a
Mos ico
Periodico della
Sme di Tesserete
Numero 24 - XX
anno
4
11
29
35
62
70
77
97
Varia
Un mosaico di Mosaici
Ul Richeto
Un mondo ovale
Cuochi d’altre terre
L’eremita sui mti. di Roveredo
I ricordi di un ex
Il carnevale “Coleta”
Faccia a faccia
Canzoni d’amore
Fotoromanzo
Giallo
Infiltrati a Lenzerheide
Ciao Claudio!
Concorso
Giochi
Redazione
Conosciamo ...
Lo sport (IA)
Il razzismo (IC)
Le vacanze (ID)
In famiglia (IIA)
La scuola (IIE)
... (IIID)
16
33
L’amicizia (IB)
Lo sport (IE)
Som
m
Tazebao
ario
49
51
73
82
89
102
107
110
Calligramma
8
27
38
67
91
95
Scopriamo ...
La peste in Capriasca
Un pensionato in Ciad
Luigi Rossi...
Pattinare ad Origlio
Fumetti
46
79
99
21
86
Un’età fantastica (IIB)
Un pianeta da salvare (IIC)
Il sogno di volare
Un nuovo amore
Amore a prima vista
Tentativi poetici
19
25
41
93
2mila8 Mosaico Conos iamo
c
ins eme
i
Un mosaico di Mosaici
di Luca e Roberto
Il Mosaico nasce nel 1988, quindi quest’anno compie vent’anni: auguri!
Abbiamo voluto scoprire i retroscena e la storia di questo periodico che
da così tanto tempo ci accompagna e ci intrattiene nelle tiepide serate
di maggio. Prendendo spunto dal titolo, abbiamo pensato di scrivere un
articolo un po’ anomalo: un mosaico di informazioni e di curiosità, appunto.
Alla fine degli anni Ottanta gli allievi di quarta dovevano scegliere
tra due opzioni di italiano: approfondimento (italiano A) ed esercitazioni (italiano E), la prima con
nota. In quelle due ore settimanali,
oltre a lavorare su teatro e letteratura del ‘900, a Tesserete i ragazzi
si occupavano a gruppi della preparazione degli articoli della rivista.
Durante i primi anni si sono pubblicati due numeri per anno quindi il
numero totale di riviste è superiore
a venti. Certo oggi è più facile redigerlo perché ci sono molte macchine in sede, allora avevano solo
tre piccoli Mac e una stampante
ad aghi: la preistoria dell’informatica! Forse era più “romantico”, più
coinvolgente, e le relazioni coi ragazzi più intense. Gli allievi invece
non sono cambiati: allora come
oggi c’era chi si dannava l’anima
e lavorava con grande serietà e
chi, se non gentilmente ricattato,
non faceva un granché… (tratto e
adattato da un’intervista al maestro Cesarini, uno dei fondatori di
Mosaico)
Mosaico 2mila8
Le redazioni cambiano col trascorrere degli anni…
La redazione di partenza era composta da due docenti di italiano: il
maestro Cesarini e il maestro Anselmini. Abbiamo chiesto un loro
commento sugli esordi…
Cesarini (è presente sin dalle origini, sul balcone del mitico Carlo):
“Lo scopo era far scrivere i ragazzi,
ma farli scrivere in maniera divertente. All’epoca è stata una novità per la nostra scuola, ora è una
consuetudine. Ma l’entusiasmo è
quello delle origini! Ogni volta che
prendo in mano il prodotto finito,
provo una grande soddisfazione.
Spero sia contagiosa per i nuovi
arrivati.”
Una parte della prima redazione di Mosaico, 1988 -1989
La storia
Anselmini (anche lui dal 1988)
“Tutto nacque in un caldo pomeriggio d’estate seduti a un tavolo
sulla mia terrazza. Un summit didattico tra me e Giorgio, che era
arrivato da due o tre anni alle Sme
di Tesserete e che, come me, insegnava italiano ed era docente
di classe di una quarta. L’idea fu
sua. E io, come potevo dirgli di no?
Era una sfida e a me piacevano (e
piacciono) le sfide! -Bisogna far
scrivere! Far scrivere!- proclamava il nostro esperto di italiano! E
lo prendemmo in parola. Giorgio
insegnava letteratura, io teatro. E
allora, nelle due ore di italiano A,
decidemmo di scambiarci alternativamente le classi, una volta
un po’ di teatro e un’altra un po’
di letteratura. E poi SCRIVERE! Per
creare, per inventare, per parlare e comunicare con gli altri. Ma
qualcosa che non restasse chiuso
dentro la classe e che non leggessero solo gli autori e il docente. Perciò bisognava pubblicarlo,
farne un piccolo giornale da distribuire. Cominciammo così in punta di… penna! Talmente in punta
che il primo anno pubblicammo
tre numeri e ancora adesso non
sappiamo come ci riuscimmo.
Ma eravamo giovani, soprattutto
lui, Giorgio, giovanissimo! E non ci
stancammo mai. Ogni anno con
lo stesso entusiasmo. Anche quando ci accorgemmo che, ritagliando gli articoli per l’impaginazione
(a mano, non al computer, e con
le forbici e colla!) cominciavamo
(evidentemente io per primo) a
tagliare i puntini delle “i”, la nostra vista si stava affievolendo. Ma
non i sogni! Avevamo soprattutto
quello che altri si unissero a noi. E il
secondo anno arrivò Franco. E poi
altri ancora, come adesso. Pronti
a creare altri sogni.”
L’anno seguente (1989) si aggiunge un’altra pietra miliare…
Ferrari: “Desideravo partecipare
ad un’attività che uscisse un po’
dal programma scolastico tradizionale. Il Mosaico si prestava perfettamente a quello scopo e inoltre rappresentava un solido ponte
tra la scuola e l’ambiente in cui è
inserito.”
Vanno avanti per un po’, ma poi il
lavoro aumenta e le forze vengono meno…
sede, che ha avuto vita breve…).
In seguito è giunta la promozionepunizione a graphic designer del
fratello maggiore Mosaico. L’entusiasmo iniziale, mai scemato, e
una buona dose di masochismo…
mi spronano a continuare quest’avventura che ogni anno si rinnova grazie alla partecipazione di
sempre nuovi giornalisti in erba.”
Iranzo Pianezzi: “Sono entrata a far
parte di Mosaico nel 2003, anno in
cui si è reso necessario creare un
nuovo gruppo di lavoro, il terzo,
perché gli allievi iscritti all’opzione
di italiano erano aumentati vertiginosamente. Ho preso le redini
del terzo piccolo gruppo (i miei
colleghi sono stati clementi!) con
entusiasmo, ma anche con timore: -Sarò in grado di gestire il lavoro redazionale, non avendolo mai
fatto?- mi chiedevo… Guardavo
con ammirazione i colleghi Cesarini, Anselmini e Ferrari che si districavano con estrema abilità tra
articoli da correggere, pubblicità
da raccogliere, soldi da contare,
allievi da spronare… Inoltre, come
unica donna e ultima arrivata all’interno della redazione, avevo
ben poca voce in capitolo… Ma
loro hanno fatto di tutto per aiutarmi e per coinvolgermi, e di questo
li ringrazio.”
Stella Brienza: “Fin dal primo anno
in cui sono arrivata alle Scuole Medie di Tesserete (1999) ho collaborato al Mosaico attraverso i contributi richiesti alle classi (filastrocche,
poesie…). La collaborazione mi è
stata chiesta dalla redazione: un
membro sarebbe andato in pensione, un altro ci sarebbe andato
l’anno successivo, quindi erano
necessari rinforzi. Ho accettato
molto volentieri l’invito, perché mi
piace molto partecipare alle iniziative di sede, amo lavorare per i
ragazzi e con i ragazzi.”
Gandolla: “Sono un giovane mosaicista; sono entrato nel 2006. Mosaico: lavoro in gruppo, inchieste,
storie… tutte cose che mi piacciono. Ovvio quindi che ho accettato volentieri l’idea di partecipare a
questo progetto comune.”
Mina: “Sono entrato nella redazione nel 2006/2007. Sono stato
gentilmente incastrato in qualità
di docente di classe di IV. Ciò non
significa che non apprezzi il nostro
giornale di sede; mi accontenterei,
però, di un prodotto più semplice
e meno ambizioso, maggiormente
incentrato sulla realtà della nostra
scuola.”
Alberti: “Faccio parte del gruppo Mosaico dall’anno scolastico
2006/2007. La redazione ha chiesto se ero disposta a collaborare
ed io ho accettato con immenso
piacere.”
“La frizzante redazione dei docenti di quest’anno”
Cattaneo: “Faccio parte della
redazione di Mosaico dal 2001.
