Carlo Colonna S.J.
Che senso dai alla vita?
Alla scuola della Saggezza
I Quaderni della Saggezza
n. 1
Presentazione
Ti sei mai chiesto:
Che senso do alla vita?
Forse questa domanda
ce l'hai nel cuore,
ma la fretta, i molti impegni
e l'incapacità di darti una risposta
fanno sì che non affronti mai
con serietà la risposta
a questa domanda.
Ecco allora questo dialogo
con la Saggezza.
Leggilo attentamente:
ti aiuterà a darti una risposta seria,
soprattutto vera,
alla domanda: Che senso
dare alla vita?
Ti aiuterà a ricuperare
il senso divino della vita,
per cui vale la pena
veramente vivere,
perché, se ti realizzi in Dio,
rimarrai in eterno
e non in un modo qualsiasi,
ma eternamente felice.
Oggi il mondo ti propone da ogni parte
una realizzazione puramente umana,
molte volte neanche umana,
ma animalesca e pervertita
rispetto ad una genuina umanità.
Ma Dio non ti ha creato né per te,
né per gli altri, né per le cose
di questo mondo. Ti ha creato per Sé.
Se vivi per Dio,
troverai il senso divino della vita
e anche un'autentica umanità.
E' l'augurio che ti faccio:
che tu possa scoprire l'orizzonte di Dio,
come il luogo dove vivere
l'affascinante avventura
dell'esistenza umana.
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Procurati il vero carburante
nel cervello
e avrai la vita
La macchina non pensa,
l'uomo pensa
e per pensare ha bisogno di carburante.
Bada bene a quale carburante
metti nel tuo cervello.
Vi è infatti il carburante del diavolo
e il carburante di Dio.
L'uno getta cattivo odore
e rovina la macchina,
cioé te stesso.
L'altro espande un odore soave
e tiene sempre sana la tua macchina,
cioé te stesso.
Eva volle mettere
il carburante del diavolo
nel suo cervello e morì.
Maria si riempì sempre
del carburante di Dio
ed è splendente di vita.
Procurati il carburante di Dio
alle sorgenti della fede:
i Libri santi, i Sacramenti,
la Preghiera pura,
e sarai ripieno della sapienza di Dio.
Rigetta il carburante del diavolo,
che è nella sapienza
e nelle cose del mondo.
Ricordati sempre:
l'uomo pensa
e la sapienza di Dio
è l'unico carburante buono
per il suo cervello.
Ciò che leggerai in questo scritto
è un ottimo carburante
per il tuo cervello!
Che senso dai alla vita?
Un dì la Saggezza pose la sua dimora
sulla terra e vi aprì una scuola per tutti, perché, vedendo che gli uomini avevano molti
problemi, mossa da compassione e da vivo
amore per essi, voleva aiutarli a risolverli
bene, alla luce della verità delle cose, nella
speranza che avrebbero approfittato del suo
insegnamento.
Così, un bel giorno, in un paese "x" del
globo terraqueo alla parete di un edificio, a
piano terra, apparve una scritta: "Scuola di
saggezza". Tutto il paese parlava di questa
scuola, perché rappresentava una novità, dato
che di scuole ve n'erano molte, ma di musica,
di danza, di sport, di teatro e cose simili. Vi
era anche la scuola pubblica e in essa s'insegnavano tante cose, ma di saggezza ben poco.
La scuola cominciò ad essere frequentata e si verificò questo fenomeno. Tanti che
non riuscivano a risolvere bene i loro problemi, con un po' di saggezza acquistata in quella scuola erano in grado di avere una luce
nuova con cui risolverli positivamente.
Ciò che affascinava, poi, era il modo singolare con cui la Saggezza insegnava. Con molta amabilità accoglieva quanti bussavano alla
sua porta e volevano i suoi insegnamenti. Non
si presentava di persona, ma mediante un suo
collaboratore, che faceva accomodare gli allievi in una camera piena di luce, dove c’erano quadri meravigliosi alla parete e si sentiva una musica celestiale che rapiva subito la
mente verso atmosfere di pensiero pure e pacifiche. Al centro della stanza si vedeva un
leggio, posato su un tavolo, su cui vi era un
libro aperto: la Bibbia, il testo fondamentale
usato nella scuola per imparare l'ispirata saggezza di Dio.
In questo ambiente la Saggezza si rendeva presente, senza farsi vedere, dietro un
velo bianco, mentre l’allievo sedeva su una comoda poltrona. Il dialogo avveniva in questo
modo. L’allievo poneva le domande e la Saggezza rispondeva da dietro il velo con una voce
calda e suadente, precisa e ferma, che manifestava autorità e, nello stesso tempo, bontà.
Al suo parlare il velo vibrava più o meno intensamente a seconda del contenuto delle parole della Saggezza e, muovendosi, comunica-
va uno spirito lieve e sottile, che riempiva la
mente di chi ascoltava le sue parole, di luce e
di forza.
Ad iniziare il dialogo era la Saggezza
con la domanda: In che cosa posso aiutarti?
Iniziava così un dialogo ricco di sorprese e di
verità, in cui la Saggezza gradatamente conduceva i suoi allievi alla conoscenza della verità delle cose. Gli allievi si rivolgevano alla
Saggezza, chiamandola "Maestro", e gli davano del "tu". Si manifestava in tal modo sia l'autorità che godeva la Saggezza, chiamata col
titolo di "Maestro", sia il rapporto familiare
che voleva avere con i suoi allievi. Questi, in
genere, uscivano dalla sua scuola molto contenti e desiderosi di mettere in pratica gli insegnamenti della Saggezza, che indicavano la
direzione giusta da seguire nella vita.
Un giorno bussò alla porta della scuola un giovane, che, avendo visto un cartello
pubblicitario che parlava della scuola della
Saggezza, era venuto per porre una domanda
che gli urgeva dentro: Quale senso ha la vita?
Dopo essersi accomodato nella stanza destinata ai colloqui ed essersi rilassato, vedendo i
quadri e ascoltando le musiche celestiali, sentì
la voce dolce e sicura della Saggezza, che gli
chiese: In che cosa posso aiutarti?
1. L’allievo: Maestro, da un po’ di tempo mi
pongo una domanda, a cui non so dare una
risposta e mi sento veramente angosciato davanti a questa mia incapacità. Quale senso
debbo dare alla mia vita? Giorni fa un mio
amico, uscendo da una discoteca, è morto in
un incidente stradale. Era un po’ brillo e non
si è accorto che aveva premuto il pedale dell’acceleratore un po’ più del dovuto. E’ andato
a sbattere contro un albero ed è morto. Che
senso ha avuto la sua vita? Si può vivere così
poco e morire poi in un modo tanto banale? Se
la morte è tanto banale, anche la vita è banale come la morte? O c’è un senso più profondo,
meno banale, sia alla vita che alla morte? Da
quando è morto quel mio amico, mi sento franare la terra sotto i piedi, sento solo il vuoto
attorno a me e niente più mi soddisfa della
vita che ho fatto finora.
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2. La Saggezza: Mi rallegro per la tua ricerca. Dimostri di non essere superficiale di fronte al mistero della vita e della morte. La morte del tuo amico ti ha scosso. Volesse il cielo
che scuotesse tutti e facesse riflettere sul senso
vero dell’esistenza! Sì, la vita e la morte dell’uomo sono un mistero, che svela il suo segreto solo a chi non è superficiale.
3. L'allievo: Ma in che cosa sta la nostra superficialità?
4. La Saggezza: Vedi, molti tuoi contemporanei davanti alla vita e alla morte si comportano come un tale che ebbe in regalo una noce.
Invece di aprirne il guscio e mangiarne il contenuto, si mise a dipingerlo, poi se lo mise al
collo e andava in giro con quella noce tutta
dipinta, contento di farsi bello in tal modo. Ora
simile al guscio della noce è il corpo dell’uomo
e il mondo che lo circonda, mentre ciò che è
dentro l’uomo è la sua anima spirituale e immortale, paragonabile al contenuto della noce.
Ma come quel tale non si interessò affatto del
contenuto della noce, ma solo del guscio, così
fanno la maggior parte degli uomini. Si preoccupano solo della loro vita corporale e del
mondo materiale e ben poco della loro vita
spirituale, della loro anima. Alcuni addirittura non sanno neanche che hanno un’anima
spirituale e pensano di essere solo un ammasso di cellule e di organi. Si chiamano materialisti. Poveri loro! In tutti questi lo spirito è
secco, indurito, morto, come quando si apre
una noce invecchiata e si trova dentro il frutto ammuffito o tutto secco, che non ha più vita.
Così molti credono di realizzarsi e di valere
qualcosa, curando il corpo e la loro immagine
materiale, ma non possono cambiare il vero
valore di se stessi, che non dipende dal corpo,
ma da come è il loro spirito.
5. L’allievo: Efficace l’immagine della noce e
profondamente vera! Non ci avevo mai pensato. E’ vero. Oggi in certi ambienti giovanili
si respira questa mentalità. Uno vale per la
moda che indossa, per i tatuaggi che si imprime sul corpo, per le droghe con cui si fa, con il
sesso con cui si diverte, con i rumori della
musica rock con cui si assorda, con i guadagni disonesti con cui si arricchisce, con le violenze con cui cerca di imporsi e cose simili!
6. La Saggezza: Ebbene, chi vive in questo
modo vive per la morte, anche se, ingannato
dal luccichio delle cose che brama, pensa di
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vivere per la vita. Vedi quale profonda contraddizione? Si pensa di vivere per la vita e
poi si raggiunge la morte! I tuoi amici che
vivono per la moda, per i soldi, per la droga,
per il sesso, per il divertimento, pensano che
queste cose diano vita alla loro vita, siano la
vita per cui bisogna vivere, ma trovano in
queste cose vita apparente, del corpo, non dell’anima, materiale, non spirituale. Qui sta
l’inganno. Queste cose, se cercate in modo disordinato, senza discernimento, come scopi supremi della vita, uccidono lo spirito, quindi la
vera vita dell’uomo.
7. L'allievo: Allora chi vive non secondo lo
spirito, ma secondo il corpo, è morto, anche se
fa il "bullo" o la "sirena".
8. La Saggezza: Ti voglio portare un’altra parabola un po’ simile a quella della noce e comprenderai. Un selvaggio che vive in una foresta, trova per terra una lampadina elettrica.
