Tre recensioni
A
di Giuseppina La Face Bianconi
ndrea Chegai, professore associato nell’Università di Arezzo/Siena, coltiva il melodramma, la musica strumentale del Sette-Ottocento – ha curato
di recente l’edizione critica delle opere strumentali di Bellini –, la didattica della Storia della musica. Per L’Epos di
Palermo pubblica Maurice Ravel: i Concerti per pianoforte e orchestra, guida alla conoscenza di due composizioni eccelse,
simili eppure assai diverse, che il musicista francese (morto nel ’37) scrisse fra il 1929 e il ’31: il Concerto in Sol e il
Concerto per la mano sinistra. In apertura Chegai discute la fortuna della musica di Ravel, i motivi e i preconcetti
che in una certa misura ne hanno frenato la recezione e offuscato l’irradiazione artistica. Nei quattro capitoli che seguono, conduce poi per mano il lettore nell’analisi dei due
Concerti, non senza averli messi in rapporto con la produzione complessiva di Ravel e col panorama musicale coevo. Considera gli elementi strutturali e formali delle due
composizioni, ne verifica i rapporti con la «forma-sonata», esamina l’impalcatura tonale: più limpida nel Concerto in Sol, più obliqua nel Concerto per la mano sinistra.
Quest’ultimo fu concepito per un pianista viennese mutilato di guerra, Paul Wittgenstein (fratello del filosofo): la
stesura s’intersecò con quella del Concerto in Sol, e pose
al compositore sfide notevoli, non solo di natura artistica.
Il libro di Chegai rappresenta un bell’esempio di didattica
dell’ascolto, riflessione storica, approfondimento critico; è
utile agli studiosi, agli studenti universitari, a chi voglia
meglio conoscere l’opera raffinata e suggestiva del grande
compositore francese.
A un’altra opera prelibata di Ravel, i Trois Poèmes de Stéphane Mallarmé, ha dedicato un saggio delizioso Giorgio Pestelli, uno dei nostri massimi musicologi, critico musicale sensibilissimo, autore di lavori fondamentali sulla musica dell’età classica e romantica. Il libriccino deriva da un
corso universitario: unisce dunque profondità di pensiero
e chiarezza espositiva. In una prima parte Pestelli illustra
per sommi capi la casistica dei possibili rapporti fra poesia e musica, come questa aderisca a quella, come riesca a
tradurla in un diverso sistema semiotico. L’analisi di due
Lieder di Goethe e Eichendorff musicati da Mozart e da
Schumann dà lo spunto per chiarire, nel rapporto testo/
musica, il concetto di «imitazione»: il contenuto poetico
«condiziona la fantasia del musicista, mobilitandone tutti i mezzi creativi, in modi e forme che senza la via segnata da quella poesia non sarebbero nati o avrebbero preso
strade diverse». Nella poesia di Mallarmé e nel Simbolismo in genere, invece, l’imitazione cede il passo alla «sensazione» soggettiva, nella quale «ogni realtà può essere
immagine di un’altra». Su questa base, Pestelli disseziona sia i tre componimenti di Mallarmé, Soupir, Placet futile e
Surgi de la croupe (i primi due furono musicati anche da Debussy), sia l’intonazione di Ravel: veniamo così introdotti nelle finezze e nelle sottigliezze di queste composizioni, nelle quali il suono sonorizza il silenzio, il timbro si erge a signore dell’elocuzione, la concentrazione artistica si
condensa nell’attimo. Una lezione magistrale.
Insieme con Puccini, la Giovane Scuola – lo sanno tutti
– rappresentò l’ultima fiammata del melodramma italiano
su scala europea. Massimo Zicari, docente di Storia della musica nel Conservatorio della Svizzera italiana (Lugano), lavora da anni sulla fortuna dell’opera italiana in Inghilterra durante la Belle Époque. Un primo frutto della
ricerca è The Land of Song, antologia di critiche dell’ultimo
decennio dell’Ottocento: il nome
più importante è
beninteso quello di G.B. Shaw,
drammaturgo e
critico musicale. Zicari illustra
la perdurante infatuazione per il
belcanto del pubblico inglese, tutto fuorché flemmatico: a LonMaurice Ravel
dra, dove le opeè al centro del libro
re (anche le tededi Giorgio Pestelli
sche e le francesi) venivano di
norma cantate in
italiano, drammi musicali irruenti e sanguigni come Cavalleria rusticana e Pagliacci fecero furore a primo colpo. ◼
Andrea Chegai,
Maurice Ravel. I Concerti per pianoforte e orchestra,
Palermo, L’Epos, 2008 («Quadri di un’esposizione», 2),
241 pp., con 6 tavv. f.t., ISBN 978-88-8302-369-9, euro 21,80
Giorgio Pestelli,
I «Trois Poèmes de Stéphane Mallarmé» di Maurice Ravel. Poesia e
musica alle origini della modernità, Torino, Trauben, 2008, 63 pp.,
ISBN 978-88-89909-362, euro 14
Massimo Zicari,
The Land of Song. La «Terra del Belcanto»
nella stampa londinese di fine Ottocento. Una raccolta di testi critici tra
1890 e 1900, Bern, Peter Lang, 2008 («Varia Musicologica»,
11), 266 pp., s.i.p.
