Cass., sez. III, 21-10-2008, n. 25556
La S.C. ha ritenuto che la querela di falso relativa ad un documento già prodotto nel
corso del primo grado di giudizio può essere proposta, in via incidentale, nel giudizio
di appello anche all’udienza collegiale, pure dopo l’entrata in vigore della legge n. 353
del 1990, in quanto la riforma non ha riguardato né l’art. 221, primo comma, né l’art.
335 cod. proc. civ. I giudici di legittimità hanno, altresì, affermato che la querela di
falso può essere proposta anche se il detto documento non sia stato tempestivamente
disconosciuto a norma dell’art. 214 cod. proc. civ..
T. Treviso, 16-11-2007
Foro it., 2008, I, 634, n. FABIANI M.
Fallimento, 2008, 585, n. GIORGETTI
Nel procedimento di opposizione allo stato passivo quale modificato dal d.leg. 5/06 (e prima
del d.leg. 169/07) non è consentita la produzione di nuovi documenti che avrebbero dovuto
essere prodotti, a pena di decadenza, almeno quindici giorni prima dell’udienza per
l’accertamento dello stato passivo davanti al giudice delegato.
Cass., sez. lav., 25-09-2007, n. 19710
Mass. giur. lav., 2008, 87, n. VINCIGUERRA
Giust. civ., 2007, I, 2694
Nella interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali prevista dagli art. 360 n. 3 e 420
bis c.p.c. la cassazione fornisce la propria interpretazione del testo contrattuale, decidendo sul
necessario quesito di diritto e senza possibilità di qualsiasi istruttoria, neppure documentale,
rispetto a quella svolta dal giudice di merito.
Cass., sez. I, 11-09-2007, n. 19092
Giurisdiz. amm., 2007, III, 803
Soltanto i verbali di accertamento redatti dai pubblici ufficiali fanno piena prova, fino a querela
di falso, peraltro limitatamente alla provenienza dei medesimi da chi li ha redatti ed ai fatti
attestati come avvenuti in presenza dell’autore del verbale o conosciuti dal medesimo in base
alle dichiarazioni raccolte o all’esame di determinati documenti, ma non anche con riguardo ad
ogni altra circostanza che il verbalizzante segnali o che dichiari di avere appreso aliunde e,
conseguentemente, alle opinioni personali espresse circa il fondamento giuridico di una richiesta
e dei suoi fatti costitutivi.
Cass., sez. I, 11-09-2007, n. 19038
Giur. it., 2008, 595
Per il principio di autosufficienza è necessario che la censura contenuta nel ricorso per
cassazione relativa alla omessa valutazione di prove documentali sia corredata della
trascrizione del testo integrale o della parte significativa del documento al fine di consentirne il
vaglio di decisività, nonché della specificazione degli argomenti, deduzioni o istanze che in
relazione alla pretesa fatta valere siano state formulate in sede di merito sulla base del
documento stesso.
Cass., sez. II, 11-06-2007, n. 13625
Riv. not., 2008, 445, n. PASTORE
Ai sensi dell’art. 2720 c.c., l’efficacia probatoria dell’atto ricognitivo, avente natura confessoria,
si esplica, nei casi espressamente previsti dalla legge, soltanto in ordine ai fatti produttivi di
situazioni o rapporti giuridici sfavorevoli al dichiarante; ne consegue che a tale atto non può
riconoscersi valore di prova circa l’esistenza del diritto di proprietà o (al di fuori dei casi
previsti) di altri diritti reali (nella specie, è stato escluso che potesse avere valore confessorio la
scrittura con cui il coerede aveva riconosciuto in favore degli attori il diritto di proprietà sui beni
caduti in successione).
C. Stato, sez. VI, 04-06-2007, n. 2951
Foro it., 2008, III, 240, n. SIGISMONDI
Al giudizio amministrativo in grado d’appello è applicabile l’art. 345, 3º comma, c.p.c.; di
conseguenza, è inammissibile la produzione di nuove prove e di nuovi documenti, salvo quelle
ritenute indispensabili dal collegio o che la parte dimostri di non aver potuto proporre in primo
grado per causa a sé non imputabile.
È indispensabile, e pertanto ammissibile per la prima volta in appello, la prova il cui esito
possa denotare l’ingiustizia della prima sentenza e condurre a rovesciarne le statuizioni
(fattispecie relativa ad un documento attestante la tardività del ricorso di primo grado).
L’ammissibilità in appello di un’eccezione comporta anche la possibilità di allegare e di provare
i fatti ad essa sottostanti; di conseguenza, poiché nel processo amministrativo l’eccezione di
tardività del ricorso di primo grado è rilevabile d’ufficio e proponibile per la prima volta in
appello ai sensi dell’art. 345, 2º comma, c.p.c., è ammissibile per la prima volta in appello il
documento che attesti tale tardività.
Cass., sez. III, 17-05-2007, n. 11460
Giust. civ., 2007, I, 2102
(vedi, in fondo, sentenza per esteso)
La fattispecie del riconoscimento tacito della scrittura privata, secondo il modello previsto
dall’art. 215 c.p.c., opera esclusivamente nel processo in cui essa viene a realizzarsi, esaurendo i
suoi effetti nell’ammissione della scrittura come mezzo di prova, con la conseguenza che la
parte interessata, qualora il documento sia prodotto in altro giudizio per farne derivare effetti
diversi, può legittimamente disconoscerlo, non operando al riguardo alcuna preclusione,
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diversamente dall’ipotesi in cui - per quanto evincibile anche dal disposto di cui all’art. 217, 2º
comma, c.p.c. - si sia provveduto all’accertamento specifico con valore di giudicato
dell’autenticità della scrittura privata prodotta in precedente giudizio, che può, però,
configurarsi solo attraverso il riconoscimento espresso della scrittura medesima ovvero
mediante il giudizio di verificazione dell’autenticità della scrittura che sia stata ritualmente
disconosciuta.
Cass., sez. lav., 08-05-2007, n. 10430
Notiziario giurisprudenza lav., 2007, 376
Riv. critica dir. lav., 2007, 875
(vedi, in fondo, sentenza per esteso)
Il disconoscimento delle riproduzioni meccaniche che fa perdere alle stesse la qualità di prova che va distinto dal «mancato riconoscimento», diretto o indiretto, che non esclude che il giudice
possa liberamente apprezzare le riproduzioni legittimamente acquisite - deve essere chiaro,
circostanziato ed esplicito, dovendo concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non
corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (nella specie la suprema corte ha
confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso che potesse avere valore di
disconoscimento di una cassetta audiofonica - della quale era stata disposta la trascrizione a
mezzo ctu e dalle cui risultanze il giudice del merito aveva tratto elementi presuntivi di
valutazione - la generica contestazione della controparte, che non aveva riguardato il fatto della
registrazione, ma le sue risultanze).
Cass., sez. II, 26-04-2007, n. 9950
Foro it., 2007, I, 2721
Arch. circolaz., 2007, 1032
Ai fini dell’applicazione di sanzioni amministrative per eccesso di velocità, è legittima la
misurazione effettuata mediante apparecchio telelaser omologato, in quanto l’attestazione
dell’organo accertatore circa la velocità del veicolo rilevata dal telelaser fa fede fino a querela di
falso.
Cass., sez. un., 26-03-2007, n. 7246
Corriere giur., 2007, 1076, n. CARRATO
Dir. e giur., 2007, 315, n. RUSSO
Giust. civ., 2007, I, 1075
Giust. civ., 2007, I, 1863 (m), n. LOFFREDO
Vita not., 2007, 710
Riv. not., 2007, 1198, n. PEDRON
Nuova giur. civ., 2007, I, 1189, n. ARLOTTA
Guida al dir., 2007, fasc. 17, 54, n. SACCHETTINI
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Giur. it., 2007, 2441
Corriere merito, 2007, 881 (m), n. TRAVAGLINO
(vedi, in fondo, sentenza per esteso)
La pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo
diverso da quello indicato nell’atto scritto, soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della
prova testimoniale stabilite dall’art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento
essenziale del contratto che deve risultare per iscritto.
T. Milano, 19-03-2007
Corriere giur., 2007, 1437, n. ROMANO
Il mancato deposito in cancelleria della prima memoria di replica dell’attore, regolarmente
notificata al convenuto, non importa conseguenza alcuna in danno della parte inadempiente;
alla mancanza può supplire il giudice, fissando all’attore - nella specie, con il decreto di
fissazione dell’udienza - un termine per provvedere all’incombente (principio affermato con
riguardo all’omesso deposito di memoria ex art. 6 d.leg. n. 5/2003, non accompagnata da
allegazioni documentali).
Cass., sez. I, 28-02-2007, n. 4728
Giust. civ., 2008, I, 203
La parte nei cui confronti venga prodotta una scrittura privata può optare tra la facoltà di
disconoscerla e la possibilità di proporre querela di falso, essendo diversi gli effetti legati ai due
mezzi di tutela: la rimozione del valore del documento limitatamente alla controparte o erga
omnes; nell’ambito di uno stesso processo, qualora sia già stato utilizzato il disconoscimento,
cui sia seguita la verificazione, la querela di falso è inammissibile se proposta al solo scopo di
neutralizzare il risultato della verificata autenticità della sottoscrizione, mentre è ammissibile se
finalizzata a contestare la verità del contenuto del documento (nella specie, era stata proposta
querela di falso in relazione alla apocrifia delle firme di atti di fideiussione già oggetto di
verificazione).
Cass., sez. II, 28-02-2007, n. 4777
Vita not., 2007, 1294
L’efficacia probatoria del testamento pubblico di persona cieca ed assai debole d’udito, redatto
non alla presenza di quattro testimoni - come prescritto dall’art. 603 c.c. - e recante
l’attestazione del notaio che il testatore, pur essendo cieco, era comunque in grado di udire seppure con il supporto di apposito apparecchio acustico - può essere rimossa solamente con la
proposizione della querela di falso ex art. 2700 c.c.
Cass., sez. I, 31-01-2007, n. 2093
Foro it., 2008, I, 1621
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Al terzo che interviene volontariamente nel giudizio oltre la prima udienza di trattazione è
preclusa la possibilità di compiere atti, quali la produzione di documenti attinenti al merito
della causa, non più consentiti alle altre parti, mentre tale preclusione non opera per l’attività
assertiva.
T. Parma, 25-01-2007
Fallimento & crisi impresa, 2008, 43, n. SCOTTI
Al fine di stabilire l’anteriorità di una scrittura privata non autenticata rispetto alla
dichiarazione di insolvenza, non è sufficiente l’apposizione del timbro postale.
Cass., sez. trib., 18-12-2006, n. 27077
Fisco 1, 2007, 580
L’impedimento che in base all’art. 2704 c.c. consente di attribuire data certa ad una scrittura
privata deve concretarsi in una vera e propria impossibilità (e non in una mera difficoltà), non
ravvisabile in caso di permanenza di una minima residuale capacità a sottoscrivere, ancorché
difficoltosa, quale quella restante dopo essere stati colpiti da una emiparesi (applicazione in
tema di esclusione dall’asse ereditario di beni venduti dal de cuius oltre sei mesi prima della
morte ex art. 9 d.p.r. n. 637/1972).
T. Venezia, 12-12-2006
Corriere giur., 2008, 72, n. PARISI, TRINCHI
Il procedimento ex art. 19 d.leg. n. 5/2003, si presta a una piena valutazione delle prove
costituite e può, quindi, proseguire, senza cambiamento di rito, allorché, fatta istanza di
verificazione, questa venga rigettata perché ritenuta ininfluente ai fini del giudizio e perché, in
ogni caso, non seguìta dalla produzione in originale del documento.
T. Milano, 12-12-2006
Giur. it., 2007, 2276, n. USUELLI,
In materia di decreto ingiuntivo, ai sensi del nuovo disposto dell’art. 642, 2º comma, c.p.c., la
documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto di credito fatto valere e che,
senza limitare la discrezionalità del giudice, può consentire la provvisoria esecuzione
dell’ingiunzione, deve avere una valenza probatoria che dia maggior certezza della esistenza del
credito stesso e renda probabile l’assenza di contestazioni.
Cass., sez. I, 06-12-2006, n. 26149
Giust. civ., 2007, I, 1136
La proponibilità della querela di falso in via incidentale presuppone la rilevanza del documento
della cui autenticità si controverte; ciò non esclude che - accertata, all’esito del giudizio
incidentale, la falsità di un documento - il giudice possa accogliere la domanda della parte, che
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si è avvalsa del medesimo, sulla base delle complessive risultanze processuali e senza attribuire
valore di prova legale al documento dichiarato falso.
Cass., sez. I, 22-11-2006, n. 24856
Foro it., 2007, I, 2838
Nel giudizio di cassazione, la querela di falso è proponibile limitatamente ad atti del relativo
procedimento, come il ricorso o il controricorso, ovvero a documenti producibili ai sensi dell’art.
372 c.p.c., mentre non può riguardare atti e documenti che il giudice di merito abbia posto a
fondamento della sentenza impugnata, in quanto la loro eventuale falsità, se definitivamente
accertata nella sede competente, può essere fatta valere come motivo di revocazione; pertanto,
detta querela può riguardare anche la nullità della sentenza impugnata, con riferimento ai soli
vizi della sentenza stessa per mancanza dei suoi requisiti essenziali, di sostanza o di forma, e
non anche ove essa sia originata, in via mediata e riflessa, da vizi del procedimento, ovvero
dalla eventuale falsità dei documenti posti a base della decisione del giudice di merito.
Cass., sez. lav., 09-11-2006, n. 23882
Giust. civ., 2007, I, 388
Ai sensi dell’art. 2705 c.c., ai fini della efficacia del telegramma è sufficiente che l’originale sia
consegnato o fatto consegnare dal mittente, anche senza che questi lo sottoscriva, sicché
l’utilizzazione del servizio telefonico, prevista dal codice postale, consente al mittente, autore
della comunicazione, di ottenere, sia pure con la collaborazione di terzi, il recapito del proprio
messaggio all’ufficio telegrafico; tuttavia, ove sorga contestazione circa la riferibilità del
telegramma al mittente, questi ha la facoltà e l’onere di provare, con ogni mezzo di prova, che
l’affidamento all’ufficio incaricato di trasmetterlo è avvenuto a sua opera o su sua iniziativa.
Nel rito del lavoro, il rigoroso sistema delle preclusioni che regola in egual modo sia
l’ammissione delle prove costituite che di quelle costituende trova un contemperamento ispirato alla esigenza della ricerca della «verità materiale», cui è doverosamente funzionalizzato
il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che
nel giudizio devono trovare riconoscimento - nei poteri d’ufficio del giudice in materia di
ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del cit. art. 437, 2º comma, c.p.c., ove essi siano
indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con
riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle
parti stesse (nella specie, in applicazione del principio soprariportato, la suprema corte ha
ritenuto legittimo l’operato del giudice d’appello, che aveva acquisito agli atti la
documentazione degli uffici postali necessaria al fine di accertare la veridicità delle deduzioni
del lavoratore circa la tempestività dell’impugnativa del licenziamento, in replica all’eccepita
decadenza per intempestività dell’atto di impugnazione).
Cass., sez. I, 08-11-2006, n. 23793
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Giust. civ., 2007, I, 1387
L’art. 2704 c.c. non contiene una elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di una
scrittura privata non autentica deve ritenersi certa rispetto ai terzi, e lascia al giudice di merito
la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto, diverso dalla registrazione, idoneo,
secondo l’allegazione della parte, a dimostrare la data certa; tale fatto può essere oggetto di
prova per testi o per presunzioni, la quale non è ammessa solo se direttamente vertente sulla
data della scrittura (nella fattispecie, relativa ad insinuazione al passivo fallimentare di credito
da fideiussione, la suprema corte ha pertanto cassato, per vizio di motivazione, la sentenza del
giudice di appello che non aveva spiegato perché la produzione, nel procedimento promosso
per la dichiarazione del fallimento del fideiussore, della scrittura privata contenente la
fideiussione non consentisse di ritenere provata l’anteriorità della scrittura alla dichiarazione
del fallimento).
Cass., sez. I, 11-10-2006, n. 21814
Giust. civ., 2007, I, 92
In tema di data della scrittura privata nei confronti dei terzi, se la scrittura privata non
autenticata forma un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro, la data risultante
da quest’ultimo deve ritenersi data certa della scrittura, ai fini della computabilità di fronte ai
terzi, perché la timbratura eseguita in un pubblico ufficio deve considerarsi equivalente ad
un’attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è
stata eseguita; ne consegue che, in tali casi, l’onere della prova della certezza della data deve
ritenersi assolto, gravando sulla parte che la contesti l’onere di provare la redazione del
contenuto della scrittura, in tutto o in parte, in un momento diverso dalla data stessa così
accertata.
Cass., sez. I, 06-09-2006, n. 19136
Foro it., 2007, I, 1141
Giust. civ., 2007, I, 420
Contratti, 2007, 856, n. TRICOMI
Il convenuto nell’azione revocatoria fallimentare promossa dal curatore per la notevole
sproporzione di un contratto di compravendita, può eccepire la simulazione relativa
intervenuta tra le parti originarie del contratto, avente ad oggetto il prezzo della vendita, che è
opponibile al fallimento dell’alienante a condizione che la prova dell’accordo dissimulato risulti
da scrittura avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento (nella specie, la corte ha
ritenuto che - siccome l’art. 2704 c.c. non contiene un’elencazione tassativa dei fatti in base ai
quali la data di una scrittura privata non autenticata deve ritenersi certa rispetto ai terzi, ma
lascia al giudice di merito la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto, diverso
dalla registrazione, idoneo, secondo l’allegazione della parte, a dimostrare la certezza della
data - sia ammissibile la prova per testi o per presunzioni tesa a dimostrare, con il collegamento
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tra il pagamento documentato e il contratto dissimulato, la necessaria anteriorità di questo,
allorché non sia in discussione la certezza di data della scrittura rappresentativa del
pagamento).
Cass., sez. III, 05-09-2006, n. 19067
Giust. civ., 2007, I, 1153
Nel vigore dell’art. 345 nuovo testo c.p.c., non è possibile proporre istanza di verificazione ex
art. 216 c.p.c. per la prima volta in appello con riferimento ad una scrittura privata prodotta in
primo grado e in quella sede disconosciuta ai sensi dell’art. 214 stesso codice, atteso che
verrebbe altrimenti stravolto il disegno generale della scansione dei tempi processuali, quale
costruito dal legislatore con la novella di cui alla l. n. 353 del 1990.
T. Verona, 28-08-2006
Giur. it., 2008, 708, n. BESSO
Nell’istanza di sequestro giudiziario di documenti il ricorrente non è tenuto a individuare il
singolo documento, ma può limitarsi a indicare l’insieme dei documenti di cui chiede
l’acquisizione.
Cass., sez. III, 25-08-2006, n. 18498
Giust. civ., 2006, I, 1990
Nel procedimento dinanzi al giudice di pace è preclusa alle parti la possibilità di produrre
documenti in udienza successiva alla prima, a meno che non si tratti di udienza appositamente
fissata ai sensi dell’art. 320, 4º comma, c.p.c.
Cass., sez. I, 25-07-2006, n. 16976
Giust. civ., 2007, I, 1679
Attesi i limiti posti dall’art. 2704 c.c., la parte non può avvalersi della prova per testi al fine di
dimostrare direttamente la certezza della data della scrittura privata non autenticata.
Cass., sez. III, 07-07-2006, n. 15514
Riv. dir. proc., 2007, 517, n. GRADI
L’art. 345, 3º comma, c.p.c. va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il
principio della inammissibilità in grado di appello di mezzi di prova nuovi - la cui ammissione,
cioè, non sia stata richiesta in precedenza - e, quindi, anche delle produzioni documentali.
I documenti, al pari degli altri mezzi di prova, per poter trovare ingresso in sede di gravame
devono essere accompagnati dalla dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli
prima per causa ad esse non imputabile, ovvero basarsi sul convincimento del giudice circa la
indispensabilità degli stessi ai fini della decisione; in ogni caso, occorre che i nuovi documenti
siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto
8
introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva o
che la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal
processo.
Cass., sez. I, 16-06-2006, n. 13954
Foro it., 2007, I, 2539
Qualora il ricorso per cassazione venga proposto da un soggetto diverso da quello nei cui
confronti sia stata pronunciata la sentenza impugnata, nella specie il successore a titolo
particolare, la documentazione diretta a provare la legittimazione all’impugnazione deve essere
depositata in cancelleria e il deposito deve essere notificato, mediante elenco, alle controparti, a
norma dell’art. 372 c.p.c.
Cass., sez. un., 16-06-2006, n. 13916
Fisco 1, 2006, 4386
Riv. giur. trib., 2006, 755, n. MAGNANI
Dir. e giustizia, 2006, fasc. 27, 21, n. GENOVESE
Corriere trib., 2006, 2693 (m), n. BASILAVECCHIA, PACE
Corriere giur., 2006, 1694, n. MANZON
Foro it., 2007, I, 493
Bollettino trib., 2006, 1223
La rilevanza nel processo tributario (e nel processo civile in genere) del giudicato esterno
costituisce espressione delle esigenze di «certezza» proprie del giudicato e quindi del superiore
principio dal ne bis in idem, e sarebbe contrario ai criteri di logicità ed economicità dei giudizi
imporre al giudice di non tener conto di un giudicato di cui abbia contezza; appare quindi
necessario consentire che venga provata nel giudizio di cassazione la formazione di un giudicato
esterno successivo alla conclusione del giudizio di merito; l’art. 372 c.p.c. deve dunque essere
interpretato nel senso che è consentito il deposito, unitamente al ricorso, dei documenti
comprovanti il giudicato esterno formatosi dopo la conclusione del giudizio di merito; mentre il
giudicato formatosi dopo il deposito del ricorso può essere provato fino alla udienza di
discussione prima dell’inizio della relazione (ove però ciò avvenga dopo lo scadere del termine
posto dall’art. 378 c.p.c. per il deposito di memorie, la corte dovrà assegnare alle parti un
opportuno termine per il deposito di eventuali osservazioni ex art. 384, 3º comma, c.p.c. come
novellato dal d.leg. n. 40/2006).
Cass., sez. I, 05-06-2006, n. 13190
Foro it., 2007, I, 2544
Nel giudizio di querela di falso instaurato in via principale, che, nel caso di accoglimento della
domanda, è destinato a chiudersi con un accertamento che spiega efficacia erga omnes, è
esclusa la proposizione di altre domande, anche se dipendenti dalla domanda di accertamento
9
della falsità del documento.
T. Verona, 05-06-2006
Giur. it., 2008, 708, n. BESSO
Corriere giur., 2007, 551, n. ARIETA, GASPERINI
È ammissibile il sequestro giudiziario di documenti ex art. 670 n. 2 c.p.c., al fine di garantire la
fruttuosità dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. la cui richiesta nel giudizio di merito sia
stata preannunciata con il ricorso cautelare, in quanto la mancanza di coordinamento tra le
predette disposizioni non può comportare la prevalenza dell’una sull’altra, bensì l’applicabilità
di ciascuna di esse ove ne sussistano i rispettivi presupposti.
Il ricorrente che abbia ottenuto un provvedimento di sequestro giudiziario di documenti volto ad
anticipare un ordine di esibizione, ex art. 210 c.p.c., può, una volta che la misura sia stata
attuata, ottenere copia dei documenti sequestrati.
Cass., sez. I, 10-05-2006, n. 10807
Foro it., 2007, I, 2839
È inammissibile il ricorso per revocazione proposto avverso una sentenza della corte di
cassazione per il rinvenimento, dopo la sentenza, di un documento decisivo non prodotto prima
per fatto non imputabile alla parte, senza che la mancata previsione di tale ipotesi di
revocazione tra quelle ammissibili, a norma dell’art. 391 bis c.p.c., in relazione alle sentenze
della corte di cassazione, sia configurabile come vizio di legittimità costituzionale.
Cass., sez. III, 08-05-2006, n. 10501
Foro it., 2007, I, 2208
Vita not., 2006, 1424
Rass. forense, 2006, 1722, n. CATALANO
La copia fotostatica di un atto pubblico notarile forma piena prova, anche in assenza di
attestazione di conformità all’originale, qualora detta conformità non sia espressamente
disconosciuta dalla controparte.
