Ex Antiquitate Novum
Ecco il titolo del festival 2014 che quest’ anno, più delle altre edizioni, coniuga classicità e contemporaneità, storia,
mito, leggenda, arte e nuove tecnologie, consapevole che nulla si genera dal nulla e nell’ossimoro della discontinua
continuità c’è la magia dell’evoluzione, e nel “gnõthi sautón” (Γνῶθι σεαυτόν) la sintesi di storie millenarie.
Chiara Giordano
L’ULTIMA NOTTE DI SCOLACIUM
Opera di parole immagini suoni
prima assoluta
da un’idea di Chiara Giordano
soggetto di Chiara Giordano e Francesco Brancatella
sceneggiatura di
Francesco Brancatella
musiche originali*
Nicola Piovani
*commissione di Armonie d’artefestival
Regia
Cristina Mazzavillani Muti
light design Vincent Longuemare
visual design Davide Broccoli
scenografie virtuali Capware di Gaetano Capasso
fonica Massimo Carli, Francesco Spadaccino, Matteo Valla
maestri fuochisti Domenico Esposito, Antonio Pilò, Antonio Casalenuovo
costumi a cura di Flora Brancatella (costumi della Sartoria Tirelli - Roma)
coordinamento tecnico Parco Scolacium Mario Lucente
con la partecipazione straordinaria di
Gerard Depardieu
Gran Conte normanno Ruggero d’Altavilla
Edoardo Siravo Cassiodoro
Rosa Feola Fata Morgana
Daniele Pecci Boemondo Principe d’Antiochia
Daniela Vitale Adelasia del Vasto
I Fratelli Mancuso due monaci
danzatori coordinati da Filippo Stabile
Anna Pignataro, Marta Cuccomarino, Valentino Militano, Giuseppe Ioccoi, Cialì Sposato,
Orlando Capitano, Dino Dieni, Laura Colombo, Giorgia Conte, Filippo Stabile
consulenza storica Ulderico Nisticò
maestro collaboratore Paolo Sergio Marra
allestimenti di scena Roberto Mazzavillani, Aurelio Guaglianone
assistente per i costumi Lucia Votoni
trucco e parrucco Mariano Sabatelli
assistente di produzione Elisa Vanoli
direttore di produzione Emilio Vita
Dal 2009 ad oggi il Comune di Borgia sostiene le edizioni del Festival credendo fortemente nell’Arte come strumento di crescita sia
socio-culturale che socio-economica soprattutto nei momenti di chiara crisi finanziaria e, in qualche modo forse ancor più, valoriale.
Siamo consapevoli della condizione di vantaggio e di responsabilità per la presenza preziosa del Parco Scolacium nel territorio
amministrato, ed è altresì conscia dell’alto profilo di Armonied’artefestival, atteso appuntamento culturale per l’intero meridione.
Sostenendone le attività intende volgere uno sguardo intelligente al futuro nel quale la credibilità di un territorio, l’efficacia e l’efficienza
dell’azione amministrativa, ed i risultati in termini di indotto anche per le nuove generazioni, non possono prescindere dalla
valorizzazione e da un’opportuna seria integrazione di un Bene così importante e “bello”. Questa produzione testimonia l’impegno e la
sfida di realizzare dal sud un opera di respiro internazionale e che racconti queste terre con uno sguardo poetico ma anche storico, e
rappresenti uno spunto di riflessione oltre che un alto momento spettacolistico
il sindaco di Borgia
Francesco Fusto
La scelta di ospitare un festival di arti performative all’interno di un sito archeologico non costituisce di per sé una novità; tanto più se,
come nel caso di ARMONIED’ARTEFESTIVAL, si tratta di un festival che in quattordici anni di vita ha raggiunto livelli importanti di
credibilità e notorietà ed è in partneriato istituzionale con la direzione Mibact Calabria. Tuttavia è proprio questo “ consolidarsi” che
si rivela un passo importante nel nuovo modo di vivere il patrimonio d’arte e di storia costituito dai Beni Culturali calabresi. I Luoghi
della Cultura hanno infatti necessità di fidelizzare, in questa regione più che altrove, un loro pubblico di amici, fatto di residenti come di
ospiti temporanei, che vogliano tornare ogni anno a respirare quell’atmosfera irripetibile che si genera solo quando si entra in contatto
con l’Arte, prodotta e vissuta nel momento e nel posto giusto. E perché questo avvenga c’è bisogno di due fattori: qualità e continuità.