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libri
48 — carta canta
Un colossale
«Patalogo 31»
agli studiosi (finalmente, a giudicare dalle bibliografie delle tesi di laurea, se n’è accorta anche l’Università) è il frutto di un colossale lavoro che occupa per più di metà anno
l’instancabile redazione – della quale si vogliono nominare
qui, oltre alla direttrice esecutiva Barbara Panzeri, almeno
Damiano Pignedoli e Antonella Cagali – guidata con inesausta energia dallo stesso Quadri e coadiuvata dall’impeccabile immaginazione grafica di Andrea Lancellotti.
Il numero 31 però riserva anche un’altra gradita sorpresa. La sua parte speciale infatti presenta una dettagliatissima panoramica sulla «Nuena Hispanidad». Grazie algni anno sembra che abbia raggiunto il massimo
la competenza dei due curatori – la regista romana Maper ricchezza, documentazione, approfondimennuela Cherubini,
to. E l’anche proprio grazie
no successivo ina un autore spagnovece ritorna ancora
lo, Juan Mayorga, si
più ricco, documenè aggiudicata il Pretato e approfondito.
mio Ubu 2008 per il
Parliamo del Patalonuovo testo straniego, l’annuario del tero (cfr. il box poco
atro edito da Ubulisotto), e lo studioso
bri e giunto alla sua
e drammaturgo mitrentunesima edilanese Davide Carzione. Unico nel panevali – è possibinorama editoriale
le scoprire dramitaliano (e non solo),
maturgie e pratiche
il volume attraverso
sceniche del vasto e
le sue sezioni storifrastagliato mondo
che – il Repertorio
di lingua castigliadi un anno, i Festina. Il viaggio, caval italiani e interdenzato dalle lettenazionali, la Vetrire dell’alfabeto, parna dedicata a conte proprio dalla pevegni, mostre, prenisola iberica, con
mi e libri di ambila compagnia mato teatrale – traccia
drilena Animalaun racconto – o merio, e procede senglio, come è già staza soste andando
to detto, una vera e
ad abbracciare intepropria «drammare città, come la diturgia» – della stanamica Buenos Aigione che prende
res, dove la ricerca è
in esame, fornenin pieno fermento e
do, oltre al sempre
dove lavorano «teapiù accurato monitristi» come Rafael
toraggio di dati speSpregelburd e Daniel Veronese.