Non conoscendo niente di luce elettrica, pensa che quella lampadina sia un nuovo genere
di monile. La prende, la decora, se la mette al
collo, e tutto fiero, va in giro con quel nuovo
gingillo, invidiato da tutti. Ogni tanto sente
un gemito, che gli sembra provenire dall’interno della lampadina, ma non ci fa caso. Un
giorno un missionario viene a visitare quei
luoghi e, vedendo la lampadina al collo di quel
selvaggio, gli chiede: “Ma sai a che serve questa lampadina?”. “Serve come un gingillo”, gli
risponde il selvaggio. “Niente affatto”, gli risponde il missionario, “Vieni con me, ti farò
vedere per che cosa è stata costruita”. Il missionario prende la lampadina, gli dà una pulita sul vetro, la inserisce nel circuito elettrico della sua macchina ed, ecco, gli occhi
esterrefatti del selvaggio vedono per la prima
volta la luce come vita vera della lampadina.
“Ecco per che cosa è stata fatta la lampadina!
Per accogliere in sé la luce e diffonderla fuori
di sé”, dice il missionario. Il selvaggio, che era
ignorante ma intelligente, capì subito la lezione e disse: “Ora comprendo il gemito che
ascoltavo ogni tanto e che mi sembrava provenisse dall’interno della lampadina. Era
come se la lampadina mi supplicasse: Non
usarmi come gingillo, ma come una lampadina. Non lasciarmi morire in una vita che non
è la mia. Io non sono stata fatta per essere un
gingillo, ma per ospitare dentro me la luce e
donarla agli uomini. E’ questa la mia gioia, la
mia vera vita. Fuori di questo sono una lam-
padina fallita”.
9. L’allievo: Davvero illuminante quest’immagine della lampadina! C’è quindi una vita
esteriore e una vita interiore. Chi è superficiale, si dedica solo alla vita esteriore, quella
del corpo e del mondo materiale, ma chi capisce che la vita vera è quella interiore dello spirito, si dedica a coltivare questa vita vera dell’uomo e si cura del corpo in modo che non
impedisca la vita dello spirito, ma anzi la favorisca. Ma già, com’è logico questo! Basta
pensare ad una lampadina, che vive solo di
luce nel suo interno, non quando è spenta,
anche se è colorata all’esterno. Lo stesso è per
la noce. Chi si innamora del guscio, non conoscerà mai che cos’è veramente una noce,
perchè per conservare il guscio, farà morire
dentro il suo frutto. Ecco perché noi uomini
intristiamo e muoriamo, perché siamo spenti
dentro, non portiamo nessuna luce vera dentro di noi, se non la luce scura delle nostre
passioni, quali l’odio, l’arrivismo, l’egoismo,
l’orgoglio, la crudeltà, la mancanza di fede in
Dio, la cupidigia del sesso, della droga, del
divertimento folle e tante altre cose, segno che
siamo anime morte e non vive. Ti ringrazio,
Maestro, di questa prima acquisizione nuova
che ho raggiunto, ma permettimi di fare un’altra domanda, perché la questione che ti ho
posta non mi sembra del tutto risolta.
10. La Sapienza: Dimmi pure, ti stai dimostrando un alllievo perspicace e ben disposto.
Penso che farai parecchi progressi nella via
della vita.
11. L’allievo: Maestro, tu mi hai parlato finora di un vivere che è per la morte. Mi hai
detto pure che c’è un vivere per la vita vera,
ma non mi hai ancora detto in che consiste
questo vivere per la vita. E’ questo che ora
desidero sapere con tutto il cuore.
12. La Saggezza: Se ti poni questa domanda, vuol dire che non è il tuo “Io” la causa del
tuo vivere. Se fosse stato il tuo “Io” a darti la
vita, sapresti da solo perché ti sei dato la vita
e quale è la via da seguire per vivere bene ed
essere felici. Se rifletti beni, ogni uomo è “proiettato” nell’esistenza come da una forza arcana, che ha programmato il lancio, allo stesso modo di un proiettile sparato da un fucile.
Interroga i tuoi genitori, perché sono i tuoi
genitori che ti hanno “proiettato” nell’esisten-
za. Quindi dovrebbero essere in grado di risponderti. Ti aspetto, quindi, vai dai tuoi genitori, poni loro questa domanda e poi ritorna
da me.
(L’allievo esce e va a casa sua, dove s’incontra
con i genitori)
13. L’allievo: Cari papà e mamma, devo porvi una domanda che forse non vi ho mai fatta
finora, preso da tanti interessi che non mi facevano riflettere sulle cose essenziali della
vita. Dato che siete stati voi a mettermi al
mondo, quale scopo ha la vita che mi avete
dato?
14. I genitori: Figlio mio, tu ci chiedi quale
scopo ha la vita che ti abbiamo dato. E' vero!
Sei nato da noi, ma noi sappiamo dirti solo in
che momento e come sei stato concepito, non
per quale scopo sei venuto al mondo.Il "perché" della tua esistenza, il senso della tua vita
è un mistero a cui solo la saggezza ti può dare
una risposta, saggezza che abbiamo imparato
anche noi, quando ci siamo posti la tua stessa
domanda nella nostra giovinezza.
15. L’allievo: Allora è alla Saggezza che devo
rivolgermi per avere la risposta alla mia domanda. Io vengo proprio dalla sua scuola. Ritornerò da lei per dirle la vostra risposta. Ciò
che mi dite mi incoraggia a mettermi con più
attenzione alla sua scuola, perché solo da lei
posso imparare la verità più importante da
sapere per la mia felicità: quale senso dare
alla vita. Ma prima di ritornare ad ascoltare
la Saggezza, vorrei sapere da voi che cosa avete capito sul senso della vita e come l'avete
imparato.
16. Il padre: Figlio mio, tu vedi beni come io
e tua madre frequentiamo la Chiesa e siamo
religiosi non per abitudine e tradizione, ma
per convinzione. Cerchiamo veramente di
amare Dio nella nostra vita e di fare la sua
volontà. In questo abbiamo trovato il senso
vero della nostra esistenza, un senso divino,
non soltanto umano, che si realizza solo in cose
umane e terrene. Debbo dirti che per me non
sempre è stato così. Da giovane, pur avendo
frequentato la Chiesa per il catechismo, dopo
la cresima, come tanti giovani, mi sono allontanato dalla pratica della religione. Non che
avessi perso la fede, ma altre cose erano diventate più attraenti e più importanti per me.
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Cominciai a fare peccati che prima non sospettavo di poter commettere, ma non ci facevo
più caso, anche se la voce della coscienza ogni
tanto mi avvertiva che stavo camminando su
una cattiva strada. Conservavo però un certo
rispetto per la religione e per la Chiesa. A
Natale e a Pasqua sentivo sempre il richiamo
ad andare a Messa. Ma tutto finiva là. La mia
vita aveva un senso molto umano e ben poco
divino, come invece lo è ora.
17. L'allievo: E come avvenne che ritornasti
alla religione?
18. Il padre: Vidi un giorno per la strada un
manifesto, che invitava a partecipare ad una
catechesi su Cristo che si svolgeva due volte
la settimana presso una certa chiesa. Non so
perché, ma scattò dentro di me il desiderio di
andarci. Ero un po' intimidito, però, perché
non sapevo come sarei stato accolto. Dopo
poco, parlai con un mio amico, che aveva cominciato a frequentare quelle catechesi e mi
diceva un gran bene di esse. Così in sua compagnia cominciai anch'io ad andarvi e da quel
momento la mia vita cambiò. Fu per me la
scuola della saggezza, che tu ora stai frequentando. Spero che ti faccia bene come mi fecero bene quelle catechesi. Mi cambiarono la
vita. Capii il senso divino dell'esistenza, che
noi siamo stati creati da Dio per vivere per
Lui e con Lui, in attesa di possederlo dopo la
vita presente, in un'eternità beata. Debbo dirti
che vivere così è come se un grande fuoco e
una grande luce ti bruciasse e t'illuminasse
dentro. Non è facile nel mondo d'oggi vivere
alla luce di Dio, ma t'assicuro che ogni sforzo
per questo è ben ricompensato.
19. L'allievo: (rivolto all madre) E tu, mamma, come hai compreso il senso della tua vita?
20. La madre: Figlio mio, debbo ringraziare
Dio perché fin da ragazza sono stata educata
da genitori timorati di Dio e, anche se ho conosciuto momenti di rallentamento e di indifferenza verso la religione, non mi sono allontanata mai troppo da essa. Non ho conosciuto
grandi sbandamenti nella mia vita, grazie ai
miei genitori e grazie anche ad una voce interiore, che, non so in che modo, non mi ha mai
abbandonata, anche nei momenti difficili della mia esistenza. Essa mi consigliava sempre
con molto saggezza e il mio cuore era incline
a seguire i suoi consigli. Mi trovano molto bene
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quando li mettevo in pratica. Quando conobbi
tuo padre, lui era già convertito ad una fede
fervente e praticante. A contatto con lui si risvegliò con pienezza il senso religioso, che i
miei genitori mi aveva inculcato e feci la scoperta di poter godere di una relazione personale con Gesù. Scoprii che Dio non è lontano
da nessuno di noi, ma molto vicino, alla porta
del nostro cuore. Da qual momento l' ho avvertito come il più gran tesoro della vita. Egli
non è fuori di noi, ma dentro di noi e con una
vita religiosa e santa, come Dio c'insegna, si
può custodire e sentire in modo vivo la presenza meravigliosa di Dio dentro di sé.
21. L'allievo: Vi ringrazio della vostra testimonianza. Mi sembra ora di avere le orecchie
ben aperte per comprendervi ed apprezzarvi,
mentre finora, quando vi vedevo pregare e frequentare la Chiesa, facilmente pensavo che
perdevate tempo, che eravate pesanti e noiosi
e che non vi godevate la vita. Ritorno ora alla
scuola della Saggezza. Sarà stato proprio il
buon Dio ad averla fatta venire nel nostro
paese per farmi ritrovare il senso vero della
vita.
22. I genitori: Va' pure, figlio. Siamo veramente contenti di quanto ti sta accadendo. Abbiamo pregato tanto per questo momento e vediamo come sta avvenendo anche per te quanto è capitato a noi:l'ora del risveglio spirituale, in cui, alla luce di Dio, si vede veramente
qual è il senso della vita.
