52° anno dalla fondazione 54° anno dalla fondazione 52° anno dalla fondazione Stagione di concerti 54° anno dalla fondazione 2014-2015 7 Lunedi 12 gennaio 2015, ore 20,45 AUDITORIUM TORELLI, SONDRIO Andrea Bacchetti pianoforte “Da Bach a Rossini” ROTARY CLUB SONDRIO PROGRAMMA La stagione di concerti 2014-2015 è realizzata con il sostegno di: MINISTRO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI Direzione generale per lo spettacolo dal vivo REGIONE LOMBARDIA Direzione Generale Culture, Identità e Autonomie della Lombardia PROVINCIA DI SONDRIO Settore Istruzione e Cultura COMUNITÀ MONTANA ALTA VALTELLINA DI BORMIO COMUNE DI SONDRIO COMUNE DI SONDALO COMUNE DI BORMIO B.I.M. Bacino Imbrifero Montano dell’Adda Fondazione Pro Valtellina Fondazione Credito Valtellinese JOHANN SEBASTIAN BACH (1685-1750) Toccata in mi minore (BWV 914) Concerto nello stile italiano in fa maggiore (BWV 971) 1. … 2. Andante 3. Presto WOLFGANG AMADEUS MOZART (1756-1791) Fantasia in re minore (K.397) Andante - Adagio - Allegretto Rondò in re maggiore (K.485) Rondò. Allegro LUDWIG VAN BEETHOVEN (1770-1827) Sonata n. 20 in sol maggiore, op.49 n.2 Allegro ma non troppo - Tempo di minuetto CLAUDE DEBUSSY (1862-1918) da Préludes: Les sons et les parfums tournent dans l’air du soir (n.1, libro IV) Prélude à l’après-midi d’un faune (trascrizione per pianoforte di L. Kun) FRANZ LISZT (1811-1886) An den Sonnenschein und Rothes Röslein (Robert Schumann) (S.567) Consolazione n. 3 in re bemolle maggiore (S. 172) LOUIS-JOSEPH DIÉMER (1843-1919) Notturno in re bemolle maggiore, op. 15 ARNOLD BAX (1883-1953) Mediterranean (valzer) AMICI DELLA MUSICA - SONDALO Periodico di cultura musicale e spettacolo Direttore Responsabile: IRENE TUCCI Editore: AMICI DELLA MUSICA, Sondalo Autorizzazione Tribunale di Sondrio nr. 214 Registro Stampa del 2.10.1990 Stampa: Lito Polaris - Sondrio GIANFRANCESCO MALIPIERO (1882-1973) La siesta, piccola suite per pianoforte solo GIOACHINO ROSSINI (1792-1868) da Pechées de Vieillesse (Peccati di vecchiaia): Tarantelle pur sang (avec traversée de la procession) Senza guida e senza mappe G ià in un precedente testo di sala si è sottolineata la vastità sconcertante del repertorio pianistico. Immaginare un programma da recital di un’ora o poco più è come pianificare un itinerario (magari da farsi in una sola giornata) in un’enorme città, colma di bellezze. Ci sarà chi tenterà di vedere (e di mostrare a chi è con lui) un po’ tutto, chi invece si rassegnerà al fatto che in quella città occorrerà prima o poi ritornare; chi si chiuderà in un solo museo per tutto il giorno, chi invece cercherà di vedere più luoghi possibili (dello stesso genere o di generi diversi). Un programma da recital, lo si può comporre concentrando l’attenzione su un solo autore (tutto Beethoven, per esempio), oppure un solo genere (per esempio tutti notturni, oppure tutti studi), oppure un solo tema (rapporti fra musica e arte visiva, fra musica e letteratura, fra musica e storia). Il programma che si ascolta in questa occasione, invece, stupisce per la sua estrosa imprevedibilità. Per tornare alla similitudine di poco fa, sembra di vedere qualcuno che entra in un museo, sosta lungamente davanti a un’opera capitale e universalmente stimata, poi invece se ne esce e vaga senza meta per le vie, lasciandosi stupire da singoli edifici e monumenti, targhe, iscrizioni; infine, se ne va ai giardinetti e pure lì lo sguardo cade su qualche meraviglia dimenticata. Il tutto senza guida, e magari pure senza mappe: il viaggio come lo descrive Claudio Magris, in cui è più bello perdersi che ritrovare la via (e certamente più bello che procedere tutto