Crediamo che Armonie d’Arte Festival sia riuscito ad incarnare queste caratteristiche, perché negli anni ha saputo divenire un punto di
riferimento per chi cerca - nel variegato panorama delle manifestazioni estive e spesso vacanziere - uno spettacolo di qualità, in termini
culturali come organizzativi, con artisti ed eventi selezionati di circuito internazionale, nella meravigliosa cornice del parco.
Ci auguriamo che ognuno per la sua parte concorra a potenziare e consolidare questo percorso, e che politica e sistemi economici
e sociali possano davvero essere interlocutori, oltre le difficoltà congiunturali e di contesto, per chi sta perseguendo con passione e
consapevolezza culturale questo importante cammino di sviluppo nella cultura e nella bellezza. Così gli uomini di oggi potranno godere
dell’arte negli stessi luoghi degli uomini di ieri e riunirsi a questi in un’ideale poetica continuità. Vivere i Luoghi della Cultura significa,
d’altronde, vivere il privilegio di saggiare la qualità di spazi e architetture incomparabilmente più belli di quelli del nostro paesaggio
contemporaneo, ormai purtroppo quasi ovunque devastato e vilipeso.
Siamo fermamente convinti che quanti più sapranno apprezzare - vivendola - la bellezza dell’antico, tanti saranno a pretendere, in una
nuova Calabria, un paesaggio ed una qualità urbana finalmente all’altezza delle tradizioni di questa terra.
L’ultima notte di Scolacium parteciperà, ne siamo certi, al processo di conoscenza e valorizzazione di questa terra del sud e potrà essere
foriera di un respiro estetico che, per il profilo espresso e l’impegno profuso, sarà anche occasione di crescita complessiva e positività
diffusa.
Francesco Prosperetti
Direttore Regionale Calabria- Ministero per i Beni Culturali e Paesaggistici
Al di la’ di ogni evidenza contraria, la Calabria sta cambiando in profondità attraverso la cultura.Basta saper leggere non solo i dati ma
sopratutto i segni.
In questa profonda - e per alcuni versi inaspettata - mutazione genetica, la nostra regione si sta trasformando da terra che importa
cultura a terra che la esporta.
In questo novero, la perla e’ rappresentata da “L’Ultima notte di Scolacium”, opera realizzata nell’ambito di “ARMONIED’ARTEFESTIVAL”,
uno dei sei grandi eventi sostenuti con continuità dalla Regione Calabria per farli diventa ancor più grandi.
E se questi sono i risultati, dove si vedono all’opera Gerard Depardieu, Nicola Piovani e Cristina Mazzavillani Muti, come tanti altri
straordinari uomini, certamente non e’ solo un segnale di speranza. Sarebbe ben poca cosa, perchè inevitabilmente si disperderebbe,
consumandosi tra innumerevoli accadimenti: e’ invece un’iniziativa di qualità, un fatto concreto, vero, che non solo si tocca con mano,
accarezzandolo come un velluto, ma che si vede come un tramonto, si ascolta come un violino, si sente come un profumo.
Assessore alla Cultura Regione Calabria
Mario Caligiuri
L’ULTIMA NOTTE DI SCOLACIUM
Come nasce “L’ultima notte di Scolacium” ?
E’ un’ opera la cui idea ho “covato” nella testa e nell’anima, allevato e poi accudito per anni, da quando mi ha preso l’incanto di Scolacium
e una sera di luna di 7 o 8 anni fa, con l’amico e direttore regionale del Ministero dei Beni culturali Francesco Prosperetti abbiamo
immaginato di far rivivere la signora silenziosa del parco, l’abbazia normanna e il suo tempo.
E allora mi venne smania di rivedere i suoi colori giocare coi profili dei suoi angoli, le vetrate ricomporsi di luce e le voci riemergere nelle
loro lingue, storie lontane, vere e leggendarie insieme, che raccontavano di una Calabria “importante” !