(L’allievo saluta i genitori e ritorna dalla Saggezza)
23. L’allievo: (rivolto alla Saggezza) E’ stato
molto utile il colloquio con i miei genitori. Non
sapevo che avessero tanta saggezza. Solo ora
riesco a apprezzarli. Ritorno a te con più fervore, perché mi hanno detto che devo apprendere da te qual è il senso vero della vita.
24. La Saggezza: Vedo che sei molto desideroso di apprendere la verità. Stai ricuperando anni di ignoranza in poco tempo. Mi fai veramente felice. Non c’è gioia più grande per
me di quando gli uomini apprendono la saggezza ed io posso dialogare con loro ed essi
con me. Il mio dolore più grande è il vedere
gli uomini che credono di essere saggi ai loro
occhi, ma disprezzano la verità.
25. L’allievo: Dimmi, allora, qual è il vero senso della vita?
dispiega davanti ai nostri occhi, è una grande
scuola di saggezza per chi sa intenderla.
26. La Saggezza: Prima di risponderti, voglio che tu risponda a questa mia domanda:
Per quale cosa vuoi vivere? Immagina di entrare in un negozio di stoffe e a te interessa
comprare solo un tipo di stoffa ben preciso.
Anche se il negozio contiene ogni tipo di stoffe, queste non attirano il tuo interesse, perché tu sei orientato a comprare solo la stoffa
che ti interessa. Per questo io ti chiedo: per
quale cosa vuoi vivere? Quale senso vuoi dare
alla tua vita? Quando io ti avrò detto qual è il
modo di vivere per la vita e non per la morte,
probabilmente troverai che ciò non coincide
con ciò per cui tu sei vissuto finora o vorresti
vivere. Forse io non ho la stoffa che cerchi,
ma ne ho un’altra più preziosa e più utile a
te, anche se tu non la conosci e non sei molto
interessato a comprarla. Quando mi avrai
ascoltato, forse dirai in cuor tuo: Grazie, questa non è la risposta che volevo e te ne andrai,
perché non sei disposto a cambiare il genere
di vita per cui già vivi.
33. L'allievo: Veramente? A scuola ci fanno
studiare la natura solo da un punto di vista
tecnico e scientifico, non per ricavare da essa
insegnamenti di saggezza.
27. L’allievo: E’ vero quanto mi dici. Mi richiami ad essere onesto con me stesso e con
te. E’ inutile che mi metta a cercare il vero
senso della vita, se non sono disposto a lasciare i sensi falsi e ad abbracciare quello vero.
Voglio essere onesto. Non so ancora se mi deciderò a seguire quanto tu mi indicherai, ma
ti assicuro che mediterò nel mio cuore le tue
parole e in qualche modo non avrai perso tempo con me.
28. La Saggezza: Dimostri sempre più di essere perspicace. E’ un piacere parlare con te.
Ti dirò quindi molte cose con un esempio preso dalla natura.
29. L'allievo: Quale?
30. La Saggezza: Hai mai osservato il rapporto che c'è tra la terra come pianeta e il sole?
Ebbene lo stesso rapporto c'è tra l'uomo e Dio.
31. L'allievo: Non capisco.
32. La Saggezza: E' così facile, ma gli uomini di oggi non sono abituati a comprendere i
grandi insegnamenti di saggezza che sono
sparsi nelle cose che Dio ha creato e nell'ordine con cui sono state create. La natura, che si
34. La Saggezza: Per questo il mondo odierno è così privo di saggezza autentica. Si è privato di una delle fonti principali da cui imparare la saggezza della vita, che è la riflessione
sapienziale sulle cose naturali, di cui
usufriamo ogni giorno.
35. L'allievo: Mentre parlavi, ho avuto un intuizione. Mi è venuto di pensare che il sole
potrebbe simboleggiare Dio e la terra l'uomo.
36. La Saggezza: Bravo! Ora rispondimi. Secondo te, è essenziale alla terra per vivere la
sua dipendenza dal sole o è facoltativa?
37. L'allievo: Essenziale. Se la terra un giorno decidesse di non girare più intorno al sole,
cadrebbe nella morte. E' una verità evidente
a tutti.
38. La Saggezza: Così avviene per l'uomo nel
momento in cui decide di non dipendere più
da Dio, di non vivere più alla luce della sua
rivelazione, con cui Dio illumina i suoi passi
nella vita.
39. L'allievo: Allora è veramente importante
la relazione con Dio per ogni uomo! Non pensavo che fosse così essenziale. Il fatto è che
oggi tanti uomini vivono ricchi e potenti, senza darsi nessun pensiero di Dio; altri, gonfi
della loro scienza e cultura, deridono chi cerca di coltivare la religione, pensando che sono
bigotti e arretrati. Ma se è vero che noi dipendiamo da Dio come la terra dipende dal sole, è
un'altra cosa. Allora la religione, con cui Dio
illumina gli uomini e questi vivono in dipendenza da lui, è una cosa seria e importante
non solo per qualche uomo, ma per tutti.
40. La Saggezza: Continuando a riflettere
sulla natura, considera come la vita umana si
svolge in due tempi fondamentali: di giorno e
di notte. Il giorno è il regno della luce solare,
la notte il regno delle tenebre, perché il sole
non c'è. Ciò è un simbolo della vita dell'uomo
a livello più profondo, il livello dello spirito,
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non del corpo.
41. L'allievo: Che cosa vuoi dire?
42. La Saggezza: Nella Bibbia vengono chiamati figli del giorno e della luce quelli che
camminano nella via della santità e della giustizia, nella conoscenza di Dio e nella pratica
dei suoi comandamenti, perché Dio è Luce e
quanti camminano illuminati da lui, sono figli della luce. I malvagi, i menzogneri e i peccatori in genere sono chiamati figli della notte e delle tenebre. Ascolta questo testo di san
Paolo che scrive ai cristiani di Efeso: "Se un
tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della
luce: il frutto della luce consiste in ogni bontà,
giustizia e verità. Non partecipate alle opere
infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, poiché di quanto viene
fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlarne" (Ef 5,8-9). Ti voglio ora illustrare questo concetto con due disegni, che ora vedrai proiettati sulla parete.
(sulla parete all'improvviso appare l'immagine seguente)
DIO
43. La Saggezza: Che cosa vedi?
44. L'allievo: Oh, ma sono io! Sono io illuminato da Dio!
45. La Saggezza: Non solo, ma guarda come
manifesti soddisfazione e gioia. Chi è illuminato da Dio, sperimenta dentro di sé grande
soddisfazione e intensa gioia. Sono i frutti
propri della luce di Dio nella nostra anima.
Ora, sta' attento. Ti farò vedere un'altra immagine.
(sulla parete appare all'improvviso una seconda immagine)
8
46. La Saggezza: Che cosa vedi?
47. L'allievo: Due giovinastri che compiono
una rapina!
48. La Saggezza: Guarda il colore nero, con
cui sono descritti. Indica le tenebre che sono
nelle loro anima e li hanno spinti a far del
male a un loro simile. Ebbene questi sono figli della notte e compiono le opere proprie
delle tenebre, da cui sono avvolti.
49. L'allievo: Allora quando noi facciamo il
male e viviamo senza la luce di Dio, siamo
nelle tenebre?
50. La Saggezza: E' più che evidente. Queste tenebre sono Potenze reali, che orientano
i desideri dell'uomo verso il male. Quando l'uomo acconsente al potere delle tenebre, compie diversi generi di peccato, più o meno gravi. I peccati poi producono la morte, allo stesso modo di un cancro, che, compiendo la sua
corsa, conduce alla morte.
51. L'allievo: Quanta luce mi stanno dando
le tue parole per la mia vita! Mi sto rendendo
conto che la mia vita finora è passata sotto il
potere delle tenebre, a cui tante volte ho acconsentito. Perciò ho fatto tanti peccati. E a
pensare che li consideravo modi per godersi
la vita!
52. La Saggezza: Voglio ora farti capire meglio perché in Dio e solo in Dio vi è la luce
della vita. Il motivo è nel fatto che l'uomo non
è come un albero o come un animale, ma ha
una natura tutta particolare. La Bibbia dice:
"Siamo ad immagine e somiglianza di Dio"
(Gn 1,26). Hai con te un'immagine di tua madre?
53. L'allievo: Sì, ne ho una nel portafoglio.
E' una fotografia di mia madre, che ho fatto
poco tempo fa.
54. La Saggezza: Prendila e osservala per
un momento.
(L'allievo fa come gli dice la Saggezza)
55. La Saggezza: Come vedi, perché questa
fotografia possa essere un'immagine di tua
madre, ne deve in qualche modo rapprentare
le caratteristiche. Se non la rapprentasse più,
la getteresti via o cercheresti di farle recuperare le fattezze di tua madre. Allo stesso modo,
noi uomini portiamo come intrinseca alla nostra natura l'immagine di Dio. Ora Dio è Spirito razionale e buono, dove solo la verità e il
bene hanno sede e origine. Così noi uomini
siamo ad immagine di Dio quando anche nel
nostro spirito razionale ha sede e origine solo
la verità e il bene.
59. La Saggezza: Sono sempre a tua disposizione. Anzi, ti avviso, che, anche fuori di questo momento, potrai ascoltare la mia voce nel
profondo del tuo cuore, in momenti di raccoglimento e di silenzio interiore, accompagnata dalla preghiera. Io sono invisibile agli occhi del corpo, perché sono una realtà spirituale, che si fa presente a te nel segreto della tua
camera o del tuo cuore, rimanendo invisibile
come lo sono ora che ti parlo dietro il velo.
Inoltre, hai a tua disposizione la Bibbia, che
dovrai imparare ad ascoltare, perché là Dio
ha lasciato chiaramente indicata a tutti qual
è la vera saggezza della vita.
60. L'allievo: Seguirò i tuoi consigli. Già da
adesso considerami come un allievo, che frequenterà molto spesso la tua scuola.
61. La Saggezza: Chi viene alla mia scuola
non va mai via, senza prima aver letto una
parola dalla Bibbia che è sul tavolo davanti a
te. Ciò che io dico è scritto già in essa. Io cerco solo di rendere vivo e attuale l'insegnamento dei Libri Sacri. Leggi quindi la Bibbia là
dove la trovi aperta e leggi ciò che vi è scritto.
