Cass., sez. III, 21-10-2008, n. 25556 La S.C. ha ritenuto che la querela di falso relativa ad un documento già prodotto nel corso del primo grado di giudizio può essere proposta, in via incidentale, nel giudizio di appello anche all’udienza collegiale, pure dopo l’entrata in vigore della legge n. 353 del 1990, in quanto la riforma non ha riguardato né l’art. 221, primo comma, né l’art. 335 cod. proc. civ. I giudici di legittimità hanno, altresì, affermato che la querela di falso può essere proposta anche se il detto documento non sia stato tempestivamente disconosciuto a norma dell’art. 214 cod. proc. civ.. T. Treviso, 16-11-2007 Foro it., 2008, I, 634, n. FABIANI M. Fallimento, 2008, 585, n. GIORGETTI Nel procedimento di opposizione allo stato passivo quale modificato dal d.leg. 5/06 (e prima del d.leg. 169/07) non è consentita la produzione di nuovi documenti che avrebbero dovuto essere prodotti, a pena di decadenza, almeno quindici giorni prima dell’udienza per l’accertamento dello stato passivo davanti al giudice delegato. Cass., sez. lav., 25-09-2007, n. 19710 Mass. giur. lav., 2008, 87, n. VINCIGUERRA Giust. civ., 2007, I, 2694 Nella interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali prevista dagli art. 360 n. 3 e 420 bis c.p.c. la cassazione fornisce la propria interpretazione del testo contrattuale, decidendo sul necessario quesito di diritto e senza possibilità di qualsiasi istruttoria, neppure documentale, rispetto a quella svolta dal giudice di merito. Cass., sez. I, 11-09-2007, n. 19092 Giurisdiz. amm., 2007, III, 803 Soltanto i verbali di accertamento redatti dai pubblici ufficiali fanno piena prova, fino a querela di falso, peraltro limitatamente alla provenienza dei medesimi da chi li ha redatti ed ai fatti attestati come avvenuti in presenza dell’autore del verbale o conosciuti dal medesimo in base alle dichiarazioni raccolte o all’esame di determinati documenti, ma non anche con riguardo ad ogni altra circostanza che il verbalizzante segnali o che dichiari di avere appreso aliunde e, conseguentemente, alle opinioni personali espresse circa il fondamento giuridico di una richiesta e dei suoi fatti costitutivi. Cass., sez. I, 11-09-2007, n. 19038 Giur. it., 2008, 595 Per il principio di autosufficienza è necessario che la censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla omessa valutazione di prove documentali sia corredata della trascrizione del testo integrale o della parte significativa del documento al fine di consentirne il vaglio di decisività, nonché della specificazione degli argomenti, deduzioni o istanze che in relazione alla pretesa fatta valere siano state formulate in sede di merito sulla base del documento stesso. Cass., sez. II, 11-06-2007, n. 13625 Riv. not., 2008, 445, n. PASTORE Ai sensi dell’art. 2720 c.c., l’efficacia probatoria dell’atto ricognitivo, avente natura confessoria, si esplica, nei casi espressamente previsti dalla legge, soltanto in ordine ai fatti produttivi di situazioni o rapporti giuridici sfavorevoli al dichiarante; ne consegue che a tale atto non può riconoscersi valore di prova circa l’esistenza del diritto di proprietà o (al di fuori dei casi previsti) di altri diritti reali (nella specie, è stato escluso che potesse avere valore confessorio la scrittura con cui il coerede aveva riconosciuto in favore degli attori il diritto di proprietà sui beni caduti in successione). C. Stato, sez. VI, 04-06-2007, n. 2951 Foro it., 2008, III, 240, n. SIGISMONDI Al giudizio amministrativo in grado d’appello è applicabile l’art. 345, 3º comma, c.p.c.; di conseguenza, è inammissibile la produzione di nuove prove e di nuovi documenti, salvo quelle ritenute indispensabili dal collegio o che la parte dimostri di non aver potuto proporre in primo grado per causa a sé non imputabile. È indispensabile, e pertanto ammissibile per la prima volta in appello, la prova il cui esito possa denotare l’ingiustizia della prima sentenza e condurre a rovesciarne le statuizioni (fattispecie relativa ad un documento attestante la tardività del ricorso di primo grado). L’ammissibilità in appello di un’eccezione comporta anche la possibilità di allegare e di provare i fatti ad essa sottostanti; di conseguenza, poiché nel processo amministrativo l’eccezione di tardività del ricorso di primo grado è rilevabile d’ufficio e proponibile per la prima volta in appello ai sensi dell’art. 345, 2º comma, c.p.c., è ammissibile per la prima volta in appello il documento che attesti tale tardività. Cass., sez. III, 17-05-2007, n. 11460 Giust. civ., 2007, I, 2102 (vedi, in fondo, sentenza per esteso) La fattispecie del riconoscimento tacito della scrittura privata, secondo il modello previsto dall’art. 215 c.p.c., opera esclusivamente nel processo in cui essa viene a realizzarsi, esaurendo i suoi effetti nell’ammissione della scrittura come mezzo di prova, con la conseguenza che la parte interessata, qualora il documento sia prodotto in altro giudizio per farne derivare effetti diversi, può legittimamente disconoscerlo, non operando al riguardo alcuna preclusione, 2 diversamente dall’ipotesi in cui - per quanto evincibile anche dal disposto di cui all’art. 217, 2º comma, c.p.c. - si sia provveduto all’accertamento specifico con valore di giudicato dell’autenticità della scrittura privata prodotta in precedente giudizio, che può, però, configurarsi solo attraverso il riconoscimento espresso della scrittura medesima ovvero mediante il giudizio di verificazione dell’autenticità della scrittura che sia stata ritualmente disconosciuta. Cass., sez. lav., 08-05-2007, n. 10430 Notiziario giurisprudenza lav., 2007, 376 Riv. critica dir. lav., 2007, 875 (vedi, in fondo, sentenza per esteso) Il disconoscimento delle riproduzioni meccaniche che fa perdere alle stesse la qualità di prova che va distinto dal «mancato riconoscimento», diretto o indiretto, che non esclude che il giudice possa liberamente apprezzare le riproduzioni legittimamente acquisite - deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendo concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (nella specie la suprema corte ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso che potesse avere valore di disconoscimento di una cassetta audiofonica - della quale era stata disposta la trascrizione a mezzo ctu e dalle cui risultanze il giudice del merito aveva tratto elementi presuntivi di valutazione - la generica contestazione della controparte, che non aveva riguardato il fatto della registrazione, ma le sue risultanze). Cass., sez. II, 26-04-2007, n. 9950 Foro it., 2007, I, 2721 Arch. circolaz., 2007, 1032 Ai fini dell’applicazione di sanzioni amministrative per eccesso di velocità, è legittima la misurazione effettuata mediante apparecchio telelaser omologato, in quanto l’attestazione dell’organo accertatore circa la velocità del veicolo rilevata dal telelaser fa fede fino a querela di falso. Cass., sez. un., 26-03-2007, n. 7246 Corriere giur., 2007, 1076, n. CARRATO Dir. e giur., 2007, 315, n. RUSSO Giust. civ., 2007, I, 1075 Giust. civ., 2007, I, 1863 (m), n. LOFFREDO Vita not., 2007, 710 Riv. not., 2007, 1198, n. PEDRON Nuova giur. civ., 2007, I, 1189, n. ARLOTTA Guida al dir., 2007, fasc. 17, 54, n. SACCHETTINI 3 Giur. it., 2007, 2441 Corriere merito, 2007, 881 (m), n. TRAVAGLINO (vedi, in fondo, sentenza per esteso) La pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto, soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall’art. 2722 c.c., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto. T. Milano, 19-03-2007 Corriere giur., 2007, 1437, n. ROMANO Il mancato deposito in cancelleria della prima memoria di replica dell’attore, regolarmente notificata al convenuto, non importa conseguenza alcuna in danno della parte inadempiente; alla mancanza può supplire il giudice, fissando all’attore - nella specie, con il decreto di fissazione dell’udienza - un termine per provvedere all’incombente (principio affermato con riguardo all’omesso deposito di memoria ex art. 6 d.leg. n. 5/2003, non accompagnata da allegazioni documentali). Cass., sez. I, 28-02-2007, n. 4728 Giust. civ., 2008, I, 203 La parte nei cui confronti venga prodotta una scrittura privata può optare tra la facoltà di disconoscerla e la possibilità di proporre querela di falso, essendo diversi gli effetti legati ai due mezzi di tutela: la rimozione del valore del documento limitatamente alla controparte o erga omnes; nell’ambito di uno stesso processo, qualora sia già stato utilizzato il disconoscimento, cui sia seguita la verificazione, la querela di falso è inammissibile se proposta al solo scopo di neutralizzare il risultato della verificata autenticità della sottoscrizione, mentre è ammissibile se finalizzata a contestare la verità del contenuto del documento (nella specie, era stata proposta querela di falso in relazione alla apocrifia delle firme di atti di fideiussione già oggetto di verificazione). Cass., sez. II, 28-02-2007, n. 4777 Vita not., 2007, 1294 L’efficacia probatoria del testamento pubblico di persona cieca ed assai debole d’udito, redatto non alla presenza di quattro testimoni - come prescritto dall’art. 603 c.c. - e recante l’attestazione del notaio che il testatore, pur essendo cieco, era comunque in grado di udire seppure con il supporto di apposito apparecchio acustico - può essere rimossa solamente con la proposizione della querela di falso ex art. 2700 c.c. Cass., sez. I, 31-01-2007, n. 2093 Foro it., 2008, I, 1621 4 Al terzo che interviene volontariamente nel giudizio oltre la prima udienza di trattazione è preclusa la possibilità di compiere atti, quali la produzione di documenti attinenti al merito della causa, non più consentiti alle altre parti, mentre tale preclusione non opera per l’attività assertiva. T. Parma, 25-01-2007 Fallimento & crisi impresa, 2008, 43, n. SCOTTI Al fine di stabilire l’anteriorità di una scrittura privata non autenticata rispetto alla dichiarazione di insolvenza, non è sufficiente l’apposizione del timbro postale. Cass., sez. trib., 18-12-2006, n. 27077 Fisco 1, 2007, 580 L’impedimento che in base all’art. 2704 c.c. consente di attribuire data certa ad una scrittura privata deve concretarsi in una vera e propria impossibilità (e non in una mera difficoltà), non ravvisabile in caso di permanenza di una minima residuale capacità a