a Mos ico Periodico della Sme di Tesserete Numero 24 - XX anno 4 11 29 35 62 70 77 97 Varia Un mosaico di Mosaici Ul Richeto Un mondo ovale Cuochi d’altre terre L’eremita sui mti. di Roveredo I ricordi di un ex Il carnevale “Coleta” Faccia a faccia Canzoni d’amore Fotoromanzo Giallo Infiltrati a Lenzerheide Ciao Claudio! Concorso Giochi Redazione Conosciamo ... Lo sport (IA) Il razzismo (IC) Le vacanze (ID) In famiglia (IIA) La scuola (IIE) ... (IIID) 16 33 L’amicizia (IB) Lo sport (IE) Som m Tazebao ario 49 51 73 82 89 102 107 110 Calligramma 8 27 38 67 91 95 Scopriamo ... La peste in Capriasca Un pensionato in Ciad Luigi Rossi... Pattinare ad Origlio Fumetti 46 79 99 21 86 Un’età fantastica (IIB) Un pianeta da salvare (IIC) Il sogno di volare Un nuovo amore Amore a prima vista Tentativi poetici 19 25 41 93 2mila8 Mosaico Conos iamo c ins eme i Un mosaico di Mosaici di Luca e Roberto Il Mosaico nasce nel 1988, quindi quest’anno compie vent’anni: auguri! Abbiamo voluto scoprire i retroscena e la storia di questo periodico che da così tanto tempo ci accompagna e ci intrattiene nelle tiepide serate di maggio. Prendendo spunto dal titolo, abbiamo pensato di scrivere un articolo un po’ anomalo: un mosaico di informazioni e di curiosità, appunto. Alla fine degli anni Ottanta gli allievi di quarta dovevano scegliere tra due opzioni di italiano: approfondimento (italiano A) ed esercitazioni (italiano E), la prima con nota. In quelle due ore settimanali, oltre a lavorare su teatro e letteratura del ‘900, a Tesserete i ragazzi si occupavano a gruppi della preparazione degli articoli della rivista. Durante i primi anni si sono pubblicati due numeri per anno quindi il numero totale di riviste è superiore a venti. Certo oggi è più facile redigerlo perché ci sono molte macchine in sede, allora avevano solo tre piccoli Mac e una stampante ad aghi: la preistoria dell’informatica! Forse era più “romantico”, più coinvolgente, e le relazioni coi ragazzi più intense. Gli allievi invece non sono cambiati: allora come oggi c’era chi si dannava l’anima e lavorava con grande serietà e chi, se non gentilmente ricattato, non faceva un granché… (tratto e adattato da un’intervista al maestro Cesarini, uno dei fondatori di Mosaico) Mosaico 2mila8 Le redazioni cambiano col trascorrere degli anni… La redazione di partenza era composta da due docenti di italiano: il maestro Cesarini e il maestro Anselmini. Abbiamo chiesto un loro commento sugli esordi… Cesarini (è presente sin dalle origini, sul balcone del mitico Carlo): “Lo scopo era far scrivere i ragazzi, ma farli scrivere in maniera divertente. All’epoca è stata una novità per la nostra scuola, ora è una consuetudine. Ma l’entusiasmo è quello delle origini! Ogni volta che prendo in mano il prodotto finito, provo una grande soddisfazione. Spero sia contagiosa per i nuovi arrivati.” Una parte della prima redazione di Mosaico, 1988 -1989 La storia Anselmini (anche lui dal 1988) “Tutto nacque in un caldo pomeriggio d’estate seduti a un tavolo sulla mia terrazza. Un summit didattico tra me e Giorgio, che era arrivato da due o tre anni alle Sme di Tesserete e che, come me, insegnava italiano ed era docente di classe di una quarta. L’idea fu sua. E io, come potevo dirgli di no? Era una sfida e a me piacevano (e piacciono) le sfide! -Bisogna far scrivere! Far scrivere!- proclamava il nostro esperto di italiano! E lo prendemmo in parola. Giorgio insegnava letteratura, io teatro. E allora, nelle due ore di italiano A, decidemmo di scambiarci alternativamente le classi, una volta un po’ di teatro e un’altra un po’ di letteratura. E poi SCRIVERE! Per creare, per inventare, per parlare e comunicare con gli altri. Ma qualcosa che non restasse chiuso dentro la classe e che non leggessero solo gli autori e il docente. Perciò bisognava pubblicarlo, farne un piccolo giornale da distribuire. Cominciammo così in punta di… penna! Talmente in punta che il primo anno pubblicammo tre numeri e ancora adesso non sappiamo come ci riuscimmo. Ma eravamo giovani, soprattutto lui, Giorgio, giovanissimo! E non ci stancammo mai. Ogni anno con lo stesso entusiasmo. Anche quando ci accorgemmo che, ritagliando gli articoli per l’impaginazione (a mano, non al computer, e con le forbici e colla!) cominciavamo (evidentemente io per primo) a tagliare i puntini delle “i”, la nostra vista si stava affievolendo. Ma non i sogni! Avevamo soprattutto quello che altri si unissero a noi. E il secondo anno arrivò Franco. E poi altri ancora, come adesso. Pronti a creare altri sogni.” L’anno seguente (1989) si aggiunge un’altra pietra miliare… Ferrari: “Desideravo partecipare ad un’attività che uscisse un po’ dal programma scolastico tradizionale. Il Mosaico si prestava perfettamente a quello scopo e inoltre rappresentava un solido ponte tra la scuola e l’ambiente in cui è inserito.” Vanno avanti per un po’, ma poi il lavoro aumenta e le forze vengono meno… sede, che ha avuto vita breve…). In seguito è giunta la promozionepunizione a graphic designer del fratello maggiore Mosaico. L’entusiasmo iniziale, mai scemato, e una buona dose di masochismo… mi spronano a continuare quest’avventura che ogni anno si rinnova grazie alla partecipazione di sempre nuovi giornalisti in erba.” Iranzo Pianezzi: “Sono entrata a far parte di Mosaico nel 2003, anno in cui si è reso necessario creare un nuovo gruppo di lavoro, il terzo, perché gli allievi iscritti all’opzione di italiano erano aumentati vertiginosamente. Ho preso le redini del terzo piccolo gruppo (i miei colleghi sono stati clementi!) con entusiasmo, ma anche con timore: -Sarò in grado di gestire il lavoro redazionale, non avendolo mai fatto?- mi chiedevo… Guardavo con ammirazione i colleghi Cesarini, Anselmini e Ferrari che si districavano con estrema abilità tra articoli da correggere, pubblicità da raccogliere, soldi da contare, allievi da spronare… Inoltre, come unica donna e ultima arrivata all’interno della redazione, avevo ben poca voce in capitolo… Ma loro hanno fatto di tutto per aiutarmi e per coinvolgermi, e di questo li ringrazio.” Stella Brienza: “Fin dal primo anno in cui sono arrivata alle Scuole Medie di Tesserete (1999) ho collaborato al Mosaico attraverso i contributi richiesti alle classi (filastrocche, poesie…). La collaborazione mi è stata chiesta dalla redazione: un membro sarebbe andato in pensione, un altro ci sarebbe andato l’anno successivo, quindi erano necessari rinforzi. Ho accettato molto volentieri l’invito, perché mi piace molto partecipare alle iniziative di sede, amo lavorare per i ragazzi e con i ragazzi.” Gandolla: “Sono un giovane mosaicista; sono entrato nel 2006. Mosaico: lavoro in gruppo, inchieste, storie… tutte cose che mi piacciono. Ovvio quindi che ho accettato volentieri l’idea di partecipare a questo progetto comune.” Mina: “Sono entrato nella redazione nel 2006/2007. Sono stato gentilmente incastrato in qualità di docente di classe di IV. Ciò non significa che non apprezzi il nostro giornale di sede; mi accontenterei, però, di un prodotto più semplice e meno ambizioso, maggiormente incentrato sulla realtà della nostra scuola.” Alberti: “Faccio parte del gruppo Mosaico dall’anno scolastico 2006/2007. La redazione ha chiesto se ero disposta a collaborare ed io ho accettato con immenso piacere.” “La frizzante redazione dei docenti di quest’anno” Cattaneo: “Faccio parte della redazione di Mosaico dal 2001. I magnifici tre creatori-redattori erano stufi di comporre le pagine con forbici e colla. Decisero allora di sfruttare qualcuno che capisse qualcosa (ben poca cosa, per quanto mi riguarda) d’informatica. E così, il collega Baldini ed io fummo messi sotto.” Baldini: “Quando?! E chi se lo ricorda? Sono passati tanti di quegli anni… che mi sembra l’altro ieri! Di una cosa sono sicuro: ho iniziato insieme a Maurizio, quindi rileggete i Mosaici e quando scoprirete l’inizio degli articoli storico-barbosi avrete scoperto la data della mia entrata. Il forte interesse che nutro per la grafica