Tre recensioni A di Giuseppina La Face Bianconi ndrea Chegai, professore associato nell’Università di Arezzo/Siena, coltiva il melodramma, la musica strumentale del Sette-Ottocento – ha curato di recente l’edizione critica delle opere strumentali di Bellini –, la didattica della Storia della musica. Per L’Epos di Palermo pubblica Maurice Ravel: i Concerti per pianoforte e orchestra, guida alla conoscenza di due composizioni eccelse, simili eppure assai diverse, che il musicista francese (morto nel ’37) scrisse fra il 1929 e il ’31: il Concerto in Sol e il Concerto per la mano sinistra. In apertura Chegai discute la fortuna della musica di Ravel, i motivi e i preconcetti che in una certa misura ne hanno frenato la recezione e offuscato l’irradiazione artistica. Nei quattro capitoli che seguono, conduce poi per mano il lettore nell’analisi dei due Concerti, non senza averli messi in rapporto con la produzione complessiva di Ravel e col panorama musicale coevo. Considera gli elementi strutturali e formali delle due composizioni, ne verifica i rapporti con la «forma-sonata», esamina l’impalcatura tonale: più limpida nel Concerto in Sol, più obliqua nel Concerto per la mano sinistra. Quest’ultimo fu concepito per un pianista viennese mutilato di guerra, Paul Wittgenstein (fratello del filosofo): la stesura s’intersecò con quella del Concerto in Sol, e pose al compositore sfide notevoli, non solo di natura artistica. Il libro di Chegai rappresenta un bell’esempio di didattica dell’ascolto, riflessione storica, approfondimento critico; è utile agli studiosi, agli studenti universitari, a chi voglia meglio conoscere l’opera raffinata e suggestiva del grande compositore francese. A un’altra opera prelibata di Ravel, i Trois Poèmes de Stéphane Mallarmé, ha dedicato un saggio delizioso Giorgio Pestelli, uno dei nostri massimi musicologi, critico musicale sensibilissimo, autore di lavori fondamentali sulla musica dell’età classica e romantica. Il libriccino deriva da un corso universitario: unisce dunque profondità di pensiero e chiarezza espositiva. In una prima parte Pestelli illustra per sommi capi la casistica dei possibili rapporti fra poesia e musica, come questa aderisca a quella, come riesca a tradurla in un diverso sistema semiotico. L’analisi di due Lieder di Goethe e Eichendorff musicati da Mozart e da Schumann dà lo spunto per chiarire, nel rapporto testo/ musica, il concetto di «imitazione»: il contenuto poetico «condiziona la fantasia del musicista, mobilitandone tutti i mezzi creativi, in modi e forme che senza la via segnata da quella poesia non sarebbero nati o avrebbero preso strade diverse». Nella poesia di Mallarmé e nel Simbolismo in genere, invece, l’imitazione cede il passo alla «sensazione» soggettiva, nella quale «ogni realtà può essere immagine di un’altra». Su questa base, Pestelli disseziona sia i tre componimenti di Mallarmé, Soupir, Placet futile e Surgi de la croupe (i primi due furono musicati anche da Debussy), sia l’intonazione di Ravel: veniamo così introdotti nelle finezze e nelle sottigliezze di queste composizioni, nelle quali il suono sonorizza il silenzio, il timbro si erge a signore dell’elocuzione, la concentrazione artistica si condensa nell’attimo. Una lezione magistrale. Insieme con Puccini, la Giovane Scuola – lo sanno tutti – rappresentò l’ultima fiammata del melodramma italiano su scala europea. Massimo Zicari, docente di Storia della musica nel Conservatorio della Svizzera italiana (Lugano), lavora da anni sulla fortuna dell’opera italiana in Inghilterra durante la Belle Époque. Un primo frutto della ricerca è The Land of Song, antologia di critiche dell’ultimo decennio dell’Ottocento: il nome più importante è beninteso quello di G.B. Shaw, drammaturgo e critico musicale. Zicari illustra la perdurante infatuazione per il belcanto del pubblico inglese, tutto fuorché flemmatico: a LonMaurice Ravel dra, dove le opeè al centro del libro re (anche le tededi Giorgio Pestelli sche e le francesi) venivano di norma