sottoscrivere, ancorché difficoltosa, quale quella restante dopo essere stati colpiti da una emiparesi (applicazione in tema di esclusione dall’asse ereditario di beni venduti dal de cuius oltre sei mesi prima della morte ex art. 9 d.p.r. n. 637/1972). T. Venezia, 12-12-2006 Corriere giur., 2008, 72, n. PARISI, TRINCHI Il procedimento ex art. 19 d.leg. n. 5/2003, si presta a una piena valutazione delle prove costituite e può, quindi, proseguire, senza cambiamento di rito, allorché, fatta istanza di verificazione, questa venga rigettata perché ritenuta ininfluente ai fini del giudizio e perché, in ogni caso, non seguìta dalla produzione in originale del documento. T. Milano, 12-12-2006 Giur. it., 2007, 2276, n. USUELLI, In materia di decreto ingiuntivo, ai sensi del nuovo disposto dell’art. 642, 2º comma, c.p.c., la documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto di credito fatto valere e che, senza limitare la discrezionalità del giudice, può consentire la provvisoria esecuzione dell’ingiunzione, deve avere una valenza probatoria che dia maggior certezza della esistenza del credito stesso e renda probabile l’assenza di contestazioni. Cass., sez. I, 06-12-2006, n. 26149 Giust. civ., 2007, I, 1136 La proponibilità della querela di falso in via incidentale presuppone la rilevanza del documento della cui autenticità si controverte; ciò non esclude che - accertata, all’esito del giudizio incidentale, la falsità di un documento - il giudice possa accogliere la domanda della parte, che 5 si è avvalsa del medesimo, sulla base delle complessive risultanze processuali e senza attribuire valore di prova legale al documento dichiarato falso. Cass., sez. I, 22-11-2006, n. 24856 Foro it., 2007, I, 2838 Nel giudizio di cassazione, la querela di falso è proponibile limitatamente ad atti del relativo procedimento, come il ricorso o il controricorso, ovvero a documenti producibili ai sensi dell’art. 372 c.p.c., mentre non può riguardare atti e documenti che il giudice di merito abbia posto a fondamento della sentenza impugnata, in quanto la loro eventuale falsità, se definitivamente accertata nella sede competente, può essere fatta valere come motivo di revocazione; pertanto, detta querela può riguardare anche la nullità della sentenza impugnata, con riferimento ai soli vizi della sentenza stessa per mancanza dei suoi requisiti essenziali, di sostanza o di forma, e non anche ove essa sia originata, in via mediata e riflessa, da vizi del procedimento, ovvero dalla eventuale falsità dei documenti posti a base della decisione del giudice di merito. Cass., sez. lav., 09-11-2006, n. 23882 Giust. civ., 2007, I, 388 Ai sensi dell’art. 2705 c.c., ai fini della efficacia del telegramma è sufficiente che l’originale sia consegnato o fatto consegnare dal mittente, anche senza che questi lo sottoscriva, sicché l’utilizzazione del servizio telefonico, prevista dal codice postale, consente al mittente, autore della comunicazione, di ottenere, sia pure con la collaborazione di terzi, il recapito del proprio messaggio all’ufficio telegrafico; tuttavia, ove sorga contestazione circa la riferibilità del telegramma al mittente, questi ha la facoltà e l’onere di provare, con ogni mezzo di prova, che l’affidamento all’ufficio incaricato di trasmetterlo è avvenuto a sua opera o su sua iniziativa. Nel rito del lavoro, il rigoroso sistema delle preclusioni che regola in egual modo sia l’ammissione delle prove costituite che di quelle costituende trova un contemperamento ispirato alla esigenza della ricerca della «verità materiale», cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento - nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del cit. art. 437, 2º comma, c.p.c., ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, poteri, peraltro, da esercitare pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse (nella specie, in applicazione del principio soprariportato, la suprema corte ha ritenuto legittimo l’operato del giudice d’appello, che aveva acquisito agli atti la documentazione degli uffici postali necessaria al fine di accertare la veridicità delle deduzioni del lavoratore circa la tempestività dell’impugnativa del licenziamento, in replica all’eccepita decadenza per intempestività dell’atto di impugnazione). Cass., sez. I, 08-11-2006, n. 23793 6 Giust. civ., 2007, I, 1387 L’art. 2704 c.c. non contiene una elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di una scrittura privata non autentica deve ritenersi certa rispetto ai terzi, e lascia al giudice di merito la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto, diverso dalla registrazione, idoneo, secondo l’allegazione della parte, a dimostrare la data certa; tale fatto può essere oggetto di prova per testi o per presunzioni, la quale non è ammessa solo se direttamente vertente sulla data della scrittura (nella fattispecie, relativa ad insinuazione al passivo fallimentare di credito da fideiussione, la suprema corte ha pertanto cassato, per vizio di motivazione, la sentenza del giudice di appello che non aveva spiegato perché la produzione, nel procedimento promosso per la dichiarazione del fallimento del fideiussore, della scrittura privata contenente la fideiussione non consentisse di ritenere provata l’anteriorità della scrittura alla dichiarazione del fallimento). Cass., sez. I, 11-10-2006, n. 21814 Giust. civ., 2007, I, 92 In tema di data della scrittura privata nei confronti dei terzi, se la scrittura privata non autenticata forma un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro, la data risultante da quest’ultimo deve ritenersi data certa della scrittura, ai fini della computabilità di fronte ai terzi, perché la timbratura eseguita in un pubblico ufficio deve considerarsi equivalente ad un’attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata eseguita; ne consegue che, in tali casi, l’onere della prova della certezza della data deve ritenersi assolto, gravando sulla parte che la contesti l’onere di provare la redazione del contenuto della scrittura, in tutto o in parte, in un momento diverso dalla data stessa così accertata. Cass., sez. I, 06-09-2006, n. 19136 Foro it., 2007, I, 1141 Giust. civ., 2007, I, 420 Contratti, 2007, 856, n. TRICOMI Il convenuto nell’azione revocatoria fallimentare promossa dal curatore per la notevole sproporzione di un contratto di compravendita, può eccepire la simulazione relativa intervenuta tra le parti originarie del contratto, avente ad oggetto il prezzo della vendita, che è opponibile al fallimento dell’alienante a condizione che la prova dell’accordo dissimulato risulti da scrittura avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento (nella specie, la corte ha ritenuto che - siccome l’art. 2704 c.c. non contiene un’elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di una scrittura privata non autenticata deve ritenersi certa rispetto ai terzi, ma lascia al giudice di merito la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto, diverso dalla registrazione, idoneo, secondo l’allegazione della parte, a dimostrare la certezza della data - sia ammissibile la prova per testi o per presunzioni tesa a dimostrare, con il collegamento 7 tra il pagamento documentato e il contratto dissimulato, la necessaria anteriorità di questo, allorché non sia in discussione la certezza di data della scrittura rappresentativa del pagamento). Cass., sez. III, 05-09-2006, n. 19067 Giust. civ., 2007, I, 1153 Nel vigore dell’art. 345 nuovo testo c.p.c., non è possibile proporre istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c. per la prima volta in appello con riferimento ad una scrittura privata prodotta in primo grado e in quella sede disconosciuta ai sensi dell’art. 214 stesso codice, atteso che verrebbe altrimenti stravolto il disegno generale della scansione dei tempi processuali, quale costruito dal legislatore con la novella di cui alla l. n. 353 del 1990. T. Verona, 28-08-2006 Giur. it., 2008, 708, n. BESSO Nell’istanza di sequestro giudiziario di documenti il ricorrente non è tenuto a individuare il singolo documento, ma può limitarsi a indicare l’insieme dei documenti di cui chiede l’acquisizione. Cass., sez. III, 25-08-2006, n. 18498 Giust. civ., 2006, I, 1990 Nel procedimento dinanzi al giudice di pace è preclusa alle parti la possibilità di produrre documenti in udienza successiva alla prima, a meno che non si tratti di udienza appositamente fissata ai sensi dell’art. 320, 4º comma, c.p.c. Cass., sez. I, 25-07-2006, n. 16976 Giust. civ., 2007, I, 1679 Attesi i limiti posti dall’art. 2704 c.c., la parte non può avvalersi della prova per testi al fine di dimostrare direttamente la certezza della data della scrittura privata non autenticata. Cass., sez. III, 07-07-2006, n. 15514 Riv. dir. proc., 2007, 517, n. GRADI L’art. 345, 3º comma, c.p.c. va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità in grado di appello di mezzi di prova nuovi - la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza - e, quindi, anche delle produzioni documentali. I documenti, al pari degli altri mezzi di prova, per poter trovare ingresso in sede di gravame devono essere accompagnati dalla dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero basarsi sul convincimento del giudice circa la indispensabilità degli stessi ai fini della decisione; in ogni caso, occorre che i nuovi documenti siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto 8 introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva o che la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo. Cass., sez. I, 16-06-2006, n. 13954 Foro it., 2007, I, 2539 Qualora il ricorso per cassazione venga proposto da un soggetto diverso da quello nei cui confronti sia stata pronunciata la sentenza impugnata, nella specie il successore a titolo particolare, la documentazione diretta a provare la legittimazione all’impugnazione deve essere depositata in cancelleria e il deposito deve essere notificato, mediante elenco, alle controparti, a norma dell’art. 372 c.p.c. Cass., sez. un., 16-06-2006, n. 13916 Fisco 1, 2006, 4386 Riv. giur. trib., 2006, 755, n. MAGNANI Dir. e giustizia, 2006, fasc. 27, 21, n. GENOVESE Corriere trib., 2006, 2693 (m), n. BASILAVECCHIA, PACE Corriere giur., 2006, 1694, n. MANZON Foro it., 2007, I, 493 Bollettino trib., 2006, 1223 La rilevanza nel processo tributario (e nel