I magnifici tre creatori-redattori
erano stufi di comporre le pagine
con forbici e colla. Decisero allora
di sfruttare qualcuno che capisse
qualcosa (ben poca cosa, per
quanto mi riguarda) d’informatica. E così, il collega Baldini ed io
fummo messi sotto.”
Baldini: “Quando?! E chi se lo ricorda? Sono passati tanti di quegli
anni… che mi sembra l’altro ieri! Di
una cosa sono sicuro: ho iniziato
insieme a Maurizio, quindi rileggete i Mosaici e quando scoprirete
l’inizio degli articoli storico-barbosi
avrete scoperto la data della mia
entrata. Il forte interesse che nutro
per la grafica mi ha spinto dapprima ad occuparmi dell’impaginazione del giornale Datemiunnome (rivista trimestrale della nostra
2mila8 Mosaico Garlandini: “L’anno scorso ho iniziato a lavorare con
Mosaico. Trovo che sia un’occasione per chi come
me conosceva poco e nessuno della Capriasca ad
interessarsi ad una realtà che in un modo o nell’altro
è legato alla scuola.”
L’origine del nome
Lavio: “Collaboro da quest’anno e penso che potrebbe essere interessante per i ragazzi redigere un
articolo nello spazio privilegiato del laboratorio di
scrittura.”
Come hai fatto a trovare il nome “Mosaico”?
L’ho scelto insieme alla mia famiglia, abbiamo pensato che Mosaico fosse adatto al giornale visto che
anch’esso è composto da tanti “pezzi”.
Maricelli: “Ho iniziato nel settembre 2007 e mi ha spinta la voglia di vedere cosa succede dietro le quinte
del giornalino della nostra scuola.”
A quali altri titoli hai pensato altre a “Mosaico”?
Ho avuto molte idee, ma le ho scartate perché non
le trovavo opportune.
Abbiamo fatto qualche domanda a Marzia Faillo (da
nubile Facchinetti), ideatrice del nome del nostro periodico nel lontano 1988…
Perché hai dovuto cercare un nome per il giornale?
Come docente di italiano A avevo il maestro Cesarini
e aveva dato il compito di trovare un nome per il periodico. Ha poi scelto il mio.
Infine, qualche numero…
Mosaico si è diffuso oltre i confini della
Capriasca; lo troviamo esposto persino in
un’edicola vietnamita!
794 i ragazzi che hanno partecipato finora a redigere
Mosaico;
167 i racconti, le filastrocche… scritti dai ragazzi di prima e di seconda;
111 le persone intervistate;
66 le ricerche storiche presentate;
56 le associazioni, gli enti e le società presentati sul
giornale;
45 i fumetti;
29 i concorsi e i test;
30 gli argomenti “varia” o i numeri speciali che hanno
trovato spazio nelle nostre pagine;
18 le inchieste svolte;
15 i fotoromanzi;
12 i servizi fotografici tematici.
Vi sembra poco?
Noi auguriamo a Mosaico, e a tutti coloro che vi hanno collaborato, un felice anniversario e tanti di questi… numeri!
Per sottolineare il 20°, la redazione del Mosaico offre a tutti gli allievi gipfel e té freddo
durante la pausa di giovedì 29 maggio (9.40
- 9.55) c/o furgone Storni.
Buon anniversario
2mila8 Mosaico Scop iamo
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ins eme
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”...ET MORENO COME CANI”: la peste
in Capriasca nel 1484-85
L
a peste è una malattia infettiva
di origine batterica. In Europa
è scomparsa da tre secoli, ma
in Africa di tanto in tanto viene
ancora segnalata. Il morbo è
causato da un batterio chiamato
yersinia pestis, che si diffondeva
in abitazioni con scarsa igiene;
i suoi portatori erano i ratti e le
pulci. Esistono tre tipi di malattia:
la peste bubbonica (si formano
pustole nelle zone punte), la peste
polmonare (colpisce i polmoni) e
la peste setticemica (la più rara
ma fatale, dopo la puntura il
bacillo infetta il sangue).
Ancora oggi non è disponibile un
vaccino contro la peste, per cui
non è possibile effettuare un trattamento che prevenga questo
morbo. Il batterio infetta i polmoni (il periodo di incubazione è da
uno a sette giorni) e si trasmette
da persona a persona attraverso
l’aria o gli aerosol. I primi segni
sono febbre, cefalea, debolezza
e tosse. Il contagiato può morire in
pochi giorni. Una curiosità: i pochi
a guarire erano spesso i più forti e
i meglio nutriti. Una volta presa la
malattia coloro che riuscivano a
guarire non potevano più prenderla e quindi di frequente facevano
i “becchini” del paese andando
per le vie a raccogliere i morti. La
terapia medica era vincolata a
norme antichissime assolutamente
incapaci di dare una guarigione;
si ignorava l’agente pestifero e
non c’erano ovviamente gli antibiotici che oggi salvaguardano la
nostra salute. Una certa efficacia
l’aveva la chirurgia, che incideva
e nettava i bubboni, veri serbatoi
di contagio. C’era poi la credenza
che se si portava al collo piccole
bocce o palle di metallo ripiene
di erbe particolari non si veniva
contagiati dalla peste. Nelle case
di Nicole e Vivien
e nei luoghi pubblici si
spargeva aceto.
Lo storico ticinese Giuseppe Chiesi ha scritto
qualche tempo fa un
interessante articolo,
sulla rivista Verbanus
(no. 26, 2005), dal titolo “Contare i morti.
Note a margine di un
documento dell’età
sforzesca”. In questo
testo – si riferisce a un
documento esistente
in un archivio storico
di Milano – l’autore
analizza
l’epidemia
di peste del 1484-85,
che toccò la Lombardia e molti comuni del
Luganese. Secondo il
documento analizzato da Chiesi in tutto il
Luganese la peste in
quegli anni fece circa
2900 vittime, di cui ben
1271 nella pieve di
Capriasca. Vediamo
un po’ di riportare le
cifre, riferendoci solo
ai comuni della nostra regione.
Un medico constata i segni del
morbo
Ecco come si esprime il vecchio documento, elencando i morti per comuni:
“in comuni de Salla, persone
in comuni de Valio, persone
in comuni de Biadognio, persone
in comuni de Campestro, persone
in comuni de Cavallo, persone
in comuni de Lopagnio, persone
in comuni de Origlio, persone
in comuni de Ponte, persone
in comuni de Thesarano, persone
.cccxli. .lxxxv.
.cxxv.
.lxxxi.
.clxx.
.lxxvii.
.cxliii.
.ccccxvi. .lxx.”
2mila8 Mosaico 19
Lo traduciamo in modo più comprensibile, aggiungendo una statistica più tardiva sul
numero di abitanti dei comuni:
None del paese
No. delle persone morte
nell’epidemia del 1484-85
Sala Capriasca
Vaglio
Bidogno
Campestro
Cagiallo
Lopagno
Origlio
Ponte Capriasca
Tesserete
Censimento del 1576
no. di abitanti
316
85
125
81
170
77
143
416
70
Tot.
La famosa epidemia di “peste
nera” del 1347 aveva già colpito le
nostre regioni, però (come del resto in quasi tutto il resto d’Europa)
non vi sono documenti conosciuti che riportano il numero esatto
delle vittime. Dopo quella famosa
epidemia la peste restò una malattia che in Europa si faceva viva
ogni tanto a ondate successive
(per esempio: 1398-1401, 1422-25,
1437-39, 1451, 1467-68, 1477-79,…)
con alcune recrudescenze importanti, fino alla fine del Seicento/
inizio del Settecento, quando finalmente scomparve dall’Europa.
Sarebbe evidentemente importante conoscere il numero degli
abitanti dei nostri paesi, per capire
l’importanza del numero di morti
dell’epidemia del 1484-85, di cui
abbiamo riportato i numeri. Purtroppo a quell’epoca non vi erano
ancora censimenti precisi e regolari (saranno fatti molto più tardi,
i primi alla fine del Settecento o
inizio Ottocento). Abbiamo così
solo delle indicazioni sporadiche
e incerte riguardo i numeri precisi. Dopo il Concilio di Trento (154563) le nostre parrocchie dovevano tenere dei registri sul numero
dei battezzati e dei morti, dunque
cominciamo finalmente ad avere
alcune informazioni statistiche. Nel
1576 in particolare il vescovo di Milano Carlo Borromeo, in occasione di una sua visita, si fece fare un
(primo!) censimento delle persone
della Capriasca, che risultarono
essere 2780. Bisogna notare però
che di quel periodo storico manca una definizione precisa dei vari
territori comunali, per cui i numeri
riportati potrebbero non essere del
tutto relativi ai nostri paesi di oggi.
Si può comunque tentare il confronto: numero dei morti del 148485 e numero di abitanti del 1576.