cantate in italiano, drammi musicali irruenti e sanguigni come Cavalleria rusticana e Pagliacci fecero furore a primo colpo. ◼ Andrea Chegai, Maurice Ravel. I Concerti per pianoforte e orchestra, Palermo, L’Epos, 2008 («Quadri di un’esposizione», 2), 241 pp., con 6 tavv. f.t., ISBN 978-88-8302-369-9, euro 21,80 Giorgio Pestelli, I «Trois Poèmes de Stéphane Mallarmé» di Maurice Ravel. Poesia e musica alle origini della modernità, Torino, Trauben, 2008, 63 pp., ISBN 978-88-89909-362, euro 14 Massimo Zicari, The Land of Song. La «Terra del Belcanto» nella stampa londinese di fine Ottocento. Una raccolta di testi critici tra 1890 e 1900, Bern, Peter Lang, 2008 («Varia Musicologica», 11), 266 pp., s.i.p. carta canta / libri carta canta — 47 libri 48 — carta canta Un colossale «Patalogo 31» agli studiosi (finalmente, a giudicare dalle bibliografie delle tesi di laurea, se n’è accorta anche l’Università) è il frutto di un colossale lavoro che occupa per più di metà anno l’instancabile redazione – della quale si vogliono nominare qui, oltre alla direttrice esecutiva Barbara Panzeri, almeno Damiano Pignedoli e Antonella Cagali – guidata con inesausta energia dallo stesso Quadri e coadiuvata dall’impeccabile immaginazione grafica di Andrea Lancellotti. Il numero 31 però riserva anche un’altra gradita sorpresa. La sua parte speciale infatti presenta una dettagliatissima panoramica sulla «Nuena Hispanidad». Grazie algni anno sembra che abbia raggiunto il massimo la competenza dei due curatori – la regista romana Maper ricchezza, documentazione, approfondimennuela Cherubini, to. E l’anche proprio grazie no successivo ina un autore spagnovece ritorna ancora lo, Juan Mayorga, si più ricco, documenè aggiudicata il Pretato e approfondito. mio Ubu 2008 per il Parliamo del Patalonuovo testo straniego, l’annuario del tero (cfr. il box poco atro edito da Ubulisotto), e lo studioso bri e giunto alla sua e drammaturgo mitrentunesima edilanese Davide Carzione. Unico nel panevali – è possibinorama editoriale le scoprire dramitaliano (e non solo), maturgie e pratiche il volume attraverso sceniche del vasto e le sue sezioni storifrastagliato mondo che – il Repertorio di lingua castigliadi un anno, i Festina. Il viaggio, caval italiani e interdenzato dalle lettenazionali, la Vetrire dell’alfabeto, parna dedicata a conte proprio dalla pevegni, mostre, prenisola iberica, con mi e libri di ambila compagnia mato teatrale – traccia drilena Animalaun racconto – o merio, e procede senglio, come è già staza soste andando to detto, una vera e ad abbracciare intepropria «drammare città, come la diturgia» – della stanamica Buenos Aigione che prende res, dove la ricerca è in esame, fornenin pieno fermento e do, oltre al sempre dove lavorano «teapiù accurato monitristi» come Rafael toraggio di dati speSpregelburd e Daniel Veronese. cifici su tutto quanto è andato Il Patalogo promuove ogni anno i Premi Ubu, il più Si ritorna poi in Europa con due in scena, una chiave di lettura ambito e prestigioso riconoscimento delle scene dei protagonisti della scena spache spazia dalle dichiarazioni di nazionali. Quest’edizione – la cui serata finale è stata gnola contemporanea, il valenpoetica all’antologia della critiospitata nella suggestiva cornice della Fondazione Arnaldo Pomodoro – ha visto la votazione, pubblicata ciano José Sanchis Sinisterra e ca, impreziosite dalle magnifisulle pagine dell’annuario, di 55 critici teatrali. Questi il già citato Juan Mayorga. In un che immagini che corredano le i vincitori delle varie categorie. Spettacolo dell’anno: alternarsi di inquadramenti stomoltissime pagine (che questa Trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni, regia di Toni rico-critici e lunghi brani dove volta hanno raggiunto il numeServillo (Teatri Uniti); Miglior regia: Massimiliano Civica per Il mercante di Venezia; Miglior scenografia: a parlare sono gli stessi artisti, ro record di 480). Ma il Patalogo Marius Nekrosius per Anna Karenina; Miglior attore: lo Speciale dà conto