1) Avondo, Vittorio: Ruderi nella villa di Adriano a Tivoli: inchiostro nero su carta. Disegno originale datato (1906) e firmato, applicato su carta: 13 x 8,5 cm. Ben conservato. Euro 500. Vittorio Avondo (Torino, 1836 - 1910) frequenta giovanissimo l’Accademia di Pisa. Nel 1851 compie diversi viaggi di studio per l’Italia e il Nord Europa, in particolare Olanda e Germania. Dal 1852 al 1856, Avondo frequenta lo studio del pittore Calame a Ginevra, che influenzerà molto la sua formazione, così come la frequentazione nella città svizzera di Fontanesi. L’ammirazione per Corot e per i paesisti di Fontaineblau, scoperti da Avondo all’Esposizione Universale di Parigi del 1855 risultano determinanti per il superamento della fase calamista. Nel 1857 si trasferisce a Roma dove stringe amicizie che influenzeranno notevolmente la sua pittura: da Fortuny a D’Andrade, da Nino Costa all’ambiente inglese. Questo soggiorno segna l’avvio di proficui studi della campagna romana, terra che, anche a distanza di molti anni, continuerà ad ispirarlo. Dopo brevi soggiorni in Piemonte, in particolare nel vercellese e nel canavese, nel 1855 si trasferisce a Firenze, dove approfondisce i contatti con la cerchia macchiaiola. Dopo Firenze si trasferisce definitivamente a Torino. Nel 1872 acquista il castello d’Issogne in Val d’Aosta, che donerà poi allo Stato. Una decina d’anni dopo collabora con D’Andrade alla costruzione del Borgo Medioevale di Torino, e l’anno successivo è impegnato nel restauro di casa Cavazza a Saluzzo. Dal 1890 al 1910 Avondo ricopre la carica di direttore del Museo Civico torinese, di cui arricchì le collezioni con qualificati acquisti della pittura coeva. 2) Ardigò, Achille: manoscritto autografo di 3 pagine (31,5 x 21 cm.) dal titolo: Motivi della nuova estetica. Il manoscritto fu pubblicato con varianti nella rivista “Il Setaccio” nel 1943. Cancellature, correzioni e aggiunte. Euro 220 (...) Senz’affanno d’ideologi o senza scapigliato entusiasmo di falsi profeti, senza colpi di grancassa suonati alla ribalta d’una rinnovata Montparnasse, in questo finire di mezzo secolo apertosi con le luminarie di un’arte estremista e innovatrice, è lecito ormai parlare della nuova estetica, che già s’annuncia sopra le teoriche di ieri le quali sembrano insuperabili, sulle poetiche vecchie e recenti con tutto il peso delle esperienze filosofiche ed artistiche nate dai conati d’un passato prossimo così pregnanti di faticata umanità. (...) Il pensiero va mutando in prassi e le volontà si determinano in forme più immediate che mai: il pensiero vuol essere azione. Azione dura, lotta che non lasci gli angoli tranquilli alle costruzioni iperuranie e pare vada inaridendo le fonti ad ogni metafisica. L’estetica che viene chiarendosi, alla luce delle polemiche, non è tuttavia prematura quando anche attorno ben altro è il vivere nostro che una novella aesthetische krieg e manca la chiassosa irruenza dei manifesti. E’ una visione che ha la disincantata scaltrezza non ferma a posizioni irresolutive, una esigenza di umanità e di totalità inappagabile con le sperimentate ermeneutiche, e soprattutto l’avversione per i costrutti sistematici o le orbite chiuse alle continue ascensioni e riprese cui non il timore di un oggettivamento tiranno dà vita ma la sincerità d’un desiderio. Desiderio del vero. Al quale si volge in sofferenza questa nostra quasi stanca giovinezza, che ha bruciato le tappe, cercando nelle zone d’ombra oltre i confini d’ogni immagine, nelle pause dei discorsi, nei silenzi improvvisi delle meditazioni, fuori dalla sicura soglia di un sistema alimento e morte dell’anime orgogliose (...) Noi pensiamo alla nuova estetica come alla significatrice d’un’attività artistica che non sia estemporaneità e tecnica solo, che scorga nell’artefix l’uomo e non una fase logica (o tanto peggio cronologica) di quello, che non s’inveschi d’intellettualismo o ..., che sia superamento di vecchie posizioni irrigide come di logore polemiche, senz’argini di scuole o di tendenze, aperta a tutte le foci della cultura, come il gran mare, a ricevere l’anelito delle sorgenti (...) Achille Ardigò, sociologo e politico italiano, fu attivista dell'Azione cattolica negli anni 1930, entrando poi nella Federazione universitaria cattolica italiana nel 1938. Laureatosi in lettere e filosofia a Bologna nel 1942, fu partigiano della 6 Brigata Giacomo Matteotti dal 1º settembre 1944 alla Liberazione operando come staffetta; fu altresì redattore, fra il dicembre 1944 e il marzo 1945 del quindicinale clandestino bolognese, cattolico e antifascista, “La punta”, organo della Gioventù democristiana nell'Italia occupata. Successivamente entrò nella redazione di “Cronache sociali”, la rivista fondata da Giuseppe Dossetti, alla quale collaborò fino al 1951. Si occupò di temi internazionali: dal piano Marshall alla crisi economica in Gran Bretagna, dal liberalismo in Svizzera al programma sociale di De Gaulle in Francia. Fu al fianco di Dossetti quando quest'ultimo fu consigliere comunale a Bologna; collaborò alla stesura del Libro Bianco su Bologna ed alla proposta di far nascere i quartieri. Alla metà degli anni 1960, fu tra i fondatori della Facoltà di scienze politiche dell'Università di Bologna, della quale fu preside fra il 1970 e il 1972. Presso la stessa Facoltà fu professore ordinario di sociologia. Fu il presidente dell'Associazione italiana di sociologia fra 1983 e il 1985 e commissario straordinario all'Istituto ortopedico Rizzoli. Viene unanimemente considerato un padre della sociologia italiana; gli studi di Ardigò sulla teoria del soggetto, sul concetto di empatia, sulla dimensione cognitiva dell’ambivalenza metodologica rimangono e rimarranno come dei riferimenti. 3) Beckett, Samuel: breve biglietto autografo firmato dello scrittore irlandese premio Nobel per la letteratura nel 1969 (Che catastrofe!, sarà il suo commento), indirizzato a Nino Frank, letterato pugliese trapiantato in Francia, a suo tempo come Beckett collaboratore di James Joyce, col quale in particolare diede una prima traduzione italiana dall’opera estrema Finnegans Wake. Una pagina (10,5 x 14 cm.) datata 25. 3. 1971, nella quale Beckett accusa ricevuta del volume Cinéparoles (traduzione, di Frank, dell’opera Straparole di Cesare Zavattini). Euro 310. 4) Berto, Giuseppe: Lettera autografa firmata di 2 pagine (29,5x 21 cm) datata 10 novembre 1973, indirizzata a Irma Antonetto, direttrice della Associazione Culturale Italiana, a proposito di un ciclo di conferenze che Berto avrebbe dovuto tenere presso l’Associazione stessa; allegata pagina dattiloscritta con il titolo della conferenza: Le colpe dei padri (da Vittorini a Pavese). Slogan: Quale eredità ci hanno lasciato i nostri padri letterari? Perchè ci hanno condizionato negativamente? Alcuni fori di archiviazione intaccano qualche lettera di 2 parole, senza comprometterne la leggibilità. Euro 220 Berto comunica alla Antonetto la sua adesione, nonostante la riluttanza a leggere in pubblico, e le dà spiegazioni sulla conferenza stessa: (...) E inoltre, se bene o male me la cavo improvvisando un dialogo col pubblico, a leggere divento noioso, mi ingoffisco, mi blocco. Insomma, ci vuol poco a capire che sono pentitissimo di avere detto un si a Cattaliani. Forse avevo bevuto un pò troppo, come mi capita sempre verso sera. (...) Poi il titolo della conferenza è sbagliato. Le ”colpe dei padri “ va benissimo ma la precisazione da Vittorini a Pavese è fuori posto. E’ colpa mia. Quando Cattaliani mi chiese quali fossero i ”padri delle colpe” dei quali intendevo parlare, io feci riferimento a Pavese e Vittorini, un pò per ragioni cronologiche e un pò perché sono gli esponenti più noti e clamorosi di quel periodo - colpa ed orgoglio della mia generazione- che fu il neorealismo e che finì nel suicidio o in una presuntuosa impotenza. (...) Insomma la mia conferenza sarà un processo all’intellettuale italiano, dalla nascita del fascismo (Giuseppe Ungaretti fu tra i fondatori dei Fasci a Piazza San Sepolcro) a oggi (e per me Moravia è il peggior scrittore odierno, ma penso che non lo nominerò per non dargli importanza) (...) 5) (San) Bosco, Giovanni: lettera autografa firmata (20,5x13 cm) datata 1868. (...) Sta sera non posso; spero per domani a sera e di fare l’ultimo pranzo di carnevale in forma splendida. Ogni celeste benedizione di- scenda sopra di Lei e sopra tutta l’amata famiglia Radinati e mi creda di vostra signora...(...) Euro 750 Don Bosco fu il fondatore della congregazione dei salesiani (originata dall'oratorio sorto tra molte difficoltà nel 1846 a Valdocco per l'assistenza ai ragazzi poveri, fu approvata dalla Santa Sede nel 1864) e della congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice alle quali affiancò la Pia unione dei cooperatori, come terz'ordine laicale. Tutte queste istituzioni ebbero un ampio sviluppo: attualmente i salesiani sono oltre 17.000 con più di 1600 case in tutto il mondo e quasi altrettante le Figlie di Maria Ausiliatrice. Nel 1875 Don Bosco mandò il primo gruppo di missionari nella Patagonia, organizzando negli anni successivi altre sette spedizioni missionarie salesiane in America Latina; l'importanza della sua figura è dovuta soprattutto alla forza della sua personalità di educatore che, con l'amore e la fraterna comprensione, avvicinava a sé l'animo dei ragazzi anche più ribelli . Beatificato nel 1929 e canonizzato nel 1934, è stato dichiarato nel 1989 da Giovanni Paolo II "padre e maestro della gioventù". 6) Camerana, Giovanni: lunga dedica autografa firmata di uno dei massimi esponenti della scapigliatura, indirizzata alla contessa Rosa di San Marco (18x 13,5 cm): 17 aprile 1904 (...) Modesto omaggio profondo. Euro 220 Giovanni Camerana pubblicò in vita pochissimi versi, tutti sotto pseudonimo; la sua bibliografia, infatti, è costituita soprattutto da saggi e articoli di critica d'arte. I versi vennero raccolti e pubblicati postumi, nel 1907, dopo la morte del poeta avvenuta per suicidio nel 1905. 7) Camus, Albert: lettera dattiloscritta firmata su carta intestata diretta a Giancarlo Camerana, presidente dell’Associazione Culturale Italiana, a proposito di un ciclo di conferenze che Camus avrebbe dovuto tenere presso le sedi dell’Associazione. Una pagina (19,5 x 15 cm.) datata 12 maggio 1951. Fori di archiviazione lontani dal testo. Euro 700 (...) Des ennuis de santé, un excès de travail, m’empechent de répondre, comme je l’aurais souhaité, à votre lettre du 9 mai, et je ne puis accepter de faire les conférences que vous me proposez. J’espère, néanmoins, que dans un avenir pas trop éloigné, il me sera possible d’effectuer ce voyage, dans les conditions que vous me dites (...) Nel 1951 Camus pubblica presso Gallimard uno dei suoi libri più noti, L'uomo in rivolta. Saggi (L'Homme révolté. Essais), un saggio dove egli confronta l'idea di rivoluzione, intesa come promozione di valori umani e rivolta contro l'assurdo, con la storia e il presente dei movimenti rivoluzionari. L'opera, che rimane anche ai nostri giorni attuale, sancì, nel 1953, la rottura di Camus con Sartre, del quale criticava l'atteggiamento filosovietico, provocando una divisione della vivace avanguardia intellettuale dell'epoca e consegnando di fatto Camus agli attacchi della sinistra francese. 