processo civile in genere) del giudicato esterno costituisce espressione delle esigenze di «certezza» proprie del giudicato e quindi del superiore principio dal ne bis in idem, e sarebbe contrario ai criteri di logicità ed economicità dei giudizi imporre al giudice di non tener conto di un giudicato di cui abbia contezza; appare quindi necessario consentire che venga provata nel giudizio di cassazione la formazione di un giudicato esterno successivo alla conclusione del giudizio di merito; l’art. 372 c.p.c. deve dunque essere interpretato nel senso che è consentito il deposito, unitamente al ricorso, dei documenti comprovanti il giudicato esterno formatosi dopo la conclusione del giudizio di merito; mentre il giudicato formatosi dopo il deposito del ricorso può essere provato fino alla udienza di discussione prima dell’inizio della relazione (ove però ciò avvenga dopo lo scadere del termine posto dall’art. 378 c.p.c. per il deposito di memorie, la corte dovrà assegnare alle parti un opportuno termine per il deposito di eventuali osservazioni ex art. 384, 3º comma, c.p.c. come novellato dal d.leg. n. 40/2006). Cass., sez. I, 05-06-2006, n. 13190 Foro it., 2007, I, 2544 Nel giudizio di querela di falso instaurato in via principale, che, nel caso di accoglimento della domanda, è destinato a chiudersi con un accertamento che spiega efficacia erga omnes, è esclusa la proposizione di altre domande, anche se dipendenti dalla domanda di accertamento 9 della falsità del documento. T. Verona, 05-06-2006 Giur. it., 2008, 708, n. BESSO Corriere giur., 2007, 551, n. ARIETA, GASPERINI È ammissibile il sequestro giudiziario di documenti ex art. 670 n. 2 c.p.c., al fine di garantire la fruttuosità dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. la cui richiesta nel giudizio di merito sia stata preannunciata con il ricorso cautelare, in quanto la mancanza di coordinamento tra le predette disposizioni non può comportare la prevalenza dell’una sull’altra, bensì l’applicabilità di ciascuna di esse ove ne sussistano i rispettivi presupposti. Il ricorrente che abbia ottenuto un provvedimento di sequestro giudiziario di documenti volto ad anticipare un ordine di esibizione, ex art. 210 c.p.c., può, una volta che la misura sia stata attuata, ottenere copia dei documenti sequestrati. Cass., sez. I, 10-05-2006, n. 10807 Foro it., 2007, I, 2839 È inammissibile il ricorso per revocazione proposto avverso una sentenza della corte di cassazione per il rinvenimento, dopo la sentenza, di un documento decisivo non prodotto prima per fatto non imputabile alla parte, senza che la mancata previsione di tale ipotesi di revocazione tra quelle ammissibili, a norma dell’art. 391 bis c.p.c., in relazione alle sentenze della corte di cassazione, sia configurabile come vizio di legittimità costituzionale. Cass., sez. III, 08-05-2006, n. 10501 Foro it., 2007, I, 2208 Vita not., 2006, 1424 Rass. forense, 2006, 1722, n. CATALANO La copia fotostatica di un atto pubblico notarile forma piena prova, anche in assenza di attestazione di conformità all’originale, qualora detta conformità non sia espressamente disconosciuta dalla controparte. C. Stato, sez. V, 04-05-2006, n. 2477 Giornale dir. amm., 2007, 31, n. BOMBARDELLI L’allegazione della copia di un valido documento di identità alla dichiarazione sostitutiva di volta in volta rilasciata costituisce un onere fondamentale del sottoscrittore, configurandosi come l’elemento della fattispecie normativa teleologicamente diretto a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l’imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione ad una determinata persona fisica; la mancata allegazione della copia del documento di identità del sottoscrittore rende l’atto nullo per difetto di una forma essenziale stabilita dalla 10 legge, non sanabile successivamente in sede di regolarizzazione operata ai sensi dell’art. 71 d.p.r. n. 445/2000. T. Verona, 29-04-2006 Giur. it., 2008, 708, n. BESSO È ammissibile il sequestro giudiziario di documenti volto ad anticipare un ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. Cass., sez. II, 27-03-2006, n. 6968 Giust. civ., 2006, I, 1440 Il riconoscimento tacito della scrittura privata sancito dall’art. 215, 1º comma, n. 2 c.p.c., comporta la decadenza di natura sostanziale dalla facoltà di disconoscere la scrittura stessa, e come tale non opera d’ufficio ma è rilevabile solo ad istanza di parte, non essendo posto in modo esplicito, né essendo desumibile dal sistema a tutela di un interesse generale; ne consegue che esso non segue in modo automatico al mancato disconoscimento della scrittura privata alla prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione. La proposizione dell’istanza di verificazione della scrittura privata non è compatibile con la volontà di far valere la decadenza della controparte dalla facoltà di disconoscerla, sicché una volta formulata la suddetta istanza si verifica una rinuncia tacita all’eccezione che non può più essere revocata. Cass., sez. trib., 27-03-2006, n. 6949 Foro it., 2007, I, 215, n. CEA Riv. dir. trib., 2006, II, 635, n. DE SIMONE Dir. e giustizia, 2006, fasc. 18, 27, n. DI GIACOMO Finanza loc., 2006, fasc. 12, 121 Nelle controversie in grado di appello avverso le decisioni delle commissioni tributarie di primo grado, le parti possono produrre nuovi documenti, ancorché non abbiano ottemperato all’ordine di produzione degli stessi impartito dal giudice di primo grado. art. 58, d.lg. 546/1992: Nuove prove in appello. 1. Il giudice d'appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile. 2. È fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti. A. Milano, 18-03-2006 Giur. it., 2006, 1867 In grado di appello sono inammissibili mezzi di prova nuovi - la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza - e, quindi, anche le produzioni documentali, salvo che si offra la 11 prova che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa loro non imputabile o sussista il convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione. Cass., sez. II, 08-03-2006, n. 4921 Giur. it., 2006, 2292, n. D’AURIA In materia di trasferimenti immobiliari, ai fini della integrazione del requisito della forma scritta ad substantiam, non osta l’unilateralità della scrittura, poiché l’incontro tra le volontà dei contraenti può essere consacrato anche da atti scritti non contestuali, e la produzione in giudizio di quello eventualmente sottoscritto solo da uno di essi, che non lo abbia medio tempore revocato, equivale a manifestazione di valido consenso scritto della controparte. Cass., sez. III, 15-02-2006, n. 3282 Arch. circolaz., 2006, 822 Con riferimento al verbale di accertamento di un incidente stradale redatto da organi di polizia, l’efficacia di piena prova fino a querela di falso, che ad esso deve riconoscersi - ex art. 2700 c.c., in dipendenza della sua natura di atto pubblico - oltre che quanto alla provenienza dell’atto ed alle dichiarazioni rese dalle parti, anche relativamente «agli altri fatti che il pubblico ufficiale che lo redige attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti», non sussiste né con riguardo ai giudizi valutativi che esprima il pubblico ufficiale, né con riguardo alla menzione di quelle circostanze relative a fatti, i quali, in ragione delle loro modalità di accadimento repentino, non si siano potuti verificare e controllare secondo un metro sufficientemente obbiettivo e pertanto, abbiano potuto dare luogo ad una percezione sensoriale implicante margini di apprezzamento, come nell’ipotesi che quanto attestato dal pubblico ufficiale concerna l’indicazione di un corpo o di un oggetto in movimento, con riguardo allo spazio che cade sotto la percezione visiva del verbalizzante; e, pertanto, al riguardo la parte non è tenuta nemmeno alla prova contraria; il predetto verbale fa invece piena prova fino a querela di falso in ordine ai fatti accertati visivamente dai verbalizzanti e relativi alla fase statica dell’incidente, quale risultava al momento del loro intervento. Cass., sez. III, 07-02-2006, n. 2524 Giust. civ., 2007, I, 1743 La denunzia di abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco con sottoscrizione riconosciuta (o autenticata) richiede l’esperimento della querela di falso, ai sensi dell’art. 2702 c.c., nel caso in cui il riempimento stesso sia avvenuto absque pactis, ovvero senza che il suo autore sia stato autorizzato dal sottoscrittore con un patto preventivo; diversamente, non è richiesto l’esperimento della querela di falso nella ipotesi in cui il riempimento sia stato eseguito contra pacta, cioè in modo difforme da quello consentito dall’accordo intervenuto preventivamente; la diversa disciplina si spiega perché nella prima ipotesi l’abuso incide sulla provenienza e sulla riferibilità della dichiarazione al sottoscrittore, mentre nella seconda si 12 traduce in una mera disfunzione interna del procedimento di formazione della dichiarazione medesima, in relazione allo strumento adottato (mandato ad scribendum), la quale implica solo la non corrispondenza tra ciò che risulta dichiarato e ciò che si intendeva dichiarare (nella specie, la suprema corte ha confermato la sentenza impugnata, con la quale era stato correttamente ritenuto che - avendo la ricorrente dichiarato di aver apposto la propria firma su un buono di consegna di un elettrodomestico, acquistato dal controricorrente, precisando che lo stesso era stato poi riempito successivamente da quest’ultimo contro la sua volontà con una fideiussione che la ricorrente stessa non aveva mai inteso rilasciare - nell’ipotesi in questione avrebbe dovuto essere proposta la querela di falso, con la conseguenza che, in difetto, non si sarebbe potuto concludere per la falsità del predetto documento sulla base degli altri elementi del tutto marginali e indiziari indicati dalla ricorrente). Il giudizio civile di falso ed il procedimento penale di falso, pur conducendo entrambi ad un’eliminazione dell’efficacia rappresentativa del documento risultato falso, sono sostanzialmente differenti tra loro: il primo tende soltanto a dimostrare la totale o parziale non rispondenza al vero di un determinato documento nel suo contenuto obiettivo o nella sua sottoscrizione; il secondo, mira anche ad identificare l’autore, al fine di assoggettarlo alle pene stabilite dalla legge; la querela di