cifici su tutto quanto è andato
Il Patalogo promuove ogni anno i Premi Ubu, il più
Si ritorna poi in Europa con due
in scena, una chiave di lettura
ambito e prestigioso riconoscimento delle scene
dei protagonisti della scena spache spazia dalle dichiarazioni di
nazionali. Quest’edizione – la cui serata finale è stata
gnola contemporanea, il valenpoetica all’antologia della critiospitata nella suggestiva cornice della Fondazione
Arnaldo Pomodoro – ha visto la votazione, pubblicata
ciano José Sanchis Sinisterra e
ca, impreziosite dalle magnifisulle pagine dell’annuario, di 55 critici teatrali. Questi
il già citato Juan Mayorga. In un
che immagini che corredano le
i vincitori delle varie categorie. Spettacolo dell’anno:
alternarsi di inquadramenti stomoltissime pagine (che questa
Trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni, regia di Toni
rico-critici e lunghi brani dove
volta hanno raggiunto il numeServillo (Teatri Uniti); Miglior regia: Massimiliano
Civica per Il mercante di Venezia; Miglior scenografia:
a parlare sono gli stessi artisti,
ro record di 480). Ma il Patalogo
Marius Nekrosius per Anna Karenina; Miglior attore:
lo Speciale dà conto dell’enorè molto più di un annuario, perAlessandro Bergonzoni per Nel; Miglior attrice:
me vitalità teatrale di paesi a noi
ché non si limita a uno sguarMascia Musy per Anna Karenina; Miglior attore non
lontani come Cile, Cuba e Mesdo retrospettivo sull’esistente,
protagonista: Paolo Pierobon per Anna Karenina;
Miglior attrice non protagonista: Elena Ghiaurov per
sico, isolando per ciascuno di
ma anzi offre un’analisi articoItaca/L’antro delle ninfe; Nuovo attore o attrice (under
essi le situazioni e i personaglata delle tendenze in atto, spes30): Chiara Baffi; Nuovo testo italiano o ricerca
gi più rappresentativi. (l.m.) ◼
so anticipandole e portandole
drammaturgica: La badante di Cesare Lievi; Nuovo
alla luce. Creato nel 1977 dalla
testo straniero: Hamelin di Juan Mayorga; Miglior
spettacolo straniero presentato in Italia: Fragments
fervida mente di Franco Qua(da Samuel Beckett, regia di Peter Brook, Théâtre
dri, questo libro essenziale per
des Bouffes du Nord, Parigi); Premi speciali infine
chiunque si interessi al teatro,
al Festival Drodesera, ai Sacchi di Sabbia e al gruppo
dagli artisti agli addetti ai lavori
Pathosformel.
Lo Speciale indaga le scene
della «Nuena Hispanidad»
O
carta canta / libri
libri
Il «Manuale»
di Corrado Balest
L
è una scuola di intolleranza
perché chi la cerca deve escludere e odiare tutto
ciò che non le appartiene; ma questa non è che la
prima fase, poi deve regnare il concetto che non vi è norma per trovarla e che i più diversi sentieri possono portare a lei, e che tutto è lecito e possibile; per questa via del linguaggio si
ritrova la teoria della tolleranza, bene supremo della convivenza, insuperata finezza, vero contrario di ciò
che è rozzo e feroce». Queste parole
appartengono al secondo capitolo di
un prezioso libricino uscito negli ultimi tempi per i tipi di Angelo Colla
Editore, il Manuale di Corrado Balest,
pittore di fama che molti anni or sono ha scelto Venezia come patria artistica d’adozione. In realtà questo originale volumetto ha già quasi diciassette anni di storia, dato che nasce in
tiratura limitatissima (150 copie) nel
1992, pubblicato dal novarese Galileo International Editore. La nuova
ristampa, curata da Cristina Beltrami,
Martina Massaro e Chiara Romanelli, permette a chi se lo fosse perso di
entrare nel mondo magico che Balest
suggerisce a un ipotetico artista ven-
«
a pratica dell’arte
tenne, che – ricalcando i suoi stessi passi – si trovasse a vivere e operare a Venezia in un non meglio precisato momento della storia. Diviso in tre parti – e introdotto da
una lirica di Andrea Zanzotto, Colori veri, colori falsi – compone un prontuario ironico e autobiografico per tutti «coloro che sono spinti da naturale inclinazione verso l’arte», come recita il sottotitolo. Scorrevole ed estremamente
concreto, il Manuale – che Lionello Puppi nella sua introduzione definisce con dotta arguzia «autoritratto dell’artista “da cucciolo”» – è ora riproposto grazie ad alcuni
amici dell’autore: Eugenio Bernardi, Lisa e Jacopo Fasolo, Anna Malatesta, Annie e Roberto Ruggerone. Contrappuntato nella parte sinistra di parche e deliziose linee che disegnano corpi femminili sensuali e allo stesso tempo
materni, si divide in tre parti – «Pratica del mondo», «Pratica dell’arte»
e «Comportamento» – e ritrae con
maestria usi, costumi, inclinazioni
e tendenze che dominano l’arte e il
suo contorno. Tra consigli su posture, abbigliamento, comportamenti da tenersi, esortazioni ad allenare continuamente la fantasia, sotterfugi e ammonimenti pratici, oltre a riflessioni tecniche e autorevoli sull’arte, il Manuale si svela apertamente come un sagace gioco intellettuale che non perde però il valore aggiunto del passaggio di conoscenze, attraverso una sottile analisi della mente umana e uno sguardo disincantato e divertito. (l.m.) ◼
ristorante e caffetteria
Situato al pianterreno di Palazzo Querini Stampalia,
il nuovo Qcoffee si apre in un incantevole giardino interno:
armonico equilibrio d’acqua, pietra e verde
progettato alla fine degli anni ‘50 da Carlo Scarpa.