il tempo con gli occhi fissi su una piantina). i comincia con la musica di Johann Sebastian Bach (1685–1750), che per il pianoforte non scrisse mai (devoto invece a organo, Sclavicembalo e soprattutto clavicordo), ma la cui musica è oggi pacificamente suonata e ascoltata (anche) su questo strumento. Il pianoforte, ricordiamolo, Bach lo conobbe dal vivo solo tardivamente, e peraltro non ne diede un giudizio particolarmente positivo: a mitigare questo giudizio serve, ovviamente, una riflessione sul carattere ancora sperimentale degli strumenti che Bach si trovò a provare alla corte di Federico di Prussia – e se ci si concede una noticina personale, si ha la sensazione che per un temperamento musicale come quello bachiano le cose sarebbero probabilmente andate diversamente di fronte a strumenti più «maturi». Comunque la si possa pensare, il risultato è che un brano come il Concerto Italiano BWV 971 (1735), se eseguito oggi al pianoforte, risuona con una ricchezza di contrasti, di pieni e di vuoti, di possibilità plastiche che porgono in maniera efficacissima lo stile italiano che il compositore volle sintetizzare (ma anche ricreare) in questa sua opera capitale. Il discorso, certo, è complesso, nondimeno il contatto fra un compositore e uno strumento fra loro originariamente alieni sembra legittimato dalla poesia che ne risulta. La Toccata in mi minore BWV 914 (1708 circa), che si esegue prima del Concerto italiano, in apertura di recital, accosta una prima sezione (la «toccata» vera e propria) che è limpido esempio di un far musica basato su istinto e improvvisazione anziché sull’adesione a forme prestabilite, a una brillantissima fuga che costituisce la seconda parte della composizione: lì, invece, l’umano istinto cede il posto a una logica ferrea e inesorabilmente consequenziale. lontano dal concetto di «toccata» è quello di «fantasia». La pagina della Fantasia in re minore K 397 (1782) di WolfNgangonprima Amadeus Mozart (1756–1791) è una classica presa di contatto con una tastiera: semplici arpeggi a salire e a scendere, ciò che realmente si potrebbe fare per provare un pianoforte, per saggiarne le caratteristiche, il peso, il suono, le eventuali difficoltà. Un’improvvisazione messa per iscritto, che trova riscontro poi anche nella libertà con cui si succedono gli episodi successivi, e la scioltezza con cui la quadratura delle frasi viene spezzata da interpolazioni più libere, nelle quali l’interprete continua la sua empirica esplorazione della tastiera, passando da un carattere all’altro in maniera anche molto repentina. Diverso il caso del Rondò in re maggiore K 485 (1786), in cui il percorso è nelle sue linee principali del tutto prevedibile: in quanto rondò, il brano propone il costante ritorno di un refrain che scandisce il tempo in maniera inequivocabile. Qui come altrove, l’arte mozartiana consiste nel far deviare il passo in particolari ove meno l’ascoltatore se lo aspetta, con indole supremamente dispettosa. L e due Sonate op. 49 di Ludwig van Beethoven (1770–1827) sono un caso particolarissimo nella sua serie di trentadue. Sono molto brevi: anche senza pensare necessariamente alla lunghezza smisurata dell’op. 106, che tranquillamente può arrivare ai cinquanta minuti, da una sonata beethoveniana è lecito aspettarsi almeno quindici-venti minuti di musica, mentre qui ognuna delle due ne conta circa otto. (Sono, fra l’altro, in due soli tempi rispetto ai tre-quattro consueti). Inoltre, rispetto alla media delle sonate beethoveniane, sono particolarmente facili (da suonare). Premesso che nulla al pianoforte (come su ogni altro strumento, evidentemente) è veramente semplice, visto