dell’enorè molto più di un annuario, perAlessandro Bergonzoni per Nel; Miglior attrice: me vitalità teatrale di paesi a noi ché non si limita a uno sguarMascia Musy per Anna Karenina; Miglior attore non lontani come Cile, Cuba e Mesdo retrospettivo sull’esistente, protagonista: Paolo Pierobon per Anna Karenina; Miglior attrice non protagonista: Elena Ghiaurov per sico, isolando per ciascuno di ma anzi offre un’analisi articoItaca/L’antro delle ninfe; Nuovo attore o attrice (under essi le situazioni e i personaglata delle tendenze in atto, spes30): Chiara Baffi; Nuovo testo italiano o ricerca gi più rappresentativi. (l.m.) ◼ so anticipandole e portandole drammaturgica: La badante di Cesare Lievi; Nuovo alla luce. Creato nel 1977 dalla testo straniero: Hamelin di Juan Mayorga; Miglior spettacolo straniero presentato in Italia: Fragments fervida mente di Franco Qua(da Samuel Beckett, regia di Peter Brook, Théâtre dri, questo libro essenziale per des Bouffes du Nord, Parigi); Premi speciali infine chiunque si interessi al teatro, al Festival Drodesera, ai Sacchi di Sabbia e al gruppo dagli artisti agli addetti ai lavori Pathosformel. Lo Speciale indaga le scene della «Nuena Hispanidad» O carta canta / libri libri Il «Manuale» di Corrado Balest L è una scuola di intolleranza perché chi la cerca deve escludere e odiare tutto ciò che non le appartiene; ma questa non è che la prima fase, poi deve regnare il concetto che non vi è norma per trovarla e che i più diversi sentieri possono portare a lei, e che tutto è lecito e possibile; per questa via del linguaggio si ritrova la teoria della tolleranza, bene supremo della convivenza, insuperata finezza, vero contrario di ciò che è rozzo e feroce». Queste parole appartengono al secondo capitolo di un prezioso libricino uscito negli ultimi tempi per i tipi di Angelo Colla Editore, il Manuale di Corrado Balest, pittore di fama che molti anni or sono ha scelto Venezia come patria artistica d’adozione. In realtà questo originale volumetto ha già quasi diciassette anni di storia, dato che nasce in tiratura limitatissima (150 copie) nel 1992, pubblicato dal novarese Galileo International Editore. La nuova ristampa, curata da Cristina Beltrami, Martina Massaro e Chiara Romanelli, permette a chi se lo fosse perso di entrare nel mondo magico che Balest suggerisce a un ipotetico artista ven- « a pratica dell’arte tenne, che – ricalcando i suoi stessi passi – si trovasse a vivere e operare a Venezia in un non meglio precisato momento della storia. Diviso in tre parti – e introdotto da una lirica di Andrea Zanzotto, Colori veri, colori falsi – compone un prontuario ironico e autobiografico per tutti «coloro che sono spinti da naturale inclinazione verso l’arte», come recita il sottotitolo. Scorrevole ed estremamente concreto, il Manuale – che Lionello Puppi nella sua introduzione definisce con dotta arguzia «autoritratto dell’artista “da cucciolo”» – è ora riproposto grazie ad alcuni amici dell’autore: Eugenio Bernardi, Lisa e Jacopo Fasolo, Anna Malatesta, Annie e Roberto Ruggerone. Contrappuntato nella parte sinistra di parche e deliziose linee che disegnano corpi femminili sensuali e allo stesso tempo materni, si divide in tre parti – «Pratica del mondo», «Pratica dell’arte» e «Comportamento» – e ritrae con maestria usi, costumi, inclinazioni e tendenze che dominano l’arte e il suo contorno. Tra consigli su posture, abbigliamento, comportamenti da tenersi, esortazioni ad allenare continuamente la fantasia, sotterfugi e ammonimenti pratici, oltre a riflessioni tecniche e autorevoli sull’arte, il Manuale si svela apertamente come un sagace gioco intellettuale che non perde però il valore aggiunto del passaggio di conoscenze, attraverso una sottile analisi della mente umana e uno sguardo disincantato e divertito. (l.m.) ◼ ristorante e caffetteria Situato al pianterreno di Palazzo Querini Stampalia, il nuovo Qcoffee si apre in un incantevole giardino interno: armonico equilibrio d’acqua, pietra e verde progettato