8) Carmen Sylva (Elisabetta di Wied): Cartolina postale autografa firmata (9 x 14 cm.) con un immagine fotografica nella quale è raffigurata la scrittrice Carmen Sylva mentre sta scrivendo. Sul lato sinistro dell’immagine, citazione autografa firmata Elisabetta Carmen Sylva in lingua francese: Lorsque nous aurons pénétré jusqu’à la bonté suprème nous aurons compris que la beauté est aussi éternelle que la vérité et la bonté plus sublime que l’intelligènce ... Conservata parte di busta con indirizzo autografo e francobollo. Senza data ma 1904. Euro 200 Elisabetta di Wied (Neuwied, 29 dicembre 1843 – Bucarest, 2 marzo 1916) ampiamente nota con il suo nome letterario di Carmen Sylva, fu la Regina consorte di Romania come moglie di Carol I di Romania. Nella guerra russo-turca del 18771878 si dedicò alla cura dei feriti, e fondò l'Ordine di Elisabetta (una croce d'oro su un nastro blu) per premiare il servizio distinto in tali lavori. Favorì l'istruzione superiore delle donne in Romania, e istituì varie società di pubblica utilità. Distintosi precocemente per la sua eccellenza come organista pianista e cantante, mostrò anche considerevole abilità nella pittura; ma una fervida fantasia poetica la condusse sulla via della letteratura, e più in particolare alla poesia, al folklore e alle ballate. Oltre a numerosi lavori originali mise in forma letteraria molte delle leggende in vigore tra i contadini rumeni. Elisabetta di Wied, cosa abbastanza insolita per una regina, era personalmente del parere che una forma repubblicana di governo fosse preferibile alla monarchia - un parere che lei espresse senza mezzi termini nel suo diario, anche se non lo rese pubblico all'epoca: Devo simpatizzare con i Socialdemocratici, soprattutto in vista dell'inerzia e della corruzione dei nobili. Questo "piccolo popolo", dopo tutto, desidera solo ciò che la natura conferisce: l'uguaglianza. La forma repubblicana di governo è l'unica razionale. Non riesco mai a capire le persone stupide, il fatto che continuino a tollerarci. 9) Ceppi, Carlo: inchiostro, matita, acquerello su cartoncino. Disegno originale firmato e datato (21,5 x 16,5 cm.) raffigurante la facciata di una chiesa torinese; Ceppi ha anche disegnato la pianta della stessa chiesa. Sul foglio è legato con un filo rosso, il biglietto da visita di Ceppi con due righe autografe indirizzate alla contessa Rosa di San Marco: 1892. Euro 550. Carlo Ceppi, tra i maggiori esponenti del liberty torinese, nacque a Torino l'11 ottobre 1829; studiò con Promis, laureandosi ingegnere idraulico e architetto civile. La notorietà venne a Ceppi dalla partecipazione al concorso per la facciata di S. Maria del Fiore a Firenze, bandito nel 1861 ed espletato nel '63: il suo progetto, "primo in merito", influenzò quello poi attuato dal Fabris. Tra il 1865 e il 1868 collaborò con A. Mazzucchelli alla stazione ferroviaria torinese di porta Nuova, e attese all'abbellimento della chiesa di S. Carlo. Nel 1869 fu chiamato alla cattedra di architettura dell'università di Torino. Progettò a Torino palazzo Ceriana, poi Peyron, in piazza Solferino; palazzo Ceppi Marenco in via Pomba, palazzo Ceriana Mayneri in corso Stati Uniti, palazzo Ceriana Racca in via Arsenale e nelle case Giacobino, poi palazzo Wild, palazzo Lanza, palazzo Borgogna, in corso Vittorio Emanuele, palazzo Mondino (facciata) e Baudi di Selve in piazza Solferino. Ceppi erigerà fra il 1894 e il 1898 la casa Bellia, nella quale l'impiego del cemento armato gli consentirà audacie di linguaggio quali l'inserto di bowwindows culminanti a torretta in corrispondenza delle arcate, con la conseguenza di dilatare gli spazi interni e di dare vivacità alle superfici. Nel campo dell'architettura sacra curò l'arretramento e il rifacimento della fronte della chiesa di S. Tommaso, l'ampliamento di quella della Consolata, modifiche alla fronte e all'interno di S. Agostino e il rifacimento della Madonna degli Angeli con l'erezione di una cupola. Molti furono i monumenti funebri realizzati da Ceppi, e le ville private. Fuori Torino eresse la facciata del santuario di Belmonte e, nel 1911, la parrocchiale di Fenile. Compì inoltre cappelle sepolcrali a Moncalvo Monferrato, Pollone, Giarole; inoltre progetti, non attuati, per il palazzo del Parlamento a Roma. Suo fu inoltre il progetto del castello che dal 1907 domina la città di Aosta, noto come Castello Beauregard, dall'omonimo nome della frazione ove sorge. Eresse anche il coronamento di palazzo Carignano in commemorazione di Vittorio Emanuele II e la lapide sul fianco di palazzo reale in piazza Castello a Torino. Ceppi morì a Torino il 9 novembre 1921. 10) Chia, Sandro - Cucchi, Enzo: Prima bella mostra italiana, Modena, Mazzoli, 1995, 47 x 34 cm. Legatura in strisce di legno tenute assieme da due viti, sopra le quali è riprodotta un’opera degli artisti; pp. 54 illustrate con tavole a colori. Catalogo stampato in 700 esemplari in occasione della mostra svoltasi a Modena presso la Galleria d’Arte Contemporanea Emilio Mazzoli. Alla prima carta dedica autografa firmata di Sandro Chia accompagnata da un disegno originale a penna blu dello stesso Chia (13 x 10 cm.). Edizione originale. Euro 440 11) Cinti, Italo: Nota sulla pittura di Campigli. Manoscritto autografo firmato di 3 pagine (31 x 21 cm.) pubblicato sulla rivista “Il Setaccio” nel 1942. Diverse cancellature, riscritture e correzioni introducono varianti tra il testo a stampa e quello manoscritto. Euro 250. (...) Il gusto pittorico di Campigli è orientato a darci il fascino dei muri antichi, da cui galleggiano coma da verticali, fermi specchi d’acqua, forme corrose di affreschi, di quelli riscoperti dopo secolari sepolture, confinanti con calcine grattate, le quali hanno anch’esse misteri di patine. E ci vuole una sottile sensibilità cromatica per far vivere gl’intonachi, farci sentire le loro bruniture, un affondato calore di soli tramontati, di stagioni remote (...) Campigli supera nondimeno quella limitazione, poiché ne fa oggetto di poesia, la quale va sempre al di là del fatto; ma è, beninteso, una poesia di ricordi appena udibili, consumati nella memoria, costretta in ogni modo da quei confini, di cui, per così dire, allarga il cerchio a guisa di una eco che faccia udire due o più volte un suono o peraltro ripeta un suono (...) Nella pittura di Campigli, tranne un apparire, un muto affiorare, non vi è azione. Siamo nel regno di una sorta di mineralogia, la cui preziosità ci stupisce, eppure non ci domina. In una parola manca il dramma. Non il dramma, s’intende, dell’autore; bensì il dramma nelle figure rappresentate, quel legamento, si vuol intendere, di convivenza accettata ed offerta, quel rapporto di dialogo, quella comunicazione e amicizia o inimicizia di anime che non può effettuarsi, è necessario poi dichiarare, senza l’uso approfondito e cosciente dell’elemento psicologico (...) Italo Cinti fu uno degli animatori del gruppo futurista bolognese, insieme a Athos Casarini, Angelo Caviglioni, Giovanni Korompay, Tato, e a tutti gli altri che trasformarono la città più passatista d’Italia – come Marinetti definiva Bologna – in quella meglio disposta ad accettare la veemenza intellettuale del movimento. Cinti, nato nel 1898 a Copparo, in provincia di Ferrara, approdò a Bologna per seguire i corsi di Figura, Architettura e Scenografia all'Accademia di Belle Arti. Qui trovò un clima culturale ancora preda di nostalgie ottocentiste. Le uniche novità venivano dalle avanguardie, cioè dai futuristi locali, e da alcune figure appartate come Carlo Corsi e Giorgio Morandi, che seguivano una linea di ricerca tutta loro. Diplomatosi all’Accademia nel 1921, Cinti aderì in modo convinto al movimento futurista e decise di stabilirsi a Bologna definitivamente. Fu lui a trasformare il “Setaccio", la rivista della Gioventù del Littorio bolognese, in un giornalino più intelligente e aperto alle nuove poetiche post-fasciste, radunando intorno a sé tra il 1942 e il 1943 un gruppo di giovanissimi, tra cui Pasolini, Fabio Mauri e Fabio Luca Cavazza. Del futurismo, a Italo Cinti interessava soprattutto lo slancio lirico e spiritualista. Quest’ultimo elemento emerge soprattutto nella ripresa del paesaggio di natura, che il futurismo voleva abolire in nome della preminenza della civiltà urbana e industriale. Nel secondo dopoguerra, Cinti continuò la sua rielaborazione personale delle avanguardie del Novecento seguendo una vena astrattista (con un occhio a Balla e a Prampolini) e surrealista, con opere impalpabili, intrise di una poetica che si rifaceva ai giovanili furori futuristi soltanto in certi dettagli compositivi. I suoi dipinti e disegni sono oggi conservati, tra l'altro, presso la collezione d'arte moderna del Vaticano, la Galleria Comunale d'Arte Moderna di Bologna, la raccolta della Fondazione Lercaro e la collezione del Comune di Copparo. Cinti non era solo un fine pittore. Ha svolto anche e soprattutto l’attività di critico ed esperto di pittura moderna e contemporanea, tenendo conferenze in tutta Italia e scrivendo per "Il Resto del Carlino" e "L'Avvenire d'Italia". 12) Cordara, Giulio Cesare: manoscritto settecentesco dal titolo Capitolo sopra Le Pulci. Si tratta probabilmente di una copia del celebre capitolo in terza rima dedicato alle pulci. Il manoscritto in bella grafia, senza alcuna correzione è certamente risalente alla seconda metà del Settecento: 5 pagine su un bifolio legato con filo coevo, di cm. 24 x 18,5. Euro 220 (...) Talor penso fra me, che se del male / fan tanti al mondo, li maligni insetti / frutti son della colpa originale // Certo in que primi giorni benedetti / nell’orto del piacere non abitaro / questi sozzi, e molesti animaletti, // Ne cogli altri animali, à paro à paro / per saper come avessero à chiamarsi / al cospetto d’Adam si presentaro (...) Ben io lo provo, che succhiar le vene / ogn’or mi sento, e traforar la pelle, / e poi ne trovo le mutande piene. // E ne trovo talor anche di quelle, / che doppo aver succhiato il suo dovere / fanno all’amor, e danno in bagatelle (...) Muso ha di porco ner come l’inchiostro, / gobbo, e peloso il dorso, acuti denti / Le scappan fuori dall’acuto vostro. // Le zampe armate son d’unghie taglienti, / sol che t’aggrappi, che ti raspi solo, / Le carni offende, e lacerar ti senti (...) Ma un pover uomo, che ferir si sente, / cose dice talor, che ben non stanno, / cose, che scandalizzano la gente (...) Ma la pulce si ficca ne calzoni, / zitta s’inoltra per le vie secrete, / zitta si para de miglior bocconi (...) Giulio Cesare Cordara, (Calamandrana 1704 - Alessandria 1785) fu Chierico Regolare della Compagnia di Gesù. Ordinato Sacerdote nel 1733, fu gran frequentatore di salotti della più alta nobiltà romana (era intimo amico delle famiglie Orsini ed Albani) ed amico e consigliere di Papa Benedetto XIV e dei Principi Stuart in esilio, ricoprendo in tale periodo diverse cariche fino alla soppressione della Compagnia di Gesù, quando si trasferì in esilio ad Alessandria ricoprendo la carica prima di Membro dell'Accademia degli Immobili di Alessandria (1751) e poi quella di Principe di tale Accademia (1779). Fu storico, filosofo, poeta satirico molto lodato per il suo latino elegante e puro. Molte furono le sue pubblicazioni fra le quali i capitoli in terza rima Gli Insetti, Pulce, Mosca e Zanzara (composti nel castello di Calamandrana nell’estate del 1763, pubblicati a Venezia nel 1792 nella antologia Parnaso Italiano). 13) Costa, Mario: citazione musicale autografa firmata. Due battute musicali su pentagramma in tempo Andante (14,5 x 17,5 cm.), tratte dall’opera Capitan Fracassa: Canzone antica, con testo autografo: perché sonnecchi in fondo del mio cuor. Torino, 26. 6. 1910. Tracce di carta sul foglio. Euro 200 Trasferitosi con la famiglia a Napoli nel 1865, Mario Costa studiò musica e canto presso il conservatorio di San Pietro a Maiella, allora diretto da Saverio Mercadante. Da allora per sessant’anni scrisse numerose romanze, canzoni popolari, melodie, stornelli, duetti, inni, marce, pantomime, opere comiche, operette, danze, fiabe. Scrisse versi e musica di 'A frangesa sul tavolo della birreria Strasburgo a Napoli in onore della diva del varietà Amanda Henry e la canzone fu portata al successo dalla cantante tarantina Anna Fougez. Il direttore del Corriere del Mattino, Martino Cafiero, letta una poesia del suo giovane redattore Salvatore Di Giacomo, decise che con la musica appropriata sarebbe diventata una canzone di successo: si rivolse quindi a Mario Costa: la musica di Nannì venne scritta di getto sul marmo di un tavolino del vecchio caffè Napoli nella Villa Nazionale. Da qui iniziò una lunga collaborazione: sui versi di Salvatore Di Giacomo scrisse le canzoni Era de maggio, nel 1881 Ojè, Carulì, nel 1882 Luna nova, A ritirata, Oili - oilà, Catarì, Serenata napulitana, Munasterio, Lariulà. Compose inoltre canzoni su versi di Ferdinando Russo (Scetate, O cuntrattino) e su versi di Roberto Bracco (Napulitanata, Tarantì tarantella, Addimànnel'a mamma!, dedicata a Matilde Serao, Nu vecchio e na vecchia). Ottenne successi internazionali, come attestano i trionfi londinesi. Fu soprattutto la sua pantomima, ovvero una specie di balletto privo di schemi coreografici definiti Histoire d'un Pierrot a garantirgli una duratura fama, accresciuta da una successiva trasposizione cinematografica dell'opera. Histoire d'un Pierrot va in scena anche il 29 giugno 1915 all'Opéra-Comique di Parigi ed il 6 aprile 1922 al Teatro La Fenice di Venezia. Il capitan Fracassa va in scena nel 1910 al Teatro Costanzi di Roma diretta da Nicola D'Arienzo. 