E così immaginai una sorta di “favola storica” e si perdoni l’ossimoro; un’opera che mettesse insieme, come recita il titolo di questa
quattordicesima edizione del festival, l’antiquitate e il novum, il passato di queste terre e il loro fascino contemporaneo, gli uomini
di ieri e di oggi, i linguaggi artistici classici e le nuove tecnologie; e per tale collocai il progetto nelle per le varie richieste di sostegno
economico. Quando capii che quell’intimo sogno poteva tradursi in qualcosa di reale e comunicabile, come si dice “fattibile”, ne parlai
ad un amico, il giornalista Francesco Brancatella, con il quale al tempo, tre anni fa circa,
molto discorrevo di storie di uomini e passioni, di popoli e di destini.
Con qualche illuminante suggerimento di un altro amico, lo storico Ulderico Nisticò – che però sapeva bene e ci avvertiva di non
pensare mai al racconto dei libri ma piuttosto alla narrazione delle emozioni – insieme demmo vita al soggetto esecutivo di quest’opera.
Poi un po’ alla volta tutti i vari profili prendevano corpo.
E allora ho pensato che quest’idea e questo soggetto potevano meritare grandi artisti, grandi collaborazioni e così altri, tanti “bravissimi”,
così come Ravenna Festival col supporto alto di competenza ed esperienza, hanno condiviso questo fascinoso percorso, questo difficile
ma accattivante viaggio.
Una produzione particolarissima, di sicura suggestione sotto il profilo spettacolare e narrativo ma anche di grande interesse storico.
Un lavoro che vede un cast artistico e tecnico di altissimo profilo, con la partecipazione straordinaria di Gerard Depardieu, le musiche
commissionate al premio Oscar Nicola Piovani, la regia poetica e visionaria di Cristina Mazzavillani
Muti, le scenografie della Capware di Gaetano Capasso e figli (storica collaborazione con Super Quark di Piero Angela e che ha
“ricostruito virtualmente “Pompei, Ercolano, i Fori imperiali ecc) solo per citarne alcuni.
Attraverso le nuove tecnologie, le ricostruzioni virtuali e un particolare light e visual design affidato ai “maghi” Vincent
Longuemare e Davide Broccoli, confidiamo di poter restituire all’occhio del visitatore la maestosa armonica compostezza e la bellezza
silenziosa della “signora” del parco Scolacium, quest’abbazia che continua letteralmente ad incantare tutti gli ospiti del festival e del
parco e che vedremo “ricostruita” così come era, per poi virtualmente ricrollare.
E attraverso una narrazione che oscilla tra la verità dei fatti ed una più libera - ed artistica - interpretazione di quelle vicende e di quei
personaggi lontani nel tempo, pensiamo di poter far immergere gli spettatori in una dimensione visionaria e poetica di una storia fatta
di racconti testimoniati e di leggenda e che è stata forse in qualche modo l’ultima pagina, simbolicamente
l’ultima notte, di “centralità internazionale” della Calabria che nel medio evo del XII sec. vide un tempo in cui era crocevia politico del
mediterraneo, un tempo che segnerà per sempre i destini del Sud Italia, un tempo in cui però sorgeva in modo moderno un’idea di unità
possibile di terre, religioni, lingue, anime diverse.
Una storia d’amore tra personaggi illustri, la fine del sogno di un principe normanno di conquistare l’Impero di Bisanzio partendo dalle
coste della Calabria jonica, con l’abbazia muta testimone di un desiderio personale e di un progetto storico che non si sono compiuti,
come non si sono compiuti tanti altri possibili percorsi di questa terra.
L’ultima notte di Scolacium rappresenta in definitiva il simbolo di quella ambizione individualista che, al sud, molto spesso determina
anche il suo contrario, tramutandosi in sconfitte personali e collettive, in sogni e progettualità disattese.
Eppure la gente del sud continua ad esprimere poesia ed energia,“voluttà” e volontà; e così, forse, sotto queste pietre e questi ulivi sono
sepolti non solo i corpi ma anche i destini di uomini e donne di questa terra, in attesa, però, di una storia nuova.