che difficoltà fondamentali come la ricerca del bel suono, del giusto fraseggio o di un’interpretazione sensata si applicano anche in mancanza di veri e propri ostacoli tecnici, la Sonata op. 49 n. 2 è abbastanza agevole e proprio per questo è tradizionalmente legata all’apprendistato dei pianisti (croce e delizia di insegnanti e allievi, e una delle colonne sonore più frequenti dei corridoi dei conservatori). Proporla in concerto perciò, oltre che un atto doveroso verso quello che – a dirla semplicemente – è un bel pezzo, è anche un modo di sfatare i presunti obblighi virtuosistici del recital pianistico: presunti obblighi secondo i quali le sonate «giuste» per un concerto di successo sarebbero innanzitutto la (cosiddetta) Appassionata e poi magari la (cosiddetta) Chiaro di luna o la Patetica (che sono meno complesse ma «vanno bene» perché altrettanto celebri). L’op. 49 n. 2, fra l’altro, è pure “leggera”. Con essa, oltre alla didattica, si porta in scena (volendo: come sempre, nei fatti, l’ultima parola spetta all’interprete) anche l’umorismo. a Consolation n. 3 (1844–1850) in re bemolle maggiore di Franz Liszt (1811–1886) apre all’interno di questo programma un breve Lciclo di pezzi legati da una caratteristica comune: la fascinazione per la voce umana e per il canto, e il tentativo di riprodurre questo straordinario fenomeno su una tastiera. La maledizione del pianoforte, si sa, è quella dell’attacco: il momento in cui il martelletto colpisce la corda e che è l’unico che veramente l’interprete può controllare (dopo di che i giochi son fatti, irrimediabilmente). Così diverso è il meccanismo della voce, che può modellare e trasformare a suo piacimento il suono dopo la sua emissione, fino all’estinzione. Per questo motivo, gli strumenti che più di tutti si mostrano votati alla cantabilità sono quelli ad arco, col loro vibrato così simile a quello della voce umana (forse ancor più degli strumenti a fiato, che con la voce hanno l’ovvio legame del fiato, ossia dell’analogo produrre il suono facendo vibrare una colonna d’aria). Al pianoforte, occorre ovviare a questo pesante handicap. I pianisti: sviluppando la diversità degli attacchi, che si succedono perciò mai uguali al precedente, modellando frasi che si aprono, si sviluppano e infine si estinguono. I compositori: talvolta, scegliendo tonalità inconsuete che stabiliscono una particolare proporzione fra tasti bianchi e neri (questi più abbondanti) impiegati nel brano. La mano è indotta così ad affrontare la tastiera in maniera meno percussiva (come invece accadrebbe in tonalità più «bianche») e più indiretta, tangenziale (quasi «accarezzando» il pianoforte). È proprio il caso della Consolation n. 3, la cui «accarezzante» cantabilità ha preso splendidamente vita in celebri esecuzioni, fra cui quella notissima di Vladimir Horowitz. Di Liszt si ascolta anche An den Sonnenschein und rotes Röslein, che il compositore ungherese ricava trascrivendo per pianoforte solo e intrecciando fra loro due distinti Lieder per voce e pianoforte di Robert Schumann (1810–1856), An den Sonnenschein e Dem roten Röslein gleicht mein Lieb: cantabilità marziale e virile quella del primo, sensualissima quella del secondo, al termine del quale Liszt aggiunge una ripresa del primo Lied a creare un particolarissimo omaggio a Schumann. ouis-Joseph Diémer (1843–1919) è compositore di ascolto rarissimo. È ricordato soprattutto in quanto pianista (fu uno dei primisLsimi, all’inizio del Novecento, a lasciare testimonianze registrate sui neonati mezzi di riproduzione del suono: abbastanza nota è una sua registrazione del Notturno in re bemolle maggiore di Chopin e dello