alla fine degli anni ‘50 da Carlo Scarpa. Gestito da Mariagrazia Cassan e Guglielmo Pilla, il caffè ristorante, disegnato da Mario Botta, offre i suoi servizi non solo a chi frequenta le mostre, il Museo e le attività della Fondazione Querini Stampalia, ma a chiunque desideri rilassarsi in uno spazio speciale. Lo chef prepara specialità della cucina tosco/veneta e piatti di pesce, anche crudo. Ampia selezione di vini dall’Italia e dal mondo. Qcoffee Fondazione Querini Stampalia - Santa Maria Formosa Castello 5252 VENEZIA 041 0991307 [email protected] chiuso domenica sera e lunedì by la colmbina Enoteca Ristorante La Colombina Via Contessa Beretta, 31 Villanova di Farra, Gorizia 0481 889061 [email protected] chiuso martedì sera e mercoledì carta canta / libri carta canta — 49 libri 50 — carta canta dischi Anthony Braxton Le «Big Guns» di Gianluca Petrella e l’Italian Instabile Orchestra I di Giovanni Greto carta canta / dischi l quindicesimo titolo della giovane etichetta barese «Au- and Records. Avant gard Contemporary Jazz», presenta per la terza volta, e speriamo che non sia l’ultima, una coinvolgente incisione del trentatreenne trombonista pugliese, primo artista italiano a vincere nel 2006, con immediata conferma nel 2007, il celebre Critic’s Poll della rivista americana «Down Beat». Il disco, registrato in una notte di novembre del 2007 al Forum Music Village di Roma, contiene dieci composizioni originali, estratte prevedibilmente da un lunghissimo set di improvvisazione, che sarebbe interessante veder riprodotto in dvd e non solo limitato ai circa 47 minuti stampati. Il brano di apertura, «Landscape», ricorda, come dice il titolo, proprio quei paesaggi sonori inventati da Brian Eno negli anni settanta e che, purtroppo, avrebbero dato vita, in seguito, a quelle composizioni melense etichettate come «New Age». Petrella utilizza una serie di effetti che modificano radiGianluca Petrella calmente la sonorità naturale del trombone. Salis si inserisce qua e là con parsimonia al pianoforte, mentre Previte usa i mallets, ossia le bacchette rivestite in feltro nella punta, sui timpani della batteria, la cui pelle è tenuta più allentata, rispetto a quelle degli altri tamburi, per ottenere dei suoni molto profondi. Nel brano si respira un’atmosfera sospesa, quasi panica, che potrebbe ben sottolineare l’inizio di un thriller d’autore, e che nella scaletta è forse pensato per mantenere viva l’attenzione dello spettatore che ancora non sa come si svilupperà il discorso musicale. Dal brano successivo «Twilight zone», i tre cominciano a dar spazio alla loro creatività, che nasce soprattutto da un intrigante rispetto reciproco. Ascoltiamo episodi di free sanguigno, che ci riporta agli anni in cui esso si sviluppò come scelta espressiva rivoluzionaria e ci fa piacere che una generazione di musicisti relativamente giovane se ne impossessi in una società nella quale la voglia di lottare per una giusta causa ha lasciato spazio a un pericoloso individualismo qualunquista. I tre proseguono con un’energia sempre crescente e una capacità di controllo che si traduce in un saggio saliscendi dinamico. Recentemente avevamo apprezzato Previte e Petrella in una lunghissima improvvisazione a Padova, chissà che il futuro non ci riservi di vedere all’opera il trio al completo. ◼ «Big Guns» (Auand Records) Gianluca Petrella, trombone, effetti, melodica Antonello Salis, pianoforte, organo Hammond, Fender Rhodes Bobby Previte, batteria A quasi diciannove anni dalla sua fondazione, da un’idea del trombonista pugliese Pino Minafra, l’Italian Instabile Orchestra si dimostra più agguerrita e in forma che mai sotto la direzione di uno tra i musicisti creativi per antonomasia della storia del jazz, il sassofonista e compositore americano Anthony Braxton (4 giugno 1945, Chicago, Illinois), assieme al quale suscitò un indescrivibile entusiasmo al festival jazz di Bolzano nell’estate del 2007. Questo tredicesimo cd della collana «Tracce» di Rai Trade, lanciata e curata da Pino