C. Stato, sez. V, 04-05-2006, n. 2477
Giornale dir. amm., 2007, 31, n. BOMBARDELLI
L’allegazione della copia di un valido documento di identità alla dichiarazione sostitutiva di
volta in volta rilasciata costituisce un onere fondamentale del sottoscrittore, configurandosi
come l’elemento della fattispecie normativa teleologicamente diretto a comprovare, oltre alle
generalità del dichiarante, l’imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione
ad una determinata persona fisica; la mancata allegazione della copia del documento di
identità del sottoscrittore rende l’atto nullo per difetto di una forma essenziale stabilita dalla
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legge, non sanabile successivamente in sede di regolarizzazione operata ai sensi dell’art. 71
d.p.r. n. 445/2000.
T. Verona, 29-04-2006
Giur. it., 2008, 708, n. BESSO
È ammissibile il sequestro giudiziario di documenti volto ad anticipare un ordine di esibizione
ex art. 210 c.p.c.
Cass., sez. II, 27-03-2006, n. 6968
Giust. civ., 2006, I, 1440
Il riconoscimento tacito della scrittura privata sancito dall’art. 215, 1º comma, n. 2 c.p.c.,
comporta la decadenza di natura sostanziale dalla facoltà di disconoscere la scrittura stessa, e
come tale non opera d’ufficio ma è rilevabile solo ad istanza di parte, non essendo posto in
modo esplicito, né essendo desumibile dal sistema a tutela di un interesse generale; ne consegue
che esso non segue in modo automatico al mancato disconoscimento della scrittura privata alla
prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione.
La proposizione dell’istanza di verificazione della scrittura privata non è compatibile con la
volontà di far valere la decadenza della controparte dalla facoltà di disconoscerla, sicché una
volta formulata la suddetta istanza si verifica una rinuncia tacita all’eccezione che non può più
essere revocata.
Cass., sez. trib., 27-03-2006, n. 6949
Foro it., 2007, I, 215, n. CEA
Riv. dir. trib., 2006, II, 635, n. DE SIMONE
Dir. e giustizia, 2006, fasc. 18, 27, n. DI GIACOMO
Finanza loc., 2006, fasc. 12, 121
Nelle controversie in grado di appello avverso le decisioni delle commissioni tributarie di primo
grado, le parti possono produrre nuovi documenti, ancorché non abbiano ottemperato all’ordine
di produzione degli stessi impartito dal giudice di primo grado.
art. 58, d.lg. 546/1992: Nuove prove in appello.
1. Il giudice d'appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini
della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di
giudizio per causa ad essa non imputabile.
2. È fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti.
A. Milano, 18-03-2006
Giur. it., 2006, 1867
In grado di appello sono inammissibili mezzi di prova nuovi - la cui ammissione, cioè, non sia
stata richiesta in precedenza - e, quindi, anche le produzioni documentali, salvo che si offra la
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prova che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa loro non imputabile o sussista il
convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione.
Cass., sez. II, 08-03-2006, n. 4921
Giur. it., 2006, 2292, n. D’AURIA
In materia di trasferimenti immobiliari, ai fini della integrazione del requisito della forma scritta
ad substantiam, non osta l’unilateralità della scrittura, poiché l’incontro tra le volontà dei
contraenti può essere consacrato anche da atti scritti non contestuali, e la produzione in
giudizio di quello eventualmente sottoscritto solo da uno di essi, che non lo abbia medio
tempore revocato, equivale a manifestazione di valido consenso scritto della controparte.
Cass., sez. III, 15-02-2006, n. 3282
Arch. circolaz., 2006, 822
Con riferimento al verbale di accertamento di un incidente stradale redatto da organi di polizia,
l’efficacia di piena prova fino a querela di falso, che ad esso deve riconoscersi - ex art. 2700
c.c., in dipendenza della sua natura di atto pubblico - oltre che quanto alla provenienza
dell’atto ed alle dichiarazioni rese dalle parti, anche relativamente «agli altri fatti che il pubblico
ufficiale che lo redige attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti», non sussiste né
con riguardo ai giudizi valutativi che esprima il pubblico ufficiale, né con riguardo alla menzione
di quelle circostanze relative a fatti, i quali, in ragione delle loro modalità di accadimento
repentino, non si siano potuti verificare e controllare secondo un metro sufficientemente
obbiettivo e pertanto, abbiano potuto dare luogo ad una percezione sensoriale implicante
margini di apprezzamento, come nell’ipotesi che quanto attestato dal pubblico ufficiale
concerna l’indicazione di un corpo o di un oggetto in movimento, con riguardo allo spazio che
cade sotto la percezione visiva del verbalizzante; e, pertanto, al riguardo la parte non è tenuta
nemmeno alla prova contraria; il predetto verbale fa invece piena prova fino a querela di falso
in ordine ai fatti accertati visivamente dai verbalizzanti e relativi alla fase statica dell’incidente,
quale risultava al momento del loro intervento.
Cass., sez. III, 07-02-2006, n. 2524
Giust. civ., 2007, I, 1743
La denunzia di abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco con sottoscrizione
riconosciuta (o autenticata) richiede l’esperimento della querela di falso, ai sensi dell’art. 2702
c.c., nel caso in cui il riempimento stesso sia avvenuto absque pactis, ovvero senza che il suo
autore sia stato autorizzato dal sottoscrittore con un patto preventivo; diversamente, non è
richiesto l’esperimento della querela di falso nella ipotesi in cui il riempimento sia stato eseguito
contra pacta, cioè in modo difforme da quello consentito dall’accordo intervenuto
preventivamente; la diversa disciplina si spiega perché nella prima ipotesi l’abuso incide sulla
provenienza e sulla riferibilità della dichiarazione al sottoscrittore, mentre nella seconda si
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traduce in una mera disfunzione interna del procedimento di formazione della dichiarazione
medesima, in relazione allo strumento adottato (mandato ad scribendum), la quale implica solo
la non corrispondenza tra ciò che risulta dichiarato e ciò che si intendeva dichiarare (nella
specie, la suprema corte ha confermato la sentenza impugnata, con la quale era stato
correttamente ritenuto che - avendo la ricorrente dichiarato di aver apposto la propria firma su
un buono di consegna di un elettrodomestico, acquistato dal controricorrente, precisando che lo
stesso era stato poi riempito successivamente da quest’ultimo contro la sua volontà con una
fideiussione che la ricorrente stessa non aveva mai inteso rilasciare - nell’ipotesi in questione
avrebbe dovuto essere proposta la querela di falso, con la conseguenza che, in difetto, non si
sarebbe potuto concludere per la falsità del predetto documento sulla base degli altri elementi
del tutto marginali e indiziari indicati dalla ricorrente).
Il giudizio civile di falso ed il procedimento penale di falso, pur conducendo entrambi ad
un’eliminazione
dell’efficacia
rappresentativa
del
documento
risultato
falso,
sono
sostanzialmente differenti tra loro: il primo tende soltanto a dimostrare la totale o parziale non
rispondenza al vero di un determinato documento nel suo contenuto obiettivo o nella sua
sottoscrizione; il secondo, mira anche ad identificare l’autore, al fine di assoggettarlo alle pene
stabilite dalla legge; la querela di falso di cui all’art. 221 c.p.c. e la denuncia in sede penale
hanno, quindi, funzioni diverse, salvo l’obbligo del giudice civile di sospendere il giudizio civile
sulla querela allorché sia iniziato il procedimento penale, in relazione al disposto di cui all’art.
295 c.p.c. e, considerata l’efficacia propria della sentenza penale sul giudizio civile, ai sensi
dell’art. 654 c.p.p. (nella specie, la suprema corte, sulla scorta dell’enunciato principio e
rigettando il motivo di ricorso proposto, ha chiarito che, nel caso in questione, i fatti esaminati
in sede penale - il cui procedimento si era concluso con la declaratoria di estinzione del reato
per amnistia - non potevano essere ritenuti vincolanti nel successivo giudizio civile e la predetta
definizione del procedimento penale non avrebbe impedito, da un lato, la presentazione della
querela di falso, mentre, dall’altro, l’avrebbe imposta, ai fini della contestazione della veridicità
di quanto risultava da una scrittura privata con sottoscrizione riconosciuta ma oggetto di
riempimento absque pactis).
Cass., sez. lav., 06-02-2006, n. 2468
Foro it., 2006, I, 3135, n. ORIANI, PROTO PISANI
Foro it., 2006, I, 3430 (m), n. BARONE C. M.
Nel processo del lavoro, è inammissibile la produzione in appello di un documento, quantunque
finalizzata alla dimostrazione di un’eccezione in senso lato, quale l’interruzione della
prescrizione, ove una qualche prova in proposito non sia stata acquisita né il fatto interruttivo
sia stato allegato in primo grado.
Cass., sez. trib., 30-01-2006, n. 1991
Fisco 1, 2006, 1869
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Il disconoscimento della conformità all’originale, della copia fotostatica di documenti (nel caso
di specie, istanze di rimborso della tassa sulle società e prova della presentazione e ricezione),
volta ad impedire che le copie acquistino, ai sensi dell’art. 2719 c.c., la stessa efficacia
probatoria degli originali, è soggetto alle modalità ed ai termini fissati dagli art. 214 e 215 c.p.c.
e, pertanto, deve avvenire nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla
produzione, in modo formale e specifico, mediante un’esplicita dichiarazione di chiaro
contenuto ovverosia con espressioni inequivoche (non è pertanto idonea una generica
contestazione formulata in via preventiva, prima ancora che i documenti siano prodotti).
Cass., sez. trib., 26-01-2006, n. 1609
Foro it., 2006, I, 1398
È inefficace il disconoscimento della conformità con l’originale delle fotocopie di documenti
genericamente operato prima della produzione in giudizio delle stesse.
Cass., sez. lav., 23-01-2006, n. 1264
Prev. e assist. pubbl. e privata, 2006, 308
In tema di prova documentale, l’onere, stabilito dall’art. 2719 c.c., di disconoscere
«espressamente» la conformità tra l’originale della scrittura e la copia fotografica (o fotostatica)
prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, implica
che il disconoscimento sia fatto in modo specifico, con una dichiarazione che contenga una non
equivoca negazione della genuinità della copia; sicché la relativa eccezione non può essere
formulata in maniera solo generica o dubitativa, ma deve contenere specifico riferimento al
documento ed al profilo di esso che venga contestato.
Cass., sez. II, 12-01-2006, n. 457
Giust. civ., 2007, I, 1519
Per contestare le affermazioni contenute in un verbale proveniente da un pubblico ufficiale su
circostanze oggetto di percezione sensoriale, come tali suscettibili di errore di fatto - nella
specie, la rilevazione del numero di targa di un’auto - non è necessario proporre querela di falso,
ma è sufficiente fornire prove idonee a vincere la presunzione di veridicità del verbale, secondo
l’apprezzamento rimesso al giudice di merito.
Cass., sez. trib., 11-01-2006, n. 366
Bollettino trib., 2006, 245
Rass. trib., 2006, 598, n. CIPOLLA
Riv. giur. trib., 2006, 303, n. BASILAVECCHIA
Fisco 1, 2006, 725
Giur. it., 2006, 1759
Corriere trib., 2006, 792, n. BRUZZONE
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L’art. 7 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, che attribuisce alle commissioni tributarie ampi poteri
istruttori di ufficio, tra cui, al 3º comma, la facoltà di ordinare il deposito di documenti ritenuti
necessari per la decisione della controversia, costituisce una norma eccezionale che non può
essere utilizzata come rimedio ordinario per sopperire alle lacune probatorie delle parti dal
momento che il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove a fronte del
mancato assolvimento dell’onere probatorio salvo che sia impossibile o sommamente difficile
esercitarlo.
Cass., sez. III, 30-11-2005, n. 26090
Giust. civ., 2006, I, 1207
La scrittura proveniente da un terzo e prodotta in giudizio da una delle parti, pur non
configurandosi come prova tipica, può costituire un indizio, del quale occorre valutare la
rilevanza, unitamente al comportamento processuale tenuto dall’altra parte nel giudizi di primo
e secondo grado.
C. Stato, sez. V, 29-11-2005, n. 6724
Foro it., 2006, III, 397
Ai sensi dell’art. 2719 c.c. le copie fotostatiche di un documento hanno la stessa efficacia delle
copie autentiche, se non siano state disconosciute: a tal fine è irrilevante che la parte che
avrebbe potuto disconoscerle non si sia costituita in giudizio.
C. Stato, sez. II, 09-11-2005, n. 1281
Arch. giur. oo. pp., 2005, 1088
Dir. trasporti, 2006, 523
Rass. avv. Stato, 2005, fasc. 4, 258
Nei procedimenti per l’aggiudicazione di contratti della p.a., il verbale e gli atti formati dal
funzionario incaricato di procedere alla descrizione delle operazioni nel corso della gara fanno
piena prova fino a querela di falso, trattandosi di atti pubblici, redatti, con le richieste
formalità, da pubblico ufficiale autorizzato ad attribuire agli stessi pubblica fede nel luogo dove
l’atto è formato (art. 2699 c.c.), ma non per ciò solo preclude qualunque altro accertamento sui
fatti in esso descritti, giacché in base all’art. 2700 c.c., l’atto pubblico fa sì piena prova della
provenienza del documento da pubblico ufficiale che l’ha formato, nonché delle dichiarazioni
delle parti e degli altri fatti che costui attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma non
fa fede anche delle valutazioni da lui compiute, né esclude la possibilità di errori in tale
operazione.
C. Stato, sez. V, 27-10-2005, n. 5985
Foro amm.-Cons. Stato, 2005, 2966 (m)
Ai sensi dell’art. 2700 c.c., l’atto pubblico fa piena prova della provenienza del documento dal
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pubblico ufficiale che l’ha redatto, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che
costui attesti essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma non fa fede anche delle
valutazioni da lui compiute.
Cass., sez. trib., 17-10-2005, n. 20086
Bollettino trib., 2006, 419
Giur. it., 2006, 2356
Nel processo tributario il regime delle prove in appello è modellato su quello del processo civile,
con l’unica eccezione delle prove documentali per le quali non opera il divieto della novità con
la conseguenza che la commissione non può rifiutare l’esame dei documenti nuovi prodotti in
appello eccependo che essi non erano stati prodotti in primo grado, in quanto l’art. 58, 2º
comma, d.leg. 31
dicembre 1992 n. 546, fa
salva tale facoltà indipendentemente
dall’impossibilità di produrli in prima istanza per causa non imputabile all’interessato, quale
invece prevista dall’art. 345, ultimo comma, c.p.c.
Cass., sez. III, 06-10-2005, n. 19475
Foro it., 2006, I, 102
Non può essere ordinata, in relazione al disposto dell’art. 210 c.p.c., l’esibizione in giudizio di
un documento di una parte o di un terzo, allorquando l’interessato può di propria iniziativa
acquisirne una copia e produrla in causa (nella specie, la suprema corte ha confermato la
decisione del giudice di merito che non aveva dato seguito all’istanza di esibizione avanzata da
una parte con riguardo a determinati documenti, sul presupposto che era risultato che gli stessi
erano già stati esaminati presso il terzo dal consulente privato della stessa parte).
T. Bologna, 04-10-2005
Giur. it., 2006, 1436
Nella fase cautelare, è ammissibile l’acquisizione da parte del giudice di ogni prova «atipica» quali le dichiarazioni scritte rese da un dipendente della ricorrente - che appaia coerente con i
presupposti e con il tipo di provvedimento richiesto.
Cass., sez. I, 29-07-2005, n. 15954
Fallimento, 2006, 661, n. D’AQUINO
A norma dell’art. 2719 c.c., il mancato disconoscimento della conformità all’originale della
copia fotografica - cui va equiparata la copia fotostatica - di una scrittura privata ne rende
relativamente incontestabile il testo ed eventualmente la sua provenienza dal sottoscrittore, ma
non ne rende affatto certa la data rispetto ai terzi, i quali non sono tenuti al disconoscimento
della scrittura per porne in discussione la data; la questione relativa all’autenticità di una
scrittura privata è infatti distinta da quella della sua datazione certa, e l’accertata autenticità
della scrittura non esime chi l’ha prodotta contro i terzi dall’onere di provare la data effettiva
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della sua redazione (sulla base dell’enunciato principio, la suprema corte ha escluso che fosse
opponibile al curatore fallimentare, ai fini dell’ammissione al passivo del fallimento, in quanto
priva di data certa, una fideiussione documentata dalla fotocopia di una scrittura privata,
della quale il curatore non aveva disconosciuto la conformità all’originale, ma che non
permetteva comunque di accertare se il documento constasse di più fogli separati ovvero di un
unico foglio composto di più facciate, così da poter riferire il timbro datario postale apposto
sulla prima facciata anche alle ulteriori parti della scrittura, contenenti sia il testo del contratto
che le sottoscrizioni dei contraenti).
Cass., sez. III, 19-07-2005, n. 15189
Foro it., 2005, I, 3023, n. BARONE C. M.
In controversia instaurata nel 1992, la dichiarazione resa, nell’udienza di prima comparizione
avanti il tribunale, dall’appellato - che nel procedimento pretorile aveva depositato, cinque
giorni prima della discussione, un documento - per segnalarne l’esistenza agli atti in quanto
«spillato» al fascicolo d’ufficio, trasmesso alla cancelleria del giudice di appello anteriormente
allo svolgimento dell’anzidetta udienza, non equivale a rituale produzione in secondo grado del
medesimo documento, sicché legittimamente il giudice di appello omette di tenerne conto.
Cass., sez. I, 09-07-2005, n. 14481
Fallimento, 2006, 141, n. ZORZI
Giust. civ., 2006, I, 851
In tema di valore probatorio della quietanza nei confronti della curatela fallimentare, dalla
anteriorità, con atto di data certa, della quietanza al fallimento non può ricavarsi anche la
certezza della effettività del pagamento quietanzato, giacché solo dalla certezza dell’avvenuto
pagamento, mediante strumenti finanziari incontestabili (anche alla luce della legislazione
antiriciclaggio, che impone cautele e formalità particolari ove vengano trasferiti valori superiori
ad un certo importo), può trarsi la prova del pagamento del prezzo pattuito nell’atto di
autonomia privata, idoneo al trasferimento del bene (enunciando il principio di cui in massima,
la suprema corte ha confermato la sentenza di merito, la quale, facendo uso di presunzioni, era
pervenuta alla conclusione dell’avvenuta corresponsione al promittente venditore, poi
dichiarato fallito, della sola minor somma pagata con assegni, e della simulazione della
quietanza di pagamento della maggiore, di cui il promissario acquirente assumeva il pagamento
in contanti, ritenendo così raggiunta la prova della simulazione del patto relativo al prezzo di
vendita).
Cass., sez. II, 27-06-2005, n. 13738
Giust. civ., 2006, I, 354
Riv. not., 2006, 780
La facoltà di produrre nuovi documenti in appello è ammessa dall’art. 345, 3º comma, c.p.c.,
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nella formulazione di cui all’art. 52 l. n. 353 del 1990, giacché il divieto di produzione di nuovi
mezzi di prova previsto da tale norma va riferito alle prove c.d. costituende, e non anche a
quelle c.d. precostituite; tale facoltà, peraltro, deve essere esercitata dalla parte, a pena di
decadenza, con la costituzione in giudizio ed entro il termine all’uopo fissato dagli art. 165 e
166 c.p.c., espressamente richiamati, anche con riferimento ai termini, dall’art. 347 stesso
codice.
T. Torino, 27-06-2005
Giust. civ., 2006, I, 2551, n. CARNICELLI
L’efficacia probatoria del libretto di deposito a risparmio prevista dall’art. 1835, 2º comma, c.c.
si riferisce soltanto alle operazioni annotate sul libretto, e non implica che si debbano
considerare compiute soltanto esse; conseguentemente, è sempre ammessa la prova che
un’operazione non indicata nel libretto sia stata effettivamente eseguita (nella specie, peraltro,
in mancanza di documentazione contabile, distrutta dalla banca, essendo trascorsi ormai oltre
dieci anni dall’asserita esecuzione dei prelievi in questione, è stata ritenuta priva di efficacia
probatoria a tal fine, in quanto priva di specificità e concretezza, la deposizione testimoniale di
un dipendente della stessa banca confermativa dell’effettiva esecuzione delle operazioni non
annotate sul libretto).
Cass., sez. III, 22-06-2005, n. 13384
Giust. civ., 2006, I, 357
La parte rimasta contumace nel giudizio di primo grado può disconoscere in appello la scrittura
privata contro di essa prodotta nella precedente fase ed utilizzata nella sentenza impugnata ai
fini della decisione: l’appellante può compiere il disconoscimento con l’atto di impugnazione,
primo atto successivo alla sentenza che menziona la scrittura; a tal fine ha l’onere di «negare
formalmente» la scrittura o la sottoscrizione che le sono attribuite, mediante un’impugnazione
specifica e determinata, che esprima la volontà di negare l’autenticità e quindi la provenienza di
esse, senza che possa considerarsi sufficiente l’affermazione dell’inesistenza del fatto
costitutivo contenuto nella scrittura.
T. Trani-Andria, 07-06-2005
Giur. it., 2006, 97, n. SOCCI
La ctu non è un mezzo di prova né di ricerca dei fatti che devono provarsi dalla parte, ma solo
uno strumento di valutazione dei fatti già dimostrati e dei soli documenti ritualmente acquisiti
al processo; nei casi di omessa produzione, di ogni tipo di documento, anche se solo di
dettaglio, non può effettuarsi una ctu, ma in base all’art. 2697 c.c. chi non ha prodotto tutti i
documenti (e non solo quelli relativi ai fatti costitutivi, ma anche quelli comunque utili per
calcolare il quantum di una prestazione) soccombe in giudizio se aveva l’onere della prova.
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Cass., sez. II, 20-05-2005, n. 10702
Vita not., 2005, 1663
Gli atti pubblici fanno fede fino a querela di falso solo relativamente alla loro provenienza, alle
dichiarazioni rese al pubblico ufficiale e agli altri fatti che questi attesti essere avvenuti in sua
presenza o da lui compiuti, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli
indichi come apprese da terzi o a seguito di altre indagini, l’attendibilità dell’atto pubblico può
essere infirmata da specifica prova contraria; ne consegue che, in caso di compravendita per
atto pubblico di un terreno, poiché la classificazione catastale come agricolo di per sé non
esclude che esso possa essere stato oggetto di edificazione, ed incombendo al pubblico ufficiale
di accertare la corrispondenza dei dati catastali al terreno oggetto di vendita ma non anche
l’inesistenza sullo stesso di costruzioni all’epoca della stipulazione, la mancata emergenza
dall’atto dell’esistenza di fabbricati non preclude l’ammissibilità di una specifica prova
contraria, volta a contrastare tale indiretta risultanza.
Cass., sez. III, 12-05-2005, n. 10021
Giur. it., 2006, 794, n. RONCO
Dir. e giustizia, 2005, fasc. 25, 14, n. GARUFI
La sola ricezione della busta raccomandata da parte del destinatario non costituisce prova del
contenuto di essa.
Cass., sez. lav., 11-05-2005, n. 9884
Dir. Internet, 2005, 563, n. FINOCCHIARO
In ordine all’assunta contestazione dei dati del sistema informatico, è da osservare
preliminarmente che, per l’art. 2712 c.c., la contestazione esclude il pieno valore probatorio
della riproduzione meccanica, ove abbia per oggetto il rapporto di corrispondenza fra la realtà
storica e la riproduzione meccanica («la conformità» dei dati ai fatti ed alle cose
rappresentate); ove la contestazione (con questo specifico contenuto) vi sia stata, la
riproduzione, pur perdendo il suo pieno valore probatorio, conserva tuttavia il minor valore di
un semplice elemento di prova, che può essere integrato da ulteriori elementi; l’accertamento
della sussistenza e del contenuto della contestazione, avendo per oggetto fatti materiali, è
funzione del giudice di merito e, ove sia esente da vizi logici, in sede di legittimità è
insindacabile.
Cass., sez. III, 30-04-2005, n. 9024
Giust. civ., 2006, I, 613
Il riconoscimento tacito della scrittura privata ex art. 215 c.p.c., attribuisce alla scrittura prova
piena, fino a querela di falso, secondo il disposto dell’art. 2702 c.c., in ordine alla provenienza
dal sottoscrittore; l’onere del disconoscimento della scrittura privata grava però esclusivamente
sul soggetto che appare essere autore della sottoscrizione e non già sul soggetto che contesta
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l’opponibilità, del documento, in quanto non recante alcuna sottoscrizione a lui riferibile; ne
consegue che quando il contenuto della scrittura privata inter alios venga contestato, il
documento non viene in rilievo come prova legale e la verità o meno del suo contenuto,
dimostrabile con ogni mezzo di prova, è affidata al libero apprezzamento del giudice.