56. L'allievo: E come potrà avvenire questo?
57. La Saggezza: Mediante la fede, l'amore
e il culto. Mediante queste tre virtù il tuo cuore e la tua mente sono rivolti al Signore e da
lui riceverai la luce della verità e del bene nella
tua anima. Così, rivestito di questa luce, ti
muoverai nella vita e opererai come immagine reale di Dio, compiendo le sue opere. Con
la fede comincia a credere veramente al Signore e alla sua Parola e a meditare gli insegnamenti di Dio; con l'amore comincia ad
amarlo e ad amare ciò che ti dice per il tuo
bene come potresti amare il più grande tesoro della tua vita; con il culto comincia ad adorare, ringraziare e invocare il Signore con la
tua preghiera personale e unendoti alla preghiera della Chiesa con la Santa Messa domenicale. Con questi mezzi vedrai che non è
difficile sentirsi illuminati da Dio e vivere
come una sua immagine.
58. L'allievo: Quante cose mi stai facendo
comprendere! Ho bisogno ora di riflettere personalmente a tutte queste verità. Sono cose
nuove per me e ho bisogno di un po' di tempo
per assimilarle. Ho bisogno però di frequentare ancora la tua scuola. Già sento in cuore
nuove domande che debbo porti.
62. L'allievo (si avvicina alla Bibbia e legge):
“Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio che ha
costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la
pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti
e si abbatterono su quella casa, ed essa non
cadde, perché era fondata sopra la roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le
mette in pratica è simile a un uomo stolto che
ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde
la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i
venti e si abbatterono su quella casa, ed essa
cadde, e la sua rovina fu grande” (Mt 7,2427).
(Dopo aver letto, rimane in un profondo silenzio)
9
63. L’allievo: Sembra scritto proprio per darmi una risposta alla domanda che ti avevo
posto all'inizio.
64. La Saggezza: Ti avevo detto che la Bibbia contiene la risposta a tutte le domande
più importanti che ci facciamo sul senso della
vita. Costruire la casa è simbolo di costruzione della vita e ciascuno costruisce la sua esistenza, dandogli il senso che vuole.
65. L'allievo: A che si riferisce Gesù quando
parla della roccia e della sabbia?
66. La Saggezza: Apri bene la mente e comprenderai. La sabbia sono le cose del mondo,
che passano col tempo; la roccia sono le cose
di Dio, che durano in eterno. Vuoi costruire la
tua vita solo per il tempo presente o per l’eternità? Gesù è venuto nel tempo per rivelare
agli uomini come costruire la loro vita per
l’eternità e non solo per il tempo. In un altro
punto dello stesso discorso Gesù dice: “Non
accumulate tesori sulla terra, dove tignola e
ruggine consumano e dove ladri scassinano e
rubano; accumulatevi invece tesori nei cieli,
dove né tignola né ruggine consumano, e dove
i ladri non scassinano e non rubano. Perché
dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt
6,19-21). E’ chiaro che Gesù con il suo insegnamento vuol darci l’opportunità di accumulare tesori eterni, che sono del cielo e non di
questo mondo. Tutto il suo insegnamento non
ha altro scopo che questo. Lo capì bene Pietro, quando disse a Gesù: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68).
Potremmo racchiudere l'insegnamento di
Gesù con questo motto: "Da qui all'eternità".
67. L’allievo: Allora la casa che non crolla davanti alla tempesta, perché costruita sulla
roccia, è la vita di colui che le tribolazioni di
questo mondo, compresa la morte, non possono impedire di raggiungere l’eternità di Dio?
68. La Saggezza: Bravo! Voglio presentarti
uno che costruì veramente la sua vita sulla
roccia di Cristo, il suo apostolo Paolo. Per lui
la vita era Cristo, tanto lo amava, e la morte
era un guadagno, perché l'avrebbe ricongiunto
con lui. In una sua lettera egli scive: "Chi ci
separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame,
il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose
noi siamo più che vincitori per virtù di colui
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che ci ha amati" (Rom 8,35-39).
69. L’allievo: Come sono lontano da questo
tipo di vita! Finora mi sembra di aver costruito solo sulla sabbia!
70. La Saggezza: La sabbia è simbolo di inconsistenza, di vanità, di vuoto, di esistenza
breve, che ricade nel nulla. Le cose della terra sono questa sabbia, luccicante a volte, ma
senza consistenza. Sono come i fuochi d’artificio, che in un momento assordano e splendono, ma poi cadono nel nulla. Voglio presentarti chi sono coloro che costruiscono sulla sabbia con un altra parabola di Gesù. Apri la Bibbia e leggi Luca 14,15-24.
71. L'allievo: Devi scusarmi, ma non so trovare questo testo nella Bibbia. Mi vuoi spiegare come fare?
72. La Saggezza: E' facile. Ciò che ti ho indicato si chiama "citazione biblica". Puoi andare all'indice del libro e trovare la pagina dove
comincia il Vangelo di Luca. Questo è diviso
in capitoli. Cerca il capitolo, segnato dal primo numero che ti ho indicato. Gli altri numeri indicano il primo e l'ultimo versetto, in cui
c'è il testo che devi leggere.
(L'allievo fa come gli è stato detto e dopo poco
legge)
73. L'allievo: "Uno dei commensali, avendo
udito ciò, gli disse: "Beato chi mangerà il pane
nel regno di Dio!". Gesù rispose: "Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All'ora
della cena, mandò il suo servo a dire a agli
invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all'unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse:
" Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un
altro disse: "Ho comprato cinque paia di buoi
e vado a provarli; ti prego, non posso venire"
Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al
padrone".
74. La Saggezza: Fermati qui. Hai capito chi
è colui che costruisce sulla sabbia? Gli invitati hanno ascoltato l'invito, ma non l'accolgono. Sono come coloro che ascoltano la parola
di Gesù e non la mettono in pratica. In tal
modo non entreranno mai nel regno di Dio,
eterno e pieno di felicità, simboleggiato dal
banchetto di nozze. Leggi infatti l'ultimo ver-
setto di questa parabola.
75. L'allievo: "In verità vi dico: Nessuno di
quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena". (Dopo un po' di silenzio)
Allora la sabbia su cui si costruisce la vita sono
i buoi, i campi, le cose di questo mondo, che
attirano tutto l'interesse degli invitati, portandoli a trascurare cose più importanti come la
fede in Dio e la vita in Cristo, che conducono
al regno di Dio e all'eternità?
76. La Saggezza. Bravo! Hai capito da solo.
A molti, giovani e adulti, grandi e piccoli di
questo mondo, non interessa cercare un senso più profondo della vita, quello che porta a
vivere valori morali, eterni, assoluti e crescere in questa dimensione. Le loro esperienze
in materia di amore, di sport, di lavoro, di divertimento, di successo, contengono per loro
un significato che soddisfa immediatamente.
Non che siano, di necessità, più superficiali,
ma di solito si muovono come li porta la corrente della vita e i loro desideri immediati.
Tutti presi dalle cose che li soddisfano in superficie, trascurano la realizzazione della loro
natura più profonda, spirituale, che non è fatta
per il godimento e il possesso delle creature,
ma per la gioia che si ha nel possesso del Creatore, infinitamente più grande e più ricco di
tutte le creature messe insieme.
77. L’allievo: Effettivamente la maggior parte degli uomini vive così. Devono intervenire
momenti di crisi profonda, come è stato per
me a causa della morte improvvisa del mio
amico, e una luce interiore, come quella che
tu mi stai dando, per farci sentire l'inconsistenza di una vita riempita solo da creature o
dal proprio "io" e aprirci alla considerazione
del posto che deve avere Dio e l'amore per lui
nella nostra vita.
78. La Saggezza: Gli uomini mondani costruiscono solo per il tempo, per l'attimo presente, per la soddisfazione del momento. Non
importa se questo momento duri anche molti
anni. Di fronte all'eternità che ci aspetta, la
vita presente, anche se durasse cent'anni, è
come un secondo di vita.
79. L'allievo: Ma le cose della terra hanno
pure una certa importanza e, poi, attirano
tanto!
80. La Saggezza: E' vero quanto dici, ma non
come tu pensi. Non sono importanti al punto
che devono farci dimenticare la cosa più importante, che è il nostro orientamento verso
Dio, il senso divino dell'esistenza. Spesso
l'amore delle cose della terra non solo ci fa
dimenticare Dio, ma ci mette contro di lui, perché le desideriamo e le viviamo in modo peccaminoso, contro natura. Allora sono contro il
nostro bene e bisogna disfarsene. E' importante per te divertirti? Divertiti, ma non peccare,
perdendo il tuo orientamento verso Dio con il
peccato. Ai nostri giorni sembra che voi uomini non siete più capaci di divertirvi senza peccare! Basta guardare tanti divertimenti così
intrisi d'immoralità, che la televisione propone ogni giorno! Sono divertimenti tenebrosi,
propri di chi vive nella notte e non di giorno
come immagine di Dio. E' importante per te
lavorare? Lavora, ma ricordati che l'uomo non
vive solo di lavoro e di ciò che guadagna con
esso. Vive soprattutto di ogni parola che Dio
gli comunica, perché la metta in pratica come
suo lavoro principale. Per questo la saggezza
di Dio ha creato per l'uomo questa direttiva
di vita: "Prega e lavora", che possiamo tradurre così ai nostri giorni: "Vivi in comunione con
Dio e lavora". La preghiera è il mezzo che tutti hanno a disposizione per stare col pensiero
e il cuore uniti a Dio e questo è la cosa più
importante della vita, più importante del lavorare.
81. L'allievo: E cosa significano nelle parole
di Gesù la pioggia che cade, i fiumi che straripano, i venti che soffiano e si abbattono sulla
casa?
