i calcoli nel marzo 1301, che si trovava a 143° di longitudine, vicinissima alla stella Regolo (costellazione del leone). Si potrebbero citare altre indicazioni astronomiche a sostegno della data del 1301 e in contrasto con quella del 1300, ma la questione rimarrebbe ugualmente insoluta. Se si accetta la data del 25 marzo 1301, cadono tutte le interpretazioni favorevoli al 1300 offerte dai passi non astromici, il che sembra una conclusione molto azzardata. Se invece si accolgono le indicazioni di carattere non astronomico (secondo la consuetudine tradizionale) e quindi la data del 1300, allora bisogna negare ogni valore scientifico alle indicazioni astronomiche di Dante, il che sembra essere una conclusione non meno azzardata della prima, perché in contrasto con tutto il rigoroso contenuto astronomico del Poema e con la profonda conoscenza che Dante aveva dell’Astronomia. Se vogliamo salvare il 1300 senza respingere del tutto l'astronomia dantesca, possiamo ripiegare su una parola: enigma! Enigma astronomico la fulgida Venere di quel meraviglioso mattino! E il Plenilunio che rischiarò con la sua debole luce la "selva fonda" allo smarrito Poeta? Altro enigma, perché alle date del 1300 sostenute dai commentatori, non avvennero pleniluni, salvo un plenilunio del 5 aprile; data che appare troppo in ritardo rispetto a quella dell'equinozio, che era il 12 marzo e vicino alla quale Dante ha voluto collocare l'inizio del viaggio. Tutta la questione della data della Visione dantesca deve essere considerata un enigma, uno dei tanti che il Poeta ci ha lasciato e sul quale, forse, mai sarà detta l'ultima parola. Esaminiamo altri enigmi astronomici che Dante ci presenta, forse intenzionalmente, adombrando con l'allegoria la descrizione scientifica. Dopo aver contemplato "lo bel pianeta che ad amar conforta", Egli, che era rivolto a oriente, si volgea a destra (Purgatorio I, 22-24): lo mi volsi a man destra, e posi mente All'altro polo, e vidi quattro stelle Non viste mai fuor ch'alla prima gente. Notate l'esattezza di quel volgersi a destra, al polo sud, per osservare le misteriose quattro stelle. Alle quattro stelle può essere attribuito il ben noto significato simbolico delle quattro virtù cardinali, purché non si pretenda di negare la "reale" esistenza di quelle stelle. Reale esistenza che non può essere negata, perché anche qui, Dante ne da conferma in un passo successivo, dove con un'altra bellissima descrizione, ricca di viva realtà, dice che il suo sguardo andava ancora al polo sud ed alle (Purgatorio VIII, 89-90) tre facelle, Di che il polo di qua tutto quanto arde. Le tre "facelle" del Canto VIII del "Purgatorio" hanno preso il posto delle "quattro stelle", dice Virgilio: Le quattro chiare stelle Che vedevi staman, son di là basse, E queste son salite ov'eran quelle. Qui troviamo delle condizioni astronomiche rigorose: era sera dopo "l'ora che volge al desìo", e le quattro stelle che alla mattina erano alte, vicine al polo, la sera dovevano essere prossime alIa culminazione inferiore ("di la basse"), mentre le tre facelle essendo "salite ov'eran quelle", dovevano mostrarsi alte e vicine al meridiano superiore. In termini astronomici, si direbbe che quegli astri dovessero avere tutti all'incirca la stessa declinazione e differire di circa 12h in ascensione retta. Quali erano le quattro stelle? Quali le tre facelle? Altri enigmi, anche se nulla vieta di pensare, in accordo con l’opinione comune e quantunque siano state formulate ipotesi attendibili, che Dante abbia voluto alludere alle quattro stelle che formano la Croce del Sud, delle quali poteva avere notizia dai cataloghi o dai globi arabi o dalle tavole Alfonsine o dal catalogo di Tolomeo, dove quelle quattro stelle erano indicate nella zona di cielo della Costellazione del Centauro. L'immagine della Croce è molto posteriore a Dante, risale ai nostri navigatori del 500, ad Andrea Corsali che chiamò quelle stelle: "Croce meravigliosa, la più gloriosa di tutte le costellazioni dei cieli". Vespucci, nel 1501, segnalò quelle stelle come "le stelle di Dante" e ne paragonò la figura