Cass., sez. un., 20-04-2005, n. 8203
Foro it., 2005, I, 1690, n. DALFINO, BARONE C. M., PROTO PISANI
Foro it., 2005, I, 2719 (m), n. CEA
Riv. dir. proc., 2005, 1051, n. CAVALLONE
Giur. it., 2005, 2315, n. LOMBARDO
Guida al dir., 2005, fasc. 23, 35, n. PISELLI
Giust. civ., 2005, I, 2019, n. GIACALONE, CACCAVIELLO, GIORDANO
Dir. e giustizia, 2005, fasc. 23, 23, n. ROSSETTI
Corriere giur., 2005, 934, n. RUFFINI, CAVALLINI
(vedi, in fondo, sentenza per esteso)
Il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, stabilito dall’art. 345, 3º comma,
c.p.c., nel testo sostituito dall’art. 52 l. n. 353 del 1990, riguarda anche le prove c.d.
precostituite, quali i documenti, la cui produzione, pertanto, è subordinata, al pari delle prove
c.d. costituende, alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito
alla parte di produrli in primo grado ovvero alla valutazione della loro indispensabilità.
Cass., sez. un., 20-04-2005, n. 8202
Foro it., 2005, I, 1690, n. DALFINO, BARONE C. M., PROTO PISANI
Foro it., 2005, I, 2719 (m), n. CEA
Riv. critica dir. lav., 2005, 267
Corriere giur., 2005, 929, n. RUFFINI, CAVALLINI
Giur. it., 2005, 1457, n. SOCCI
Dir. e pratica lav., 2005, 1988, n. TREGLIA
Riv. giur. lav., 2005, II, 505, n. FABBRI
Riv. dir. proc., 2005, 1051, n. CAVALLONE
Notiziario giurisprudenza lav., 2005, 406
Dir. lav., 2005, II, 293, n. BALESTRIERI
Mass. giur. lav., 2005, 964, n. CENTOFANTI
Guida al dir., 2005, fasc. 18, 41, n. TATARELLI
Giust. civ., 2005, I, 2019, n. GIACALONE, CACCAVIELLO GIORDANO
Dir. e giustizia, 2005, fasc. 23, 17, n. ROSSETTI
Lavoro giur., 2005, 641, n. MISCIONE
(vedi, in fondo, sentenza per esteso)
Nel rito del lavoro, l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei
20
documenti e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la
decadenza dal diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia
giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale
successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio, a seguito di domanda
riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo).
A. Bari, 15-04-2005
Foro it., 2005, I, 1905
Qualora una parte avanzi dubbi sulla provenienza di una scrittura formata da terzi e prodotta
in giudizio dalla controparte, quest’ultima è tenuta a provare l’autenticità del documento a
pena di inammissibilità dello stesso.
La produzione in giudizio di uno scritto proveniente da terzi, qualora lo stesso si riveli
sostitutivo della prova testimoniale, è subordinata al rispetto delle regole di esclusione previste
dall’ordinamento per la testimonianza, nonché alla mancata contestazione della controparte
della violazione del principio del contraddittorio e del suo diritto di difesa, derivante dal non
aver partecipato alla formazione della prova stessa.
Cass., sez. II, 12-04-2005, n. 7475
Riv. not., 2006, 230
Giust. civ., 2006, I, 927
Qualora sia fatta valere la falsità del testamento (nella specie olografo), l’azione - che ha ad
oggetto l’accertamento dell’inesistenza dell’atto - soggiace allo stesso regime probatorio stabilito
nel caso di nullità prevista dall’art. 606 c.c. per la mancanza dei requisiti estrinseci del
testamento, sicché - avuto riguardo agli interessi dedotti in giudizio dalle parti - nell’ipotesi di
conflitto tra l’erede legittimo che disconosca l’autenticità del testamento e chi vanti diritti in
forza di esso, l’onere della proposizione dell’istanza di verificazione del documento contestato
incombe sul secondo, cui spetta la dimostrazione della qualità di erede, mentre nessun onere,
oltre quello del disconoscimento, spetta all’erede legittimo; pertanto sulla ripartizione dell’onere
probatorio non ha alcuna influenza la posizione processuale assunta dalle parti, essendo
irrilevante se l’azione sia stata esperita dall’erede legittimo (per fare valere, in via principale, la
falsità del documento), ovvero dall’erede testamentario che, agendo per il riconoscimento dei
diritti ereditari, abbia visto contestata l’autenticità del testamento da parte dell’erede legittimo.
Cass., sez. I, 07-04-2005, n. 7336
Foro it., 2005, I, 2011
Arch. circolaz., 2005, 705
Ammin. it., 2005, 1406
Guida al dir., 2005, fasc. 17, 22, n. SACCHETTINI
Dir. e giustizia, 2005, fasc. 19, 24, n. TERRACCIANO
21
Ai sensi degli art. 68 l. 23 dicembre 1999 n. 488 e 17, 132º comma l. 15 maggio 1997 n. 127, il
personale dipendente di società che gestisca un parcheggio può accertare le violazioni al divieto
di sosta con verbali idonei a costituire atti pubblici se il parcheggio sia stato oggetto di
concessione comunale alla società ai sensi dell’art. 7, 8º comma, d.leg. 30 aprile 1992 n. 285
(nuovo codice della strada) e il potere di accertamento sia stato conferito ai dipendenti dal
sindaco 1.
Cass., sez. lav., 04-04-2005, n. 6972
Giust. civ., 2006, I, 430
Giur. it., 2006, 2118
Per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione, valido oltreché per il vizio di cui
all’art. 360, n. 5, anche per quello di cui all’art. 360, n. 3 c.p.c., il ricorrente che denunzia la
violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quali quelle processuali, non può limitarsi a
specificare solo la singola disposizione di cui si denunzia, appunto, la violazione, ma deve
indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti d’operatività di detta
1
legge n° 488/1999, art. 68 (Funzioni di prevenzione e accertamento di violazioni di disposizioni del
codice della strada)
1. I commi 132 e 133 dell' articolo 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127, si interpretano nel senso che i l
conferimento delle funzioni di prevenzione e accertamento delle violazione, ivi previste, comprende, a i
sensi del comma 1, lettera e), dell' articolo 12 del decreto legisla tivo 30 aprile 1992, n. 285, e successive
modificazioni, i poteri di contestazione immediata nonché di redazione e sottoscrizione del verbale di
accertamento con l'eff icacia di cui agli articoli 2699 e 2700 del codice civile.
2. A decorrere dal 1° gennaio 2000 le funzioni di prevenzione e accertamento previste dai commi 132 e 133
dell' articolo 17 della legge 15 maggio 1997 n.127, con gli effetti di cui a ll' articolo 2700 codice civile ,
sono svolte solo da personale nominativamente designa to da l sindaco previo accertamento dell' assenza
di precedenti o pendenze penali, nell' ambito delle ca tegorie indicate dai medesimi commi 132 e 133
dell' articolo 17 della cita ta legge 15 maggio 1997.
3. Al personale di cui al comma 132 ed al personale di cui a l comma 133 dell' articolo 17 della legge 15
maggio 1997, n.127, può essere conferita anche la competenza a disporre la rimozione dei veicoli, nei
casi previsti, rispettivamente, da lle lettere b) e c) e dalla lettera d) del comma 2 dell' articolo 158 del
decreto legisla tivo 30 aprile 1992, n. 285.
4. Il termine indicato dall' articolo 204, comma 1, del decreto legisla tivo 30 aprile 1992, n.285, per
l'emissione dell'ordinanza-ingiunzione da parte del prefetto è fissato in 180 giorni.
5. Il decreto-legge 2 novembre 1999, n. 391, è abroga to. Restano va lidi gli atti e i provvedimenti
adotta ti e sono fatti sa lvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge 2
novembre 1999, n. 391.
Legge n° 127/1997, art. 17
comma 132. I comuni possono, con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di prevenzione e
accertamento delle violazioni in materia di sosta a dipendenti comunali o delle società di gestione dei
parcheggi, limita tamente a lle aree oggetto di concessione. La procedura sanzionatoria amministrativ a
e l'organizzazione del rela tivo servizio sono di competenza degli uffici o dei comandi a ciò preposti. I
gestori possono comunque esercitare tutte le azioni necessarie a l recupero delle evasioni tariff arie e dei
mancati pagamenti, ivi compresi il rimborso delle spese e le penali.
comma 133. Le funzioni di cui a l comma 132 sono conferite anche a l personale ispettivo delle aziende
esercenti il trasporto pubblico di persone nelle forme previste dagli articoli 22 e 25 della legge 8 giugno
1990, n. 142, e successive modificazioni. A ta le persona le sono inoltre conferite, con le stesse modalità di
cui al primo periodo del comma 132, le funzioni di prevenzione e accertamento in materia di circolazione
e sosta sulle corsie riservate al trasporto pubblico a i sensi dell' articolo 6, comma 4, lettera c), de l
decreto legisla tivo 30 aprile 1992, n. 285.
22
violazione; ne consegue che la denunzia d’illegittimo rifiuto da parte del giudice di merito di una
prova documentale, non può limitarsi ad affermare genericamente che il documento è rinvenibile
«nel fascicolo di primo grado», per non essere il ricorso stesso idoneo, per l’ampiezza
dell’espressione usata, ad impedire il pericolo di un «soggettivismo giudiziario», perché
costringe il giudice non solo ad una ricerca, non sempre agevole, del suddetto documento tra gli
atti (talvolta numerosi) di causa, ma, una volta rinvenutolo, all’accertamento necessario per
decidere sulla ritualità del suo deposito, e della tempestività delle eventuali eccezioni che su
tale documento si fondano, e che non possono essere sottratte ad un regolare e pieno
contraddittorio tra le parti di causa (nella specie, la corte di cassazione ha applicato il
principio di cui in massima ritenendo che i ricorrenti non avessero rispettato il principio
d’autosufficienza per aver fatto riferimento alle buste paga al fine di provare lo straordinario,
senza indicare le modalità, anche temporali, d’acquisizione in giudizio di detti documenti; per
aver lamentato la mancata ammissione delle prove testimoniali, senza tra l’altro indicare gli
estremi per valutare la tempestività della richiesta; per aver evocato la mancata contestazione
dei conteggi da parte del datore di lavoro, senza precisare se tale contestazione fosse relativa
all’an o limitata al quantum, scaturendo diverse conseguenze in ragione delle diverse modalità
di contestazione; per aver lamentato il mancato esercizio da parte del giudice del lavoro dei
poteri d’ufficio, senza però fornire alcun accenno alle condizioni legittimanti detto esercizio).
Cass., sez. I, 22-03-2005, n. 6191
Giust. civ., 2006, I, 640
In tema di promessa di pagamento, i limiti alla prova testimoniale, desumibili dall’art. 2556, 1º
comma, c.c. (in forza del quale i contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà o del
godimento di un’azienda debbono essere provati per iscritto), operano solo quando sia dedotto,
come fonte di obblighi, direttamente e specificamente il contratto e la parte chieda in giudizio
l’accertamento o l’adempimento del suo credito; quando, però, la pretesa creditoria si fondi su
una promessa di pagamento o su una dichiarazione ricognitiva di debito, in cui la causa non
venga neppure enunciata, come il promittente, allo scopo di superare la presunzione di
esistenza del rapporto sottostante (art. 1988 c.c.), non incontra alcun limite probatorio, e può
provare con testimoni l’inesistenza o l’estinzione del rapporto giuridico assunto a causa della
promessa, così il destinatario della promessa medesima può contrastare con qualsiasi mezzo
istruttorio i risultati della prova prevista dalla controparte, e, quindi, far ricorso alla prova per
testimoni contraria, anche se essa abbia ad oggetto un contratto per cui sia richiesta la forma
scritta ad probationem (nella specie, trasferimento di azienda), quale fonte dell’obbligazione cui
la deliberazione si riferisce, tenuto conto che, in questa situazione, il contratto stesso viene
dedotto solo per esigenze difensive, quale mezzo al fine di consentire alla promessa di
pagamento di spiegare i suoi effetti.
23
Cass., sez. I, 15-03-2005, n. 5582
Foro it., 2005, I, 2366
Fallimento, 2005, 1243
Nel procedimento di accertamento del passivo, il creditore per ottenere l’ammissione al passivo
del proprio credito non può limitarsi a produrre le scritture contabili del fallito, in quanto la
norma dell’art. 2709 c.c. si applica al debitore-imprenditore e non al curatore il quale assume
una posizione di terzietà, potendo tali scritture costituire un indizio cui devono accompagnarsi
altri elementi di giudizio.
T. Ivrea, 10-03-2005
Merito, 2005, fasc. 5, 27, n. BRUNETTI, D’APONTE
I verbali redatti dagli ispettori Inps fanno piena prova, fino a querela di falso, solo della
provenienza del documento dal funzionario che lo ha formato e dei fatti attestati come avvenuti
in sua presenza, posto che relativamente agli altri fatti, quali le dichiarazioni raccolte od il
contenuto dei documenti analizzati, possono unicamente fornire utili elementi di giudizio cui è
sostanzialmente attribuibile un valore indiziario, che ben può essere infirmato da una prova
contraria.
Cass., sez. un., 07-03-2005, n. 4814
Foro it., 2005, I, 2747
Riv. dir. proc., 2005, 1031, n. MONTELEONE
L’illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, la quale sia apposta in calce od a
margine dell’atto con il quale sta in giudizio una società esattamente indicata con la sua
denominazione, è irrilevante, non solo quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della
procura stessa o della certificazione d’autografia resa dal difensore, ovvero dal testo di
quell’atto, ma anche quando detto nome sia con certezza desumibile dall’indicazione di una
specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di
causa o delle risultanze del registro delle imprese; in assenza di tali condizioni, ed inoltre nei
casi in cui non si menzioni alcuna funzione o carica specifica, allegandosi genericamente la
qualità di legale rappresentante, si determina nullità relativa, che la controparte può opporre
con la prima difesa, a norma dell’art. 157 c.p.c., facendo così carico alla parte istante
d’integrare con la prima replica la lacunosità dell’atto iniziale, mediante chiara e non più
rettificabile notizia del nome dell’autore della firma illeggibile; ove difetti o sia inadeguata detta
integrazione, si verifica invalidità della procura ed inammissibilità dell’atto cui accede.
Cass., sez. lav., 01-03-2005, n. 4248
Giust. civ., 2005, I, 1187
L’art. 369 c.p.c. - il quale prescrive il deposito, insieme con il ricorso per cassazione e a pena di
24
improcedibilità dello stesso, della copia autentica della sentenza o della decisione impugnata
con la relazione di notificazione, al fine di consentire la verifica della tempestività dell’atto di
impugnazione e della fondatezza dei suoi motivi - non osta all’effettuazione di quel deposito
separatamente (ex art. 372 c.p.c., che consente il deposito autonomo di documenti riguardanti
l’ammissibilità del ricorso e che può applicarsi estensivamente anche ai documenti concernenti
la procedibilità del ricorso stesso), purché nel termine perentorio di venti giorni dall’ultima
notificazione del ricorso, ma non consente di evitare la suddetta sanzione mediante
equipollenti, quali il deposito da parte del controricorrente di copia della sentenza stessa o
l’esistenza della medesima nel fascicolo d’ufficio.
Cass., sez. trib., 17-02-2005, n. 3231
Foro it., 2005, I, 1722
Giur. it., 2005, 1317, n. MARCHESELLI
Bollettino trib., 2005, 714
Fisco 1, 2005, 2152
Corriere trib., 2005, 1197, n. GRAZIANO
Dir. e giustizia, 2005, fasc. 12, 35, n. IANNACCONE
Il giudice tributario può fondare la sua decisione su documenti irritualmente prodotti per
tardività o per provenienza da terzi.
Cass., sez. III, 14-02-2005, n. 2895
Foro it., 2005, I, 1012
Nel secondo grado di controversia instaurata dopo il 30 aprile 1995, l’appellante può produrre
nuovi documenti, solo se li indica specificamente nell’atto di appello e li deposita, in cancelleria,
contestualmente ad esso.
T. Cagliari, 14-02-2005
Riv. giur. sarda, 2006, 617, n. MONTALDO
In caso di disconoscimento dell’autenticità della sottoscrizione di scrittura privata prodotta in
copia fotostatica, la parte che la abbia esibita in giudizio e intenda avvalersi della prova
documentale rappresentata dalla anzidetta scrittura deve produrne l’originale al fine di
ottenerne la verificazione; altrimenti, del contenuto del documento potrà fornire la prova con i
mezzi ordinari, nei limiti della loro ammissibilità.
Cass., sez. III, 09-02-2005, n. 2656
Foro it., 2005, I, 1730
In controversia instaurata nel 1997, concessi dal giudice istruttore i termini previsti dall’art. 184
c.p.c. e inutilizzato dalle parti il primo di essi, legittimamente il convenuto deposita, nel rispetto
di quello per l’indicazione di prova contraria, documenti volti a dimostrare circostanze opposte
25
a tutte quelle invocate dall’attore.
Cass., sez. I, 08-02-2005, n. 2538
Giur. it., 2005, 1637, n. IOZZO
Rientra nei poteri discrezionali del giudice non dar corso alla consulenza tecnica d’ufficio in
precedenza ordinata allorché esso ritenga di disporre dei elementi di giudizio sufficienti, anche
se contraddittori rispetto ai dati emergenti dalla consulenza espletata nel giudizio di primo
grado; e l’ordine di esibizione di un documento costituisce facoltà discrezionale rimessa al
prudente apprezzamento del giudice del merito, che non è tenuto a specificare le ragioni per le
quali ritiene di non avvalersene.
Cass., sez. III, 07-02-2005, n. 2411
Foro it., 2006, I, 1525, n. DI BENEDETTO
Giur. it., 2005, 1878, n. BESSO
Giust. civ., 2005, I, 2340
La parte che intenda avvalersi di una scrittura privata disconosciuta deve presentare l’istanza
di verificazione, in modo non equivoco, entro il termine perentorio, in cui è possibile la
produzione del documento, previsto per le deduzioni istruttorie delle parti.
Il procedimento incidentale di verificazione di scrittura privata disconosciuta ha, diversamente
da quello proposto in via principale, funzione strumentale e finalità istruttorie, inquadrandosi
nell’ambito dell’attività probatoria delle parti, in quanto esso non risulta fine a sé stesso, bensì,
preordinato all’utilizzazione, pel processo, della prova documentale, con la conseguenza che,
qualora anche la parte contro la quale la scrittura è stata prodotta fondi su di essa la propria
difesa di merito, il documento deve ritenersi implicitamente riconosciuto come autentico e
validamente acquisito agli atti quale fonte di convincimento per il giudice.
Nel vigore dell’art. 345 nuovo testo c.p.c., non è ammissibile la proposizione per la prima volta
in appello di un’istanza di verificazione di scrittura privata prodotta in primo grado e
disconosciuta in quella sede ex art. 214 stesso codice.
C. Stato, sez. per gli atti normativi, 07-02-2005, n. 11995/04
Giur. it., 2005, 1163, n. LISI, LAZARI
Dir. ed economia mezzi di comunicazione, 2005, 189, n. LISI, LAZARI
In materia di rilevanza e valore del documento informatico, minori problemi crea il vigente art.
10 d.p.r. n. 445 del 2000 - che per il documento informatico in sè, a prescindere dalla
sottoscrizione, rinvia all’art. 2712 c.c. e prevede (2º comma) che il documento informatico
sottoscritto con firma elettronica soddisfa il requisito della forma scritta, dandosi così carico di
attribuire un valore a qualsiasi documento informatico, a prescindere dalla forza della firma rispetto agli art. 17 e 18 dell’emanando codice dell’amministrazione digitale, che non
stabiliscono come debba essere considerato l’atto con firma elettronica debole non
26
disconosciuta a norma dell’art. 215 c.p.c.
Anche in considerazione della direttiva comunitaria n. 1999/93/Ce, che ha introdotto un
quadro comunitario per le firme elettroniche, i tipi di firma sono solo due, la firma elettronica
pura e semplice e quella qualificata, di cui la firma digitale è un tipo.
T. Milano, 31-01-2005
Giur. it., 2005, 1865
Nuovo dir., 2005, 884, n. SANTARSIERE
È inammissibile la produzione di documenti in sede di memorie conclusionali.
Cass., sez. I, 20-01-2005, n. 1226
Foro it., 2005, I, 2011
Arch. circolaz., 2005, 831
Ai sensi degli art. 68 l. 23 dicembre 1999 n. 488 e 17, 132º comma l. 15 maggio 1997 n. 127, il
dipendente della società di gestione del parcheggio automobilistico comunale al quale il comune
abbia conferito compiti di prevenzione ed accertamento delle violazioni in materia di sosta ha
la capacità di contestare l’infrazione, nonché di redigere e sottoscrivere il verbale di
accertamento che ha valore di atto pubblico.
In tema di sanzioni amministrative, il termine di dieci giorni prima dell’udienza di
comparizione, fissato dall’art. 23, 2º comma, l. 24 novembre 1981 n. 689 per il deposito da
parte dell’amministrazione dei documenti relativi all’infrazione ed alla sua contestazione, non è
perentorio; pertanto, il deposito dei documenti può intervenire anche successivamente.
T. Rovigo, 20-01-2005
Merito, 2005, fasc. 7, 23, n. ROSSI
Nel nuovo procedimento societario è ammessa la notifica di memorie difensive con l’utilizzo
della posta elettronica purché venga rispettata la normativa, anche regolamentare, concernente
la sottoscrizione e la trasmissione dei documenti informatici e teletrasmessi; la notifica di una
memoria come file di videoscrittura semplicemente allegato a un normale messaggio di posta
elettronica, privo della firma digitale (così come disciplinata dal d.p.r. 13 febbraio 2001 n. 123
recante il regolamento sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile,
amministrativo e dinanzi alle sezioni giurisdizionali della corte dei conti) è da considerarsi
tanquam non esset.
Cass., sez. III, 13-01-2005, n. 560
Giur. it., 2005, 1177, n. RESTANO
Giust. civ., 2005, I, 1498
Il mancato accoglimento da parte del giudice di merito dell’istanza ex art. 210 c.p.c. diretta ad
ottenere l’esibizione di documenti, rappresentando il mancato esercizio di un potere
27
discrezionale, è sottratto al sindacato del giudice di legittimità quando sia sufficientemente
motivato.
Cass., sez. trib., 05-01-2005, n. 150
Giust. civ., 2005, I, 626
In tema di prova documentale, il disconoscimento, ex art. 2719 c.c., della conformità della copia
fotografica (o fotostatica) di una scrittura all’originale può essere effettuato solo dopo la sua
produzione in giudizio, trattandosi di rimedio in via di eccezione volto ad evitare il
riconoscimento tacito, sicché, ove venga formulata preventivamente, e senza riferimento
circoscritto ad un determinato documento, ma con riguardo ad ogni eventuale produzione in
copia che sia stata o possa essere effettuata da controparte, la contestazione non preclude
l’utilizzazione della copia come mezzo di prova, a meno che non venga ribadita
successivamente alla produzione del documento e con espresso riferimento ad esso (nella
specie, la suprema corte ha ritenuto privo di effetto, in quanto effettuato preventivamente ed in
modo generico in sede di comparsa di costituzione, il disconoscimento della conformità
all’originale di una fotocopia prodotta nel corso del giudizio di appello).
Cass., sez. II, 27-12-2004, n. 24022
Foro it., 2005, I, 1399
La parte che ha disconosciuto la sottoscrizione di scrittura privata prodotta in fotocopia deve
reiterare
il
disconoscimento
con
riferimento
all’originale
della
medesima
scrittura,
successivamente acquisito in giudizio, per impedire che la ridetta scrittura si abbia per
riconosciuta in causa.