falso di cui all’art. 221 c.p.c. e la denuncia in sede penale hanno, quindi, funzioni diverse, salvo l’obbligo del giudice civile di sospendere il giudizio civile sulla querela allorché sia iniziato il procedimento penale, in relazione al disposto di cui all’art. 295 c.p.c. e, considerata l’efficacia propria della sentenza penale sul giudizio civile, ai sensi dell’art. 654 c.p.p. (nella specie, la suprema corte, sulla scorta dell’enunciato principio e rigettando il motivo di ricorso proposto, ha chiarito che, nel caso in questione, i fatti esaminati in sede penale - il cui procedimento si era concluso con la declaratoria di estinzione del reato per amnistia - non potevano essere ritenuti vincolanti nel successivo giudizio civile e la predetta definizione del procedimento penale non avrebbe impedito, da un lato, la presentazione della querela di falso, mentre, dall’altro, l’avrebbe imposta, ai fini della contestazione della veridicità di quanto risultava da una scrittura privata con sottoscrizione riconosciuta ma oggetto di riempimento absque pactis). Cass., sez. lav., 06-02-2006, n. 2468 Foro it., 2006, I, 3135, n. ORIANI, PROTO PISANI Foro it., 2006, I, 3430 (m), n. BARONE C. M. Nel processo del lavoro, è inammissibile la produzione in appello di un documento, quantunque finalizzata alla dimostrazione di un’eccezione in senso lato, quale l’interruzione della prescrizione, ove una qualche prova in proposito non sia stata acquisita né il fatto interruttivo sia stato allegato in primo grado. Cass., sez. trib., 30-01-2006, n. 1991 Fisco 1, 2006, 1869 13 Il disconoscimento della conformità all’originale, della copia fotostatica di documenti (nel caso di specie, istanze di rimborso della tassa sulle società e prova della presentazione e ricezione), volta ad impedire che le copie acquistino, ai sensi dell’art. 2719 c.c., la stessa efficacia probatoria degli originali, è soggetto alle modalità ed ai termini fissati dagli art. 214 e 215 c.p.c. e, pertanto, deve avvenire nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione, in modo formale e specifico, mediante un’esplicita dichiarazione di chiaro contenuto ovverosia con espressioni inequivoche (non è pertanto idonea una generica contestazione formulata in via preventiva, prima ancora che i documenti siano prodotti). Cass., sez. trib., 26-01-2006, n. 1609 Foro it., 2006, I, 1398 È inefficace il disconoscimento della conformità con l’originale delle fotocopie di documenti genericamente operato prima della produzione in giudizio delle stesse. Cass., sez. lav., 23-01-2006, n. 1264 Prev. e assist. pubbl. e privata, 2006, 308 In tema di prova documentale, l’onere, stabilito dall’art. 2719 c.c., di disconoscere «espressamente» la conformità tra l’originale della scrittura e la copia fotografica (o fotostatica) prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, implica che il disconoscimento sia fatto in modo specifico, con una dichiarazione che contenga una non equivoca negazione della genuinità della copia; sicché la relativa eccezione non può essere formulata in maniera solo generica o dubitativa, ma deve contenere specifico riferimento al documento ed al profilo di esso che venga contestato. Cass., sez. II, 12-01-2006, n. 457 Giust. civ., 2007, I, 1519 Per contestare le affermazioni contenute in un verbale proveniente da un pubblico ufficiale su circostanze oggetto di percezione sensoriale, come tali suscettibili di errore di fatto - nella specie, la rilevazione del numero di targa di un’auto - non è necessario proporre querela di falso, ma è sufficiente fornire prove idonee a vincere la presunzione di veridicità del verbale, secondo l’apprezzamento rimesso al giudice di merito. Cass., sez. trib., 11-01-2006, n. 366 Bollettino trib., 2006, 245 Rass. trib., 2006, 598, n. CIPOLLA Riv. giur. trib., 2006, 303, n. BASILAVECCHIA Fisco 1, 2006, 725 Giur. it., 2006, 1759 Corriere trib., 2006, 792, n. BRUZZONE 14 L’art. 7 d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, che attribuisce alle commissioni tributarie ampi poteri istruttori di ufficio, tra cui, al 3º comma, la facoltà di ordinare il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia, costituisce una norma eccezionale che non può essere utilizzata come rimedio ordinario per sopperire alle lacune probatorie delle parti dal momento che il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio salvo che sia impossibile o sommamente difficile esercitarlo. Cass., sez. III, 30-11-2005, n. 26090 Giust. civ., 2006, I, 1207 La scrittura proveniente da un terzo e prodotta in giudizio da una delle parti, pur non configurandosi come prova tipica, può costituire un indizio, del quale occorre valutare la rilevanza, unitamente al comportamento processuale tenuto dall’altra parte nel giudizi di primo e secondo grado. C. Stato, sez. V, 29-11-2005, n. 6724 Foro it., 2006, III, 397 Ai sensi dell’art. 2719 c.c. le copie fotostatiche di un documento hanno la stessa efficacia delle copie autentiche, se non siano state disconosciute: a tal fine è irrilevante che la parte che avrebbe potuto disconoscerle non si sia costituita in giudizio. C. Stato, sez. II, 09-11-2005, n. 1281 Arch. giur. oo. pp., 2005, 1088 Dir. trasporti, 2006, 523 Rass. avv. Stato, 2005, fasc. 4, 258 Nei procedimenti per l’aggiudicazione di contratti della p.a., il verbale e gli atti formati dal funzionario incaricato di procedere alla descrizione delle operazioni nel corso della gara fanno piena prova fino a querela di falso, trattandosi di atti pubblici, redatti, con le richieste formalità, da pubblico ufficiale autorizzato ad attribuire agli stessi pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato (art. 2699 c.c.), ma non per ciò solo preclude qualunque altro accertamento sui fatti in esso descritti, giacché in base all’art. 2700 c.c., l’atto pubblico fa sì piena prova della provenienza del documento da pubblico ufficiale che l’ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che costui attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma non fa fede anche delle valutazioni da lui compiute, né esclude la possibilità di errori in tale operazione. C. Stato, sez. V, 27-10-2005, n. 5985 Foro amm.-Cons. Stato, 2005, 2966 (m) Ai sensi dell’art. 2700 c.c., l’atto pubblico fa piena prova della provenienza del documento dal 15 pubblico ufficiale che l’ha redatto, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che costui attesti essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma non fa fede anche delle valutazioni da lui compiute. Cass., sez. trib., 17-10-2005, n. 20086 Bollettino trib., 2006, 419 Giur. it., 2006, 2356 Nel processo tributario il regime delle prove in appello è modellato su quello del processo civile, con l’unica eccezione delle prove documentali per le quali non opera il divieto della novità con la conseguenza che la commissione non può rifiutare l’esame dei documenti nuovi prodotti in appello eccependo che essi non erano stati prodotti in primo grado, in quanto l’art. 58, 2º comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, fa salva tale facoltà indipendentemente dall’impossibilità di produrli in prima istanza per causa non imputabile all’interessato, quale invece prevista dall’art. 345, ultimo comma, c.p.c. Cass., sez. III, 06-10-2005, n. 19475 Foro it., 2006, I, 102 Non può essere ordinata, in relazione al disposto dell’art. 210 c.p.c., l’esibizione in giudizio di un documento di una parte o di un terzo, allorquando l’interessato può di propria iniziativa acquisirne una copia e produrla in causa (nella specie, la suprema corte ha confermato la decisione del giudice di merito che non aveva dato seguito all’istanza di esibizione avanzata da una parte con riguardo a determinati documenti, sul presupposto che era risultato che gli stessi erano già stati esaminati presso il terzo dal consulente privato della stessa parte). T. Bologna, 04-10-2005 Giur. it., 2006, 1436 Nella fase cautelare, è ammissibile l’acquisizione da parte del giudice di ogni prova «atipica» quali le dichiarazioni scritte rese da un dipendente della ricorrente - che appaia coerente con i presupposti e con il tipo di provvedimento richiesto. Cass., sez. I, 29-07-2005, n. 15954 Fallimento, 2006, 661, n. D’AQUINO A norma dell’art. 2719 c.c., il mancato disconoscimento della conformità all’originale della copia fotografica - cui va equiparata la copia fotostatica - di una scrittura privata ne rende relativamente incontestabile il testo ed eventualmente la sua provenienza dal sottoscrittore, ma non ne rende affatto certa la data rispetto ai terzi, i quali non sono tenuti al disconoscimento della scrittura per porne in discussione la data; la questione relativa all’autenticità di una scrittura privata è infatti distinta da quella della sua datazione certa, e l’accertata autenticità della scrittura non esime chi l’ha prodotta contro i terzi dall’onere di provare la data effettiva 16 della sua redazione (sulla base dell’enunciato principio, la suprema corte ha escluso che fosse opponibile al curatore fallimentare, ai fini dell’ammissione al passivo del fallimento, in quanto priva di data certa, una fideiussione documentata dalla fotocopia di una scrittura privata, della quale il curatore non aveva disconosciuto la conformità all’originale, ma che non permetteva comunque di accertare se il documento constasse di più fogli separati ovvero di un unico foglio composto di più facciate, così da poter riferire il timbro datario postale apposto sulla prima facciata anche alle ulteriori parti della scrittura, contenenti sia il testo del contratto che le sottoscrizioni dei contraenti). Cass., sez. III, 19-07-2005, n. 15189 Foro it., 2005, I, 3023, n. BARONE C. M. In controversia instaurata nel 1992, la dichiarazione resa, nell’udienza di prima comparizione avanti il tribunale, dall’appellato - che nel procedimento pretorile aveva depositato, cinque giorni prima della discussione, un documento - per segnalarne l’esistenza agli atti in quanto «spillato» al fascicolo d’ufficio, trasmesso alla cancelleria del giudice di appello anteriormente allo svolgimento dell’anzidetta udienza, non equivale a rituale produzione in secondo grado del medesimo documento, sicché legittimamente il giudice di appello omette di tenerne conto. Cass., sez. I, 09-07-2005, n. 14481 Fallimento, 2006, 141, n. ZORZI Giust. civ., 