INCONTRO
DEL
CARD.
CARLO
MARIA
MARTINI
CON
GLI
STUDENTI
DEL
PONTIFICIO
ISTITUTO
BIBLICO
(23
MAGGIO
2002)
Giovedì, 23 maggio 2002 (h. 21.00), su iniziativa del gruppo di studenti italiani, in
particolare del loro rappresentante P. Lorenzo Gasparro C.SS.R., è stato invitato all’Istituto
Sua Em. Rev.ma il Card. Carlo Maria Martini «per una conversazione e un dialogo a
proposito della Sacra Scrittura e della sua importanza nella vita del credente».Quello che
segue è il testo della «conversazione» stampato dagli studenti (e non rivisto dal cardinale)
e distribuito durante la messa d’inaugurazione dell’anno accademico (10.10.2002).
Introduzione:
“Benvenuto
fra
noi”
Gli incontri con le persone hanno sempre la forza di creare atmosfere belle, di
partecipazione e di condivisione. Ne sono testimonianza in un certo senso i nostri incontri
quotidiani. L’amico che ti chiede un favore, la persona che incontri per caso, la telefonata
che ti giunge all’improvviso, l’insegnante che ti spiega una cosa a cui non avevi mai
pensato. Ogni volta che si ascolta la vita se ne esce arricchiti dentro. E se al centro di
questo ascolto c’è un maestro che parla con autorità, che ti fa ardere il cuore mentre sei per
via, che ti chiama per nome e ti fa scendere subito dagli alberi, perché deve fermarsi a casa
tua, allora davvero l’incontro con lui appare diverso, coinvolgente. E la bellezza delle sue
parole ogni volta ci incanta. Non è mai vecchia la Parola di Dio!
E credo che sia per questo che siamo qui stasera, perché qualcuno ci dica che incontrare
una parola “viva”, quella di Dio, è un’esperienza di vita che parla al cuore. Che lasciarsi
prendere per mano da una presenza che ci accompagna come ha guidato i nostri padri e
come ha risuonato nella Chiesa degli Apostoli, è un’esperienza da fare, da ripetere e da
incoraggiare. Che, se alla porta c’è un Dio che bussa, si deve trovare il coraggio di aprire
questa porta. Ed è bello che questa sera in quest’aula, a lei e a noi studenti altrettanto
abituale, si ricrei in un’atmosfera davvero familiare uno scambio di idee, una proposta di
vita, un ascolto di esperienze. Riconosco come la mia voce da sola sia ben poca cosa per
darle stasera il benvenuto, ma le assicuro che la gioia d’averla qui tra noi è condivisa da
tutti quanti, non vogliamo sovraccaricare quest’incontro di un’importanza e di una
retorica che non ha, rovinerei con le parole rituali la bellezza che nasce dallo stare insieme,
dall’ascoltarci a vicenda, dal gioire del bene che ciascuno di noi compie laddove è
chiamato a vivere. Quest’incontro si inserisce nella semplicità del nostro cammino di studenti qui al PIB.
Un cammino, quello dei gruppi, che vuole animare la vita degli studenti, con incontri di
riflessione, incontri di preghiera, e anche incontri festosi. Il gruppo italiano che nell’anno
accademico che si sta concludendo è stato guidato con umiltà e intelligenza da Padre
Lorenzo Gasparro, Redentorista, che ha avuto non solo l’intuizione di invitare lei questa
sera, ma di portare avanti incontri significativi durante l’anno. Per la capacità di Lorenzo,
di comunione fra gli studenti italiani, e come significativo punto di collegamento fra tutti i
gruppi linguistici dell’Istituto, credo che sia giusto stasera pubblicamente ringraziarlo per
il servizio che ha svolto a beneficio di tutti.
Come lei sa, la vita dell’Istituto è fatta di un quotidiano che sa di fatica e di impegno,
ma che ha tanti aspetti umani e spirituali che ci fanno crescere: lezioni che si stemperano
nei semestri, volti che s’intrecciano, parole che risuonano, amicizie forti che nascono e
durano nel tempo, pazienze e gioie che il cammino scolastico di ciascuno comporta. Ma
tutto tende e inevitabilmente ci conduce all’incontro con quell’unica parola che non passa,
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di cui le nostre sono sempre un timido riflesso.
La gioia di condividere con lei questa serata, vuole essere per noi un aiuto: ascoltare la
Parola di Dio e anche il dono di sentirne risuonare la voce interiormente. È difficile dare
agli altri quello che fatichiamo ad accogliere noi per primi. Vorremmo che come per i due
di Emmaus, il Dio che parla al cuore divenga carburante per i nostri passi. Per questo le è
stato chiesto di parlarci non della Parola di Dio in generale, ma del suo rapporto con
questa parola, di come lei si è sentito sostenuto dalla parola che ha ascoltato, studiato,
approfondito, insegnato agli altri. Soprattutto di quelle volte in cui nella sua lunga
esperienza è stato testimone dell’efficacia di quell’effatà, che ogni volta dischiude
situazioni e persone fuori... , all’esperienza bella di un Dio che non ci abbandona. È vero!
Ogni pensiero è affascinante, ogni ragionamento interessante, ma quanto più lo divengano
quando trovano case nelle persone nelle esperienze e negli incontri. Davvero la
ringraziamo per il tempo che ci dedica e vorremmo in qualche modo ricambiare.
A nome di tutti quindi, vorrei formularle una richiesta e un augurio, la richiesta è che
non smetta di essere eco della parola; i suoi scritti e la sua testimonianza sono stati e sono
scuola per tanti, aiuto per capire che la parola è un tesoro inesauribile, che il Dio padre di
tutti non smette di educare il suo popolo. È bello trovare pastori che ci credano e lo dicano.
Nella sua vita sarà abituato a cambiare luogo, comunità e incarico. Forse ciò che non
cambia è questa presenza discreta e operante della Parola. Se può, continui ad essere una
cassa di risonanza, anche questo è stato un suo modo concreto di farsi prossimo. E ci
insegni ancora ad essere come lo scriba, non lontano dal Regno, che sa aprire il tesoro da
cui trarre cose antiche e cose nuove.