Chiara Giordano
E’ il racconto di lotte di potere, tradimenti e impossibili amori al tempo dei conquistatori normanni, che nell’XI secolo seppero riunificare
tutto il sud con intelligenza feroce, diventando eroi leggendari.. un tempo nel quale i cavalieri normanni vincevano impossibili guerre
grazie all’aiuto di Santi che combattevano al loro fianco in battaglia; e la fata Morgana avvicinava per incantesimo le coste della Calabria
a quelle della Sicilia al passaggio di Ruggero, per permettergli di conquistarla..Per chi, come me, è nato in Calabria, scrivere ‘L’ultima
notte di Scolacium’ è, anche, la straordinaria fortuna di sapere che le nostre storie, mute e dimenticate, stanno ridiventando storia di
tutti, grazie ad attori bravissimi, alla regia di Cristina Muti, e alla musica di Nicola Piovani, che sa disegnare gli incendi e gli abissi
dell’anima umana con note quasi ipnotiche, che li riconsegnano al mito.
Francesco Brancatella
Ho accettato con gioia di scrivere delle partiture ispirate alle storie di amore e guerra di Scolacium, perché le premesse del progetto
erano eccellenti, e poi perché è sempre una sfida entusiasmante misurarmi con storie mitologiche. Tante volte ho musicato storie della
mitologia classica e la difficoltà è stata sempre quella di cercare di cogliere con la musica la contemporaneità di certe antiche leggende.
Senza ricorrere naturalmente alle cosiddette attualizzazioni che la moda detta ai molti registi dei nostri anni. Non credo serva mettere
Antigone in un campo profughi del Kossovo o Dioniso su un’Harley Davidson per cogliere la attualità intima, profonda di queste potenti
storie. Lavorando con la musica cerco di afferrarne l’essenza emotiva: non sempre ci riesco, naturalmente, ma in questa avventura di
Scolacium ho sentito spirare un vento buono nelle vele delle mie partiture.
Nicola Piovani
“...perché il vero protagonista di questo spettacolo in cui convivono riverberandosi l’uno nell’altro il mito e la storia, la leggenda e il
racconto epico, non può che essere questo straordinario luogo. Un luogo che per la prima volta da semplice sfondo diviene nucleo centrale
di una narrazione che prima di tutto vuole restituire l’emozione di antiche vestigia evocando i suoni e i colori di lingue dimenticate che
si tingono dello sciacquio del mare. Una sorta di installazione sensoriale che si nutre di luci e voci, di illusioni e musica, del grande
artigianato d’arte dei maestri fuochisti del nostro Sud, e che ci porta alla scoperta di un mondo di straordinaria ricchezza culturale, un
mondo che la storia ha condannato alla distruzione, ma sotto le cui rovine riusciamo ancora a intravedere la luce della speranza”
Cristina Mazzavillani Muti
I NORMANNI D’ITALIA: L’INTELLIGENZA E LA SPADA
Quella dei Normanni nell’Italia Meridionale è una vicenda politica e umana che sfida gli schemi seriosi della storiografia moderna,
troppo legata a fondamenti economicistici e sociologici e poco attenta all’umanità dei fatti e delle persone; si lascia però agevolmente
comprendere secondo i criteri del Medioevo, quelli di una vichiana Età degli eroi, alle soglie dell’incontro dell’intelligenza e della spada;
della barbarie e dell’intuizione della realtà; della volontà politica e del braccio.
Per secoli gli Scandinavi avevano conquistato e saccheggiato per mare, spargendo il terrore, sì che nelle chiese si recitava il Padre Nostro
con “libera nos a malo et a furore Normannorum”; uomini del Nord vennero, infatti, chiamati, con voci di lingue germaniche.
I nostri Normanni vennero dalla Francia.
Nel 911 una banda di Vichinghi norvegesi e danesi costrinse a patti il re Carlo il Semplice, e il loro capo Rollone ricevette feudi e il titolo
di conte, poi duca, di terre lungo la Manica che da loro presero il nome di Normandia. Convertiti al cristianesimo, assunsero i costumi
della nuova patria, anzi esaltarono l’etica feudale franca e svilupparono le tecniche guerresche e le armature dei cavalieri. Parlavano
ancora una lingua mista di francese e scandinavo.
Numerosi ed esuberanti, i Normanni di Francia si diedero alla guerra e al mestiere del mercenario.
Nel 1016 un gruppo di loro giunse nel Meridione d’Italia, secondo alcuni a Salerno, per altri al Santuario di san Michele al Gargano e
al servizio di Melo di Bari, un longobardo ribelle a Costantinopoli. Ma questi nel 1019 viene sconfitto dal catapano Basilio Bojannes, e
l’insuccesso colpisce anche i suoi ausiliari normanni.