Gestito da Mariagrazia Cassan e Guglielmo Pilla,
il caffè ristorante, disegnato da Mario Botta,
offre i suoi servizi non solo a chi frequenta le mostre,
il Museo e le attività della Fondazione Querini Stampalia,
ma a chiunque desideri rilassarsi in uno spazio speciale.
Lo chef prepara specialità
della cucina tosco/veneta
e piatti di pesce, anche crudo.
Ampia selezione di vini dall’Italia e dal mondo.
Qcoffee
Fondazione Querini Stampalia - Santa Maria Formosa
Castello 5252 VENEZIA
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by la colmbina
Enoteca Ristorante La Colombina
Via Contessa Beretta, 31
Villanova di Farra, Gorizia
0481 889061
[email protected]
chiuso martedì sera e mercoledì
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libri
50 — carta canta
dischi
Anthony Braxton
Le «Big Guns»
di Gianluca Petrella e l’Italian Instabile
Orchestra
I
di Giovanni Greto
carta canta / dischi
l quindicesimo titolo della giovane etichetta barese «Au-
and Records. Avant gard Contemporary Jazz», presenta per
la terza volta, e speriamo che non sia l’ultima, una coinvolgente incisione del trentatreenne trombonista pugliese, primo
artista italiano a vincere nel 2006, con immediata conferma nel
2007, il celebre Critic’s Poll della rivista americana «Down Beat». Il disco, registrato in una notte di novembre del 2007 al Forum Music Village di Roma, contiene dieci composizioni originali, estratte prevedibilmente da un lunghissimo set di improvvisazione, che sarebbe interessante veder riprodotto in dvd e non solo limitato ai circa 47 minuti stampati. Il brano di
apertura, «Landscape»,
ricorda, come dice il titolo, proprio quei paesaggi
sonori inventati da Brian
Eno negli anni settanta
e che, purtroppo, avrebbero dato vita, in seguito, a quelle composizioni
melense etichettate come «New Age». Petrella
utilizza una serie di effetti che modificano radiGianluca Petrella
calmente la sonorità naturale del trombone. Salis si inserisce qua e là con
parsimonia al pianoforte, mentre Previte usa i mallets, ossia le
bacchette rivestite in feltro nella punta, sui timpani della batteria, la cui pelle è tenuta più allentata, rispetto a quelle degli
altri tamburi, per ottenere dei suoni molto profondi. Nel brano si respira un’atmosfera sospesa, quasi panica, che potrebbe
ben sottolineare l’inizio di un thriller d’autore, e che nella scaletta è forse pensato per mantenere viva l’attenzione dello spettatore che ancora non sa come si svilupperà il discorso musicale. Dal brano successivo «Twilight zone», i tre cominciano
a dar spazio alla loro creatività, che nasce soprattutto da un intrigante rispetto reciproco. Ascoltiamo episodi di free sanguigno, che ci riporta agli anni in cui esso si sviluppò come scelta espressiva rivoluzionaria e ci fa piacere che una generazione di musicisti relativamente giovane se ne impossessi in una
società nella quale la voglia di lottare per una giusta causa ha
lasciato spazio a un pericoloso individualismo qualunquista. I tre proseguono con un’energia sempre crescente e una
capacità di controllo che si traduce in un saggio saliscendi dinamico. Recentemente avevamo apprezzato Previte e Petrella in una lunghissima improvvisazione a Padova, chissà che il
futuro non ci riservi di vedere all’opera il trio al completo. ◼
«Big Guns» (Auand Records)
Gianluca Petrella, trombone, effetti, melodica
Antonello Salis, pianoforte, organo Hammond, Fender Rhodes
Bobby Previte, batteria
A
quasi diciannove anni dalla sua fondazione, da un’idea
del trombonista pugliese Pino Minafra, l’Italian Instabile Orchestra si dimostra più agguerrita e in forma che mai
sotto la direzione di uno tra i musicisti creativi per antonomasia
della storia del jazz, il sassofonista e compositore americano Anthony Braxton (4 giugno 1945, Chicago, Illinois), assieme al quale suscitò un indescrivibile entusiasmo al festival jazz di Bolzano
nell’estate del 2007. Questo tredicesimo cd della collana «Tracce» di Rai Trade, lanciata e curata da Pino Saulo, ripropone, con