14) D’Annunzio, Gabriele: rara fotografia originale (15,5 x 10,5 cm.) nella quale è ritratto il giovane Gabriele D’Annunzio diciassettenne a mezzo busto, quando era ancora studente del liceo Cicognini di Prato. Stampa vintage al carbone applicata su cartoncino, con ritocchi originali del fotografo, non identificato, a pennarello nero. Senza data, ma 1881 circa. In ottimo stato di conservazione. I preziosi archivi del Convitto Cicognini raccontano di un timido ragazzo dodicenne che varcò la soglia del collegio nell’ottobre 1874 e lì rimase per sette anni. Euro 450 15) D’Annunzio, Gabriele: interessante, intenso e sostanzioso carteggio letterario fra Gabriele D’Annunzio e Ferdinand Brunetière: 1894 - 1896. 7 lettere autografe firmate, indirizzate ad un Caro Maestro, da identificarsi appunto con Brunetière, il principale editore di D’Annunzio in Francia. Nella corrispondenza D’Annunzio discute della pubblicazione in lingua francese delle sue opere Trionfo della Morte e Vergini delle Rocce, la cui traduzione sarebbe dovuta apparire nella Revue des Deux Mondes, diretta dal 1893 da Brunetière. D’Annunzio menziona spesso George Hérelle, letterato e traduttore, il quale lo aiuterà in larga misura nella gestazione in lingua francese delle due opere; Hérelle avrà anche un ruolo importante come mediatore non ufficiale tra il poeta e l’editore. Rari gli autografi ottocenteschi di D’Annunzio. Euro 4.200 1) Lettera autografa firmata di 8 pagine (22 x 16,5 cm.) in lingua francese datata Francavilla al Mare 22 agosto 1894. D’Annunzio afferma di avere ricevuto una lettera dal suo amico e traduttore Georges Hérelle che lo assicura della volontà di Brunetière di pubblicare sulla Revue des Deux Mondes il Trionfo della Morte. (...) Tuttavia D’Annunzio ribadisce che per ragioni contrattuali con l’editore italiano la traduzione francese dovrebbe comparire nel corso del 1895: Ce serait grand dommage pour moi si cette pubblication restait ajournée jusqu’à janvier ‘95. J’ai avec mon éditeur italien une convention qui n’aura plus de valeur si la traduction française ne paraitre pas au cours de cette année 1894. (...) M. Hérelle m’avait assuré que le Triomphe aurait paru dans la Revue au mois d’aout; de sorte que meme dans mon traité avec Calman Lévy le titre de ce roman est suive de cette mot: devant commencer à paraitre dans la Revue des deux Mondes, au mois d’aout prochain (...) Molto interessanti sono i pas- saggi successivi della lettera, nei quali D’Annunzio discute in dettaglio alcuni capitoli della sua opera, chiedendo a Brunetière di leggere con attenzione i passaggi relativi al pellegrinaggio di Casalbordino, di cui discute la stampa italiana per le presunte assonanze con Lourdes: (...) Je crois que meme pour le lecteur français cette comparaison ethnique et esthétique pourrait avoir quelque intéret, pendant que dure la rumeur suscitée par l’enquete de M. Zola. D’Annunzio raccomanda ancora a Brunetière di chiedere un parere a Eugène-Melchior, collaboratore della rivista Vogué, che ha letto il Trionfo della morte in lingua italiana, al fine di comprendere meglio la moralità occulta che è nel fondo dell’opera e che certo egli comprenderà a traduzione avvenuta; lo scrittore è evidentemente preoccupato per le accuse di oscenità che sono state rivolte alla suo opera dalla critica italiana e che teme possano compromettere la pubblicazione della stessa in lingua francese, tema quest’ultimo che ritorna con frequenza nell’epistolario. D’Annunzio si raccomanda di procedere con i tagli lineari indicati, per quanto riguarda il testo in francese, al fine di preservare il carattere generale dell’opera e salvaguardare la “probità” letteraria dell’autore: En cousentant ces sacrifices, en faisant cet acte de déference que je vous devais, cher maitre, j’ai la persuasion que vous aurez égard moins aux exigences des lecteurs qu’aux droits de l’artiste (...) 2) Lettera autografa firmata di 9 pagine (20,5 x 13 cm.) in lingua italiana, datata Francavilla al Mare 25 giugno 1895. (...) L’intero manoscritto è rimasto nelle vostre mani per un anno; e, dentro l’anno, noi avremmo potuto non soltanto accordarci definitivamente intorno a queste soppressioni (imprevedute) ma anche, nel caso, riprendere definitivamente la nostra libertà in proposito della pubblicazione. Per non darvi alcun disturbo, io avrei consentito in qualunque tempo a ritirare il manoscritto; e avrei avuto l’onore di offrire alla Revue, in seguito, un romanzo meno scabroso e meno nojoso. (...) Come semplice notizia, vi dirò che Il pellegrinaggio di Casalbordino fu scritto, e pubblicato nelle appendici del giornale Il Mattino, quasi un anno prima del Lourdes. Mi sembra, inoltre, che la differenza sia grande, fra la descrizione zoliana e la mia. Il pellegrinaggio di Casalbordino è un pellegrinaggio di Barbari e ha qualche cosa di primordiale e di leggendario. V’è un carattere etnico vivacissimo, e può interessare come studio d’usanze singolari che a poco a poco vanno scomparendo. Mi sembra, inoltre, che un soffio di poesia attraversi quella strana violenza. E, pur tra la moltitudine nauseabonda, sorge la figura della Sposa ancor vergine, luminosa d’una bellezza barbarica. Le due morti di fanciulli non vi potranno sembrare oziose, se vorrete considerare che il romanzo è un Trionfo della Morte (...) E’ considerabile anche la sterilità d’Ippolita, e tutte le cose inespresse che ondeggiano sul suo capo mentre le madri disperate urlano e si contorcono. Intorno a questa donna voluttuosa e infeconda la maternità leva le più alte grida (...) Certo io non posso chiedere ai miei lettori un’attenzione che penetri nelle viscere dell’opera. V’è per tutto il mio libro diffusa una rete misteriosa di analogie che io potrei indicarvi a una a una (...) Per ciò, io mi rimetto nelle vostre mani. Sopprimete tutti i capitoli importuni. Se mi manderete le prove di stampa, io potrò tagliare dal capitolo di Zarathustra tutta la (...) 3) Lettera autografa firmata in lingua italiana di 5 pagine (20,5 x 13 cm.) senza data relativa alle correzioni delle bozze del Trionfo della morte. (...) Vedrete che nelle soppressioni sono stato più severo di voi. Ho soppresso quasi interamente il VI capitolo. In francese, quel brano di analisi ha un sapore troppo pedantesco. Nell’originale, lo sfarzo dello stile riesce forse a diminuire l’aridità scientifica di certe ricerche. D’altronde, quel capitolo non è necessario nell’economia del libro; poiché i caratteri essenziali dell’anima di Giorgio Aurispa si manifestano via via nel corso della narrazione con bastevole evidenza. (...) Anch’io penso con voi, che tanto più un’opera d’arte è vitale tanto più profondamente penetra in ciò che l’anima umana ha di universale e di eterno. Lo studio della malattia non è stato per me, fino ad oggi, se non un mezzo di speculazione; perché la malattia ajuta l’opera dell’analisi decomponendo lo spirito. Essendo un disordine patologico l’esagerazione di un fenomeno naturale, la malattia fa l’ufficio d’uno di quegli strumenti che servono ad isolare (...) la parte osservata. In fondo, io non considero i miei tre romanzi della Rosa se non come tre esercitazioni nel campo della conoscenza (...) 4) Lettera autografa firmata di 2 pagine (21,5 x 13 cm.) in lingua francese, scritta su bella carta con impresso in argento timbro con coppa e scritta “Il Convito”: 19 luglio 1895. Importante lettera nella quale oltre a far riferimento alla pubblicazione finale dell’opera (j’ai déjà renvoyé les épreuves de la dernière partie, avec quelques légéres corrections de forme (...) je vous remercie des belles paroles que vous avez voulu étendre comme du baume sur la blessure), D’Annunzio afferma che è prossimo a partire per una crociera in Grecia: Je vais accomplir un periplos (scritto nella lettera in caratteri greci) dans le Mer Egée, en compagnie de Pausanias le Phrygien (...). D’Annunzio si riferisce qui al viaggio in Grecia compiuto a bordo dello yacht "Fantasia" nell'estate 1895 in compagnia di Guido Boggiani, Georges Hérelle, Edoardo Scarfoglio; un viaggio di singolare rilievo nella storia letteraria italiana, di cui a lungo parlò la stampa dell’epoca, abbondantemente analizzato dalla critica per le considerevoli ripercussioni del primo viaggio in Grecia del poeta abruzzese sulla sua opera teatrale e poetica, per il rinnovato interesse dannunziano per l'ellenismo che si sarebbe poi concretizzato nelle atmosfere classicheggianti della tragedia La città morta (1896) e del primo libro delle Laudi, Maia. D’Annunzio si dedica alla riscoperta del mito, al tentativo di ripristinare l’incanto e la magia delle favole antiche anche nel cuore della modernità. 5) Lettera autografa firmata di 3 pagine (18 x 13,5 cm.) in lingua francese: Firenze, Hotel de Russie, 3 novembre 1895. D’Annunzio chiede un acconto (2000 franchi) per la pubblicazione sulla “Revue” della traduzione francese delle Vergini delle rocce e un parere a Brunetière sull’opera che in Italia ha suscitato un vero e proprio scandalo, frutto, a parere di D’Annunzio, di letture superficiali e analisi inesatte (analyse bien superficielle et inexacte). 6) Lettera autografa firmata di 4 pagine (18,5 x 14 cm.) in lingua francese su carta intestata Francavilla al Mare: 7 luglio 1896. D’Annunzio si scusa con Brunetière per non potergli garantire l’esclusiva per la pubblicazione dei Romanzi del giglio: je ne pouvais pas supposer que, ayant déjà accepté le trois romans Du Lys, vous auriez accepté un quatriéme roman encore pour le publier probablement en 1889 (...) Or, vivant seul à la campagne, je travaille et je produis beaucoup; et j’ai besoin de faire paraitre mes livres sans trop attendre. En outre, le principal actionnaire de la Revue de Paris est mon éditeur; et, au moment de signer avec lui un traité avantageux pour cinq volumes nouveaux, je ne pouvais pas me dispenser de lui reserver un de ces volumes pour sa Revue (...) 7) Lettera autografa firmata in lingua francese di 11 pagine su carta intestata Francavilla al mare: 3 agosto 1896. Interessantissima missiva nella quale D’Annunzio parla dei tagli possibili alla traduzione delle Vergini delle Rocce. (...) Mon ami Hérelle me fait savoir qu’il y a encore quelqu’anicroche pour ces malheureuses Vierges. Puisque vous considérez la première partie de mon livre comme le vrai Prologue, vous avez l’intention de sacrifier ce morceau de prose qui dans l’original porte le titre de Prologue et qui est un sortie de transfiguration poétique dans laquelle apparaissent les personnages du drame pour chanter: - agunt et cantant. (...) je vous exprime le très vif désir de voir maintenu le premier prologue à préference du second. (...) Je propose de pubblier le premier avec ce titre Dramatis personae et le second avec ce titre Prologue (...) Je crois que je l’adopterai aussi pour le volume, tout en conservant le prologue (le second) en son intégrité. Certes, tout cela est inusité dans les romans courants; mais alors il voudrait mieux supprimer l’ouvre entièrement, puisque on ne réussira jamais à lui donner un caractére qu’elle n’a pas et à lui enlever un caractére que j’ai volu (à tort ou à raison) lui imprimer (...) Je crois que le folle que vous craignez pour moi (...) , je crois que ce folle se produira, s’il doit se produire, indépendamment des qualités de mon ouvre. Le chien qui veut mordre ne prende pas en considération la qualité du drap qui recouvre le mollet du passant. (...) J’ose vous demander encore ce que vous avez déjà fait pour le Triomphe de la Mort: c’est à dire de vouloir indiquer par des points la place des coupures et de vouloir mettre une petit note pour avertir les lecteurs que ces coupures sont justifiés par la raison qu’on ne pourrir bien entendre toute la signification et la portée du Prologue qu’aprés la pubblication du troisième des Romans du Lys (...) 