La situazione politica del Mezzogiorno era incerta. Caduto nel 774 il Regno longobardo, il Ducato di Benevento si era proclamato
Principato in segno di autonomia anche dal nuovo re Carlo Magno. Nell’849 lo Stato si era separato nei due Principati di Benevento
e Salerno, e da questo sarebbe nato il Principato di Capua: tre potentati longobardi in bilico tra l’Impero d’Oriente e il Sacro Romano
Impero. Nel X secolo i Romei (Bizantini) estendono il loro dominio da Foggia al Crati, sottraendo territori a Benevento. Le città campane
di Gaeta, Napoli, Amalfi affermano la loro indipendenza. Sono frequenti le incursioni di Saraceni dalla Sicilia o dall’Africa.
Inserendosi in questa situazione di conflitti continui e in cui tutti sono capaci di iniziare una guerra e nessuno di vincerla, i Normanni
divennero anche una forza politica, comprendendo le debolezze dei loro interlocutori o avversari o momentanei alleati, e fondando una
rinnovata potenza sull’organizzazione militare.
Nel 1022 Rainulfo Drengot fondò la Contea di Aversa; nel 1043, Guglielmo d’Altavilla stabilisce la Contea di Melfi. Guglielmo, detto
Braccio di ferro, è il primogenito di dodici figli maschi di Tancredi d’Altavilla. Tutti raggiunsero l’Italia, e tra loro Roberto, cui Guglielmo
assegnò una torre a San Marco [Argentano] in Calabria. Roberto radunò attorno a sé avventurieri normanni e calabresi, ed estese
intorno i suoi domini. Per l’astuzia fu detto Guiscardo.
Il papa Leone IX strinse contro i Normanni un’alleanza con i Longobardi, e assoldò truppe di Svevi. Unfrido d’Altavilla, successo al
fratello Guglielmo, chiamò a sé tutti i Normanni, i quali contro il nemico comune sospesero i numerosi conflitti intestini. Il 18 giugno
1053 le truppe papali vennero sconfitte a Civitate per merito di Roberto Guiscardo e Riccardo Drengot, e lo stesso Leone fu fatto
prigioniero.
Dopo lunghe trattative, si giunse a un accordo che, da lì a breve, porterà a un atto formale di vassallaggio dei Normanni nei confronti
della Chiesa: una condizione che permarrà per il Meridione fino al XVIII secolo, e influirà sulla vita politica del futuro Stato. Riconosciuti
dal papa, e perciò ormai italiani, anzi più italiani di altri, ricevono l’incarico di latinizzare il territorio contro i Bizantini e i Saraceni. Il
Guiscardo, proclamato capo dopo la morte di Unfrido, s’intitola duca di Puglia.
Si unisce a lui il più giovane degli Altavilla, Ruggero (I), che pone un suo campo a Scalea, poi a Mileto, e, ora d’intesa con il fratello, ora
in conflitto, sottomette a sé parte della Calabria; e ottiene di poter sposare l’amata Giuditta d’Evreux, che lo raggiunge a Mileto, dove si
celebrano le nozze.
I matrimoni dei Normanni hanno valenza politica: Giuditta era nipote del duca di Normandia Guglielmo, che da lì a poco sarebbe
divenuto re d’Inghilterra. Roberto, ripudiata la normanna Alverada, sposerà Sighelgaita, sorella del principe di Salerno; e inizia a
rivendicare una sorta di eredità dei Principati longobardi, anzi dell’antico grande Ducato di Benevento.
Vinta la battaglia di San Martino contro forze bizantine, repressa una rivolta calabrese nel Tirreno cosentino, presa Reggio nel 1060, Bari
nel 1070, la stessa Salerno nel 1076, il Guiscardo consolida il suo potere con un saldo controllo del territorio; nel 1071 inizia l’impresa
di Sicilia. Ruggero si unisce al fratello, e finirà con l’addossarsi il peso della guerra. Signore di parte della Calabria e conquistatore della
Sicilia, si comporta quasi da sovrano autonomo, assumendo il titolo inusitato di granconte.
Roberto intanto muove alla conquista dell’Impero Bizantino; interviene nella grande politica europea, combattendo contro l’imperatore
Enrico IV e conducendo papa Gregorio VII a Salerno; torna in Oriente, muore a Cefalonia nel 1085.