Questo confronto risulta terribile,
il numero dei decessi per peste è
infatti molto alto. In un paio di casi
(Tesserete, Ponte) sembrerebbe
addirittura che i paesi ancora quasi
un secolo dopo non si siano ancora ripresi e contino meno abitanti
di prima dell’epidemia. Bisogna
aggiungere che ancora durante il
Cinquecento vi furono, purtroppo,
vari casi di pestilenze. La popolazione dei nostri villaggi, probabilmente, era variabile e piuttosto
instabile: tendeva ad aumentare
nei tempi “normali” ma scendeva (anche bruscamente) durante
le epidemie. Lo storico Giuseppe
Chiesi riferisce in particolare che
Ponte Capriasca verso la metà
del 1400 poteva contare un po’
meno di mille abitanti; dunque la
peste del 1484-85 avrebbe ucciso
quasi la metà del paese! Una vera
tragedia. E la Capriasca avrebbe
avuto, sempre nel XV secolo, circa
20 Mosaico 2mila8
La moret arriva improvvisa e
colpisce dei tipografi
1271
Tot.
620
260
279
106
265
172
306
164
64
2780
4000 abitanti: la peste potrebbe
aver causato la morte di circa un
buon terzo di tutti gli abitanti.
Ecco un passaggio di un testo dell’epoca che mostra la crudezza
di quell’epidemia. Un funzionario
ducale (annota Chiesi) fa un rapporto a Milano il 1° agosto 1485 e
scrive … “la plebe de Chriviascha
è tuta quanta infecta et moreno
come cani: sono già alcuni giorni
che non passano i loro termini per
non infectare le terre de le altre
plebe”. Non possiamo che pensare con tristezza e con affetto a
questi lontani nostri concittadini (e
anche lontani parenti, per molti di
noi) che morivano in modo così
brutale e con poche cure, assistiti solo dalla fede cristiana, che
allora era forte e, forse e nella migliore ipotesi, da alcuni coraggiosi
parenti o amici. In definitiva quell’epidemia di peste fu durissima e
colpì in modo molto forte i nostri
paesi. Alcuni nuclei si spopolarono
e probabilmente… sparirono per
sempre.
2mila8 Mosaico 21
22 Mosaico 2mila8
2mila8 Mosaico 23
Scop iamo
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Franco e il mal d’Africa
di Laura e Arianna
P
erché ritorna nel Ciad?
C’ero già stato dal ’74 al ’76
e questo paese mi è rimasto
nel cuore; avrei voluto rimanerci qualche anno in più, ma sono
tornato a casa con la speranza
di poterci ritornare. In particolare
mi sono detto: “Se quando andrò
in pensione sarò ancora in salute,
chissà che io non possa tornarci
ancora!”. E quindi adesso voglio
andarci per vedere come mi trovo
laggiù a distanza di così tanti anni:
chiaramente sarà diverso. Questo
viaggio mi aiuterà anche a fare
Abbiamo intervistato l’ex maestro delle Scuole Medie di Tesserete Franco Ferrari, che diversi anni fa si è recato nel Ciad come
volontario della Cooperazione Tecnica Svizzera. Ora, dopo circa
trent’anni, ha deciso di ritornarci per osservare i vari cambiamenti.
uno stacco tra la mia vita di maestro, che ormai è finita, e quella di
pensionato, che mi sta aspettando: forse da laggiù potrò vedere
con più chiarezza come impostare il poco o tanto tempo che mi
resta.
Cosa era andato a fare trent’anni
fa nel Ciad?
Ero partito come volontario della
Cooperazione Tecnica Svizzera e il
mio ruolo era di consigliere pedagogico.
Qual è la situazione attuale delle
scuole in Ciad?
La situazione delle scuole è molto
peggiorata rispetto a trent’anni
fa: c’è comunque stata una guerra durata vent’anni! Non c’è mai
stata la scuola magistrale e quindi i maestri non hanno mai potuto
prepararsi all’insegnamento; oggi
le scuole hanno ancora meno di
quel poco che avevano trent’anni
fa. Troviamo villaggi in cui i genitori
hanno costruito una scuola di paglia con all’interno centocinquanta alunni e a insegnare ci sono ra-
I nostri nonni li utilizzavano per tagliare
la legna, loro per sedersi.
2mila8 Mosaico 25
La scuola vista
dall’esterno: basta
un soffio di vento...
gazzi di 14-15 anni che sanno appena un po’ di più di
coloro ai quali devono insegnare, oltretutto senza nessuno strumento didattico a
disposizione!
Quali sono le principali differenze tra la situazione degli allievi africani e i nostri?
Ecco, bisogna capire che
le scuole del Ciad sono assolutamente qualcosa che
noi non possiamo neanche
immaginare: non ci sono gli
edifici scolastici, non ci sono
i banchi, le sedie, gli audiovisivi, manca l’elettricità
quasi dappertutto; hanno
delle stanghe sulle quali sedersi e
come banchi usano due forche
sulle quali appoggiano un legno.
Stanno tutti appiccicati, i più piccoli scrivono su delle lavagnette e i
più grandi su dei quaderni che devono comperare; i maestri hanno
solo una lavagnetta. Nelle città ci
sono magari delle strutture in cemento dove c’è solo la lavagna. E
poi, molto importante, la scuola in
Ciad non è obbligatoria.
Cosa le è rimasto in fondo al cuore?
In fondo al cuore mi è rimasto un
grande affetto per questo paese,
perché la gente è poverissima: il
Ciad è uno dei paesi più poveri
nel mondo. Però è gente buona,
è gente che spera che tu possa
fare qualcosa per lei. Ora stanno
cercando di convincere i genitori
a far andare i figli a scuola, perché
lo sviluppo di un paese deve partire dall’istruzione dei suoi abitanti.
Mi ha colpito molto anche il fatto
che questi ragazzi non hanno per
esempio giocattoli, nessun bar e
nessun centro giovanile, non c’è
niente, ed è per questo che apprezzano anche le piccole cose
che tu riesci a fare per loro. Trovo
sia bello vedere che là i ragazzi
vanno a scuola molto volentieri,
perché la scuola è percepita in
modo diverso da come la percepiamo noi. E’ un’opportunità che
potrebbe cambiare la loro vita.
La testa: l’unico strumento didattico
disponibile per parrendere.
26 Mosaico 2mila8
Conos iamo
c
ins eme
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Un mondo ovale
di Thierry e Lucas
Luca Tramontin, giocatore di rugby di origine ungherese dalla
grande esperienza, è arrivato a Tesserete per dare man forte alla
nuova squadra Lugano Rugby.
D
ove è nato il rugby?
Il rugby nasce a Rugby, e
questo non è un gioco di
parole. Come spesso accade,
gli sport anglosassoni prendono il
nome del college che li ha inventati. Per esempio il badmington
nasce a Badmington, allo stesso
modo il rugby nasce nel college
di Rugby. Si è iniziato a giocare a
rugby probabilmente nel Medioevo, originariamente era una sfida
tra paesi che consisteva nel portare un oggetto nella piazza avversaria, cercando di evitare la difesa
avversaria. In effetti, il concetto
originale è rimasto pressoché intatto fino ai giorni nostri; oggi una
squadra tenta di portare una palla
dentro l’area di meta, mentre la
squadra avversaria cerca di difendere il suo spazio. Dopo gli inizi
in cui succedeva un po’ di tutto,
morti e feriti inclusi, la nobiltà ingle-
L’alzata di L. Tramontin durante la prima partita
se se ne è impossessata, e questo
gioco di paese è diventato lo sport
dei college. C’era un unico inconveniente: ogni scuola aveva le sue
regole, così poteva accadere che
da una parte del campo si giocasse in diciassette calciando la palla, mentre dall’altra parte erano
in ventiquattro e si passavano la
palla con le mani. Un giorno, verso la metà dell’800, uno studente,
William Webb Ellis, un tipo piuttosto
matto e ribelle, decise di scrivere
delle regole che fossero valide per
tutti i college. Solamente da allora
tutte le squadre adottarono un regolamento comune.
Perché è stata così straordinaria
l’idea di Webb Ellis?
Webb Ellis era un tipo molto sveglio, e certamente non è stato il
primo a voler uniformare le regole del rugby, ma la sua fortuna è
stata quella di scrivere le regole
del gioco su un librettino tascabile, decisamente più comodo da
portare in giro, rispetto ai libri scritti in precedenza. Inutile dire che
il libretto di Webb Ellis riscosse un
grande successo. In memoria di
William Webb Ellis ogni anno viene
organizzata una coppa prestigiosa
in suo onore, la “Webb Ellis Cup”,
una sorta di coppa del mondo
di rugby che si tiene ogni quattro
anni.
Parliamo un po’ di lei, da dove viene?