ad una "mandorla"; Pigafetta disse di aver vistò "una croce di cinque stelle lucidissime". Più difficile, invece, si presenta l’identificazione delle "tre facelle", tenuto conto delle già dette condizioni astronomiche. A circa 60° di declinazione australe (corrispondente a quella della Croce del Sud) ed a 12h di differenza d’ascensione retta, si trova la stella Achernar ( α Eridani), ma non si trovano, infatti, altre "stelle" di prima grandezza. A questa difficoltà venne incontro con una sua bella interpretazione l'astronomo napoletano Ernesto Capocci (Direttore dell'Osservatorio di Capodimonte, patriota, esule politico, morto nel 1864), autore di un prezioso e rarissimo libretto dal titolo: "Illustrazioni astronomiche della Divina Commedia", dove, con arguta forma dialogica, immagina che un astronomo spieghi i significati dei passi astronomici del Divino Poema ad una dotta e curiosa dama. In questo libretto si trova una bella ipotesi sulle "tre facelle": una delle quali sarebbe la stessa Achernar, e le altre due sarebbero le Nubi di Magellano, luci celesti ben visibili ad occhio nudo, anch'esse indicate sui globi e sui cataloghi arabi e che occuperebbero posizioni abbastanza soddisfacenti alle suddette condizioni di declinazione e di ascensione retta (vicine al meridiano superiore quando le stelle della Croce sono prossime al meridiano inferiore). La stessa parola "facelle", usata in luogo di "stelle", farebbe pensare che Dante volesse indicare splendori celesti diversi dalle stelle, ma sempre splendori reali, visibili, oltre che allegorici. L'enigma è, però tutt'altro che sciolto! Veniamo al significato allegorico delle "quattro stelle". Nulla v'è da obiettare sulle quattro virtù cardinali e sulla loro scomparsa dalla nostra umanità corrotta, che spiegherebbe allegoricamente la scomparsa dal nostro cielo di quelle luci celesti, la cui vista avrebbe, invece, allietato la "prima gente". Chi fu la "prima gente"? Accettiamo l'opinione, ben fondata, che Dante abbia voluto alludere alle antichissime popolazioni bibliche che, dopo il diluvio, abitarono l'Armenia ed altre regioni dell'Asia Minore, la cui austera vita patriarcale fu certo illuminata dalla virtù ben più di quanto dovette esserlo la vita raffinata dei popoli venuti dopo. Tornando dal significato allegorico delle quattro stelle a quello letterale, come avrebbero potuto quelle prime popolazioni abitanti l'emisfero Nord, a circa 40° di latitudine, vedere le quattro stelle australi? Quella "prima gente" avrebbe potuto vedere la Croce del Sud che oggi non è visibile perché è compresa nella calotta circumpolare situata interamente sotto l'orizzonte? Avrebbero potuto! Perché ai tempi di quelle popolazioni, circa seimila anni fa, le stelle che oggi hanno una declinazione di 60° Sud (e non sono visibili a 40° di latitudine Nord) avevano, secondo il calcolo astronomico, una declinazione di 32° Sud e quindi erano visibilissime a quella latitudine Nord, perché passavano al meridiano superiore con una altezza di circa 20°. Scomparvero dopo, molto lentamente, nel corso dei secoli e dei millenni. E ciò è una ben nota conseguenza di quel lentissimo moto conico dell'asse terrestre che chiamiamo "precessione degli equinozi"; per il quale l'asse e l'equatore terrestri, e la Terra tutta, assumono differenti posizioni rispetto alle direzioni degli astri, e questi col trascorrere dei secoli, possono diventare da visibili, invisibili o viceversa, rispetto ai piani orizzontali di punti situati a latitudini diverse. Dante considera il fenomeno della precessione (scoperto da Ipparco nel II sec. A.C) e che nell'antico sistema astronomico di Tolomeo veniva attribuito ad una lenta rotazione verso levante della ottava sfera, la sfera delle stelle fisse, intorno ai poli dell'eclittica; nel "Convivio" cita Tolomeo, secondo il quale quella rotazione era di 1° ogni cento anni. Anche nella "Commedia" accenna alla precessione, "al cerchio che più tardi in cielo è torto", nel canto XI del "Purgatorio", ove Oderisi da Gubbio parla della caducità della fama mondana. Dunque è ben ammissibile che Dante, conoscendo