Saulo, ripropone, con una qualità acustica impeccabile per nitidezza e splendore, il concerto del 16 giugno. Non sembra essere facile riuscire a spiegare il proprio pensiero musicale e non solo – ricordiamo che Braxton ha frequentato anche corsi universitari di filosofia – a una serie di musicisti che non sono solo dei semplici accompag natori, bensì provengoItalian Instabile Orchestra no da svariati contesti, nei quali spesso rivestono un ruolo di protagonista. Eppure tutto ciò è avvenuto, almeno a un primo ascolto, con apparente semplicità, lavorando su spartiti che non contengono note musicali, ma soprattutto disegni, diagrammi, per spiegare quando un solista deve intervenire e in che posizione spaziale deve collocarsi. Sei le tracce del cd, ma le composizioni, tutte con titolo numerico, secondo la consuetudine del leader, sono in realtà 4, soltanto che la n. 92 e la n. 164 sono divise in due parti, eseguite non consecutivamente. Il concerto si gusta dall’inizio alla fine senza fatica, senza cali di interesse, assaporando i numerosi assolo, a partire da quelli di Braxton al sax alto e al sopranino, ossia il soprano non diritto ma ricurvo, pur se di dimensioni ridotte. Proprio nel brano di apertura, vicino all’organizzazione compositiva di certa musica contemporanea, ma con guizzi repentini di ogni strumento che tendono a spezzare l’ordine e a rifuggire dal compitino, dopo una serie di suoni acuti dei due archi, delle trombe sordinate e di fiati sullo sfondo che conferiscono un’atmosfera misteriosa, a un certo punto interviene uno stop, che dà il via a un assolo di quaranta secondi al contralto, ricco di sonorità simili a quelle del verso di un’anatra, da parte di Braxton. I musicisti ricevono così una scossa, uno stimolo, che induce quasi a una rincorsa reciproca che si conclude con uno stop finale, perfetto per rilanciare il brano successivo. (g.g.) ◼ Creative Orchestra (Bolzano) 2007 (Rai Trade) Anthony Braxton, direzione, alto sax, sopranino sax; Alberto Mandarini, tromba; Guido Mazzon, tromba; Pino Minafra, tromba; Lauro Rossi, trombone; Giancarlo Schiaffini, trombone; Sebi Tramontana, trombone; Martin Mayes, corno francese; Eugenio Colombo, alto sax, flauto, flauto basso; Gianluigi Trovesi, alto sax, clarinetto in mi bemolle; Daniele Cavallanti, sax tenore; Carlo Actis Dato, sax baritono; Emanuele Perrini, violino; Paolo Damiani, violoncello; Umberto Petrin, pianoforte; Giovanni Maier, contrabbasso, Vincenzo Mazzone, batteria (canale destro); Tiziano Tononi, batteria, percussioni (canale sinistro) carta canta — 51 dischi – libri S embra un viaggio all'interno della propria storia, quel- lo che costruisce Dany Greggio nei sedici brani del disco che prende il titolo dal suo nome. Un viaggio dove però i personaggi si infittiscono e le parole cambiano di ritmo come le melodie, per scortare l'ascoltatore in un tragitto che parte da Venezia (l'iniziale «Serenata a seconda» recita: «Tra le barene/Scivolando sullo specchio di laguna/Arriveremo a San Francesco del deserto/E lì io ti sposerò»), e procede come un’onda a convocare atmosfere lontane nel tempo e nello spazio, paesaggi urbani fitti di desolazioni – come la metropoli di «Natale a Milano»: «Questa piazza così piena/Mi lascia un vuoto che fa pena/ Inno alla pubblicità/Stuprare il cuore alle città/Renderle solo vanità/È un'abitudine» –, e di un'umanità spesso dolente e frantumata. In questi molteplici e variegati ritratti si scorge però sempre l’impronta personale del musicista, che – accompagnato dal contrabbasso di Andrea Alessi e dal vibrafono di Vincenzo Vasi (che non disdegna di utilizzare anche uno strumento colto e affascinante come il theremin) – conduce abilmente per mano chi ascolta all'interno del percorso. Si può dire, rubando la definizione a Sandra Mangini, che l’ha coniata appositamente per questo lavoro discografico, che siamo in presenza di molteplici «travestimenti», dove si annida sotto mentite spoglie la sensibilità talvolta stupita dell’artista. Travestimenti che tradiscono