T. Agrigento, 07-12-2004
Informazione prev., 2004, 1189
I verbali di accertamento redatti dagli ispettori dell’Inps hanno piena efficacia probatoria fino a
querela di falso per le attività che il pubblico ufficiale dichiara di aver compiuto o che sono
state compiute in sua presenza o delle dichiarazioni al medesimo rese; tale efficacia probatoria
privilegiata non assiste i predetti verbali per quanto riguarda l’intrinseca veridicità delle
dichiarazioni raccolte dal pubblico ufficiale le quali sono in assoluto dotate di un grado di
attendibilità privilegiata, poiché rese senza preavviso e perciò più genuine e sincere in quanto
non «inquinate» dalla volontà di favorire il proprio datore di lavoro.
T. Salerno, 22-09-2004
Giudice di pace, 2005, 214, n. D’ARCANGELO
Il processo verbale di accertamento di una violazione amministrativa redatto da un pubblico
ufficiale è espressione di uno speciale potere di documentazione, con effetti costitutivi
sostanziali, conferito dalla legge al pubblico ufficiale: pertanto, fa piena prova sino a querela di
28
falso, con riguardo ai fatti dal pubblico ufficiale attestati come da lui compiuti o avvenuti in sua
presenza, nonché della provenienza del documento dal pubblico ufficiale e delle dichiarazioni
delle parti; non si estende, invece, agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante, ivi
comprese le circostanze di fatto documentate nel verbale, che, in relazione alle modalità della
percezione, non siano state passibili di conoscenza secondo criteri diretti e oggettivi e la cui
conoscenza abbia comportato necessariamente da parte del verbalizzante margini di
apprezzamento.
Cass., sez. I, 09-09-2004, n. 18177
Foro it., 2005, I, 740
Riv. not., 2005, 126, n. CASU
Giust. civ., 2005, I, 655
Vita not., 2005, 396
L’attestazione del notaio di conformità della copia all’originale, che egli stesso abbia redatto e
che presenti i requisiti di forma previsti dall’art. 18 d.p.r. n. 445 del 2000, è idonea a conferire
alla copia il carattere di copia autentica, e conseguentemente l’efficacia propria di tale atto,
anche ove dalla predetta attestazione non risulti che l’originale, non nella disponibilità del
notaio, sia stato esibito a quest’ultimo (nella specie, si trattava di una procura generale alle liti).
Cass., sez. trib., 19-08-2004, n. 16232
Fisco 1, 2004, 7204
Il disconoscimento della conformità all’originale, della copia fotostatica di documenti (nel caso
di specie istanze di rimborso della tassa sulle società e prova della presentazione e ricezione),
volta ad impedire che le copie acquistino, ai sensi dell’art. 2719 c.c., la stessa efficacia
probatoria degli originali, è soggetto alle modalità e ai termini fissati dagli art. 214 e 215 c.p.c. e,
pertanto, deve avvenire nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione,
in modo formale e specifico, cioè mediante una esplicita dichiarazione di chiaro contenuto
ovverosia con espressioni inequivoche (non è pertanto idonea una generica contestazione
formulata in via preventiva, prima ancora che i documenti siano prodotti).
Cass., sez. trib., 13-08-2004, n. 15856
Bollettino trib., 2005, 1243
Giust. civ., 2005, I, 1558
In tema di prova documentale, l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale della scrittura
e la copia fotostatica prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule
sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto, tale, cioè,
che possano da essa desumersi in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità
della copia; conseguentemente, la copia fotostatica non autentica di una scrittura si ha per
riconosciuta conforme all’originale ai sensi dell’art. 215 c.p.c., se la parte comparsa contro cui è
29
stata prodotta non la disconosce in modo formale e specifico nella prima udienza o nella prima
risposta successiva alla sua produzione.
Cass., sez. I, 25-06-2004, n. 11866
Giur. it., 2005, 1226, n. DEMONTIS
La parte rimasta contumace nel giudizio di primo grado può disconoscere in appello la scrittura
privata contro di essa prodotta nella precedente fase ed utilizzata nella sentenza impugnata ai
fini della decisione: ciò vale sia per l’appellante, che può compiere il disconoscimento con l’atto
di impugnazione, sia per la parte appellata, che può farlo con la comparsa di costituzione in
appello (nell’affermare tale principio la suprema corte ha escluso potesse essersi verificata una
preclusione da giudicato implicito, non essendo questo configurabile su una questione, come
quella relativa alla tempestività del disconoscimento della scrittura in esame, costituente
antecedente logico di una statuizione che aveva formato oggetto di gravame, giacché tale
impugnazione impedisce la formazione del giudicato esplicito e dunque anche del giudicato
implicito sulle questioni ad esso pregiudiziali).
Cass., sez. trib., 18-06-2004, n. 11419
Bollettino trib., 2005, 1241
Il disconoscimento della conformità all’originale della copia fotostatica di scrittura, che, se non
contestata, acquista la stessa efficacia probatoria dell’originale ai sensi dell’art. 2719 c.c., è
soggetto alle modalità ed ai termini fissati dagli art. 214 e 215 c.p.c. e, pertanto, deve avvenire
nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione e deve essere formulata
«espressamente», cioè in modo formale e specifico, mediante una esplicita dichiarazione di
chiaro e specifico contenuto, ossia con espressioni chiare ed inequivoche; la prima regola esclude
l’efficacia contestativa del disconoscimento preventivo rispetto alla produzione della prova e
ne impone, per contro, la posteriorità, mentre la seconda regola comporta non soltanto la mera
formulazione o la semplice espressione o la contestazione generica di documenti rappresentativi
di scrittura in copia, ma l’adozione di formule contestative specificamente e motivatamente
riferite a documenti già prodotti dalla controparte, cosicché la violazione della prima regola
determina inevitabilmente anche l’inosservanza della seconda.
Cass., sez. lav., 20-05-2004, n. 9631
Riv. it. dir. lav., 2004, II, 868, n. BRUGNATELLI
Nell’ambito della verifica dell’autenticità della scrittura privata, la limitata consistenza
probatoria della consulenza grafica esige che l’autenticità della sottoscrizione dell’atto, ritenuta
dalla consulenza, si valuti anche nel coordinato quadro della (pur elementare) coerenza logica
con il contingente contesto in cui l’atto si inserisce (nella specie, la suprema corte ha cassato la
sentenza di merito che aveva attribuito rilevanza probatoria decisiva ad una scrittura privata,
risultata autentica alla consulenza grafologica, con la quale l’amministratore delegato di una
30
società comunicava al dipendente in prova che al termine della prova sarebbe stato promosso
ad un livello superiore, anche se il contenuto della scrittura si poneva in totale contrasto con il
comportamento, precedente e successivo, sia del suo autore che del suo destinatario - ed in
particolare con l’insufficiente prestazione lavorativa del dipendente e con la decisione del
consiglio di amministrazione di recedere dal rapporto, precedente alla lettera - circostanze tutte
comprovate da numerose testimonianze, senza dar conto di come si coordinassero tali
circostanze con il contenuto della scrittura).
Cass., sez. trib., 28-01-2004, n. 1525
Fisco 1, 2004, 1517
Giur. imp., 2004, 719
L’art. 2719 c.c., il quale esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle
copie fotografiche - cui vanno assimilate quelle fotostatiche - è applicabile tanto all’ipotesi di
disconoscimento
dell’autenticità
della
scrittura
o
della
sottoscrizione
(che
preclude
definitivamente l’utilizzabilità del documento fotostatico come mezzo di prova, salva la
produzione dell’originale da parte di chi intenda avvalersene, onde accertarne la genuinità
all’esito della procedura di verificazione ex art. 216 c.p.c.), quanto a quella di disconoscimento
della conformità della copia all’originale (che, tendendo al limitato scopo di impedire
l’attribuzione alla stessa della medesima efficacia probatoria dell’originale, non impedisce al
giudice di accertare tale conformità aliunde ed anche a mezzo di presunzioni); nel silenzio della
norma sulle modalità e sui termini entro cui i diversi disconoscimenti devono avvenire ed in
assenza della previsione di un distinto regime processuale, deve ritenersi applicabile ad
entrambi la disciplina dettata dagli art. 214 e 215 c.p.c., con la conseguenza che la copia
fotostatica non autenticata, anche nella normativa anteriore alle modifiche apportate all’art.
345 dello stesso codice dalla novella del 1990, si deve avere per riconosciuta - sia nella sua
conformità all’originale, sia nella scrittura e nella sottoscrizione - se la parte comparsa non la
disconosca, in modo formale, alla prima udienza, ovvero nella prima risposta successiva alla
sua produzione (di conseguenza la corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto
tardiva la contestazione delle fotocopie dei bollettini di versamento della tassa sulle società
compiuta dall’amministrazione solo nell’atto di appello, nel corso di un giudizio tributario
avanti al giudice ordinario).
Cass., sez. trib., 21-01-2004, n. 935
Foro it., 2004, I, 1075
Il disconoscimento della conformità della fotocopia all’originale non è validamente effettuato, e
non priva la fotocopia della stessa efficacia probatoria dell’originale, ove non sia specifico,
ossia riferito ad una determinata copia concretamente individuata, e successivo alla produzione
in giudizio della copia stessa (nella specie, la suprema corte ha ritenuto privo di effetto il
disconoscimento della conformità all’originale di una fotocopia prodotta nel corso del giudizio
31
di appello in quanto effettuato preventivamente ed in modo generico in sede di comparsa di
costituzione).
Cass., sez. II, 23-12-2003, n. 19727
Foro it., 2004, I, 1318
La parte, che abbia disconosciuto la scrittura privata oppostale in giudizio, può legittimamente
proporre, nel corso dello stesso processo, querela di falso avverso la medesima scrittura.
C. conti, sez. giur. reg. Veneto, 02-12-2003, n. 1240
Cons. Stato, 2004, II, 645
Nel caso in cui oggetto del giudizio sia la responsabilità disciplinare del pubblico ufficiale
autore dell’atto contestato, non opera il principio relativo alla forza probatoria privilegiata
degli atti pubblici (nella specie un verbale di accertamento) né la conseguente necessità di
proporre la querela di falso.
T.a.r. Lombardia, sez. III, 05-11-2003, n. 4916
Foro amm.-Tar, 2003, 3171
Foro amm.-Tar, 2004, 28, n. MARI
Appalti urbanistica edilizia, 2004, 404
Al fine di disattendere le risultanze di un atto pubblico non è necessaria la proposizione
dell’impugnativa di falso, qualora, dal contesto del documento, risulti in modo palese e
inequivoco la ricorrenza di elementi tali da lasciar ragionevolmente presumere la mancanza di
un preordinato intento di immutazione del vero, potendo la divergenza dei dati ricondursi ad
un mero errore materiale; ciò, a maggior ragione, deve affermarsi quando il contesto dell’atto
pubblico denoti un contrasto tale da rendere impossibile la contemporanea verità dei fatti con
esso attestati.
Cass., sez. II, 21-07-2003, n. 11343
Foro it., 2004, I, 1184
La fattura commerciale, ancorché annotata nei libri obbligatori, non può assurgere a prova del
contratto, ma al più può rappresentare un mero indizio della stipulazione di esso e
dell’esecuzione della prestazione indicatavi (nella specie, è stata esclusa l’efficacia probatoria
di una fattura diretta a provare la conclusione di un contratto di compravendita da piazza a
piazza).
C. Stato, sez. III, 10-06-2003, n. 4387/02
Cons. Stato, 2003, I, 2887
La dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, prevista dall’art. 4 l. 4 gennaio 1968 n. 15
(ed ora dall’art. 47 d.p.r. 28 dicembre 2000 n. 445), ha attitudine certificativa e probatoria fino
32
a contraria risultanza nei confronti della p.a.
Cass., sez. lav., 24-03-2003, n. 4297
Foro it., 2003, I, 1391 (nella motivazione)
Gli estratti contributivi su modulo a stampa prodotti in giudizio dall’Inps sono la riproduzione
a stampa di un documento elettronico, secondo quanto previsto dall’art. 3, 2º comma, d.leg. 3
febbraio 1993 n. 29, e come tali non abbisognano per spiegare i loro effetti di alcuna
sottoscrizione; ad essi devono quindi essere riconosciuti gli effetti di cui all’art. 2712 c.c., e
pertanto, in mancanza di contestazione della controparte, costituiscono piena prova dei fatti in
essi rappresentati (nel caso di specie, la suprema corte ha cassato la sentenza del giudice di
merito che aveva ritenuto tali estratti privi di ogni valore probatorio in quanto dotati del timbro
tondo della sede Inps di provenienza, ma privi di firma certificativa del dirigente Inps che ne
attestasse la provenienza).
Cass., sez. III, 18-03-2003, n. 3998
Foro pad., 2004, I, 35
Le disposizioni di cui all’art. 2702 c.c. in tema di opponibilità della scrittura privata, non
vengono in rilievo qualora quest’ultima sia stata invocata, non per conseguire gli effetti negoziali
propri della convenzione in essa contenuta, ma quale semplice fatto storico che, come tale, può
essere provato con ogni mezzo.
T. Milano, 20-02-2003
Foro it., 2004, I, 1649
La verificazione incidentale di scrittura privata disconosciuta di cui all’art. 216, 1º comma,
c.p.c. ha natura istruttoria e la relativa istanza deve dunque ritenersi assoggettata ai medesimi
termini - e preclusioni - previsti, dall’art. 184 c.p.c., per i mezzi istruttori.
A. Roma, 06-02-2003
Nuovo dir., 2003, I, 1008
La capacità probatoria degli atti ricevuti da notaio e delle relative copie, nonché quella delle
scritture private dallo stesso autenticate, si affida esclusivamente all’osservanza delle forme
richieste dalla legge per il rilascio, non anche al loro disconoscimento di iniziativa della
controparte, come, invece, avviene per le scritture private.
A. Genova, 18-12-2002
Foro pad., 2004, I, 342
Nuova giur. ligure, 2004, 113, n. VARESE, GANDOLFO
Il modulo con il quale è comunicata la cessione di credito recante la stampigliatura completa di
data col timbro delle poste italiane è idoneo ad attribuire all’atto data certa.
33
T. Cagliari, 26-08-2002
Riv. giur. sarda, 2004, 63, n. VACCA
Le riproduzioni meccaniche di supporti magnetici non sono copie fotografiche o fotostatiche di
scritture originali esistenti (nel caso di specie trattasi non di copie fotografiche di scritture
originali, concernenti gli estratti conto, bensì di stampa di un’elaborazione computerizzata
operata dal sistema centrale della banca); per l’effetto il regime applicabile non può essere
quello di cui all’art. 2719 c.c., ma quello previsto dall’art. 2712 c.c. con la conseguenza che ogni
contestazione circa la veridicità delle riproduzioni non dovrà far riferimento ad un originale che
non esiste (nella specie: eventuali scritture originali di estratto conto mensili), bensì ai fatti che
esse rappresentano (nella specie: rispondenza alla verità delle singole operazioni di conto
corrente registrate).
Giudice di pace Avigliana, 27-06-2002
Arch. circolaz., 2002, 775, n. CIARDI
È afflitta da nullità la contestazione di una violazione di norme del codice della strada
effettuata mediante la notificazione del mero riversamento su carta del «documento
informatico» rappresentato dal file ottenuto dalla scansione del verbale di accertamento,
laddove l’autenticazione di quelle che, a tutti gli effetti, sono via via copie dell’atto originale
(«informatica» e «cartacea») non venga effettuata nelle forme rispettivamente previste per tali
tipi di documenti dal d.p.r. 445/2000 (associazione della «firma digitale» di chi crea o
trasmette il file per il primo, e dichiarazione sottoscritta da parte di colui che attesta la
conformità ad altro atto per il secondo).
Cass., sez. I, 28-12-2000, n. 16204
Arch. circolaz., 2001, 291
Finanza loc., 2001, 762
Giust. amm., 2001, 243
Giust. civ., 2001, I, 982
In relazione a fattispecie antecedente all’entrata in vigore dell’art. 15 l. n. 59 del 1997 e dei
regolamenti attuativi in esso previsti, deve escludersi la validità, sulla base dell’art. 3 d.leg. n.
39 del 1993, di ordinanze ingiunzioni irrogative di sanzioni amministrative per violazione
dell’art. 204 cod.strad., ove prive di firma autografa, in quanto costituenti provvedimenti
amministrativi non suscettibili di automatica elaborazione informatica e richiedenti, a norma
degli art. 18 l. n. 689 del 1981 e 3 l. n. 241/90, specifica motivazione in relazione alle
particolarità del singolo caso concreto; peraltro gli atti in questione debbono considerarsi
comunque validi ove, pur in mancanza dell’autografia della sottoscrizione, i dati estrinsecati nel
contesto documentativo degli stessi, consentano comunque di accertare aliunde la sicura
attribuibilità, dell’atto a chi, secondo le norme positive, debba esserne l’autore.
34
35
Cassazione civile , sez. III, 17 maggio 2007, n. 11460
Fatto
Con ricorso al pretore di Rapallo del 3 novembre 1997 A.A., nella qualità di erede di D.B.B.
ved. A. che nel 1962 aveva concesso in locazione ad uso commerciale un immobile di sua
proprietà a C.P., conveniva in giudizio A.M., M.G. e C.P.L. (nella qualità di eredi del
conduttore succeduti nel rapporto locatizio) nonchè P.M.G. (succeduta agli eredi C.
nell'occupazione dell'immobile) per ottenerne la condanna al pagamento delle differenze per
canoni maturate dall'inizio del rapporto e reclamate nella misura di L. 123.956.669.
I convenuti contrastavano la domanda, deducendo che il canone originario era di L. 30.000 e
non di L. 65.000 mensili, siccome affermava il locatore sulla base di documentazione, che
veniva
contestata.
Il pretore adito riteneva che il corrispettivo mensile originariamente pattuito era di L. 30.000
non avendo il locatore dimostrato che le parti originarie del contratto ne avessero previsto altra
maggiore
misura
e
rigettava
la
domanda.
Sul gravame principale di A.A. e su quello incidentale di C.M.G. provvedeva la Corte d'Appello
di Genova con la sentenza pubblicata il 3 aprile 2002, che, determinato il corrispettivo iniziale
in L. 30.000 mensili, dichiarava che la locazione era stata assoggettata a proroga legale a
decorrere dal 18 giugno 1977; rigettava l'eccezione di prescrizione; disponeva che il calcolo degli
aumenti del canone fosse effettuato secondo il sistema "a base montante"; dichiarava
interamente
compensate
le
spese
dei
due
gradi
del
giudizio.
Ai fini che ancora interessano i Giudici dell'appello consideravano, quanto all'entità del canone
originariamente pattuito, che la misura di L. 30.000 mensili era quella documentata dal
contratto sottoscritto dalle parti e dalle quietanze di pagamento prodotte dai convenuti nel
giudizio
di
primo
grado.
Ritenevano che la dimostrazione della maggiore entità del corrispettivo non poteva essere tratta
dalla scrittura privata a firma di C.P. (contenente la dichiarazione di accettazione del nuovo
canone mensile di L. 65.000) e dalla quietanza sottoscritta dall'originaria locatrice D.B.B.
vedova A., poichè i due documenti erano stati disconosciuti ex art. 214 c.p.c., e per essi non era
stata
formulata
l'istanza
di
verificazione.
Aggiungevano che dei predetti documenti, che erano stati già prodotti in altre due cause tra le
stesse parti e che nei relativi pregressi giudizi non erano stati disconosciuti dai conduttori, non
era possibile per tale motivo recuperare l'efficacia probatoria nel presente giudizio se non a
seguito
di
giudizio
positivo
di
verificazione.
Rilevavano, altresì, che la prova della dissimulazione di un canone in misura maggiore di quella
indicata in contratto non poteva dirsi raggiunta in virtù di missiva inviata alla originaria
locatrice.
Ritenevano, infine, impraticabile il calcolo dell'eventuale residuo debito degli appellati essendo
indisponibile l'esatto quadro dei versamenti effettuati a conclusione del rapporto, precisando
che detto calcolo poteva essere effettuato dalle stesse parti trattandosi di "mera operazione
matematica".
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.A., che ha affidato l'accoglimento
dell'impugnazione a due censure, la prima articolata in tre distinti profili.
Non hanno svolto difese gli intimati C.M.G., C.P.L. ed il fallimento di P.M.G., anche quale erede
di C.A.M..
Diritto
Con il primo motivo d'impugnazione - deducendo la violazione e la falsa applicazione delle
norme di cui all'art. 2702 c.c., artt. 112, 214 e 215 c.p.c., nonchè la omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia - il ricorrente prospetta le
seguenti
censure:
a) il Giudice del merito, nonostante il disconoscimento che la controparte aveva fatto delle due
scritture private prodotte a dimostrazione della reale entità del canone di locazione, dei
documenti in questione avrebbe dovuto, comunque, tenere conto, perchè essi in altro pregresso
36
giudizio
tra
le
medesime
parti
non
erano
stati
disconosciuti;
b) il disconoscimento delle due scritture private non era stato effettuato nel presente giudizio,
nel quale era stata soltanto contestata la conformità all'originale dei due documenti, per cui il
giudice del merito in grado di appello avrebbe dovuto dichiarare che risultava integrata la
fattispecie del riconoscimento implicito per la mancanza di una valida dichiarazione ai sensi
dell'art. 214 c.p.c.;
c) in ogni caso, anche a supporre un valido disconoscimento delle suddette due scritture
private, il reale ammontare del canone il giudice del merito avrebbe dovuto ritenere provato
sulla scorta di altra scrittura proveniente da C.C., la quale dichiarava che l'importo trimestrale
del canone era di L. 198.000.
Nessuna delle tre censure può essere accolta.
In ordine alla prima è da rilevare, anzitutto, che nel ricorso, oltre a non riprodurre il testo dei
due documenti, il ricorrente neppure specificato in quale altro precedente giudizio le due
scritture siano state prodotte nonchè secondo quali modalità e ad opera di quale parte in causa
sarebbe
di
esse
derivato
il riconoscimento
implicito
ex
art.
215
c.p.c..
Questo giudice di legittimità non è posto, perciò, in grado di valutare la pertinenza e la
decisività della censura, che risulta pertanto generica per difetto del requisito
dell'autosufficienza.
La parte ricorrente, che denuncia con l'impugnazione per cassazione il pregresso implicito
riconoscimento di scritture private e di detta circostanza lamenta la mancata o inadeguata
valutazione ad opera del giudice di merito, aveva, infatti, l'onere, oltre che di riprodurre nel
ricorso il tenore esatto del documento, di indicare da quali altri elementi era possibile trarre la
conclusione che le scritture medesime erano state prodotte in diverso e precedente giudizio, nel
quale non erano state disconosciute, essendo al giudice di legittimità istituzionalmente vietato
di ricercare direttamente le prove negli atti di causa o di compiere indagini integrative rispetto ai
fatti
prospettati
dalla
parte.
L'interesse ad impugnare con ricorso per Cassazione discende, infatti, dalla possibilità di
conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico
favorevole e, a tal fine, è necessario che sia indicata in maniera adeguata la situazione di fatto
della quale si chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal
Giudice
del
merito,
asseritamene
erronea.
In ogni caso, ove anche si potesse prescindere da tale preliminare rilievo di difetto di
autosufficienza della censura, devesi rilevare che la tesi esposta dal ricorrente, secondo cui le
scritture non disconosciute in altro giudizio conserverebbero anche in successivi giudizi tra le
medesime parti l'efficacia della prova documentale assistita sino a querela, non può essere
seguita.
A sostegno di quanto assume, il ricorrente invoca il precedente di questa Corte n. 11406 del
1992 a mente del quale nel caso di produzione in giudizio di una scrittura privata, il suo
mancato disconoscimento, ai sensi dell'art. 215 c.p.c., ne determina il legale riconoscimento,
senza che alla parte, che non ha provveduto al suo rituale disconoscimento, sia dato di
procedervi
attraverso
l'instaurazione
di
un
nuovo
e
successivo
giudizio.
Il precedente suddetto, tuttavia, non ha il valore precettivo che ad esso il ricorrente attribuisce
(quello, cioè, della ultrattività del riconoscimento tacito ex art. 215 c.p.c., della scrittura privata
per il caso che essa sia fatta valere in altro successivo giudizio), ma si riferisce, invece, alla
diversa ipotesi in cui, non essendo il disconoscimento avvenuto nel giudizio in cui il documento
è prodotto, la parte al disconoscimento medesimo proceda in successivo nuovo giudizio per
utilizzarne il relativo accertamento nella causa preventivamente introdotta allo scopo di
ovviare, in tal modo, al fatto che nel primo giudizio il disconoscimento risulta ormai precluso.