quel fenomeno e le sue conseguenze, volesse proprio alludere alla scomparsa delle stelle della Croce dal cielo settentrionale, che avrebbe accompagnato lo sparire delle quattro virtù dalla nostra umanità. Così, troveremmo felicemente combinati il significato astronomico col significato allegorico di questo famoso passo. E con questa interpretazione (che è di Alessandro Hunbold) cadrebbe uno degli enigmi astronomici della Divina Commedia: quello delle "quattro stelle non viste mai fuor che alla prima gente". Un altro enigma, molto difficile a sciogliersi, ci si presenta nel Canto IX del "Purgatorio" (2-9) con la famosissima "Concubina di Titone Antico": Già s'imbiancava al balzo d'Oriente, Fuor delle braccia del suo dolce amico: Di gemme la sua fronte era lucente, Poste in figura del freddo animale, Che con la coda percuote la gente: E la notte dei passi, con che sale, Fatti avea duo nel loco ov'eravamo, E il terzo già chinava in giuso l'aIe; Qui l'enigma è anche un pò mitologico perché, secondo qualche commentatore, quella luce bianca, quell'aurora, che si annunziava ad oriente avrebbe imbiancato la massa delle acque marine rappresentata da Teti, figlia di Nereo e Doride, che secondo alcuni passi di autori classici sarebbe stata la concubina di "Titano", del Sole! Per tutti gli altri commentatori, la "concubina" è, invece, l’'aurora solare. Ed a giustificare l'appellativo di "concubina" dato a questa aurora v'è chi pensa che non potessero ritenersi legittime le nozze di Aurora, immortale, con Titone, mortale; ma v'è anche chi pensa, che, invece, quelle nozze fossero legittime, perché approvate da Giove e che quindi, l'appellativo di "Concubina" non si addicesse all'aurora solare, legittima moglie, bensì ad un altra aurora, più modesta, più umile, che rispetto alla sposa si trovasse in condizioni di inferiorità, di "concubina", quale, appunto, poteva essere l'aurora lunare. L'interpretazione favorevole all'aurora lunare prevale anche perché spiega meglio il significato dei versi: Di gemme la sua fronte era lucente, Poste in figura del freddo animale, Il "freddo animale" sarebbe lo Scorpione, la cui figura veniva ravvisata nella costellazione, molto bella, in cui brilla Antares; stella vicino alla quale, in quel giorno, secondo il calcolo astronomico, si sarebbe trovata la Luna; mentre il Sole, in Ariete, era lontanissimo dallo Scorpione. Vi sarebbero tante altre cose da dire su questo passo, che pone altri problemi nei versi successivi. Vengono assegnati diversi significati ai "passi" della notte, che secondo l'opinione più diffusa sarebbero le ore notturne che precedono la mezzanotte; e con le parole "nel luogo ove eravamo" il Poeta sembra voler distinguere il luogo nel quale immaginava di trovarsi, il Purgatorio, da quello a cui si riferirebbe la precedente descrizione dell'aurora, che dovrebbe essere l'Italia, forse Verona, ove effettivamente si trovava. Altri dubbi, dunque, ed altre dispute sulla scelta dell'una o dell’altra aurora: la lunare o la solare; e sul luogo ove quell'aurora appariva. Un altro grande enigma Dante ce lo presenta nel canto I del “Paradiso” (37-44) a proposito dei "quattro cerchi" e delle "tre croci", Surge ai mortali per diverse foci La lucerna del mondo; ma da quella, Che quattro cerchi giugne con tre croci, Con miglior corso e con migliore stella Esce congiunta, e la mondana cera Più a suo modo tempera e suggella. Fatto avea di là mane e di qua sera Tal foce, e quasi........... Il Poeta chiama "foci" i diversi punti dell'orizzonte dai quali il Sole sorge nel corso dell’anno. E' ben noto che il sole sorge tra il punto cardinale Est e il punto cardinale Nord in Primavera ed in Estate; e che quando il Sole è all'equinozio di Primavera, sorge dal punto cardinale Est insieme al primo punto dell’Ariete, o "punto γ ", nel quale l'equatore celeste incontra l'eclittica. Il punto cardinale Est è dunque la "foce" del sorgere del Sole al principio della Primavera; quando l'astro, sorgendo insieme al “punto γ” (la "migliore stella") diffonde sulla Terra, sulla "mondana cera", i benefici influssi della