2006, I, 851 In tema di valore probatorio della quietanza nei confronti della curatela fallimentare, dalla anteriorità, con atto di data certa, della quietanza al fallimento non può ricavarsi anche la certezza della effettività del pagamento quietanzato, giacché solo dalla certezza dell’avvenuto pagamento, mediante strumenti finanziari incontestabili (anche alla luce della legislazione antiriciclaggio, che impone cautele e formalità particolari ove vengano trasferiti valori superiori ad un certo importo), può trarsi la prova del pagamento del prezzo pattuito nell’atto di autonomia privata, idoneo al trasferimento del bene (enunciando il principio di cui in massima, la suprema corte ha confermato la sentenza di merito, la quale, facendo uso di presunzioni, era pervenuta alla conclusione dell’avvenuta corresponsione al promittente venditore, poi dichiarato fallito, della sola minor somma pagata con assegni, e della simulazione della quietanza di pagamento della maggiore, di cui il promissario acquirente assumeva il pagamento in contanti, ritenendo così raggiunta la prova della simulazione del patto relativo al prezzo di vendita). Cass., sez. II, 27-06-2005, n. 13738 Giust. civ., 2006, I, 354 Riv. not., 2006, 780 La facoltà di produrre nuovi documenti in appello è ammessa dall’art. 345, 3º comma, c.p.c., 17 nella formulazione di cui all’art. 52 l. n. 353 del 1990, giacché il divieto di produzione di nuovi mezzi di prova previsto da tale norma va riferito alle prove c.d. costituende, e non anche a quelle c.d. precostituite; tale facoltà, peraltro, deve essere esercitata dalla parte, a pena di decadenza, con la costituzione in giudizio ed entro il termine all’uopo fissato dagli art. 165 e 166 c.p.c., espressamente richiamati, anche con riferimento ai termini, dall’art. 347 stesso codice. T. Torino, 27-06-2005 Giust. civ., 2006, I, 2551, n. CARNICELLI L’efficacia probatoria del libretto di deposito a risparmio prevista dall’art. 1835, 2º comma, c.c. si riferisce soltanto alle operazioni annotate sul libretto, e non implica che si debbano considerare compiute soltanto esse; conseguentemente, è sempre ammessa la prova che un’operazione non indicata nel libretto sia stata effettivamente eseguita (nella specie, peraltro, in mancanza di documentazione contabile, distrutta dalla banca, essendo trascorsi ormai oltre dieci anni dall’asserita esecuzione dei prelievi in questione, è stata ritenuta priva di efficacia probatoria a tal fine, in quanto priva di specificità e concretezza, la deposizione testimoniale di un dipendente della stessa banca confermativa dell’effettiva esecuzione delle operazioni non annotate sul libretto). Cass., sez. III, 22-06-2005, n. 13384 Giust. civ., 2006, I, 357 La parte rimasta contumace nel giudizio di primo grado può disconoscere in appello la scrittura privata contro di essa prodotta nella precedente fase ed utilizzata nella sentenza impugnata ai fini della decisione: l’appellante può compiere il disconoscimento con l’atto di impugnazione, primo atto successivo alla sentenza che menziona la scrittura; a tal fine ha l’onere di «negare formalmente» la scrittura o la sottoscrizione che le sono attribuite, mediante un’impugnazione specifica e determinata, che esprima la volontà di negare l’autenticità e quindi la provenienza di esse, senza che possa considerarsi sufficiente l’affermazione dell’inesistenza del fatto costitutivo contenuto nella scrittura. T. Trani-Andria, 07-06-2005 Giur. it., 2006, 97, n. SOCCI La ctu non è un mezzo di prova né di ricerca dei fatti che devono provarsi dalla parte, ma solo uno strumento di valutazione dei fatti già dimostrati e dei soli documenti ritualmente acquisiti al processo; nei casi di omessa produzione, di ogni tipo di documento, anche se solo di dettaglio, non può effettuarsi una ctu, ma in base all’art. 2697 c.c. chi non ha prodotto tutti i documenti (e non solo quelli relativi ai fatti costitutivi, ma anche quelli comunque utili per calcolare il quantum di una prestazione) soccombe in giudizio se aveva l’onere della prova. 18 Cass., sez. II, 20-05-2005, n. 10702 Vita not., 2005, 1663 Gli atti pubblici fanno fede fino a querela di falso solo relativamente alla loro provenienza, alle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale e agli altri fatti che questi attesti essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli indichi come apprese da terzi o a seguito di altre indagini, l’attendibilità dell’atto pubblico può essere infirmata da specifica prova contraria; ne consegue che, in caso di compravendita per atto pubblico di un terreno, poiché la classificazione catastale come agricolo di per sé non esclude che esso possa essere stato oggetto di edificazione, ed incombendo al pubblico ufficiale di accertare la corrispondenza dei dati catastali al terreno oggetto di vendita ma non anche l’inesistenza sullo stesso di costruzioni all’epoca della stipulazione, la mancata emergenza dall’atto dell’esistenza di fabbricati non preclude l’ammissibilità di una specifica prova contraria, volta a contrastare tale indiretta risultanza. Cass., sez. III, 12-05-2005, n. 10021 Giur. it., 2006, 794, n. RONCO Dir. e giustizia, 2005, fasc. 25, 14, n. GARUFI La sola ricezione della busta raccomandata da parte del destinatario non costituisce prova del contenuto di essa. Cass., sez. lav., 11-05-2005, n. 9884 Dir. Internet, 2005, 563, n. FINOCCHIARO In ordine all’assunta contestazione dei dati del sistema informatico, è da osservare preliminarmente che, per l’art. 2712 c.c., la contestazione esclude il pieno valore probatorio della riproduzione meccanica, ove abbia per oggetto il rapporto di corrispondenza fra la realtà storica e la riproduzione meccanica («la conformità» dei dati ai fatti ed alle cose rappresentate); ove la contestazione (con questo specifico contenuto) vi sia stata, la riproduzione, pur perdendo il suo pieno valore probatorio, conserva tuttavia il minor valore di un semplice elemento di prova, che può essere integrato da ulteriori elementi; l’accertamento della sussistenza e del contenuto della contestazione, avendo per oggetto fatti materiali, è funzione del giudice di merito e, ove sia esente da vizi logici, in sede di legittimità è insindacabile. Cass., sez. III, 30-04-2005, n. 9024 Giust. civ., 2006, I, 613 Il riconoscimento tacito della scrittura privata ex art. 215 c.p.c., attribuisce alla scrittura prova piena, fino a querela di falso, secondo il disposto dell’art. 2702 c.c., in ordine alla provenienza dal sottoscrittore; l’onere del disconoscimento della scrittura privata grava però esclusivamente sul soggetto che appare essere autore della sottoscrizione e non già sul soggetto che contesta 19 l’opponibilità, del documento, in quanto non recante alcuna sottoscrizione a lui riferibile; ne consegue che quando il contenuto della scrittura privata inter alios venga contestato, il documento non viene in rilievo come prova legale e la verità o meno del suo contenuto, dimostrabile con ogni mezzo di prova, è affidata al libero apprezzamento del giudice. Cass., sez. un., 20-04-2005, n. 8203 Foro it., 2005, I, 1690, n. DALFINO, BARONE C. M., PROTO PISANI Foro it., 2005, I, 2719 (m), n. CEA Riv. dir. proc., 2005, 1051, n. CAVALLONE Giur. it., 2005, 2315, n. LOMBARDO Guida al dir., 2005, fasc. 23, 35, n. PISELLI Giust. civ., 2005, I, 2019, n. GIACALONE, CACCAVIELLO, GIORDANO Dir. e giustizia, 2005, fasc. 23, 23, n. ROSSETTI Corriere giur., 2005, 934, n. RUFFINI, CAVALLINI (vedi, in fondo, sentenza per esteso) Il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, stabilito dall’art. 345, 3º comma, c.p.c., nel testo sostituito dall’art. 52 l. n. 353 del 1990, riguarda anche le prove c.d. precostituite, quali i documenti, la cui produzione, pertanto, è subordinata, al pari delle prove c.d. costituende, alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di produrli in primo grado ovvero alla valutazione della loro indispensabilità. Cass., sez. un., 20-04-2005, n. 8202 Foro it., 2005, I, 1690, n. DALFINO, BARONE C. M., PROTO PISANI Foro it., 2005, I, 2719 (m), n. CEA Riv. critica dir. lav., 2005, 267 Corriere giur., 2005, 929, n. RUFFINI, CAVALLINI Giur. it., 2005, 1457, n. SOCCI Dir. e pratica lav., 2005, 1988, n. TREGLIA Riv. giur. lav., 2005, II, 505, n. FABBRI Riv. dir. proc., 2005, 1051, n. CAVALLONE Notiziario giurisprudenza lav., 2005, 406 Dir. lav., 2005, II, 293, n. BALESTRIERI Mass. giur. lav., 2005, 964, n. CENTOFANTI Guida al dir., 2005, fasc. 18, 41, n. TATARELLI Giust. civ., 2005, I, 2019, n. GIACALONE, CACCAVIELLO GIORDANO Dir. e giustizia, 2005, fasc. 23, 17, n. ROSSETTI Lavoro giur., 2005, 641, n. MISCIONE (vedi, in fondo, sentenza per esteso) Nel rito del lavoro, l’omessa indicazione, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei 20 documenti e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza dal diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio, a seguito di domanda riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo). A. Bari, 15-04-2005 Foro it., 2005, I, 1905 Qualora una parte avanzi dubbi sulla provenienza di una scrittura formata da terzi e prodotta in giudizio dalla controparte, quest’ultima è tenuta a provare l’autenticità del documento a pena di inammissibilità dello stesso. La produzione in giudizio di uno scritto proveniente da terzi, qualora lo stesso si riveli sostitutivo della prova testimoniale, è subordinata al rispetto delle regole di esclusione previste dall’ordinamento per la testimonianza, nonché alla mancata contestazione della controparte della violazione del principio del contraddittorio e del suo diritto di difesa, derivante dal non aver partecipato alla formazione della prova stessa. Cass., sez. II, 12-04-2005, n. 7475 Riv. not., 2006, 230 Giust. civ., 2006, I, 927 Qualora sia fatta valere la falsità del testamento (nella specie olografo), l’azione - che ha ad oggetto l’accertamento dell’inesistenza dell’atto - soggiace allo stesso regime probatorio stabilito nel caso di nullità prevista dall’art. 606 c.c. per la mancanza dei requisiti estrinseci del testamento, sicché - avuto riguardo agli interessi dedotti in giudizio dalle parti - nell’ipotesi di conflitto tra l’erede legittimo che disconosca l’autenticità del testamento e chi vanti diritti in forza di esso, l’onere della proposizione dell’istanza di verificazione del documento