L’augurio per i suoi 50 anni di sacerdozio: riguardando la sua vita può apparirle come
un lungo rotolo di pergamena. I caratteri sono scritti molto vicini, le mani impiegate forse
più di una, il tempo può aver danneggiato la pergamena e non tutto le appare
chiaramente. Ma tutto deve restare così. Non ci è dato di cambiare il testo. Tutto quello che
si può fare, è costruirvi un apparato critico per vedere, con le note a piè di pagina, di
capire il più possibile il manoscritto. Auguriamo a lei, che di questa abilità è maestro, di
poter costruire nel tempo che verrà, un apparato per la sua vita, quei criteri che la stessa
parola, che l’ha sostenuta e l’ha accompagnata, sempre le fornirà. Su quella parola ha
gettato le reti, per la forza di quella stessa la pesca sarà abbondante. L’aiuti Maria di
Nazareth, la cui fede generosa, vissuta nel sabato santo, e la cui testimonianza e
intercessione hanno accompagnato il suo servizio pastorale. Grazie per la sua presenza,
grazie per la disponibilità, grazie se ancora vorrà tornare a farci visita.
L’intervento del Cardinale
Grazie vivissime di queste parole, grazie del vostro invito che ho accettato molto
volentieri, quando mi fu fatto per iscritto da p. Lorenzo, e grazie anche per la vostra
presenza questa sera.
Certamente per me è motivo di grande commozione di ritrovarmi qui in quest’aula,
nella quale sono stato prima studente dal ’54 al 56-57. Allora erano nostri grandi maestri p.
Zerwick, p. Lyonnet, figure per cui abbiamo una grande venerazione, un grande ricordo.
Poi dopo il mio superiore provinciale mi disse che se continuavo a studiare al Biblico, c’era
il pericolo che mi fermassero a Roma. Allora mi mandò in Gregoriana a preparare una tesi
in Teologia fondamentale. Insegnai 5 anni Teologia Fondamentale, ma poi ritornai qui nel
’62, mi pare, per insegnare anzitutto critica testuale e quindi ho un ricordo da allora di
quest’aula, non solo come studente fra i tanti, qualche volta anche un po’ assonnato, ma
come professore qui. Mi ricordo questa lavagna che utilizzavo moltissimo, perché ho
sempre creduto molto nella lavagna, nella quale si scrive lo appening dello scrivere nella
lavagna che crea quel senso anche di attesa, di suspense che ci vuole anche in una lezione.
E ho insegnato in momenti durissimi per il Biblico, perché erano gli anni 62-63-64, quando
era il massimo della crisi contro l’esegesi storico-critica.
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Il biblico sembrava dovesse naufragare. ricordo che quando mi chiamarono qui, io
pensavo: “Mi chiamano in una nave che sta per naufragare”, e abbiamo cercato di remare,
di resistere e così quei tempi sono stati superati. Ma io mi ricordo quando venni qui, nello
stesso anno p. Lyonnet e p. Zerwick avevano avuto il divieto di insegnare. Quindi era un
momento difficilissimo, in cui ammirai fortemente l’amore alla Chiesa di entrambi:
l’obbedienza umile. P. Lyonnet - ricordo - disse: “Bene! Io per tanti anni ho chiesto di fare
un anno sabbatico, mi viene dato. Ringrazio!” E questo umorismo riuscì a farci superare
quel momento molto molto difficile. E fu merito del nuovo Papa Paolo VI, di restituire
l’onore, la fiducia all’Istituto Biblico. Furono anche quelli del Concilio: quindi momenti di
entusiasmo e insieme di paura. Ricordo benissimo, padre Lohfink che adesso insegna in
questo semestre. Che in quell’anno, doveva essere il ’63, gli facemmo difendere la tesi alla
Gregoriana per avere il massimo numero di Padri conciliari nella grande aula d’ingresso.
E così dare un segnale d’interesse dei padri conciliari per l’Istituto Biblico. Difese
mirabilmente quella tesi, mi ricordo bene come andò. E vennero almeno 500 padri
conciliari. Questo fu un segno che nel concilio c’era attenzione per l’Istituto Biblico.
Ricordo un cardinale che entrando, disse una parola molto semplice: “Vengo per venire”.
Non era un interesse propriamente scientifico.
Quelli furono anni molto combattuti, ma molto belli perché a poco a poco la Dei
Verbum nacque in quegli anni. Io mi ricordo giorno dopo giorno le discussioni che si
facevano: i vescovi che venivano qui per consultarsi; i testi che si rivedevano. Ecco tutte
cose che la storia del Concilio non potrà scrivere se non in parte. Ecco quei fatti dettero
origine alla DV che fu appunto come una riaffermazione e conferma del cammino
dell’Istituto Biblico. Mi rimase molto impressa, anche se non ero per nulla padre
conciliare, né esperto, ma seguimmo giorno dopo giorno la formazione della DV e quando
diventai vescovo nel 1980, mi proposi, anche senza dirlo, come programma pastorale,
mettere in pratica in una Chiesa il capitolo VI della DV. E mi sembra un programma
pastorale straordinario che comporta tante conseguenze, che ha una base conciliare solida.
Tutte le vicende vissute qui, tra cui la seconda tesi che difesi qui all’Istituto Biblico in
quest’aula ancora. Tutto tremante anche se il professore ci confortava, dicendo:
“L’importante è trovare la sedia”.
Ricordo ancora come nacque quella tesi: nacque sull’erba, prendendo un caffé. Appena
arrivato qui comincia ad insegnare Critica Testuale nel 1963-64. Io andai a Münster a
frequentare i corsi di critica testuale del grande professore Aland, nella facoltà protestante
di Münster, mio grande maestro, ora già morto, l’autore del Nestle - Aland. Là abitavo dai
Gesuiti di Münster, vicino alla città. E scopersi che vicino alla casa dei Gesuiti abitava il
famoso esegeta Henri ... autore di un commento agli Atti, a quel tempo molto conosciuto.