bella stagione che comincia. Il Poeta c’informa, negli ultimi versi citati, che in quel giorno l'equinozio era trascorso da poco, perché il Sole era sorto, apportando il mattino, "quasi" dal punto Est; "quasi" da quella "foce" per la quale passano quattro cerchi formanti tre croci. E ci dà così una prova di più della sua rigorosità astronomica, dimostrandoci di non trascurare il movimento diurno del Sole sull'eclittica anche per quei pochi giorni. Ma quali sono i "quattro cerchi"? Quali le "tre croci"? L’interpretazione più comune è la seguente. I quattro cerchi sono: 1) L'orizzonte astronomico, 2) L'equatore celeste, 3) L'eclittica, 4) Il coluro degli equinozi. Le tre croci sono formate dalle intersezioni (secondo angoli sferici non retti) dell'orizzonte con gli altri tre cerchi. Questa è l'interpretazione comune, nella quale appare evidente la preoccupazione di scegliere quattro cerchi su uno dei quali (l'orizzonte) è situata la "foce" vale a dire il punto Est; mentre all'incontro degli altri tre è situato il punto γ. Con tale scelta, la condizione di formare quelle tre croci con quei quattro cerchi si verifica solo limitatamente all'istante del sorgere del punto γ dal punto cardinale Est; istante che, secondo la terminologia moderna, è quello in cui è uguale a 6h il tempo sidereo locale. Solo in quell'istante, ogni giorno, i tre cerchi passanti per il punto γ formano le tre croci, tagliando l'orizzonte nel punto cardinale Est. E solo all'equinozio di Primavera, insieme al punto γ, incrocio di quei tre cerchi, per il punto Est sorge anche il Sole. In luogo delle circonferenze massime (che si intersecano sulla superficie della sfera secondo angoli sferici non retti) si potrebbero considerare i piani di quei circoli che si intersecano secondo il diametro γ - Ω (punto γ - punto della bilancia), coincidente in un solo istante del giorno con il diametro Est-West. Le "tre croci" potrebbero essere i tre angoli retti che quel diametro forma con: l'asse dei poli, con l'asse dei solstizi, con l'asse dei mezzicieli. Cosi si avrebbero tre vere "croci" formate da rette perpendicolari, limitatamente però all'istante nel quale il punto γ viene a coincidere col punto Est, ossia una sola volta al giorno quando l'ora siderea locale è uguale a 6h. Questa l'interpretazione, tuttavia, non è del tutto soddisfacente perché limita troppo nel tempo il formarsi delle tre croci da parte dei quattro cerchi. Un’altra possibile interpretazione delle parole di Dante potrebbe essere la seguente. Da quel punto dell'orizzonte (perché le "foci" sono punti dell'orizzonte) per il quale passano sempre quattro cerchi formanti tre croci (la parola "giunge", congiunge, pare dia un senso di continuità a quelle condizioni), sorge il Sole, nel giorno dell'equinozio di Primavera, insieme al punto γ, alla migliore stella, ecc… Se si trovassero quattro cerchi passanti sempre per il punto Est e formanti sempre le tre croci, la condizione indicata da Dante diventerebbe permanente e cadrebbe la necessità di far passare per quel punto (per quella "foce") l'eclittica ed il coluro che sempre non vi passano. E quattro cerchi passanti sempre per il punto Est è facile trovarli: 1) L'equatore celeste; 2) L'orizzonte astronomico; 3) Il primo verticale (circolo verticale passante per i punti Est ed West, dal quale anticamente si usava contare gli angoli azimutali); 4) Il primo circolo orario. Il primo circolo orario è la circonferenza massima formante un angolo di 90° col meridiano del luogo (quindi passante anch'esso per i punti Est ed West), rappresenta anche il meridiano celeste dei paesi situati a 90° di differenza di longitudine dal meridiano locale; come nel sistema geografico dantesco, nel quale il circolo meridiano centrale è quello passante per Gerusalemme ed il Purgatorio mentre i meridiani estremi, passanti per il Gange ed il Marocco, sono a 90° E ed a 90°W da quello centrale. L'idea di un circolo orario passante per i punti Est ed West, ben presente nelle nozioni geografiche e cosmografiche dantesche, poteva quindi aggiungersi a quelle, molto comuni, degli altri cerchi