una qualità acustica impeccabile per nitidezza e splendore, il concerto del 16 giugno. Non sembra essere facile riuscire a spiegare il
proprio pensiero musicale e non solo – ricordiamo che Braxton
ha frequentato anche corsi universitari di filosofia – a una serie
di musicisti che non
sono solo
dei semplici accompag natori, bensì
provengoItalian Instabile Orchestra
no da svariati contesti, nei
quali spesso rivestono un ruolo di protagonista. Eppure tutto
ciò è avvenuto, almeno a un primo ascolto, con apparente semplicità, lavorando su spartiti che non contengono note musicali, ma soprattutto disegni, diagrammi, per spiegare quando un
solista deve intervenire e in che posizione spaziale deve collocarsi. Sei le tracce del cd, ma le composizioni, tutte con titolo numerico, secondo la consuetudine del leader, sono in realtà 4, soltanto che la n. 92 e la n. 164 sono divise in due parti, eseguite non consecutivamente. Il concerto si gusta dall’inizio alla fine senza fatica, senza cali di interesse, assaporando i numerosi assolo, a partire da quelli di Braxton al sax alto e al sopranino, ossia il soprano non diritto ma ricurvo, pur se di dimensioni ridotte. Proprio nel brano di apertura, vicino all’organizzazione compositiva di certa musica contemporanea, ma con
guizzi repentini di ogni strumento che tendono a spezzare l’ordine e a rifuggire dal compitino, dopo una serie di suoni acuti dei
due archi, delle trombe sordinate e di fiati sullo sfondo che conferiscono un’atmosfera misteriosa, a un certo punto interviene
uno stop, che dà il via a un assolo di quaranta secondi al contralto, ricco di sonorità simili a quelle del verso di un’anatra, da parte di Braxton. I musicisti ricevono così una scossa, uno stimolo, che induce quasi a una rincorsa reciproca che si conclude con
uno stop finale, perfetto per rilanciare il brano successivo. (g.g.) ◼
Creative Orchestra (Bolzano) 2007 (Rai Trade)
Anthony Braxton, direzione, alto sax, sopranino sax; Alberto
Mandarini, tromba; Guido Mazzon, tromba; Pino Minafra, tromba;
Lauro Rossi, trombone; Giancarlo Schiaffini, trombone; Sebi
Tramontana, trombone; Martin Mayes, corno francese; Eugenio
Colombo, alto sax, flauto, flauto basso; Gianluigi Trovesi, alto
sax, clarinetto in mi bemolle; Daniele Cavallanti, sax tenore;
Carlo Actis Dato, sax baritono; Emanuele Perrini, violino; Paolo
Damiani, violoncello; Umberto Petrin, pianoforte; Giovanni Maier,
contrabbasso, Vincenzo Mazzone, batteria (canale destro); Tiziano
Tononi, batteria, percussioni (canale sinistro)
carta canta — 51
dischi – libri
S
embra un viaggio all'interno della propria storia, quel-
lo che costruisce Dany Greggio nei sedici brani del disco che prende il titolo dal suo nome. Un viaggio dove
però i personaggi si infittiscono e le parole cambiano di ritmo come le melodie, per scortare l'ascoltatore in un tragitto che parte da Venezia (l'iniziale «Serenata a seconda» recita: «Tra le barene/Scivolando sullo specchio di laguna/Arriveremo a San Francesco del
deserto/E lì io ti sposerò»),
e procede come un’onda a
convocare atmosfere lontane nel tempo e nello spazio,
paesaggi urbani fitti di desolazioni – come la metropoli
di «Natale a Milano»: «Questa piazza così piena/Mi lascia un vuoto che fa pena/
Inno alla pubblicità/Stuprare il cuore alle città/Renderle solo vanità/È un'abitudine» –, e di un'umanità spesso dolente e frantumata. In
questi molteplici e variegati
ritratti si scorge però sempre
l’impronta personale del musicista, che – accompagnato dal
contrabbasso di Andrea Alessi e dal vibrafono di Vincenzo
Vasi (che non disdegna di utilizzare anche uno strumento colto e affascinante come il theremin) – conduce abilmente per
mano chi ascolta all'interno del percorso. Si può dire, rubando la definizione a Sandra Mangini, che l’ha coniata appositamente per questo lavoro discografico, che siamo in presenza
di molteplici «travestimenti», dove si annida sotto mentite spoglie la sensibilità talvolta stupita dell’artista. Travestimenti che
tradiscono ascendenze letterarie e musicali, sedimentate e rielaborate autonomamente, e allo stesso tempo denunciate qua