Lasciava gran parte del Meridione unito: sebbene i suoi vassalli, memori delle antiche consuetudini vichinghe, non si rassegnassero
all’autorità dello Stato di modello romano e bizantino, che si voleva imporre loro; una contraddizione che segnerà per secoli la storia
meridionale.
A loro favore viene introdotto un feudalesimo di modello francese: il diritto franco assegna l’eredità del feudo al solo primogenito,
favorendo così la formazione di potenti casate. Conti normanni s’insediarono in numerosi centri importanti, ed eressero manieri, la cui
funzione è più di difendere il feudatario che da attacchi esterni la città.
Le fortezze vennero chiamate castelli, e ciò genera una confusione con il termine romeo kastellion, inteso come borgo fortificato difeso
dai suoi abitanti. Nei confronti del maniero normanno sentito come un qualcosa di estraneo si diffuse un senso di ostilità. Lo stesso
istituto feudale venne inteso e dai re e dai popoli come qualcosa di indefinito, giuridicamente vago, diverso dal diritto romano cui,
soprattutto dall’età vicereale, tendeva a uniformarsi il Regno.
Tuttavia la politica di sostanziale rispetto per le molte identità etniche del Meridione induce i popoli ad accettare la nuova situazione, che
assicura la pace interna. Se, infatti, le diocesi calabresi verranno presto sottratte a Costantinopoli e latinizzate, i Normanni proteggono
il monachesimo di rito greco e, conquistata la Sicilia, mostreranno riguardo anche per i musulmani; come dovunque per gli israeliti.
Alla corte si fa uso di latino, greco e arabo, mentre l’unificazione politica favorisce la diffusione del volgare neolatino, che presto Federico
II renderà lingua letteraria.
A Roberto successe Ruggero detto Borsa, figlio di Sighelgaita. Il primogenito nato da Alverada, Marco chiamato Boemondo dal
nome di un gigante biblico, creato principe di Taranto ma escluso dalla successione ducale, andò a cercare gloria e ricchezze nella
Prima Crociata. Conquistata Antiochia, di cui si proclamò principe, attraversò poi difficoltà politiche nell’intricata e sempre mutevole
situazione degli Stati cristiani d’Oltremare; morì a Bari nel 1111; o, secondo una leggenda, nella stessa dimora di San Marco [Argentano]
dove sarebbe nato.
Per nemesi della storia, gli eredi di suo nipote Tancredi principe di Galilea furono gli ultimi signori cristiani di Terra Santa.
Il Tasso fece di Tancredi l’eroico e dolente personaggio del suo poema.
La burrascosa e avventurosa vicenda di Boemondo appare squisitamente normanna nell’immediatezza delle passioni e nella solo in
apparenza contraddittoria intelligenza dei tempi e delle cose. La leggenda ammantò lui piuttosto che il figlio e il nipote del Guiscardo
e di Sighelgaita. Si parlò di un amore impossibile tra lui e Adelasia, la terza moglie e infine vedova di Ruggero; e le loro vicende
s’intrecciarono con quelle della misteriosa Morgana.
I Normanni condussero, infatti, con sé l’immaginario collettivo francese: la materia cavalleresca carolingia, attestata, tra l’altro, dalla
Chanson d’Aspremont; e quella bretone, di cui è figura notevole Morgana, detta Fata nelle tradizioni calabresi e connessa a un fenomeno
di rifrazione dello Stretto di Messina: si volle che, innamorata di Ruggero, ne favorisse lo sbarco in Sicilia. Di un rifiuto del granconte
si vendicherà, dopo la sua morte, su Adelasia e Boemondo, come ci è piaciuto qui creare, abbattendo la grande abbazia di Santa Maria
della Roccella.
Dopo l’amore della giovinezza, Giuditta morta trentenne nel 1080, il granconte Ruggero aveva sposato Eremburga di Mortain, e dopo
la morte di questa nel 1087, Adelasia del Vasto, della potente casata piemontese degli Aleramici. Nacque da questa Simone, che fu
granconte dal 1101 appena al 1105; gli successe il fratello Ruggero II, granconte di Sicilia e Calabria, nel 1130 “rex Siciliae et Ducatus
Apuliae et Principatus Capuae”, e signore di tutti i Normanni e del Meridione dagli Abruzzi a Malta all’Africa.