nell'aiutare il Poeta a formare la figura di quelle intersezioni. Quei quattro cerchi, i cui piani passano tutti per il diametro Est-West, il quale in tal modo li "giunge", sono a due a due perpendicolari: l'orizzonte col primo verticale e l'equatore col primo orario; e già sulla superficie della sfera le loro circonferenze, incontrandosi nel punto Est, formano due angoli sferici retti, due "croci". Peccato che Dante non abbia detto "due croci"! Avrebbe semplificato le cose! Invece, di "croci" Egli, forse appunto per essere "velato", enigmatico, e per far studiare i suoi futuri commentatori, ne ha cercato e ne ha visto tre! Quale potrebbe essere la terza? Non esiste, finché ci si limita a considerare angoli sferici retti formati da circonferenze massime della superficie della sfera. Se consideriamo croci formate tra rette che si incrociano perpendicolarmente (come Dante stesso indica nel canto XIV 100-102 del "Paradiso") allora potrebbero essere quelle che il diametro Est-West, appartenente al piano dell'orizzonte, forma rispettivamente con: 1) La retta Polo Nord-Polo Sud (asse dei poli celesti, appartenente al piano del primo circolo orario); 2) La retta Zenit-Nadir o asse verticale (appartenente al piano del primo verticale); 3) La retta congiungente i mezzicieli (appartente al piano dell'equatore celeste). Così Dante potrebbe aver visto i quattro cerchi, o meglio i quattro piani di essi, congiungersi lungo la retta Est-West, passante per quella "foce" (il punto Est) da cui il Sole sorge, alI '"inizio della Primavera, insieme al punto γ (alla "migliore stella") e congiungersi sempre in quella "foce", anche quando il Sole e il punto γ non vi sorgono, formando sempre quei tre angoli retti, quelle "tre croci". Interpretazioni, solo interpretazioni più o meno incerte! Perché Dante non ha voluto direi i nomi di quei cerchi; ha voluto, ancora una volta, essere enigmatico, ermetico, quasi dando alle sue parole il sapore di un indovinello. Il contenuto astronomico della Divina Commedia è molto vasto e molto vario: si tratta di circa un centinaio di passi, nei quali sono date molte indicazioni orarie mediante posizioni di astri; sono usate immagini di astri per descrivere la luminosità e la bellezza di altre visioni. Si noti che nell’Inferno la funzione di indicare le ore è affidata alla Luna, tetra immagine di Proserpina, non addicendosi il Sole a quell'oscuro regno del Male; mentre nel "Paradiso", le stelle più brillanti sono usate per formare Corone di Beati. E sono descritti altri fenomeni: il rosseggiare di Marte, simile al "vasello" dell'Angelo Nocchiero, le stelle filanti (credute, seguendo le idee di Aristotele, "vapori accesi"), l'alone, l'iride, le maree, il fulmine. Si trovano descrizioni di importanti fenomeni astronomici: le macchie lunari che "fan di Cain favoleggiare altrui", l'obliquità dell'eclittica, l'errore del calendario ("la centesima ch'è laggiù negletta" dice Beatrice, ossia la differenza di un centesimo di giorno per l'esatta durata dell'anno tropico e quella dell'anno del calendario giuliano, allora in vigore) In questa materia, che potrebbe essere esposta in un volume, la dottrina dell'Uomo di Scienza si unisce sempre alla grandezza del Poeta, dell'Artista, nel creare le immagini più belle del Sacro Poema. E se in essa non mancano enigmi, se l'Uomo di Scienza del Medio Evo ha voluto avvolgere le sue parole nei "velame", accogliamo con rispetto ed ammirazione anche questa forma di arte e di scienza e non deprechiamo di non saperla e non poterla penetrare. E’ bella anche così l’arte di Dante! Avvolta nel Mistero! Anzi proprio perché misteriosa è tanto più bella e suggestiva! Mentre la Scienza di oggi non conosce più limiti alle sue conquiste e, uno dopo l'altro, svela tanti antichi misteri, beato chi può e sa trovare rifugio in Dante e nei suoi enigmi eterni, nella bella Venere mattutina, nelle quattro stelle australi, nella "concubina di Titone antico", nei quattro cerchi e nelle tre croci: sublimi misteri che nessuna scienza saprà svelare. Leggi la Divina Commedia all’indirizzo: http://www.mediasoft.it/dante/