82. La Saggezza: Anche qua la Bibbia spiega la Bibbia. Ricordati di ciò che avvenne al
tempo di Noé (Gen 6-9), quando “la malvagità degli uomini era grande sulla terra e ogni
desiderio concepito dal loro cuore non era altro che male” (Gen 6,5). La malvagità era tanta che Dio arrivò al punto di pentirsi di aver
creato il genere umano e decretò il cader delle
pioggie, lo straripare dei fiumi, il soffiare dei
venti per annientare quell’umanità pecc, che
perì nel diluvio. Ma Noé non perì, perché era
un uomo giusto. Aveva edificato la sua vita
sulla roccia della fede in Dio e nell’osservanza della sua giustizia. Egli si salvò mediante
l’arca, che Dio gli comandò di costruire prima
del giorno del diluvio. Nel suo insegnamento
Gesù vuole richiamare l’uomo al giorno in cui
11
Come sant'Ignazio di Loyola
diede un senso divino alla sua vita
Sant’Ignazio nacque nel 1491 a Loyola nella
Cantabria, in Spagna. Visse alla corte del re dedito alla vita militare. In seguito ad una profonda conversione si dedicò completamente al Signore. Compì gli studi teologici a Parigi e riunì
intorno a sé i primi compagni, con i quali, a Roma,
gettò le basi della Compagnia di Gesù. Morì a
Roma nel 1556. Conosciamo la sua vita per sua
testimonianza diretta. Egli infatti scrisse la sua
autobiografia, da cui ho tratto il racconto della
sua conversione, che qui presento. Il racconto è
redatto in terza persona, mentre qui lo presento
in prima persona.
Vivevo per la gloria del mondo
sarà giudicato da Dio sul valore vero della
propria esistenza. Ora il giorno del giudizio
coincide col giorno della propria morte, quando tutto ciò che ci lega alla vita presente viene spezzato, e avviene per ciascun uomo il
passaggio all’esistenza nella sola eternità.
L’uomo saggio che ha costruito la sua vita sulla
parola di Gesù continuerà a sussistere in
un’esistenza piena di gioia e di energia, che
sarà per lui il premio di una vita vissuta nella
giustizia. Avrà il tesoro accumulato nei cieli
presso Dio, mentre l’uomo stolto, che ha seguito solo i desideri di questo mondo, rifiutando l'invito al regno di Dio, si ritroverà privo di tutto e senza Dio.
83. L'allievo: Le tue spiegazioni delle parole
di Gesù sono meravigliose, chiare ed efficaci.
Mi convincono sempre più che l'unica cosa saggia da fare è di cambiare vita e di mettersi sul
serio a costruire su Cristo e non sul mondo. E'
ciò che cercherò di fare. Ma, come ti dicevo,
avrò bisogno ancora del tuo insegnamento. Ti
ringrazio di nuovo di quanto mi hai detto. Ci
rivedremo presto.
(L'allievo esce, mentre una bella sinfonia e soavi profumi si diffondono nella stanza, che
ha ospitato il colloquio)
12
Fino a 26 anni fui uomo di mondo, assorbito dalle vanità. Amavo soprattutto esercitarmi nell’uso delle armi, attratto da un immenso desiderio di
acquistare l’onore vano. Con questo spirito mi comportai quando venni a trovarmi in una fortezza assediata dai francesi: tutti erano del parere di arrendersi, alla sola condizione di avere salva la vita, poiché
era evidente che non potevano difendersi; io invece
presentai al comandante argomenti così persuasivi
che lo convinsi a resistere. Tutti gli altri cavalieri erano di parere contrario, ma trascinati dal mio ardimento e dalla mia decisione, ripresero coraggio. Il
giorno in cui si prevedeva l’attacco mi confessai a
uno dei miei compagni d’arme. Si combatteva già
da parecchio tempo quando un proiettile mi colpì a
una gamba e me la spezzò, rompendomela tutta; e
poiché l’ordigno era passato tra le gambe, anche l’altra restò malconcia.
Una ferita provvidenziale
Con la mia caduta, tutta la guarnigione della
fortezza si arrese subito ai francesi; essi, entrando a
prenderne possesso, mi trattarono con ogni riguardo, e furono con me cortesi e benevoli. Rimasi a
Pamplona dodici o quindici giorni; poi, in lettiga,
venni trasportato nel mio castello. Là mi aggravai;
medici e chirughi furono chiamati da varie parti: diagnosticarono che le ossa erano fuori posto; o erano
state ricomposte male la prima volta, o si erano spostate durante il viaggio e questo impediva la guarigione. Per rimettere le ossa a posto bisognava rompere le gambe. Si ripeté quella carneficina. In questa, come in tutti gli interventi prima subiti o che
avrei affrontato poi, non mi sfuggì mai un lamento, e
non diedi altro segno di dolore che stringere forte i
pugni.
Grazia divina e fortezza d'animo
Ma continuavo a peggiorare: non potevo nutrirmi e manifestavo gli altri sintomi che di soluto
preannunziano la fine. Il giorno di san Giovanni,
poiché i medici disperavano di salvarmi, mi fu suggerito di confessarmi. Ricevetti dunque i sacramenti
e, la vigilia dei santi Pietro e Paolo, i medici dichiararono che se entro la mezzanotte non miglioravo,
mi si poteva dare per morto. Io ero sempre stato devoto di san Pietro: nostro Signore volle che proprio
da quella mezzanotte cominciassi a riprendermi; e
andai così migliorando che di lì a qualche giorno fui
dichiarato fuori pericolo.
Le ossa andavano ormai saldandosi, ma sotto
il ginocchio un osso rimase sovrapposto all’altro di
modo che la gamba rimaneva più corta. Per di più
quell’osso sporgeva tanto da apparire una deformità: e questo non lo potevo sopportare; intendevo continuare a seguire il mondo e quel difetto sarebbe apparso sconveniente; per questo interrogai i medici se
si poteva tagliare quell’osso. Risposero che lo si poteva certo tagliare, ma il dolore sarebbe stato più atroce di tutti quelli già sofferti: perché l’osso ormai si
era saldato e perché l’intervento era lungo. Nonostante tutto, per mio capriccio, decisi di sottopormi a
quel martirio. Mio fratello maggiore, spaventato, diceva che non avrebbe mai avuto il coraggio di sottoporsi a tale atrocità: ma io lo sopportai con la consueta forza d’animo.
Fu incisa la carne e l’osso sporgente fu segato. Perché la gamba non rimanesse più corta, i medici adottarono vari rimedi: applicarono vari unguenti
e la tennero continuamente in trazione; furono giorni e giorni di martirio. Ma nostro Signore mi ridava
salute; andai migliorando a tal punto che mi trovai
completamente ristabilito. Solo che non potevo reggermi bene sulla gamba e dovevo per forza stare a
letto.
La lettura che converte
Poiché ero un appassionato lettore di quei libri mondani e frivoli, comunemente chiamati romanzi di cavalleria, sentendomi ormai in forze, ne chiesi
qualcuno per passare il tempo. Ma di quelli che ero
solito leggere, in quella casa non se ne trovarono.
Così mi diedero una Vita Christi e un libro di vite di
santi in volgare.
Percorrendo più volte quelle pagine restavo
preso da ciò che vi si narrava. Ma quando smettevo
di leggere, talora mi soffermavo a pensare alle cose
che avevo letto, altre volte ritornavo ai pensieri del
mondo che prima mi erano abituali. Tra le molte
vanità che mi si presentavano alla mente, un pensie-
ro dominava il mio animo a tal punto che ne restavo
subito assorbito, indugiandovi come trasognato per
due, tre o quattro ore: andavo escogitando cosa potessi fare in servizio di una certa dama, di quali mezzi servirsi per raggiungere la città dove risiedeva;
pensavo le frasi cortesi, le parole che le avrei rivolto; sognavo i fatti d’arme che avrei compiuto a suo
servizio. In questi sogni restavo così rapito che non
badavo all’impossibilità dell’impresa: perché quella
dama non era una nobile qualunque; non era una
contessa o una duchessa; il suo rango era ben più
elevato di questi.
Ma nostro Signore mi assisteva e operava
in me. A questi pensieri ne succedevano altri, suggeriti dalle cose che leggevo. Così leggendo la vita di
nostro Signore e dei santi, mi soffermavo a pensare
e a riflettere tra me: “E se anch’io facessi quel che
ha fatto san Francesco o san Domenico?”. In questo
modo passavo in rassegna molte iniziative che trovavo buone, e sempre proponevo a me stesso imprese difficili e grandi; e mentre me li proponevo mi
sembrava di trovare dentro di me le energie per poterle attuare con facilità. Tutto il mio ragionare era
un ripetere a me stesso: san Domenico ha fatto questo, devo farlo anch’io; san Francesco ha fatto questo, devo farlo anch’io. Anche queste riflessioni mi
tenevano occupato molto tempo. Ma quando mi distraevano altre cose, riaffioravano i pensieri di mondo già ricordati, e pure in essi indugiavo molto. L’alternarsi di pensieri così diversi durò a lungo. Si trattasse di quelle gesta mondane che sognavo di compiere, o di queste altre a servizio di Dio che mi si
presentavano all’immaginazione, mi trattenevo sempre sul pensiero ricorrente fino a tanto che, per
stanchezza, lo abbandonavo e m’applicavo ad altro.
Il primo discernimento spirituale
C’era però una differenza: pensando alle cose del
mondo provavo molto piacere, ma quando, per
stanchezza, le abbandonavo mi sentivo vuoto e deluso. Invece, andare a Gerusalemme a piedi nudi, non
cibarsi che di erbe, praticare tutte le austerità che
avevo conosciute abituali ai santi, erano pensieri che
non solo mi consolavano mentre mi soffermavo su
di essi, ma anche dopo averli abbandonati mi lasciavano soddisfatto e pieno di gioia. Allora non vi prestavo attenzione e non mi fermavo a valutare questa
differenza. Finché una volta mi si aprirono un poco
gli occhi; meravigliato di quella diversità cominciai
a riflettervi: dall’esperienza avevo dedotto che alcuni pensieri mi lasciavano triste, altri allegro; e a poco
a poco imparai a conoscere la diversità degli spiriti
che si agitavano in me: uno del demonio, l’altro di
Dio.
Questa fu la prima riflessione che feci sulle
13
Cristo e dei santi. Perciò - dal momento che ormai
stavo alzato e si movevo per casa - mi misi a compilare con molta diligenza un libro. Esso arrivò a occupare quasi trecento fogli, in quarto, completamente
scritti.