16) D’Annunzio, Gabriele: insieme di firme autografe su carta intestata Città di Fiume (21,5 x 16,5 cm); sul foglio sono presenti anche due francobolli fiumani con annullo postale, datati 1919, periodo in cui Fiume è postalmente autonoma ed emette i suoi francobolli. Le firme appartengono ad alcuni aderenti al Movimento di Resistenza fiumano guidato dallo stesso D’Annunzio. Oltre a quella del poeta si riconoscono la firma di Antonio Grossich, presidente del Consiglio Nazionale fiumano che propugnava l’annessione di Fiume all’Italia; e quella di Sante Ceccherini, comandante della 12° legione Bersaglieri. Timbro blu città di Fiume. Euro 380 Prima del 1918 Fiume faceva parte dell’Ungheria, ma le vicende della prima guerra mondiale la portarono in bilico tra l’annessione alla Croazia e quella all’Italia. Il 12 settembre 1919 una spedizione nazionalista guidata da D’Annunzio raggiunse la città che fu occupata per 16 mesi, con alterne vicende tra cui la proclamazione della Reggenza Italiana del Carnaro. 17) De Carolis, Adolfo: Ciascun mattino reca innumerevoli rose: inchiostro su carta. Disegno autografo firmato a piena pagina (24 x 17,5 cm.) dedicato da Adolfo De Karolis alla contessa Rosa di San Marco. Due figure nude sostengono un cartiglio con il testo sopra riportato. Senza data, ma primissimi anni del Novecento. In ottimo stato di conservazione. Euro 960 Adolfo De Carolis (Montefiore dell'Aso, 6 gennaio 1874 – Roma, 7 febbraio 1928), pittore, incisore, illustratore, xilografo e fotografo italiano. Protagonista dell'arte italiana idealista e simbolista fra Ottocento e Novecento, De Carolis ha influito in modo determinante negli sviluppi formativi del gusto floreale, operando in egual misura anche nei campi dell'illustrazione, della pittura e della fotografia, mentre è problematica la sua collocazione nel contesto liberty, nel quale viene frequentemente collocato dalla critica. La sua fede artistica nella tradizione rinascimentale ed ermetica viene, infatti, da lui opposta polemicamente contro le bizzarrie organicistiche dell'"arte nuova", come appare in particolare in un articolo sul Leonardo dopo una visita alla Esposizione Internazionale d'Arte Decorativa Moderna di Torino del 1902. La sua opera esibisce piuttosto un'evoluzione dell'estetica preraffaellita, fortemente condizionata da modelli e stilemi del giapponismo, da un lato, e da un inquieto formalismo di stampo michelangiolesco, dall'altro. De Carolis ha collaborato con grandi letterati, illustrando con disegni e xilografie opere di Gabriele D'Annunzio e di Giovanni Pascoli, con una maniera grafica inconfondibile, decorativamente organica tanto all'architettura tipografica quanto ai contenuti. 18) De Pinedo, Francesco: pensiero autografo firmato (24x 16,5 cm) datato dicembre 1925: (...) Si vola! Al retro del foglio dedica del Vescovo Bonomelli alla contessa San Marco, datata 9 maggio 1900. Euro 170 De Pinedo è stato un aviatore e generale italiano, pioniere della aviazione, sottocapo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, morto a quarantatré anni mentre si apprestava a intraprendere un volo in solitaria dalla lunghezza record di 6300 miglia da New York a Baghdad. Medaglia d'oro al valore aeronautico. 19) Falchetti, Alberto: paesaggio montano: matita su carta. Disegno originale firmato e datato 1906: 15 x 17 cm su di un foglio di album proveniente dalla raccolta di autografi della contessa Rosa di San Marco, al cui retro sono presenti le firme autografe di Scipione Borghese datata 1907, Luigi Barzini, Joseph Dumeil accompagnata da 4 righe autografe datate, e di Enrico Thovez. Euro 380 Alberto Falchetti (Caluso, Torino 1878 - 1956) nasce da una famiglia di pittori. Falchetti si ispira in un primo tempo a Segantini e su suo consiglio si isola nel 1899 in Val d’Ayas per accostarsi allo studio del vero d’après nature. Espone per la prima volta alla Società Promotrice torinese nel 1891 e vi partecipa sino al 1947. Dal 1898 è presidente al Circolo degli Artisti della città di Torino, carica che regge sino al 1939. Dal 1903 al 1924 espone periodicamente alle Biennali di Venezia. Dopo aver conosciuto il pittore americano John Sargent, parte, nel 1905, in sua compagnia per la Palestina, l’Egitto e altri paesi orientali. Il contatto con quei luoghi gli offre occasione per rinnovare i soggetti e le gamme coloristiche. La sua fama varca i confini nazioni; nel 1909 e nel 1913 Falchetti espone al Glaspalast di Monaco, e nel 1914 al Salon di Parigi. Stringe in quegli anni amicizia con Francesco Pastonchi e Francesco Michetti. La sua produzione privilegia essenzialmente i soggetti montani valdostani ed il biellese. E’ un artista la cui frequenza sul mercato è sporadica, mentre un gran numero delle sue opere sono in collezioni private piemontesi. E’ presente alla Galleria d’Arte moderna di Torino. 20) Fabro, Luciano: Attaccapanni, Torino, Einaudi, 1978, 20,5 x 12,5 cm. Brossura editoriale; pp. 164, (6). Con illustrazioni in bianco e nero nel testo. Edizione originale. Euro 140 21) Farfa (Vittorio Osvaldo Tommasini): Oggi e ieri. Poesia dialettale autografa, scritta a lapis su un foglio di taccuino (14 x 9,5 cm.). Senza data ma anni Trenta. Euro 220 (...) Quando meno la speto / chi te lampo tuti in t’un / una bionda e ti a brageto / po’ no vedo più nessun. / Ne fa ... i ginoci / ma vien scuro e torno in sè / basta vederla nei oci / per capir chi che la xe (...) Protagonista del futurismo (attivo a Trieste, Torino, Savona, e Sanremo), come cartellonista, ceramista, fotografo e poeta, Farfa è stato autore di coloratissime cartopitture e di libri dal carattere bizzarro. Dalla fine degli anni cinquanta fu riscoperto dai surrealisti e da altri protagonisti dell’avanguardia. 22) Franchetti, Alberto: citazione musicale autografa firmata. Due battute su pentagramma autografo (14 x 17 cm.) tratte dall’opera Germania, datate Mantova 18 gennaio 1903. Euro 220 Germania è un'opera lirica di Alberto Franchetti, su libretto di Luigi Illica. L'opera fu rappresentata per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano l'11 marzo 1902. Il direttore d'orchestra era Arturo Toscanini; la scenografia era di Adolfo Hohenstein. Tra il pubblico della prima era presente anche Giacomo Puccini. Il successo, a cui contribuì anche il tenore Enrico Caruso, si annunciò fin dal prologo, che la recensione de La Stampa definì un sano equilibrio di strumentale, una ricchezza non mai smentita di colorito armonico. Il primo atto però piacque meno per una pletora di scatti enfatici; nel secondo atto fu applauditissima la chiusa marziale Morir per la Germania appoggiata dall'orchestra. Dopo un intermezzo sinfonico, la chiusura dell'epilogo con l'agonia di Federico venne descritta come un lavoro potente di vero artista. 23) Galateri, Annibale: testa di uomo: inchiostro nero su carta. Disegno originale datato e firmato: 1908. Il foglio, in perfette condizioni, misura cm. 24 x 17,5. Al retro, lungo pensiero autografo firmato di Reginaldo M. Giuliani, cappellano degli arditi della III armata e delle truppe irregolari di Fiume. Dalla raccolta della contessa Rosa di San Marco. Euro 360 Annibale Galateri (Cesena 1864 – Savigliano 1949) nacque dalla Contessa Ester Lamberti e dal Conte Luigi ufficiale di carriera. Il Conte Annibale, come il suo nobile genitore, era destinato alla vita militare ma pur disponendo di un fisico eccezionale fin da bambino mostrò grande propensione allo studio e un amore viscerale al disegno evidenziando la personalità dell’artista. Contravvenendo ai desideri della famiglia e senza esitazioni, s’iscrisse all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Qui ebbe a maestri Enrico Gamba per il disegno e Andrea Gastaldi per la pittura. Lasciata Torino per Roma, nella Capitale s’iscrisse ai corsi dell’Accademia di S. Luca. A Roma Annibale conobbe lo scultore Giulio Monteverde grande rappresentante della scultura ufficiale e, ammaliato da questi, il giovane Conte decise all’improvviso di dedicarsi seriamente anche allo studio dei valori plastici. Appresi in fretta i primi rudimenti della scultura, Galateri fece ritorno a Torino affidandosi alle cure di Odoardo Tabacchi, il quale annoverava tra i suoi allievi: Pietro Canonica, Davide Calandra, Edoardo Rubino e Leonardo Bistolfi. Nel 1888 Annibale entrò a far parte del Circolo degli Artisti di Torino dove espose anche nel 1889, 1891, 1895, 1901 presentando i suoi lavori che consistevano in piccoli bronzi, crete, disegni e dipinti. Nel 1911 fu eletto Sindaco della città di Savigliano. In quegli anni di fine Ottocento fu nominato Consigliere della Società Promotrice di Torino dove poté assistere al cambiamento della pittura piemontese che lasciato il buio degli studi, si andava sviluppando “In plein air”. Antonino Olmo dopo un ac- 24) Gioberti, Vincenzo: Raro ed importante manoscritto autografo, senza data e senza firma, di 6 intere pagine (27 x 20, 5 cm.) nel quale Gioberti precisa il suo pensiero politico. Una chiara, lungimirante ed approfondita analisi della situazione italiana, probabilmente succesiva alle rivoluzioni del 1848. In lingua francese (Français). Qui una parziale traduzione. (...) Nel movimento che si sta svolgendo in Italia è necessario esaminare i modi, il fine e l’avvenire. Sotto questi tre rapporti esso differisce da tutti i movimenti politici che lo precedettero nel secolo ed ha, nei confronti di quelli, grandi vantaggi. I modi. 1. I precedenti tentativi erano opera di una minoranza assai debole; adesso è la maggioranza che entra in lizza. Si può anche affermare che è la totalità, in quanto nessuna classe, nessuna provincia, nessuna fazione (se si eccettua il partito austro-gesuitico) resta estranea al movimento in atto. 2. In passato si operava attraverso dei sistemi illegali, cioé per mezzo di società segrete, cospirazioni, rivolte, violenze. Adesso è la legalità che regola l’impulso nazionale e l’opinione pubblica è l’unica forza nella quale è riposta ogni speranza. 3. In passato i movimenti erano condotti da una parte di popolo contro i governi: adesso i governi hanno preso l’iniziativa ed hanno con essi tutta la nazione. 4. I precedenti tentativi erano più o meno ostili, se non verso la religione, certo verso il clero e la corte di Roma; oggi, al contrario, il Papa è alla testa della rivoluzione in atto, e tutto il clero, eccezion fatta per i Gesuiti, è con lui. Il fine. 1. Non è più il rovesciamento dell’ordine stabilito che si cerca, ma il suo miglioramento. (...) Lungi dal voler indebolire la monarchia, la si vuole consolidare, rendendola consone ai bisogni dell’epoca ed identificando i suoi interessi con quelli della nazione. Lungi dal voler marciare verso future rivoluzioni, si cerca di renderle impossibili. 2. Essendo i movimenti politici anteriori di carattere rivoluzionario, essi potevano provocare contraccolpi all’esterno e compromettere la pace dell’Europa, ciò mentre invece il movimento attuale, essendo semplicemente riformatore, non contiene affatto questo rischio. (...) L’avvenire. I movimenti anteriori sono falliti. Sarà lo stesso per il movimento attuale? Per rispondere a questa domanda bisogna cercare 1°- Se il movimento attuale può essere impedito; 2°- Se presenta pericoli attuali; 3°- Se è utile o nocivo agli interessi della Francia e dell’Inghilterra; 4°- Qual’è il partito più conveniente che gli austriaci possono prendere nei suoi confronti. 1- E’ impossibile arrestare il movimento attuale con la forza. E’ impossibile all’Austria, perché anche facendo la strana ipotesi che la Francia e l’Inghilterra concedessero l’occupazione di tutta l’Italia centrale, questa occupazione sarebbe temporanea e (...). E’ impossibile ai governanti italiani; perché nessun governo può fare abortire un movimento di riforme, di cui egli stesso è stato l’iniziatore (...). 2- Non c’è nessun serio pericolo da temere. (...) La grande maggioranza degli italiani vuole la monarchia e non desidera affatto per il momento una rappresentatività formale. Essa non aspira che ad ottenere riforme e garanzie che ne assicurino la durata, e che possano conseguirsi con un semplice intervento consultivo della classe istruita. (...) Vogliamo anche supporre che in mezzo alle riforme si costituisca un partito estremista? E bene; la sola guardia civica sarebbe sufficiente per garantire la sorte dei governi. (...) 