mi ha spinto dapprima ad occuparmi dell’impaginazione del giornale Datemiunnome (rivista trimestrale della nostra 2mila8 Mosaico Garlandini: “L’anno scorso ho iniziato a lavorare con Mosaico. Trovo che sia un’occasione per chi come me conosceva poco e nessuno della Capriasca ad interessarsi ad una realtà che in un modo o nell’altro è legato alla scuola.” L’origine del nome Lavio: “Collaboro da quest’anno e penso che potrebbe essere interessante per i ragazzi redigere un articolo nello spazio privilegiato del laboratorio di scrittura.” Come hai fatto a trovare il nome “Mosaico”? L’ho scelto insieme alla mia famiglia, abbiamo pensato che Mosaico fosse adatto al giornale visto che anch’esso è composto da tanti “pezzi”. Maricelli: “Ho iniziato nel settembre 2007 e mi ha spinta la voglia di vedere cosa succede dietro le quinte del giornalino della nostra scuola.” A quali altri titoli hai pensato altre a “Mosaico”? Ho avuto molte idee, ma le ho scartate perché non le trovavo opportune. Abbiamo fatto qualche domanda a Marzia Faillo (da nubile Facchinetti), ideatrice del nome del nostro periodico nel lontano 1988… Perché hai dovuto cercare un nome per il giornale? Come docente di italiano A avevo il maestro Cesarini e aveva dato il compito di trovare un nome per il periodico. Ha poi scelto il mio. Infine, qualche numero… Mosaico si è diffuso oltre i confini della Capriasca; lo troviamo esposto persino in un’edicola vietnamita! 794 i ragazzi che hanno partecipato finora a redigere Mosaico; 167 i racconti, le filastrocche… scritti dai ragazzi di prima e di seconda; 111 le persone intervistate; 66 le ricerche storiche presentate; 56 le associazioni, gli enti e le società presentati sul giornale; 45 i fumetti; 29 i concorsi e i test; 30 gli argomenti “varia” o i numeri speciali che hanno trovato spazio nelle nostre pagine; 18 le inchieste svolte; 15 i fotoromanzi; 12 i servizi fotografici tematici. Vi sembra poco? Noi auguriamo a Mosaico, e a tutti coloro che vi hanno collaborato, un felice anniversario e tanti di questi… numeri! Per sottolineare il 20°, la redazione del Mosaico offre a tutti gli allievi gipfel e té freddo durante la pausa di giovedì 29 maggio (9.40 - 9.55) c/o furgone Storni. Buon anniversario 2mila8 Mosaico Scop iamo r ins eme i ”...ET MORENO COME CANI”: la peste in Capriasca nel 1484-85 L a peste è una malattia infettiva di origine batterica. In Europa è scomparsa da tre secoli, ma in Africa di tanto in tanto viene ancora segnalata. Il morbo è causato da un batterio chiamato yersinia pestis, che si diffondeva in abitazioni con scarsa igiene; i suoi portatori erano i ratti e le pulci. Esistono tre tipi di malattia: la peste bubbonica (si formano pustole nelle zone punte), la peste polmonare (colpisce i polmoni) e la peste setticemica (la più rara ma fatale, dopo la puntura il bacillo infetta il sangue). Ancora oggi non è disponibile un vaccino contro la peste, per cui non è possibile effettuare un trattamento che prevenga questo morbo. Il batterio infetta i polmoni (il periodo di incubazione è da uno a sette giorni) e si trasmette da persona a persona attraverso l’aria o gli aerosol. I primi segni sono febbre, cefalea, debolezza e tosse. Il contagiato può morire in pochi giorni. Una curiosità: i pochi a guarire erano spesso i più forti e i meglio nutriti. Una volta presa la malattia coloro che riuscivano a guarire non potevano più prenderla e quindi di frequente facevano i “becchini” del paese andando per le vie a raccogliere i morti. La terapia medica era vincolata a norme antichissime assolutamente incapaci di dare una guarigione; si ignorava l’agente pestifero e non c’erano ovviamente gli antibiotici che oggi salvaguardano la nostra salute. Una certa efficacia l’aveva la chirurgia, che incideva e nettava i bubboni, veri serbatoi di contagio. C’era poi la credenza che se si portava al collo piccole bocce o palle di metallo ripiene di erbe particolari non si veniva contagiati dalla peste. Nelle case di Nicole e Vivien e nei luoghi pubblici si spargeva aceto. Lo storico ticinese Giuseppe Chiesi ha scritto qualche tempo fa un interessante articolo, sulla rivista Verbanus (no. 26, 2005), dal titolo “Contare i morti. Note a margine di un documento dell’età sforzesca”. In questo testo – si riferisce a un documento esistente in un archivio storico di Milano – l’autore analizza l’epidemia di peste del 1484-85, che toccò la Lombardia e molti comuni del Luganese. Secondo il documento analizzato da Chiesi in tutto il Luganese la peste in quegli anni fece circa 2900 vittime, di cui ben 1271 nella pieve di Capriasca. Vediamo un po’ di riportare le cifre, riferendoci solo ai comuni della nostra regione. Un medico constata i segni del morbo Ecco come si esprime il vecchio documento, elencando i morti per comuni: “in comuni de Salla, persone in comuni de Valio, persone in comuni de Biadognio, persone in comuni de Campestro, persone in comuni de Cavallo, persone in comuni de Lopagnio, persone in comuni de Origlio, persone in comuni de Ponte, persone in comuni de Thesarano, persone .cccxli. .lxxxv. .cxxv. .lxxxi. .clxx. .lxxvii. .cxliii. .ccccxvi. .lxx.” 2mila8 Mosaico 19 Lo traduciamo in modo più comprensibile, aggiungendo una statistica più tardiva sul numero di abitanti dei comuni: None del paese No. delle persone morte nell’epidemia del 1484-85 Sala Capriasca Vaglio Bidogno Campestro Cagiallo Lopagno Origlio Ponte Capriasca Tesserete Censimento del 1576 no. di abitanti 316 85 125 81 170 77 143 416 70 Tot. La famosa epidemia di “peste nera” del 1347 aveva già colpito le nostre regioni, però (come del resto in quasi tutto il resto d’Europa) non vi sono documenti conosciuti che riportano il numero esatto delle vittime. Dopo quella famosa epidemia la peste restò una malattia che in Europa si faceva viva ogni tanto a ondate successive (per esempio: 1398-1401, 1422-25, 1437-39, 1451, 1467-68, 1477-79,…) con alcune recrudescenze importanti, fino alla fine del Seicento/ inizio del Settecento, quando finalmente scomparve dall’Europa. Sarebbe evidentemente importante conoscere il numero degli abitanti dei nostri paesi, per capire l’importanza del numero di morti dell’epidemia del 1484-85, di cui abbiamo riportato i numeri. Purtroppo a quell’epoca non vi erano ancora censimenti precisi e regolari (saranno fatti molto più tardi, i primi alla fine del Settecento o inizio Ottocento). Abbiamo così solo delle indicazioni sporadiche e incerte riguardo i numeri precisi. Dopo il Concilio di Trento (154563) le nostre parrocchie dovevano tenere dei registri sul numero dei battezzati e dei morti, dunque cominciamo finalmente ad avere alcune informazioni statistiche. Nel 1576 in particolare il vescovo di Milano Carlo Borromeo, in occasione di una sua visita, si fece fare un (primo!) censimento delle persone della Capriasca, che risultarono essere 2780. Bisogna notare però che di quel periodo storico manca una definizione precisa dei vari territori comunali, per cui i numeri riportati potrebbero non essere del tutto relativi ai nostri paesi di oggi. Si può comunque tentare il confronto: numero dei morti del 148485 e numero di abitanti del 1576. Questo confronto risulta terribile, il numero dei decessi per peste è infatti molto alto. In un paio di casi (Tesserete, Ponte) sembrerebbe addirittura che i paesi ancora quasi un secolo dopo non si siano ancora ripresi e contino meno abitanti di prima dell’epidemia. Bisogna aggiungere che ancora durante il Cinquecento vi furono, purtroppo, vari casi di pestilenze. La popolazione dei nostri villaggi, probabilmente, era variabile e piuttosto instabile: tendeva ad aumentare nei tempi “normali” ma scendeva (anche bruscamente) durante le epidemie. Lo storico Giuseppe Chiesi riferisce in particolare che Ponte Capriasca verso la metà del 1400 poteva contare un po’ meno di mille abitanti; dunque la peste del 1484-85 avrebbe ucciso quasi la metà del paese! Una vera tragedia. E la Capriasca avrebbe avuto, sempre nel XV secolo, circa 20 Mosaico 2mila8 La moret arriva improvvisa e colpisce dei tipografi 1271 Tot. 620 260 279 106 265 172 306 164 64 2780 4000 abitanti: la peste potrebbe aver causato la morte di circa un buon terzo di tutti gli abitanti. Ecco un passaggio di un testo dell’epoca che mostra la crudezza di quell’epidemia. Un funzionario ducale (annota Chiesi) fa un rapporto a Milano il 1° agosto 1485 e scrive … “la plebe de Chriviascha è tuta quanta infecta et moreno come cani: sono già alcuni giorni che non passano i loro termini per non infectare le terre de le altre plebe”. Non possiamo che pensare con tristezza e con affetto a questi lontani nostri concittadini (e anche lontani parenti, per molti di noi) che morivano in modo così brutale e con poche cure, assistiti solo dalla fede cristiana, che allora era forte e, forse e nella migliore ipotesi, da alcuni coraggiosi parenti o amici. In definitiva quell’epidemia di peste fu durissima e colpì in modo molto forte i nostri paesi. Alcuni nuclei si spopolarono e probabilmente… sparirono per sempre. 