Scrivevo le parole di Gesù in rosso, quelle
di nostra Signora in azzurro, su carta lucida a righe,
con elegante scrittura, mettendo a profitto la mia grafia molto bella. Impiegavo il mio tempo in parte a
scrivere, in parte a pregare. La mia consolazione più
cose di Dio. In seguito, quando mi applicai agli Esercizi, proprio di qui cominciai a prendere luce sull’argomento della diversità degli spiriti.
Con tutta la luce ricavata da questa esperienza mi misi a riflettere più seriamente sulla vita passata e sentii un grande bisogno di farne penitenza.
Allora mi rinasceva il desiderio di imitare i santi,
senza dar peso ad altro che a ripromettermi, con la
grazia di Dio, di fare anch’io come essi avevano fatto. Ma la cosa che prima di tutte desideravo fare,
appena fossi guarito, era di andare a Gerusalemme,
imponendomi quelle grandi austerità e digiuni a cui
sempre aspira un animo generoso e innamorato di
Dio.
Questi miei santi desideri andavano cancellando i pensieri di prima, e furono anzi confermati
da una visione in questo modo: una notte, mentre
ero ancora sveglio, vidi chiaramente un’immagine
di nostra Signora con il santo bambino Gesù. Potei
contemplarla a lungo provandone grandissima consolazione. Poi mi sopravvenne un tale disgusto di
tutta la vita passata, specialmente delle cose carnali,
da sembrarmi che fossero sparite dall’anima tutte le
immaginazioni prima così radicate e vivide. Da quel
momento a questo agosto del ’53 in cui scrivo queste memorie, non diedi mai neppure il più piccolo
consenso a sollecitazioni sensuali: e proprio questo
effetto permette di giudicare che la cosa veniva da
Dio. Io però non osavo affermarlo, ma mi limitavo a
esporre quanto ho detto. Comunque, il comportamento esterno fece conoscere a mio fratello e a tutti gli
altri di casa la trasformazione che si era compiuta
dentro la mia anima.
L'innamorato di Dio
Io continuavo nelle mie letture e perseveravo
nei miei buoni propositi, senza occuparmi d’altro.
Quando mi intrattenevo con quelli di casa, impiegavo tutto il tempo in cose di Dio e questo arrecava
loro profitto spirituale. Poiché alla lettura di quei libri provavo ora molto gusto, mi venne l’idea di
stralciare alcuni passi più significativi della vita di
14
Sant'Ignazio, divinamente ispirato, ha scritto il
libretto degli Esercizi spirituali, con cui vuole
educare gli esercitanti a dare un senso divino alla
loro vita, da lui espresso agli inizi degli Esercizi
con questo famoso testo, chiamato "Principio e
Fondamento":
L’uomo è creato per lodare, riverire
e servire Dio nostro Signore,
e così raggiungere la salvezza;
le altre realtà di questo mondo
sono create per l’uomo
e per aiutarlo a conseguire
il fine per cui è creato .
Da questo segue che l’uomo deve servirsene
tanto quanto lo aiutano per il suo fine,
e deve allontanarsene
tanto quanto gli sono di ostacolo.
Perciò è necessario rendersi indifferenti
verso tutte le realtà create
(in tutto quello che è lasciato alla scelta
del nostro libero arbitrio
e non gli è proibito),
in modo che non desideriamo
da parte nostra
la salute piuttosto che la malattia,
la ricchezza piuttosto che la povertà,
l’onore piuttosto che il disonore,
una vita lunga piuttosto che una vita breve,
e così per tutto il resto,
desiderando e scegliendo soltanto
quello che ci può condurre meglio
al fine per cui siamo creati
Per questo sant'Ignazio fa chiedere
questa grazia al Signore:
tutte le mie intenzioni,
le mie attività esterne
e le mie operazioni interiori,
Signore,
siano a lode e gloria del tuo Nome!
Una parabola sapienziale
L'albero della vita
e le foglie insensate
Un albero eccezionale
Esiste un giardino che non è di questo mondo,
meraviglioso e splendido. Al centro di esso, poi, vi
è un albero straordinario, che in ogni tempo rimane
sempre verde e pieno di frutti. Le foglie di quest’albero sono così turgide di linfa che danno energia soltanto a guardarle. Un flusso continuo di vita pervade
l’albero. Dalle sue radici, profondamente inserite
sulle sponde di un fiume perenne, sale in continuazione, attraverso le nervature e i canali interni, una
linfa miracolosa, che riempie di sé ogni ambito e
aspetto dell’albero, rendendolo sempre carico di vita.
L’albero è così bello a vedersi e così ricco di vita che
è chiamato “l’albero della vita”.
Vi era però una legge, che riguardava le foglie
dell’albero. Esse non erano foglie prive di personalità. Ciascuna era dotata di libertà e, in virtù di questa,
poteva scegliere in ogni tempo se vivere attaccata
all’albero o staccata da esso. Naturalmente la vita
che godevano le foglie, unite all’albero, era così varia
e ricca, che non veniva loro in mente di separarsi
dalla fonte della loro vita.
L’albero era visitato periodicamente da venti,
a volte soavi e leggeri, a volte forti e impetuosi, e le
care foglioline godevano di queste visite di fratello
vento, come lo chiamavano. Si sentivano, di volta in
volta, agitate da una dolce ebbrezza o spinte a forti
tensioni, esperienze che aumentavano la loro gioia
di vivere. Bene ancorate all’albero, potevano godersi queste piacevoli sensazioni, senza paura che i venti
potessero portarle via.
La tentazione
Un giorno però cominciò a spirare intorno all’albero un vento particolare. Era gelido, ma forte e
deciso nel suo spirare. Dal suo interno partiva una
voce misteriosa, che le foglie sentivano molto bene.
Ciò che sentivano, però, le spaventò. La voce proponeva loro una cosa inaudita: “Care sorelline, volete
essere libere come sono io? Perchè non vi staccate
dall’albero e non mi seguite? Non vedete in quale
dipendenza vivete ogni giorno? Sempre attaccate al
vostro albero, non vi godete i meravigliosi panorami
che noi venti godiamo. La vostra esperienza di vita è
limitata, mentre noi godiamo di una vita illimitata.
Siamo vento e ci muoviamo come ci pare e piace.
Un giorno qua, un giorno là, senza obbedire a nessuno, se non al nostro capriccio. Ecco, care foglioline,
vi proponiamo la libertà e l’avventura al posto di un
legame che vi rende schiave”.
La fuga dalle origini
La maggior parte delle foglioline si tapparono
le orecchie per non sentire quelle parole, ma ve ne
furono alcune a cui parvero sensate. L’albero fu allora percorso da un fremito nuovo, che fino allora
non si era mai sentito. Le foglioline che avevano
deciso in cuor loro di staccarsi dall’albero per seguire il vento, cominciarono ad agitarsi fino allo spasimo per troncare il legame con il ramo, dove erano
inserite. Il vento gelido con il suo spirare le aiutava
in questo e, man mano che il legame con l’albero
diventava sempre più tenue, aumentava in loro un
folle desiderio di libertà. Cominciavano a sognare
sempre più le gioie che avrebbero incontrato in una
nuova vita, non più fissata e regolata dal flusso vitale dell’albero, ma libera e spensierata, avendo solo il
capriccio per propria regola.
Avvenne così che in poco tempo un certo numero di foglioline emigrò dall’albero e cominciò a
vivere una nuova vita. L’albero, poveretto, si trovò
privo di tante di esse. Cominciò allora a sudare di un
sudore nuovo, mai visto prima. Erano lacrime, con
cui l’albero piangeva la perdita di quelle foglioline,
che amava come figlie e che con tanto amore alimentava ogni giorno. Anche le altre foglioline piansero, vedendo le loro sorelle andarsene via. Tutte le
foglie, infatti, avevano tra loro un buon rapporto di
fratellanza e la partenza così improvvisa di alcune di
loro fu avvertita con tristezza da tutte le altre. Un
giorno di lutto segnò la vita di quell’albero. Le foglie piangevano per la perdita ricevuta dall’albero,
ma piangevano ancora di più per le foglie partite,
perchè le foglie rimaste, piene di saggezza, sapevano bene quale sarebbe stata la loro sorte.
Infatti, dopo un po’ di tempo di svolazzamento
per il cielo, le foglie che si erano lanciate in un folle
sogno di libertà, cominciarono a sentire una perdita
di vitalità in loro. Le energie cominciavano a mancare. Il vento le sospingeva, ma non poteva dar loro
quella vita interiore, che proveniva loro solo dall’al-
15
bero, in cui erano inserite. Da verdi che erano, cominciarono a poco a poco ad ingiallire e infine a diventare secche, a screpolarsi, a rompersi, a frantumarsi, a ridursi in polvere. Di esse in breve tempo
non rimase più niente, se non briciole, portate dal
vento fino a che non si depositavano per terra, minuscole particelle senza più vita.
Il ritorno alle origini
Per fortuna questo fenomeno non avvenne per
tutte. Infatti, mentre svolazzavano per il cielo, tra i
vari venti, che le sospingevano, ve n’era uno, a volte
energico, a volte soave, che parlava loro e le invitava a ritornare a vivere sull’albero. Diceva: “L’albero
che avete lasciato e le vostre sorelle foglioline stanno piangendo la vostra perdita ed io vi assicuro che
avete ancora poco tempo di vita, perchè le energie
che ancora vi sostengono, fra poco vi lasceranno e
sperimenterete la morte”. Alcune foglie presero sul
serio quelle parole. Si sentirono commuovere al pensiero del dolore recato all’albero, che aveva fatto loro
sempre del bene e, poi, la paura della imminente
morte entrò in loro. Accettarono quindi la proposta
e, facendo forza contro il vento gelido che voleva
trattenerle in suo potere, riuscirono a ritornare all’albero della vita. Il vento buono, che aveva loro suggerito di ritornare a casa loro, le aiutò a compiere
questo ritorno, dando loro forza ed energia contro il
vento gelido.
Immaginatevi la felicità dell’albero e delle
foglioline fedeli nel vedere ritornare le foglioline
partite. Non pareva vero ai loro occhi! Ci fu un giorno di festa, che riparò il giorno di lutto, fatto prima
per la loro partenza. Purtroppo non tutte tornarono,
perchè alcune, prese dalla folle ebbrezza del volo libero, non si diedero a riflettere sulla loro reale situazione, e, scegliendo l’incoscienza invece della saggezza, si autocondannarono alla morte, che dopo poco
venne per tutte.