contestato incombe sul secondo, cui spetta la dimostrazione della qualità di erede, mentre nessun onere, oltre quello del disconoscimento, spetta all’erede legittimo; pertanto sulla ripartizione dell’onere probatorio non ha alcuna influenza la posizione processuale assunta dalle parti, essendo irrilevante se l’azione sia stata esperita dall’erede legittimo (per fare valere, in via principale, la falsità del documento), ovvero dall’erede testamentario che, agendo per il riconoscimento dei diritti ereditari, abbia visto contestata l’autenticità del testamento da parte dell’erede legittimo. Cass., sez. I, 07-04-2005, n. 7336 Foro it., 2005, I, 2011 Arch. circolaz., 2005, 705 Ammin. it., 2005, 1406 Guida al dir., 2005, fasc. 17, 22, n. SACCHETTINI Dir. e giustizia, 2005, fasc. 19, 24, n. TERRACCIANO 21 Ai sensi degli art. 68 l. 23 dicembre 1999 n. 488 e 17, 132º comma l. 15 maggio 1997 n. 127, il personale dipendente di società che gestisca un parcheggio può accertare le violazioni al divieto di sosta con verbali idonei a costituire atti pubblici se il parcheggio sia stato oggetto di concessione comunale alla società ai sensi dell’art. 7, 8º comma, d.leg. 30 aprile 1992 n. 285 (nuovo codice della strada) e il potere di accertamento sia stato conferito ai dipendenti dal sindaco 1. Cass., sez. lav., 04-04-2005, n. 6972 Giust. civ., 2006, I, 430 Giur. it., 2006, 2118 Per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione, valido oltreché per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, anche per quello di cui all’art. 360, n. 3 c.p.c., il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quali quelle processuali, non può limitarsi a specificare solo la singola disposizione di cui si denunzia, appunto, la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti d’operatività di detta 1 legge n° 488/1999, art. 68 (Funzioni di prevenzione e accertamento di violazioni di disposizioni del codice della strada) 1. I commi 132 e 133 dell' articolo 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127, si interpretano nel senso che i l conferimento delle funzioni di prevenzione e accertamento delle violazione, ivi previste, comprende, a i sensi del comma 1, lettera e), dell' articolo 12 del decreto legisla tivo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, i poteri di contestazione immediata nonché di redazione e sottoscrizione del verbale di accertamento con l'eff icacia di cui agli articoli 2699 e 2700 del codice civile. 2. A decorrere dal 1° gennaio 2000 le funzioni di prevenzione e accertamento previste dai commi 132 e 133 dell' articolo 17 della legge 15 maggio 1997 n.127, con gli effetti di cui a ll' articolo 2700 codice civile , sono svolte solo da personale nominativamente designa to da l sindaco previo accertamento dell' assenza di precedenti o pendenze penali, nell' ambito delle ca tegorie indicate dai medesimi commi 132 e 133 dell' articolo 17 della cita ta legge 15 maggio 1997. 3. Al personale di cui al comma 132 ed al personale di cui a l comma 133 dell' articolo 17 della legge 15 maggio 1997, n.127, può essere conferita anche la competenza a disporre la rimozione dei veicoli, nei casi previsti, rispettivamente, da lle lettere b) e c) e dalla lettera d) del comma 2 dell' articolo 158 del decreto legisla tivo 30 aprile 1992, n. 285. 4. Il termine indicato dall' articolo 204, comma 1, del decreto legisla tivo 30 aprile 1992, n.285, per l'emissione dell'ordinanza-ingiunzione da parte del prefetto è fissato in 180 giorni. 5. Il decreto-legge 2 novembre 1999, n. 391, è abroga to. Restano va lidi gli atti e i provvedimenti adotta ti e sono fatti sa lvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge 2 novembre 1999, n. 391. Legge n° 127/1997, art. 17 comma 132. I comuni possono, con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta a dipendenti comunali o delle società di gestione dei parcheggi, limita tamente a lle aree oggetto di concessione. La procedura sanzionatoria amministrativ a e l'organizzazione del rela tivo servizio sono di competenza degli uffici o dei comandi a ciò preposti. I gestori possono comunque esercitare tutte le azioni necessarie a l recupero delle evasioni tariff arie e dei mancati pagamenti, ivi compresi il rimborso delle spese e le penali. comma 133. Le funzioni di cui a l comma 132 sono conferite anche a l personale ispettivo delle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone nelle forme previste dagli articoli 22 e 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni. A ta le persona le sono inoltre conferite, con le stesse modalità di cui al primo periodo del comma 132, le funzioni di prevenzione e accertamento in materia di circolazione e sosta sulle corsie riservate al trasporto pubblico a i sensi dell' articolo 6, comma 4, lettera c), de l decreto legisla tivo 30 aprile 1992, n. 285. 22 violazione; ne consegue che la denunzia d’illegittimo rifiuto da parte del giudice di merito di una prova documentale, non può limitarsi ad affermare genericamente che il documento è rinvenibile «nel fascicolo di primo grado», per non essere il ricorso stesso idoneo, per l’ampiezza dell’espressione usata, ad impedire il pericolo di un «soggettivismo giudiziario», perché costringe il giudice non solo ad una ricerca, non sempre agevole, del suddetto documento tra gli atti (talvolta numerosi) di causa, ma, una volta rinvenutolo, all’accertamento necessario per decidere sulla ritualità del suo deposito, e della tempestività delle eventuali eccezioni che su tale documento si fondano, e che non possono essere sottratte ad un regolare e pieno contraddittorio tra le parti di causa (nella specie, la corte di cassazione ha applicato il principio di cui in massima ritenendo che i ricorrenti non avessero rispettato il principio d’autosufficienza per aver fatto riferimento alle buste paga al fine di provare lo straordinario, senza indicare le modalità, anche temporali, d’acquisizione in giudizio di detti documenti; per aver lamentato la mancata ammissione delle prove testimoniali, senza tra l’altro indicare gli estremi per valutare la tempestività della richiesta; per aver evocato la mancata contestazione dei conteggi da parte del datore di lavoro, senza precisare se tale contestazione fosse relativa all’an o limitata al quantum, scaturendo diverse conseguenze in ragione delle diverse modalità di contestazione; per aver lamentato il mancato esercizio da parte del giudice del lavoro dei poteri d’ufficio, senza però fornire alcun accenno alle condizioni legittimanti detto esercizio). Cass., sez. I, 22-03-2005, n. 6191 Giust. civ., 2006, I, 640 In tema di promessa di pagamento, i limiti alla prova testimoniale, desumibili dall’art. 2556, 1º comma, c.c. (in forza del quale i contratti aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento di un’azienda debbono essere provati per iscritto), operano solo quando sia dedotto, come fonte di obblighi, direttamente e specificamente il contratto e la parte chieda in giudizio l’accertamento o l’adempimento del suo credito; quando, però, la pretesa creditoria si fondi su una promessa di pagamento o su una dichiarazione ricognitiva di debito, in cui la causa non venga neppure enunciata, come il promittente, allo scopo di superare la presunzione di esistenza del rapporto sottostante (art. 1988 c.c.), non incontra alcun limite probatorio, e può provare con testimoni l’inesistenza o l’estinzione del rapporto giuridico assunto a causa della promessa, così il destinatario della promessa medesima può contrastare con qualsiasi mezzo istruttorio i risultati della prova prevista dalla controparte, e, quindi, far ricorso alla prova per testimoni contraria, anche se essa abbia ad oggetto un contratto per cui sia richiesta la forma scritta ad probationem (nella specie, trasferimento di azienda), quale fonte dell’obbligazione cui la deliberazione si riferisce, tenuto conto che, in questa situazione, il contratto stesso viene dedotto solo per esigenze difensive, quale mezzo al fine di consentire alla promessa di pagamento di spiegare i suoi effetti. 23 Cass., sez. I, 15-03-2005, n. 5582 Foro it., 2005, I, 2366 Fallimento, 2005, 1243 Nel procedimento di accertamento del passivo, il creditore per ottenere l’ammissione al passivo del proprio credito non può limitarsi a produrre le scritture contabili del fallito, in quanto la norma dell’art. 2709 c.c. si applica al debitore-imprenditore e non al curatore il quale assume una posizione di terzietà, potendo tali scritture costituire un indizio cui devono accompagnarsi altri elementi di giudizio. T. Ivrea, 10-03-2005 Merito, 2005, fasc. 5, 27, n. BRUNETTI, D’APONTE I verbali redatti dagli ispettori Inps fanno piena prova, fino a querela di falso, solo della provenienza del documento dal funzionario che lo ha formato e dei fatti attestati come avvenuti in sua presenza, posto che relativamente agli altri fatti, quali le dichiarazioni raccolte od il contenuto dei documenti analizzati, possono unicamente fornire utili elementi di giudizio cui è sostanzialmente attribuibile un valore indiziario, che ben può essere infirmato da una prova contraria. Cass., sez. un., 07-03-2005, n. 4814 Foro it., 2005, I, 2747 Riv. dir. proc., 2005, 1031, n. MONTELEONE L’illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, la quale sia apposta in calce od a margine dell’atto con il quale sta in giudizio una società esattamente indicata con la sua denominazione, è irrilevante, non solo quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della procura stessa o della certificazione d’autografia resa dal difensore, ovvero dal testo di quell’atto, ma anche quando detto nome sia con certezza desumibile dall’indicazione di una specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese; in assenza di tali condizioni, ed inoltre nei casi in cui non si menzioni alcuna funzione o carica specifica, allegandosi genericamente la qualità di legale rappresentante, si determina nullità relativa, che la controparte può opporre con la prima difesa, a norma dell’art. 157 c.p.c., facendo così carico alla parte istante d’integrare con la prima replica la lacunosità dell’atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell’autore della firma illeggibile; ove difetti o sia inadeguata detta integrazione, si verifica invalidità della procura ed inammissibilità dell’atto cui