STORIA DELLA MUSICA (ISTITUZIONALE) PROF. ROSA CAFIERO A.A. 2013-14 Università Cattolica del Sacro Cuore - Facoltà di Lettere e Filosofia e di Scienze della formazione Introduzione Il corso di Storia della musica è tenuto dalla professoressa Rosa Cafiero per gli studenti della facoltà di Lettere e filosofia e di Scienze della formazione, ma è mutuabile anche per le altre facoltà che hanno un proprio professore di storia della musica, come scienze linguistiche, psicologia, sociologia e tutte le interfacoltà, previo accordo con il docente. Il corso è un unico istituzionale da 6 crediti, tenuto nel secondo semestre, che spiega i lineamenti generali, per generi, autori e movimenti, della musica colta moderna e contemporanea, uguale di anno in anno. A lezione la professoressa commenta in modo arguto ed interessante alcuni momenti significativi della musica ed a ciò accompagna l’ascolto di brani musicali, disponibili su Blackboard, quindi è molto utile frequentare, tuttavia né gli appunti delle lezioni né il commento dei brani è necessario all’esame. La bibliografia richiesta all’esame si esaurisce infatti nel manuale M. Carrozzo – C. Cimagalli, Storia della musica occidentale, nei volumi 2 (musica moderna) e 3 (musica contemporanea), ma di questi tomi va fatta soltanto la prima parte di ogni capitolo, intitolata ‘storia di…’, e non la seconda, intitolata ‘approfondimento’. Il materiale che qui si trova riassume in modo puntale e preciso tutti i capitoli dei sovrastanti due volumi del M. Carrozzo – C. Cimagalli, che è tutto ciò che va saputo all’esame. Il colloquio è molto semplice e la professoressa mette subito a proprio agio. La mole di lavoro sembra cospicua, ma in realtà la prof non chiede mai la biografia degli autori, lunga ed inutile, bensì sempre la loro poetica oppure le loro opere molto famose che segnano inizio, evoluzione e fine del loro modo di concepire la musica: per correttezza, dato che sono presenti nel libro che qui si riassume, sono riportare nel riassunto anche la biografia e le opere di ogni autore, ma in realtà non vanno studiate, basta semplicemente saper inquadrare l’autore nel proprio secolo, nazionalità e movimento artistico. Le domande-tipo sono presenti sulla pagina Blackboard della prof, cui è necessario iscriversi per poter accedere all’esame: va dunque fatto subito. Inoltre, la prof tende molto a fare domande che esulano dal libro e si avvicinano alla materia di studio del candidato (ad uno di beni culturali chiede interferenze tra pittura ed arte, ad uno del percorso teatrale chiede attori e teatro lirico, ad un filologo la filologia della musica, ad uno psicologo la psicologia e quant’altro), ma non c’è da preoccuparsi: basta dire sinceramente quello che si ricorda, dando una definizione di base e tirando in ballo esempi tratti dal libro. Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 1 Moderno e barocco Teorici, umanisti e compositori verso la moderna monodia - Nelle corti europee bassomedievali ed umanistico-rinascimentali, accanto alla musica polifonica (musica a più voci eseguite contemporaneamente, affidate tanto alle persone quanto agli strumenti), inizia ad essere diffusa la monodia (musica ad una sola ed unica voce, benché possa essere eseguita da più persone o strumenti) quando i letterati eseguono, in bilico tra canto e recitato, le loro poesie, con la musica che ha semplice funzione di accompagnamento. - Anche i teorici dell’età moderna si accorgono di tale prassi, così cercano di giustificare la monodia tramite un desiderio di ritorno all’antico: infatti, snobbano totalmente la polifonia come qualcosa di barbaro e medievale (è vero che il medioevo impiega soprattutto la polifonia, ma non usa soltanto quella) e propugnano la monodia come l’unico metodo utilizzato dalla civiltà greca antica, perfetta ed idealizzata (ma non è affatto vero che i Greci abbiano usato soltanto la monodia). Nicola Vicentino è il primo a mettere per iscritto questo tema, molto dibattuto all’epoca, già nelle lettere e nell’arte. Ne nasce allora un’aspra polemica tra Gioseffo