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Rienzo Colla
che si cibava di locuste
L’avventura di un editore coraggioso
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IO NON
MI VERGOGNO
DEL VANGELO
“
R
ienzo Colla,
fondatore
nel 1954 della casa editrice vicentina La Locusta, è morto sabato 18 luglio all’ospedale San Bortolo di Vicenza:
aveva 88 anni ed era solo come solo
era vissuto, orso e gentile, bambino
ogni giorno della vita. Lo incrociai
per sua iniziativa: mi scrisse dopo
aver letto un mio libro e sei anni
più tardi mi chiese di fargliene un
altro «come pare a te» per La Locusta. Lo feci conoscere a miei amici
vicentini che non l’avevano mai incontrato. Venne a sentirmi in occasione di una mia conferenza in Vicenza, presso il Movimento ecclesiale di impegno culturale (MEIC),
e ci vedemmo a casa di conoscenti
suoi e miei.
SCRIVEVA TUTTO A MANO
E NON SI ARRESE AL COMPUTER
Il volumetto che misi insieme
per lui e che egli pubblicò nel 1996
nell’unica collana della sua casa editrice, con sovraccoperta velina e pagine intonse, si intitola Cento preghiere italiane di fine millennio. Qui racconto come nacque tra me e lui
quel libretto – che nel catalogo è al
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numero progressivo 299, su un totale di 325 – e dico qualcosa di ciò che
La Locusta ha rappresentato per
me e forse per la mia generazione.
Do anche un’occhiata agli argomenti e agli autori assemblati in
quel catalogo da Rienzo in mezzo
secolo di solitario fervore.
Conservo cinque lettere di Rienzo scritte a mano, con grafia minuta
e inchiostro pallido che devi decifrare, come dovevi aprire con il tagliacarte le pagine dei suoi libretti.
La prima è del 1989: aveva letto un
mio testo intitolato La speranza di
non morire e mi ringraziava per «il
bene» che ne aveva cavato e per
avervi incontrato «la segnalazione
di due libretti locustiani». Gli risposi elencando una ventina di titoli de
La Locusta divenuti miei libri del
comodino. Egli me ne inviò altri e
così fece poi a ogni contatto.
Preparai quell’antologia di preghiere e questa fu la sua reazione:
«Ho letto il tuo dattiloscritto, mi è
piaciuto molto. Credo sia adattissimo a La Locusta, che però è sempre
piccola e povera. Forse il tuo lavoro
meritava un editore più importante». Aveva voluto il dattiloscritto per
posta e per posta mi inviò le bozze.
Gli avevo proposto di accelerare
con l’invio di un dischetto, come
già si usava, ma mi aveva risposto:
«Io non capisco nulla di queste cose».
Pubblicato il libretto mi informava con garbo: «Va bene e fa bene».
Mi assicurava di aver «raccomandato alle messaggerie cattoliche (Mescat) di Milano, che riforniscono
anche le librerie di Roma, di fare
un buon lavoro». L’incontro avvenne all’inizio del 2000. Rienzo non finiva di farmi domande sul papa e
sulle librerie di Roma. Rispondendo a una mia lettera successiva all’incontro mi dava un’eco entusiasta della nostra conversazione: «È
stata una gioia trovarci. Ti ringrazio
tanto, anche per le notizie».
«MI COLPÌ QUESTO INSETTO
CHE SI FACEVA MANGIARE»
Trattava di persona con gli autori, che andava scoprendo con un
suo metodo che era fatto più di ruminazione monastica di quanto leggeva che di vaglio dell’industria culturale. Traduceva, leggeva i manoscritti e li consegnava in tipografia,
impacchettava con lo spago, scriveva a mano gli indirizzi e faceva le
spedizioni dei volumetti portandoli
di persona all’ufficio postale: da solo era tutta La Locusta.
«Mentre pensavo al nome da dare all’editrice mi capitò di aprire il
Vangelo, per trarne ispirazione. Era
Matteo, capitolo 3, versetto 4, dove
parla di Giovanni Battista che mangiava locuste e miele selvatico. Mi
colpì l’immagine di questo insetto
che non mangiava, ma si faceva
mangiare»: così narrava la scelta del
nome in un’intervista nel cinquantesimo della casa editrice.