Ma non è questa l'ipotesi riferibile al caso di specie, nella quale, essendo mancato l'accertamento
specifico con valore di giudicato dell'autenticità della scrittura prodotta (accertamento possibile
solo attraverso il riconoscimento espresso della scrittura o per il tramite del giudizio di
verificazione della scrittura medesima), il valore di presunzione assoluta derivante dal
riconoscimento tacito del documento limita i suoi effetti, sul piano probatorio, al solo
procedimento nel quale la presunzione stessa è destinata ad operare e ne esclude la pretesa
operatività
ultrattiva
con
efficacia
erga
omnes.
37
In tal senso è la risalente giurisprudenza di questa Corte (Cass., 21 maggio 1956, n. 1749) ed a
conclusione analoga perviene la prevalente dottrina, la quale pone in rilievo che la fattispecie
del riconoscimento tacito secondo il modello dell'art. 215 c.p.c., opera esclusivamente nel
processo in cui detta fattispecie si realizza e che essa esaurisce i suoi effetti nell'ammissione
della scrittura come mezzo di prova, con la conseguenza che la parte interessata, qualora il
documento fosse prodotto in altro processo per derivarne effetti diversi, bene può
disconoscerla.
Detta conclusione, del resto, è coerente con la ratio della previsione del riconoscimento tacito in
caso di contumacia della parte nei cui confronti la scrittura privata è prodotta, dato che dalla
situazione di contumacia può derivare la presunzione di riconoscimento solo con effetti nel
processo in cui la parte rimane assente, giacchè altrimenti la contumacia verrebbe
inammissibilmente ad essere considerata produttiva di effetti sostanziali al di fuori di una reale
volontà
della
parte
ammissiva
dell'autenticità
della
scrittura.
La conclusione, inoltre, riceve testuale conferma dal fatto che, se al tacito riconoscimento della
scrittura privata secondo il modello dell'art. 215 c.p.c., in un determinato processo fosse da
riconoscere il preteso effetto ultrattivo, non avrebbe senso la disposizione del secondo comma
dell'art. 217 c.p.c., che, nel novero delle scritture assistite dall'assoluta garanzia di autenticità
che debbono servire da comparazione nel giudizio di verificazione, comprende quelle la cui
provenienza dalla persona, che si afferma esserne l'autrice, "è riconosciuta oppure accertata per
sentenza del giudice o per atto pubblico", significando in tal modo che occorre un
riconoscimento espresso e non una situazione nella quale, per presunzione di legge, la scrittura
"si
ha
per
riconosciuta".
Invero, siccome questa Corte ha precisato (Cass., n. 531/79; Cass., n. 129/2001), il previsto
riconoscimento dell'art. 217 c.p.c., è quello positivo del reale riconoscimento, non già quello
derivante dal dato negativo della mancanza del formale disconoscimento nei tempi e nei modi
degli
artt.
214
e
215
c.p.c..
Quanto alla seconda censura di cui innanzi sub b), in base alla quale non sarebbe stato
effettuato nel presente giudizio un valido riconoscimento, dovendosi ribadire (ex plurimis:
Cass., n. 9543/2002; Cass., n. 1591/2002) che l'idoneità delle espressioni utilizzate dalla parte
a configurare un valido disconoscimento costituisce giudizio di fatto ed è incensurabile in sede
di legittimità se congruamente motivata, osserva questa Corte che la parte ricorrente non
segnala apprezzabili profili di illogicità della motivazione della sentenza sul punto.
In ordine, poi, alla censura di cui sub c), devesi rilevare che trattasi di mera quaestio facti,
diretta com'è ad ottenere in questa sede una diversa valutazione del documento sottoscritto da
C.C., del quale il giudice del merito ha spiegato, con argomenti non illogici nè contraddittori,
perchè di esso non si poteva tener conto ai fini indicati dall'appellante.
Con il secondo mezzo di doglianza - deducendo la violazione della norma di cui all'art. 112
c.p.c., nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia - il ricorrente denuncia che il giudice del merito non si era pronunciato sulla sua
domanda diretta ad ottenere il pagamento della somma complessiva di L. 123.956.669 (ovvero
della maggiore o minore somma ritenuta), oltre interessi e rivalutazione, a titolo di differenza
per
canoni
non
corrisposti.
Assume che la domanda, secondo quel che emerge dal dispositivo della sentenza di secondo
grado, non risulta nè accolta, nè rigettata; che appare incongruente la giustificazione al riguardo
adottata dell'indisponibilità dell'estratto delle somme versate; che la relativa indicazione
analitica era nel documento n. 23 della sua produzione in primo grado; che lo stesso consulente
tecnico aveva esposto le diverse ipotesi secondo cui poteva svolgersi il calcolo di quanto ancora
spettantegli per somme non corrisposte; che l'ipotesi di calcolo fatta propria dalla Corte
d'appello comportava un suo residuo credito, che il giudice del merito avrebbe dovuto
quantificare e rispetto al quale doveva stabilire anche in ordine alla richiesta degli interessi e
della
rivalutazione.
Il motivo è fondato e deve essere accolto con la pronuncia di cassazione dell'impugnata
sentenza con rinvio alla medesima Corte d'appello di Genova in diversa composizione, la quale
dovrà pronunciare in ordine alla domanda del reclamato credito e degli accessori, che, se
sussistente,
dovrà
essere
determinato
nel
suo
complessivo
ammontare.
Costituisce, infatti, principio pacifico, al quale il giudice del rinvio dovrà uniformarsi, che,
qualora l'attore abbia richiesto la condanna del convenuto al pagamento di una determinata
somma a titolo di differenze non corrisposte di canoni di locazione, il giudice del merito non
38
può emanare una condanna generica e rimettere la liquidazione eventuale del credito medesimo
al calcolo affidato alle medesime parti in base a criteri parametrici neppure indicati, ma, in
ossequio al principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, deve determinare il
credito in base agli elementi acquisiti al processo oppure rigettare la domanda per difetto di
prova.
Al Giudice del rinvio è rimessa anche la pronuncia in ordine alle spese del presente giudizio di
legittimità (art. 385 c.p.c., comma 3).
P.Q.M
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta il primo motivo; cassa in relazione al
motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla
Corte
d'Appello
di
Genova
in
diversa
composizione.
Così
deciso
in
Roma,
il
4
aprile
2007.
Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2007.
39
Cass., sez. lav., 08-05-2007, n. 10430
Fatto
Il Tribunale di Prato con sentenza n. 4 del 2002 rigettava la domanda proposta da D.N.A.
contro PACINI INVEST SAS di PACINI Luigi e C. per ottenere il risarcimento del danno da
mancato guadagno per L. 26.533.652, conseguente alle dimissioni dal lavoro rassegnate a causa
delle ingiurie e molestie ricevute in ufficio e oggetto di denuncia penale.
Il Tribunale non riteneva provata la domanda, in quanto non era ammissibile l'interrogatorio
formale di PA.Lu., non rivestendo la carica di legale rappresentante della società, nè essendo
ammissibile ai sensi dell'art. 2712 c.c. la consulenza tecnica di ufficio, volta alla trascrizione del
nastro magnetico, in quanto la convenuta aveva contestato l'esistenza delle asserite
conversazioni
e
della
loro
conformità
ai
fatti.
L'anzidetta decisione, impugnata dalla D.N., è stata riformata, previo espletamento di
consulenza fonografica, dalla Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 213 del 2004, che, in
parziale accoglimento dell'appello, ha condannato la Giotto Immobiliare al pagamento a favore
dell'appellante della somma di Euro 8367,29, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.
La Corte territoriale ha ritenuto ammissibile la consulenza tecnica per valutare gli elementi
probatori desumibili dalle registrazioni fonografiche effettuate dalla D.N., in quanto il
disconoscimento della conformità ai fatti rappresentati non impedisce al giudice di trarre in via
presuntiva argomenti di giudizio anche dalle riproduzioni meccaniche, ove sorrette da elementi
gravi,
precisi
e
concordanti.
Ciò premesso, il giudice di appello ha osservato che le risultanze della microcassetta registrata
di cui alla consulenza tecnica confermavano il clima di particolare ostilità di PA.Lu. in reazione
alla richiesta di ferie della dipendente, come evidenziato dalle contestazioni disciplinari mosse
e dalla minaccia di denuncia ai Carabinieri per contestati ammanchi, ove la D.N. non avesse
presentato a breve la lettera di dimissioni, pur dichiarandosi la stessa disposta alla
restituzione.
In questa situazione, ad avviso della Corte, erano da ritenersi giustificate sotto l'aspetto
psicologico le dimissioni anticipate dalla D.N. al 6 dicembre 1996 rispetto alla scadenza del
contratto
a
termine
nel
giugno
successivo.
Circa l'entità del danno risarcibile la Corte ha liquidato l'anzidetto importo di Euro 8367,29,
pari
alle
retribuzioni
maturate
fino
alla
scadenza
del
contratto.
La società ricorre per cassazione contro l'anzidetta sentenza con due motivi, illustrati con
memoria ex art. 378 c.p.c.
La D.N. resiste con controricorso.
Diritto
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa l'applicazione dell'art. 2712 c.c.,
art. 116 c.p.c., e art. 2729 c.c., nonchè vizio di motivazione su un punto decisivo della
controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
La Giotto Immobiliare sostiene che il giudice di appello non ha fatto buongoverno delle
richiamate norme, in particolare dell'art. 2712 c.c., con riguardo all'ammissibilità della
trascrizione del nastro magnetico, in quanto la stessa ricorrente, in sede di comparsa di
costituzione e risposta dinanzi al primo giudice, aveva disconosciuto la conformità ai fatti della
registrazione prodotta dalla controparte e comunque che la conversazione registrata sul nastro
fosse
avvenuto
con
il
tenore
ivi
risultante.
Ad avviso della ricorrente, l'art. 2712 c.c., se correttamente applicato, avrebbe dovuto escludere
la possibilità da parte della Corte di Appello di provvedere alla trascrizione del nastro
magnetico
e
di
utilizzarne,
quindi,
il
contenuto.
Da parte sua la controricorrente ha contestato le avverse deduzioni ed argomentazioni e ha
concluso per il rigetto del ricorso, ritenendo corretta la sentenza impugnata sia in ordine alla
decisione di ammissione della trascrizione del nastro magnetico e della conseguente
40
utilizzazione degli elementi di fatto emersi da tale trascrizione, sia in ordine alla decisione di
trarre argomenti di giudizio anche dalle riproduzioni meccaniche, ove sorretti, come nel caso di
specie,
da
elementi
gravi,
precisi
e
concordanti.
Ciò posto sulle opposte linee difensive, questa Corte ritiene privi di pregio i rilievi della
ricorrente.
Le statuizioni del giudice di appello sono condivisibili e non in contrasto con l'art. 2712 c.c.,
giacchè la contestazione della società non ha riguardato il fatto della registrazione, ma le sue
risultanze, valutate, come già detto, dallo stesso giudice in base ad elementi presuntivi ex art.
2729 c.c., quali il clima di particolare ostilità di PA.Lu. in reazione alla richiesta di ferie della
dipendente D.N. e alla minaccia di denuncia penale ai Carabinieri per contestati ammanchi di
cassa, ove la D.N. non avesse presentato a breve la lettera di dimissioni. Sotto tale profilo può
richiamarsi l'indirizzo giurisprudenziale il quale sostiene che il disconoscimento, che fa perdere
alle riproduzioni meccaniche la loro qualità di prova e va distinto dal mancato riconoscimento diretto o indiretto - che non esclude il libero apprezzamento da parte del giudice delle
riproduzioni legittimamente acquisite, deve essere chiaro e circostanziato ed esplicito con
allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta
(Cass.
n.
8998
del
2001).
Il giudice di appello ha fatto corretta applicazione di tale orientamento, avendo ritenuto con
apprezzamento in fatto, non censurato dalla ricorrente, che la contestazione mossa dalla difesa
della società fosse generica, dal che la possibilità di un libero apprezzamento degli anzidetti
elementi
presuntivi
ex
art.
2729
c.c..
Questo Collegio non ignora altro indirizzo secondo il quale il disconoscimento delle riproduzioni
meccaniche (nella specie cassetta audiofonica) di cui all'art. 2712 c.c. non consente la
formazione di prova piena (Cass. n. 12715 del 1998), ma ciò non può precludere al giudice la
ricostruzione del contenuto della registrazione, contestato in modo generico, attraverso elementi
gravi, precisi e concordanti, la cui consistenza nel caso di specie, come già evidenziato, è stata
acclarata
dalla
Corte
territoriale
con
accertamento
adeguatamente
motivato.
2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c.
e
art.
1453
e
seguenti
c.c.
(art.
360
c.p.c.,
n.
3).
Al riguardo osserva che il giudice di appello ha in modo erroneo liquidato il danno nella misura
delle retribuzioni maturande fino alla scadenza del contratto, laddove il pregiudizio, in
mancanza di prova da parte della lavoratrice di un diverso e maggiore danno, è rappresentato
unicamente dall'indennità sostitutiva del preavviso ex art. 2119 c.c., che richiama l'art. 2118
c.c., comma 2.
Il motivo è infondato.
La decisione del giudice di appello non è suscettibile di censura, in quanto nella specie non
trattasi di rapporto a tempo indeterminato, in relazione al quale è prevista l'indennità
sostitutiva del preavviso, ma di rapporto a termine, sicchè correttamente il danno, subito dalla
lavoratrice in conseguenza delle dimissioni per giusta causa, è stato determinato nella misura
pari alle retribuzioni che la stessa avrebbe percepito fino alla scadenza del contratto (in questo
senso si richiama Cass. n. 924 del 1996; Cass. n. 6439 del 1995; Cass. n. 5600 del 1987).
3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
Ricorrono giusti motivi, in considerazione della non uniformità delle decisioni dei giudici di
merito, per dichiarare compensate le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2007.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2007.
41
Cass., sez. un., 26-03-2007, n. 7246
Fatto
Con atto di citazione notificato il 27 luglio 1992, P.I. e D.G., D.A., D.S. e T.R., questi ultimi
quali
eredi
di
D.F.,
convenivano
in
giudizio
C.A.
ed
esponevano:
- che, in base a contratto stipulato il 1 giugno 1990, i coniugi D.F. e P.I. avevano promesso di
vendere ad C.A., che aveva promesso di acquistare, l'appartamento sito in Bracciano, via
(OMISSIS),
piano
quarto,
al
prezzo
di
Lire
121.974.651;
- che detto prezzo avrebbe dovuto essere, per una parte, corrisposto dalla C. mediante accollo
di due mutui fondiari gravanti rispettivamente sull'immobile oggetto del contratto (per Lire
28.902.836) e su altro immobile di proprietà dei promittenti venditori (per Lire 80.757.918);
- che, stipulato il 27 giugno 1990 il contratto di vendita, la compratrice si era accollato il solo
mutuo gravante sull'immobile oggetto del contratto, ed aveva corrisposto le rate di entrambi i
mutui fino al giugno 1991, omettendo però di pagare le successive rate semestrali del mutuo
gravante
sull'altro
immobile;
- che, richiesta dell'adempimento dagli eredi di D.F., nel frattempo deceduto, C.A. aveva
rifiutato
il
pagamento;
- che la compratrice era decaduta dal beneficio del termine ai sensi dell'art. 1186 c.c. e,
pertanto, essi attori avevano diritto alla corresponsione della parte residua del prezzo
effettivamente
convenuto,
pari
a
Lire
69.894,225;
- che, su ricorso di essi attori, il Presidente del Tribunale, li aveva, con ordinanza del 17 giugno
1992, autorizzati ad eseguire sequestro conservativo sui beni di C.A. fino alla concorrenza di
Lire
70.000.000,
imponendo
cauzione
di
Lire
20.000.000;
- che il sequestro era stato eseguito mediante trascrizione, eseguita il 17 luglio 1992, del
provvedimento
sui
registri
immobiliari.
Sulla base di tali premesse, gli attori chiedevano: la convalida del sequestro conservativo
concesso in loro favore con l'ordinanza del 19 giugno 1992; l'accertamento che il prezzo di
vendita dell'immobile sopra indicato era pari a Lire 121.974.651; l'accertamento
dell'inadempimento della convenuta alla obbligazione di pagamento della somma di Lire
69.894.225, quale parte residua del prezzo; la condanna della convenuta al pagamento della
somma di Lire 69.894.225, quale parte residua del prezzo, ed al risarcimento dei danni
dipendenti dall'inadempimento, "da quantificare in corso di giudizio, oltre alla rivalutazione
monetaria ed agli interessi come per legge". La convenuta si costituiva deducendo:
- che in base ad accordi fra le parti del contratto preliminare del 1° giugno 1990 il prezzo della
vendita dell'immobile che ne costituiva l'oggetto era stato parzialmente ridotto e che, pertanto,
essa C.A. avrebbe pagato le rate del mutuo gravante sull'immobile oggetto della vendita e si
sarebbe accollata le rate del mutuo dell'altro immobile appartenente ai venditori fino alla
concorrenza
di
Lire
30.000.000;
- che tale accordo era stato solo in parte trasfuso nel contratto di vendita del 27 giugno 1990, in
cui le parti avevano dichiarato, a fini tributari, un prezzo pari a Lire 41.000.000, da
corrispondersi in parte mediante il solo accollo del mutuo gravante sull'immobile oggetto del
contratto;
- che, pertanto, l'esatto contenuto dell'accordo era solo quello risultante dall'atto pubblico di
vendita, essendo, ormai, inefficaci, sul punto, le pattuizioni contenute nel contratto preliminare;
- che, pertanto, il sequestro conservativo non avrebbe potuto essere concesso, attesa
l'inesistenza
del
credito
vantato
dagli
attori.
Con sentenza in data 11 marzo 1998 il Tribunale di Roma accoglieva le domande degli attori.
C.A. proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Roma con sentenza in
data
2
0
novembre
2001.
I giudici di secondo grado ritenevano che infondatamente l'appellante si lamentava del fatto che
il Tribunale di Roma avesse dato ingresso alle prove testimoniali offerte sulla differente entità
del prezzo effettivamente pattuito fra le parti (rispetto a quello risultante dall'atto pubblico) sui
rilievi che: in tema di simulazione relativa la prove per testi fra le parti è consentita solo per far
valere l'illiceità del negozio dissimulato; e che - trattandosi di negozio che richiedeva la forma
scritta per la validità - la prova testimoniale avrebbe richiesto la dimostrazione della perdita
incolpevole del documento (ex art. 2725 cod. civ.); il primo giudice aveva, invece, richiamato
erroneamente la disposizione dell'art. 2724 cod. civ., n. 1, attribuendo fra l'altro valore di
42
principio di prova scritta al contratto preliminare, che era stato superato dalle pattuizioni
consacrate
nell'atto
pubblico.
La decisione di primo grado, infatti, era conforme alla giurisprudenza di questa S.C., secondo la
quale la prova, per testimoni o presunzioni, della simulazione del prezzo della vendita
immobiliare non incontra, tra le parti, i limiti dettati dall'art. 1417 cod. civ., né contrasta con il
divieto posto dall'art. 2722 cod. civ. La pattuizione di celare una parte del prezzo non è
equiparabile, infatti, per mancanza di una propria autonomia strutturale o funzionale,
all'ipotesi di dissimulazione del contratto, che conserva inalterati i suoi elementi di validità,
inerenti al documento di cui si assume la falsificazione. Alla inefficacia della pattuizione
apparente, concernente il prezzo, può dunque ovviarsi con una prova che ha scopo e natura
semplicemente integrativa del contratto, e può risultare anche da deposizioni testimoniali o
presunzioni.
Presunzioni bene ricavabili anche dal tenore del preliminare, quando non risultino, fra questo e
la data del definitivo, fatti che abbiano alterato in maniera sensibile gli interessi delle parti
composti
nel
contratto.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione C.A., con cinque motivi, illustratati da
memoria.
Resistono
con
controricorso
D.G.,
D.A.,
D.S.,
T.R..
La causa è stata rimessa alle Sezioni unite in ordine al contrasto esistente in giurisprudenza in
ordine alla possibilità di provare per testimoni la simulazione del prezzo della vendita.
Diritto
Con il primo motivo la ricorrente ribadisce la tesi secondo la quale la prova per testimoni del
prezzo effettivamente pattuito non poteva essere ammessa in considerazione del disposto
dell'art. 2722 cod. civ. La sentenza impugnata si è rifatta alla giurisprudenza meno recente di
questa S.C. Si è, in proposito, affermato che, allorquando l'accordo simulatorio investe solo uno
degli elementi del contratto (quale è il prezzo di una vendita immobiliare), per il quale è
richiesta la forma scritta ad substantiam, il contratto simulato non perde la sua connotazione
peculiare, ma conserva inalterati gli altri suoi elementi - ad eccezione di quello interessato dalla
simulazione - con la conseguenza che, non essendo il contratto in tali termini simulato né nullo
né annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla
simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti.
Pertanto, la prova per testimoni del prezzo effettivo della vendita, versato o ancora da
corrispondere, non incontra, tra alienante e acquirente, i limiti dettati dall'art. 1417 cod. civ. in
tema di simulazione, in contrasto con il divieto posto dall'art. 2722 cod. civ., in quanto la
pattuizione di celare una parte del prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una
propria autonomia strutturale, all'ipotesi di dissimulazione del contratto, così che la prova
relativa ha scopo e materia semplicemente integrativa e può pertanto risultare anche da
deposizioni testimoniali (sent. 24 aprile 1996 n. 3857; 23 gennaio 1988 n. 526).
In altra occasione si è più genericamente affermato che il requisito di forma è adempiuto ove
sussista nel contratto simulato o in quello dissimulato, in considerazione della sostanziale unità
della determinazione volitiva delle parti nel fenomeno simulatorio e della operatività della
simulazione sul piano egli effetti e non sulla validità del contratto (sent. 9 luglio 1987 n. 5975).
Da tale orientamento, che non incontra il favore di una parte rilevante della dottrina, si è di
recente distaccata la sentenza di questa S.C. in data 19 marzo 2004 n. 5539, la quale ha così
motivato:
Per una corretta impostazione del problema è opportuno prendere le mosse dal disposto
dell'art. 2722 c.c. Tale norma esclude che tra le parti si possa dare per testimoni la prova di un
patto aggiunto o contrario al contenuto di un documento, ove si alleghi che la stipulazione del
patto sia stata anteriore o contemporanea alla redazione del documento medesimo. Al pari che
in tutte le altre disposizioni sui limiti della prova testimoniale, traspare qui un certo grado di
ragionevole diffidenza del legislatore nei riguardi di un tale genere di prova, soprattutto quando
essa sia volta a sormontare risultanze assai meno controvertibili quali quelle documentali, è
chiaro, cioè, l'intento di impedire che rapporti giuridici tra le parti, quando documentalmente
provati, possano essere alterati da prove par testi, appunto perché queste non offrono la stessa
garanzia di veridicità di quella documentale e perché non è logico presumere che, una volta
scelta la via della documentazione degli accordi contrattuali tra esse intercorsi, le parti ne
43
abbiano affidato la modifica ad intese meramente verbali. Sicché ben si comprende anche la
ragione del superamento del suindicato limite alla prova testimoniale quando, nei casi
specificamente contemplati dal successivo art. 2724 c.c., quella negativa presunzione possa
invece
essere
superata.
Il limite alla prova testimoniale di cui si sta discutendo, per le ragioni che vi sono sottese, è
quindi destinato ad operare in qualsiasi caso si sostenga esservi una divaricazione tra il
contenuto di un contratto, formalmente consacrato in un documento, ed una diversa
pattuizione, ugualmente pregna di contenuto negoziale, che nel documento medesimo non sia
riportata e di cui, tuttavia, si assuma esservi stata una stipulazione anteriore o contemporanea.
Il fenomeno della simulazione contrattuale, sia essa assoluta o relativa, non esaurisce l'area di
possibile applicazione di detto art. 2722 c.c., ma sicuramente ne occupa una larga parte. Ed,
infatti, nel disciplinare ex professo i limiti della prova testimoniale della simulazione, il
legislatore non ha dettato una disposizione in se compiuta ed autosufficiente, ma si è
unicamente preoccupato di chiarire, nell'art. 1417 c.c., che quella prova è ammessa senza limiti
tanto nel caso di domanda proposta da creditori o da terzi quanto nell'ipotesi in cui, essendo
proposta dalle parti, la domanda sia volta a far valere l'illiceità del contratto dissimulato. I
limiti cui il citato art. 1417 c.c. allude - e che consente di superare solo nelle suddette particolari
situazioni - sono, ovviamente, quelli dettati dagli artt. 2721 c.c., e segg., ed in particolare quelli
già sopra richiamati a proposito dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento.