Zarlino, conservatore, e Vincenzo Galilei, progressista. In conseguenza di questa riflessione si sviluppa tra i teorici l’idea, in linea con la monodia, del “recitar cantando”, per cui è il testo ad essere preponderante sulla musica, toccando ad essa non solo di accompagnarlo, ma anche di metterne in rilievo i valori fonici, concettuali, teatrali ed emotivi, e per cui il testo viene pronunciato in una via di mezzo tra canto e recitazione, evitando salti melodici e grandi estensioni, per oscillare tra le poche note contigue impiegate dal parlato. - La camerata de Bardi è un circolo di giovani intellettuali, fondato a Firenze nel 1573 ed attivo negli anni ’70-’80 del Cinquecento, che si incontra a casa del conte Giovanni de Bardi in modo informale per chiacchierare di cultura, in specie di musica, propugnando la monodia ed il “recitar cantando”. A guidare il gruppo ci sono il teorico e compositore Vincenzo Galilei, il compositore Giulio Caccini ed il poeta Ottavio Rinuccini, ma occasionalmente si trovano anche lo scienziato Pietro Strozzi, i poeti Gabriello Chiabrera, Giovan Battista Guarini e Giovan Battista Strozzi. Finanziati dal Bardi, Galilei e Caccini producono musica monodica e la fanno eseguire col “recitar cantando”, rispettivamente con un lamento di Ugolino, tratto dalla “Commedia”, e con alcuni madrigali; la miglior composizione della camerata de Bardi resta però la serie di intermezzi scritti per il matrimonio di Ferdinando de Medici. - Trasferitosi Bardi a Roma, l’eredità della suddetta camerata passa alla camerata di Corsi, altra associazione informale di Firenze, fondata nel 1592 ed attiva negli anni ’90, radunata nel palazzo del nobile Jacopo Corsi, diretto concorrente di Bardi, di cui fanno parte Jacopo Peri e gli immigrati Galilei e Rinuccini. È in questo ambiente che si mettono a frutto le riflessioni di mezzo secolo e così nasce il melodramma, invenzione italiana, ovvero l’odierna opera, un dramma teatrale prevalentemente cantato ed accompagnato dalla musica: è unione di testo verbale e partitura musicale, cioè un libretto scritto da un poeta per il quale i musicisti costruiscono la musica. Le prime opere della storia spetterebbero ad Emilio de Cavalieri, ma non rispettano totalmente il genere, né Cavalieri è stato autore consapevole di questo cambiamento, così si passa alla “Dafne”, del 1594-5, con libretto di Rinuccini e musica di Peri e Caccini, che inaugura consapevolmente il genere, ma essa è perduta, allora si considera l’“Euridice” del 1600, con libretto di Rinuccini e musica di Peri e Caccini. Barocco - Grazie alle premesse di fine Cinquecento può nascere la musica in senso moderno, che è appunto quella barocca, a differenza di arte e letteratura, dove il moderno inizia già dal rinascimento. - Per quanto riguarda le modalità di produzione e fruizione, nonché il ruolo del musicista ed il pubblico, va a morire l’idea del perfetto cortigiano, che sa comporre e suonare in maniera autonoma ed attiva, e subentra l’idea del musicista di professione, un subalterno ingaggiato, che lavora per la Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 2 committenza, in particolare per celebrare i fasti e propagandare l’ideologia del potere, essendo il musicista un dipendente di un nobile signore o di una pubblica istituzione, dato che il pubblico è essenzialmente quello ristretto ed elitario dei vari circoli nobiliari, dalla casa dell’aristocratico alla corte dell’imperatore, od anche, in alcuni luoghi più aperti, l’alta borghesia e la classe nobiliare, che si reca a sentire la musica proposta dagli enti (teatri, chiese, circoli, oratori, festivals ecc…) di quella città. - Si passa dal sistema modale al sistema tonale. Nella musica occidentale si concepiscono sette note. Ponendo per convenzione una nota di base come punto di riferimento, chiamata tonica ed avente come grado il numero romano I, le altre note assumono il loro significato in base all’intervallo che creano con essa, così prendono altri numeri di grado (dal II al VII) ed altri nomi (quelle importanti sono la quinta, detta dominante, e la