E lui mi incitò una sera a prendere un caffé. Aveva un bel giardino sul prato, c’erano i
conigli che andavano da lui alla casa dei Gesuiti e tornavano. Mi disse prendendo il caffé:
“È uscito da poco l’edizione ormai a stampa del papiro Bodmer decimoquarto. Ho
guardato un po’ e mi sembra che quel papiro, è un po’ come il Codice B”. Io stavo
cercando un argomento di tesi, stavo lavorando su Giustino, le citazioni neotestamentarie
di Giustino. Facevo fatica.
Mi prese quell’idea e dissi: “Cominciamo a vedere”. Fino a quel tempo il codice
Vaticano 1209 greco, si riteneva frutto di una revisione dotta fatta ad Alessandria
nell’inizio del IV secolo e quindi un testo cosiddetto rivisto, una recensionale, chiamato
anche allora “esichiano”. Ma quest’ipotesi mi fece colpo e cominciai a dire. Ma vediamo
un po’ quest’idea, se è possibile elencare o provare i modi di verifica, se quest’idea fosse
vera che cosa dovrebbe verificarsi e che cosa non dovrebbe verificarsi nel Codice. Così con
quest’ipotesi cominciai ad esaminare il papiro in relazione al codice e scopersi che tutte
quelle caratteristiche che gli autori avevano ritenute redazionali nel Codice, erano due
secoli prima in Bodmer. Questo rompeva un mito della storia del testo. Una piccola cosa,
ma la gioia di essere riuscito a trovare una verità sulla storia del testo, provandola a
partire da un ipotesi, con una verifica che conducesse poi ad una conclusione scientifica
solida. Ecco questo mi fu di immenso aiuto perché mi servì per conoscere qual’è il
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processo di ogni conoscenza scientifica come si parte dall’osservazione dei dati, si fa
un’ipotesi, si danno le leggi di verifica, si fa la verifica e si giunge al giudizio o di
falsificazione o di verificazione. Questo fatto mi aiutò moltissimo, fu un’esperienza
straordinaria.
Ogni lavoro di tesi di laurea serve se è quest’esperienza, cioè dire “Ho trovato una
metodologia che è dentro di me e che mi guida”. Mentre ricordo che la prima tesi di laurea
che avevo fatto alla Gregoriana, era ancora fatta sul criterio quantitativo, cioè leggere il
massimo numero possibile di opere sull’argomento, cercare di sintetizzarle. Era un lavoro
quantitativo. Oggi con il computer tutti possono fare, cani e gatti. Allora occorreva battere
tutto a mano. Oggi invece credo il computer ha eliminato tutte quelle forme di lavoro
materiale che allora sembravano lavori scientifici, ma ci permette di mettere in luce su che
cosa si fonda una affermazione scientifica seria, con quale tipo di procedura vi si arriva. E
questo mi ha aiutato moltissimo, mi ha aiutato il modo di pensare le cose, di verificarle,
perché non vale soltanto per la conoscenza della critica testuale, ma di qualunque
conoscenza seria di vita.
Così ho insegnato un po’ in quegli anni, cominciando con Critica Testuale con molto
gusto, con molta passione, ma poi l’obbedienza mi ha chiamato prima ad essere decano,
poi dopo due anni rettore, poi, dopo nove anni di rettorato, rettore alla Gregoriana, e
allora certamente il lavoro scientifico si è un po’ bloccato. Adesso che ho quasi terminato il
servizio ecclesiale, se il Signore mi dà vita, conterei di ritornare al lavoro scientifico di
critica testuale, perché mi pare che sul tema della storia del testo greco nei secoli II e III, è
stato fatto poco. È un lavoro molto arido, un lavoro di retro cucina, non è neanche una
cucina. Pochi hanno voglia di farlo, invece a me piaceva perché dà il gusto del romanzo
poliziesco, bisogna trovare l’assassino. Bisogna fare un’ipotesi e vedere se la pista è giusta.
Quindi mi piacerebbe riprendere questo lavoro perché sono convinto che il lavoro che ho
fatto per oltre 22 anni come vescovo a Milano è un servizio di Chiesa, che avrà un suo
effetto, ma poi scompare, ci si dimentica. Mentre il lavoro scientifico fatto sui testi, può
servire, se è veramente serio, anche per le generazioni successive.
Penso che la Chiesa si serve in un modo e nell’altro. E io sono contento di averla potuta
servire in un modo e nell’altro, e se posso continuerò a servirla nel silenzio, nella preghiera
e nello studio scientifico. Questo per dirvi quanto mi ha dato il Biblico. Veramente se come
vescovo ho potuto far amare la Scrittura, era perché avevo dato tanto. Ricordo quando
venni al Biblico la prima volta, studente timoroso nel settembre 1954, avevo in mente
questo verso di Dante, che dice a Virgilio: “Vagliami il lungo studio e il grande amore che
m’ha fatto cercare lo tuo volume”. Ecco io applicavo questo al volume della Scrittura,
all’amore, al desiderio, quasi al fanatismo di capirne ogni parola, di penetrarne il senso di
gustarla e per questo mi piaceva tanto la critica testuale, perché prende le parole e le pesa,
le soppesa come parole analoghe, come varianti e quindi è come un gustare, un masticare
il testo. Ecco questa è l’esperienza che ho fatto e che mi ha permesso a Milano, in mezzo a tanti
problemi di amministrazione ecclesiastica, di continuare in qualche modo a servire la
Scrittura, prendendo come riferimento, come ho detto, il Concilio Vaticano II capitolo VI
del DV, e soprattutto quel punto dove dice: “Ogni cristiano deve acquistare una familiarità
orante con la Scrittura”. Quindi la Lectio Divina, non solo insegnare la Scrittura, l’esegesi,
ma imparare a pregare a partire dalla Scrittura. E in tutti questi anni in centinaia di
incontri con i giovani, con gli adulti, con gli esercizi spirituali con i non credenti ho cercato
sempre innanzitutto di pregare io a partire dalla Scrittura e poi di aiutare a pregare a
partire dalla Scrittura. Se resterà qualche cosa sono contento. Hanno fatto una celebrazione
in mio onore nel palazzo dello sport con rappresentanti di tutta la diocesi, e ho visto che il
tema che avevano ritenuto era proprio questo: “Sulla tua parola getterò le reti”. Quindi il
tema della Parola è entrato abbastanza, poi ci vogliono secoli evidentemente. Ogni
generazione deve riprendere questo tema.