Stando così le cose, quando la prova tra la parti della simulazione di un contratto documentale
non riguardi l'illiceità del contratto dissimulato, è evidente che essa incontra i suaccennati limiti
di prova (vedi anche, in tal senso, Cass. n. 16021 del 2002 e n. 4073 del 1992). Ma appare
difficile negare che tali limiti operino anche in presenza di una simulazione soltanto parziale,
ogni guai volta questa si traduca nell'allegazione di un accordo ulteriore e diverso da quello
risultante dal contratto, comunque destinato a modificare l'assetto degli interessi negoziali
riportato nel documento sottoscritto dalle parti. Né certo sarebbe ragionevole sostenere che la
clausola di determinazione del prezzo non abbia rilevanza centrale nell'economia degli interessi
regolati
mediante
un
contratto
di
compravendita.
D'altronde, affermare che la pattuizione con cui le parti convengano un prezzo diverso da
quello indicato nel documento contrattuale da esse sottoscritto non integrerebbe gli estremi di
una vera e propria simulazione, avendo scopo meramente integrativo, non risolve in alcun modo
il problema. Se anche così fosse, infatti, resterebbe comunque difficilmente eludibile il rilievo per
cui una tale pattuizione si pone in contrasto con il contenuto di un documento contrattuale
contestualmente stipulato e, come tale, ricade nella previsione dell'art. 2722 c.c. La differenza
che l'orientamento giurisprudenziale qui non condiviso introduce - tra la prova della
simulazione, soggetta agli anzidetti limiti legali, e la prova di patti meramente integrativi del
contratto, che detti limiti non incontrerebbe perché quei patti difetterebbero di una propria
autonomia strutturale o funzionale - non sembra perciò trovare un sufficiente appiglio: né nella
lettera del citato art. 2722 c.c., che si riferisce ai "patti aggiunti o contrari al contenuto di un
documento", e quindi anche a quelli di carattere integrativo se essi contengano elementi nuovi o
contrastanti con quelli documentati; né nella già richiamata ratio legis, che evidentemente
abbraccia ogni ipotesi nella quale si pretenda di dare, per mezzo di testimoni, la prova di
obblighi o diritti di portata diversa da quanto risulta da accordi consacrati in un documento e
perciò dotati di un grado di certezza non superabile con quel genere di prova.
Ritiene
il
collegio
di
condividere
tale
più
recente
orientamento.
Va, in proposito, osservato che il fatto che il contratto simulato non sia nullo o annullabile, ma
soltanto inefficace tra le parti non giustifica la conclusione che il contratto dissimulato, il quale è
destinato ad avere effetto tra le parti, non debba avere i requisiti di forma necessari per la
validità dello stesso, secondo quanto espressamente stabilito dall'art. 1414 cod. civ., comma 2.
Né si potrebbe sostenere che il requisito di forma sarebbe soddisfatto dal negozio simulato
(come
sembra
sostenere
la
sentenza
9
luglio
1987
n.
5975).
Una tesi analoga era stata sostenuta questa S.C. anche in tema di interposizione fittizia, ma è
stata successivamente abbandonata (cfr. sent. 22 aprile 1986 n. 2816; 22 novembre 1979 n.
6074), in base alla considerazione che l'interposizione deve risultare anch'essa da un patto
rivestito
della
forma
solenne.
Né, con riferimento specifico al problema della prova del prezzo, si potrebbe sostenere che la
prova per testimoni sarebbe destinata soltanto ad integrare soltanto un elemento negoziale per
il
quale
il
requisito
di
forma
è
soddisfatto
dal
contratto
simulato.
44
E' facile osservare che il prezzo è un elemento essenziale della vendita, per cui anch'esso deve
risultare per iscritto e per intero quando per tale contratto è prevista la forma scritta ad
substantiam, non essendo sufficiente che quest'ultima sussista in relazione alla manifestazione
di
volontà
di
vendere
e
di
acquistare.
In altri termini, la prova per testimoni del prezzo dissimulato di una vendita immobiliare non
riguarda un elemento accessorio del contratto, in relazione al quale non opera il divieto di cui
all'art. 2722 cod. civ., ma un elemento essenziale, con conseguente applicabilità delle limitazioni
in
tema
di
prova
previste
da
tale
disposizione.
Alla luce delle considerazioni svolte, il primo motivo del ricorso va accolto, con assorbimento
degli altri motivi, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte
di appello di Roma, che provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la
sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, anche in ordine
alle
spese
del
giudizio
di
cassazione.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2007.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2007
45
Cass., sez. un., 20-04-2005, n. 8202
Fatto
Con ricorso depositato in data 29 aprile 1993 E.F., F.S. e F.S., tutti nella qualità di eredi di R.S.,
adivano il Pretore di Palmi, in funzione di giudice del lavoro, esponendo che il loro dante causa
R.S., deceduto in data 11 settembre 1992, era affetto da patologie gravi che ne avevano
menomato la capacità di muoversi autonomamente e di attendere alle proprie ordinarie e
personali necessità quotidiane. Chiedevano, quindi, che fosse riconosciuto giudizialmente lo
stato di invalidità assoluta del loro dante causa ed il diritto all'indennità di accompagnamento,
e che il Ministero dell'Interno fosse condannato al pagamento dei relativi ratei.
Il Pretore rigettava la domanda ed il Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza del 5 gennaio
2002, confermava la prima decisione. Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale escludeva,
sulla base del disposto dell'art. 437 c.p.c., che si potesse tenere conto dei nuovi documenti (non
indicati nell'atto di appello) prodotti nel corso del gravame, e sui quali il consulente tecnico
d'ufficio nominato in quel grado del giudizio aveva fondato, in via esclusiva, il suo parere
positivo sulla sussistenza del requisito sanitario richiesto per il riconoscimento dell'indennità di
accompagnamento. A sostegno della sua decisione il giudice d'appello osservava che i
documenti in oggetto erano stati depositati solo dopo l'inizio delle operazioni, violandosi così il
precetto che limita la possibilità di acquisire documenti in appello solo al momento della
proposizione del gravame. Precetto che nel caso di specie risultava applicabile trattandosi non
di documenti sopravvenuti ma invece di documenti di data anteriore al primo grado di giudizio.
Avverso tale sentenza E.F., F.S. e F.S., nelle suddetta qualità, propongono ricorso per
cassazione,
affidato
ad
un
unico
articolato
motivo.
Resiste
con
controricorso
il
Ministero
dell'Interno.
A seguito di ordinanza del 22 luglio 2003 della Sezione lavoro il Primo Presidente ha disposto
che, ai sensi dell'art. 374 c.p.c., le Sezioni Unite si pronunzino in ordine all'ammissibilità nelle
controversie di lavoro della produzione di nuovi documenti in appello, per essere la questione
stata oggetto di contrasto all'interno della stessa Sezione lavoro.
Diritto
1. Con l'unico motivo di ricorso gli eredi di R.S. denunziano violazione di legge e mancata o
insufficiente motivazione sui punti decisivi della controversia (art. 1 legge n. 18 del 1980 e
successive modificazioni; art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.). In particolare denunziano che il giudice di
appello ha disatteso con la sua decisione la giurisprudenza della Corte di cassazione, che ha
ripetutamente affermato che nel rito del lavoro i documenti, quali prove precostituite, ancorché
non indicati nel ricorso possono essere prodotti fino all'udienza di discussione, anche in
appello, senza incorrere nelle preclusioni di cui agli artt. 414, 416 e 437 c.p.c.; norme
quest'ultime
applicabili
alle
sole
prove
costituende.
2. Ragioni di ordine argomentativo rendono opportune alcune preliminari considerazioni sulla
problematica
oggetto
dell'esame
di
queste
Sezioni
Unite.
2.1. Come evidenziato nella già indicata ordinanza del 22 luglio 2003, dopo la sentenza delle
Sezioni unite del 6 settembre 1990 n. 9199 - secondo la quale la produzione dei documenti, pur
sottraendosi al divieto sancito dall'art. 437 c.p.c., esige a pena di decadenza che essi siano
indicati specificamente nel ricorso dell'appellante o nella memoria dell'appellato e vengano
depositati contestualmente a tali atti (salvo che si tratti di documenti sopravvenuti o la cui
produzione sia giustificata dallo sviluppo della vicenda processuale) - sono intervenute
numerose pronunzie che hanno confermato quanto statuito dalla ricordata decisione, anche in
ordine alle modalità ed ai limiti della produzione (cfr. ex plurimis: Cass. 26 maggio 2004 n.
10128, con riferimento alle controversie in materia di locazione, cui è applicabile il rito del
lavoro, cui adde, Cass. 19 maggio 2003 n. 7845; Cass. 24 novembre 2000 n. 15197; Cass. 5
agosto 2000 n. 10335; Cass. 10 giugno 2000 n. 7948; Cass. 4 maggio 2000 n. 5596; Cass. 29
dicembre 1999 n. 14690; Cass. 17 novembre 1994 n. 9724, ed, ancora, Cass. 15 ottobre 1992 n.
11323, che ha però escluso la regola della necessaria indicazione dei documenti nuovi nell'atto
introduttivo del giudizio di appello con riferimento alle controversie in tema di invalidità
pensionabile, ove la documentazione medica riguardi aggravamenti o infermità certificati in
epoca
posteriore
al
deposito
del
ricorso
d'appello).
46
Altre decisioni, invero, nel confermare la non operatività del divieto di cui all'art. 437, comma 2,
c.p.c. in relazione alle prove costituite, hanno mostrato maggiore flessibilità nel dare ingresso
alla produzione dei documenti, statuendo che detta produzione, anche se i documenti non siano
indicati in ricorso, possa avvenire fino alla udienza di discussione anche in appello (Cass. 19
marzo 2003 n. 4048; Cass. 25 gennaio 2000 n. 817 nonché, con riferimento ai documenti
sopravvenuti nel corso del giudizio d'appello, e, pertanto, inevitabilmente non indicati nel
ricorso, Cass. 2 novembre 1998 n. 10944; Cass. 8 aprile 1998 n. 3640).
Uno scrutinio delle indicate pronunzie ne evidenzia il dato comune nell'assunto, condiviso
anche da una parte della dottrina, che il divieto sancito dall'art. 437, comma 2, c.p.c. - di
ammissione in grado di appello nelle controversie soggette al rito del lavoro di nuovi mezzi di
prova (salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione) - si riferisca soltanto
alle prove costituende, per le quali è previsto in generale un giudizio di ammissibilità ed un
procedimento di assunzione (cui fa riferimento in particolare lo stessoart. 437, comma 3, c.p.c.)
e non riguarda invece la produzione di documenti, la cui acquisizione, tra l'altro, non contrasta
con le esigenze di concentrazione e di immediatezza caratterizzanti il processo del lavoro.
2.2. Si è andato nel tempo, però, formando un indirizzo restrittivo, fondato sul principio che il
potere del giudice d'appello di ammettere nuovi documenti trova un limite nel carattere
veramente <nuovo> che la documentazione offerta in sede di impugnazione deve avere, sicché il
documento che poteva essere indicato ex art. 414 n. 5 c.p.c. nel ricorso introduttivo del giudizio
di primo grado non può più essere prodotto in appello (cfr. Cass. 4 agosto 1994 n. 7233). E
sempre nell'ambito di più restrittivi orientamenti, in alcuni pronunziati è stato, poi, affermato
che nel rito del lavoro è inammissibile la produzione dei documenti sui quali il giudice di primo
grado abbia già emesso una pronunzia di inammissibilità, con contestuale dichiarazione di
decadenza della parte stessa dalla facoltà di produrli, osservandosi al riguardo che la
produzione di tali documenti vanificherebbe la sanzione di decadenza già pronunziata (cfr.
Cass. 6 marzo 2003 n. 3380; Cass. 16 maggio 2000 n. 6342; Cass. 2 aprile 1992 n. 4013). Nello
stesso ordine di idee si è poi rimarcato che il principio per cui il giudice può rilevare di ufficio le
eccezioni in senso lato o improprio, non comporta di per sé che, nel rito speciale del lavoro, la
parte possa produrre in grado di appello documenti a sostegno di una di dette eccezioni
quando non siano stati formati successivamente all'introduzione del giudizio di primo grado, ed
in quel giudizio sia stata pronunciata la decadenza della parte dalla produzione tardivamente
effettuata
(Cass.
11
agosto
1998
n.
7907).
2.3. Si ascrive all'indirizzo volto a rendere rigoroso il sistema delle preclusioni, con riferimento
alla produzione dei documenti, l'affermazione dei giudici di legittimità che la possibilità per la
parte di produrre, tardivamente nel giudizio di primo grado, prove documentali presuppone ex
art. 420, comma 5, c.p.c. che si tratti di documenti sopravvenuti nella disponibilità delle parti
stesse ed in ogni caso che si tratti (in coerenza con il disposto dell'art. 416 n. 3 c.p.c) di
documenti a sostegno di eccezioni o posizioni difensive tempestivamente dedotte, risultando
"fuorviante invocare la nota ripartizione tra prove costituite e prove costituende" al fine di
superare le preclusioni rigidamente indicate dalla citata norma del codice di rito (cfr. in tali
sensi:
Cass.
1
ottobre
2002
n.
14110).
2.4. Nel quadro globale dei precedenti giurisprudenziali sulla problematica in esame,
sicuramente espressione dell'indirizzo più rigoroso è una recente pronunzia della Sezione lavoro
di questa Corte che, dopo avere sottoposto a revisione critica tutti gli elementi su cui si basa il
contrario orientamento, esclude, sulla base di ragioni sia testuali che logico-sistematiche, la
possibilità di differenziare ai fini preclusivi prove costituite e prove costituende, da ciò facendo
scaturire l'inclusione dei documenti nei <nuovi mezzi di prova>, indicati nell'art. 437, comma 2,
c.p.c., con conseguente applicabilità anche per la produzione documentale della disciplina
limitativa delle prove in appello, dettata dalla summenzionata disposizione di rito. Nel
delineato assetto ricostruttivo della operatività nel rito del lavoro delle preclusioni, il limite alla
producibilità dei nuovi documenti finisce così per non operare solo per: i documenti
preesistenti, la produzione dei quali sia giustificata dallo sviluppo assunto dal processo (art.
420, comma 5 e 7, c.p.c.); i documenti destinati a provare un fatto di cui, con ragionevole
attendibilità, non è prospettabile una particolare contestazione; i documenti costituiti, pur dopo
il ricorso introduttivo della lite, aventi ad oggetto l'accertamento delle condizioni di salute
dell'assicurato, che possono essere esibiti nel corso del giudizio ed anche in grado d'appello in
ragione del disposto dell'art. 149 disp. att. c.p.c. (che nelle controversie previdenziali in materia
di invalidità dà rilievo all'aggravamento della malattia, nonché a tutte le infermità comunque
47
incidenti sul complesso invalidante che si siano verificate tanto nel corso del processo
amministrativo che di quello giudiziario) (cfr. Cass. 20 gennaio 2003 n. 775).
3. L'indirizzo da ultimo indicato, che ha indotto la dottrina a rivisitare approdi in buona misura
sedimentati ed a sollecitare un intervento di queste Sezioni Unite volto a eliminare nell'esercizio dei suoi poteri nomofilattici - il denunziato contrasto, impongono alcune
considerazioni sulla specialità del processo del lavoro al fine di accertare se ed in quali limiti
detta
specialità
si
rifletta
sulla
soluzione
della
problematica
in
esame.
4. Queste Sezioni Unite in relazione all'onere <di prendere posizione, in materia precisa e non
limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della
domanda>, previsto dall'art. 416, ultimo comma, prima parte c.p.c., hanno statuito che il
combinato disposto di quest'ultima disposizione e dell'art. 167, 1 comma, c.p.c. fa <della non
contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione
dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia
controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, proprio per la
ragione che l'atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla stregua dell'esposta regola di
condotta processuale, espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti>; su tale
premessa hanno poi precisato che nel nostro sistema il principio della "non contestazione" viene
ad accreditarsi di tendenziale irreversibilità (dovendosi fare salvi i casi di contestazione rimessi
ad atti successivi a quelli introduttivi del giudizio) <in piena coerenza con la struttura del
processo che, nel rito del lavoro, è finalizzata a far sì che all'udienza di discussione la causa
giunga delineata in modo compiuto, quanto ad oggetto ed ad esigenze istruttorie, secondo un
modello non estraneo, ormai, come nota autorevole dottrina, neanche al rito ordinario,
improntato, dopo la riforma del 1990, a finalità di chiarezza e semplificazione rese palesi dal
concatenamento fra la fase diretta alla chiarificazione della posizione delle parti e la fase della
formulazione delle richieste istruttorie> (cfr. in tali sensi Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2002 n.
761, cui adde successivamente, Cass. 8 febbraio 2003 n. 1562; Cass. 15 gennaio 2003 n. 535).
4.1. Gli enunciati principi, che si pongono in linea con il rigoroso sistema delle preclusioni
dettato dal legislatore del 1973 (che ha disegnato un coerente sistema ispirato ai principi di
concentrazione, immediatezza ed oralità, propugnati da autorevole dottrina processualistica) e
che si presentano come passaggio obbligato per una effettiva funzionalità dell'intero sistema
incentrato sulle preclusioni e sulle decadenze di cui agli artt. 414 c.p.c. e 416 c.p.c. (sistema che
trova piena legittimazione costituzionale nel carattere paritario della disciplina difensiva
dell'attore e del convenuto, giusta quanto evidenziato da Corte Cost. 14 gennaio 1977 n. 13),
sono stati ribaditi di recente da altra pronunzia delle Sezioni Unite, che ha messo in evidenza
come il principio della non contestazione del <fatto costitutivo del diritto> sia funzionalizzato
alla predisposizione dell'udienza di discussione, in cui si completa quello che è stato definito <il
quadro complessivo> della materia in giudizio, in relazione al quale è possibile condurre le
necessarie indagini istruttorie onde pervenire alla decisione con celerità (anche, cioè, nella stessa
udienza, definita alla stregua di quanto disposto dall'art. 420 c.p.c. "tendenzialmente unica")
(cfr. al riguardo Cass., Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353). In tale contesto ricostruttivo i giudici
di legittimità hanno anche sottolineato - con argomentazioni in verità capaci di assumere
portata generale a seguito della novella n. 353 del 1990 (e delle modifiche conseguenti alla l. n.
534 del 1995) e di certo improntate anche ad una ineludibile tutela della certezza, celerità ed
economia dei giudizi - come nel rito del lavoro si riscontri tra oneri di allegazione, oneri di
contestazione ed oneri di prova una indubbia circolarità, con reciproco condizionamento, come
è attestato dall'evidenziata impossibilità di richiedere la prova oltre i termini preclusivi stabiliti
dal codice di rito su fatti non allegati nonché su circostanze che, pur configurandosi come
presupposti del diritto azionati, non siano stati esplicitati in modo specifico nel ricorso
introduttivo del giudizio (cfr. Cass., Sez. Un., 11 giugno 2004 n. 11353 cit.). Circolarità questa
che, seppure con distinte modalità espressive, viene riconosciuta in dottrina allorquando si
sottolinea, al fine di un dinamico ma nello stesso tempo razionale svolgimento del processo, la
necessaria correlazione che lega l'attività di deduzione delle prove (attività istruttoria)
all'attività di introduzione dei relativi fatti da provare (attività assertiva).
4.2. Gli enunciati principi segnano i confini entro i quali deve trovare composizione il contrasto
in esame, in ragione del rispetto della invocata funzione nomofilattica di questa Corte, che
verrebbe a subire un grave vulnus se a fronte ai suddetti principi si finissero per introdurre
incoerenze sistematiche, sicuramente riscontrabili in una ricostruzione della dinamica
processuale che, a fronte di una estrema rigorosità nella determinazione dei tempi di
48
indicazione (precisazione o modificazione) degli elementi (di fatto e di diritto) posti a base
della domanda, e delle eccezioni (processuali e di merito) della controparte (cfr. artt. 414 n. 4 e
416 per il rito del lavoro; ed artt. 163 n. 4, 166, 183 e 184 per il rito ordinario), si finissero poi
per avallare opzioni ermeneutiche volte - senza un sicuro approdo a chiari precetti normativi ad affrancare le produzioni documentali da preclusioni operative per tutte le restanti prove.
4.3. Ai fini decisori va da ultimo rimarcato che - pur non potendosi di certo attraverso il
sistema delle preclusioni ledere il diritto di difesa delle parti e la ricerca della verità materiale la garanzia della <ragionevole durata del processo>(riconosciuta come diritto dall'art. 6 della
Convenzione europea ed ora espressamente sancita dall'art. 111, comma 2, Cost.), debba
fungere come parametro di costituzionalità delle norme processuali per essere oggetto <oltre che
di un interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno di
quello di un giudizio equo ed imparziale> (così da ultimo Corte Cost. 21 marzo 2002 n. 78), con
la conseguenza che l'opera ermeneutica del dato normativo deve accompagnarsi - come è stato
osservato da quanti si sono confrontati proprio con le problematiche in questa sede esaminate alla consapevolezza che i termini acceleratori e le preclusioni volte ad impedire l'ingresso nel
processo di un fatto e/o di una prova sono funzionalizzati proprio a tutelare il suddetto
principio della <ragionevole durata> e quello, ad esso correlato, dell'<economicità> del
giudizio.
5. È generalizzata in dottrina ed in giurisprudenza la distinzione delle prove in prove costituite
e prove costituende, per caratterizzarsi, le prime (come le prove documentali) per la loro
formazione al di fuori del processo (e, di solito, prima di esso) e per l'acquisizione nel processo
attraverso un mero atto di esibizione, e le seconde (come le prove orali: prove testimoniali,
confessione, giuramento, ecc.) per formarsi, di contro, nel processo, come risultato dell'attività
istruttoria a seguito di una istanza di parte e di conseguenziale provvedimento di ammissione
del
giudice.
5.1. Orbene, la diversa regolamentazione tra prove costituite e prove costituende concretizzantesi nel riconoscimento di spazi più ampi (anche se indicati, nel variegato
panorama dottrinario e giurisprudenziale, in termini non sempre coincidenti) di ingresso nel
processo per le prime - viene fondata sostanzialmente su un duplice ordine di argomenti.
Il primo di carattere letterale fa leva sulla distinta menzione di <mezzi di prova> (art. 345,
comma 3, per il rito ordinario; art. 420, comma 5 e 7, art. 421, comma 2, art. 437, comma 2, per
il rito del lavoro) identificati con le prove costituende, e del termine <documenti> (art. 163 n. 5,
art. 167, comma 1, art. 184 per il rito ordinario; art. 414 n. 5, 416, comma 2, per il rito del
lavoro), da identificarsi, invece, con le prove costituite. Il secondo di carattere logico-sistematico
viene ravvisato nella diversa ricaduta delle due differenti categorie di prove sulla durata del
processo, per non necessitare le prove precostituite di nessuna attività istruttoria capace di
ritardare
l'esito
della
controversia.
5.2. Le argomentazioni suddette, evocate ripetutamente in numerosi pronunziati (cfr. tra le
tante: Cass. 12 luglio 2002 n. 10179; Cass. 20 novembre 2000 n. 15197 cit.; Cass. 29 marzo
1993 n. 1359; Cass., Sez. Un., 6 settembre 1990 n. 9199 cit., cui adde, in epoca più risalente,
Cass. 25 maggio 1978 n. 2654; Cass. 29 giugno 1997 n. 2835; Cass. 16 ottobre 1976 n. 3503),
sono state sottoposte di recente a revisione oltre che dai ricordati pronunziati anche dalla
dottrina che, con voce quasi unanime, ha ritenuto che la produzione documentale viva delle
stesse preclusioni previste per le prove costituende, con considerazioni che questa Corte ritiene
di
condividere.