3- Gli interessi della Francia sono soprattutto politici e quelli dell’Inghilterra commerciali. (...) 4.- L’Austria non potendo impedire le riforme italiane, deve imitarla e realizzarle con essa. (...) in fin dei conti essa potrà sempre fare del regno Lombardo-Veneto uno stato separato come l’Ungheria. E’ certo un partito che gli italiani non possono convenientemente consigliarle, ma che l’Austria non deve perdere di vista (...). curato conteggio riferì che, la produzione plastica del Galateri consta di quarantadue opere tra monumenti celebrativi e funerari, statue, ritratti, bassorilievi, busti, tondi, lunette e medaglioni. In pittura non si contano i suoi lavori che eseguì a matita, all’acquerello, a olio e all’incisione; opere mai mercificate ma che egli soleva donare a chi mostrava d’amarle e desiderava possederle e per questi motivi, reperirle oggi è veramente un’impresa. 25) Giordano, Umberto: citazione musicale autografa firmata su carta intestata (16 x 21 cm.) dell’Hotel Aquila d’Oro di Mantova. Due battute musicale in tempo Andantino tratte dal secondo Atto dell’opera Fedora, con notazione musicale su pentagramma autografo: Mantova, 15 gennaio 1899. Euro 350 Fedora è, insieme ad Andrea Chénier e Siberia, una delle opere più note di Umberto Giordano. Il libretto - articolato in tre atti - fu scritto da Arturo Colautti e la prima rappresentazione avvenne il 17 novembre 1898 al Teatro Lirico di Milano. Il successo fu immediato, anche grazie ad Enrico Caruso che con quest'opera ottenne la sua prima importante affermazione. Alla prima - diretta dallo stesso Giordano - cantarono, nel ruolo della protagonista, Gemma Bellincioni, Enrico Caruso come Loris Ipanov e Delfino Menotti nel ruolo di De Siriex. Portata al successo da Mahler a Vienna, l’opera fu applaudita anche a Parigi dove ebbe tra i suoi estimatori Massenet e Saint-Saëns. La vicenda è tratta da un dramma di Victorien Sardou, interpretato dall'attrice Sarah Bernhardt, che affascinò Giordano, il quale riuscì a creare un perfetto clima musicale per la vicenda. Basti pensare in questo senso al serratissimo primo atto, che è un vero e proprio romanzo giallo trasposto sulla scena; all’efficace duetto del secondo atto inserito nel corso di una festa e con il sottofondo di un pianoforte che ne acccresce la drammaticità, grazie al contrasto tra gli ospiti che festeggiano e Loris che confessa un omicidio; all’intermezzo sinfonico del secondo atto, durante il quale Fedora scrive la lettera di denuncia e in cui viene ripreso il tema di Amor ti vieta. 26) Grosso, Giacomo: inchiostro nero su carta: 16 x 14 cm; il foglio 24,5 x 17,5 cm. Pregevole disegno autografo firmato e datato 1909, nel quale è raffigurato il volto di una donna. Dalla raccolta della contessa Rosa di San Marco. Euro 670 Giacomo Grosso (Cambiano, 23 maggio 1860 – Torino, 14 gennaio 1938) dopo aver abbandonato gli studi al seminario di Giaveno si diplomò all'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, divenendone professore di pittura nel 1889. La sua tecnica pittorica rapida e vivace gli garantì un grande successo presso la clientela aristocratica e dell'alta borghesia, e gli fece ottenere numerosi premi e riconoscimenti. Espose in tutta Europa, frequentò spesso Parigi e nel 1908 fu a Buenos Aires con l'allievo Carlo Gaudina per realizzare un ciclo di decorazioni. Una sua mostra personale con oltre cinquanta opere fu presentata da Leonardo Bistolfi alla Galleria Pesaro di Milano nel 1926. Fu nominato senatore del Regno il 2 marzo 1929. È sepolto nel Cimitero monumentale di Torino. Eseguì ritratti dei reali, di Benedetto XV, di Giovanni Agnelli, di Toscanini e di Puccini e indulse spesso a soggetti di nudi di un erotismo, così da essere accusato di immoralità. Ceelebre la polemica dovuta ad un suo quadro che consacrò la prima Esposizione Internazionale d'Arte della città di Venezia del 1895 e sollevò intorno a essa clamore e curiosità: il Supremo convegno. Proprio il Presidente di quell'Accademia, il conte di Sambuy, raccomandò al sindaco Riccardo Selvatico di fare in modo che quel quadro di ardita composizione fantastica fosse sistemato in buona luce. Essendo Grosso artista di noto valore, il primo cittadino non ebbe timore a rassicurare il conte a tal proposito, ma non intuiva certo quali e quanti grattacapi doveva procurargli quel quadro! Il 10 aprile 1895 l'opera giunse all'Esposizione, e appena tolta dalla grande cassa stupì quanti la videro. Ambientata in una chiesa, raffigurava una camera ardente, con feretro e cadavere attorniati da cinque figure femminili completamente svestite. Nelle intenzioni del pittore torinese, la tela voleva rappresentare la fine di un dongiovanni. Se per chi doveva collocare l'opera, l'unica preoccupazione veniva dagli accesi contrasti di colore, che potevano disturbare la visione dei dipinti vicini, invece per la Presidenza dell'Esposizione il disagio era dato dal soggetto del quadro, che avrebbe potuto offendere la morale dei visitatori. In pochi giorni la notizia aveva già fatto il giro della città, e molto si mormorava a proposito del soggetto di questo quadro, a cui non era stata ancora data una collocazione. Il Sindaco Selvatico decise di sottoporre la questione a una apposita commissione di letterati, formata da Enrico Panzacchi, Giuseppe Giacosa, Enrico Castelnuovo e Antonio Fogazzaro. La risposta arrivò tramite una lettera di Fogazzaro: Vi rispondiamo unanimi: no, il dipinto non reca oltraggio alla morale pubblica. Il giorno seguente però, il Patriarca di Venezia Giuseppe Sarto (futuro Papa Pio X), inviò una lettera a Selvatico chiedendo che l'opera, di cui aveva sentito parlare, non venisse esposta. Il sindaco rispose col verdetto della commissione e l'opera partecipò alla prima Esposizione, sebbene collocata in una sala piuttosto appartata. La stampa clericale gridò allo scandalo, ne parlarono i giornali italiani e stranieri accendendo ancora di più la curiosità del pubblico. A fine Esposizione, il premio assegnato da un referendum popolare andò a grande maggioranza proprio all'opera di Grosso, e questo risultato destò ulteriori polemiche. Una società acquistò il quadro per farlo conoscere negli Stati Uniti, dove era già arrivata la sua fama. Ma attraversando l'oceano, il Supremo convegno vide la fine della propria avventura, distrutto da un incendio. 27) Kipling, Rudyard: lettera autografa firmata di una pagina (17,5 x 11 cm.) su carta intestata, dell’autore inglese premio Nobel per la letteratura, le cui opere Il libro della Giungla, Capitani coraggiosi sono considerate dei classici nella storia della letteratura inglese: 3. 11. 1895. Kipling scrive all’editore del “The Nation” affinché gli consenta di pubblicare nelle colonne del suo giornale una protesta contro l’editore G. W. Dillingham’s di New York, che nel 1895 ha stampato un libro dal titolo Out of India, presumibilmente opera di Kipling, spacciandolo come un nuovo libro dell’autore inglese, mentre di altro non si trattava se non della raccolta di vecchi articoli di Kipling con l’aggiunta di cose nuove scritte da qualche ignoto. Leggero taglio in orizzontale della carta in prossimità della piegatura. Euro 600 (...) Will you permit me, through the medium of your columns, to warn against a book called Out of India recently published by a New York firm. It is put forward innocently as a new book by Rudyrad Kipling. It is made up of a book of old newspaper articles written nine or ten years ago to wich are added moral reflections by some unknown hand. It apperas, of course, without my knowledge or sanction: is a common take and I must disclaim all connection whit it (...) 28) Kruger, Paul: biglietto da visita (6,5 x 10 cm.) con una riga autografa siglata: Hommage. Euro 100 Chiamato anche Oom Paul (afrikaans per "Zio Paul"), Kruger fu un leader della resistenza boera contro il governo britannico del Sudafrica, e presidente della Repubblica del Transvaal. Dopo la scoperta dell'oro nel Transvaal, le brame imperialistiche degli inglesi vennero improvvisamente moltiplicate. Dimostrando una notevole lucidità politica, Kruger anticipò gli eventi dichiarando che anziché gioire per il ritrovamento di oro, i boeri del Transvaal avrebbero dovuto piangere perché questo porterà la nostra terra a inzupparsi di sangue. Da Paul Kruger prende il nome il celebre Parco Kruger, il principale parco nazionale faunistico sudafricano. 29) Kubelik, Jan: ciatazione musicale autografa firmata e datata: 18. 11. 1911. Una battuta su pentagramma: 13 x 17,5 cm. Al retro del foglio pensiero autografo firmato e datato di Isidoro Del Lungo: Pensare con affetto al passato, è riviverlo nelle sue gioie e ne’ suoi dolori. Perciò un libro di memorie è un fiore disseccato, le cui foglie, perduto il colore, conservano la fragranza: Firenze, 31 maggio 1910. Euro 230 Musicista ceco (Praga 1880 - 1940). Studiò al conservatorio di Praga con K. Weber, F. Ondříček e O. Ševčík; concertista di violino ovunque acclamato per il suo virtuosismo eccezionale, compose anche musica interessante sotto l'aspetto tecnico, specialmente per il suo strumento. 30) Leoncavallo, Ruggero: citazione musicale autografa firmata e datata (15,5 x 24,5 cm.). 4 battute con musica e testo su pentagramma in tempo Sostenuto, tratte dal II atto dell’opera Rolando di Berlino. Dedica autografa firmata di Leoncavallo alla contessa Rosa di San Marco: Torino, 5 luglio 1912. Euro 700 Der Roland von Berlin è un'opera lirica in quattro atti di Ruggero Leoncavallo. L'opera fu commissionata al compositore dall'imperatore Guglielmo II. Il testo del libretto, ispirato al romanzo di Willibald Alexis, fu scritto in italiano dallo stesso Leoncavallo, e tradotto in tedesco da Georg Droescher, per la prima rappresentazione a Berlino. La prima rappresentazione italiana avvenne a Napoli, il 19 gennaio 1905, al Teatro San Carlo, con il titolo italiano Rolando. 31) Leoncavallo, Ruggero: fotografia originale in formato cartolina (9 x 14 cm). Gelatina ai sali d’argento in stampa vintage con al retro dati del fotografo Tempestini di Montecatini. Sull’emulsione fotografica firma autografa di Leoncavallo. Senza data ma probabilmente del 1915. Al retro sei righe autografe firmate di Leoncavallo, indirizzate alla contessa San Marco. Euro 290 (...) Accolga signora Contessa i miei rispettosi saluti e questa ultima cartolina non essendo meglio qui dell’autore di Reginetta delle rose (...) La Reginetta delle Rose è un’operetta in tre atti che andò in scena per la prima volta al teatro Reinach di Parma nel 1914, tratta dal lavoro teatrale di Giovacchino Forzano; conobbe anche una versione cinematografica prodotta nel 1914 dalla Musicals-Films. Il film muto usci nelle sale cinematografiche italiane nel gennaio 1915; venne distribuito nel 1916 anche negli USA. Fu il primo e unico film girato dai tre protagonisti, Ester Soarez, Luigi Hornac e il basso Ruggero Galli. Il film viene considerato perduto. 