2mila8 Mosaico 21 22 Mosaico 2mila8 2mila8 Mosaico 23 Scop iamo r ins eme i Franco e il mal d’Africa di Laura e Arianna P erché ritorna nel Ciad? C’ero già stato dal ’74 al ’76 e questo paese mi è rimasto nel cuore; avrei voluto rimanerci qualche anno in più, ma sono tornato a casa con la speranza di poterci ritornare. In particolare mi sono detto: “Se quando andrò in pensione sarò ancora in salute, chissà che io non possa tornarci ancora!”. E quindi adesso voglio andarci per vedere come mi trovo laggiù a distanza di così tanti anni: chiaramente sarà diverso. Questo viaggio mi aiuterà anche a fare Abbiamo intervistato l’ex maestro delle Scuole Medie di Tesserete Franco Ferrari, che diversi anni fa si è recato nel Ciad come volontario della Cooperazione Tecnica Svizzera. Ora, dopo circa trent’anni, ha deciso di ritornarci per osservare i vari cambiamenti. uno stacco tra la mia vita di maestro, che ormai è finita, e quella di pensionato, che mi sta aspettando: forse da laggiù potrò vedere con più chiarezza come impostare il poco o tanto tempo che mi resta. Cosa era andato a fare trent’anni fa nel Ciad? Ero partito come volontario della Cooperazione Tecnica Svizzera e il mio ruolo era di consigliere pedagogico. Qual è la situazione attuale delle scuole in Ciad? La situazione delle scuole è molto peggiorata rispetto a trent’anni fa: c’è comunque stata una guerra durata vent’anni! Non c’è mai stata la scuola magistrale e quindi i maestri non hanno mai potuto prepararsi all’insegnamento; oggi le scuole hanno ancora meno di quel poco che avevano trent’anni fa. Troviamo villaggi in cui i genitori hanno costruito una scuola di paglia con all’interno centocinquanta alunni e a insegnare ci sono ra- I nostri nonni li utilizzavano per tagliare la legna, loro per sedersi. 2mila8 Mosaico 25 La scuola vista dall’esterno: basta un soffio di vento... gazzi di 14-15 anni che sanno appena un po’ di più di coloro ai quali devono insegnare, oltretutto senza nessuno strumento didattico a disposizione! Quali sono le principali differenze tra la situazione degli allievi africani e i nostri? Ecco, bisogna capire che le scuole del Ciad sono assolutamente qualcosa che noi non possiamo neanche immaginare: non ci sono gli edifici scolastici, non ci sono i banchi, le sedie, gli audiovisivi, manca l’elettricità quasi dappertutto; hanno delle stanghe sulle quali sedersi e come banchi usano due forche sulle quali appoggiano un legno. Stanno tutti appiccicati, i più piccoli scrivono su delle lavagnette e i più grandi su dei quaderni che devono comperare; i maestri hanno solo una lavagnetta. Nelle città ci sono magari delle strutture in cemento dove c’è solo la lavagna. E poi, molto importante, la scuola in Ciad non è obbligatoria. Cosa le è rimasto in fondo al cuore? In fondo al cuore mi è rimasto un grande affetto per questo paese, perché la gente è poverissima: il Ciad è uno dei paesi più poveri nel mondo. Però è gente buona, è gente che spera che tu possa fare qualcosa per lei. Ora stanno cercando di convincere i genitori a far andare i figli a scuola, perché lo sviluppo di un paese deve partire dall’istruzione dei suoi abitanti. Mi ha colpito molto anche il fatto che questi ragazzi non hanno per esempio giocattoli, nessun bar e nessun centro giovanile, non c’è niente, ed è per questo che apprezzano anche le piccole cose che tu riesci a fare per loro. Trovo sia bello vedere che là i ragazzi vanno a scuola molto volentieri, perché la scuola è percepita in modo diverso da come la percepiamo noi. E’ un’opportunità che potrebbe cambiare la loro vita. La testa: l’unico strumento didattico disponibile per parrendere. 26 Mosaico 2mila8 Conos iamo c ins eme i Un mondo ovale di Thierry e Lucas Luca Tramontin, giocatore di rugby di origine ungherese dalla grande esperienza, è arrivato a Tesserete per dare man forte alla nuova squadra Lugano Rugby. D ove è nato il rugby? Il rugby nasce a Rugby, e questo non è un gioco di parole. Come spesso accade, gli sport anglosassoni prendono il nome del college che li ha inventati. Per esempio il badmington nasce a Badmington, allo stesso modo il rugby nasce nel college di Rugby. Si è iniziato a giocare a rugby probabilmente nel Medioevo, originariamente era una sfida tra paesi che consisteva nel portare un oggetto nella piazza avversaria, cercando di evitare la difesa avversaria. In effetti, il concetto originale è rimasto pressoché intatto fino ai giorni nostri; oggi una squadra tenta di portare una palla dentro l’area di meta, mentre la squadra avversaria cerca di difendere il suo spazio. Dopo gli inizi in cui succedeva un po’ di tutto, morti e feriti inclusi, la nobiltà ingle- L’alzata di L. Tramontin durante la prima partita se se ne è impossessata, e questo gioco di paese è diventato lo sport dei college. C’era un unico inconveniente: ogni scuola aveva le sue regole, così poteva accadere che da una parte del campo si giocasse in diciassette calciando la palla, mentre dall’altra parte erano in ventiquattro e si passavano la palla con le mani. Un giorno, verso la metà dell’800, uno studente, William Webb Ellis, un tipo piuttosto matto e ribelle, decise di scrivere delle regole che fossero valide per tutti i college. Solamente da allora tutte le squadre adottarono un regolamento comune. Perché è stata così straordinaria l’idea di Webb Ellis? Webb Ellis era un tipo molto sveglio, e certamente non è stato il primo a voler uniformare le regole del rugby, ma la sua fortuna è stata quella di scrivere le regole del gioco su un librettino tascabile, decisamente più comodo da portare in giro, rispetto ai libri scritti in precedenza. Inutile dire che il libretto di Webb Ellis riscosse un grande successo. In memoria di William Webb Ellis ogni anno viene organizzata una coppa prestigiosa in suo onore, la “Webb Ellis Cup”, una sorta di coppa del mondo di rugby che si tiene ogni quattro anni. Parliamo un po’ di lei, da dove viene? Vengo da Belluno, che è una città tra le montagne al confine con l’Austria. Assomiglia sia per nome sia per scenario alla vostra Bellinzona. In realtà questa non è l’unica somiglianza che noto tra la mia città e il cantone Ticino: il rugby 2mila8 Mosaico 29 Sono le 15.08 del 22 settembre 2007. Sul nostro “campòn”, Luca Tramontin realizza la prima meta della prima partita del “Rugby Lugano” a Tesserete. Una foto storica. adesso, in Ticino, è allo stesso livello del rugby che si giocava a Belluno negli anni Settanta, quello che ho conosciuto io quando mi sono avvicinato a questo sport. Quando ha iniziato a giocare a rugby? Ho iniziato ad avvicinarmi al gioco del rugby quando avevo otto anni. All’inizio mi sembrava una cosa assurda: essere pagati per praticare uno sport. Invece, dopo tre mesi ho deciso di diventare professionista. All’inizio della mia carriera ho cambiato circa undici squadre, andavo dove mi pagavano di più, però sono comunque rimasto attaccato a tutte le squadre che ho lasciato. Perché ha proprio