Uno specchio della vita umana
Così è di ogni uomo che viene in questo mondo. Egli è foglia dell’albero della vita, che è la Parola di Dio. Finchè rimane unito alla Parola, l’uomo
riceve energie di luce, che si trasformano in lui in
vitalità e gioia, senza patire perdite. Separato dalla
Parola, per un folle desiderio di autogestirsi la propria vita, l’uomo diventa secco e senza vitalità interiore, destinato a sperimentare ciò che, rimanendo
unito all’albero, non avrebbe mai sperimentato: la
morte. La parabola della foglie insensate e dell’albero della vita è profondamente umana. Chi ha intelligenza, capisca!
16
IL NON-SENSO DELLA VITA
NELLA TESTIMONIANZA
DI ALCUNI NON-CREDENTI
CONTEMPORANEI
Nel 1970 un giovane gravemente ammalato
scrive attraverso la rivista “Epoca” al giornalista
Augusto Guerriero (noto a tutti attraverso lo pseudonimo di Ricciardetto). Il giovane, attratto dalla sicurezza delle risposte di Ricciardetto, gli confida la
sua angoscia: “Se avessi il conforto della fede – scrive
testualmente - potrei rifugiarmi in essa, e in essa troverei la necessaria rassegnazione. Ma la fede, purtroppo, l'ho perduta da tempo. Per questo non ho
quella sicurezza che ad altri permette il passo (verso la morte) serenamente. Ed è per ciò che mi rivolgo a lei. Ammiro la sua serentià e gliela invidio. Sono
certo che una sua lettera mi sarebbe di sollievo".
Ricciardetto, che continuava a dichiararsi noncredente, rispose con disarmante sincerità e onestà:
"A che può servirla una mia lettera? Io non scrivo
che di politica; e a che servirebbe che io le scriva di
politica? A lei bisognerebbe parlare di altre cose, ed
io non scrivo mai di quelle altre cose, non ci penso,
e, appunto, per non pensarci, scrivo di politica e di
faccende, di cui in fondo non m'importa niente. Così
riesco a dimenticare me stesso e la mia miseria. E
questo è il problema: trovare il modo di dimenticare
se stessi e la propria miseria".
E in un'altra occasione Ricciardetto diventa ancora più sincero. Sollecitato da una ragazza che lo
rimprovera perché le sue risposte avevano messo in
crisi la religiosità semplice di un marinaio (che era
suo fidanzato), il giornalista confida: “Lei ha ragione a rimproverarmi. Tante volte ho fatto voto di non
scrivere più di religione proprio per le considerazioni che lei fa. Ma poi ci ricado. La mancanza di
fede, infatti, non è come la mancanza di qualsiasi
altro bene morale o materiale. Per me è un dramma,
un dramma intimo e doloroso, che mi ha colpito alla
vigilia della morte, quando l’anima non ha più forza
di ricupero e di rinnovamento. Sa che a volte, se ci
penso, mi commuovo? Sì, proprio così, mi commuovo e piango su me stesso e sulla mia miseria. Ma
quanti, quanti di coloro che predicano la Fede, quanti
di esse sentono la Fede come io sento la mancanza
di Fede?”.
Pier Paolo Pasolini, morto tragicamente nella notte
tra il 1° e il 2° novembre 1975, qualche giorno prima
della sua morte, aveva dichiarato al giornalista Furio
Colombo: “Oggi si riceve una educazione comune,
obbligatoria e sbagliata, che ci spinge tutti dentro
L'insegnamento della Chiesa
sul senso divino della vita umana
Dal Concilio Vaticano II
l’arena dell’”avere” tutto a tutti i costi. In questa
arena siamo spinti come una strana e cupa armata
in cui qualcuno ha i cannoni e qualcuno le spranghe: tutti, però, sono pronti al gioco del massacro.
Pur di “avere”. L’educazione avuta è stata: avere,
possedere, distruggere”. E azzardando una specie di
profezia laica, disse: “Io scendo nell’inferno. Ma
state attenti; l’inferno sta salendo da voi. Il suo bisogno di dare la stangata, di aggredire, di uccidere,
è forte e generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa di chi ha scelto la vita violenta” (Tuttolibri, 8.11.75).
Mario Soldati, scrittore contemporaneo, ha confessato con rara lucidità: “Tutto il guaio del mondo oggi
è proprio questo: il mondo soffre di aver perduto la
religione. E quasi tutta la poesia di oggi è, in un modo
o nell’altro, rimpianto di una religione perduta”.
Giuseppe Prezzolini al termine della sua lunga vita
aveva dichiarato: “Eccomi qui solo, disperato, senza verità, senza appoggio, senza nessuna voce che
mi dica: dove sono ? dove vado? Da dove vengo?
Non so chi interrogare. Quello che trovo oggi in me
stesso è che nulla ha importanza, nulla ha significato, non c’è nel mondo nessun mistero. Ecco la tremenda verità; le cose sono proprio quelle che sono e
la loro mancanza di valore è spaventosa”.
Norberto Bobbio, che si è sempre dichiarato ateo,
sulla rivista “Micromega”, recentemente ha dichiarato: “Siamo circondati dal mistero. Sento di essere
arrivato alla fine della vita senza aver trovato una
risposta alla domanda ultima. La mia intelligenza è
umiliata. E io accetto questa umiliazione e non cerco di sfuggire ad essa con la fede”.
(Norberto Bobbio fa come la lampadina, che, sentendosi spenta e senza luce, preferisce rimanere così
e non accogliere la luce che le viene dal di fuori,
perché altrimenti non sarebbe se stessa. Certamente
non è una lampadina intelligente, perché ogni lampadina, quando si apre a ricevere la luce, trova la
vita!).
Il Concilio Vaticano II ha davanti a sé il gravissimo
male dell'ateismo teorico e pratico, che impregna la
vita degli uomini contemporanei. I testi seguenti sono
un forte richiamo ad ogni uomo perché riscopra la
sua essenziale dipendenza da Dio, che è l'origine
della creazione in tutte le sue parti e il fine dell'uomo, che solo nella comunione eterna di vita con Dio
può raggiungere la sua pienezza e la sua felicità.
L’uomo è
da Dio per creazione,
con Dio per salvezza,
verso Dio per beatitudine promessa
1. L’aspetto più sublime della dignità dell’uomo
consiste nella sua vocazione alla comunione con
Dio. Fin dal suo nascere, l’uomo è invitato al
dialogo con Dio. Se l’uomo esiste, infatti, è perché Dio lo ha creato per amore e, per amore,
non cessa di dargli l’esistenza; e l’uomo non vive
pienamente secondo verità se non riconosce liberamente quell’amore e se non si abbandona
al suo Creatore. Molti nostri contemporanei,
tuttavia, non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano questo intimo e vitale legame
con Dio; a tal punto che l’ateismo va annoverato fra le realtà più gravi del nostro tempo e va
esaminato con diligenza ancor maggiore (Costituzione Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 19).
2. La Chiesa crede che il riconoscimento di Dio
non si oppone in alcun modo alla dignità dell’uomo, dato che questa dignità trova proprio
in Dio il suo fondamento e la sua perfezione.
L’uomo infatti riceve da Dio Creatore le doti di
intelligenza e di libertà ed è costituito nella società; ma soprattutto è chiamato alla comunione con Dio stesso in qualità di figlio e a partecipare alla sua stessa felicità (id. n. 21).
3. Se con l’espressione “autonomia delle realtà
temporali” si intende dire che le cose create non
dipendono da Dio e che l’uomo può adoperarle
senza riferirle al Creatore, allora a nessuno che
creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce. Del resto tutti coloro che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre
inteso la voce e la manifestazione di Dio nel linguaggio delle creature. Anzi, l’oblio di Dio rende opaca la creatura stessa (id. n. 36).
17
4. Redento da Cristo e diventato nuova creatura nello Spirito Santo, l’uomo, infatti, può e deve
amare anche le cose che Dio ha creato. Da Dio
le riceve: le vede come uscire dalle sue mani e
le rispetta. Di esse ringrazia il divino benefattore e, usando e godendo delle creature in spirito
di povertà e di libertà, viene introdotto nel vero
possesso del mondo, come qualcuno che non
ha niente e che possiede tutto: “Tutto, infatti, è
vostro; ma voi siete di Cristo e il Cristo è di Dio”
(1 Cor 3, 22-23) (id. n. 37).
5. Alla luce della fede e nella meditazione della
parola di Dio è possibile, sempre e dovunque,
riconoscere Dio nel quale “viviamo, ci muoviamo e siamo” (At 17,28), cercare in ogni avvenimento la sua volontà, vedere Cristo in ogni
uomo, vicino o estraneo, giudicare rettamente
del vero senso e valore che le cose temporali
hanno in se stesse e in ordine al fine dell’uomo.
Quanti hanno tale fede vivono nella speranza
della risurrezione dei figli di Dio, nel ricordo della
croce e della risurrezione del Signore (Decreto
Apostolicam Actuositatem sull’apostolato dei laici, n. 4)
Dal Catechismo della Chiesa cattolica,
nn.1701-1709
1. Cristo, proprio rivelando il mistero del Padre
e del suo Amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”. E’ in Cristo, “immagine del Dio invisibile
“ (Col 1,15), che l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza del Creatore. E’ in Cristo,
Redentore e Salvatore, che l’immagine divina,
deformata nell’uomo dal primo peccato, è stata
restaurata nella sua bellezza originale e
nobilitata dalla grazia di Dio.
2. L’immagine divina è presente in ogni uomo.
Risplende nella comunione delle persone, a somiglianza dell’unione delle persone divine tra
loro.
3. Dotata di un’anima spirituale ed immortale,
la persona umana è in terra la sola creatura
che Dio abbia voluto per se stessa. Fin dal suo
concepimento è destinata alla beatitutine eterna.
4. La persona umana partecipa alla luce e alla
forza dello Spirito divino. Grazie alla ragione è
capace di comprendere l’ordine delle cose stabilito dal Creatore. Grazie alla sua volontà è
capace di orientarsi da sé al suo vero bene. Trova
la sua perfezione nel cercare e nell’amare il
vero e il bene.
5. In virtù della sua anima e delle sue potenze
spirituali d’intelligenza e di volontà, l’uomo è
18
dotato di libertà, segno altissimo dell’immagine
divina.