Come vescovo ho fatto tre grandi esperienze di comunicazione della Parola.
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1) La Scuola della Parola per giovani, che ho cominciato a tenere in Duomo fin dai primi
mesi di episcopato, vedendo con sorpresa come i giovani riempivano sempre più il
Duomo fino ad essere fino a quattro, cinque , seimila ad ascoltare e non era né una
catechesi, né un’esegesi, ma un tentativo di mettere di fronte al testo biblico, perché
personalmente vi reagissero con una riflessione e una preghiera. Questo è continuato e
siccome il Duomo non bastava più abbiamo moltiplicato le chiese, si tiene in circa 50-60
chiese della diocesi ogni mese. Ora li conducono altri preti o laici, io non li seguo più, ma
mi pare che continua ancora anche se sono tutte cose che andrebbero ripensate. Io ho
sempre avuto il principio che quando una cosa va bene, bisogna troncarla, incominciarne
un’altra, perché quando va bene vuol dire che comincia l’abitudine.
2) Gli esercizi spirituali biblici sono l’altra grande esperienza che mi hanno dato molto.
Cioè ho dato in tantissime parti del mondo, non solo in diocesi, esercizi spirituali dove
ogni volta prendevo come tema, pur mantenendo la struttura di sant’Ignazio che mi è
molto congeniale, un libro o un personaggio della Bibbia: Davide, Abramo, Mosé, il
Vangelo di Marco, Paolo, Pietro. Cercando per una settimana di penetrare insieme agli
ascoltatori questo testo. E ho sempre voluto cambiare libro, proprio per non ripetermi,
perché è odiosissimo il ripetermi per me almeno, e l’idea era di essere stimolato ogni volta,
anche se non avevo tempo, a studiare molto, a mettermi di fronte a un nuovo libro biblico
e a cercare di penetrarlo non tanto in una lectio esegetica continua, ma cercando il
dinamismo interno di conversione che il libro suscita. E anche questo è un tipo di ricerca
interessante. Questa è una seconda esperienza che ho fatto in tante parti del mondo perché
ho cercato di dare almeno un corso nel mese di luglio, quando a Milano per il troppo caldo
non c’è più nessuno, quindi sono andato in Ciad, in Zaire, in Giappone, in Taiwan, in
Messico, in Venezuela, negli Stati Uniti, ogni volta dando un corso di esercizi, con un tema
diverso. In questo mi ha aiutato molto il vedere che pur parlando a culture diversissime da
Taiwan a Tokyo, a Guadalajara, a Caracas, in California, tuttavia la Scrittura parla
ovunque, cioè io non mi sono mai sforzato di fare chissà quale salto culturale. Mi sono
detto: “Prendo la Scrittura”, ma la Scrittura è così umana, così profonda, tocca così
profondamente le corde intime del cuore che viene ascoltata ovunque. Questa è stata
un’esperienza molto bella, arricchente e io stesso come dice san Gregorio Magno, ho
imparato molto spiegando così la Scrittura. Perché allora diventava nuova anche per me.
3) Una terza ed ultima esperienza che vi racconto e poi lascio a voi lo spazio per le
domande per conoscere voi, è stata la cosiddetta Cattedra dei non credenti, che non è di
per sé un’iniziativa biblica, ma che nasce dalla Scrittura. “Dice l’empio non c’è Dio”,
dunque ascoltiamo l’empio. Cioè chiamiamo in cattedra non credenti a spiegarci perché
non credono. Poi non facciamo con loro un dibattito o una conferenza apologetica,
cerchiamo di ascoltarci. Con la percezione che c’è in ciascuno di noi, almeno in me, una
duplice personalità: un credente e un non credente che continuamente fa obiezioni, pone
domande, problemi. Allora diamo voce pubblica e chiamiamo non quelli che vanno già in
Chiesa, quindi è proibito l’ingresso, diciamo, alle suore. L’ingresso era permesso solo per
persone in ricerca: non credenti. Ho avuto una sorpresa che quando facciamo questi
incontri c’è una fila per entrare già un’ora e mezza prima, per prendere il posto, benché
tutti sono fatti per inviti personali, quindi distribuiamo 2000 inviti per circa 1800 posti si
riempiono tutti. Adesso concluderò con l’ultimo incontro il 28 maggio, sempre in un
ambiente laico, in un’università statale, senza preghiere, perché molti non sono credenti,
né praticanti. Il tema, questa volta, sarà “Domande sulla Giustizia”, e io vorrei trattare il
tema “Quali domande sulla giustizia mettono in crisi la mia fede”. Quindi affronto un
problema grave per cercare insieme di inquietare le coscienze e di suscitare le risposte,
senza darle io possibilmente, ma inquietando la gente. Ho visto che questo modo di
parlare attira molti non credenti, perché non si sentono quasi accalappiati, ma si sentono
stimolati e quasi ascoltati.
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Ecco queste sono alcune cose che mi sono state suggerite dal contatto con la Scrittura e
mi hanno aiutato a parlare con la gente, ad ascoltarla, anche se uno giunto al termine del
suo cammino, uno si accorge che molto più sono le lacune, le cose non fatte, di quelle fatte
e per cui ho scritto l’ultima mia lettera pastorale, sulla triplex confessio: confessio laudis
ciò per cui ringrazio Dio, confessio vitae ciò di cui ho mancato e di cui chiedo perdono alla
mia gente, alla mia diocesi, confessio fidei ciò in cui confido per cui Dio ci aiuterà e
perdonerà. Questo per dirvi qualche cosa di sconnesso, ma frutto della mia esperienza. E
ora la parola alle domande per quanto posso.
Dibattito (domande varie e risposte del Cardinale)
[trascrizione non sempre molto chiara]
DOMANDA: Che cosa le ha dato il suo servizio di vescovo al suo modo di leggere la
Scrittura? Quale differenza ha trovato tra l’esegeta che legge la Bibbia e un vescovo che
legge la Bibbia? Quale contributo ha ricevuto l’esegeta dall’uomo di Chiesa?