Vengo da Belluno, che è una città tra le montagne al confine con
l’Austria. Assomiglia sia per nome
sia per scenario alla vostra Bellinzona. In realtà questa non è l’unica somiglianza che noto tra la mia
città e il cantone Ticino: il rugby
2mila8 Mosaico 29
Sono le 15.08 del 22 settembre 2007. Sul nostro
“campòn”, Luca Tramontin realizza la prima meta della
prima partita del “Rugby Lugano” a Tesserete. Una foto
storica.
adesso, in Ticino, è allo stesso livello del rugby che si giocava a Belluno negli anni Settanta, quello che
ho conosciuto io quando mi sono
avvicinato a questo sport.
Quando ha iniziato a giocare a
rugby?
Ho iniziato ad avvicinarmi al gioco
del rugby quando avevo otto anni.
All’inizio mi sembrava una cosa assurda: essere pagati per praticare
uno sport. Invece, dopo tre mesi
ho deciso di diventare professionista. All’inizio della mia carriera ho
cambiato circa undici squadre,
andavo dove mi pagavano di più,
però sono comunque rimasto attaccato a tutte le squadre che ho
lasciato.
Perché ha proprio scelto di cimetarsi in questo sport?
L’opinione comune è che se uno
è grande e grosso allora deve giocare a pallacanestro o meglio ancora a rugby. Io da bambino ero
grande e grosso, più grande degli
altri, inoltre ero abbastanza irrequieto, nervoso, come se non bastasse venivo da una famiglia che
non raccomanderei a nessuno,
così la decisione è stata semplice:
forse giocando a rugby mi sarei
dato una calmata. Così un giorno
vidi un manifesto per strada che
pubblicizzava gli allenamenti con
la squadra della città e decisi di
presentarmi in campo. A diciotto
30 Mosaico 2mila8
anni sono diventato professionista,
un mediocre professionista, ma ho
avuto la fortuna di vivere grazie al
mio hobby.
In che squadra gioca?
Attualmente gioco nella squadra
rugby Lugano-Tesserete. Sono arrivato qui perché mi avevano chiesto di sostenere un nuovo club, ufficialmente nato il 17 luglio 2007. In
realtà avrei dovuto dare qualche
dritta e comunque fermarmi ai
classici giri di campo, perché ero
“vecchio” per la prima squadra,
invece mi sono trovato a giocare
tutte le partite. E le cose stanno
andando piuttosto bene: alla fine
del girone d’andata, siamo i primi
in classifica della terza categoria.
Giochiamo contro sette squadre
che provengono da tutta la Svizzera, ma la più temuta è la squadra
zurighese. Dalla scorsa primavera
ho l’opportunità di giocare anche
nella nazionale ungherese.
Molte persone confondono il rugby
con il football americano, ma qual
è la differenza?
Il rugby è più simile all’hockey che
al football americano. In realtà
sono due sport completamente diversi. Forse tutti gli equivoci nascono dal fatto che gli inglesi hanno
colonizzato mezzo mondo con il
rugby; sono arrivati anche in America, ma gli americani hanno deciso di fare proprio questo nuovo
sport, deformandolo a tal punto
che il rugby ormai non ha più niente a che fare con il football americano, anche se i due sport hanno
un’origine comune. Ho il massimo
rispetto per il football americano,
ma non ne conosco neppure le
regole, non saprei giocarci; è proprio a tutti gli effetti, un altro sport.
E’ vero che non si può parlare con
l’arbitro?
Il capitano è il solo a poter dialogare con l’arbitro per chiedere spiegazioni. Non si può assolutamente
mancare di rispetto all’arbitro, in
primo luogo perché vieni sanzionato in maniera durissima, poi perché
vieni sanzionato in spogliatoio dal
tuo allenatore e soprattutto dalla
squadra, e questa è la cosa peggiore. Un giocatore che osa protestare, un giocatore maleducato,
è giudicato molto negativamente, specialmente all’interno della
squadra. Ad esempio un giocatore maleducato guadagna meno
degli altri, perché rovina l’immagine del club, inoltre prende delle
multe salatissime. L’arbitro è una
figura particolare, nel rugby esercita un ruolo “preventivo”, in altre
parole interviene tutte le volte che
i giocatori rischiano di commettere un errore o un fallo. Nel rugby,
l’arbitro parla molto, e addirittura
un giocatore può chiedergli delle
spiegazioni.
Che cosa si prova ad essere dentro una mischia?
C’è metà squadra che è preposta a guadagnare la palla, come
nell’hockey c’è un giocatore che
va all’ingaggio, nel rugby c’è un
gruppo di otto giocatori che va a
formare la mischia. Nella mischia
le prese e i legami sono molto
strutturati, non è possibile improvvisare, bisogna legare in una certa
maniera, ed è dovuto a questo il
forte spirito di squadra che contraddistingue questo sport. Anche
il giocatore più forte del mondo se
non ha quei “quattro ciccioni” che
gli tirano fuori la palla, ha finito di
giocare.
E’ pericolosa la mischia? O meglio,
ci si fa male giocando a rugby?
Il rugby giocato male è molto pericoloso: se io non conosco le tecniche per riuscire a placcare un avversario è probabile che io mi faccia male oppure che faccia male
a lui. Il rugby giocato bene, ha un
tasso d’infortunio bassissimo, molto
più basso che negli altri sport, non
ti fai male, non ti rompi ossa e non
te le rompono. Inoltre lo scopo del
gioco non è fare del male, ma
far perdere la palla all’avversario.
C’è un contatto fisico molto duro,
ma non ci si fa male, poiché c’è
anche un arbitro molto severo che
controlla attentamente che tu
non faccia delle sciocchezze. Per
esempio se un giocatore trattiene
un avversario e questo avversario
lo respinge con una gomitata e
l’arbitro ti vede, ti prendi un cartellino e vai negli spogliatoi, inoltre
dovrai pagare una multa salatissima e sarai sanzionato duramente
con una sospensione. Ogni giocatore deve portare rispetto verso i
propri avversari, non è accettata
nessuna forma di violenza, questo
è un messaggio molto chiaro che
giocatori e società trasmettono.
Che cosa è il rugby per lei?
Il rugby per me è un vizio. Ho avuto
la fortuna di poter vivere giocando a rugby per tantissimi anni e ad
un certo punto ho pensato che
prima o poi avrei dovuto appendere le scarpe al chiodo. Invece
sono ancora qui adesso a giocare tutte le partite, credevo che la
mia carriera fosse finita, ma ora
inaspettatamente mi ritrovo qui
a correre sul campo di Tesserete.
Personalmente mi sento in forte
debito con il rugby; come già detto prima, ero un ragazzo difficile,
ma conoscendo la situazione da
cui venivo, credo che non sarei
riuscito a sfondare negli altri sport.
Mi sono sempre divertito, ho vissuto esperienze indimenticabili e ho
conosciuto persone fantastiche,
tutto questo grazie al rugby.
Il rugby le ha cambiato carattere?
Non posso dire se il rugby abbia
cambiato il mio carattere, ma sicuramente lo ha armonizzato, per
esempio io e mio fratello giochiamo nello stesso ruolo, ma lui lo interpreta in maniera diversa dalla mia,
lui è il tipico giocatore intelligente,
che fa il bel passaggio e gioca
in maniera più creativa rispetto
a me. Io invece sono il giocatore
ignorante, aggressivo, ottuso. Dicevano che se mi avessero tolto
gli avversari io non sarei andato in
meta da solo, ma li inseguivo negli
spogliatoi. Quindi se sei una persona aggressiva e grintosa, neppure
il rugby può farti cambiare, resterai
così.
In che squadra sognerebbe di giocare?
Sono contento di giocare con il
Lugano e con l’Ungheria, poiché
mi hanno prolungato la carriera. Il
mio sogno sarebbe quello di giocare con l’Inghilterra, da sempre
nutro una grande passione per
loro, anche se tutti vorrebbero giocare per gli All Blacks, la nazionale neozelandese. E’ una squadra
molto famosa anche perché è
facilmente riconoscibile da quella
specie di rituale maori, che fanno
prima della partita. E’ una danza
antichissima, che risale ad un tempo precedente alla conquista inglese, e originariamente serviva
per mostrare la propria fisicità.
Ci vuole raccontare la sua esperienza più bella?
L’esperienza più bella che ho vissuto in campo l’ho avuta giocando con la nazionale ungherese,
anche se in verità, non essendo
particolarmente nazionalista, non
mi sentivo come un giocatore che
rappresentava la propria nazione.
Un’altra esperienza che ricordo,
è una partita giocata in Australia.
Abbiamo disputato un partita surreale, in un campo sperdutissimo,
dove c’erano dei colori strani, è
stato un momento magico. Infine
un’altra bella esperienza che ho
vissuto è stata partecipare alla
grande scommessa di Rugby Lugano-Tesserete, nel rugby ne avevo combinate di tutti i colori, ma
non avevo mai contribuito a fondare una squadra; e quando sono
arrivate le maglie mi hanno fatto
un certo effetto.