La riservatezza di Rienzo è restata proverbiale tra chi lo conobbe e
le sue vicende sono conosciute solo
per squarci. Figlio di un sarto vicentino, fu studente di lettere all’Università di Roma negli anni della
guerra ed ebbe un ruolo nella resistenza romana. A Roma insegnò e
fece il giornalista. Nel 1942 collaborava alla Domenica illustrata dei Paolini dove – lettore onnivoro – teneva
una rubrica intitolata «Panorama
letterario». Nel 1947-49 lavorava al
Bollettino stampa della presidenza generale dell’ACI.
Annarita Bartoli, vicentina, che
gli fu vicina negli anni Novanta, ricorda d’averne avuto qualche confidenza impegnativa sul ruolo di
«staffetta» che svolse nella resistenza e su episodi nei quali «rischiò la
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vita». Giovanni Tassani che ha curato per La Locusta il volumetto di
Franco Rodano Lettere dalla Valnerina (1986) ricorda che Rienzo accettò con entusiasmo la proposta di
quella pubblicazione, narrando di
aver conosciuto Rodano negli ambienti della resistenza romana: «Ero
anch’io nel movimento». Nel volumetto Lettere alla Locusta (1992) c’è
una lettera di Rodano datata 1955
che ringrazia Rienzo per avergli inviato La parola che non passa di Mazzolari e rievoca la vecchia amicizia:
«Mi ha fatto piacere rivedere i tuoi
caratteri».
SI FORMA ALLA SCUOLA
DI DON PRIMO MAZZOLARI
La Locusta nasce nel 1954 per
pubblicare Mazzolari, che in quel
momento non trovava editori, a partire dai volumetti La parola che non
passa e Tu non uccidere che nella prima edizione uscì anonimo. Egli era
motivato a impegnarsi al fianco di
Mazzolari per averlo conosciuto dagli scritti e per lettera fin da quando
aveva 18 anni (la prima lettura era
stata La Via crucis del povero, pubblicata dall’editore Gatti di Brescia nel
1939) e dall’essere poi diventato un
collaboratore di Adesso.
L’aver pubblicato testi di Mazzolari costò a Rienzo – rientrato a Vicenza dopo il servizio militare, svolto a 30 anni – una grave rottura con
il vescovo Carlo Zinato, che anche
per questo non lo volle prete. Di
nuovo mancano referenze precise.
Del travaglio vocazionale di Rienzo
si hanno una ventina di echi nelle
147 lettere che gli furono inviate da
Mazzolari tra il 1939 e il 1959 (Lettere a un amico, La Locusta, 1976).
Si comprende che bussò a più porte, per quasi un ventennio: dal seminario diocesano di Vicenza all’oratorio dei Filippini. Andò a chiedere lumi nel 1957 a don Sergio Pignedoli – il futuro cardinale – che
lavorava nella curia romana, munito di una lettera di presentazione di
Mazzolari: «Da anni è in tribolazio-
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ne per torti che non mi sembrano
di gran peso se il più grosso è quello di essere amico di don Mazzolari» (ivi, 170).
Per un certo periodo deve aver
vestito l’abito dei Filippini. «Sei così
discreto nel parlare di te che non so
a che punto ti trovi, se con l’abito o
no» gli scrive Mazzolari nell’ultima
delle lettere in cui ne tratta (ivi,
181). La decisione di non poterlo
accettare nel seminario di Vicenza
gli fu forse comunicata dal vescovo
Zinato nel 1956. Di poco posteriore
è una lettera consolatoria di Aldo
Capitini: «Capisco il tuo dolore per
la non vestizione. Ma tu e io abbiamo fede in Dio, e chissà tu non debba un giorno ringraziarlo anche di
questo» (Lettera a La Locusta, 46).
CON IL CONCILIO ARRIVA A
PUBBLICARE 15 TITOLI IN UN ANNO
Mi sono fatto l’idea che oltre alla posizione libera di Rienzo, facesse ostacolo alla «vestizione» il suo
carattere solitario. Don Mazzolari
ha più volte l’aria di incoraggiarlo a
trovare la sua via nell’impegno laicale e nel lavoro di editore: «Le
strade del bene sono tante. Penso
che il Signore te l’abbia già indicata» (Lettere a un amico, 177). E in altra occasione: «La Locusta non è
bene che muoia. Per farla vivere il
Signore ti ha chiuso nella sua necessità» (ivi, 163).
Dopo la stagione eroica degli
anni Cinquanta (si può dire che
non vi sia nessuno dei 13 volumetti
editi tra il 1954 e il 1959 che non sia
incappato in censure e moniti:
Mazzolari, Fabbretti, Barsotti, Turoldo, Bernanos sono i nomi che
sollevano le maggiori riserve), con
il Concilio e con il pontificato montiniano La Locusta va incontro a un
vento ogni anno più favorevole.