scelto di cimetarsi in questo sport? L’opinione comune è che se uno è grande e grosso allora deve giocare a pallacanestro o meglio ancora a rugby. Io da bambino ero grande e grosso, più grande degli altri, inoltre ero abbastanza irrequieto, nervoso, come se non bastasse venivo da una famiglia che non raccomanderei a nessuno, così la decisione è stata semplice: forse giocando a rugby mi sarei dato una calmata. Così un giorno vidi un manifesto per strada che pubblicizzava gli allenamenti con la squadra della città e decisi di presentarmi in campo. A diciotto 30 Mosaico 2mila8 anni sono diventato professionista, un mediocre professionista, ma ho avuto la fortuna di vivere grazie al mio hobby. In che squadra gioca? Attualmente gioco nella squadra rugby Lugano-Tesserete. Sono arrivato qui perché mi avevano chiesto di sostenere un nuovo club, ufficialmente nato il 17 luglio 2007. In realtà avrei dovuto dare qualche dritta e comunque fermarmi ai classici giri di campo, perché ero “vecchio” per la prima squadra, invece mi sono trovato a giocare tutte le partite. E le cose stanno andando piuttosto bene: alla fine del girone d’andata, siamo i primi in classifica della terza categoria. Giochiamo contro sette squadre che provengono da tutta la Svizzera, ma la più temuta è la squadra zurighese. Dalla scorsa primavera ho l’opportunità di giocare anche nella nazionale ungherese. Molte persone confondono il rugby con il football americano, ma qual è la differenza? Il rugby è più simile all’hockey che al football americano. In realtà sono due sport completamente diversi. Forse tutti gli equivoci nascono dal fatto che gli inglesi hanno colonizzato mezzo mondo con il rugby; sono arrivati anche in America, ma gli americani hanno deciso di fare proprio questo nuovo sport, deformandolo a tal punto che il rugby ormai non ha più niente a che fare con il football americano, anche se i due sport hanno un’origine comune. Ho il massimo rispetto per il football americano, ma non ne conosco neppure le regole, non saprei giocarci; è proprio a tutti gli effetti, un altro sport. E’ vero che non si può parlare con l’arbitro? Il capitano è il solo a poter dialogare con l’arbitro per chiedere spiegazioni. Non si può assolutamente mancare di rispetto all’arbitro, in primo luogo perché vieni sanzionato in maniera durissima, poi perché vieni sanzionato in spogliatoio dal tuo allenatore e soprattutto dalla squadra, e questa è la cosa peggiore. Un giocatore che osa protestare, un giocatore maleducato, è giudicato molto negativamente, specialmente all’interno della squadra. Ad esempio un giocatore maleducato guadagna meno degli altri, perché rovina l’immagine del club, inoltre prende delle multe salatissime. L’arbitro è una figura particolare, nel rugby esercita un ruolo “preventivo”, in altre parole interviene tutte le volte che i giocatori rischiano di commettere un errore o un fallo. Nel rugby, l’arbitro parla molto, e addirittura un giocatore può chiedergli delle spiegazioni. Che cosa si prova ad essere dentro una mischia? C’è metà squadra che è preposta a guadagnare la palla, come nell’hockey c’è un giocatore che va all’ingaggio, nel rugby c’è un gruppo di otto giocatori che va a formare la mischia. Nella mischia le prese e i legami sono molto strutturati, non è possibile improvvisare, bisogna legare in una certa maniera, ed è dovuto a questo il forte spirito di squadra che contraddistingue questo sport. Anche il giocatore più forte del mondo se non ha quei “quattro ciccioni” che gli tirano fuori la palla, ha finito di giocare. E’ pericolosa la mischia? O meglio, ci si fa male giocando a rugby? Il rugby giocato male è molto pericoloso: se io non conosco le tecniche per riuscire a placcare un avversario è probabile che io mi faccia male oppure che faccia male a lui. Il rugby giocato bene, ha un tasso d’infortunio bassissimo, molto più basso che negli altri sport, non ti fai male, non ti rompi ossa e non te le rompono. Inoltre lo scopo del gioco non è fare del male, ma far perdere la palla all’avversario. C’è un contatto fisico molto duro, ma non ci si fa male, poiché c’è anche un arbitro molto severo che controlla attentamente che tu non faccia delle sciocchezze. Per esempio se un giocatore trattiene un avversario e questo avversario lo respinge con una gomitata e l’arbitro ti vede, ti prendi un cartellino e vai negli spogliatoi, inoltre dovrai pagare una multa salatissima e sarai sanzionato duramente con una sospensione. Ogni giocatore deve portare rispetto verso i propri avversari, non è accettata nessuna forma di violenza, questo è un messaggio molto chiaro che giocatori e società trasmettono. Che cosa è il rugby per lei? Il rugby per me è un vizio. Ho avuto la fortuna di poter vivere giocando a rugby per tantissimi anni e ad un certo punto ho pensato che prima o poi avrei dovuto appendere le scarpe al chiodo. Invece sono ancora qui adesso a giocare tutte le partite, credevo che la mia carriera fosse finita, ma ora inaspettatamente mi ritrovo qui a correre sul campo di Tesserete. Personalmente mi sento in forte debito con il rugby; come già detto prima, ero un ragazzo difficile, ma conoscendo la situazione da cui venivo, credo che non sarei riuscito a sfondare negli altri sport. Mi sono sempre divertito, ho vissuto esperienze indimenticabili e ho conosciuto persone fantastiche, tutto questo grazie al rugby. Il rugby le ha cambiato carattere? Non posso dire se il rugby abbia cambiato il mio carattere, ma sicuramente lo ha armonizzato, per esempio io e mio fratello giochiamo nello stesso ruolo, ma lui lo interpreta in maniera diversa dalla mia, lui è il tipico giocatore intelligente, che fa il bel passaggio e gioca in maniera più creativa rispetto a me. Io invece sono il giocatore ignorante, aggressivo, ottuso. Dicevano che se mi avessero tolto gli avversari io non sarei andato in meta da solo, ma li inseguivo negli spogliatoi. Quindi se sei una persona aggressiva e grintosa, neppure il rugby può farti cambiare, resterai così. In che squadra sognerebbe di giocare? Sono contento di giocare con il Lugano e con l’Ungheria, poiché mi hanno prolungato la carriera. Il mio sogno sarebbe quello di giocare con l’Inghilterra, da sempre nutro una grande passione per loro, anche se tutti vorrebbero giocare per gli All Blacks, la nazionale neozelandese. E’ una squadra molto famosa anche perché è facilmente riconoscibile da quella specie di rituale maori, che fanno prima della partita. E’ una danza antichissima, che risale ad un tempo precedente alla conquista inglese, e originariamente serviva per mostrare la propria fisicità. Ci vuole raccontare la sua esperienza più bella? L’esperienza più bella che ho vissuto in campo l’ho avuta giocando con la nazionale ungherese, anche se in verità, non essendo particolarmente nazionalista, non mi sentivo come un giocatore che rappresentava la propria nazione. Un’altra esperienza che ricordo, è una partita giocata in Australia. Abbiamo disputato un partita surreale, in un campo sperdutissimo, dove c’erano dei colori strani, è stato un momento magico. Infine un’altra bella esperienza che ho vissuto è stata partecipare alla grande scommessa di Rugby Lugano-Tesserete, nel rugby ne avevo combinate di tutti i colori, ma non avevo mai contribuito a fondare una squadra; e quando sono arrivate le maglie mi hanno fatto un certo effetto. Lezione di placcaggio nell’aula di IV C Il rugby è uno sport violento? C’è il contatto fisico, tuttavia le statistiche dimostrano che ci si fa molto meno male rispetto agli altri sport. Un graffio, uno striscio non possono rendere il rugby uno sport violento, poi sono così frequenti che non li si considera nemmeno degli infortuni. Se si è ben preparati fisicamente non ci si può fare male. 2mila8 Mosaico 31 Scop iamo r ins eme i Luigi Rossi... cent’anni dopo di Ario, Giacomo, Jonathan e Robin Tra i pittori che hanno lavorato in Capriasca dipingendo soggetti della Pieve, il più famoso è certamente Luigi Rossi, nato a Cassarate il 10 marzo 