Lezione di placcaggio nell’aula di IV C
Il rugby è uno sport violento?
C’è il contatto fisico, tuttavia le
statistiche dimostrano che ci si fa
molto meno male rispetto agli altri sport. Un graffio, uno striscio non
possono rendere il rugby uno sport
violento, poi sono così frequenti
che non li si considera nemmeno
degli infortuni. Se si è ben preparati fisicamente non ci si può fare
male.
2mila8 Mosaico 31
Scop iamo
r
ins eme
i
Luigi Rossi... cent’anni dopo
di Ario, Giacomo, Jonathan e Robin
Tra i pittori che hanno lavorato in Capriasca dipingendo soggetti della
Pieve, il più famoso è certamente Luigi Rossi, nato a Cassarate il 10
marzo 1853. Dopo pochi anni, la sua famiglia si trasferì a Milano, dove il
giovane Rossi frequentò l’Accademia di Brera. A partire dal 1884 lavorò
a Parigi, occupandosi di illustrare libri, in particolare alcune opere di
Alphonse Daudet. Tornato in Italia, si stabilì a Milano, facendo regolari
soggiorni in Capriasca, specialmente d’estate, nella sua casa di Biolda.
Nel nostro territorio si possono ammirare ancora ai nostri giorni due
suoi affreschi. Uno rappresenta le virtù teologali (fede, speranza e
carità) ed è dipinto nella cappella centrale del cimitero di Tesserete;
l’altro è l’immagine della Madonna (“Mater peccatorum”) e si trova
nella cappella, sulla strada che da Tesserete porta a Lugaggia. È stata
inoltre aperta al pubblico la “Casa-museo Luigi Rossi”, dove si possono
ammirare una ventina di quadri dell’artista e altrettanti disegni originali.
Per visitarla ci si può rivolgere al Municipio di Capriasca.
Il campanile di Sureggio, 1910
Il campanile di Sureggio, 2007
M
olto è stato scritto su Luigi
Rossi, in particolare dal
suo pronipote, Matteo
Bianchi. Per trattare questo artista
abbiamo cercato un modo un po’
originale. Dopo aver scelto tre suoi
quadri, li abbiamo ricreati a un
secolo di distanza. Lui lavorò con
il pennello, noi abbiamo lavorato
con la macchina fotografica.
Come prima opera abbiamo
scelto un paesaggio, “Il campanile
di Sureggio”, realizzato tra il 1910
e il 1915. La tela è di proprietà
del comune di Capriasca e si
può ammirare nella Casa-museo
Luigi Rossi a Biolda. Confrontando
le due immagini, si nota come
l’artista abbia “allungato” il
campanile della chiesa di san
Pietro a Sureggio, forse per dargli
più slancio. Gli altri volumi della
costruzione sono praticamente
identici. Anche i tre campanili
dello sfondo (a sinistra, quasi al
colmo della collina, San Martino;
nel centro, nel paese di Sonvico,
la parrocchiale di san Giovanni
Battista, mentre non riusciamo a
riconoscere quello a destra) sono
stati accentuati dal pittore, che
li ha rappresentati più grandi di
quello che appaiono in realtà. In
entrambe le immagini il soggetto in
primo piano resta nella penombra,
mentre il paesaggio sullo sfondo è
illuminato dalla luce del sole.
La seconda opera è “Amore in
campagna”, realizzata nel 1880
circa. Guardando lo sfondo (ampie
distese di campi e un villaggio sulla
collina), possiamo immaginare
che sia stato realizzato in Brianza.
Noi siamo andati nella “piana” di
Cagiallo e abbiamo scelto come
sfondo Sarone: un villaggio che sa
ancora d’antico.
La terza opera è “Il canto
dell’aurora”. Di questa ne parliamo
a parte, perché la fotografia è
stata l’occasione per una vicenda
speciale, che vogliamo raccontare
per intero.
2mila8 Mosaico 41
Amore in campagna, 2007
Amore in campagna, 1880
42 Mosaico 2mila8
La storia di una fotografia
“Il canto dell’aurora” è uno dei dipinti più conosciuti
di Luigi Rossi. È stato esposto per la prima volta a
Milano nel 1912 e si trova al Museo Civico di Belle
Arti di Lugano. Abbiamo scelto di rifare questo
quadro con un’altra tecnica (la fotografia) a quasi
cent’anni di distanza.
Per sostituire la forosette del dipinto col “cargánsc” (la
gerla a stecche rade) abbiamo scelto quattro nostre
compagne, vestite come si usa oggi. Il luogo del
dipinto ci era evidentemente sconosciuto e abbiamo
cercato di identificarlo guardando soprattutto lo
sfondo. Ci voleva un orizzonte basso e abbiamo
così pensato alla zona del “Pian dal Lüv” (Piano del
Lupo), che si trova tra la bocchetta di Gola di Lago
e l’Alpe Davrosio. Siamo saliti lassù il 29 ottobre 2007,
di buon’ora.
Il canto dell’aurora, 1910
Lungo la strada del ritorno, passando per Odogno,
abbiamo incontrato il maestro Franco Ferrari con la
gerla in spalla, che ritornava dai campi. Ci siamo
fermati per parlare un po’, raccontargli della nostra
spedizione e con grande meraviglia abbiamo
scoperto che una delle persone ritratte sul dipinto
di Luigi Rossi era nientemeno che sua nonna! Che
coincidenza! A cent’anni di distanza si era creato un
legame tutto particolare tra la nostra foto e il dipinto
di Luigi Rossi.
Mary Ardia di Tesserete ci ha poi raccontato la storia,
sentita da sua nonna, di come è stato realizzato
questo dipinto. Le modelle scelte da Luigi Rossi erano
tre sorelle Canonica, residenti a Mièra: Maddalena
è la ragazza che guarda a destra (è la nonna di
Mary, che si è poi sposata in Ardia); Maria è in primo
piano (sposata in Antonini, è la nonna materna del
maestro Franco); Isola (sposata in Morosoli) si vede
di schiena. Di lei abbiamo trovato un’altra foto,
quando era un po’ più vecchia, ma vestiva ancora
gli abiti contadini e teneva in mano la “penágia”, la
zangola per fare il burro. La quarta ragazza, la più
nascosta, si chiamava Teresa Marioni. Il quadro è
stato probabilmente realizzato già nel 1910, quando
le ragazze avevano circa 15 anni. Ricevettero come
compenso dal pittore 20 centesimi (a quei tempi una
bella somma) e rimasero in posa per varie ore. Sulla
loro schiena si riconosce il lenzuolo di lino che veniva
messo per assorbire il sudore (i carichi del “cargánsc”
erano molto pesanti). Le ragazze posarono sul
“Matarél da Nava, vicino a Rogià nella zona dei
monti di Roveredo”. Il loro è un grido di saluto, forse
il saluto al nuovo giorno che segue la preghiera del
mattino, forse un richiamo per le bestie. Quando ci si
trovava sui monti - dove le case erano distanti l’una
dall’altra e dove a volte ci si poteva sentire soli - era
abitudine lanciare dei gridi per segnalare la propria
presenza.
2mila8 Mosaico 43
Luigi Rossi... fotografato
Isola Morosoli con la “penágia”
Il contadino Ferrari con le forosette del Duemila
2mila8 Mosaico 45
Il canto dell’aurora, 2007
Gi llo
a
L’angelo delle tenebre
di Michele e Fabrice
Era una fredda e piovosa notte di gennaio. John, un
ragazzo diciottenne, aveva avuto un’ottima giornata. Stava camminando tranquillamente verso casa
dove sua madre lo attendeva impaziente. Fischiettando allegramente, non si accorse neppure della
figura scura che lo seguiva, svoltò l’angolo ed entrò
in uno stretto vicolo. Echeggiò uno sparo, poi non ci
fu altro che silenzio.
L’ispettor Clochard arrivò all’ospedale cittadino e si
diresse subito all’obitorio. Doveva analizzare il caso
di John Anderson, studente universitario morto il giorno precedente. Il proiettile trovato all’interno del suo
cranio apparteneva ad una pistola Magnum calibro
22. L’ispettore aveva già cominciato ad interrogare
i parenti stretti della vittima e da quello che gli dissero risultò un ragazzo modello: nessun precedente
penale, studente universitario molto dotato, grande
appassionato di chimica e di biologia. Secondo i testimoni era sceso dal treno verso mezzanotte con un
gruppo di amici e si erano separati vicino al parco
municipale. Da lì in poi nessuna traccia. Il cadavere
era stato ritrovato il mattino seguente da un ragazzo
che stava camminando verso scuola, il quale, terrorizzato, si era affrettato a chiamare la polizia.