5.3. La sottolineatura operata da più parti della distinzione codicistica tra <mezzi di prova> (i
soli che sarebbero ammessi al vaglio dell'ammissibilità), e <documenti> (che sarebbero, invece,
assoggettabili unicamente al giudizio di rilevanza), per inferirne in via argomentativa una
diversa incidenza delle preclusioni - scaturenti dall'imposizione di termini perentori o
decadenze - sull'indagine istruttoria (con conseguente sottrazione della produzione documentale
al dictum dell'art. 345, comma 3, e 437, comma 2, c.p.c.), oltre a non tenere conto che, non certo
di rado, lo stesso legislatore codicistico parla di <mezzi di prova> e di <ammissione>degli
stessi anche con riferimento alla produzione documentale (cfr. art. 698 c.p.c. sull'assunzione
delle prove preventive; art. 495, comma 3, c.p.p. che, regolando i provvedimenti del giudice in
ordine alla prova, statuisce espressamente: "Prima che il giudice provveda sulla domanda, le
parti hanno facoltà di esaminare i documenti di cui è chiesta l'ammissione"), non assegna, per di
più, il dovuto valore all'opinione di chi, autorevolmente, nell'ambito della dottrina
processualistica, ha rimarcato come anche la prova documentale sia un <mezzo di prova>,
49
perché tutte le prove sono <mezzi>, cioè strumenti per asseverare quanto assunto dalle parti nei
loro atti difensivi, perché in senso tecnico l'espressione <mezzi di prova> sta, appunto, ad
indicare <le persone o le cose da cui si vogliono trarre elementi di conoscenza utili alla ricerca
della
verità>.
Ed in una medesima ottica si è affermato che i documenti configurano una specie, sia pure
particolare, del genus <mezzi di prova>, evocandosi a sostegno di tale assunto il disposto
dell'art. 163 n. 5, sopravvissuto alle novelle del 1950 e del 1990, che (con formula analoga a
quella degli artt. 414 n. 5, e 416, comma 3) prevede che l'atto di citazione deve contenere
<l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi ed in particolare dei
documenti che offre in comunicazione>, sicché è lecito concludere che il legislatore ha adottato
una nozione di <mezzi di prova> comprensiva dei documenti, i quali ne costituiscono, appunto,
una
species
("in
particolare").
Il dato letterale, cui è stato assegnato una pregnante portata contenutistica, viene così a trovare
la sua ratio in ragioni che tale portata non giustificano per risalire unicamente al distacco
temporale tra il momento della produzione di documenti e quello dell'ammissione, come è
significativamente attestato dall'art. 87 disp. att. c.p.c. che - in relazione ai documenti offerti in
comunicazione dalle parti dopo la loro costituzione - dispone il deposito in cancelleria con la
comunicazione del relativo elenco alle altre parti ex art. 170, ult. comma, c.p.c. non certo per
escludere un giudizio sulla loro ammissibilità (la cui richiesta è implicita nella stessa
produzione), ma per consentire che anche su di essa venga assicurato un effettivo
contraddittorio.
Merita, dunque, pieno consenso l'assunto secondo cui la distinta menzione dei <documenti>
(oggetto di produzione) e <mezzi di prova> (oggetto di richiesta di ammissione) (cfr. artt. 184 e
345, questo nel testo anteriore alla legge 14 luglio 1950 n. 581) ed il parallelismo con cui questi
strumenti vengono disciplinati (parallelismo presente anche nell'art. 416, comma 3, c.p.c.) sono
di fatto determinati <dal particolare meccanismo che la richiesta di prova per documenti
comporta: la produzione dell'atto, come fatto che materialmente precede, e necessariamente
implica e formalmente esprime, questa richiesta> (così: Cass. 20 gennaio 2003 n. 775 cit.).
5.4. Né per andare in contrario avviso per legittimare un meno rigoroso impatto delle preclusioni
sulla prova documentale vale richiamarsi alle esigenze di particolare celerità e di concentrazione
(che con il nuovo rito il legislatore ha voluto soddisfare) per poi dedurne che dette esigenze non
sarebbero messe in pericolo dalla produzione ed acquisizione di nuovi documenti in quanto
prove già costituite. È opinione generale che la produzione di nuovi documenti, pur non
richiedendo un procedimento di assunzione, può determinare un prolungamento delle attività
processuali. Ed invero, al di là del fatto che la produzione di un atto pubblico o di una scrittura
privata può determinare giudizi di per sé lunghi e complessi a seguito dei procedimenti per
querela di falso o di istanza di verificazione, il richiamo alle esigenze di celerità sembra
concretizzare soprattutto un intento meramente evocativo perché, come è stato autorevolmente
notato, ogni volta che consenta ad una parte una acquisizione nel processo di una nuova
produzione documentale il giudice non può - in ossequio del diritto di difesa e del principio del
contraddittorio - negare alla controparte la possibilità di dedurre i mezzi di prova resisi
necessari in relazione ai documenti prodotti, pur se comportanti l'espletamento di una attività
istruttoria incompatibile con quelle esigenze di celerità e concentrazione del processo, che invece
si
vorrebbe
non
essere
intaccati
dalla
tardiva
produzione.
6. Quanto sinora esposto offre le coordinate nel rispetto delle quali deve procedersi per
individuare - con una coerenza logica importante una indifferenziata soluzione per ogni tipo di
prova - i termini processuali entro i quali è consentito nel rito del lavoro l'ingresso ad istanze
istruttorie
e,
pertanto,
anche
la
produzione
di
documenti.
6.1. Ed invero, nell'indicato quadro ricostruttivo, il combinato disposto dell'art. 416, comma 3 che stabilisce tra l'altro che il convenuto deve, come si è già ricordato, indicare <a pena di
decadenza> i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed <in particolare modo i documenti
che deve contestualmente depositare> (onere probatorio gravante anche sull'attore per il
principio di reciprocità fissato dal giudice delle leggi con la decisione 14 gennaio 1977 n. 13; cfr.
al riguardo Cass., Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353, e fra le altre Cass. 17 aprile 2002 n. 5526
cit.) - e dell'art. 437, comma 2 (proiezione e specificazione delle preclusioni già emergenti
dall'art. 416, comma 3, e 420, comma 5 e 7) - che a sua volta esclude l'ammissione di <nuovi
mezzi di prova> (nei quali devono annoverarsi anche i documenti: cfr. al riguardo in tali sensi:
Cass. 13 dicembre 2000 n. 15716) - induce a fissare il principio di diritto che <l'omessa
50
indicazione, nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti e l'omesso
deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla
produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della
loro formazione o dall'evolversi delle vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla
memoria di costituzione (ad esempio a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in
causa
del
terzo)>.
6.2. Nel caso in esame il mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, intesi a
regolamentare la dinamica processuale in funzione propulsiva, importa l'irreversibilità
dell'estinzione del processuale diritto di produrre il documento con l'insuscettibilità di una sua
riviviscenza in un successivo grado di giudizio (così: Cass. 20 gennaio 2003 n. 775 cit.).
Ed, infatti, l'inosservanza degli oneri correlati al rispetto dei suddetti termini, impedisce il
verificarsi di <movimenti a ritroso>, perché le preclusioni si presentano quali conseguenze, di
regola definitive, dell'inadempimento di specifiche e ben individuate condotte, che operano sul
versante
processuale
con
gli
stessi
effetti.
Conclusione questa che trova decisivo avallo nella considerazione che si è in presenza di un
fenomeno per il quale può attagliarsi - in ragione degli interessi coinvolti non disponibili dalle
parti processuali (in relazione ai quali si è parlato di <ordine pubblico processuale>) - la
definizione data dalla dottrina processualistica al termine perentorio, visto "come fatto
giuridico strutturalmente autonomo caratterizzato da una propria efficacia di tipo estintivo".
Per di più non è suscettibile di alcuna riserva l'ulteriore rilievo, fatto proprio dalla stessa
dottrina, che la decadenza produce la perdita, estinzione o consumazione di una facoltà
processuale, con esiti di regola irreversibili, perché il solo strumento tecnico idoneo a rimuovere
detti esiti - la c.d. restituzione o remissione in termini - è configurato nel nostro ordinamento se
non
in
determinate
ipotesi
particolari.
7. Ragioni di completezza argomentativa impongono, infine, una riflessione sull'opinione di
quanti patrocinano la non estensione alla produzione documentale delle barriere temporali
riguardanti gli altri <mezzi di prova>, mettendo in risalto come un sistema rigoroso di
preclusioni possa ostacolare la ricerca della <verità materiale>, cui è doverosamente
funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della
natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento. Ed invero, al di là del pur
assorbente rilievo che proprio lo spessore a livello costituzionale dei suddetti diritti impone
risposte giudiziarie improntate a celerità - come è attestato significativamente a livello
normativo dall'introduzione di ordinanze anticipatorie ex art. 423 c.p.c. cui fa riscontro nella
pratica giudiziaria una innegabile incentivazione dei procedimenti cautelari - va rimarcato come
la preoccupazione di addivenire a soluzioni distanti dalla realtà fattuale, non sempre esternata
(ma di certo costantemente sottesa all'opinione in esame), venga in buona misura ammortizzata
dall'attribuzione al giudice d'appello di incisivi poteri d'ufficio in materia di ammissione di
nuovi mezzi di prova ove essi siano <indispensabili ai fini della decisione della causa> (art.
437, comma 2, c.p.c.), con un opportuno contemperamento del principio dispositivo con le
esigenze di ricerca della verità materiale, <di guisa che, allorquando le risultanze di causa
offrano significativi dati di indagine, il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non
può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull'onere
della prova, ma ha il potere dovere di provvedere d'ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale
materiale ed idonei a superare l'incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione,
indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti> (cfr. in tali
sensi Cass., Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353 cit.; Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2002 n. 761 cit.).
7.1. A ben vedere proprio i poteri di ufficio del giudice del lavoro - che non possono però essere
esercitati con riferimento a fatti non allegati dalle parti e non emersi nel processo a seguito del
contraddittorio delle parti stesse (cfr. Cass., Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353 cit.) - segnano in
modo accentuato la c.d. <specialità> del rito del lavoro e portano, per altra via, ad evidenziare
come si vogliano accreditare a livello normativo forme di tutela (processuale) differenziata delle
situazioni soggettive, in ragione di un opportuno adattamento delle regole del rito alla concrete e
molteplici situazioni sostanziali implicate nel giudizio, con il conseguenziale formarsi di
ordinamenti processuali - come quello, appunto, introdotto dalla legge 11 agosto 1973 n. 533 (in
materia di controversie del lavoro) nonché quello disegnato dal d. lgs. 31 dicembre 1992 n. 546
(in materia di controversie tributarie), ed ancora quello ora regolato dal d. lgs. 17 gennaio 2003
n. 5 (in materia di controversie di diritto societario) - che, seppure con qualche
approssimazione, possono qualificarsi <settoriali>, e che trovano peculiari e specifici tratti
51
distintivi - rispetto al processo ordinario ed anche tra loro - proprio per la diversa
individuazione del punto di equilibrio tra le esigenze di celerità e quelle di accertamento della
verità
materiale.
8. Per concludere, il ricorso, alla stregua di quanto sinora detto, va rigettato perché la sentenza
impugnata - con il non dare ingresso alla prova documentale prodotta dagli eredi dell'assicurato
stante la sua tardiva esibizione - è pervenuta a conclusioni conformi al diritto anche se con
motivazione, che va corretta nei termini innanzi esplicitati nell'esercizio dei poteri attribuiti a
queste
Sezioni
Unite
ex
art.
384,
comma
2,
c.p.c.
Nessuna statuizione può essere presa in relazione alle spese del presente giudizio di cassazione
per la natura della controversia, non essendosi in presenza di una pretesa manifestamente
infondata e temeraria (art. 152 disp. att. c.p.c.).
P.Q.M
la Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma il 3 marzo 2005.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 20 APR. 2005
52
Cass., sez. un., 20-04-2005, n. 8203
Fatto
Con atto di citazione notificato in data 25 giugno 1996, la s.r.l. Fascino Produzione Gestione
Teatro proponeva opposizione dinanzi al Tribunale di Roma avverso il decreto ingiuntivo con il
quale era stato intimato al Teatro Parioli di pagare al Ministero dell'Interno - Comando
provinciale dei VV. FF. di Roma - la somma di lire 202.816.550 ed accessori, di cui il Ministero
si era dichiarato creditore per l'attività di prevenzione incendi prestata dal 1992 al 1994 da tre
vigili del fuoco presso il suddetto teatro. L'opponente asseriva di avere regolarmente pagato
quanto dovuto per la vigilanza svolta e di avere sempre contrastato l'infondato avverso assunto
che
detto
servizio
fosse
stato
espletato
da
tre
persone.
Dopo la costituzione dell'Amministrazione opposta, il Tribunale di Roma, con sentenza del 30
settembre 1999, accoglieva l'opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e compensava le spese
del
giudizio.
Avverso tale sentenza proponeva appello il Ministero dell'Interno e dopo la costituzione della
società appellata, che ribadiva in via incidentale le eccezioni già in precedenza formulate, la
Corte d'appello di Roma, con sentenza del 22 ottobre 2001, rigettava l'opposizione e
condannava
l'appellante
al
pagamento
delle
spese
del
grado.
Osservava al riguardo la Corte che il Ministero aveva denunziato l'erroneità della decisione
impugnata perché il giudice a quo aveva ritenuto non provata la domanda di pagamento
fondata sulla prestazione dell'attività di prevenzione da parte di tre vigili del fuoco. In verità, il
Ministero appellante aveva prodotto ampia documentazione attestante l'effettuazione delle
indicate prestazioni, ma la società Fascino PGT aveva eccepito - ai sensi dell'art. 345, comma 3,
c.p.c. - l'inammissibilità della produzione di documenti, volti a dimostrare la fondatezza della
pretesa del suddetto Ministero, sicché della documentazione non poteva tenersi alcun conto a
fini decisori. Precisava, infine, la Corte territoriale che, comunque, mancava qualsiasi prova
delle giornate lavorative effettuate nonché dell'esatta durata delle prestazioni rese, non
potendosi desumere elementi di convincimento dalle dichiarazioni della società, secondo cui per
un certo periodo presso il teatro sarebbero stati inviati tre vigili anziché uno. Per concludere, la
Pubblica Amministrazione non aveva adempiuto all'onere della prova, su di essa incombente,
perché la produzione documentale doveva ritenersi tardiva e perché i documenti non provavano
l'entità
ed
il
protrarsi
delle
prestazioni.
Contro la sentenza del giudice d'appello, il Ministero dell'Interno, Comando Provinciale dei
Vigili del Fuoco,
propone ricorso
per cassazione affidato
a
tre motivi.
Resiste
con
controricorso
la
s.r.l.
Fascino
Produzione
Gestione
Teatro.
A seguito di ordinanza del 19 gennaio 2005 della Sezione prima di questa Corte di cassazione è
stata disposta, ai sensi dell'art. 374 c.p.c., dal Primo Presidente l'assegnazione del presente
ricorso alle Sezioni Unite per dirimere il contrasto formatosi nella giurisprudenza di legittimità
sia con riferimento alla generale problematica relativa all'estensione, nel giudizio a cognizione
ordinaria, della normativa sul divieto di ammissione di <nuovi mezzi di prova> anche alle
prove precostituite, sia con riferimento alle connesse problematiche attinenti alla individuazione
dei limiti che la produzione dei documenti incontra nel giudizio di appello.
Diritto
1. Con il primo motivo di ricorso il Ministero denunzia violazione e falsa applicazione degli
artt. 72, 74, 76, 77 disp. att. c.p.c., artt. 58, 115, 165, 166, 169 c.p.c., nonché omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360
nn. 3, 4 e 5 c.p.c.). Sostiene in particolare il ricorrente Ministero che, a fronte del dato
inconfutabile che esso Ministero aveva provveduto a depositare presso la cancelleria della
Corte d'appello adita il fascicolo contenente la documentazione comprovante l'esistenza e
l'ammontare del credito erariale, era doveroso per la Corte stessa - in ragione della successiva
mancanza del predetto fascicolo al momento di introitare in decisione la causa - disporne la
ricerca con tutti gli strumenti a disposizione, eventualmente procedendo alla ricostruzione del
fascicolo, invece di attribuirne arbitrariamente la scomparsa alla responsabilità della parte
pubblica.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 345, comma
53
3, c.p.c., nonché omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art 360 nn. 3, 4
e 5 c.p.c.), rimarcando che il giudice d'appello ha errato nel considerare tardiva - senza peraltro
darne adeguata motivazione - la produzione documentale volta a comprovare tutti i servizi di
vigilanza posti in essere, atteso che il divieto di cui alla citata disposizione del codice di rito
non
si
riferisce
alla
prova
documentale.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce, infine, violazione e falsa applicazione degli artt.115 e
116 c.p.c., degli artt. 2697, 2699 e 2729 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.), assumendo
che i fatti addotti in giudizio dovevano considerarsi incontrovertibili sì da non richiedere una
prova specifica perché tra l'altro, a seguito della memoria avversaria depositata in secondo
grado e dell'atto di citazione di prime cure, si era da controparte finito per ammettere
l'avvenuto espletamento del servizio antincendio da parte di tre vigili del fuoco. Conclusione
questa confortata anche dagli atti che, per pervenire da pubbliche autorità - legislativamente
deputate a regolare il servizio antincendio - dovevano reputarsi assistiti da una presunzione
iuris
tantum
di
corrispondenza
al
vero.
2. Prima degli altri va preso in esame, per evidenti ragioni di antecedenza logica, il secondo
motivo
del
ricorso.
2.1. Come ha evidenziato la ricordata ordinanza del 19 gennaio 2005, sull'interpretazione da
dare al disposto dell'art. 345, comma 3, c.p.c. nel testo sostituito dall'art. 52 della legge 26
novembre 1990 n. 353 (applicabile a decorrere dal 30 aprile 1995), si riscontra in
giurisprudenza
una
diversità
di
indirizzi.
Si è più volte ribadito - con riferimento al giudizio di cognizione ordinaria - che il divieto di
ammissione di nuove prove si riferisce esclusivamente alle prove costituende e, quindi, non
riguarda i documenti che, in quanto prove precostituite, possono essere prodotti anche in
secondo grado (ex plurimis: Cass. 26 agosto 2004 n. 16995; Cass. 29 aprile 2004 n. 8235; Cass.
5 maggio 2003 n. 6756; Cass. 8 gennaio 2003 n. 60; Cass. 6 aprile 2002 n. 5463).
Nell'ambito di tale indirizzo si è però da alcune pronunce aggiunto che la produzione di nuovi
documenti in appello non trova ostacolo: né nella decadenza in cui sia incorsa la parte per il
mancato rispetto del termine perentorio di deposito fissato dall'art. 184 c.p.c., perché tale
preclusione ha effetto limitatamente al giudizio di primo grado, mirando la norma solo a
tutelare la concentrazione endoprocessuale, quindi interna a ciascun grado di giudizio (cfr.
Cass. 20 ottobre 2003 n. 15646); né nella circostanza che si tratti di documenti la cui esistenza
sia nota in primo grado e che siano stati menzionati in quella sede, sebbene non prodotti (cfr.
Cass. 22 gennaio 2004 n. 1048, secondo cui la produzione in appello prescinde dalla loro
indispensabilità ai fini della decisione della causa e dalla colpevolezza del ritardo), perché la
novità dei documenti in sede di appello va stabilita in base alla loro materiale esibizione e non
anche alla loro mera indicazione, come tale priva di rilevanza processuale (cfr. Cass. 28 marzo
2003
n.
4765).
2.2. Una diversità di indirizzi si riscontra anche sotto un distinto versante, quello cioè relativo
alla eventuale esistenza di limiti temporali alla produzione di documenti in sede di appello.
Secondo un primo orientamento la facoltà di produrre nuovi documenti, in armonia con lo
spirito della legge 26 novembre 1990 n. 353 - rivolta a concentrare le attività assertive e
probatorie nella fase iniziale del procedimento - deve essere esercitata, a pena di decadenza,
con la costituzione in giudizio ed entro il termine all'uopo fissato dagli artt. 165 e 166 c.p.c.
espressamente richiamati, anche con riferimento ai termini, dall'art. 347 dello stesso codice (cfr.
Cass.
16
aprile
2002
n.
5463
cit.;
Cass.
4
giugno
2001
n.
7510).
Un diverso indirizzo è volto, invece, a spostare il limite temporale per la produzione di
documenti al momento della rimessione della causa al collegio, con la conseguenza che questi,
solo se successivamente prodotti, non possono essere utilizzati ai fini della decisione (cfr. Cass.
10 agosto 2002 n. 12139; Cass. 3 marzo 2000 n. 3892, che precisano anche, come essendosi in
presenza di disciplina dettata nell'interesse delle parti, la sua inosservanza debba ritenersi
sanata qualora la controparte non abbia sollevato la relativa eccezione in sede di discussione
della
causa
davanti
al
collegio).
2.3. In radicale contrasto con le diverse articolazioni dell'orientamento che sottrae i documenti
al divieto di produzione in appello di <nuovi mezzi di prova> si pongono alcune decisioni che
ricomprendono anche i documenti tra i <mezzi di prova>, il cui regime viene disciplinato
dall'art. 345, comma 3, c.p.c. e che, conseguentemente, reputano legittimo l'esame, da parte del
giudice di secondo grado, di documenti nuovi solo ove ciò sia indispensabile ai fini del decidere
54
ed allorché la mancata produzione in primo grado dei documenti stessi non sia imputabile alla
parte che intenda avvalersene (cfr. Cass. 6 aprile 2001 n. 5133; Cass. 13 dicembre 2000 n.
15716 cui adde, nel medesimo ordine di idee, Cass. 11 febbraio 2003 n. 2027 e Cass. 21 luglio
2000 n. 9604 che, in tema di appello avverso le decisioni delle Commissioni tributarie di primo
grado, hanno sostenuto che l'art. 58, comma 2, del d. lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, fa salva la
facoltà delle parti di produrre in appello nuovi documenti indipendentemente dalla
impossibilità dell'interessato di esibirli in prima istanza per causa a lui non imputabile, e che
hanno altresì evidenziato come questo requisito sia richiesto dall'art. 345, comma 3, c.p.c., ma
non
dal
citato
art.
58).
2.4. Nel quadro globale dei precedenti giurisprudenziali sulla problematica in esame si inserisce
sicuramente nell'indirizzo più rigoroso - volto ad estendere i limiti all'ammissibilità dei <mezzi
di prova>, posti dal codice di rito per il giudizio d'appello, anche alla prova documentale - una
recente decisione della Sezione lavoro di questa Corte che, chiamata a pronunziarsi sull'ambito
di applicabilità alla prova documentale dell'art. 437, comma 2, c.p.c. (disposizione che è stata
costantemente vista come il precedente normativo su cui si è modellato l'art. 345, comma 3,
c.p.c.), ha escluso, sulla base di ragioni sia testuali che logico-sistematiche, la possibilità di
differenziare ai fini preclusivi <prove costituite> e <prove costituende>, da ciò facendo
scaturire - attraverso argomentazioni estensibili per il loro carattere generale oltre che al rito del
lavoro anche al processo ordinario - l'inclusione dei documenti nei <nuovi mezzi di
prova>(espressione rinvenibile sia nell'art. 345, comma 3, che nell'art. 437, comma 2), con
conseguente applicabilità anche per la produzione documentale della disciplina limitativa delle
prove in appello (cfr.Cass. 20 gennaio 2003 n. 775 nonché, sempre per l'opinione favorevole ad
equiparare ai fini delle preclusioni ogni tipologia di prova, Cass. 1 ottobre 2002 n. 14110, che ha
evidenziato come sia "fuorviante" invocare la nota ripartizione tra prove costituite e prove
costituende al fine di superare le preclusioni rigidamente indicate dall'art. 427, comma 2, c.p.c.).
3. L'impossibilità di assegnare una mobilità semantica ad una medesima formula normativa
(<nuovi mezzi di prova>) e la considerazione che la problematica attinente alla diversità di
regolamentazione tra <prove costituite> e <prove costituende> rientra nella generale dogmatica
del processo, impongono di dare una risposta in termini unitari, che prescinda cioè dalla natura
del rito, alla tematica della inclusione anche delle prove documentali nel <nuovi mezzi di
prova>, cui fanno riferimento - come è stato già evidenziato - sia l'art. 345, comma 3 (per il rito
ordinario)
che
l'art.
437,
comma
2
(per
il
rito
del
lavoro).