MARTINI: Questa è una domanda molto profonda. Rispondo a flash. Non ho trovato
un salto difficile tra l’insegnamento dato all’Istituto Biblico e la spiegazione della Scrittura.
Non ho incontrato nessun contrasto. Ho trovato l’utilità di aver avuto la possibilità di
un’analisi critica approfondita dei testi. Quindi il poterne parlare con una certa cognizione
di causa e insieme ne ho percepito meglio il significato ecclesiologico, teologico, il contesto
vivo nel quale sono stati scritti. Per essere più concreto: mi hanno molto aiutato tre cose
che non erano presenti nell’insegnamento storico critico, ma permesse da quest’ultimo.
Primo: la percezione che “le pagine bibliche parlano di me”, cioè mi svelano, sono uno
specchio; essendo io stato creato nel Verbo, in questa Parola io sono chiarito a me stesso.
Difatti parlando ai giovani io ho detto molto volte: “Il punto in cui voi farete il giro di boa
sarà quando, leggendo, questa pagina evangelica, non direte: dice così e così, ma parla di
me! Dice qualcosa che io vivo, anzi mi spiega cosa mi sta succedendo”. Perché molti
giovani, come sapete meglio di me, sono confusi, non sanno chi sono, hanno mille tensioni
e pulsioni, non sanno ordinarle. Mentre le pagine della Scrittura con la loro ricchezza di
umanità e anche con le figure che presentano chiariscono. “Riconosco qualcosa di me nel
giovane ricco, in Pietro, in Davide”. Questo mi è stato aggiunto. Nel Biblico non lo
avevamo mai trattato, o almeno rapidamente. Quindi la Scrittura parla di me.
Secondo: “questa pagina parla a me”. Sentire l’appello che viene rivolta a me adesso da
questa pagina. Questa pagina l’ho studiata nella sua origine storica nella sua preistoria,
nella sua traditionsgeschichte, wertungsgeschichte. Ma questa wertungsgeschichte arriva
sino a me. E questa parola mi parla, mi interpella, mi chiama, mi sgrida, mi consola, mi
conforta. La teologia biblica ce ne aveva parlato in generale, averlo fatto capire ai giovani e
averlo capito io, mi ha aiutato molto. Quindi è una continuazione di quanto studiato
qui.
Terzo: “Questa pagina mi invita a rispondere”: la preghiera. Rispondere con dialogo
che è preghiera. Perché colui che mi parla in questa pagina, è colui al quale io posso
parlare familiarmente. Quindi senza nessuna interruzione di continuità, ciò che avevo
appreso al Biblico, mi ha aiutato a prolungare in questa triplice dimensione
d’insegnamento della Scrittura, guidando parecchie persone a orientarsi con la Bibbia, a
sentirsi interpellati dalla Bibbia e a pregare con la Bibbia, perché la DV ci chiede questo,
che si arrivi a pregare con la Scrittura.
Questo programma pastorale è immenso, perché aiutare tutto il popolo di Dio a pregare
con la Scrittura, comporta anni decenni, riprese continue, però quando uno arriva a
questo, come dice anche la Scrittura stessa, non ha più bisogno che nessuno gli insegni.
perché lui stesso ha trovato nutrimento. Questa è la novità che mi ha aiutato senza essere
in contrasto, e io ho verificato la parola di Gregorio magno che dice: “Molte volte
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spiegando la Scrittura, ho capito quello che non avevo capito solo studiando”. In questo
sono stato molto stimolato dagli esercizi biblici, che mi hanno aiutato a cogliere nei libri
biblici il dinamismo di conversione che contempla, e cercare di farlo emergere. Non è
soltanto la Parola, ma è un processo di conversione con tappe che il libro contiene e mi
propone. Questo nel Biblico era stato sì qualche volta enunciato e richiamato nella teologia
biblica, ma è solo facendone esperienza che uno lo vive direttamente.
DOMANDA: Quale la pagina biblica che più le ha parlato e più le ha rivelato se stesso?
MARTINI: È una domanda molto personale. Quando sono diventato vescovo, ho
dovuto scegliere un motto e non proviene dalla Bibbia, ma da Gregorio Magno che si
riferisce a un episodio biblico. Gregorio Magno nella Ars pastoralis, dice che bisogna avere
paura delle circostanze favorevoli e amare le circostanze sfavorevoli. Il motto mio è: “Pro
veritate adversa diligere”, cioè essere contento delle contraddizioni. Un motto molto utile,
perché viene a proposito. Gregorio lo riporta prima di Gv 6, poi dopo la passione. Quando
vennero per incoronarlo re, Gesù fuggì e si nascose; quando vennero per arrestarlo, si
presentò, insegnandoci che dobbiamo “pro veritate adversa diligere et prospera ...
declinare”. Questa è certamente una pagina che mi ha ispirato, ma se mi chiedi quale sia la
pagina che mi ispira di più, non saprei risponderti, in quanto sono tante ed è difficile
trarne una. La pagina che mi piacerebbe fosse scritta sulla mia tomba è: “Lampada per i
miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”. C’è un’altra parola evangelica che mi
dice molto, tenetela presente che vi sarà utile anche più tardi. È la pagina ripetuta tre volte
in Mt 6: “Il Padre vostro che vede nel segreto, vi ricompenserà”. Questa è una sintesi di
spiritualità biblica straordinaria e appunto dice che tutto dobbiamo fare di fronte al Padre
e basta. È una frase che ha un potere liberante straordinario. Non rispondo con una
risposta sola per dirvi che ci sono pagine veramente straordinarie che m’ispirano molto.