32) Leopardi, Giacomo: manoscritto autografo di una pagina, non firmato (9 x 7 cm). Commovente cimelio del giovanissimo Leopardi che redige la scheda bibliografica di uno dei libri della biblioteca del padre: Nicolosi Giovan Battista: Teorica del globo terrestre. Volume in 12. Roma, 1642. V h 14. Il manoscritto è senza data, ma probabilmente antecedente al 1812, quando Leopardi aiutava il padre a schedare i libri per poter aprire la biblioteca ai suoi concittadini. In basso dichiarazione di autenticità di un lontano parente del poeta, datata 17 agosto 1922. Euro 1.900 La biblioteca Leopardi si deve all’opera del conte Monaldo, padre del poeta, che fin dall’adolescenza iniziò a raccogliere libri riuscendo a costruire un patrimonio librario eccezionale per l’epoca. Giacomo studiò qui insieme ai fratelli Carlo e Paolina; la biblioteca era il centro attorno al quale si realizzava la vita di buona parte della famiglia, una sorta di incessante ed inevitabile conquista dello studio sopra ogni attività personale. Composta di circa 20000 volumi, nel 1812 fu aperta a tutti i cittadini recanatesi. Leopardi vi passò la maggior parte della sua adolescenza, da quando, a 10 anni, si liberò dei suoi precettori, iniziando a studiare da solo, fino al 1822, quando lasciò Recanati per andare a Roma. 33) (Beato) Longo, Bartolo: lungo pensiero autografo firmato di una pagina (21 x 13,5 cm) su carta intestata: 12 aprile 1922. (...) Sotto le meraviglie della natura si incontra Dio, come Luce che ascende; sotto la figura del povero si incontra Dio, come amore che discende. Il primo incontro è più glorioso; il secondo più soave. Si esce dal primo irradiati di Fede; dal secondo infiammati di carità! (...) Euro 290 Longo è stato fondatore e benefattore del Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, luogo in cui sono avvenuti numerose grazie e miracoli. Intorno alla chiesa, Longo diede forma alla nuova città, con le case per gli operai (primo esempio di edilizia sociale), il telegrafo, un piccolo ospedale. Longo intuì che la nascente città avrebbe avuto una forte vocazione turistica sia per l'interesse archeologico verso gli Scavi dell'antica Pompei, sia per il sempre maggiore interesse religioso, che portava ormai migliaia di pellegrini presso la Basilica. Si adoperò pertanto affinché nella città sorgessero farmacie, luoghi di ristoro ed accoglienza per i visitatori, nonché una stazione ferroviaria con annessa piazza antistante (per le quali offrì il suolo), un ufficio postale, nuove strade e tutto quanto potesse rendere la città più bella e funzionale. Longo trasformò quindi una valle desolata, in penoso stato di abbandono e degrado, in una moderna e bella città a forte vocazione turistica, dotata di tutti i confort e servizi. Nel 1884 fondò il periodico “Il Rosario e la Nuova Pompei”, tuttora stampato e diffuso in tutto il mondo. L'opera del Longo ha avuto il suo solenne riconoscimento con la Beatificazione da parte di Giovanni Paolo II, avvenuta il 26 ottobre 1980. Negli ultimi suoi anni di vita Longo profetizzò: "Un giorno da quella loggia si affaccerà un uomo vestito di bianco e benedirà le genti convenute a Pompei". Dopo 53 anni questo suo desiderio si concretizzò: Giovanni Paolo II giunse a Pompei per affidare alla Madonna del Rosario il suo Pontificato. Lo stretto rapporto della città mariana con i pontefici si è consolidato ulteriormente il 19 ottobre 2008, quando Benedetto XVI si è recato al Santuario di Pompei e ha sostato in preghiera dinanzi le spoglie del Beato. 34) Malaparte, Curzio: lettera dattiloscritta firmata di una pagina (29 x 21,5 cm) indirizzata a Herbert Van Leisen, datata 28 marzo 1928. La lettera è su carta intestata Istituto Nazionale Fascista di Cultura, ente preposto alla diffusione della dottrina fascista e della cultura italiana, in cui Malaparte ricopriva il ruolo di segretario per i rapporti intellettuali con l’estero. Van Leisen aveva da poco scritto un libro intitolato Explication du Fascisme e Malaparte lo invita in Italia ad assistere ad alcune rappresentazioni classiche, con lo scopo di magnificare l’organizzazione culturale fascista. (...) La prego di spedirmi al più presto una nota di personalità francesi che potrebbero essere invitati da noi a venire in Italia per le prossime rappresentazioni classiche di Siracusa. Per esempio, oltre Lei e qualche amico, si potrebbero invitare i direttori e i redattori capo della NOUVELLES LITTERAIRES, di COMOEDIA, di CANDIDE etc. (...) Euro 280 35) Mambor, Renato: Mambor, Roma, Stuen (senza data, ma 1975 circa), 24,5 x 17,5 cm. Brossura editoriale; pp. 20, di cui 12 interamente illustrate con fotografie in bianco e nero e un testo di Renato Mambor. Libro d’artista. Edizione originale. Euro 90 36) Mancinelli, Luigi: citazione musicale autografa firmata: musica e testo. Due battute in tempo Lento tratte dall’opera Paolo e Francesca, una delle più note del direttore e compositore umbro: Quali colombe dal disio chiamate. Mezza pagina (12 x 17 cm.) datata torino 1911. Euro 250 Paolo e Francesca, è un’opera in 1 atto su libretto di Arturo Colautti. La prima rappresentazione avvenne a Bologna, Teatro Comunale, 11 novembre 1907 con Giuseppe Pacini. Luigi Mancinelli (Orvieto, 5 febbraio 1848 – Roma, 2 febbraio 1921) è stato un direttore d'orchestra, compositore e violoncellista italiano. Fu uno dei primi grandi direttori d'orchestra italiani, attivo in Italia (in particolare a Bologna e Roma) e all'estero (Madrid, Londra, New York, Buenos Aires). Debuttò nel 1874 a Perugia con Aida e in seguito si dedicò molto, oltre che all'opera italiana, alla musica sinfonica tedesca e al teatro musicale wagneriano. Nel 1886 la sua Isora di Provenza ha la prima al Teatro San Carlo di Napoli e nel 1891 dirige Manon (Massenet) con Sybil Sanderson al Covent Garden di Londra. Nel 1892 cura la revisione della seconda versione di Edgar per la prima al Teatro Comunale di Ferrara e la dirige al Teatro Real di Madrid con Francesco Tamagno. Nel 1893 debutta al Metropolitan Opera House di New York dirigendo nella serata di apertura Faust. Nello stesso anno dirige Lohengrin, Lucia di Lammermoor, Romeo e Giulietta (Gounod), Pagliacci, Orfeo ed Euridice (Gluck), Carmen e Don Giovanni (opera) e nel 1894 Die Meistersinger von Nürnberg, Semiramide (Rossini), Tannhäuser, Cavalleria rusticana, L'Africaine, Werther, Guglielmo Tell, Otello (Verdi). Nel 1898 la sua Ero e Leandro ebbe la prima al Teatro Regio di Torino diretta da Arturo Toscanini. 37) Mantegazza, Paolo: pensiero autografo (8 x 11 cm) firmato e datato 7 luglio 1907, dedicato alla contessa Rosa di San Marco. Medico fisiologo e neurologo, antropologo darwiniano, Paolo Mantegazza fu un instancabile organizzatore e divulgatore di cultura. Con il romanzo L'anno 3000: sogno (1897) è anche considerato uno dei precursori ottocenteschi della fantascienza italiana. Euro 70 (...) Nelle tasche di ogni uomo stanno sempre, benchè invisibili, un rimpianto e una speranza (...) 38) Mascagni, Pietro: Sciogli i capelli! Citazione musicale autografa firmata dal secondo atto della Iris: sciogli i capelli. Due battute su pentagramma autografo con parole e musica scritte al retro del menù (11 x 17 cm.) offerto domenica 25 settembre 1898 ai membri del Congresso internazionale di Lettere ed Arti di Torino. Un leggera macchia di ruggine sul cartone, al cui retro vi sono evidenti tracce di colla. Senza data ma 1898. Euro 300 Iris è un'opera di Pietro Mascagni su libretto di Luigi Illica. Opera simbolista, e non verista come gran parte dei precedenti lavori di Mascagni, è famosa per il coro iniziale Inno del sole, che fu l'inno ufficiale delle Olimpiadi di Roma del 1960. Lanciò in Italia la moda dell'esotismo nippofilo, ripresa con maggior successo da Giacomo Puccini in Madama Butterfly. Venne rappresentata in prima assoluta al Teatro Costanzi di Roma nel 1898. Nel rifiuto di logicità e profondità a favore di una sensazione d'esotismo, Mascagni si rende innovatore e riesce a comporre un musica che sola sostiene tutto il lavoro nella sua complessità (come nel noto Inno al sole). Iris si rivela una pagina autenticamente mascagnana proprio per la bellezza e l’empito dell’invenzione melodica e per la ricchezza dei particolari strumentali. 39) Massenet, Jules: citazione musicale autografa firmata e datata (13 x 17,5 cm.). 3 battute su pentagramma in tempo Lento tratte dall’opera Ariane: in basso la data Teatro Regio 19 dicembre 1907. Euro 300 Ariane è un’opera lirica in cinque atti di Jules Massenet su libretto di Catulle Mendès ispirata alla mitologia greca (la storia di Arianna). E 'stata eseguita la prima volta al Palais Garnier di Parigi, il 31 ottobre 1906, con Lucienne Bréval nel ruolo di Arianna. Musicista assai fertile, Massenet ebbe il dono di un raffinato talento per la melodia drammatica, esprimendo un lirismo puro, senza alcuna concessione alla retorica romantica, che sostenne sempre con un'architettura armonica ed un'orchestrazione di grande fascino e, al contempo, di grande rigore. Fu maestro e ispiratore di molti musicisti del primo novecento, fra cui Gustave Charpentier, Gabriel Fauré ed altri, nonché, a parere di alcuni, Giacomo Puccini. 40) (Santo) Murialdo, Leonardo: parte di lettera autografa firmata (8,5 x 13,5 cm) probabilmente indirizzata alla contessa Rosa di San Marco: (...) E’ una semplice idea di quanto in sostanza si desidererebbe venisse espresso, ma con quelle forme più scelte, nobili, letterarie, soprattutto efficaci, che sono privilegio della penna di cui il Datore di ogni bene, regalò la S.V. Gentilissima. Gradisca le anticipate espressioni della viva nostra riconoscenza (...) Euro 80 Sacerdote torinese, Murialdo fu proclamato beato da Papa Paolo VI nel 1963 e Santo il 3 maggio 1970. Da sacerdote il suo primo campo di azione furono gli oratori, in collaborazione con San Giovanni Bosco, e le iniziative in favore della gioventù della periferia torinese: carcerati, giovani lavoratori, ragazzi di strada e altri giovani in difficoltà. Nel 1866 divenne rettore del Collegio Artigianelli di Torino, un'istituzione religiosa per l'assistenza di ragazzi poveri ed abbandonati. Nel 1873 fondò la Congregazione di San Giuseppe per dare continuità alla sua azione sociale e caritativa. Collaborò a molte iniziative in campo sociale in difesa dei giovani, degli operai e dei più poveri. Si impegnò per i disoccupati, per le donne e i ragazzi che lavoravano in fabbrica, organizzando l’Unione degli Operai Cattolici (1871) di cui fu poi assistente ecclesiastico. Nello stesso anno fu tra i promotori delle biblioteche popolari cattoliche. Fondò l’Associazione della Buona Stampa e nel 1876 fu tra gli ideatori, con il Venerabile Paolo Pio Perazzo, del giornale “La Voce dell’Operaio”, che oggi è il settimanale diocesano “La Voce del Popolo”. Infaticabile, partecipò a molti congressi e alcune sue iniziative furono le prime, nel loro genere, in Italia. Promosse un Ufficio di Collocamento cattolico (1876) e inaugurò una Casa-Famiglia per operai (1878). Fondò una Cassa di Mutuo soccorso (1879), un dopolavoro (1878), l'Opera dei Catechismi serali per giovani operai (1880), la Lega del Lavoro (1899). Per estrazione sociale e per preparazione avrebbe potuto intraprendere una carriera ecclesiastica invidiabile, ma preferì aiutare i poveri, incarnando perfettamente lo spirito della “Rerum novarum” di Papa Leone XIII. 41) Mussolini, Benito: pensiero autografo firmato (21 x 16,5 cm) dedicato alla contessa Rosa di San Marco: Ottobre 1923. (...) Sarebbe ora di mutare la moda degli album. Tanto per cambiare Euro 500 Mussolini fondò il Partito Nazionale Fascista nel 1921, e si presentò al Paese con un programma politico nazionalista e radicale. Un anno dopo, con l'aiuto di atti di squadrismo e d'intimidazione politica che culminarono il 28 ottobre 1922 con la Marcia su Roma, Mussolini ottenne l'incarico di costituire il Governo. Dopo il contestato successo alle elezioni politiche del 1924, instaurò nel gennaio 1925 la dittatura. Negli anni successivi consolidò il regime, affermando la supremazia del potere esecutivo, trasformando il sistema amministrativo e inquadrando le masse nelle organizzazioni di partito. 42) Nin, Anais: lettera autografa firmata di una pagina (10,5 x 15,5 cm.) indirizzata a Hilda Lindley, publicity director della scrittrice, presso Harcourt, Brace. Nei suoi Diari Anais Nin parla diffusamente dell’amica Hilda, definendola una donna intelligente ed elegante, con la quale tuttavia si è sempre trovata in disaccordo su come spendere i soldi per la pubblicità. Senza data, ma 1968. Indirizzo autografo al retro e francobolli con annullo postale. Euro 250 (...) Dear Hilda. First I must give you my new address. 