Dopo essersi battuto contro l’imperatore Lotario e il papa Innocenzo II, questi ottenne nel 1139 il riconoscimento della corona. Estese
le conquiste in Africa e oltre l’Adriatico.
Esaltato da cristiani e musulmani – il geografo arabo el Idrisi gli dedicò il “Libro del re Ruggero” – morì tuttavia troppo presto, nel 1154.
Gli successe, fino al 1166, Guglielmo I il Malo; a questi, Guglielmo II il Buono, morto nel 1189 senza eredi.
Il sangue degli Altavilla continuò in Costanza, che, sposando Enrico VI di Svevia, fu madre di Federico II; e, attraverso Manfredi e la
figlia di lui Costanza, nei re di Aragona e di Sicilia, dal 1282 separata dal Regno continentale.
Alcune grandi casate del Reame vantarono origine normanna: Filangieri, Ruffo, Sanseverino.
La memoria dei Normanni, tuttavia, non fu e non è molto viva, anche per effetto della loro tendenza ad assimilarsi alle popolazioni con
cui s’incontravano. La storiografia a loro riguardo è straniera. Non hanno ispirato una letteratura romantica, in un Meridione rimasto
illuminista e antistoricistico; tanto meno del cinema.
Dovremmo invece riconoscere a questi avventurieri geniali uno straordinario intuito politico; e l’idea che il Meridione d’Italia ha una
sua unità e identità, e che nessuno mise mai in discussione: lo stesso Napoleone, che fece di Firenze e Roma città dell’Impero Francese,
non osò fare lo stesso con Napoli e il Sud d’Italia. Un’identità almeno politica, che è merito dei Normanni.
E dunque questa “Ultima notte di Scolacium”, sapientemente, mescolando fatti documentati e libertà fantastica, può rendere popolare
un momento che, in mezzo ad avventure di eroi astuti e innamorati, ebbe la fondamentale rilevanza di aver creato uno Stato unitario
tra i più antichi d’Europa e di maggiore continuità, quel Regno dell’Italia Meridionale assai più calunniato o esaltato che conosciuto.
Ulderico Nisticò
L’ OPERA
Il percorso narrativo si snoda come una sorta di libro da sfogliare, scena per scena, in un crescendo emotivo, fino ad un culmine, ad un
epilogo, e poi ad una rinascita nel segno di un indomito spirito positivo, di una storia nuova, sempre possibile.
Un percorso col quale, fin dall’ingresso, tutti, si direbbe il parco stesso, entrano in una dimensione rievocativa, fortemente visionaria,
teatrale, dove l’elemento storico, pur sempre sotteso a tutta l’opera, non diventa mai didascalico e documentariale. Le parole - chiave
saranno suggestione, racconto, attesa, memoria, poesia, epicita’, frammenti; per altro verso, immagini, luci, suoni, parole dello spirito.
Non hanno nome le pagine da sfogliare, ma ci piace ugualmente immaginarne una sorta di titolo e così la prima pagina potrebbe
definirsi “Cassiodoro e il vento delle anime”; il pubblico entra nel parco e avanza in forma di corteo, percorre il viale che costeggia
l’abbazia e già sente voci fuori campo, suoni lontani, suggestioni di luci; e la voce di Cassiodoro, l’io narrante, il genius loci del racconto,
l’anima che tutto ha visto e tutto sa, già introduce frammenti di memoria e accompagna lungo il viale fino all’abbazia dove s’incontrano
due monaci, con il loro canto come suoni di terra, come essi stessi anime per un attimo risorte o forse lì da sempre.
Il pubblico entrerà nell’abbazia e lì ancora voci, lingue diverse, spiritualità diverse, il canto antico e le antiche immagini, della stessa
abbazia e di quanto alla memoria può risalire.
Uscirà il pubblico dall’incanto dell’interno – abbazia, ad accoglierlo il canto del muezzin, giovani del tempo, forme del tempo, fino al
piazzale ai piedi dell’imponete muro di navata dove potrà sedersi e di lì entrare nelle nuove pagine.
“Cassiodoro e il tempo che rimane”, ecco la nuova pagina, il suo racconto denso di storie ed emozioni personali che diventano storie ed
emozioni di una terra.