1853. Dopo pochi anni, la sua famiglia si trasferì a Milano, dove il giovane Rossi frequentò l’Accademia di Brera. A partire dal 1884 lavorò a Parigi, occupandosi di illustrare libri, in particolare alcune opere di Alphonse Daudet. Tornato in Italia, si stabilì a Milano, facendo regolari soggiorni in Capriasca, specialmente d’estate, nella sua casa di Biolda. Nel nostro territorio si possono ammirare ancora ai nostri giorni due suoi affreschi. Uno rappresenta le virtù teologali (fede, speranza e carità) ed è dipinto nella cappella centrale del cimitero di Tesserete; l’altro è l’immagine della Madonna (“Mater peccatorum”) e si trova nella cappella, sulla strada che da Tesserete porta a Lugaggia. È stata inoltre aperta al pubblico la “Casa-museo Luigi Rossi”, dove si possono ammirare una ventina di quadri dell’artista e altrettanti disegni originali. Per visitarla ci si può rivolgere al Municipio di Capriasca. Il campanile di Sureggio, 1910 Il campanile di Sureggio, 2007 M olto è stato scritto su Luigi Rossi, in particolare dal suo pronipote, Matteo Bianchi. Per trattare questo artista abbiamo cercato un modo un po’ originale. Dopo aver scelto tre suoi quadri, li abbiamo ricreati a un secolo di distanza. Lui lavorò con il pennello, noi abbiamo lavorato con la macchina fotografica. Come prima opera abbiamo scelto un paesaggio, “Il campanile di Sureggio”, realizzato tra il 1910 e il 1915. La tela è di proprietà del comune di Capriasca e si può ammirare nella Casa-museo Luigi Rossi a Biolda. Confrontando le due immagini, si nota come l’artista abbia “allungato” il campanile della chiesa di san Pietro a Sureggio, forse per dargli più slancio. Gli altri volumi della costruzione sono praticamente identici. Anche i tre campanili dello sfondo (a sinistra, quasi al colmo della collina, San Martino; nel centro, nel paese di Sonvico, la parrocchiale di san Giovanni Battista, mentre non riusciamo a riconoscere quello a destra) sono stati accentuati dal pittore, che li ha rappresentati più grandi di quello che appaiono in realtà. In entrambe le immagini il soggetto in primo piano resta nella penombra, mentre il paesaggio sullo sfondo è illuminato dalla luce del sole. La seconda opera è “Amore in campagna”, realizzata nel 1880 circa. Guardando lo sfondo (ampie distese di campi e un villaggio sulla collina), possiamo immaginare che sia stato realizzato in Brianza. Noi siamo andati nella “piana” di Cagiallo e abbiamo scelto come sfondo Sarone: un villaggio che sa ancora d’antico. La terza opera è “Il canto dell’aurora”. Di questa ne parliamo a parte, perché la fotografia è stata l’occasione per una vicenda speciale, che vogliamo raccontare per intero. 2mila8 Mosaico 41 Amore in campagna, 2007 Amore in campagna, 1880 42 Mosaico 2mila8 La storia di una fotografia “Il canto dell’aurora” è uno dei dipinti più conosciuti di Luigi Rossi. È stato esposto per la prima volta a Milano nel 1912 e si trova al Museo Civico di Belle Arti di Lugano. Abbiamo scelto di rifare questo quadro con un’altra tecnica (la fotografia) a quasi cent’anni di distanza. Per sostituire la forosette del dipinto col “cargánsc” (la gerla a stecche rade) abbiamo scelto quattro nostre compagne, vestite come si usa oggi. Il luogo del dipinto ci era evidentemente sconosciuto e abbiamo cercato di identificarlo guardando soprattutto lo sfondo. Ci voleva un orizzonte basso e abbiamo così pensato alla zona del “Pian dal Lüv” (Piano del Lupo), che si trova tra la bocchetta di Gola di Lago e l’Alpe Davrosio. Siamo saliti lassù il 29 ottobre 2007, di buon’ora. Il canto dell’aurora, 1910 Lungo la strada del ritorno, passando per Odogno, abbiamo incontrato il maestro Franco Ferrari con la gerla in spalla, che ritornava dai campi. Ci siamo fermati per parlare un po’, raccontargli della nostra spedizione e con grande meraviglia abbiamo scoperto che una delle persone ritratte sul dipinto di Luigi Rossi era nientemeno che sua nonna! Che coincidenza! A cent’anni di distanza si era creato un legame tutto particolare tra la nostra foto e il dipinto di Luigi Rossi. Mary Ardia di Tesserete ci ha poi raccontato la storia, sentita da sua nonna, di come è stato realizzato questo dipinto. Le modelle scelte da Luigi Rossi erano tre sorelle Canonica, residenti a Mièra: Maddalena è la ragazza che guarda a destra (è la nonna di Mary, che si è poi sposata in Ardia); Maria è in primo piano (sposata in Antonini, è la nonna materna del maestro Franco); Isola (sposata in Morosoli) si vede di schiena. Di lei abbiamo trovato un’altra foto, quando era un po’ più vecchia, ma vestiva ancora gli abiti contadini e teneva in mano la “penágia”, la zangola per fare il burro. La quarta ragazza, la più nascosta, si chiamava Teresa Marioni. Il quadro è stato probabilmente realizzato già nel 1910, quando le ragazze avevano circa 15 anni. Ricevettero come compenso dal pittore 20 centesimi (a quei tempi una bella somma) e rimasero in posa per varie ore. Sulla loro schiena si riconosce il lenzuolo di lino che veniva messo per assorbire il sudore (i carichi del “cargánsc” erano molto pesanti). Le ragazze posarono sul “Matarél da Nava, vicino a Rogià nella zona dei monti di Roveredo”. Il loro è un grido di saluto, forse il saluto al nuovo giorno che segue la preghiera del mattino, forse un richiamo per le bestie. Quando ci si trovava sui monti - dove le case erano distanti l’una dall’altra e dove a volte ci si poteva sentire soli - era abitudine lanciare dei gridi per segnalare la propria presenza. 2mila8 Mosaico 43 Luigi Rossi... fotografato Isola Morosoli con la “penágia” Il contadino Ferrari con le forosette del Duemila 2mila8 Mosaico 45 Il canto dell’aurora, 2007 Gi llo a L’angelo delle tenebre di Michele e Fabrice Era una fredda e piovosa notte di gennaio. John, un ragazzo diciottenne, aveva avuto un’ottima giornata. Stava camminando tranquillamente verso casa dove sua madre lo attendeva impaziente. Fischiettando allegramente, non si accorse neppure della figura scura che lo seguiva, svoltò l’angolo ed entrò in uno stretto vicolo. Echeggiò uno sparo, poi non ci fu altro che silenzio. L’ispettor Clochard arrivò all’ospedale cittadino e si diresse subito all’obitorio. Doveva analizzare il caso di John Anderson, studente universitario morto il giorno precedente. Il proiettile trovato all’interno del suo cranio apparteneva ad una pistola Magnum calibro 22. L’ispettore aveva già cominciato ad interrogare i parenti stretti della vittima e da quello che gli dissero risultò un ragazzo modello: nessun precedente penale, studente universitario molto dotato, grande appassionato di chimica e di biologia. Secondo i testimoni era sceso dal treno verso mezzanotte con un gruppo di amici e si erano separati vicino al parco municipale. Da lì in poi nessuna traccia. Il cadavere era stato ritrovato il mattino seguente da un ragazzo che stava camminando verso scuola, il quale, terrorizzato, si era affrettato a chiamare la polizia. Lasciato l’ospedale, si diresse verso la casa degli Anderson: voleva perquisire la stanza del giovane per scoprire qualcosa che avrebbe potuto fornire una pista d’indagine. Arrivò alla vecchia villa verso le tre e mezzo del pomeriggio e bussò alla porta; gli aprì la madre della vittima e l’ispettore spiegò lo scopo della sua visita. Con una certa riluttanza la donna acconsentì e lo fece entrare. Clochard salì le scale ed entrò nell’angusta stanza in cui regnava il caos più totale. Cominciò con l’aprire tutti i cassetti e, dopo venti minuti di ricerca infruttuosa, trovò finalmente qualcosa di curioso. Si trattava di un lembo di stoffa scura con disegnato sopra un pentacolo: un simbolo esoterico. L’ispettore sospettava che il ragazzo appartenesse a qualche setta e quindi decise di chiedere informazioni al migliore amico di John, Max De Lacroix. Dopo essersi congedato dalla signora Anderson, l’ispettore partì sfrecciando per la via con la sua BMW nuova fiammante in direzione dell’università. Quando arrivò le lezioni erano già cominciate e