4255 W. 5 Los Angeles 90005. San Francisco delayed by Gipsy Rose Lee (...) I will be June 13 any way to sign books at a Berkely store, make two tapes and see Lectures bureau. Thanks for the Village Voice. I’am sure it will be some good. I received a thesis from a Columbia University student on novel and Diary interrelated. It will be published. And many letters on Camera 3. UCLA is planning 3 readings for the Fall. Please ask Mimi if 6 Diaries were sent to Daisy Aldan (...) for her students who can’t pay full price (...) Anaïs Nin (1903 – 1977), scrittrice statunitense, è considerata una delle più controverse autrici del Novecento: donna affascinante, cosmopolita e dall'eleganza oriental-mitteleuropea, è cresciuta tra l'Europa e New York, destando scalpore nell'ambiente letterario con la pubblicazione dei suoi racconti a contenuto erotico. La sua opera maggiormente conosciuta è probabilmente il Diario, una raccolta di scritti autobiografici iniziata nel 1931 (e aggiornata fino alla morte), che è stata pubblicata a partire dal 1966. Sui Diari è stato basato il film del 1990 Henry & June che racconta della relazione di Nin con lo scrittore Henry Miller e la moglie di questi, June Mansfield. In virtù dei suoi lavori, lo stile compositivo di Nin viene annoverato fra i maggiori contributi alla letteratura erotica, con scritti - redatti con stile da vera e propria grafòmane - dalle cui pagine emerge l'enorme passione per la scrittura che ha coltivato fin dalla più giovane età. 43) Papa Leone XIII, al secolo Vincenzo Gioachino Pecci: lettera autografa firmata di una pagina (21 x 13,5 cm) datata 28 aprile 1869. Leone XIII, allora cardinale a Perugia, scrive al fratello sollecitando l’invio delle palle per giocare a biliardo, poiché quelle già ricevute erano di misura troppo piccola, e quindi adatte al gioco delle boccette. Leone XIII è noto per essere stato il primo Papa, dopo mille anni di Storia, a non esercitare il potere temporale, perché impedito dalla recente occupazione italiana, destinata a perdurare per un sessantennio; egli viene ricordato quale papa delle encicliche: ne scrisse ben 86, con lo scopo di superare l'isolamento nel quale la Santa Sede si era ritrovata dopo la perdita del potere temporale con l'unità d'Italia. Euro 300 (...) Ma realmente io desideravo le due palle grandi pel gioco del bigliardo. E vorrei così che queste ora mi procuraste senza dilazioni, avendo una propizia occasione per averle subito. Un pittore Perugino che nella entrante settimana sarà qui di ritorno si incaricherebbe di portarmele e ad oggetto di ritirarle si presenterebbe con un mio biglietto entro il prossimo lunedi 3 maggio. Avvisatemi poi del prezzo di queste e delle altre per il rimborso (...) 44) Perosi, Lorenzo: citazione musicale autografa firmata e datata. 3 battute su pentagramma (18 x 24 cm.) in data Torino, maggio 99. Euro 200 Nel 1898 il papa Leone XIII nomina Perosi "Direttore Perpetuo della Cappella Musicale Pontificia Sistina” ultimo coro delle voci bianche composto da cantori evirati. Perosi, ricopre questo ruolo fino alla morte, con il professore Antonio Comandini come "Direttore Pro Tempore". In contrasto con i cantori evirati, introduce nel coro fanciulli cantori, espellendone gli oramai esigui cantori evirati, affiancandoli ai falsettisti già facenti parte del coro. Nel 1898 compose la prima Passione Secondo S. Marco; altri oratori apparvero in rapida successione. La fama di Perosi in quest'epoca era inaudita, talché i critici coniarono il termine "Il Momento Perosiano". Oltre alla sua fama fra le masse, Perosi godeva del rispetto di tanti importanti compositori, inclusi Puccini, Mascagni, Boito, Massenet, Guilmant, anche Janáček. 45) Ponti, Gio: disegno autografo originale firmato (22 x 28cm) accompagnato da una dedica dattiloscritta a Irma Antonetto, direttrice della Associazione Culturale Italiana: (...) Gentile signorina Antonetto, l’arch. Ponti ha ricevuto la sua dell’11/1 con quanto in essa accluso e gentilmente la ringrazia (...) Sul foglio fori di archiviazione senza mancanze. Senza data, ma fine 1950. Euro 330 46) Pozzi, Tancredi: inchiostro nero su carta. Disegno originale firmato e datato 1899 in cui è rappresentata allegoricamente dallo scultore Tancredi Pozzi, l’Arte. Il disegno faceva parte della raccolta della contessa di San Marco. Euro 350 Scultore all’epoca assai illustre sul quale risulta non esistere un’opera monografica recente di grande rilievo o comunque completa; è sufficiente osservare le date anagrafiche (Milano, 1864 - Torino, 1924) per rendersi conto della temperie culturale in cui visse e si trovò ad operare in ruolo di protagonista, ad onta del silenzio attuale. A Torino Tancredi Pozzi frequentò l’Accademia Albertina, dove ebbe come maestro che particolarmente incise su di lui, Giuseppe Dini. E a Torino operò, in un’epoca in cui era necessario celebrare il Risorgimento e l’Unità. Eseguì bassorilievi, monumenti funebri, monumenti celebrativi. All’Egizio di Torino nel 1884 egli presentò il bozzetto realistico Sarà temporale? Nel 1887 partecipò alla Esposizione Nazionale di Venezia. A questo realismo, che si ispira a momenti di vita popolana, paiono conformati il gesso Tafani molesti, esposti nel 1888 a Bologna, che rappresenta un cavallo inquieto tormentato dalle punture degli insetti, e un bronzetto equestre dal titolo Tancredi in love: la grande qualità esecutiva gli meritò un premio speciale del Re Umberto I. Predilesse Tancredi Pozzi - statue di vigorosi e animosi cavalli e cavalieri, tratte dall’epica e dalla mitologia e da poemi e romanzi cavallereschi che all’epoca vennero riletti in chiave eroica e che tanto successo avevano fra la committenza, anche per l’inarrivabile tecnica esecutiva dello scultore. Il monumento più noto, almeno a Torino, del Pozzi, è l’Umberto I, posto di fronte alla basilica di Superga: anche questo bronzo - di altissima fattura - è assai vicino al gusto espresso dalle feste in costume cui l’aristocrazia partecipava numerosa, e che varie pagine dei quotidiani all’occasione occupavano nei resoconti. L’inaugurazione del monumento cade nel 1902, anno di una grande Esposizione Universale in Torino, che costituisce una svolta nell’arte pura e applicata e nel costume. Probabilmente nell’ambito compreso fra la celebrazione di un eroismo ad un certo punto svuotato e tradotto in maniera e la rappresentazione di un’elegante e ricca società forse inconsapevole delle bufere che incombevano, la dimostrazione di un’abilità tecnica di altissimo livello che rende le sue sculture formalmente mirabili, si muove l’arte più significativa di Tancredi Pozzi, efficace espressione di un’epoca o meglio di una società che nella bufera incombente si teneva come aggrappata ad antiche glorie e ad un potere che sarebbe stato - anche in forme drammatiche o tragiche - ridimensionato almeno nell’espressione. Tancredi Pozzi morì a Torino nel 1924. 47) Puccini, Giacomo: citazione musicale autografa firmata e datata (15,5 x 17,5 cm.) tratta dall’opera Giacomo Schicchi. Una battuta su pentagramma, dedicata alla contessa Rosa di San Marco: Torino, 23. 1. 1920. Euro 1.900 Gianni Schicchi è un'opera in un atto di Giacomo Puccini, su libretto di Giovacchino Forzano basato su un episodio del Canto XXX dell'Inferno di Dante. Fa parte del Trittico. La prima assoluta ha avuto luogo il 14 dicembre 1918 al Metropolitan di New York. Del Trittico, Gianni Schicchi fu l'opera che godette subito del successo maggiore ed iniziò quindi ben presto ad avere vita autonoma, nonostante l'esplicita volontà di Puccini che le tre opere andassero sempre in scena assieme e mai in abbinamento con altri titoli. 48) Regahuquet: citazione autografa firmata (11,5 x 17,5) in lingua indigena d’America, senza data, ma risalente agli inizi del 1900. Sotto la firma, in italiano: Indiano di Stati Uniti. (...) Jesua Kiparpe ibe judaenak mine Kattep wab tak tehum (...). Euro 70 49) Ricordi, Giulio (Burgmenin, Jules): citazione musicale autografa firmata e datata (8 x 17,5 cm.). Cinque battute con musica e parole in tempo Andantino tratte dall’operetta La Secchia rapita: Torino 1 magio 1910. Cara Secchia quand’ero piccina dal mercato pà -pà la portò ... Autografo non comune. Euro 260 Jules Burgmein, all'apparenza un compositore franco-tedesco ma, in realtà, pseudonimo dello stesso Giulio Ricordi con cui ironicamente, ma esplicitamente, egli dichiara il suo pieno inserimento nel panorama culturale europeo mai disgiunto dalle profonde radici italiane e particolarmente milanesi: Burgmein significa, infatti, "il mio paese"! Propugnatore della melodia spiegata e del belcanto, Giulio Ricordi, come il padre Tito, era un buon pianista ed allo strumento ha dedicato una cospicua quantità di brani caratteristici che, come per il resto della sua musica, non permettono di delinearne una specifica autonoma individualità dimostrando, invece, l'eclettismo di un musicista curioso ed aperto a tutti i generi musicali, i livelli culturali, gli stili, e le musiche di altre nazioni ed attento a catturarne l'essenza con il gusto per la ricreazione stilistica a volte ironica a volte sincera. La Secchia rapita venne rappresentata per la prima volta a Torino, teatro Alfieri, il 1 marzo 1910 con tanto successo che poco dopo venne rappresentata anche a Roma. Fu proprio a causa della grande eco che ebbe quest’opera che si scoprì chi si nascondeva dietro lo pseudonimo di Burgmein che già aveva pubblicato con buon successo numerosi pezzi per pianoforte. 50) Saba, Umberto: Lettera autografa firmata di una pagina (17,5 x 22 cm.) su bella carta intestata della Libreria Antiquaria Umberto Saba: Trieste, 8 giugno 1929. Saba risponde al Signor Giuseppe Bonetti che ha richiesto dal catalogo del giugno 1929 alcuni volumi e dal quale, evidentemente, il poeta acquistava libri antichi: (...) Gentilissimo Signor Bonetti. Gli altri autori erano purtroppo già venduti. Mi faccia offerte, o spedizione, di buoni libri: buoni ed in bello stato; e gliene sarò riconoscente (...) Marca da bollo con annullo. In ottimo stato di conservazione. Rari gli autografi di Saba di questa epoca. Euro 300 Mi piacerebbe, adesso che sono vecchio, dipingere con tranquilla innocenza il mondo meraviglioso. E, fra le altre cose, la mia oscura bottega di Via San Nicolò 30 a Trieste; quella che, quando l’amava e passava volentieri fra le sue pareti le sue ore d’ozio, il mio amico Nello Stock chiamava, non senza qualche buona ragione, «la bottega dei miracoli». Passando una mattina del 1919 per Via San Nicolò, vidi, o notai per la prima volta, quell’antro oscuro. Pensai: «Se il mio destino fosse di passare là dentro la mia vita, quale tristezza». Era – senza che io ancora lo sapessi – un monito o un presagio. Pochi giorni dopo infatti l’acquistai dal suo vecchio proprietario, Giuseppe Maylàender. L’acquistai con l’intenzione di buttare nell’Adriatico tutti quei vecchi libri che conteneva, e rivenderla vuota a un prezzo maggiore. Ma dopo pochi giorni, non ebbi più il coraggio di attuare il primo progetto; quei vecchi libri – nessuno dei quali m’interessava per il contenuto – mi avevano incantato. Cercavo anche una sistemazione per la mia vita. L’attività della «Libreria Antica e Moderna» ebbe inizio il 1 ottobre 1919 e consentì a Saba di raggiungere una modesta ma decorosa indipendenza economica che gli permise di dedicarsi alla poesia. La bottega di via San Nicolò rappresentò inoltre un particolare osservatorio per il poeta, perché numerosi erano i clienti che frequentavano la libreria, che divenne nel corso degli anni luogo di ritrovo per scrittori e artisti. Tra gli altri, Italo Svevo, a cui piaceva passare quasi tutte le sere e raccontare, una volta ottenuto un tardivo successo per i suoi romanzi, i ricordi delle sue imprese commerciali. 51) (Beato) Scalabrini, Giovanni Battista: biglietto da visita (7 x 11 cm) con stemma vescovile di Giovanni Battista Scalambrini, vescovo di Piacenza, sul quale c’è una riga autografa: congratulazioni, ringraziamento, ossequii. Euro 90 Scalabrini è stato fondatore delle congregazioni dei missionari e delle suore di san Carlo Borromeo (scalabriniani) per la cura degli emigrati italiani. Grazie alla sua iniziativa è nata nel 1891 a New York la Italian St. Raphael Society, la prima e principale organizzazione cattolica per gli immigranti italiani negli Stati Uniti. Nel 1905, a pochi mesi dalla morte, propose alla Santa Sede la costituzione di una Commissione centrale per tutti gli emigrati cattolici che può essere considerata come il precursore dell'attuale Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti. È stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo II il 9 novembre 1997. 