Certamente brani evangelici che sono stati per me di riferimento. Un brano evangelico
al quale personalmente ho fatto sempre riferimento e al quale ho ispirato le prime cinque
lettere pastorali, era il brano di Emmaus; perché è un brano sintetico di tutto il cammino
cristiano: dalla non conoscenza e dalla confusione alla progressiva chiarezza e
all’Eucarestia. L’ho preso come riferimento per i primi cinque anni di lettere pastorali,
riferendo ciascuna ad una parte di questo brano. La Bibbia è ricca, non possiamo ridurla;
però pagina chiama pagina e quindi dovrei menzionarne molte altre. Cercate la vostra
pagina biblica! Cercate il vostro salmo! Quello che vi parla di più, quello che vi fotografa
meglio! Io lo vedo quando mi consegnano le “regole di vita”. Noi abbiamo una tradizione
a Milano: i giovani dal 17° al 19° anno di età, chi lo desidera, sono un bel numero,
compiono un cammino con incontri nei decanati e nelle parrocchie, che si conclude con la
consegna al vescovo della regola di vita, scritta nel corso degli esercizi di tre giorni. Queste
migliaia di giovani che seguono questo itinerario vengono da me in Duomo e mi
consegnano una per una la loro regola. Io non le leggo tutte, ma quasi sempre sono
ispirate da qualche frase biblica. Questo vuol dire che hanno cercato la loro pagina della
Scrittura.
DOMANDA: Geremia ci invita ad andare tra la gente senza temere le conseguenze
dell’annuncio. Ma mi accorgo che i giovani vengono sempre meno nelle parrocchie. Forse
il problema sta negli “addetti ai lavori”, i quali temono di sporcarsi le mani tra la gente e
non sanno ascoltare chi gli sta di fronte con le esigenze che vivono.
MARTINI: Questo è un problema pastorale molto ampio, sul quale ci sarebbe molto da
discutere, che non ammette una risposta semplice, ma avrebbe bisogno di un’analisi molto
complessa. La difficoltà dei giovani a partecipare alla vita parrocchiale è sentita da tutti e
le radici di questo malessere sono da trovare in più parti. Io sottolineerei quest’aspetto:
non siamo noi a non portare il messaggio o a non trasmetterlo bene. Credo invece che sia
molto importante cercare di capire quali siano le domande vere che i giovani portano
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dentro. Non i giovani in generale, parola con cui s’indica una categoria puramente
biologica, ma queste persone che ho davanti. Io ho fatto un’esperienza molto interessante.
Ho scritto alcuni anni fa un testo che ho pubblicato in forma di lettera intestandola “Ai
giovani che non incontro”. Il titolo mi è stato suggerito da un incontro che appunto avevo
fatto. Alcuni giovani mi avevano detto: “Non è possibile incontrarci; dove era lei non
venivamo noi, e dove siamo noi non veniva lei”. Non c’era possibilità d’incontro.
Allora ho avuto l’infelice o felice idea, non so, di invitarli a scrivermi. Ho ricevuto molte
centinaia di lettere e ancora oggi continuo a riceverle da tutte le parti d’Italia, anche
dall’estero. Molti giovani ragazzi e ragazze che mi dicono: “Io andavo in Chiesa, ora non
la frequento più”. Ognuno ha una storia diversa. L’importante è cercare di capire che cosa
ha dentro, quali sono le sue domande non astratte (bisogno di senso), ma concrete; spesso
sono problemi di amicizia, di famiglia di affettività mancata, di confusione interiore, di
pregiudizi: ciascuno il suo. Per cui stare vicino, cercare di ascoltare e di decifrare, per me è
la prima regola. Di fatti noi abbiamo fatto un sinodo dei giovani a partire dalla giornata di
Torvergata di due anni fa. Abbiamo invitato tutti i giovani che avevano partecipato a
diventare, secondo la dizione del papa, “sentinelle del mattino”, cioè a farsi carico di
annunciare alla Chiesa, di che colore è il giorno che viene. E di farlo anzitutto attraverso
l’ascolto dei loro compagni, prima di tutto a coloro che non vanno in Chiesa. Sono stati
nelle carceri, nelle comunità di tossicodipendenti, hanno compiuto un bel lavoro di
ascolto. E hanno detto: “Questo ascolto ci ha dato la percezione di un metodo di
avvicinamento”. Perché non esiste la chiave che apre ogni cassaforte, perché la libertà
umana è inviolabile.
Occorre partire dalle domande che ci sono dentro. Se riesco a mostrare al giovane che le
domande interiori hanno in una pagina biblica una risposta concreta, incisiva, inattesa e
sorprendente, ho raggiunto già un obiettivo importante. Questo il suggerimento che io
darei: bisogna partire dalle domande e sapere che le domande hanno rispettivamente una
risposta concreta e incisiva che il giovane è chiamato a scoprire da solo personalmente,
altrimenti non serve. Ci sono momenti di riflessione in cui la persona è in ricerca, partendo
da questi si riesce ad aiutarla. Il progetto di pastorale biblica per i prossimi cinque anni
nasce da questa constatazione. Il frutto del sinodo dei giovani s’è concretizzato in un
libretto che raccoglie le loro esperienze e le loro proposte. Io ho mandato una risposta
basandomi sulla pagina di Zaccheo: “Gesù attraversava la città”. Non abbiate paura di
attraversare la città e di ascoltare per dare le risposte e vedremo, cercheremo di lanciare
anche questo, sapendo che è lo Spirito Santo che conduce e guida. Non esiste nessun
metodo a priori che abbia sicure condizioni di riuscita. Di giovani che cercano Dio, ce ne
sono ancora, giovani che desiderano compiere un cammino serio sono tanti, pur essendo
una minoranza. Ma è sempre stata una minoranza che ha diretto l’umanità. “Non temere
piccolo gruppo, perché è piaciuto darti il Regno”. Non spaventarsi di essere minoranza,
perché se siamo minoranza incisiva e decisa possiamo fare molto.
DOMANDA: La chiave fondamentale per leggere la Bibbia secondo lei?