Escono 7 titoli nel 1960, 10 nel
1961, 12 nel 1962 e nel 1963, 15 nel
1964 e ancora 15 – che resta il record – nel 1967. Negli anni Settanta – con la fase calante del pontificato montiniano – i volumetti scen-
dono sotto i 10 l’anno, ma sono di
nuovo 12 nel 1980 e 11 nel 1981. La
media riscende a 4-5 volumetti l’anno negli anni Novanta. Ne escono
ancora quattro nel 2001, due nel
2002 e nel 2003, uno nel 2004: l’anno in cui Rienzo non è più in grado
di correggere le bozze e La Locusta
cessa le pubblicazioni.
Con l’arrivo a Vicenza del vescovo Arnoldo Onisto nel 1971 (7 suoi
testi di amichevole apprezzamento
sono nel volumetto Lettere alla Locusta) cessano le traversie ecclesiastiche. Il successore di Onisto, Pietro
Nonis, scrive nel 2002 la prefazione
a Un vescovo di Victor Hugo, tratto
dal primo capitolo de I Miserabili.
Sarà Nonis a celebrare la messa di
addio per Rienzo e a salutarlo con
una calda omelia il 21 luglio.
LA MEDAGLIA D’ORO
GLIELA RUBANO GLI ZINGARI
Un riconoscimento dalla città di
Vicenza Rienzo l’ebbe nel 1984,
quando gli fu data – dalla Giunta
comunale – una medaglia d’oro
«per la trentennale attività di editore». Ne fu felice, ma ne parlava con
scherzosa ironia: «Pensa che poi mi
sono entrati gli zingari in casa e
quella medaglia me l’hanno portata
via». Sempre negli anni Ottanta il
vescovo Onisto lo volle nel Sinodo
diocesano.
Nel 1986 la Biblioteca Bertoliana
gli dedicò una mostra e pubblicò un
volume intitolato Gli anni de «La Locusta» (1954-1986) con testi di Carlo
Bo, Valerio Volpini, Nazareno Fabbretti, David Maria Turoldo, Giovanni Battista Zilio. In quel volume
era compreso un catalogo ragionato dei 253 titoli della Locusta apparsi fino ad allora. Il curatore del catalogo, Albino Morello, ha recentemente integrato quel suo lavoro
preparando un catalogo completo e
ancora inedito della Locusta, che
ho potuto consultare per questo
mio ricordo.
In 50 anni di attività la Locusta
ha pubblicato 57 volumetti che han-
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no come autore Primo Mazzolari
più altri 7 nei quali Mazzolari figura
come prefatore e ancora 9 dei quali
è coautore. Infine nel catalogo vi sono 7 volumetti a lui – o anche a lui
– dedicati: gli autori vanno da Giacomo Lercaro a Carlo Bo. Dunque
in totale sono 80 volumetti – un
quarto del totale – che lo vedono
come autore o soggetto della trattazione.
Mazzolari instradò fin dall’inizio
la prodigiosa – quasi sensitiva – curiosità umana e culturale di Rienzo
invitandolo a «leggere sempre con
larghezza, specialmente i lontani»
(Lettere a un amico, 15). Mazzolariana è sempre restata la sua libera fedeltà di cattolico, come ebbe a dire
in un’intervista: «Credo che se sono
rimasto nella Chiesa è stato per don
Primo» (Gli anni della Locusta, 44).
FA DODICI RISTAMPE
DEI «PENSIERI DI GANDHI»
Dopo la morte di Mazzolari nel
1959 (siamo nel cinquantenario!)
Rienzo si lascia guidare dal Concilio
e non si smarrisce quando la contestazione e l’industria culturale lo lasciano isolato, come un faro su una
rupe. La scelta dei mezzi poveri gli
permette di affrontare una lunga
marcia – nel segno dell’approfondimento – che supera il mezzo secolo
di presenza nelle librerie e che lo
porta a doppiare il millennio, lasciando un’impronta facilmente riconoscibile nell’anima di tre generazioni.