accede. Cass., sez. lav., 01-03-2005, n. 4248 Giust. civ., 2005, I, 1187 L’art. 369 c.p.c. - il quale prescrive il deposito, insieme con il ricorso per cassazione e a pena di 24 improcedibilità dello stesso, della copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, al fine di consentire la verifica della tempestività dell’atto di impugnazione e della fondatezza dei suoi motivi - non osta all’effettuazione di quel deposito separatamente (ex art. 372 c.p.c., che consente il deposito autonomo di documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso e che può applicarsi estensivamente anche ai documenti concernenti la procedibilità del ricorso stesso), purché nel termine perentorio di venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, ma non consente di evitare la suddetta sanzione mediante equipollenti, quali il deposito da parte del controricorrente di copia della sentenza stessa o l’esistenza della medesima nel fascicolo d’ufficio. Cass., sez. trib., 17-02-2005, n. 3231 Foro it., 2005, I, 1722 Giur. it., 2005, 1317, n. MARCHESELLI Bollettino trib., 2005, 714 Fisco 1, 2005, 2152 Corriere trib., 2005, 1197, n. GRAZIANO Dir. e giustizia, 2005, fasc. 12, 35, n. IANNACCONE Il giudice tributario può fondare la sua decisione su documenti irritualmente prodotti per tardività o per provenienza da terzi. Cass., sez. III, 14-02-2005, n. 2895 Foro it., 2005, I, 1012 Nel secondo grado di controversia instaurata dopo il 30 aprile 1995, l’appellante può produrre nuovi documenti, solo se li indica specificamente nell’atto di appello e li deposita, in cancelleria, contestualmente ad esso. T. Cagliari, 14-02-2005 Riv. giur. sarda, 2006, 617, n. MONTALDO In caso di disconoscimento dell’autenticità della sottoscrizione di scrittura privata prodotta in copia fotostatica, la parte che la abbia esibita in giudizio e intenda avvalersi della prova documentale rappresentata dalla anzidetta scrittura deve produrne l’originale al fine di ottenerne la verificazione; altrimenti, del contenuto del documento potrà fornire la prova con i mezzi ordinari, nei limiti della loro ammissibilità. Cass., sez. III, 09-02-2005, n. 2656 Foro it., 2005, I, 1730 In controversia instaurata nel 1997, concessi dal giudice istruttore i termini previsti dall’art. 184 c.p.c. e inutilizzato dalle parti il primo di essi, legittimamente il convenuto deposita, nel rispetto di quello per l’indicazione di prova contraria, documenti volti a dimostrare circostanze opposte 25 a tutte quelle invocate dall’attore. Cass., sez. I, 08-02-2005, n. 2538 Giur. it., 2005, 1637, n. IOZZO Rientra nei poteri discrezionali del giudice non dar corso alla consulenza tecnica d’ufficio in precedenza ordinata allorché esso ritenga di disporre dei elementi di giudizio sufficienti, anche se contraddittori rispetto ai dati emergenti dalla consulenza espletata nel giudizio di primo grado; e l’ordine di esibizione di un documento costituisce facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, che non è tenuto a specificare le ragioni per le quali ritiene di non avvalersene. Cass., sez. III, 07-02-2005, n. 2411 Foro it., 2006, I, 1525, n. DI BENEDETTO Giur. it., 2005, 1878, n. BESSO Giust. civ., 2005, I, 2340 La parte che intenda avvalersi di una scrittura privata disconosciuta deve presentare l’istanza di verificazione, in modo non equivoco, entro il termine perentorio, in cui è possibile la produzione del documento, previsto per le deduzioni istruttorie delle parti. Il procedimento incidentale di verificazione di scrittura privata disconosciuta ha, diversamente da quello proposto in via principale, funzione strumentale e finalità istruttorie, inquadrandosi nell’ambito dell’attività probatoria delle parti, in quanto esso non risulta fine a sé stesso, bensì, preordinato all’utilizzazione, pel processo, della prova documentale, con la conseguenza che, qualora anche la parte contro la quale la scrittura è stata prodotta fondi su di essa la propria difesa di merito, il documento deve ritenersi implicitamente riconosciuto come autentico e validamente acquisito agli atti quale fonte di convincimento per il giudice. Nel vigore dell’art. 345 nuovo testo c.p.c., non è ammissibile la proposizione per la prima volta in appello di un’istanza di verificazione di scrittura privata prodotta in primo grado e disconosciuta in quella sede ex art. 214 stesso codice. C. Stato, sez. per gli atti normativi, 07-02-2005, n. 11995/04 Giur. it., 2005, 1163, n. LISI, LAZARI Dir. ed economia mezzi di comunicazione, 2005, 189, n. LISI, LAZARI In materia di rilevanza e valore del documento informatico, minori problemi crea il vigente art. 10 d.p.r. n. 445 del 2000 - che per il documento informatico in sè, a prescindere dalla sottoscrizione, rinvia all’art. 2712 c.c. e prevede (2º comma) che il documento informatico sottoscritto con firma elettronica soddisfa il requisito della forma scritta, dandosi così carico di attribuire un valore a qualsiasi documento informatico, a prescindere dalla forza della firma rispetto agli art. 17 e 18 dell’emanando codice dell’amministrazione digitale, che non stabiliscono come debba essere considerato l’atto con firma elettronica debole non 26 disconosciuta a norma dell’art. 215 c.p.c. Anche in considerazione della direttiva comunitaria n. 1999/93/Ce, che ha introdotto un quadro comunitario per le firme elettroniche, i tipi di firma sono solo due, la firma elettronica pura e semplice e quella qualificata, di cui la firma digitale è un tipo. T. Milano, 31-01-2005 Giur. it., 2005, 1865 Nuovo dir., 2005, 884, n. SANTARSIERE È inammissibile la produzione di documenti in sede di memorie conclusionali. Cass., sez. I, 20-01-2005, n. 1226 Foro it., 2005, I, 2011 Arch. circolaz., 2005, 831 Ai sensi degli art. 68 l. 23 dicembre 1999 n. 488 e 17, 132º comma l. 15 maggio 1997 n. 127, il dipendente della società di gestione del parcheggio automobilistico comunale al quale il comune abbia conferito compiti di prevenzione ed accertamento delle violazioni in materia di sosta ha la capacità di contestare l’infrazione, nonché di redigere e sottoscrivere il verbale di accertamento che ha valore di atto pubblico. In tema di sanzioni amministrative, il termine di dieci giorni prima dell’udienza di comparizione, fissato dall’art. 23, 2º comma, l. 24 novembre 1981 n. 689 per il deposito da parte dell’amministrazione dei documenti relativi all’infrazione ed alla sua contestazione, non è perentorio; pertanto, il deposito dei documenti può intervenire anche successivamente. T. Rovigo, 20-01-2005 Merito, 2005, fasc. 7, 23, n. ROSSI Nel nuovo procedimento societario è ammessa la notifica di memorie difensive con l’utilizzo della posta elettronica purché venga rispettata la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione e la trasmissione dei documenti informatici e teletrasmessi; la notifica di una memoria come file di videoscrittura semplicemente allegato a un normale messaggio di posta elettronica, privo della firma digitale (così come disciplinata dal d.p.r. 13 febbraio 2001 n. 123 recante il regolamento sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, amministrativo e dinanzi alle sezioni giurisdizionali della corte dei conti) è da considerarsi tanquam non esset. Cass., sez. III, 13-01-2005, n. 560 Giur. it., 2005, 1177, n. RESTANO Giust. civ., 2005, I, 1498 Il mancato accoglimento da parte del giudice di merito dell’istanza ex art. 210 c.p.c. diretta ad ottenere l’esibizione di documenti, rappresentando il mancato esercizio di un potere 27 discrezionale, è sottratto al sindacato del giudice di legittimità quando sia sufficientemente motivato. Cass., sez. trib., 05-01-2005, n. 150 Giust. civ., 2005, I, 626 In tema di prova documentale, il disconoscimento, ex art. 2719 c.c., della conformità della copia fotografica (o fotostatica) di una scrittura all’originale può essere effettuato solo dopo la sua produzione in giudizio, trattandosi di rimedio in via di eccezione volto ad evitare il riconoscimento tacito, sicché, ove venga formulata preventivamente, e senza riferimento circoscritto ad un determinato documento, ma con riguardo ad ogni eventuale produzione in copia che sia stata o possa essere effettuata da controparte, la contestazione non preclude l’utilizzazione della copia come mezzo di prova, a meno che non venga ribadita successivamente alla produzione del documento e con espresso riferimento ad esso (nella specie, la suprema corte ha ritenuto privo di effetto, in quanto effettuato preventivamente ed in modo generico in sede di comparsa di costituzione, il disconoscimento della conformità all’originale di una fotocopia prodotta nel corso del giudizio di appello). Cass., sez. II, 27-12-2004, n. 24022 Foro it., 2005, I, 1399 La parte che ha disconosciuto la sottoscrizione di scrittura privata prodotta in fotocopia deve reiterare il disconoscimento con riferimento all’originale della medesima scrittura, successivamente acquisito in giudizio, per impedire che la ridetta scrittura si abbia per riconosciuta in causa. T. Agrigento, 07-12-2004 Informazione prev., 2004, 1189 I verbali di accertamento redatti dagli ispettori dell’Inps hanno piena efficacia probatoria fino a querela di falso per le attività che il pubblico ufficiale dichiara di aver compiuto o che sono state compiute in sua presenza o delle dichiarazioni al medesimo rese; tale efficacia probatoria privilegiata non assiste i predetti verbali per quanto riguarda l’intrinseca veridicità delle dichiarazioni raccolte dal pubblico ufficiale le quali sono in assoluto dotate di un grado di attendibilità privilegiata, poiché rese senza preavviso e perciò più genuine e sincere in quanto non «inquinate» dalla volontà di favorire il proprio datore di lavoro. T. Salerno, 22-09-2004 Giudice di pace, 2005, 214, n. D’ARCANGELO Il processo verbale di accertamento di una violazione amministrativa redatto da un pubblico ufficiale è espressione di uno speciale potere di documentazione, con effetti costitutivi sostanziali, conferito dalla legge al pubblico ufficiale: pertanto, fa piena prova sino a querela di 28 falso, con riguardo ai fatti dal pubblico ufficiale attestati come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, nonché della provenienza del documento dal pubblico ufficiale e delle dichiarazioni delle parti; non si estende, invece, agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante, ivi