quarta, detta sottodominante). L’intera ampiezza dell’intervallo è detta scala, fatta logicamente di tutte e sette le note. Il sistema modale, standard per tutta l’età antica e medievale, consiste nell’usare scale dove le note hanno un intervallo preciso le une dalle altre: ciascun tipo di scala, con quel particolare intervallo tra le note, è detto modus (ne esistono otto). Lo sviluppo musicale modale consiste nel far sentire le note di un particolare modus (che hanno intervalli che creano sonorità precise) per ricrearne il sapore, insistendo soprattutto sulla nota tonica, che ha un ruolo centrale; qualora più note di una melodia si incontrino, si genera un accordo, ma esso non è considerato causa determinante per lo sviluppo della melodia, bensì un effetto collaterale ed irrilevante di essa. Il sistema tonale, standard per tutta l’età moderna e contemporanea (in età coeva, la musica leggera lo adopera ancora, mentre quella colta impiega anche il sistema atonale), consiste nell’usare due sole scale, una maggiore (erede del modus ionico) ed una minore (erede del modus eolico), di cui quella comunemente usata è la maggiore, basata sull’intervallo due toni, un semitono, tre toni, un semitono. Lo sviluppo musicale tonale consiste nel rendere realtà autonome gli accordi, tali che vengono considerati causa determinante per lo sviluppo della melodia, così a ciascun accordo è assegnato un grado ed in base ai gradi degli accordi si susseguono le note; tutta la musica gira attorno all’accordo di tonica, avvicinandosi od allontanandosi da esso ma finendo per ricaderci, attirata dalla sua centralità. - Per quanto riguarda le scelte formali, si adottano: 1) la monodia con basso continuo, che soppianta la polifonia in quanto è più in grado di esprimere il significato letterale ed il contenuto emozionale del testo, essendo la musica non solo accompagnatrice, ma anche colei che mette in rilievo i valori del testo; 2) lo stile concertato, cioè che unisce assieme elementi eterogenei, come voci e strumenti, gruppi di voci e gruppi di strumenti, frantumando l’unitarietà sonora del rinascimento in favore di una nuova estetica che ricerca contatti e contrasti accesi e vari; 3) la tendenza alla rappresentatività, ovvero il fatto che la musica viene rappresentata teatralmente da chi canta e suona, soprattutto se si tratta di melodramma, cose che gli spettatori vedono sotto i propri occhi (ciò concorda anche col cambiamento di pubblico); 4) soluzioni che mirano a “muovere gli affetti”, come si diceva all’epoca, degli ascoltatori, ossia sollecitare lo stato d’animo ed il sentimento, la passione od il tremendo, in chi ascolta, soprattutto in modo espressivo, audace e violento, di contro alla compostezza gradita e sobria del rinascimento. - Se anche nelle epoche precedenti ogni compositore ha usato stili diversi in base al tipo ed al luogo di destinazione della musica, questo elemento acquista un rilievo fondamentale soltanto a partire dal barocco, poiché lo scarto stilistico richiesto dalle varie situazioni diventa pienamente consapevole e pure codificato dai trattati teorici. Il capostipite di questo modo di pensare, poi divenuto europeo, è il trattato “Cribrum Musicum Ad Triticum Syferticum” di Marco Scacchi del 1643, che divide la musica da camera (“stylus cubicularis”: quella eseguita nelle sale dei palazzi aristocratici e delle corti ad opera di pochi tipi di strumenti e di pochissimi esecutori per ogni strumento), quella da chiesa (“stylus ecclesiasticus”: quella eseguita durante le varie cerimonie religiose, pubbliche o private, laicali o clericali, ad opera di pochi tipi di strumenti e di pochissimi esecutori per ogni strumento) e quella per il teatro (“stylus theatralis”: quella eseguita in concomitanza alla Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 3 rappresentazioni teatrali), consapevole che questi tre stili possano mischiare la “prima” e la “seconda prattica”. Claudio Monteverdi, seconda “prattica” - Claudio Monteverdi (1567-1643), nato e formatosi a Cremona, inizia a farsi una nomea con lezioni e pubblicazioni, in