MARTINI: La domanda per me è troppo semplice: non credo che ci sia una chiave. La
Bibbia stessa ci parla della Parola di Dio, è la Parola stessa che ci apre, non siamo noi ad
aprirla. È nella Bibbia che noi siamo contenuti. È la Bibbia stessa che è la chiave della
nostra vita. Io rovescerei la domanda. Fin dall’inizio quando ho scritto la seconda lettera
pastorale dal titolo: “In principio la Parola”, dove enunciavo la principalità della Scrittura,
partivo da questo: la Bibbia che ci rappresenta il mondo della Parola di Dio, è quella cosa
in cui noi siamo dentro e di cui non possiamo coglierne i limiti, che ci supera da ogni parte
e che ci contiene, che ci spiega, che ci interpella. Quindi qualunque approccio va bene,
purché lasci che la Bibbia, come Parola di Dio, mi spieghi, mi interpelli, mi dia una
risposta. Poi per ciascuno sarà diversissima l’apertura, l’ingresso. Questo lo vedo dalla mia
esperienza, le persone che ho conosciuto, vi sono entrate da cammini profondamente
diversi. Per cui preferirei dire: “La Bibbia ha la chiave della Bibbia”. È ciò che io devo
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scoprire con la Bibbia la chiave di me stesso. Il cardinale Bea da questa cattedra offriva una
risposta più pragmatica. Quando cominciava le lezioni di metodologia, diceva: “Sappiate
che la prima lingua orientale è il tedesco”.
DOMANDA: Il rapporto tra Bibbia, Chiesa e giudaismo. Ho l’impressione che
ultimamente la Chiesa negli ultimi documenti, soprattutto con questo ultimo (ndr: “Il
popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia Cristiana”), cerca di calmare gli animi e
ridimensionare le critiche che possono arrivare da parte del giudaismo, cercando di
mostrare solo quello che ci unisce. Mi sembra che manca un annuncio di Cristo, della
salvezza da un punto di vista biblico. Ci si è soffermati soprattutto sugli aspetti teologici e
dogmatici.
MARTINI: Sto lottando anch’io con questo tema. Sì, è vero che con l’ultimo documento
della Pont. Comm. Biblica, concede delle formule più larghe possibili per favorire la
comprensione, l’avvicinamento. C’è una frase che io non avrei mai osato dire, ma che
viene detta in una di quelle pagine: “In fondo dobbiamo ritenere che l’interpretazione
cristiana dell’AT è un’interpretazione, e che l’interpretazione ebraica ha anche la sua
legittimità”. Questa è la frase più concessiva che si può dire in un documento. Quindi la
stessa esegesi rabbinica ha continuato un’interpretazione legittima, prescindendo dal fatto
di Cristo. Per cui il momento storico è dovuto a:
Primo: nel passato abbiamo molto mancato nei confronti del popolo ebraico. Io, quando
leggo alcune omelie del mio predecessore s. Ambrogio, sono contento che siano in un
latino difficile. Così anche san Zenone e i padri di quel tempo affermavano delle cose
terribili. Noi oggi ci vergogniamo quasi un po’ di questo. Allora vogliamo soprattutto
sottolineare gli aspetti positivi e di continuità.
Secondo: questo è più grave. La shoa ha creato una coscienza “colpevole” in tutto il
mondo occidentale. Questo non lascia quasi respirare, perché qualunque cosa si dica, si
può sentire rispondere: “Ma voi avete fatto... Pio XII ha taciuto...”. Restiamo senza fiato.
Credo però che questo impedisca una maggiore scioltezza di dialogo. Del resto con la
guerra attuale tutto è interpretato strumentalmente, pro o contro. Come dicevo a tavola, è
il momento di Amos 5,13. Voi tutti sapete cosa significa, io devo dire che non lo sapevo.
Perché mi ha scritto, un mese fa circa, un amico ebreo dell’università di Gerusalemme,
raccontandomi le sofferenze e dicendo: “È il tempo di Amos 5,13”. Io ho rabbrividito e ho
dovuto andare a cercare: laken hamashkyl ba’et hahy’ yddom ky ’et ra’ah hy’ - “Il
prudente in un tempo come questo tacerà, perché è un tempo cattivo”. Questo è un punto
che dobbiamo tenere presente.
Tuttavia ho trovato delle formule molto belle in un professore che voi conoscete: un
ebreo di origine, un benedettino che insegna a Sant’Anselmo, Salmann: ha un libro grosso
in cui tratta il problema ebraico-cristiano e dice: “Gli ebrei sono destinati ad essere spina
gli uni per gli altri”. In senso positivo è inutile pensare di trovare una rappacificazione
completa; saremo sempre spina e stimolo, l’importante sarà viverlo non in forma
conflittuale, contraddittoria, ma amichevole e comprensiva. Sapendo che c’è una
differenza irriducibile e questa farà sì che loro saranno stimolo per noi e noi per loro se
riusciremo a vivere questo, in pace e in dialogo sereno; allora sarà molto bello. Ma non
essendo possibile adesso, allora Am 5,13 mi darà ragione.
Ma il punto sul quale mi interrogo molto, cercando di leggere abbastanza teologia
dell’Ebraismo: quanti tentativi di cercare il valore salvifico dell’ebraismo odierno, come
giustificarlo, quale missione. Ci sono tanti libri che danno l’impressione di arrampicarsi
sui vetri. Anche se dicono cose belle e interessanti. Forse non siamo ancora arrivati ad
avere il contesto di serenità, né la profondità teologica. Però certo la Chiesa deve molto
imparare dalle sue radici, perché sono convinto, come altri prima di me hanno sostenuto,
che il distacco plurisecolare della Chiesa dall’ebraismo, ha prodotto danni nella teologia,
non solo nella comprensione mutua, ma nell’approfondimento del dogma, nella
spiritualità. Questo è un lungo cammino che ci sta davanti. Dobbiamo soffrire un po’
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perché non abbiamo soluzioni facili. Chi offre soluzioni troppo facili, è da diffidare, perché
il problema è aperto. San Paolo stesso lo considerava aperto fino alla manifestazione
definitiva di Cristo. Dico sempre quando vado in visita pastorale che fino a una certa ora
un angelo buono è presente, poi scappa e viene un angelo cattivo.
DOMANDA: Visto che lei ha compiuto il percorso come allievo, professore in questo
centro e in seguito si è dedicato all’attività pastorale più direttamente. Quale consiglio ci
suggerirebbe a noi studenti e professori che stiamo approfondendo la Parola?
