Presentazione
Dalla prima pagina, e poi quasi ad apertura di pagina,
questa quarta raccolta di versi di Arben Shehi fa sentire
il respiro del suo leitmotiv e squaderna il suo cuore: la
nostalgia.
È un’elegia del tempo che fugge e che, come dirà
nell’epilogo, appare senza scopo, senza alcun possibile
avvento. Ed è la nostalgia del Poeta – del Poeta Shehi
che parla ricorda e soffre in nome di tutti i Poeti della
sua lingua e del mondo – per la sua terra perduta e per il
suo amore che, senza morire, si disfa nel tempo privo di
aspettative e di meta.
In realtà Shehi, voce vitale dell’Albania succeduta a
quello “scherno di socialismo” che fu l’Albania di Enver Hoxha, e protagonista della vita culturale e politica
dell’odierna democrazia, non è un esule che viva una
disperata condizione di assenza e privazione: la sua terra
è una patria perduta perché incompiuto è il suo sogno,
perché l’esperienza della storia ha così deluso e tradito
la sua speranza da lasciarlo, in solitudine e malinconia,
col suo solo amore “senza limiti e speranze”. Così malinconico e solo da avere nostalgia perfino per il proprio
dolore.
Impersonata volta a volta dalla città di Scutari (evidente allegoria di tutte le patrie del mondo) due volte
tradita, o dalla sua donna e dal suo amore (richiamato
sempre da un passato spesso remoto), o dai suoi figli, o
dalla madre e dal padre, è la sua vita di uomo e di poeta
che egli sente – a questo passaggio cruciale del tempo
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che gli è dato di vivere (nato nel ’54 Shehi si trova al
culmine della propria esistenza) –, così come il tempo
del mondo, non portare (perché non può) “da nessuna
parte”: “Sul velo non più vergine del lago/dormono tristemente i pescatori./Con le reti vuote dalla notte assassina”.
Il suo dialogo con la morte, perciò, non è il drammatico o cupo o stoico commiato di uno che senta imminente l’evento al termine di una lotta furibonda con la
vita e i suoi demoni ma, appunto, il malinconico rimpianto, la rêverie inestinguibile, per l’ombra autunnale
in cui visse e vivrà, e che nessuna luce, né d’astro né di
bachelardiana candela, ha potuto e potrà diradare. E per
le cose che quell’ombra abitarono ed affollarono.
È il crepuscolo, dunque, l’argomento e la forma della poesia di Shehi: un crepuscolo che l’accompagna fin
dalla giovinezza e, senza addensarsi e volgere al buio,
permane. E non è quindi un caso che tutto nei suoi versi avvenga – tutto ciò che è rilevante per la sua anima,
naturalmente – come memoria: e che ogni ricordo, ogni
gesto della vita, ogni immagine (reale o allegorica che
sia) si ritrovino immerse nei colori e nei suoni smorzati dell’autunno, della pioggia che “non ha mai lasciato
questa città” e che avviluppa il mondo (e la sua vita interiore) tanto che “la sera va ad affogarsi nel lago”; che fa
da sfondo e da sonoro al punto che la sua voce e quella
dell’acqua (lacrime di amore e commozione) possono,
nei sensi della figlia, perfino confondersi.
Dichiara, Shehi, la propria paura per la solitudine.
Ma è così? O non piuttosto è amaro amore per la solitudine che lo ha spesso visitato e che teme/desidera per
l’oggi e per il domani? Vero è che la tristezza del Poeta,
aurea moneta pagata per essere poeta, la consapevolezza
dell’impossibilità di essere felici e quindi dell’inganno
inevitabile reso all’altro da sé (la donna amata, i figli,
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gli esseri più cari, la città), la tristezza che egli misura da ogni minimo ma palpabile evento (la caduta delle
foglie, la voce degli uccelli “che sembrano le creature
più sincere del globo”) è paura ma anche desiderio di
solitudine, è “saper tacere/ per sciogliere la solitudine/ e
adorare l’umana tristezza”.
Il silenzio, allora, “che rumoreggia per te/ogni volta
che la sera suona con le dita commosse/sull’autunnale xilofono dei tetti...” è un silenzio/tramite, anzi unico
messaggero possibile tra l’animo dolente del Poeta (e
cioè di ogni Poeta) e i destinatari del suo amore (la donna, i figli, la propria terra..., e cioè il mondo).
Ecco: uno spleen lieve e devozionale, anima morbidamente questi versi di Shehi e ci conquista. Essi
varcano oggi quel braccio di mare posto da millenni a
separare ed unire la terra di Shqipëri e le prode greche
e latine della nostra lingua e cultura: vadano col loro
canto sommesso a confondersi con le voci dei crepuscolari poeti fratelli che qui, terra non due ma mille volte
tradita, un’elegia dell’autunno e del crepuscolo tracciano ancora in qualche foglio volante o preziosa pagina di
volenteroso libretto.
Mario Quattrucci
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Prologo
...Mi ha cresciuto quest’aria,
quando soffiava forte la tramontana, e spesso mi è toccato
cercare i passi della primavera, che non so perché tardava
lassù nei precipizi del nord...
L’erba di casa mia
L’erba di casa mia
Si riversa il bianco latte lunare,
sul contorno solitario della sera.
Bambini in ritardo
tornano per la via della casa, taciturni.
Poggiano la loro gioia come scintillìo di stelle
sopra i fili d’erba,
lasciando la porta aperta come bocca muta.
Le lastre di pietre del vicolo
sciabordano piene di dolore.
Non ha piovuto, ma nel frattempo l’erba è cresciuta
pallida e stanca, dalla mancanza dei miei passi.
.........................................................................................
Mi ha cresciuto quest’aria
quando soffiava la tramontana, e spesso mi è toccato
cercare i passi della primavera, che non so perché tardava
lassù nei precipizi del nord.
Eppure
mi sono sentito re su queste scale, sotto questi tetti,
tra nidi di colombe fatti da noi
e, che noi stessi custodivamo.
Mai ho strappato pagine di libri,
le case da bambola di mia sorella,
disegni di cieli pieni di luce della mattina,
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e strade senza limiti,
che sognavamo seppur averle viste mai.
Qual bianche nebbie vestite di sogni
apparivano Budi, Sheh Shamija, Mjeda, Dasho Shkreli...*
Apparivano e subito volavano via. Lontano tra la magia
della poesia,
e delle battaglie vinte da loro, ma non ebbero mai gli allori
soltanto perché appartenevano a questa città.
Nel mentre l’erba di casa mia è cresciuta. Alta e muta.
Scutari, aprile 2005
*
Personaggi della storia albanese.
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Parte Prima
La libertà della luce
...Vivere
per un filo di luce…
La luce non amò nessuno
più di te...
Prefazione
Il mondo pesa e va di corsa.
Gira
sotto il peso degli umani,
non trovando mai riposo.
Qualcuno lo sostiene con il braccio,
qualcuno con la spalla.
Con la propria anima
lo sostengono solo i poeti.
Settembre 1999
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Profilo umano
Aria...
Aria per vivere.
Aria per volare.
Aria per respirare,
Aria per errare lontano...
E tutto solo per una Morte.
Tirana 2003
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Alla candela
Nessuno più di te
amò la luce.
L’amarezza e il dolore,
La gioia e l’amore,
erano dentro di te.
Vivere
per un filo di luce...
La luce non amò nessuno
più di te.
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