dovette entrare nell’aula a chiamare il ragazzo. Una persona alta si alzò dalla prima fila e, sotto gli occhi meravigliati di tutti i presenti, seguì l’ispettore nel parco vicino all’ateneo. Lì iniziò l’interrogatorio; il ragazzo si mostrava riluttante a rispondere alle domande dell’uomo; poi, improvvisamente, scoppiò a piangere. Cominciò a raccontare una strana storia. L’ispettore ci mise un po’ a riordinare tutto il racconto tra i singhiozzi del giovane: alla fine venne a sapere che negli ultimi tempi John aveva mostrato segni d’inquietudine, non parlava più con nessuno tranne che con delle strane persone sempre vestite di nero anch’esse taciturne. Max si ricordava perfettamente tutto ciò che aveva visto qualche settimana prima: aveva deciso di seguire John per scoprire che cosa si celasse dietro al suo comportamento. Era arrivato ad un edificio abbandonato in periferia, era andato sul retro e si era appostato vicino ad una finestra. All’interno s’intravedeva un’enorme stanza coperta di veli neri, sul pavimento era disegnato un pentacolo e su ogni punta del segno si trovava una candela scura. Alcune persone incappucciate sedevano intorno al simbolo e intonavano una strana cantilena composta di parole incomprensibili. Tra quegli individui aveva scorto John inginocchiato a prestare giuramento di fronte a una persona che aveva poi identificato come il capo della gilda. Pensando di aver visto troppo, aveva abbandonato la sua postazione ed era ritornato di corsa a casa. A quel punto terminò il racconto del ragazzo, quindi 2mila8 Mosaico 73 l’ispettore decise di andare ad indagare lui stesso nel luogo dove si tenevano le riunioni della setta che John aveva frequentato. Immerso nei suoi pensieri salì sulla sua auto e partì rombando in direzione della periferia. Arrivò nel tardo pomeriggio e riconobbe immediatamente ai margini della strada l’austero edificio che gettava cupe ombre sull’ambiente circostante. Intorno non si scorgeva anima viva e una sensazione di freddo si impadronì dell’ispettore. Era da tempo che non sentiva una tale paura. Dopo all’incirca un’ora di attesa snervante, arrivò la prima persona. Le altre seguirono nei dieci minuti successivi. L’ispettore li seguì furtivamente con passo felpato all’interno dell’edificio. Si ritrovò in uno spazio squallido, poco luminoso, in cui l’aria era stantia e poco respirabile: loro erano lì, stretti in cerchio a pronunciare con una voce sommessa una strana cantilena. L’ispettore estrasse la pistola dal fodero e lentamente tolse la sicura per non fare rumore; saltò fuori dal suo nascondiglio e irruppe nella stanza gridando: “Fermi tutti! Polizia!”. Il panico si scatenò nella sala, ma ben presto l’ispettore riuscì a ristabilire l’ordine e il silenzio. Fece mettere tutti i ragazzi in fila con le mani dietro la testa e domandò loro che cosa stessero facendo in quel luogo. Loro risposero, ridendo, che stavano solamente provando per la recita scolastica e che usavano quel posto per potersi esercitare in tutta tranquillità. Ma quando l’ispettore disse che John era stato assassinato, questi assunsero un’espressione seria. Nessuno di loro sapeva nulla dell’accaduto. Qualcuno spiegò che nono- stante tutti avessero notato l’assenza del ragazzo, non avevano chiamato a casa sua perché sapevano che John voleva fare una sorpresa a parenti e amici recitando come protagonista. Inoltre il racconto che Max aveva fatto a Clochard li lasciò perplessi: negarono infatti che quel giorno avessero fatto delle prove. A quel punto al poliziotto non rimase che scusarsi e ritornare a casa. Non sapeva più che cosa fare, la sua unica pista si era rivelata un fiasco totale. Ma ad un tratto, mentre la BMW sfrecciava per il viale, l’uomo si accorse che il suo telefono cellulare squillava. Rispose e una voce femminile gli disse che erano stati 74 Mosaico 2mila8 trovati nuovi elementi riguardo all’indagine sull’omicidio di John Anderson e lo invitò a raggiungerla al più presto all’obitorio dell’ospedale cittadino. L’ispettore fece una brusca manovra, girando la macchina di centottanta gradi e partì a velocità folle verso il centro. Arrivò all’ospedale a mezzanotte in punto ed entrò a passo di corsa nell’obitorio. La squadra medica lo stava aspettando impaziente di mostrargli ciò che aveva scoperto. Sul tavolo c’era una scheda di memoria che probabilmente era appartenuta al ragazzo ucciso ed era stata ritrovata nella scarpa destra della vittima. L’ispettore la esaminò con cura e provò a inserirla nel computer portatile. La cartella diceva chiaramente che la schedina doveva prima trovarsi nel cellulare del ragazzo, poiché conteneva soprattutto immagini, filmati e musiche che avrebbero dovuto servire per la recita. Ma tra questi file, uno in particolare destò la curiosità dell’ispettore. Una cartella tra le tante era criptata. I ragazzi della scientifica riuscirono comunque ad accedere ai suoi contenuti con facilità; il file conteneva una singola fotografia raffigurante un uomo sulla quarantina che dava dei soldi ad un ragazzo, il quale gli tendeva a sua volta una penna digitale. Mentre l’ispettore esaminava attentamente la fotografia, si accorse con grande stupore che il ragazzo in questione non era altri che Max De Lacroix, colui che aveva interrogato quella mattina. Visto che erano passate le due, il poliziotto decise di tornare a casa sua e riposarsi qualche ora. La mattina successiva, dopo una dormita assai breve, l’ispettor Clochard si recò a casa di Max per scoprire che cosa significasse quella foto. Arrivò davanti all’abitazione e suonò il campanello. Gli venne ad aprire una donna sui quarantacinque anni che lo invitò ad entrare. Il poliziotto chiese di poter parlare con Max e la donna gli disse che si trovava in camera sua. L’ispettore quindi salì le scale ed entrò nella stanza. Il ragazzo stava seduto davanti alla scrivania a fare i compiti: “La stavo aspettando ispettore”, disse con voce pacata il giovane. “Immagino che sia venuto per la foto: non si preoccupi, so già tutto”. Poi continuò: “Ebbene sì, sono stato io ad assassinare John: aveva scoperto che fornivo informazioni importanti a un gruppo di terroristi e minacciava di raccontare tutto alla polizia, non potevo lasciare che distruggesse la mia vita, così l’ho fatto fuori”. Si girò e l’ispettore vide che stringeva in mano una pistola. L’uomo fece appena in tempo a buttarsi dietro il letto, si udirono due spari che fortunatamente non lo colpirono. Subito dopo Max si gettò dalla finestra e cominciò a correre. L’ispettore quindi si scaraventò giù dalle scale e uscendo dalla porta si diresse di corsa verso la sua auto. Accese il motore e partì nella stessa direzione del giovane. Dopo aver percorso qualche centinaio di metri, lo vide entrare in un vecchio capannone desolato; così abbandonò l’auto e lo seguì con la pistola in pugno. L’interno era buio e c’erano almeno una dozzina di persone che gli puntavano addosso un fucile. Max si fece avanti dicendo: “Questa è la tua fine sbirro!”. Ma l’uomo rispose: “Non penserai che sia venuto solo…”. In quel momento tutti i migliori agenti della Squadra Speciale Alpha equipaggiati con fucili ad alta precisione irruppero nel capannone intimando la resa: “L’edificio è circondato, vi conviene arrendervi!”. Così Max e la cellula dei terroristi vennero arrestati e condannati all’ergastolo. L’ispettore, felice che tutto fosse finito senza altre vittime, tornò a casa, dove sua moglie e i suoi figli lo stavano aspettando. 