Spinnerlied di Mendelssohn); ma anche come didatta (insegnò, fra gli altri, ad Alfred Cortot, Alfredo Casella e Robert Casadesus) e come uno dei protagonisti della riscoperta del clavicembalo nella Francia di fine Ottocento. Nel proprio Notturno in re bemolle, Diémer dà la sua personale lettura del tema della cantabilità al pianoforte: in questo come in altri casi, proporre in sala da concerto un brano sostanzialmente sconosciuto di autore anch’esso quasi sconosciuto permette una verifica concreta del potenziale poetico della musica proposta. In più, aggiunge un tassello alla conoscenza della storia della cultura musicale, fatta non solo da grandi e grandissimi nomi, ma anche da chi, rimasto fuori dalle pagine di storia, riflette indubbiamente il gusto di un’epoca e permette di comprenderla meglio. ella produzione pianistica di Claude Debussy (1862–1918) non è in questione primariamente l’aspetto del canto, però analogo è Nl’interrogarsi sulla «maledizione» originaria di cui si diceva prima, quella dell’attacco del suono. Nelle sue pagine più tipiche, il compositore francese – responsabile di un’autentica rivoluzione del suono pianistico – agisce proprio su (contro, verrebbe da dire) questa caratteristica, immaginando un suono nel quale, invece, l’attacco sia quasi assente. Un suono che perda la sua solidità per assomigliare, invece, alla sostanza dell’aria o dell’acqua: raggiungendo la massima liquidità in quelle sequenze rapide di impulsi che, privi o quasi di attacco proprio, si congiungono illusionisticamente in una sostanza unica, fluida (vent’anni prima Franz Liszt era stato responsabile di una visione analoga ne Les jeux d’eau à la Villa d’Este). Gli stessi titoli di Debussy, spesso e volentieri, ci portano esempi di materia impalpabile: nei Préludes ci vengono incontro le nebbie di Brouillards e i veli (o le vele) di Voiles. Tocchiamo con mano questo ideale di suono in alcune delle registrazioni su rullo dello stesso Debussy, in quei punti dove l’articolazione digitale si riduce al minimo. Oppure ne troviamo traccia nei resoconti di Marguerite Long e di altri pianisti che lavorarono con Debussy, a cui il compositore chiedeva di immaginare uno «strumento senza martelletti». Ne Les sons et les parfums tournent dans l’air du soir (dal primo libro dei Préludes, 1909–1911) questa morbidezza dei contorni si allaccia alle atmosfere poetiche di Baudelaire, citato nel titolo. Nel Prelude à l’après-midi d’un faune (1891–1894), che qui si ascolta in una trascrizione per pianoforte di Ladislas Kun dall’originale per orchestra, si entra decisamente nella sfera dell’eros: il fauno di Stéphane Mallarmé (L’après-midi d’un faune. Églogue, 1876) vive l’incontro sensuale con due ninfe, che infine - immerso com’è in un pomeriggio assolato pieno di torpore e di inganni - non saprà dire se reali o sognate. «Forse amai un sogno? / Dirama il dubbio, cumulo d’antica / notte, in fronde sottili che, rimaste / il bosco vero, provano ch’io solo, / io solo, ahimé! m’offrivo per trionfo / la caduta ideale delle rose». n Mediterranean del compositore britannico Arnold Bax (1883– Idanza 1953), il canto di cui si diceva a proposito di Liszt si unisce alla e ad atmosfere da music-hall. Questa breve pagina fu composta nel 1920 e sembra essere stata propiziata da un viaggio a Majorca in compagnia del compositore Gustav Holst; Bax più avanti orchestrò questo brano, e Jascha Heifetz ne ricavò invece una trascrizione per violino e pianoforte. Il Novecento inglese ha particolari caratteristiche: in esso non avvengono rivoluzioni del linguaggio paragonabili a quelle che all’inizio del ventesimo secolo sconvolgono il corso