Lasciato l’ospedale, si diresse verso la casa degli Anderson: voleva perquisire la stanza del giovane per
scoprire qualcosa che avrebbe potuto fornire una
pista d’indagine. Arrivò alla vecchia villa verso le tre
e mezzo del pomeriggio e bussò alla porta; gli aprì la
madre della vittima e l’ispettore spiegò lo scopo della
sua visita. Con una certa riluttanza la donna acconsentì e lo fece entrare. Clochard salì le scale ed entrò
nell’angusta stanza in cui regnava il caos più totale.
Cominciò con l’aprire tutti i cassetti e, dopo venti minuti di ricerca infruttuosa, trovò finalmente qualcosa
di curioso. Si trattava di un lembo di stoffa scura con
disegnato sopra un pentacolo: un simbolo esoterico.
L’ispettore sospettava che il ragazzo appartenesse a
qualche setta e quindi decise di chiedere informazioni al migliore amico di John, Max De Lacroix. Dopo
essersi congedato dalla signora Anderson, l’ispettore
partì sfrecciando per la via con la sua BMW nuova
fiammante in direzione dell’università.
Quando arrivò le lezioni erano già cominciate e
dovette entrare nell’aula a chiamare il ragazzo.
Una persona alta si alzò dalla prima fila e, sotto gli
occhi meravigliati di tutti i presenti, seguì l’ispettore
nel parco vicino all’ateneo. Lì iniziò l’interrogatorio;
il ragazzo si mostrava riluttante a rispondere alle domande dell’uomo; poi, improvvisamente, scoppiò a
piangere. Cominciò a raccontare una strana storia.
L’ispettore ci mise un po’ a riordinare tutto il racconto
tra i singhiozzi del giovane: alla fine venne a sapere che negli ultimi tempi John aveva mostrato segni
d’inquietudine, non parlava più con nessuno tranne
che con delle strane persone sempre vestite di nero
anch’esse taciturne. Max si ricordava perfettamente
tutto ciò che aveva visto qualche settimana prima:
aveva deciso di seguire John per scoprire che cosa si
celasse dietro al suo comportamento. Era arrivato ad
un edificio abbandonato in periferia, era andato sul
retro e si era appostato vicino ad una finestra. All’interno s’intravedeva un’enorme stanza coperta di veli
neri, sul pavimento era disegnato un pentacolo e su
ogni punta del segno si trovava una candela scura.
Alcune persone incappucciate sedevano intorno al
simbolo e intonavano una strana cantilena composta di parole incomprensibili. Tra quegli individui aveva scorto John inginocchiato a prestare giuramento
di fronte a una persona che aveva poi identificato
come il capo della gilda. Pensando di aver visto troppo, aveva abbandonato la sua postazione ed era
ritornato di corsa a casa.
A quel punto terminò il racconto del ragazzo, quindi
2mila8 Mosaico 73
l’ispettore decise di andare ad indagare lui stesso nel
luogo dove si tenevano le riunioni della setta che John
aveva frequentato. Immerso nei suoi pensieri salì sulla
sua auto e partì rombando in direzione della periferia.
Arrivò nel tardo pomeriggio e riconobbe immediatamente ai margini della strada l’austero edificio che
gettava cupe ombre sull’ambiente circostante. Intorno non si scorgeva anima viva e una sensazione di
freddo si impadronì dell’ispettore. Era da tempo che
non sentiva una tale paura. Dopo all’incirca un’ora di
attesa snervante, arrivò la prima persona. Le altre seguirono nei dieci minuti successivi. L’ispettore li seguì
furtivamente con passo felpato all’interno dell’edificio. Si ritrovò in uno spazio squallido, poco luminoso,
in cui l’aria era stantia e poco respirabile: loro erano
lì, stretti in cerchio a pronunciare con una voce sommessa una strana cantilena. L’ispettore estrasse la pistola dal fodero e lentamente tolse la sicura per non
fare rumore; saltò fuori dal suo nascondiglio e irruppe
nella stanza gridando: “Fermi tutti! Polizia!”. Il panico
si scatenò nella sala, ma ben presto l’ispettore riuscì
a ristabilire l’ordine e il silenzio. Fece mettere tutti i ragazzi in fila con le mani dietro la testa e domandò
loro che cosa stessero facendo in quel luogo. Loro
risposero, ridendo, che stavano solamente provando per la recita scolastica e che usavano quel posto
per potersi esercitare in tutta tranquillità. Ma quando
l’ispettore disse che John era stato assassinato, questi
assunsero un’espressione seria. Nessuno di loro sapeva nulla dell’accaduto. Qualcuno spiegò che nono-
stante tutti avessero notato l’assenza del ragazzo,
non avevano chiamato a casa sua perché sapevano
che John voleva fare una sorpresa a parenti e amici
recitando come protagonista. Inoltre il racconto che
Max aveva fatto a Clochard li lasciò perplessi: negarono infatti che quel giorno avessero fatto delle prove. A quel punto al poliziotto non rimase che scusarsi
e ritornare a casa. Non sapeva più che cosa fare, la
sua unica pista si era rivelata un fiasco totale. Ma ad
un tratto, mentre la BMW sfrecciava per il viale, l’uomo si accorse che il suo telefono cellulare squillava.
Rispose e una voce femminile gli disse che erano stati
74 Mosaico 2mila8
trovati nuovi elementi riguardo all’indagine sull’omicidio di John Anderson e lo invitò a raggiungerla al
più presto all’obitorio dell’ospedale cittadino. L’ispettore fece una brusca manovra, girando la macchina di centottanta gradi e partì a velocità folle verso
il centro. Arrivò all’ospedale a mezzanotte in punto
ed entrò a passo di corsa nell’obitorio. La squadra
medica lo stava aspettando impaziente di mostrargli
ciò che aveva scoperto. Sul tavolo c’era una scheda di memoria che probabilmente era appartenuta
al ragazzo ucciso ed era stata ritrovata nella scarpa
destra della vittima. L’ispettore la esaminò con cura
e provò a inserirla nel computer portatile. La cartella
diceva chiaramente che la schedina doveva prima
trovarsi nel cellulare del ragazzo, poiché conteneva
soprattutto immagini, filmati e musiche che avrebbero dovuto servire per la recita. Ma tra questi file, uno in
particolare destò la curiosità dell’ispettore. Una cartella tra le tante era criptata. I ragazzi della scientifica
riuscirono comunque ad accedere ai suoi contenuti
con facilità; il file conteneva una singola fotografia
raffigurante un uomo sulla quarantina che dava dei
soldi ad un ragazzo, il quale gli tendeva a sua volta
una penna digitale. Mentre l’ispettore esaminava attentamente la fotografia, si accorse con grande stupore che il ragazzo in questione non era altri che Max
De Lacroix, colui che aveva interrogato quella mattina. Visto che erano passate le due, il poliziotto decise
di tornare a casa sua e riposarsi qualche ora.
La mattina successiva, dopo una dormita assai breve,
l’ispettor Clochard si recò a casa di Max per scoprire
che cosa significasse quella foto. Arrivò davanti all’abitazione e suonò il campanello. Gli venne ad aprire una donna sui quarantacinque anni che lo invitò
ad entrare. Il poliziotto chiese di poter parlare con
Max e la donna gli disse che si trovava in camera sua.
L’ispettore quindi salì le scale ed entrò nella stanza. Il
ragazzo stava seduto davanti alla scrivania a fare i
compiti: “La stavo aspettando ispettore”, disse con
voce pacata il giovane. “Immagino che sia venuto
per la foto: non si preoccupi, so già tutto”. Poi continuò: “Ebbene sì, sono stato io ad assassinare John:
aveva scoperto che fornivo informazioni importanti
a un gruppo di terroristi e minacciava di raccontare
tutto alla polizia, non potevo lasciare che distruggesse la mia vita, così l’ho fatto fuori”. Si girò e l’ispettore
vide che stringeva in mano una pistola. L’uomo fece
appena in tempo a buttarsi dietro il letto, si udirono
due spari che fortunatamente non lo colpirono. Subito dopo Max si gettò dalla finestra e cominciò a correre. L’ispettore quindi si scaraventò giù dalle scale
e uscendo dalla porta si diresse di corsa verso la sua
auto. Accese il motore e partì nella stessa direzione
del giovane. Dopo aver percorso qualche centinaio
di metri, lo vide entrare in un vecchio capannone
desolato; così abbandonò l’auto e lo seguì con la pistola in pugno. L’interno era buio e c’erano almeno
una dozzina di persone che gli puntavano addosso
un fucile. Max si fece avanti dicendo: “Questa è la
tua fine sbirro!”. Ma l’uomo rispose: “Non penserai
che sia venuto solo…”. In quel momento tutti i migliori agenti della Squadra Speciale Alpha equipaggiati
con fucili ad alta precisione irruppero nel capannone
intimando la resa: “L’edificio è circondato, vi conviene arrendervi!”.