52) (Servo di Dio) Semeria, Giovanni: pensiero autografo firmato di una pagina (24 x 17,5 cm), dedicato alla contessa Rosa di San Marco: 10 aprile 1901. Al retro del foglio, alcuni versi datati 1922 del missionario Cipriano Silvestri. Euro 200 (...) In un album dove sono tanti autografi di uomini grandi non starà male quello di un uomo piccolo, come in un quadro accanto alla luce viva non stanno male le ombre discrete. Per le ombre, se avessero coscienza di sè, sarebbe conforto trovarsi vicino alla luce; a me è conforto trovarmi invitato da una buona e colta signora in già bella compagnia (...) Semeria, noto a tutti come Frà Goldino, fu un frate barnabita, accusato dalla chiesa di essere troppo modernista e considerato eretico perché favorevole all’incontro tra chiesa e scienza; la sua figura sarà riabilitata solo dopo la morte. Non c'è dissidio tra la Chiesa e la scienza, afferma Semeria, ci può essere tutt'al più un malinteso. Ne consegue quindi, secondo il suo pensiero, che la Chiesa non ha nulla da temere e moltissimo da guadagnare di fronte al confermarsi di uno spirito veramente scientifico e moderno. Semeria fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana; non per questo mancò, più volte, di esclamare Non ho molta fede nei partiti: spero molto da una infusione larga, da un ravvivamento sincero, dello spirito cristiano in tutti e in ciascuno. Sentì necessaria, infatti, un'esigenza fondamentalmente apolitica, super partes, di sincera azione cristiana, che si riproponesse di riformare la cultura dall'interno, piuttosto che sprecare utili energie nel tentativo di disegnare futili e pericolose riforme esteriori; per questo collaborò anche con il Padre Agostino Gemelli alla fondazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, seguendone le sorti, sin dagli inizi, difficili ed incerti. Nel 1984 viene nominato Servo di Dio, attributo riservato alle persone per le quali è in corso un processo canonico di beatificazione. 53) Spillane, Mickey: fotografia originale a colori (13 x 9 cm.) nella quale è ritratto a figura intera lo scrittore americano. In alto, sull’emulsione, dedica autografa firmata: Hi. Great to say hello! ... Ben conservata. Senza data ma anni Ottanta. Euro 100 Frank Michael Morrison Spillane, conosciuto con lo pseudonimo di Mickey Spillane (New York, 9 marzo 1918 – Murrells Inlet, 17 luglio 2006), scrittore e sceneggiatore statunitense, è considerato uno dei padri, assieme a Dashiell Hammett e Raymond Chandler, del genere hard-boiled. Il suo personaggio più conosciuto, protagonista di molte avventure seriali, è stato l'investigatore privato Mike Hammer. Un altro personaggio di suoi racconti, sia pure di minore successo, fu Tiger Mann. L'autorevole organizzazione dei Mystery Writers of America lo insignì nel 1995 del titolo di Gran Maestro. Molti dei suoi romanzi ebbero vita proprio fuori dalle pagine del libro, per essere o portati sullo schermo del cinema, oppure letti alla radio o ridotti per la televisione o, infine, da lui sceneggiati per serie a fumetti. 54) Superstudio: Un viaggio nelle regioni della ragione. Serigrafia originale (70 x 80 cm.) senza data ma stampata nel 1971, tirata in 500 esemplari. Timbro a tampone blu Superstudio nel margine bianco basso a destra, e monogramma Natalini a matita. In ottimo stato di conservazione. Euro 1.100 Superstudio nasce a Firenze nel 1966 come studio di architettura grazie a Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia. Il manifesto esposto nella prima mostra afferma: La Superarchitettura è l’architettura della superproduzione, del superconsumo, della superinduzione al consumo, del supermarket, del superman, della benzina super. La Superarchitettura accetta la logica della produzione e del consumo, operando su di essa un azione di demistificazione. L'architettura viene vista come uno strumento per cambiare il mondo e la società in pieno stile avanguardistico. L'architettura radicale in particolare, di cui i Superstudio fanno parte, considera come primo elemento essenziale per il cambiamento la complessità e intravede nella molteplicità dei linguaggi un fattore positivo. Sono stabilite le tre categorie di ricerca base: l'architettura dei monumenti, l'architettura delle immagini e l'architettura tecnomorfa. Da questo punto di partenza Superstudio elabora i lavori di architettura concettuale e i vari progetti che racchiudono tutti questi ambiti vengono raccolti nel primo catalogo Un viaggio nelle regioni della ragione. Con la mostra Superarchitettura, si inaugura l'attività sperimentale che continua negli anni successivi e incrocia trasversalmente design, video e progetti utopici. Il lavoro dei Superstudio deriva da un'esperienza movimentista, un lavoro in una specie di terra di nessuno, che era quella che si stendeva tra l'arte e il design, tra la politica e l'utopia, tra la filosofia e l'antropologia, era un tentativo di critica radicale e da qui forse il nome di architettura radicale, di critica radicale alla società, intesa non tanto e così semplicemente come società dei consumi, ma come tutto il contesto nel quale ci troviamo a lavorare. La prima strategia che attua Superstudio è quella chiamata "Design d'invenzione e design d'evasione", attraverso la quale prende piede una profonda critica dell'eredità funzionalista: il Superdesign riutilizza le tecniche compositive Dada e applica il nomadismo culturale attraverso la commistione disciplinare, privilegiando l’ambiguità invece della unità linguistica. Allo stile componibile e flessibile tipico del design degli anni '60, Superstudio contrappone oggetti solidi e immobili, in qualche modo aggressivi nella loro presenza. Intorno alla fine degli anni 60 si arriva alla conclusione che in ogni caso tutta la produzione si basa su un mondo tutto consumo e la volontà di distaccarsi da questo tipo di design porta alla creazione del catalogo Istogrammi d'architettura dove la natura viene raffigurata serena e immobile e l'uomo finalmente si può riconoscere in essa. Con Monumento Continuo Superstudio utilizza l'architettura come mezzo critico che la porta a fondersi insieme alla natura in un unico progetto, si attua quindi un percorso di ibridazione che ricongiunge l'uomo in uno stato di armonia e di equilibrio con l'ambiente circostante. L'architettura diventa quindi un'opera aperta contraddistinta da un approccio ambiguo e dalla non soluzione, un work in progress in costante tensione per la molteplicità delle possibili letture. 55) Thayath (Ernesto Michahelles): Velocità. Studio per scultura. Matita su carta con titolo autografo e timbro a tampone in basso a destra (30 x 23,5 cm.). Senza data, ma anni Trenta. Autentica su fotografia di Sandro Michahelles, erede di Ernesto Michahelles. Ben conservato. Euro 900 56) Tondelli, Pier Vittorio: 3 lettere manoscritte, due delle quali su carta intestata, indirizzate nel 1987 a Irma Antonetto, direttrice della Associazione Culturale Italiana, a proposito di una conferenza che lo scrittore avrebbe dovuto tenere presso l’Associazione sul progetto “under 25”, teso a scoprire giovani scrittori di cui lo stesso Tondelli sceglieva i testi e scriveva la presentazione ai racconti: (...) Considero una parte importante del mio lavoro di scrittore fornire ai ragazzi uno strumento valido per pubblicare e per farsi leggere ... Questa attività fa parte del mio lavoro di scrittore (...). Euro 350 1) Lettera autografa di una pagina su carta intestata (17 x 10,5 cm) datata 8 agosto (1987). Fori di archiviazione che intaccano una lettera della data. (...) Mi scusi la carta del mio “profilo”. C’è tanta confusione qui. Corro comunque alle poste. Tornerò il 3 settembre prossimo. La prego di conservarmi la fotografia! E’ unica (...) In attesa dei dettagli del viaggio la saluto cordialmente (...) 2) Lettera autografa di una pagina su carta intestata (17 x 10,5) datata 9 novembre 1987. Fori di archiviazione senza mancanze. (...) Eccole un breve elenco di persone che gradirei venissero invitate. 3) Lettera autografa firmata di una pagina (21 x 17 cm) datata 4 dicembre 1987. Fori di archiviazione lontani dal testo (...) Eccomi ritornato a Milano, stanchissimo, frastornato ma soddisfatto per il lavoro svolto. Inutile dirle i disagi dei miei spostamenti. Alla fine sono sempre riuscito ad arrivare puntuale. Le invio i biglietti giustificativi delle spese sostenute incluso quello dell’Hotel Mediterraneo dove, come vedrà, ho pagato le mie telefonate a Torino e a Bari... E qualche drink (...) 57) Vivanti, Annie: poesia autografa firmata e datata su una pagina (25 x 17,5 cm), indirizzata alla contessa San Marco: 10 maggio 1910. (...) Quando una bimba suona / il violino si fermano le stelle ad ascoltare / Quando una bimba suona il violino / anche la dolce Vergine Maria per ascoltare sosta nel cammino coi bianchi piedi nella lattea via. Quando una bimba suona il violino / vengon le fate a farle cerchi intorno, / volan gli augelli a mettersi vicino, s’apron i fiori, e dicon: buongiorno ... Nella pagina a fianco alla poesia della Vivanti, c’è una fotografia originale in formato cartolina (10 x 15 cm), che ritrae a figura intera Vivien Chartres, nota violinista, figlia della Vivanti. Gelatina ai sali d’argento in stampa vintage, al di sotto della quale c’è una dedica autografa firmata in lingua tedesca di Vivien. Le due pagine sono legate assieme. Euro 300 Annie Vivanti: «La giovane poetessa amata dal vecchio Giosué Carducci». La Vivanti è stata una celebre e celebrata scrittrice e giornalista; Matilde Serao aveva coniato un termine sarcastico per definire le sue epigone, autrici di romanzi di consumo: le “vivantine”. Nata in Gran Bretagna, Annie si stabilì definitivamente in Italia: la nostra causa nazionale era un suo cavallo di battaglia. Non fece i conti però con il fascismo: nel 1941 fu colpita da un provvedimento di domicilio coatto ad Arezzo, poiché era cittadina britannica. Fu uno scandalo, che scosse l’opinione pubblica: Mussolini dovette intervenire. Tornata libera, rientrò a Torino, dove abitava. Ma non stava già bene e le sue condizioni si aggravarono. Quando seppe della morte dell’amatissima figlia Vivien, un talento del violino, suicidatasi a Brighton nell’autunno 1941 a 48 anni, la situazione precipitò. Annie morì il 20 febbraio 1942. 58) Woodrow Wilson, Thomas: firma autografa del presidente degli Stati Uniti d’America su biglietto intestato (7 x 9 cm) con lo stemma in rilievo in oro della Casa Bianca, accompagnato da lettera dattiloscritta (19 x 12,5 cm) sulla medesima carta intestata con lo stemma presidenziale in rilievo, simboleggiante un’aquila, nella quale il segretario personale del presidente risponde alla richiesta della contessa San Marco di un autografo. Datato 1919. Euro 300 Wilson è stato il 28º presidente degli Stati Uniti (in carica dal 1913 al 1921), mentre in precedenza fu governatore dello stato del New Jersey. Fu anche uomo accademico, ricoprendo la carica di presidente dell'Università di Princeton. Divenne il secondo presidente degli Stati Uniti del Partito Democratico, dopo Andrew Jackson, a essere rieletto per un secondo mandato. Nel 1919 gli venne assegnato il Premio Nobel per la pace. Contessa Rosa di San Marco nasce nel 1866 con il nome di Celeste Fornelli De La Beurthe De Barail acquisendo il titolo di contessa dopo il matrimonio nel 1892 con il conte Vincenzo Rosa di San Marco, nato a Roma, colonnello del Regio Esercito in servizio alla Direzione Generale d’Artiglieria di Torino. Dalla loro unione nascono fra il 1893 ed il 1900 cinque figli. Con il marito ben introdotto nella casa reale la giovane contessa ha l’onore di ricevere la nomina a dama di corte della Regina Margherita. Di profonda fede religiosa e patriottica, promuove, sostiene e partecipa attivamente a varie istituzioni culturali, benefiche e cattoliche. Novelliera e scrittrice di attualità cura quotidiane rubriche sui giornali cattolici “L’Italia Reale” ed il “Corriere Nazionale”. Già nel giugno 1915 e per tutto il periodo della guerra, pubblica numerosi libretti a tema religioso “Con Dio per la Patria”, nei quali sono inserite diverse preghiere per i soldati da lei ideate. Fra le notizie che rivelano la sua personalità emerge che nel 1928 rimasta vedova, assume la reggenza del Consolato della Repubblica di San Marino a Torino retto fin dal 1920 dal marito, ed in questo periodo compaiono anche numerosi suoi articoli sul giornale “Il Popolo Sammarinese” dedicati alla moralità e patriottismo. La sua attiva vita pubblica si attenua solo negli ultimi anni e muore serenamente a Torino il 12 ottobre 1933 nella sua casa in Via Sagliano 4 che è anche sede del Consolato. Ai funerali sono presenti numerose personalità del mondo aristocratico, cattolico, giornalistico ed è sepolta accanto al marito nella tomba di famiglia nel cimitero monumentale.