degli eventi a Parigi e Vienna. Alle esperienze più radicali, la ricerca inglese sembra preferire un’esplorazione che mai dimentichi la fiducia nel mezzo musicale come linguaggio ampiamente condiviso, dotato di un’efficacia diretta e di una sintassi che rispecchi meccanismi logici riconosciuti. In questo Mediterranean la freschezza dell’ispirazione e l’immediatezza dell’ascolto testimoniano anche del clima musicale di «ritorno all’ordine» che percorse l’Europa intorno agli anni Venti. n Italia, intorno agli anni Dieci del Novecento, musicisti e critici Imusica si posero una domanda: come avrebbe dovuto essere una nuova italiana? Naturalmente, si disse, una nuova musica in Italia avrebbe dovuto essere schiettamente e inequivocabilmente «italiana»: in un momento in cui era importante venire a conoscenza delle grandi rivoluzioni musicali che accadevano fuori dall’Italia, era altrettanto importante poi che la nuova musica italiana fosse qualcosa di «diverso dall’impressionismo francese, dalla decadenza straussiana, dalle primitività stravinskiane, dal freddo scientifismo di Schoenberg» [Alfredo Casella]. Inoltre, essa avrebbe dovuto rendersi indipendente dal proprio passato (e presente) operistico, anche in termini di stile. Si decise un salto all’indietro: si cominciò a guardare al Seicento e Settecento in cerca di stimoli musicali e nella musica scritta secoli prima si rintracciarono delle tecniche ma soprattutto dei valori: trasparenza, semplicità, asciuttezza, rifiuto di ogni sentimentalismo. Gian Francesco Malipiero (1882–1973) fu tra gli autori di questa nuova musica italiana e la sua piccola suite La siesta (1920) esibisce proprio quei caratteri, sospesi fra arcaismo severo (talvolta screziato di esotismo) e vivace naïveté. l percorso labirintico del concerto si conclude in Italia, ma facendo un salto all’indietro rispetto a Gian Francesco Malipiero. Torniamo a IGioachino Rossini (1792–1868) e ai suoi Péchés de vieillesse («peccati di vecchiaia», 1857–1868), brani singolarissimi, spesso sperimentali e spessissimo ironici. Qui abbiamo di fronte una Tarantelle pur sang (avec traversèe de la procession), cioè una «tarantella purosangue (con attraversamento della processione)»: indubbiamente si tratta di una tarantella, vivace ed istrionica, e indubbiamente a metà tarantella arriva una processione, che «deve attraversare», perciò la tarantella si fa da parte e poi ricomincia ad «attraversamento» ultimato. Immagine vividissima di un operista smaliziato, ma anche di un animo visionario che non esita a trasporre in un genere completamente diverso come quello della musica per pianoforte una simile stralunata narratività. Certo, la musica a programma era già ben viva e vegeta a metà Ottocento, ma il genere comico (e talvolta finanche demenziale) esplorato da Rossini in diverse sue tarde composizioni per pianoforte è un unicum straordinario. Ai primi del Novecento Alfredo Casella, volendo identificare le «caratteristiche secolari dello spirito italiano», parlò di «grandiosità severità robustezza concisione sobrietà semplicità di linee, pienezza plastica equilibrio architettonico vivacità audacia, instancabile ricerca di novità». (Sembra che, forse, fosse più facile dire ciò che non era italiano, piuttosto che ciò che lo era). Ebbene, ad ascoltare Rossini par proprio che anche arguzia e sagacia andrebbero aggiunte alla lista. Alfonso Alberti Andrea BACCHETTI INGRESSI A 36 anni, oggi, è un musicista affermato che sta entrando nel pieno della maturità artistica ed è considerato uno dei più interessanti pianisti della sua generazione. Ha esordito a 11 anni a Milano con i Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone. Negli anni successivi, ha incontrato e raccolto i consigli di personaggi come Karajan, Magaloff, Baumgartner e Horzowski. Con Luciano Berio ha studiato e lavorato fin da quando era bambino. Master all’Accademia di Imola con Scala, ha ottenuto prestigiose borse di studio (tra le altre, Mozarteum Salisburgo, Yamaha Music Foundation, Londra, ecc.) che gli hanno consentito di studiare con i migliori specialisti della tastiera. Da oltre venti anni il suo nome appare nelle programmazioni delle principali società concertistiche di tutto il mondo. Ha suonato con più di cinquanta direttori e molte orchestre di livello internazionale. Ha inciso più di venti dischi che hanno ricevuto numerosi riconoscimenti dalle più autorevoli riviste e quotidiani specializzati internazionali . Il recentissimo CD “The Scarlatti Restored Manuscript” (RCA Red Seal) è stato premiato con l’Award dall’ICMA 2014 quale “CD dell’anno nella categoria Strumentale Barocco. Suoi concerti sono trasmessi da emittenti radiofoniche come RadioTre, Radio3 e BBC (UK), ORF (Austria), Radio France (anche alla Roque d’Anteron) , RSI e DRS2 (Svizzera), Radio della Nuova Zelanda, RNE (Spagna) MDR Lipsia, CBC Radio 3 (Canada),Poiskm (Russia) e altre. Nella scorsa stagione ha partecipato, su invito di Fabio Luisi, al PMF di Sapporo, ha tenuto concerti dedicati a Luciano Berio nel ciclo “Bach Modern” presso l’Auditorio Nacional de Musica di Madrid e a Milano per MI.TO, oltre a una tournée in Belgio con la Russian Chamber Philarmonic St. Petersburg e recitals per la 50° edizione dei Festivals Internazionali di Brescia e Bergamo e Cervo. Ha altresì partecipato al Festival “Uto Ughi per Roma” e alla Sagra Musicale Malatestiana di Rimini. Nel 2014 è tornato in Giappone per una lunga prestigiosa tournée, ha debuttato a Honk Kong e ha tenuto numerosi concerti sia in Italia che all’estero (Germania, Spagna, Nuova Zelanda, Australia). SOCI: ingresso con abbonamento NON SOCI: biglietto posto unico € 15 (ridotto Studenti e Giovani fino a 26 anni) € 6 INFORMAZIONI e VENDITA ABBONAMENTI e BIGLIETTI, presso: MORBEGNO - Biblioteca “E. Vanoni” via Cortivacci, 4 (tel. 0342 610323) SONDRIO - “La Pianola” - via Battisti, 66 (tel. 0342 219515) TIRANO - “Cartolibreria MARCOM” P.zza Basilica, 41 (tel. 0342 052386) SONDALO - Segreteria “Amici della Musica” via Verdi 2 (tel. 0342 801816 - cell. 348 3256939) [email protected] - www.amicidellamusica.org BORMIO - Ufficio Turistico via Roma, 131/b (tel. 0342 903300) SERVIZIO BUS NAVETTA (gratuito per i soci) MORBEGNO (S.Antonio) Talamona (Nuovo Pignone) Ardenno (bivio) S.Pietro B. (bivio) Castione (bivio) SONDRIO (Auditorium) 20,00 20,05 20,10 20.15 20,20 20,30 SEMOGO 18,50 Isolaccia 18,55 Piandelvino/Fiordalpe 18,58 Premadio 19,03 BORMIO (Perego) 19,10 Santa Lucia (Ponte) 19,15 Cepina (Ponte) 19,18 Grailè 19,25 SONDALO (Scuole Element.) 19,30 Grosio 19,37 Grosotto 19.40 Mazzo/Tovo/Lovero 19.45 Sernio (Valchiosa) 19,55 TIRANO (p.za Marinoni) 20,00 Madonna (rotonda) 20,05 Villa di Tirano (Stazione) 20,08 Tresenda (Stazione) 20.12 S. Giacomo (Stazione) 20.16 Chiuro/Ponte (FS) 20,20 Montagna Piano (Trippi) 20,23 SONDRIO (Stazione) 20,28 SONDRIO (Auditorium) 20,30 PROVINCIA DI SONDRIO COMUNE DI SONDRIO COMUNE DI SONDALO N. 1 - 2015 N. 10 - 2014 Poste NR.1 ItalianeAL S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale SUPPLEMENTO PERIODICO Poste Italiane S.p.A. Spedizione inD.L. 353/2003 Abbonamento Postale (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) “AMICI DELLA MUSICA-SONDALO” NR. 5/2014 D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Sondrio art. 1, comma 1, DCB Sondrio