ascendenze letterarie e musicali, sedimentate e rielaborate autonomamente, e allo stesso tempo denunciate qua e là dalle dediche sparse a Luciano Bianciardi (alla cui Vita agra si ispira l'inquieta e incalzante «Sono qui»), Bernardo Soares, Alvaro de Campos... In questa plurisemanticità, dove sovente i segni si sovrappongono e l’ironia con il suo ghigno tagliente occulta i messaggi più diretti e riconoscibili, trova comunque sempre spazio il tema dell'amore, attraverso i volti e le situazioni più disparate. E l'esperienza sentimentale, tratteggiata con voci di volta in volta diverse a raccontare storie altrettanto diverse e irripetibili, prorompe puntualmente e sembra divenire il filo rosso che lega tra loro le tante anime presenti. Un amore però che ha ben poco di solipsistico e compiaciuto, ma che anzi ricorre la maggior parte delle volte alla seconda persona, quel «tu» che in fondo è il vero protagonista dell'intero album, come appare chiaro da uno dei brani più belli, «I tuoi vestiti»: «I tuoi vestiti son segno del tempo vissuto che sei/Una pelle di stoffa che veste la pelle che hai/Dove l'anima cuce, si scuce e ricuce ogni dolor/Poi rivela il sentiero del tuo cercare l'amor /Dove l'anima viaggia attraverso gli odori e gli umori/Di chi sa sporcarsi, piacersi o legarsi nell'intimità». (l.m.) ◼ Dany Greggio & The Gentlemen, con libretto a colori illustrato da Gianluigi Toccafondo, NdA Press, 16 euro L’«Ode in morte della musica» di Gino Castaldo N di Andrea Oddone Martin ecessità: forza superiore al desiderio e al vole- re degli uomini, che ne determina l’azione. Quale necessità corrisponde alla musica attuale? Gino Castaldo, nel suo Il buio, il fuoco, il desiderio. Ode in morte della musica (Einaudi) denuncia l’odierna immobilità della creatività musicale, impastoiata tra le lusinghe tentatrici e devianti dello «sviluppo» tecnologico, immersa nell’acqua stagnante di un pensiero impantanato nella sua entusiastica falsa riproducibilità, ingenuamente e instancabilmente perseguita. Vogliamo ricordare la ferma avversione di uno degli ultimi eredi della grande interpretazione europea, Sergiu Celibidache, alla vacuità della riproduzione meccanica? Decisamente anacronistica la sua resistenza, contro i propri profitti: non è più l’epoca di princìpi. E allora di cos’è questa epoca? Una denuncia frastagliata e dettagliata quella di Castaldo, trasversale nella sua completezza. Si va da Mozart alla nutrita schiera di richiami ai capisaldi del pop e del rock storico, al grande jazz, che diventa anch’esso la vuota maschera di se stesso. «Simulacri», li chiama Castaldo, simulacri che «cercano di convincerci che la differenza tra una cosa e la sua rappresentazione è diventata così sottile da essere irrilevante. È la società reale a essere popolata di simulacri, pericolosi proprio perché fingono di non esserlo». L’analisi della contemporaneità è sottile e finalmente spietata, i continui riferimenti all’antropologia musicale fanno da contraltare alla desertica geografia dell’arte musicale nel XXI secolo. «Il nuovo ordine mondiale non ammette deroghe» afferma Castaldo: «La scomparsa delle ideologie fa sì che la strutturazione sociale del mondo occidentale, ovvero le presunte democrazie, non sembrino più frutto di un pensiero, quanto piuttosto un ordine naturale delle cose, e per questo non discutibile, e quindi privato del suo possibile futuro». Quanto siamo ormai lontani dagli «infiniti possibili» di Luigi Nono, molto di più dell’effettiva distanza cronologica. Anela alla morte della musica, Gino Castaldo, alla morte e quindi alla rinascita, alla riscoperta della necessità nella musica. Lo fa con un grido che fa tremolare la melassa politically-correct che impiastriccia i nostri tempi, voce tra le poche che, coraggiosamente, cercano di scuotere il sonno diffuso delle coscienze. ◼ Gino Castaldo, Il buio, il fuoco, il desiderio. Ode in morte della musica, Einaudi, Torino 2008, pp. 155, 11.50 euro carta canta / dischi – libri I travestimenti di Dany Greggio