Ma Cassiodoro è anche l’anima che ci conduce per mano dentro le altre storie, vicino gli altri uomini di quel tempo con le loro vite
intense e simboliche. Ed ecco che ci conduce dai due personaggi più terreni con il loro capitolo,“Adelasia e Boemondo, l’amore terreno
e impossibile”. Qui le parole chiave sono l’amore, i sensi, il gioco, l’ambizione, il tradimento; il dialogo svela l’anima inquieta, intrepida,
illusa di Adelasia, che si contrappone al cinismo ambizioso di Boemondo; sono i protagonisti storici e romanzeschi di una storia
d’amore, di tradimenti e di rovina reciproca. Adelasia giovane ‘zia’ del fascinoso Boemondo figlio del fratello del granconte Ruggero di
cui lei e’ vedova ed erede, lo ama da sempre appassionatamente, mentre Boemondo ha nel cuore innanzitutto strapparle risorse e terre
per dare l’assalto all’impero di Bisanzio.
Ma la pagina più terrena del racconto cede il passo poi, anzi arretra, davanti l’anima di Ruggero che reclama la sua testimonianza. Vita,
morte, fierezza, memoria; qui la narrazione emerge epica, grandiosa, ma anche nostalgica e struggente. Ruggero, nella consapevolezza
dolorosa di come gli accadimenti stiano andando diversamente da quanto in vita credeva e sperava, racconta, tra riferimenti storici e
ricordi personali, della sua storia, del senso delle sue conquiste, dei suoi amori, soprattutto della sua nostalgia per la vita che ha perduto,
quando ancora, nelle forze, la desiderava.
La narrazione prende sempre più respiro, di immagini, di luci, di suoni, e man mano si alza nel volo di visioni immaginifiche; l’abbazia
è restituita alle sue antiche forme, scenario e testimone di quel tempo e del nostro viaggio.
Sara’ Morgana, Fata e poi quasi Strega, simbolo di amore e poi foriera di morte, a voltare pagina: trascinerà tutti col suo canto puro e
solitario in mondo di passione sublime, rappresentando poi quella maledizione su queste terre che ai grandi progetti spesso fa seguire
incompiuti esiti, se non sciagure e distruzioni.
Morgana ha consentito all’amato Granconte Ruggero di conquistare la Sicilia, 50 anni prima, avvicinando le due coste, quella calabrese
e quella siciliana, grazie ad un incantesimo (l’effetto fata morgana ancora oggi visibile nella realtà grazie ad un effetto ottico in particolari
condizioni metereologiche e di luce), e odia visceralmente Adelasia e Boemondo traditori della memoria del Conte e dissipatori del
suo regno.
La sua maledizione e il crollo dell’abbazia segnerà il senso simbolico, feroce e profondo di “questa Scolacium” e sul silenzio della sua
“ultima notte” è ancora Cassiodoro a riportare il senso della vita, comunque possibile, e dalla sua voce riaffiora, nuovamente puro, il
canto d’amore di Morgana, un canto sospeso, il canto della speranza, della rinascita, del futuro…
“....è da allora, che nelle notti d’estate,
quando la luna è ancora bassa laggiù sulla linea del mare,
si potrà talvolta sentire come un suono sospeso, melodioso, lontano:
è Morgana, nascosta nell’ ombra del tempo, che canta l’attesa della luce del giorno”
(dalla sceneggiatura)
Chiara Giordano
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L'ATTREZZERIA E' GENTILMENTE OFFERTA DAL GRUPPO STORICO CATANZARESE "MIRABILIA"
Dallo spettacolo teatrale verrà prodotto un documento realizzato da Casa del Cinema e Cineteca della Calabria
a cura di Eugenio Attanasio e Davide Cosco
ENTE ATTUATORE
COMUNE
DI BORGIA
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
DIREZIONE REGIONALE
E SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI
REGIONE REPUBBLICA
CALABRIA ITALIANA
UNIONE
EUROPEA
PARTNER ISTITUZIONALI DEL NETWORK TEMATICO E TERRITORIALE MUSICA&MUSE / SEZIONE ESTIVA ARMONIE D’ARTE FESTIVAL E PATROCINI
PATROCINIO
PROVINCIA DI
CATANZARO
COMUNE DI
COMUNE DI
COMUNE DI COMUNE DI
CATANZARO MONTAURO SOVERATO STALETTI
SI RINGRAZIA LA CURIA ARCIVESCOVILE DI CATANZARO
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libretto dell`opera Ultima notte di Scolacium