Così Max e la cellula dei terroristi vennero arrestati e
condannati all’ergastolo. L’ispettore, felice che tutto
fosse finito senza altre vittime, tornò a casa, dove sua
moglie e i suoi figli lo stavano aspettando.
2mila8 Mosaico 75
Conos iamo
c
ins eme
i
Faccia a faccia: la caccia
di Manuel e Filippo
Abbiamo intervistato il maestro
Romano Molinari, “vegano” dichiarato, e il custode della nostra
scuola, Bruno Mini, cacciatore provetto. Ci hanno parlato di caccia e
di altro ancora…
B
RUNO MINI
Perché è cacciatore?
E’ una passione che c’è e che è
cresciuta con me. Cacciatore più
o meno si nasce, forse c’è già nel
nostro DNA. Ogni persona ha un
suo pregio, ognuno è portato per
fare qualcosa: c’è chi è portato
per fare il cacciatore, chi per fare
il tennista.
Come è nata questa passione e
perchè?
L’avevo già da piccolo: sono cresciuto in una famiglia di cacciatori,
lo erano già i miei nonni. Grazie a
questo, mi è stato più facile entrare a contatto con la natura.
Cosa pensa dei vegetariani?
E’ una scelta che uno compie e
che è convinto di prendere, come
qualsiasi altra cosa o altra attività
che l’uomo si sente di fare nella
sua vita.
Pensa che sia possibile e che sia
sano vivere mangiando solo carne?
Assolutamente no, troppa carne fa
male. Per tutte le cose ci vuole un
equilibrio, soprattutto con la carne
di selvaggina, che fa malissimo.
Bisogna quindi bilanciare l’alimentazione, mangiare un po’ di carne
bianca, pesce, pollo, chiaramente
non esagerando.
In famiglia sono tutti d’accordo
con lei?
Purtroppo no, ma sanno che ho
questa passione e che è più forte di
me, quindi non osano contraddirmi. Adesso ho diminuito un bel po’,
prima praticavo anche la caccia
bassa, quindi rubavo un mucchio
di tempo alla mia famiglia. Adesso
faccio solo quindici giorni di caccia alta e da qualche anno caccio il cinghiale a dicembre.
I suoi genitori erano cacciatori?
Sì, lo erano i miei genitori, mio zio,
mio nonno, che era contadino.
Da ragazzo ogni fine settimana e
durante le vacanze estive andavo
con lui sui monti: mi insegnava a riconoscere il canto degli uccelli, a
stare a contatto
con la natura,
a saper distinguere le orme
e le tracce di
vari animali, per
esempio della
lepre. Grazie a
questo la mia
passione è aumentata.
specialmente sui cervi nel periodo
degli amori, o sui fagiani di monte
durante le parate. Magari un giorno, quando chiuderà la caccia, mi
dedicherò alla macchina fotografica e alla telecamera, per restare
a contatto con la natura.
Avrebbe una ricetta da consigliarci?
Ne ho diverse; ne rammento tre:
sella di capriolo con contorni; medaglioni di cervo con tagliatelle e
un buon sughetto di porcini; ragù
di cinghiale con pappardelle.
“Guerra e pace ...”
Non ha mai
avuto ripensamenti su questa
scelta?
Finora no, perché mi appassiona
molto
camminare in
montagna, osservare la selvaggina, con
qualsiasi tempo, in ogni stagione. Mi piacerebbe molto
fare dei filmati
2mila8 Mosaico 97
*pulite e tritate finemente la cipolla. Fatela dorare in una pentola
utilizzando una parte della margarina.
R
OMANO MOLINARI
Perché è vegetariano?
Vorrei precisare che non sono vegetariano, ma “vegano”. Oltre a
non consumare la carne e il pesce,
escludo dalla mia alimentazione le
uova, i latticini e il miele.
Come è nata questa passione e
perché?
Non è una passione, ma uno stile
di vita. Evito, nel limite del possibile, qualsiasi comportamento che
contrasti con il benessere degli
animali. Oltre a seguire una dieta
“vegana”, sono contrario agli spettacoli con animali (corride, circhi),
alla caccia, alla pesca, agli zoo,
alla sperimentazione con animali.
Cosa pensa dei cacciatori?
La caccia a mio modo di vedere
non è uno sport. Uccidere un animale indifeso neanche. La caccia
è un’attività inutile, barbara, crudele e sanguinaria, che provoca
gravi sofferenze agli animali feriti,
altera gli equilibri biologici e provoca l’estinzione di specie animali.
Pensa che sia possibile e che sia
sano vivere mangiando solo frutta
e verdura?
Per vivere sani occorre un’alimentazione correttamente bilanciata.
Molte persone pensano che i “vegani” mangino solo insalata e che
siano tutti deboli, gracili e anemici.
La realtà è ben diversa. Una dieta
priva di carne e di suoi derivati riduce di molto il rischio di malattie.
Per la dieta non c’è nessuna controindicazione. Anzi, emerge che
la resa atletica dei “vegani” sia
maggiore, perché sfruttano l’energia incamerata attraverso il cibo.
Non mangiare carne non comporta problemi di anemia, infatti il ferro lo troviamo nei cereali (tre volte
98 Mosaico 2mila8
In famiglia sono tutti d’accordo
con lei?
Sì, anche se i miei figli seguono
un’alimentazione “normale”. Mia
moglie è “vegana”.
*aggiungete le lenticchie già cot-
te e scolate, salatele e mescolate.
*unite tutta la margarina restante
e, dopo averla sciolta, aggiungete
la farina, la passata di pomodoro
e gli aromi.
*mescolate bene e fate cuocere
per alcuni minuti, assaggiando e
correggendo a vostro piacimento.
*quando si sarà formata una bel-
la crema, spegnete la fiamma,
lasciate intiepidire leggermente e
frullate il tutto con un frullatore a
immersione, così da ottenere un
composto omogeneo e cremoso.
*versate in una pirofila leggermente oliata (particolarmente indicata
quella per il plumcake) e lasciate
raffreddare.
*per
evitare che la superficie diventi scura, spennellatela con olio
d’oliva extravergine.
I suoi genitori erano “vegani”?
Io sono “vegano” da più di due
anni. I miei genitori non lo erano,
ma a casa nostra si mangiava carne solo alla domenica.
Non ha mai avuto ripensamenti su
questa scelta?
Assolutamente no! Non tradirei mai
i miei amici animali! Come potrei
guardare negli occhi ad esempio
una mucca dopo averla mangiata?
Avrebbe una ricetta da consigliarci?
La mia passione è il paté di lenticchie:
Ingredienti per 4 persone
2 tazze di lenticchie
1 cipolla
125g di margarina vegetale non
idrogenata
6 cucchiai di passata di pomodoro
2 cucchiai di farina
2 cucchiai di prezzemolo tritato
1 pizzico di timo
1 generosa grattugiata di noce
moscata
½ cucchiaio di sale aromatico.
Non si sa mai... Dalla sella alla soia!
Latte? Di soia!
di più in quelli integrali),
nelle verdure, specialmente in quella a foglia
verde scura, nella frutta
e nei legumi freschi. Anche il calcio è facilmente reperibile nei vegetali:
nella soia e in altri legumi, nei semi di sesamo, di
zucca e di girasole, nella
frutta secca, nel prezzemolo, negli
ortaggi a foglia verde, nel tofu, nel
riso, nella melassa. Esistono inoltre
numerose fonti proteiche vegetali: i semi dei legumi, i cereali e la
frutta secca. La soia supera tutti
gli altri vegetali per la quantità di
proteine utilizzabili. Altre fonti sono
il lievito di birra e le alghe di acqua
dolce. La vitamina B12 è contenuta nel germe di grano, nei germogli di lenticchie e piselli e nella
microalga spirulina (disponibile in
erboristeria).
Rapporto scolastico
1.- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE
Docente cordiale, precisa e attenta alla propria immagine, vive con passione il
proprio lavoro. In classe sa creare il giusto ambiente ed un suo sguardo è sufficiente per ammutolire anche i più turbolenti. Capace come pochi a lavorare
con la porta aperta, raramente alza la voce, ma se si “incavola” tutti gli allievi
sono immediatamente in grado di capirlo dall’espressione del suo viso. Curata
nell’aspetto, nei corridoi muove leggiadra i suoi folti capelli, belli e d’un rosso alla
Julia Roberts.
Rapporto scolastico
3.- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE
Molto interessato e attivo, porta un buon contributo critico alle discussioni. Ben
integrato nel gruppo, mostra buone capacità di rapporti con le persone. A volte
distratto da interessi extrascolastici, è comunque affidabile e responsabile nelle
consegne. Dovrebbe limitare le chiacchiere. Spesso disordinato, perde a volte il
materiale (dov’è finito il classificatore di geografia?). PS: è richiesto un colloquio
(anche con moglie e figlia).