6. Con la sua ragione l’uomo conosce la voce di
Dio che lo chiama sempre a fare il bene e a fuggire il male. Ciascuno è tenuto a seguire questa
legge che risuona nella coscienza e che trova il
suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo. L’esercizio della vita morale attesta la dignità della persona.
7. L’uomo, però, tentato dal Maligno, fin dagli
inizi della storia abusò della libertà sua. Egli
cedette alla tentazione e commise il male. Conserva il desiderio del bene, ma la sua natura
porta la ferita del peccato originale. E’ diventato incline al male e soggetto all’errore. Così l’uomo si trova in se stesso diviso. Per questo la
vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il
bene e il male, tra la luce e le tenebre.
8. Con la sua Passione Cristo ci ha liberati da
Satana e dal peccato. Ci ha meritato la vita
nuova nello Spirito Santo. La sua grazia restaura ciò che il peccato aveva in noi deteriorato.
9. Chi crede in Cristo diventa figlio di Dio. Questa adozione filiale lo trasforma dandogli la capacità di seguire l’esempio di Cristo. Lo rende
capace di agire rettamente e di compiere il bene.
Nell’unione con il suo Salvatore, il discepolo
raggiunge la perfezione della carità, la santità.
La vita morale, maturata nella grazia, sboccia
in vita eterna, nella gloria del cielo.
Necessità di conoscere
la Divina Sapienza
di san Luigi Maria
Grignon di Montfort
San Luigi Maria Grignon nacque a Montfort surMeu il 31 gennaio 1673. Ordinato sacerdote nel
1700, divenne un grande missionario popolare.
Morì nel 1716. Egli considera la vita spirituale
come la totale consacrazione a Gesù, Sapienza
Incarnata, per le mani di Maria e la completa
dipendenza da questa Divina Madre, in modo
che l’uomo, mosso da Maria e vivendo in lei, con
lei e per lei, viva anche più perfettamente con
Gesù, in lui e per lui. Il testo che presento è tratto
dalla celebre scritto del Montfort: L’amore alla
Sapienza eterna, in cui in un contesto di cultura
sempre più mondana e chiusa alla rivelazione di
Dio in Cristo, il Montfort propone l’amore alla
Sapienza eterna come vera via alla luce e alla
vita per ogni uomo
G
E
S
U'
Si può forse amare ciò che non si
conosce? Si può amare ardentemente ciò che si
conosce soltanto imperfettamente? Perché si
ama tanto poco la Sapienza eterna ed incarnata,
l’adorabile Gesù? Perché non la si conosce
affatto o pochissimo. Non c’è quasi nessuno che
studi quanto occorre l’eminente scienza di Gesù:
la più nobile, la più dolce, la più utile e la più
necessaria fra le scienze e le conoscenze del cielo
e della terra.
a) La scienza più dolce
Fra le scienze è, innanzitutto, la più
dolce, perché ha oggetto quanto vi è di più
nobile e sublime, la Sapienza increata ed
incarnata, la quale racchiude in sé tutta la
pienezza della Divinità e dell’umanità; quanto
vi è di grande nel cielo e sulla terra, tutte le
creature visibili ed invisibili, spirituali e
corporali.
San Giovanni Crisostomo dice che
Nostro Signore è un riassunto delle opere di Dio,
un quadro sintetico di ogni sua perfezione e di
quelle che sono nelle creature.
“Gesù Cristo, Sapienza eterna, è tutto
ciò che tu puoi e devi desiderare. Desideralo,
cercalo perché è l’unica perla preziosa per
acquistare la quale non devi esitare a vendere
tutto ciò che hai” (san Bernardo).
“Chi vuol gloriarsi si vanti di questo, di
avere senno e di conoscere me” (Ger 9,23). Il
sapiente non si vanti della sua sapienza, né il
forte della sua forza, né il ricco delle sue
ricchezze, ma chi si vanta trovi la sua gloria nel
conoscere me e non già nel conoscere altre cose.
Nulla è più dolce della conoscenza della
Sapienza divina. Beati quelli che l’ascoltano. Più
beati quelli che la desiderano e la cercano. Ancor
più beati quelli che custodiscono le sue vie,
gustano in cuore tale dolcezza infinita che è la
gioia e la felicità dell’eterno Padre e la gloria
degli angeli.
Se si sapesse quale piacere gusti l’anima
nel conoscere la bellezza della Sapienza, nel
nutrirsi di lei, si esclamerebbe con la sposa del
Cantico: “Il latte del tuo petto è più dolce di un
vino delizioso” (Ct 1,2) e di tutte le dolcezze delle
creature; questo soprattutto quando rivolge alle
anime che la contemplano queste parole:
“Gustate e vedete...Mangiate, amici, bevete;
inebriatevi, o cari...perché la sua compagnia non
dà amarezza, né dolore la sua convivenza, ma
contentezza e gioia” (Sal 33,9; Ct 5,1; Sap 8,16).
b) La scienza più utile e necessaria
Tale conoscenza è anche la più utile e
necessaria, perché la vita eterna consiste nel
conoscere Dio e il suo Figlio Gesù Cristo (cfr.
Gv 17,3). “Conoscerti - dice l’autore sacro,
rivolgendosi alla Sapienza - è giustizia perfetta;
conoscere la tua potenza è radice di immortalità”
(Sap 15,3).
Vogliamo avere la perfezione della santità
in questo mondo? Cerchiamo di conoscere la
Sapienza. Vogliamo piantare nel cuore la radice
dell’immortalità? Abbiamo nello spirito la
conoscenza della Sapienza. Conoscere Gesù
Cristo, la Sapienza incar nata, è sapere
abbastanza. Sapere tutto e non conoscere Lui,
è non sapere nulla.
Che serve all’arciere saper tirar la freccia
accanto al bersaglio, se non sa tirarla proprio
al centro? A che cosa ci serciranno tutte le altre
scienze necessarie per la salvezza, se non
abbiamo quella di Gesù Cristo, l’unica
necessaria, verso cui tutte le altre devono
convergere? Benché il grande apostolo sapesse
tante cose e fosse tanto bravo nelle lettere
umane, tuttavia confessava: “Io ritenni di non
sapere altro se non Gesù Cristo e questi
crocifisso” (1 Cor 2,2).
Perciò diciamo con lui: “Quello che
poteva essere per me un guadagno, l’ho
considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi,
tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla
sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio
Signore...” (Fil 3,7-8). Vedo e sperimento che
questa scienza è così eccellente, deliziosa,
proficua ed ammirabile, che non tengo in
nessun conto le altre che una volta m’erano
tanto piaciute, e mi sembrano adesso così vuote
e ridicole, che trastullarsi con esse è perder
tempo: “Dico questo perché nessuno vi inganni
con argomenti seducenti...;Badate che nessuno
vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri”
(Col 2,4.8).
Vi dico che Gesù Cristo è l’abisso di ogni
scienza, affinché non vi lasciate ingannare né
dalle belle e magnifiche parole degli oratori né
dalle sottigliezze così ingannevoli dei filosofi: “Ma
crescete nella grazia e nella conoscenza del
Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo” (2 Pt
3,18). Ora, affinché, possiamo tutti crescere
nella grazia e nella conoscenza di nostro Signore
e Salvatore Gesù Cristo, la Sapienza incarnata,
di Lui parleremo nei capitoli seguenti .
19
L'esperienza di Dio
di sant'Agostino
Sant’Agostino nacque a Tagaste, in Africa, nel 354. Trascorse una adolescenza inquieta sia
intellettualmente che moralmente, finché, convertito alla fede, nel 387 fu battezzato a Milano dal
vescovo Ambrogio. Ritornato in patria, condusse vita ascetica. Eletto poi vescovo di Ippona, divenne
esempio del suo gregge. Per 34 anni lo formò con i suoi numerosi discorsi e scritti, con i quali
combatté fortemente contro gli errori del suo tempo e illustrò sapientemnete la fede. Morì nell’anno
430. Il testo che presento, è tratto dalle Confessioni, celebre scritto, in cui Agostino in forma di
autobiografia raccontò a gloria di Dio quanto il Signore aveva compiuto nella sua vita..
Stimolato a rientrare in me stesso,
sotto la tua guida,
entrai nell’intimità del mio cuore,
e lo potei fare
perché tu ti sei fatto mio aiuto.
Entrai e vidi con l’occhio dell’anima mia,
qualunque esso potesse essere,
una luce inalterabile
sopra il mio stesso sguardo interiore
e sopra la mia intelligenza.
Non era una luce terrena e visibile
che splende dinanzi allo sguardo
di ogni uomo.
O eterna Verità e vera Carità e cara Eternità!
Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte.
Appena ti conobbi,mi hai sollevato in alto
perché vedessi quanto era da vedere.
Hai abbagliato la debolezza della mia vista,
splendendo potentemente dentro di me.
Tremai di amore e di terrore.
Mi ritrovai lontano come in una terra straniera,
dove mi pareva di udire la tua voce dall’alto
che diceva: “Io sono il cibo dei forti, cresci e
mi avrai. Tu non trasformerai me in te,
come il cibo del corpo,
ma sarai tu ad essere trasformato in me”.
Direi anzi ancora poco se dicessi
che era solo una luce più forte
di quella comune, o anche tanto intensa
da penetrare ogni cosa.
Era un’altra luce, assai diversa
da tutte le luci del mondo creato.
Non stava al di sopra della mia intelligenza
quasi come l’olio che galleggia sull’acqua,
né come il cielo che si stende sopra la terra,
ma una luce superiore.
Era la luce che mi ha creato.
E se mi trovavo sotto di essa,
era perché ero stato creato da essa.
Cercavo il modo di procurarmi la forza
sufficiente per godere di te, e non la trovavo,
finché non ebbi abbracciato
“il Mediatore fra Dio e gli uomini,
l’Uomo Cristo Gesù”,“
che è sopra ogni cosa,
Dio benedetto nei secoli” .
Egli mi chiamò e disse:
“Io sono la via, la verità e la vita”
e unì quel cibo, che io non ero capace
di prendere, al mio essere,
poiché“il Verbo si fece carne”.
Così la tua Sapienza, per mezzo della quale
hai creato ogni cosa, si rendeva alimento
della nostra debolezza da bambini.
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