La Locusta ha sempre lavorato
in perdita. Ma un successo di nicchia l’ha avuto e non solo per la fedeltà ottenuta da tanti negli anni,
ma anche per la continua ristampa
di alcuni testi chiave, che sarebbe
istruttivo censire. Ebbero cinque ristampe di 2.000 copie per volta: La
parola che non passa (1954), La parola ai poveri (1960), Della tolleranza
(1960) e La Pasqua (1964) di don
Mazzolari; Pensieri dal Diario (1963)
di papa Giovanni; Perché non possiamo non dirci cristiani (1966) di Benedetto Croce; Mia terra addio (1980)
e Lettera di Natale (1992) di David
Maria Turoldo; Pensieri disordinati
sull’amore di Dio (1982) di Simone
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Weil. Arrivò a 6 ristampe Tu non uccidere (1955) di don Mazzolari; a 8
La parrocchia di don Mazzolari
(1957) e Poesie sul Natale (1964). A
11 Il Natale di Mazzolari (1963). Il
record non è di un testo mazzolariano, ma de I Pensieri di Gandhi
(1960), che hanno assommato 12 ristampe.
COME LA MANNA LE LOCUSTE
SONO UN CIBO DI GIORNATA
Mazzolari, Turoldo, papa Giovanni, Gandhi, Croce e Weil: le ristampe tracciano un microcosmo
esemplare del mondo della Locusta. Croce è il grande interlocutore
laico ed ecco che nel catalogo figurano – in ordine di apparizione –
Plotino, Goethe, André Gide, Umberto Saba, Pier Paolo Pasolini, Mario Soldati, Federico Garcia Lorca,
Camilla Cederna, Alberto Moravia,
Victor Hugo.
Le locuste sono un cibo di giornata, un po’ come la manna, ma
Rienzo Colla non disdegnava i classici e ha pubblicato Eckhart, Barth,
Rilke, Silesio, Zanella, Angela da Foligno, Bernardo da Chiaravalle, Pascal, Goethe, Fogazzaro, Donne,
Newman, Buonaiuti, Romano il Melode, Efrem Siro, Dostoevskij, Giovanni della Croce (anche questi citati secondo l’ordine d’ingresso nel
catalogo).
Gli autori più pubblicati sono Divo Barsotti con 9 titoli, Cesare Angelini con 7, David Maria Turoldo con
6, Jacques Maritain con 5. Hanno
avuto 4 titoli a testa: Thomas Merton, Charles Péguy, Umberto Vivarelli, Domenico Giuliotti, Giovanni
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Papini. La presenza di Giuliotti e
Papini in una biblioteca a orientamento militante e innovatore sta a
dire che la militanza per Rienzo
contava più dell’innovazione. Tre titoli (citando solo i nomi noti): Nazareno Fabbretti, Valerio Volpini,
Lorenzo Milani, Raimundo Panikkar, Carlo Bo, Clemente Rebora.
Due titoli (sempre fermandoci ai
noti): Georges Bernanos, Emmanuel Mounier, Karl Rahner, Nando
Fabro, Martin Luther King, Italo
Mancini, Rainer Maria Rilke, Biagio
Marin, Simone Weil.
UN SEMINATORE DI IDEE
AMANTE DEI POETI
Tra chi compare solo una volta,
ma non può essere taciuto, troviamo (sempre in ordine di apparizione nel catalogo e limitandomi ai nomi che fino a qui non ho citato per
altri motivi): Sirio Politi (il primo
prete operaio italiano), Giulio Bevilacqua, Giuseppe Lazzati, Ernesto
Balducci, Carlo Carretto, Adriana
Zarri, Wladimiro Dorigo, Paolo VI
(Il Papa in Terra Santa, 1964), Mario
Rossi, Léon Bloy, Igino Righetti, Romano Guardini, François Mauriac,
Giovanni Vannucci, Mario Castelli,
Julien Green, Heinrich Böll, Ivan Illich, Marc Oraison, Salvatore Baldassarri, Raniero La Valle, Thomas
Eliot, Margherita Guidacci, Emilio
Guano, Sergio Pignedoli, Giancarlo
Zizola, Paolo Giuntella, Giuseppe
De Luca, Edith Stein, Graham Greene, René Voillaume, Andrej Sinjavskij, Gianfranco Ravasi, Enrico Bartoletti, Arturo Carlo Jemolo.
Notevole è l’attenzione de La
Locusta ai poeti sia famosi sia sconosciuti. Il volumetto Lettere alla Locusta ha vivissimi testi di Rebora e
Pasolini, Barile e Betocchi, Caproni
e Govoni, Barolini e Quasimodo.
Anche grazie al lavoro su questo
versante Rienzo è risultato uno dei
seminatori di idee più costanti che
abbiamo avuto in Italia nella seconda metà del secolo scorso. I suoi piccoli libri sono stati tra le cose belle
che ho incontrato lungo i decenni
della mia vita.
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it
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