2mila8 Mosaico 75 Conos iamo c ins eme i Faccia a faccia: la caccia di Manuel e Filippo Abbiamo intervistato il maestro Romano Molinari, “vegano” dichiarato, e il custode della nostra scuola, Bruno Mini, cacciatore provetto. Ci hanno parlato di caccia e di altro ancora… B RUNO MINI Perché è cacciatore? E’ una passione che c’è e che è cresciuta con me. Cacciatore più o meno si nasce, forse c’è già nel nostro DNA. Ogni persona ha un suo pregio, ognuno è portato per fare qualcosa: c’è chi è portato per fare il cacciatore, chi per fare il tennista. Come è nata questa passione e perchè? L’avevo già da piccolo: sono cresciuto in una famiglia di cacciatori, lo erano già i miei nonni. Grazie a questo, mi è stato più facile entrare a contatto con la natura. Cosa pensa dei vegetariani? E’ una scelta che uno compie e che è convinto di prendere, come qualsiasi altra cosa o altra attività che l’uomo si sente di fare nella sua vita. Pensa che sia possibile e che sia sano vivere mangiando solo carne? Assolutamente no, troppa carne fa male. Per tutte le cose ci vuole un equilibrio, soprattutto con la carne di selvaggina, che fa malissimo. Bisogna quindi bilanciare l’alimentazione, mangiare un po’ di carne bianca, pesce, pollo, chiaramente non esagerando. In famiglia sono tutti d’accordo con lei? Purtroppo no, ma sanno che ho questa passione e che è più forte di me, quindi non osano contraddirmi. Adesso ho diminuito un bel po’, prima praticavo anche la caccia bassa, quindi rubavo un mucchio di tempo alla mia famiglia. Adesso faccio solo quindici giorni di caccia alta e da qualche anno caccio il cinghiale a dicembre. I suoi genitori erano cacciatori? Sì, lo erano i miei genitori, mio zio, mio nonno, che era contadino. Da ragazzo ogni fine settimana e durante le vacanze estive andavo con lui sui monti: mi insegnava a riconoscere il canto degli uccelli, a stare a contatto con la natura, a saper distinguere le orme e le tracce di vari animali, per esempio della lepre. Grazie a questo la mia passione è aumentata. specialmente sui cervi nel periodo degli amori, o sui fagiani di monte durante le parate. Magari un giorno, quando chiuderà la caccia, mi dedicherò alla macchina fotografica e alla telecamera, per restare a contatto con la natura. Avrebbe una ricetta da consigliarci? Ne ho diverse; ne rammento tre: sella di capriolo con contorni; medaglioni di cervo con tagliatelle e un buon sughetto di porcini; ragù di cinghiale con pappardelle. “Guerra e pace ...” Non ha mai avuto ripensamenti su questa scelta? Finora no, perché mi appassiona molto camminare in montagna, osservare la selvaggina, con qualsiasi tempo, in ogni stagione. Mi piacerebbe molto fare dei filmati 2mila8 Mosaico 97 *pulite e tritate finemente la cipolla. Fatela dorare in una pentola utilizzando una parte della margarina. R OMANO MOLINARI Perché è vegetariano? Vorrei precisare che non sono vegetariano, ma “vegano”. Oltre a non consumare la carne e il pesce, escludo dalla mia alimentazione le uova, i latticini e il miele. Come è nata questa passione e perché? Non è una passione, ma uno stile di vita. Evito, nel limite del possibile, qualsiasi comportamento che contrasti con il benessere degli animali. Oltre a seguire una dieta “vegana”, sono contrario agli spettacoli con animali (corride, circhi), alla caccia, alla pesca, agli zoo, alla sperimentazione con animali. Cosa pensa dei cacciatori? La caccia a mio modo di vedere non è uno sport. Uccidere un animale indifeso neanche. La caccia è un’attività inutile, barbara, crudele e sanguinaria, che provoca gravi sofferenze agli animali feriti, altera gli equilibri biologici e provoca l’estinzione di specie animali. Pensa che sia possibile e che sia sano vivere mangiando solo frutta e verdura? Per vivere sani occorre un’alimentazione correttamente bilanciata. Molte persone pensano che i “vegani” mangino solo insalata e che siano tutti deboli, gracili e anemici. La realtà è ben diversa. Una dieta priva di carne e di suoi derivati riduce di molto il rischio di malattie. Per la dieta non c’è nessuna controindicazione. Anzi, emerge che la resa atletica dei “vegani” sia maggiore, perché sfruttano l’energia incamerata attraverso il cibo. Non mangiare carne non comporta problemi di anemia, infatti il ferro lo troviamo nei cereali (tre volte 98 Mosaico 2mila8 In famiglia sono tutti d’accordo con lei? Sì, anche se i miei figli seguono un’alimentazione “normale”. Mia moglie è “vegana”. *aggiungete le lenticchie già cot- te e scolate, salatele e mescolate. *unite tutta la margarina restante e, dopo averla sciolta, aggiungete la farina, la passata di pomodoro e gli aromi. *mescolate bene e fate cuocere per alcuni minuti, assaggiando e correggendo a vostro piacimento. *quando si sarà formata una bel- la crema, spegnete la fiamma, lasciate intiepidire leggermente e frullate il tutto con un frullatore a immersione, così da ottenere un composto omogeneo e cremoso. *versate in una pirofila leggermente oliata (particolarmente indicata quella per il plumcake) e lasciate raffreddare. *per evitare che la superficie diventi scura, spennellatela con olio d’oliva extravergine. I suoi genitori erano “vegani”? Io sono “vegano” da più di due anni. I miei genitori non lo erano, ma a casa nostra si mangiava carne solo alla domenica. Non ha mai avuto ripensamenti su questa scelta? Assolutamente no! Non tradirei mai i miei amici animali! Come potrei guardare negli occhi ad esempio una mucca dopo averla mangiata? Avrebbe una ricetta da consigliarci? La mia passione è il paté di lenticchie: Ingredienti per 4 persone 2 tazze di lenticchie 1 cipolla 125g di margarina vegetale non idrogenata 6 cucchiai di passata di pomodoro 2 cucchiai di farina 2 cucchiai di prezzemolo tritato 1 pizzico di timo 1 generosa grattugiata di noce moscata ½ cucchiaio di sale aromatico. Non si sa mai... Dalla sella alla soia! Latte? Di soia! di più in quelli integrali), nelle verdure, specialmente in quella a foglia verde scura, nella frutta e nei legumi freschi. Anche il calcio è facilmente reperibile nei vegetali: nella soia e in altri legumi, nei semi di sesamo, di zucca e di girasole, nella frutta secca, nel prezzemolo, negli ortaggi a foglia verde, nel tofu, nel riso, nella melassa. Esistono inoltre numerose fonti proteiche vegetali: i semi dei legumi, i cereali e la frutta secca. La soia supera tutti gli altri vegetali per la quantità di proteine utilizzabili. Altre fonti sono il lievito di birra e le alghe di acqua dolce. La vitamina B12 è contenuta nel germe di grano, nei germogli di lenticchie e piselli e nella microalga spirulina (disponibile in erboristeria). Rapporto scolastico 1.- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE Docente cordiale, precisa e attenta alla propria immagine, vive con passione il proprio lavoro. In classe sa creare il giusto ambiente ed un suo sguardo è sufficiente per ammutolire anche i più turbolenti. Capace come pochi a lavorare con la porta aperta, raramente alza la voce, ma se si “incavola” tutti gli allievi sono immediatamente in grado di capirlo dall’espressione del suo viso. Curata nell’aspetto, nei corridoi muove leggiadra i suoi folti capelli, belli e d’un rosso alla Julia Roberts. Rapporto scolastico 3.- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE Molto interessato e attivo, porta un buon contributo critico alle discussioni. Ben integrato nel gruppo, mostra buone capacità di rapporti con le persone. A volte distratto da interessi extrascolastici, è comunque affidabile e responsabile nelle consegne. Dovrebbe limitare le chiacchiere. Spesso disordinato, perde a volte il materiale (dov’è finito il classificatore di geografia?). PS: è richiesto un colloquio (anche con moglie e figlia). Giudizi di fine semestre Rapporto scolastico 2.- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE Le molte assenze hanno caratterizzato l’inizio di quest’anno scolastico: il lungo viaggio in Africa sta compromettendo il profitto. Il suo carattere aperto gli facilita i contatti con tutti; a volte è anche troppo aperto, quasi da trasformare la scuola in teatro. Molto bravo in italiano, certi temi sembrano fatti da uno scrittore, ma troppo spesso usa il dialetto. Bene anche in francese ma insufficiente in educazione fisica: a pallavolo è un vero disastro. Forza, deve aumentare la sua presenza a scuola! Sai per quale ragione i tuoi docenti sono stressati a fine gennaio? Non di certo perché sono impegnati a scrivere i giudizi di fine semestre, bensì perché anche loro ricevono un giudizio intermedio… e non sempre chi predica bene razzola altrettanto bene! Per un banale errore del computer, sui testi non figura il nome del docente: sei in grado di aiutarci? Leggendo i giudizi, riconosci almeno CINQUE tuoi docenti e partecipi all’estrazione di tre fortunati vincitori. Buona fortuna. Completa il tagliando e imbucalo nella solita cassetta che trovi fuori dalla segreteria. Con corso Rapporto scolastico 4- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE Ogni riccio un capriccio? No, non è capriccioso, però i ricci aiutano a capire l’umore, così come lo sguardo… In “classe” è un leader, tutti i compagni si rivolgono a lui per risolvere questioni spinose e si prodiga a calmare gli animi, anche quelli bollenti. È un persona pacifica e gentile, ma non vi consiglio di farlo arrabbiare perché lo sentireste fino a Bellinzona! Farà strada, il ragazzo… Rapporto scolastico 5- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE Durante il primo semestre ha dimostrato un costante impegno: il profitto è certamente positivo; in generale manifesta un vivo interesse durante le lezioni, partecipando attivamente, soprattutto a italiano e a inglese. Svolge ogni lavoro con cura, ne è la prova l’elegante calligrafia che caratterizza ogni suo scritto. Va inoltre riconosciuto il suo spirito di iniziativa: in particolare si è fatta apprezzare durante la settimana bianca organizzando per i compagni delle belle attività di intrattenimento. 102 Mosaico 2mila8 Rapporto scolastico 6- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE Un John Lennon catapultato nel 2008, docente molto sensibile, prende a cuore ogni singolo momento della sua vita scolastica. A gennaio e verso giugno lo si vede spesso sotto pressione e alla perenne ricerca di cartoncini gialli svolazzanti: le schedine delle assenze dei suoi alunni, reperibili ovunque tranne che al loro posto… Ha ormai monopolizzato gli scaffali dell’aula docenti, ma cerca di rimediare al suo disordine congenito con la simpatia e offrendo cioccolato ai colleghi. Rapporto scolastico 7- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE Piccolina e tutto pepe Gonna o pantaloni, il look è molto curato: colori e accessori (collane e spille particolari) sono sempre perfettamente abbinati. Ama l’italiano e quindi, quando non c’è attenzione, di tanto in tanto emette qualche urlo rivolto a chi non prende sul serio le sue spiegazioni. In matematica invece ha qualche difficoltà: la somma e la divisione non sono “il suo forte”! Temperamento español, risata fragorosa, vulcano di idee, schiettezza, … dunque quadro scolastico globale molto buono. Rapporto scolastico 8- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE “Chi è generoso è sempre forte!” Lavora sapendo con competenza ed entusiasmo ciò che vuole. Severa ed esigente con se stessa e con gli altri. In alcuni momenti riservata, ma sempre disponibile alle attività di gruppo. Brillante nelle materie che le permettono di analizzare e applicare delle regole (matematica, francese, tedesco, tutti i settori della grammatica), più timorosa quando è il momento di tirar fuori la creatività. La sua freddezza verso l’educazione fisica è largamente compensata dalle squisite dolcezze che realizza al corso di educazione alimentare. Qualche chiacchiera tra un esercizio e l’altro, anche in latinorum. Ma questo è un pregio della generosità! Rapporto scolastico 9- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE Fin dal suo arrivo si è contraddistinta per una raffinatezza nei modi e un’eleganza fuori dall’ordinario. In classe è seria, rigorosa e severa quanto basta per far rigare dritto chiunque osi trasgredire le regole o solamente dimostri indolenza. In matematica e scienze ha saputo ottenere risultati da primato, tanto che da alcuni anni è punto di riferimento di giovani docenti in abilitazione. Il suo impegno però non si esaurisce in classe, perché con la stessa passione con cui insegna l’algebra, si dedica al suo hobby preferito: manager di campioni di pattinaggio! Rapporto scolastico 10- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE La giovane sta concludendo in modo molto positivo il suo terzo anno di insegnamento nella scuola media di Tesserete. Serena ed impegnata, comprensiva ma esigente, sa creare in classe la necessaria tranquillità e riesce a far conciliare armonicamente l’allegria con l’impegno scolastico. Siamo convinti che continuando a lavorare come sta facendo riuscirà a raggiungere gli obiettivi che si è prefissa. Ora non le resta che perfezionare qua e là alcuni dettagli per riuscire a gestire meglio anche la tombola della sede. 2mila8 Mosaico 103 Rapporto scolastico 11- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE Brillante e perspicace, molto creativo, si dimostra spesso intraprendente ed un tantino iperattivo Ottime le sue capacità di lavorare autonomamente. Molto determinato, a volte persino caparbio, è in grado di sostenere con solide argomentazioni, le proprie convinzioni. All’interno del gruppo, è un elemento trainante: detesta i ruoli subalterni, preferendo assumersi le responsabilità dell’attore protagonista o del regista. Bravo, continua così! Rapporto scolastico 12- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE Diligente, pignolo, sportivo ed un po’ brontolone ottiene un profitto globalmente molto buono; da segnalare gli ottimi risultati in scienze e matematica, materie nelle quali i suoi interventi sono pertinenti. Sempre ben curato nell’abbigliamento, soprattutto nella scelta degli accessori, sciarpe ed occhiali. Intrattiene buoni rapporti con i colleghi ed è un importante punto di riferimento per i giocatori di pallavolo e gli amanti dei siti informatici. Rapporto scolastico 13- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE Docente atipico, lo si incontra raramente in classe, ma è sempre presente in sede, anche durante le vacanze… . I risultati scolastici ottenuti in questo primo periodo sono al limite del “sostegno”, come quelli della sua squadra del cuore l’HCL! Nel rugby (il suo nuovo “coup de foudre”…) vari sono i ruoli dei giocatori e per assomigliare a Chabal (la barba è a buon punto!) dovrà migliorare come tallonatore, irrobustendosi fisicamente; esercitarsi nella corsa come tre quarti ala (visto che nel triathlon è il suo punto debole!); ma è come mediano d’apertura che dovrà dare il meglio di sé, scegliendo le strategie di gioco da attuare durante l’intero anno scolastico. Tagliando di partecipazione Nome e cognome: .................................................. Classe: .............. Domicilio: ....................................... No. Giudizio Docente .............. ........................................................ .............. ........................................................ .............. ........................................................ .............. ........................................................ .............. ........................................................ 2mila8 Mosaico 105 Mosaico periodico della Sme Tesserete Anno XX - N.24 - maggio 2mila8 www.smetesserete.ch Redazione Arianna, Laura, Mattia, Filippo H., Filippo D., Manuel, Luca R., Daniele, Chiara, Camilla, Elisa, Sheena, Maura, Giulia V., Lavinia, Lisa, Simona, Michele, Fabrice, Giacomo, Diego, Matteo, Deborah, Asia, Simone M., Enea, Cristina, Giulia P., Roberto, Luca D., Simone A., Nathan, Nicole, Viviane, Robin, Jonathan, Lucas, Thierry … e i docenti: Giorgio Cesarini, Carlo Anselmini, Franco Ferrari, Maurizio Cattaneo, Eleonora Stella Brienza, Nicole Garlandini, Elisa Maricelli, Fausta Alberti, Jacqueline Iranzo Pianezzi, Cristiana Lavio, Alberto Gandolla, Walo Mina. Disegni “Giallo” e “Concorso”: Mattia IIIE prima A, prima B, prima C, prima D, prima E, seconda A, seconda B, seconda C, seconda D, seconda E, terza D Pubblicità Maurizio Cattaneo Fontanaprint Tipografia … e i docenti: A. Frigeri, L. Gini, 110 Mosaico 2mila8 Impaginazione e Grafica ... le classi: Stefano Baldini Collaborazioni