3.1. È generalizzata in dottrina ed in giurisprudenza la distinzione tra <prove costituite> e
<prove costituende>, per caratterizzarsi, le prime (come le prove documentali) per la loro
formazione al di fuori del processo (e, di solito, prima di esso) e per l'acquisizione nel processo
attraverso un mero atto di esibizione, e le seconde (come le prove orali: prove testimoniali,
confessione, giuramento, ecc.) per formarsi, di contro, nel processo, come risultato dell'attività
istruttoria a seguito di una istanza di parte e di successivo provvedimento di ammissione del
giudice.
3.2. Orbene, la diversa regolamentazione tra prove costituite e prove costituende concretizzantesi nel riconoscimento di spazi più ampi (anche se indicati, nel variegato
panorama dottrinario e giurisprudenziale, in termini non sempre coincidenti) di ingresso nel
processo per le prime - viene fondata sostanzialmente su un duplice ordine di argomenti.
Il primo di carattere letterale fa leva sulla distinta menzione di <mezzi di prova> (art. 345,
comma 3, per il rito ordinario; art. 420, comma 5 e 7, art. 421, comma 2, art. 437, comma 2, per
il rito del lavoro), identificati con le prove costituende, e del termine <documenti> (art. 163 n. 5,
art. 167, comma 1, art. 184 per il rito ordinario; art. 414 n. 5, 416, comma 2, per il rito del
lavoro),
da
identificarsi,
invece,
con
le
prove
costituite.
Il secondo di carattere logico-sistematico viene ravvisato nella diversa ricaduta delle due
differenti categorie di prove sulla durata del processo, per non necessitare le prove precostituite
di nessuna attività istruttoria capace di ritardare l'esito della controversia.
3.3. Le argomentazioni suddette, evocate ripetutamente in numerosi pronunziati (cfr. tra le
tante: Cass. 12 luglio 2002 n. 10179; Cass. 20 novembre 2000 n. 15197; Cass. 29 marzo 1993 n.
1359; Cass., Sez. Un., 6 settembre 1990 n. 9199, cui adde, in epoca più risalente, Cass. 25
maggio 1978 n. 2654; Cass. 29 giugno 1997 n. 2835; Cass. 16 ottobre 1976 n. 3503), sono state
sottoposte di recente a revisione, oltre che dai ricordati pronunziati, anche dalla dottrina che,
con voce quasi unanime, ha ritenuto che la produzione documentale vive delle stesse preclusioni
previste per le prove costituende, con considerazioni che questa Corte ritiene di condividere.
55
3.4. La sottolineatura operata da più parti della distinzione codicistica tra <mezzi di prova> (i
soli che sarebbero ammessi al vaglio dell'ammissibilità), e <documenti> (che sarebbero invece,
assoggettabili unicamente al giudizio di rilevanza), per inferirne in via argomentativa una
diversa incidenza delle preclusioni - scaturenti dall'imposizione di termini perentori o
decadenziali - sull'indagine istruttoria (con conseguente sottrazione della produzione
documentale al dictum dell'art. 345, comma 3, e 437, comma 2), oltre a non tenere conto che,
non certo di rado, lo stesso legislatore codicistico parla di <mezzi di prova> e di
<ammissione>degli stessi anche con riferimento alla produzione documentale (cfr. art. 698
c.p.c. sull'assunzione delle prove preventive; art. 495, comma 3, c.p.p. che, regolando i
provvedimenti del giudice in ordine alla prova, statuisce espressamente: "Prima che il giudice
provveda sulla domanda, le parti hanno facoltà di esaminare i documenti di cui è chiesta
l'ammissione") non assegna, per di più il dovuto valore all'opinione di chi, autorevolmente
nell'ambito della dottrina processualistica, ha rimarcato come anche la prova documentale sia
un <mezzo di prova>, perché tutte le prove sono <mezzi>, cioè strumenti per asseverare quanto
assunto dalle parti nei loro atti difensivi, perché in senso tecnico l'espressione <mezzi di prova>
sta, appunto, ad indicare <le persone o le cose da cui si vogliono trarre elementi di conoscenza
utili
alla
ricerca
della
verità>.
Ed in una medesima ottica si è affermato che i documenti configurano una specie, sia pure
particolare, del genus <mezzi di prova>, evocandosi a sostegno di tale assunto il disposto
dell'art. 163 n. 5, sopravvissuto alle novelle del 1950 e del 1990, che (con formula analoga a
quella degli artt. 414 n. 5 e 416, comma 3) prevede che l'atto di citazione debba contenere
<l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e in particolare dei
documenti che offre in comunicazione>, sicché è lecito concludere che il legislatore abbia
adottato una nozione di <mezzi di prova> comprensiva dei documenti, i quali ne costituiscono,
appunto,
una
species
("in
particolare").
Il dato letterale, cui è stato attribuito una pregnante portata contenutistica, viene così a trovare
la sua ratio in ragioni che tale portata non giustificano per risalire unicamente al distacco
temporale tra il momento della produzione di documenti e quello della loro ammissione, come è
significativamente attestato dall'art. 87 disp. att. c.p.c. che, per i documenti offerti in
comunicazione dalle parti (dopo la loro costituzione), dispone il deposito in cancelleria con la
comunicazione del relativo elenco alle altre parti ex art. 170, ult. comma, c.p.c., non certo per
escludere un giudizio sulla loro ammissibilità, la cui richiesta è implicita nella stessa
produzione, ma per consentire che anche su di essa venga assicurato un effettivo
contraddittorio.
Merita, dunque, piena adesione l'assunto secondo cui la distinta menzione dei <documenti>
(oggetto di produzione) e <mezzi di prova> (oggetto di richiesta di ammissione) (cfr. artt. 184 e
345, questo nel testo anteriore alla legge 14 luglio 1950 n. 581) ed il parallelismo con cui questi
strumenti vengono disciplinati (parallelismo presente anche nell'art. 416, comma 3) sono di
fatto determinati <dal particolare meccanismo che la richiesta di prova per documenti
comporta: la produzione dell'atto, come fatto che materialmente precede, e necessariamente
implica e formalmente esprime, questa richiesta> (così: Cass. 20 gennaio 2003 n. 775 cit.).
3.5. Né per andare in contrario avviso, al fine di legittimare un diverso genere di impatto delle
preclusioni sulla prova documentale, vale richiamarsi alle esigenze di particolare celerità e di
concentrazione (che con il nuovo rito il legislatore del 1990 ha voluto soddisfare) per poi
dedurne che dette esigenze non sarebbero messe in pericolo dalla produzione ed acquisizione di
nuovi
documenti
in
quanto
prove
già
costituite.
È opinione generale che la produzione di nuovi documenti, pur non richiedendo un
procedimento di "assunzione" della prova, può determinare un prolungamento delle attività
processuali. Ed invero, al di là del fatto che la produzione di un atto pubblico o di una scrittura
privata può determinare giudizi di per sé lunghi e complessi a seguito dei procedimenti di
querela per falso o di istanza di verificazione, il richiamo alle esigenze di celerità sembra
concretizzare soprattutto un intento meramente evocativo perché, come è stato autorevolmente
notato, ogni volta che consenta ad una parte una acquisizione nel processo di una nuova
produzione documentale il giudice non può - nel rispetto del diritto di difesa e del principio del
contraddittorio - negare alla controparte la possibilità di dedurre mezzi di prova resi necessari
in relazione ai documenti prodotti, pur se comportanti l'espletamento di una attività istruttoria
incompatibile con quelle esigenze di celerità e concentrazione del processo, che invece si
vorrebbe
non
essere
intaccati
dalla
tardiva
produzione.
56
4. Corollario di quanto sinora detto è che per qualsiasi delle diverse tipologie di mezzi di prova
deve considerarsi unico l'approccio interpretativo del dato normativo, che non può non
condurre per quanto attiene alla individuazione dei limiti di ammissibilità della produzione
documentale - e delle preclusioni che detta produzione incontra sia in primo grado che in sede
di gravame - agli stessi approdi di quelli propri di ogni altra prova costituita o costituenda.
5. La considerazione che l'opera ermeneutica in materia processuale tenga conto non solo
dell'intento sotteso alla singola norma ma anche all'assetto ordinamentale entro il quale la
singola norma si colloca, sollecita alcune preliminari riflessioni, sicuramente utili in una materia
irta di difficoltà, come attestano i permanenti dubbi che in dottrina ed in giurisprudenza
continuano a manifestarsi in relazione a non pochi profili del regime decadenziale delineato
dagli artt. 184 e 345, comma 3, c.p.c., ed anche con riferimento alla rigida scansione delle
preclusioni istruttorie ed alle barriere che, sia in primo grado che in grado di appello, incontrano
le
istanze
istruttorie
delle
parti.
5.1. In primo luogo va evidenziato come - pur non potendosi di certo attraverso il sistema delle
preclusioni ledere il diritto di difesa delle parti e vanificare la ricerca della verità materiale - la
garanzia della <ragionevole durata del processo>(riconosciuta come diritto dall'art. 6 della
Convenzione europea, ed ora espressamente sancita dall'art. 111, comma 2, Cost.) debba
fungere da parametro di costituzionalità delle norme processuali per essere oggetto <oltre che di
un interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno di
quello di un giudizio equo ed imparziale> (così da ultimo Corte Cost. 21 marzo 2002 n. 78), con
la conseguenza che l'opera ermeneutica del dato normativo deve accompagnarsi - come è stato
sovente osservato da quanti si sono confrontati con le problematiche in esame - alla
consapevolezza che i termini acceleratori e le preclusioni, volte ad impedire l'ingresso nel
processo di un fatto e/o di una prova, sono funzionalizzati proprio a tutelare il suddetto
principio della <ragionevole durata> e quello, ad esso correlato, dell'<economicità> del
giudizio.
5.2. Va, inoltre, messo in luce che la strumentalità del processo rispetto alle posizioni
sostanziali, che nel processo stesso devono trovare guarentigia, consiglia una flessibilità delle
regole processuali, che della peculiarità di tali posizioni tenga conto e spiega, altresì, perché si
stiano accreditando a livello normativo sistemi di tutela (processuale) differenziata, correlati
alla specifica natura dei diritti e degli interessi coinvolti nel giudizio, con la conseguenza che
accanto al giudizio c.d. ordinario si sono venuti formando ordinamenti processuali - come
quello regolato dalla legge 11 agosto 1973 n. 533 (in materia di controversie del lavoro) nonché
quello disegnato dal d. lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 (in materia di controversie tributarie) ed
ancora quello ora regolato dal d. lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 (in materia di controversie di diritto
societario) - che, seppure con qualche approssimazione, possono qualificarsi <settoriali> e che
presentano tratti distintivi - rispetto al processo ordinario ed anche tra loro - per la diversa
individuazione del punto di equilibrio tra le esigenze di celerità e quelle di accertamento della
verità materiale. Rilievo questo che - confortato dalla giurisprudenza costante della Corte
Costituzionale, secondo cui non sussiste un principio in base al quale differenti tipologie del
processo debbano avere una regolamentazione uniforme anche con riferimento ai limiti di
ammissibilità dei mezzi istruttori (cfr. Corte Cost. 28 luglio 2000 n. 401, ord.; Corte Cost. 31
maggio 2000 n. 165, ord.) - induce al rifiuto di tutte quelle opinioni che, sottovalutando la
specialità del rito del lavoro, hanno esteso, seppure con diverse accentuazioni, al giudizio a
cognizione ordinaria le conclusioni cui nel suddetto rito speciale si è pervenuti sulla
determinazione temporale degli sbarramenti all'ammissibilità delle prove, con una sostanziale
omologazione della disciplina dettata dall'art. 345, comma 3, a quella fissata dall'art. 437,
comma
2.
6. Al fine di trovare un punto di equilibrio tra esigenze di efficienza del processo ed il diritto di
difesa delle parti in relazione al giudizio di cognizione ordinaria, il legislatore ha disciplinato le
modalità di produzione dei documenti e la proposizione dei mezzi di prova, inserendo la fase
delle deduzioni e richieste istruttorie (art. 184 c.p.c.) tra la fase di trattazione (fissazione del
thema decidendum) e quella di assunzione delle prove costituende (fase istruttoria in senso
stretto); ed ha poi fissato il momento in cui scatta per le parti la preclusione in tema di istanze
istruttorie, facendola decorrere dall'ordinanza di ammissione delle prove, nel caso in cui non sia
stato chiesto il termine ex art. 184, ovvero, quando tale termine sia stato concesso, dallo spirare
del termine in questione, per le richieste di nuovi mezzi di prova e la produzione dei documenti,
e dallo spirare del secondo termine per l'indicazione della (eventuale) prova contraria (art. 184,
57
comma 1 e 2, del codice di rito sostituito, con decorrenza dal 30 aprile 1995, dall'art. 18 della
legge
26
novembre
1990
n.
353).
6.1. Il superamento della barriera preclusiva di cui al già citato art. 184 importa, poi, la
decadenza dal potere di esibire documenti, salvo che la loro produzione sia giustificata dallo
sviluppo assunto dal processo o che la formazione sia successiva allo spirare dei suddetti
termini.
Al di fuori di tali casi, il mancato rispetto dei termini stabiliti per le nuove deduzioni probatorie
porta - per il carattere perentorio di essi - ad effetti che devono ritenersi di regola irreversibili,
perché removibili solo attraverso lo strumento della remissione in termini. Il che porta ad
affermare che - escluse le ipotesi in cui la parte sia incorsa nella sanzione della decadenza ma
sia stata poi rimessa in termini ai sensi dell'art. 184 bis - non è consentita una lettura elastica
delle avvenute preclusioni, legittimante <movimenti a ritroso> del giudizio di primo grado,
capaci di vanificare la riforma della novella n. 353 del 1990, la cui essenza va individuata nella
prefissata scansione logico-temporale del procedimento ai fine di pervenire con celerità ad una
decisione capace, pur nella sua non definitiva esecutività, di apprestare una efficace tutela ai
diritti
lesi.
7. Le argomentazioni sinora svolte forniscono le coordinate per una lettura dell'art. 345, comma
3, che, nel rigido rispetto del dato normativo, tenga conto - al fine di evitare discrasie ed
antinomie ordinamentali - che la legge n. 353 del 1990, sovvertendo la precedente disciplina
della novella del 1950, ha aggiunto al preesistente divieto di domande nuove anche quello di
nuove eccezioni e nuovi mezzi istruttori sicché, come è stato da tutti riconosciuto, il pervenire
alla pressoché totale abolizione dello ius novorum ha fatto assumere all'appello il carattere
della revisio prioris istantiae, per essere stati eliminati quegli elementi spuri che permettevano la
configurazione del giudizio di gravame come una prosecuzione ed un completamento di quello
di
primo
grado.
7.1. In linea con quanto ora detto l'art. 345, comma 3, va letto nel senso che tale disposizione
fissa sul piano generale il principio dell'inammissibilità dei <nuovi mezzi di prova> (cioè di quei
mezzi di prova la cui ammissione non è stata in precedenza richiesta), e quindi anche delle
produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti (e, quindi, le deroghe) a questa
regola, con il porre in via alternativa (e non concorrente) i requisiti che detti <nuovi mezzi di
prova> devono presentare per potere trovare ingresso in sede di gravame.
Più specificamente l'incipit della disposizione in esame ("Non sono ammessi nuovi mezzi di
prova, salvo...") delinea, alla stregua del dettato dell'art. 12 delle preleggi, la natura
sostanzialmente <chiusa> del giudizio d'appello. In tale direzione, il rispetto del chiaro dato
normativo, che ne impone - rendendone nello stesso tempo agevole - l'interpretazione letterale,
induce questa Corte ad affermare che il giudice, oltre a quelle prove che le parti dimostrino di
non avere potuto proporre prima per causa ad esse non imputabili, è abilitato ad ammettere,
nonostante le già verificatesi preclusioni, solo quelle prove che ritenga - nel quadro delle
risultanze istruttorie già acquisite - <indispensabili>, perché suscettibili di una influenza causale
più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come <rilevanti> (cfr. art. 184, comma 1; art.
420, comma 5), hanno sulla decisione finale della controversia; prove che, proprio perché
<indispensabili>, sono capaci, in altri termini, di determinare un positivo accertamento dei fatti
di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui
è
pervenuto
il
giudice
di
primo
grado.
È stato, al riguardo, osservato in dottrina che la particolare complessità delle controversie
ordinarie, rispetto a quelle proprie del lavoro, renderebbe particolarmente pesanti le preclusioni
istruttorie, previste per il giudizio di primo grado dal nuovo testo dell'art. 184 c.p.c., ove non si
consentisse l'ammissione in appello almeno dei mezzi di prova indispensabili, senza che la
parte debba dimostrare anche l'impossibilità ad essa non imputabile di una loro anteriore
produzione.
A conforto di tale opinione che patrocina l'ammissione in appello di nuovi mezzi di prove, e
quindi anche di documenti sempre che siano <nuovi> ed <indispensabili> - e nell'ambito della
quale opinione qualche studioso ha ravvisato nel disposto dell'art. 345, comma 3, una forma
alternativa ed impropria di restituzione in termini - va aggiunto che risponde a razionalità che le
esigenze di speditezza, cui è improntato il rito ordinario dopo la novella del 1990, possano
subire in sede di gravame, pure cioè in uno stato avanzato dell'intero iter processuale, un
parziale ridimensionamento proprio perché si è in presenza di prove che, per il loro spessore
contenutistico, sono idonee a fornire un contributo decisivo all'accertamento della verità
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materiale, restando di contro salva in tutti i restanti casi l'ultrattività delle preclusioni già
verificatesi
in
primo
grado.
7. Ragioni di ordine testuale, non disgiunte da doverose opzioni ermeneutiche volte a favorire un
ordinato e cadenzato svolgimento delle attività processuali, anche esso funzionale al
perseguimento di una <ragionevole durata del processo>, portano a condividere l'indirizzo di
questa Corte secondo cui - conformemente al disposto degli artt. 163 e 166, richiamati dagli
artt. 342, comma 1, e 347, comma 1 - nel rito ordinario la produzione dei documenti deve essere
effettuata dalle parti, a pena di decadenza, mediante la specifica indicazione dei documenti
stessi nei rispetti atti introduttivi del giudizio (cfr. Cass. 2 aprile 2004 n. 6528 cit.; Cass. 16
aprile 2002 n. 5463 cit.; Cass. 4 giugno 2001 n. 7510 cit.), sempre che ovviamente la formazione
dei documenti da esibire non sia successiva e sempre che la produzione degli stessi non sia
stata
resa
necessaria
in
ragione
dello
sviluppo
assunto
dal
processo.
Come è stato sul punto osservato, le parti devono indicare negli atti introduttivi dell'appello i
documenti che intendono produrre, perché alla prima udienza di trattazione il collegio, a norma
dell'art. 352 c.p.c., deve provvedere all'ammissione delle prove eventualmente dedotte o invitare
le parti a precisare le conclusioni. Il che dimostra che in questa fase i termini della controversia
devono
essere
in
ogni
caso
già
delineati.
Sotto altro versante, a sostegno della rigorosità dell'indirizzo in esame, è stato evidenziato come
non a caso il codice di rito non richiami, nella disciplina del giudizio d'appello, la disposizione
dell'art. 184 sulla facoltà del giudice di primo grado di concedere un ulteriore termine (dopo la
costituzione delle parti) per la produzione dei documenti, atteso che l'esigenza di concentrare le
attività assertive e probatorie nella fase iniziale del procedimento (secondo lo spirito della
riforma del 1990) si accentua in sede di impugnazione (cfr. Cass. 2 aprile 2004 n. 6528 cit.).
7.4. Da ultimo, esigenze di maggiore completezza motivazionale impongono di sottolineare
come a differenza di quanto si riscontra nel rito del lavoro, nel quale l'ammissione ad opera del
giudice di nuovi mezzi di prova, per essere espressione del suo potere d'ufficio, non è
condizionata da una espressa richiesta in tali sensi (cfr. art. 437, comma 2, "...Non sono
ammessi nuovi mezzi di prova... salvo che il collegio, anche d'ufficio, li ritenga
indispensabili...."), nel rito ordinario, invece, riscontrandosi un ruolo del giudice meno
accentuato ed incisivo nella direzione e nell'impulso del processo, l'ammissione dei <nuovi
mezzi di prova> e, quindi, anche della prova documentale, non può prescindere da una
espressa
domanda
delle
parti.
Peraltro, se si voglia attribuire una ragionevolezza al sistema e se si intenda, nello stesso tempo,
conferire al disposto dell'art. 345, comma 3, una qualche operatività, non può che concludersi
con l'affermare che il giudice d'appello, lungi dall'essere portatore di un potere discrezionale ai
limiti dell'arbitrarietà e, comunque, insuscettibile di controllo, diviene titolare di un potere del
cui esercizio deve dare conto con un provvedimento motivato, così come è tenuto a fare nel rito
del lavoro il giudice che esercita i poteri d'ufficio ex art. 437, comma 2 (cfr. al riguardo Cass.,
Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353 cit., secondo cui l'esercizio del potere officioso del giudice,
quand'anche si ritenesse avere carattere discrezionale, non può mai esercitarsi in modo
arbitrario sicché il giudice, a sensi degli art. 134 c.p.c. e 111 Cost. sul giusto processo, è tenuto
ad esplicitare le ragioni per le quali ritiene di fare ricorso ai poteri istruttori o, invece, di
disattendere una specifica richiesta in tal senso). Tale provvedimento è censurabile davanti ai
giudici di legittimità alla stregua dell'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., sempre che le parti negli spazi di
disponibilità ad esse lasciati non abbiano con la loro condotta mostrato di accettare il
contraddittorio
nei
limiti
segnati
dall'intervento
del
giudice.
8. Alla stregua dei principi sinora enunciati in relazione alle preclusioni che, nel giudizio
d'appello, incontra la produzione dei documenti, il secondo motivo di ricorso, avente sugli altri
antecedenza logica, va rigettato perché, come risulta dagli stessi atti difensivi delle parti, il
Ministero non ha rispettato il termine perentorio fissato dal giudice di primo grado ex art. 184
per
le
istanze
istruttorie.
8.1. Né assume rilevanza, per andare in contrario avviso, la circostanza che il Ministero ha in
ricorso sostenuto di avere in appello prodotto documentazione volta a dimostrare la
fondatezza del suo assunto e della quale lamenta il mancato esame da parte della Corte
d'appello
di
Roma.
Ed invero, anche a volere prescindere dalla pure assorbente considerazione che nel ricorso per
cassazione non sono stati precisati - contro il principio dell'autosufficienza del ricorso stesso né il contenuto dei documenti in oggetto né le modalità temporali della produzione, va
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osservato che la Corte territoriale, dopo averne riconosciuto la tardività, ha poi aggiunto - con
considerazioni non assoggettate ad alcuna specifica doglianza - che i suddetti documenti,
ritirati con il fascicolo di parte, <non provavano l'entità ed il protrarsi delle prestazioni>.
8.2. Giudizio questo che nella fattispecie in esame ha comportato una risposta implicitamente
negativa sull'esistenza del requisito dell'<indispensabilità> dei documenti, e che per la sua
formulazione va sempre devoluto al giudice del gravame in quanto comportante una
valutazione che - come è stato già precisato - non può prescindere da un esame dello specifico e
globale quadro probatorio già acquisito, e che se assistita da una motivazione congrua e corretta
sul piano logico-giuridico, non è suscettibile di alcuna censura in sede di legittimità.
8.3. Quanto ora detto porta all'assorbimento del primo motivo del ricorso perché la già
evidenziata tardività della produzione documentale disvela la carenza di interesse alla
ammissione della richiesta di ricostruzione del fascicolo di parte avanzata dal Ministero.
8.4. Risulta privo di fondamento giuridico anche il terzo ed ultimo motivo di ricorso, con il quale
il Ministero adduce che, anche a non volere considerare il contenuto di documenti reputati
tardivi, la Corte d'appello di Roma avrebbe dovuto ugualmente, sulla base delle ulteriori
risultanze
istruttorie,
ritenere
fondata
la
sua
domanda.
È sufficiente osservare però in contrario che - a fronte di una motivazione del giudice d'appello,
che ha chiaramente, seppure in maniera succinta, esposto la ragioni che lo hanno portato a
confermare la decisione di primo grado - il Ministero ricorrente non ha evidenziato nella
impugnata sentenza carenze sul piano giuridico o motivazionale tali da consentirne
l'annullamento.
9. Ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di
cassazione.
P.Q.M
la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio di cassazione.
Così
deciso
in
Roma
il
3
marzo
2005.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 20 APR. 2005
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Cass., sez. III, 21-10-2008, n. 25556 La SC ha ritenuto che la