vecchio stile, fin da giovane. Nel 1590 è assunto come musicista alla corte gonzaghese di Mantova, così, al seguito del duca, viaggia in Ungheria e nelle Fiandre, rispettivamente nel 1595 e 1599, nonché spesso a Ferrara, assorbendo la cultura musicale europea, forzando la sua produzione alle esigenze del sovrano e limitando il suo influsso alla privata corte. Accumulata grande fama per le sue composizioni, che abbandonano lo stile rinascimentale ed aderiscono al nascente barocco, il quale si libera da tutte le vecchie norme, nel 1603 Monteverdi diviene maestro di cappella alla corte mantovana. Continuando l’approvazione dei teorici e l’entusiastica accoglienza del pubblico, la sua vita si anima al punto tale da vincere nel 1613 il concorso per il posto di maestro di cappella a Venezia, nella basilica di san Marco, uno degli incarichi più prestigiosi d’Europa, dove trova un respiro culturale alto ed europeo e dove il posto di pubblico funzionario gli lascia grande libertà compositiva e grande raggio d’azione, grazie anche al teatro pubblico, fino alla placida morte. - È protagonista tra 1600-7 di una polemica con Giovanni Maria Artusi, teorico bolognese, che lo accusa di aver spezzato l’equilibrio e l’armonia della polifonia rinascimentale, al quale risponde con un trattato e diverse dichiarazioni in premessa o appendice ai suoi “Libri”, in cui spiega che bisogna tenere separate la “prima prattica” (“stylus antiquus”), in cui la musica predomina sul testo poiché si seguono le leggi tecniche di natura musicale (contrappunto, fuga ecc…), dando origine alla polifonia, cosa che va bene per la musica da chiesa, ancora ancorata alla tradizione rinascimentale, dalla più moderna e barocca “seconda prattica” (“stylus modernus”), in cui “l’oratione è padrona dell’armonia”, ovvero la musica si adegua ad esprimere al meglio il testo, senza seguire le rigide leggi musicali, dando origine alla monodia, cosa che va bene per la musica da camera. - In tutta la sua vita, Monteverdi è autore di ben nove “Libri” di madrigali, di cui i primissimi sono ancora di stampo rinascimentale, vicini alla prima prattica, ma ben presto, gradualmente, di libro in libro, si accostano sempre più alla seconda prattica, essendo infatti musica da camera, con tutte le grandi innovazioni della musica barocca innestate sul genere antico del madrigale. Prolifico è anche nel neonato genere del melodramma, componendo, in perfetta intesa con le direttive dei teorici e pratici fiorentini, fatte di monodia e di recitar cantando, le partiture dell’“Orfeo” del 1607, su libretto d Alessandro Striggio, e de “L’Arianna” del 1608, su libretto del Rinuccini (di cui purtroppo rimane soltanto il celebre “Lamento”). Al 1610 invece risalgono due composizioni sacre, di musica da chiesa, pubblicate assieme con dedica a papa Paolo V Farnese e redatte rispettivamente nella prima e nella seconda prattica: la “Messa ‘In Illo Tempore’”, a sei voci a cappella, parodia dell’omonimo mottetto del fiammingo Gombert, ed il “Vespro Della Beata Vergine”, in ricco stile concertante per voci e strumenti. Nell’ultimo periodo, Monteverdi ritorna al melodramma, con “Il Ritorno Di Ulisse In Patria” del 1640 e “L’Incoronazione Di Poppea” del 1643. - Grande merito di Monteverdi è poi il superamento del madrigalismo. Il madrigalismo è quel procedimento, diffuso in età basso medievale ed umanistico-rinascimentale, per cui la partitura musicale viene fatta aderire al testo poetico, quindi non solo la musica cerca di esprimere il significato di ciò che il testo dice, ma soprattutto la disposizione grafica delle note sulla pagina concorre a rendere il senso del testo. Questo procedimento è subito diventato un po’ virtuosistico, artificioso ed inutile, così con Monteverdi davvero la musica si mette al servizio del testo e cerca di renderne il senso profondo, superando l’esercizio del madrigalismo e proponendo un madrigalismo più sincero e spontaneo, che vuole comunicare all’ascoltatore, tramite la musica, ciò che nel testo succede. Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 4