Giudizi di fine semestre
Rapporto scolastico
2.- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE
Le molte assenze hanno caratterizzato l’inizio di quest’anno scolastico: il lungo
viaggio in Africa sta compromettendo il profitto. Il suo carattere aperto gli facilita
i contatti con tutti; a volte è anche troppo aperto, quasi da trasformare la scuola
in teatro. Molto bravo in italiano, certi temi sembrano fatti da uno scrittore, ma
troppo spesso usa il dialetto. Bene anche in francese ma insufficiente in educazione fisica: a pallavolo è un vero disastro. Forza, deve aumentare la sua presenza
a scuola!
Sai per quale ragione i tuoi docenti sono stressati a fine gennaio? Non di certo perché sono
impegnati a scrivere i giudizi di fine semestre, bensì perché anche loro ricevono un giudizio
intermedio… e non sempre chi predica bene razzola altrettanto bene! Per un banale errore
del computer, sui testi non figura il nome del docente: sei in grado di aiutarci? Leggendo
i giudizi, riconosci almeno CINQUE tuoi docenti e partecipi all’estrazione di tre fortunati
vincitori. Buona fortuna. Completa il tagliando e imbucalo nella solita cassetta che trovi fuori
dalla segreteria.
Con corso
Rapporto scolastico
4- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE
Ogni riccio un capriccio? No, non è capriccioso, però i ricci aiutano a capire
l’umore, così come lo
sguardo… In “classe” è
un leader, tutti i compagni si rivolgono a lui per risolvere questioni spinose
e si prodiga a calmare gli
animi, anche quelli bollenti. È un persona pacifica e gentile, ma non vi
consiglio di farlo arrabbiare perché lo sentireste fino a Bellinzona! Farà strada,
il ragazzo…
Rapporto scolastico
5- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI
CLASSE
Durante il primo semestre ha dimostrato un costante impegno: il profitto è certamente positivo; in
generale manifesta un vivo interesse durante le
lezioni, partecipando attivamente, soprattutto a italiano e a inglese. Svolge ogni lavoro con cura, ne è
la prova l’elegante calligrafia che caratterizza ogni
suo scritto. Va inoltre riconosciuto il suo spirito di iniziativa: in particolare si è fatta apprezzare durante
la settimana bianca organizzando per i compagni
delle belle attività di intrattenimento.
102 Mosaico 2mila8
Rapporto scolastico
6- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI
CLASSE
Un John Lennon catapultato nel 2008, docente molto
sensibile, prende a cuore ogni singolo momento della
sua vita scolastica. A gennaio e verso giugno lo si vede
spesso sotto pressione e alla perenne ricerca di cartoncini gialli svolazzanti: le schedine delle assenze dei suoi
alunni, reperibili ovunque tranne che al loro posto… Ha
ormai monopolizzato gli scaffali dell’aula docenti, ma
cerca di rimediare al suo disordine congenito con la
simpatia e offrendo cioccolato ai colleghi.
Rapporto scolastico
7- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI
CLASSE
Piccolina e tutto pepe
Gonna o pantaloni, il look è molto curato: colori e accessori (collane e spille particolari) sono sempre perfettamente abbinati. Ama l’italiano e quindi, quando non
c’è attenzione, di tanto in tanto emette qualche urlo
rivolto a chi non prende sul serio le sue spiegazioni. In
matematica invece ha qualche difficoltà: la somma e
la divisione non sono “il suo forte”! Temperamento español, risata fragorosa, vulcano di idee, schiettezza, …
dunque quadro scolastico globale molto buono.
Rapporto scolastico
8- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE
“Chi è generoso è sempre forte!” Lavora sapendo con competenza ed entusiasmo ciò che vuole. Severa ed
esigente con se stessa e con gli altri. In alcuni momenti riservata, ma sempre disponibile alle attività di gruppo.
Brillante nelle materie che le permettono di analizzare e applicare delle regole (matematica, francese, tedesco, tutti i settori della grammatica), più timorosa quando è il momento di tirar fuori la creatività. La sua
freddezza verso l’educazione fisica è largamente compensata dalle squisite dolcezze che realizza al corso
di educazione alimentare. Qualche chiacchiera tra un esercizio e l’altro, anche in latinorum. Ma questo è un
pregio della generosità!
Rapporto scolastico
9- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE
Fin dal suo arrivo si è contraddistinta per una raffinatezza nei modi e un’eleganza fuori dall’ordinario. In classe
è seria, rigorosa e severa quanto basta per far rigare dritto chiunque osi trasgredire le regole o solamente
dimostri indolenza. In matematica e scienze ha saputo ottenere risultati da primato, tanto che da alcuni anni
è punto di riferimento di giovani docenti in abilitazione. Il suo impegno però non si esaurisce in classe, perché
con la stessa passione con cui insegna l’algebra, si dedica al suo hobby preferito: manager di campioni di
pattinaggio!
Rapporto scolastico
10- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE
La giovane sta concludendo in modo molto positivo il suo terzo anno di insegnamento nella scuola media
di Tesserete. Serena ed impegnata, comprensiva ma esigente, sa creare in classe la necessaria tranquillità e
riesce a far conciliare armonicamente l’allegria con l’impegno scolastico. Siamo convinti che continuando
a lavorare come sta facendo riuscirà a raggiungere gli obiettivi che si è prefissa. Ora non le resta che perfezionare qua e là alcuni dettagli per riuscire a gestire meglio anche la tombola della sede.
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Rapporto scolastico
11- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE
Brillante e perspicace, molto creativo, si dimostra spesso intraprendente ed un tantino iperattivo Ottime le sue capacità di lavorare
autonomamente. Molto determinato, a volte persino caparbio, è
in grado di sostenere con solide argomentazioni, le proprie convinzioni. All’interno del gruppo, è un elemento trainante: detesta i
ruoli subalterni, preferendo assumersi le responsabilità dell’attore
protagonista o del regista. Bravo, continua così!
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12- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE
Diligente, pignolo, sportivo ed un po’ brontolone ottiene un profitto globalmente molto buono; da segnalare gli ottimi risultati in
scienze e matematica, materie nelle quali i suoi interventi sono
pertinenti. Sempre ben curato nell’abbigliamento, soprattutto
nella scelta degli accessori, sciarpe ed occhiali. Intrattiene buoni
rapporti con i colleghi ed è un importante punto di riferimento
per i giocatori di pallavolo e gli amanti dei siti informatici.
Rapporto scolastico
13- SINTESI GLOBALE APPROVATA DAL CONSIGLIO DI CLASSE
Docente atipico, lo si incontra raramente in classe, ma è sempre presente in sede, anche durante le vacanze… . I risultati scolastici ottenuti in questo primo periodo sono al limite del “sostegno”, come quelli della
sua squadra del cuore l’HCL! Nel rugby (il suo nuovo “coup de foudre”…) vari sono i ruoli dei giocatori e per
assomigliare a Chabal (la barba è a buon punto!) dovrà migliorare come tallonatore, irrobustendosi fisicamente; esercitarsi nella corsa come tre quarti ala (visto che nel triathlon è il suo punto debole!); ma è come
mediano d’apertura che dovrà dare il meglio di sé, scegliendo le strategie di gioco da attuare durante
l’intero anno scolastico.
Tagliando di partecipazione
Nome e cognome: ..................................................
Classe: .............. Domicilio: .......................................
No. Giudizio
Docente
..............
........................................................
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Mosaico
periodico della Sme Tesserete
Anno XX - N.24 - maggio 2mila8
www.smetesserete.ch
Redazione
Arianna, Laura, Mattia, Filippo H., Filippo D., Manuel, Luca R., Daniele, Chiara,
Camilla, Elisa, Sheena, Maura, Giulia V., Lavinia, Lisa, Simona, Michele, Fabrice,
Giacomo, Diego, Matteo, Deborah, Asia, Simone M., Enea, Cristina, Giulia P.,
Roberto, Luca D., Simone A., Nathan, Nicole, Viviane, Robin, Jonathan, Lucas, Thierry
… e i docenti: Giorgio Cesarini, Carlo Anselmini, Franco Ferrari, Maurizio Cattaneo,
Eleonora Stella Brienza, Nicole Garlandini, Elisa Maricelli, Fausta Alberti, Jacqueline
Iranzo Pianezzi, Cristiana Lavio, Alberto Gandolla, Walo Mina.
Disegni “Giallo” e “Concorso”: Mattia IIIE
prima A, prima B, prima C, prima D, prima E,
seconda A, seconda B, seconda C, seconda D,
seconda E, terza D
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Maurizio Cattaneo
Fontanaprint
Tipografia
… e i docenti: A. Frigeri, L. Gini,
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Impaginazione e Grafica
... le classi:
Stefano Baldini
Collaborazioni
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Numero 24 - XX anno - scuola media tesserete