MARTINI: Anch’io avevo chiesto consigli e li avevo seguiti, ma poi dopo ho ritenuto di
seguire la mia strada; quindi è bene che ognuno tracci la propria strada. Quello che ci
hanno sempre detto, è che la base linguistica è fondamentale, di lingue antiche e lingue
moderne, senza questo non si può andare avanti. L’importante per me sempre andare alle
ragioni di fondo. Perché si afferma qualcosa, con quali ragioni? Se io rovescio la posizione
che cosa me ne viene? Per spiegarmi vorrei esprimermi con un episodio accaduto di un
padre gesuita che era stato preconizzato per insegnare al Biblico. Entrò nella Biblioteca e
vedendo tutta quella massa di libri si spaventò, dicendo: No, io non potrei mai fare questo
lavoro. Io mi dicevo: sarebbe bastato dirgli che la metà di questi libri sono stati scritti per
confutare l’altra metà. Per dire che non è l’accumulazione, anche se bisogna leggere molto,
leggere in fretta, imparare a farlo. Ma sempre domandarsi che cosa e chi ha valore. Perché
questo testo è significativo, perché questa interpretazione? Come si dimostra? Quali
ragioni per questo pensiero? Tendere molto di più a cercare le ragioni che non ad
accumulare le opinioni.
Ormai anche con il computer è facile fare queste accumulazioni di bibliografia, di
citazioni, ma poi gli autori veramente intelligenti e perspicaci non sono molti. Purtroppo
l’intelligenza è rara. Bisogna trovarla, scavare là dove ci sono veri segni di intelligenza. Ci
sono commenti che ripetono tutte le cose ovvie che già sappiamo e che non spiegano le
cose che veramente chiediamo al testo. Ci sono alcuni commenti che rispondono alla mia
domanda. Mi dice e quindi c’è molta differenza. Bisogna accuire la mente critica per
distinguere l’uno dall’altro. Allora uno guadagna in gioia, in tempo, in sintesi. Per questo
è necessario un’ampia lettura, cioè il contatto con i dati. Poi fare una cernita e stendere
delle ipotesi di lavoro, verificarle, questo suggerirei, ma a ciascuno il suo metodo.
DOMANDA: In generale la Bibbia ci insegna che la parola dei profeti ha messo spesso
in crisi e in difficoltà i profeti, per questo hanno avuto momenti di paura e di esitazione. Io
vorrei chiedere il suo rapporto con la Parola di Dio è stato sempre pacifico o ci sono stati
momenti dove la parola di Dio l’ha messo in crisi nell’annunciarla?
MARTINI: La Parola di Dio è un tormento. Mette sempre in crisi, io l’ho scritto anche
nell’ultima lettera pastorale facendo la confessio vitae, spiegando che cosa in questi anni
mi ha turbato o ho sbagliato. È l’angoscia di un responsabile di chiesa che continuamente
si domanda: ma noi stiamo davvero vivendo il Vangelo, lo stiamo mettendo in pratica,
non stiamo sbagliando? Questo è un continuo stimolo, ma non deve diventare una cosa
che non lascia dormire, altrimenti è peggio. Però la Parola di Dio mette sempre in
questione, scuote, inquieta. Magari in piccole cose, ma anche nelle vicende più grandi: ci fa
capire che abbiamo bisogno di misericordia. Non siamo all’altezza e la stessa Parola ci dà
questa misericordia, siamo peccatori salvati. Io meditavo stamattina, mentre celebravo la
Messa con tutti i vescovi italiani in San Pietro e io mi domandavo: “Che cosa ha a che fare
tutto questo con il Vangelo? Tutto questo ha a che fare con il Vangelo? Con l’uomo che è
stato crocifisso con la testa in giù”. Quello è il valore fondamentale di quel posto. Tutto il
resto ha un significato, perché poi la vita è complessa, ci vogliono tante cose, però la
Scrittura inquieta continuamente e non solo nel mettere in pratica il Vangelo in maniera
perfetta. Un’interpretazione rigorista porta al settarismo all’illusione, al delirio di
onnipotenza, e in fondo all’ipocrisia. È molto meglio dire “Questa parola m’interpella
cerco di fare quello che posso, so che i posteri diranno che ho sbagliato in tante cose, mi
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affido alla misericordia di Dio”. Questa è l’ultima parola evangelica: “misericordia per i
peccatori”.
In questo senso la Parola inquieta e pacifica. Pacifica quando riconosciamo che siamo
molto lontani e che c’è molto cammino da fare, e che l’ideale evangelico è sempre molto al
di là di noi e che tuttavia Gesù ha misericordia di me, non mi abbandona, non mi respinge,
piuttosto m’incoraggia, prende quel poco di buono che ho, lo fa lavorare. È importante
questo atteggiamento di fronte alla parola non solo per i profeti, ma anche per i sacerdoti
del NT e ogni cristiano si sente impari. Io confesso, quando devo spiegare un testo biblico,
anche se l’ho detto mille volte, la prima impressione è di paura e di estraneità. Questo
testo è così lontano da me come cultura, come lingua, come mentalità, come abitudini.
Devo mettermi a lottare come Giacobbe e solo a poco a poco mi parla, mi conforta, mi
chiarisce, proprio perché rimane lontano da noi, anche come ideale. “Come il cielo
sovrasta la terra, così i miei pensieri non sono i vostri pensieri”. Quest’esperienza la si fa,
ma non dovremmo viverla come il fariseo, ma come il pubblicano che dice: “Signore abbi
pietà di peccatore”. In tutto ciò che ho sbagliato correggimi. Sapendo che Gesù ha corretto
Pietro; Pietro ha sbagliato, Gesù lo ha corretto di nuovo e lo ha riabilitato. Quindi il
Vangelo di senso della debolezza umana e della misericordia divina che ci restituisce
giorno dopo giorno. Quindi l’esperienza dei profeti è vera. La si fa, ma non vorrei
fiscalizzarla in un sistema critico autosufficiente che presume di sé.
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incontro del card. carlo maria martini con gli studenti