e là dalle dediche sparse a Luciano Bianciardi (alla cui Vita agra
si ispira l'inquieta e incalzante «Sono qui»), Bernardo Soares,
Alvaro de Campos... In questa plurisemanticità, dove sovente i segni si sovrappongono e l’ironia con il suo ghigno tagliente occulta i messaggi più diretti e riconoscibili, trova comunque sempre spazio il tema dell'amore, attraverso i volti e le situazioni più disparate. E l'esperienza sentimentale, tratteggiata con voci di volta in volta diverse a raccontare storie altrettanto diverse e irripetibili, prorompe puntualmente e sembra divenire il filo rosso che lega tra loro le tante anime presenti. Un
amore però che ha ben poco di solipsistico e compiaciuto, ma
che anzi ricorre la maggior parte delle volte alla seconda persona, quel «tu» che in fondo è il vero protagonista dell'intero album, come appare chiaro da uno dei brani più belli, «I tuoi vestiti»: «I tuoi vestiti son segno del tempo vissuto che sei/Una
pelle di stoffa che veste la pelle che hai/Dove l'anima cuce, si
scuce e ricuce ogni dolor/Poi rivela il sentiero del tuo cercare
l'amor…/Dove l'anima viaggia attraverso gli odori e gli umori/Di chi sa sporcarsi, piacersi o legarsi nell'intimità». (l.m.) ◼
Dany Greggio & The Gentlemen, con libretto a colori illustrato da
Gianluigi Toccafondo, NdA Press, 16 euro
L’«Ode in morte
della musica»
di Gino Castaldo
N
di Andrea Oddone Martin
ecessità: forza superiore al desiderio e al vole-
re degli uomini, che ne determina l’azione. Quale
necessità corrisponde alla musica attuale? Gino
Castaldo, nel suo Il buio, il fuoco, il desiderio. Ode in morte della
musica (Einaudi) denuncia
l’odierna immobilità della
creatività musicale, impastoiata tra le lusinghe tentatrici e devianti dello «sviluppo» tecnologico, immersa nell’acqua stagnante di un pensiero impantanato nella sua entusiastica falsa riproducibilità, ingenuamente e instancabilmente perseguita. Vogliamo ricordare la ferma avversione di uno degli ultimi eredi della grande interpretazione europea, Sergiu Celibidache, alla vacuità della riproduzione meccanica? Decisamente anacronistica la sua resistenza, contro i propri profitti: non è
più l’epoca di princìpi. E allora di cos’è questa epoca? Una
denuncia frastagliata e dettagliata quella di Castaldo, trasversale nella sua completezza. Si va da Mozart alla nutrita schiera di richiami ai capisaldi del pop e del rock storico, al grande jazz, che diventa anch’esso la vuota maschera
di se stesso. «Simulacri», li chiama Castaldo, simulacri che
«cercano di convincerci che la differenza tra una cosa e la
sua rappresentazione è diventata così sottile da essere irrilevante. È la società reale a essere popolata di simulacri,
pericolosi proprio perché fingono di non esserlo». L’analisi della contemporaneità è sottile e finalmente spietata,
i continui riferimenti all’antropologia musicale fanno da
contraltare alla desertica geografia dell’arte musicale nel
XXI secolo. «Il nuovo ordine mondiale non ammette deroghe» afferma Castaldo: «La scomparsa delle ideologie
fa sì che la strutturazione sociale del mondo occidentale,
ovvero le presunte democrazie, non sembrino più frutto
di un pensiero, quanto piuttosto un ordine naturale delle cose, e per questo non discutibile, e quindi privato del
suo possibile futuro». Quanto siamo ormai lontani dagli «infiniti possibili» di Luigi Nono, molto di più dell’effettiva distanza cronologica. Anela alla morte della musica, Gino Castaldo, alla morte e quindi alla rinascita, alla
riscoperta della necessità nella musica. Lo fa con un grido
che fa tremolare la melassa politically-correct che impiastriccia i nostri tempi, voce tra le poche che, coraggiosamente, cercano di scuotere il sonno diffuso delle coscienze. ◼
Gino Castaldo, Il buio, il fuoco, il desiderio. Ode in morte della musica,
Einaudi, Torino 2008, pp. 155, 11.50 euro
carta canta / dischi – libri
I travestimenti
di Dany Greggio
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Carta canta - Euterpe Venezia