comprese le circostanze di fatto documentate nel verbale, che, in relazione alle modalità della percezione, non siano state passibili di conoscenza secondo criteri diretti e oggettivi e la cui conoscenza abbia comportato necessariamente da parte del verbalizzante margini di apprezzamento. Cass., sez. I, 09-09-2004, n. 18177 Foro it., 2005, I, 740 Riv. not., 2005, 126, n. CASU Giust. civ., 2005, I, 655 Vita not., 2005, 396 L’attestazione del notaio di conformità della copia all’originale, che egli stesso abbia redatto e che presenti i requisiti di forma previsti dall’art. 18 d.p.r. n. 445 del 2000, è idonea a conferire alla copia il carattere di copia autentica, e conseguentemente l’efficacia propria di tale atto, anche ove dalla predetta attestazione non risulti che l’originale, non nella disponibilità del notaio, sia stato esibito a quest’ultimo (nella specie, si trattava di una procura generale alle liti). Cass., sez. trib., 19-08-2004, n. 16232 Fisco 1, 2004, 7204 Il disconoscimento della conformità all’originale, della copia fotostatica di documenti (nel caso di specie istanze di rimborso della tassa sulle società e prova della presentazione e ricezione), volta ad impedire che le copie acquistino, ai sensi dell’art. 2719 c.c., la stessa efficacia probatoria degli originali, è soggetto alle modalità e ai termini fissati dagli art. 214 e 215 c.p.c. e, pertanto, deve avvenire nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione, in modo formale e specifico, cioè mediante una esplicita dichiarazione di chiaro contenuto ovverosia con espressioni inequivoche (non è pertanto idonea una generica contestazione formulata in via preventiva, prima ancora che i documenti siano prodotti). Cass., sez. trib., 13-08-2004, n. 15856 Bollettino trib., 2005, 1243 Giust. civ., 2005, I, 1558 In tema di prova documentale, l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale della scrittura e la copia fotostatica prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto, tale, cioè, che possano da essa desumersi in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia; conseguentemente, la copia fotostatica non autentica di una scrittura si ha per riconosciuta conforme all’originale ai sensi dell’art. 215 c.p.c., se la parte comparsa contro cui è 29 stata prodotta non la disconosce in modo formale e specifico nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione. Cass., sez. I, 25-06-2004, n. 11866 Giur. it., 2005, 1226, n. DEMONTIS La parte rimasta contumace nel giudizio di primo grado può disconoscere in appello la scrittura privata contro di essa prodotta nella precedente fase ed utilizzata nella sentenza impugnata ai fini della decisione: ciò vale sia per l’appellante, che può compiere il disconoscimento con l’atto di impugnazione, sia per la parte appellata, che può farlo con la comparsa di costituzione in appello (nell’affermare tale principio la suprema corte ha escluso potesse essersi verificata una preclusione da giudicato implicito, non essendo questo configurabile su una questione, come quella relativa alla tempestività del disconoscimento della scrittura in esame, costituente antecedente logico di una statuizione che aveva formato oggetto di gravame, giacché tale impugnazione impedisce la formazione del giudicato esplicito e dunque anche del giudicato implicito sulle questioni ad esso pregiudiziali). Cass., sez. trib., 18-06-2004, n. 11419 Bollettino trib., 2005, 1241 Il disconoscimento della conformità all’originale della copia fotostatica di scrittura, che, se non contestata, acquista la stessa efficacia probatoria dell’originale ai sensi dell’art. 2719 c.c., è soggetto alle modalità ed ai termini fissati dagli art. 214 e 215 c.p.c. e, pertanto, deve avvenire nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione e deve essere formulata «espressamente», cioè in modo formale e specifico, mediante una esplicita dichiarazione di chiaro e specifico contenuto, ossia con espressioni chiare ed inequivoche; la prima regola esclude l’efficacia contestativa del disconoscimento preventivo rispetto alla produzione della prova e ne impone, per contro, la posteriorità, mentre la seconda regola comporta non soltanto la mera formulazione o la semplice espressione o la contestazione generica di documenti rappresentativi di scrittura in copia, ma l’adozione di formule contestative specificamente e motivatamente riferite a documenti già prodotti dalla controparte, cosicché la violazione della prima regola determina inevitabilmente anche l’inosservanza della seconda. Cass., sez. lav., 20-05-2004, n. 9631 Riv. it. dir. lav., 2004, II, 868, n. BRUGNATELLI Nell’ambito della verifica dell’autenticità della scrittura privata, la limitata consistenza probatoria della consulenza grafica esige che l’autenticità della sottoscrizione dell’atto, ritenuta dalla consulenza, si valuti anche nel coordinato quadro della (pur elementare) coerenza logica con il contingente contesto in cui l’atto si inserisce (nella specie, la suprema corte ha cassato la sentenza di merito che aveva attribuito rilevanza probatoria decisiva ad una scrittura privata, risultata autentica alla consulenza grafologica, con la quale l’amministratore delegato di una 30 società comunicava al dipendente in prova che al termine della prova sarebbe stato promosso ad un livello superiore, anche se il contenuto della scrittura si poneva in totale contrasto con il comportamento, precedente e successivo, sia del suo autore che del suo destinatario - ed in particolare con l’insufficiente prestazione lavorativa del dipendente e con la decisione del consiglio di amministrazione di recedere dal rapporto, precedente alla lettera - circostanze tutte comprovate da numerose testimonianze, senza dar conto di come si coordinassero tali circostanze con il contenuto della scrittura). Cass., sez. trib., 28-01-2004, n. 1525 Fisco 1, 2004, 1517 Giur. imp., 2004, 719 L’art. 2719 c.c., il quale esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche - cui vanno assimilate quelle fotostatiche - è applicabile tanto all’ipotesi di disconoscimento dell’autenticità della scrittura o della sottoscrizione (che preclude definitivamente l’utilizzabilità del documento fotostatico come mezzo di prova, salva la produzione dell’originale da parte di chi intenda avvalersene, onde accertarne la genuinità all’esito della procedura di verificazione ex art. 216 c.p.c.), quanto a quella di disconoscimento della conformità della copia all’originale (che, tendendo al limitato scopo di impedire l’attribuzione alla stessa della medesima efficacia probatoria dell’originale, non impedisce al giudice di accertare tale conformità aliunde ed anche a mezzo di presunzioni); nel silenzio della norma sulle modalità e sui termini entro cui i diversi disconoscimenti devono avvenire ed in assenza della previsione di un distinto regime processuale, deve ritenersi applicabile ad entrambi la disciplina dettata dagli art. 214 e 215 c.p.c., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata, anche nella normativa anteriore alle modifiche apportate all’art. 345 dello stesso codice dalla novella del 1990, si deve avere per riconosciuta - sia nella sua conformità all’originale, sia nella scrittura e nella sottoscrizione - se la parte comparsa non la disconosca, in modo formale, alla prima udienza, ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione (di conseguenza la corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto tardiva la contestazione delle fotocopie dei bollettini di versamento della tassa sulle società compiuta dall’amministrazione solo nell’atto di appello, nel corso di un giudizio tributario avanti al giudice ordinario). Cass., sez. trib., 21-01-2004, n. 935 Foro it., 2004, I, 1075 Il disconoscimento della conformità della fotocopia all’originale non è validamente effettuato, e non priva la fotocopia della stessa efficacia probatoria dell’originale, ove non sia specifico, ossia riferito ad una determinata copia concretamente individuata, e successivo alla produzione in giudizio della copia stessa (nella specie, la suprema corte ha ritenuto privo di effetto il disconoscimento della conformità all’originale di una fotocopia prodotta nel corso del giudizio 31 di appello in quanto effettuato preventivamente ed in modo generico in sede di comparsa di costituzione). Cass., sez. II, 23-12-2003, n. 19727 Foro it., 2004, I, 1318 La parte, che abbia disconosciuto la scrittura privata oppostale in giudizio, può legittimamente proporre, nel corso dello stesso processo, querela di falso avverso la medesima scrittura. C. conti, sez. giur. reg. Veneto, 02-12-2003, n. 1240 Cons. Stato, 2004, II, 645 Nel caso in cui oggetto del giudizio sia la responsabilità disciplinare del pubblico ufficiale autore dell’atto contestato, non opera il principio relativo alla forza probatoria privilegiata degli atti pubblici (nella specie un verbale di accertamento) né la conseguente necessità di proporre la querela di falso. T.a.r. Lombardia, sez. III, 05-11-2003, n. 4916 Foro amm.-Tar, 2003, 3171 Foro amm.-Tar, 2004, 28, n. MARI Appalti urbanistica edilizia, 2004, 404 Al fine di disattendere le risultanze di un atto pubblico non è necessaria la proposizione dell’impugnativa di falso, qualora, dal contesto del documento, risulti in modo palese e inequivoco la ricorrenza di elementi tali da lasciar ragionevolmente presumere la mancanza di un preordinato intento di immutazione del vero, potendo la divergenza dei dati ricondursi ad un mero errore materiale; ciò, a maggior ragione, deve affermarsi quando il contesto dell’atto pubblico denoti un contrasto tale da rendere impossibile la contemporanea verità dei fatti con esso attestati. Cass., sez. II, 21-07-2003, n. 11343 Foro it., 2004, I, 1184 La fattura commerciale, ancorché annotata nei libri obbligatori, non può assurgere a prova del contratto, ma al più può rappresentare un mero indizio della stipulazione di esso e dell’esecuzione della prestazione indicatavi (nella specie, è stata esclusa l’efficacia probatoria di una fattura diretta a provare la conclusione di un contratto di compravendita da piazza a piazza). C. Stato, sez. III, 10-06-2003, n. 4387/02 Cons. Stato, 2003, I, 2887 La dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, prevista dall’art. 4 l. 4 gennaio 1968 n. 15 (ed ora dall’art. 47 d.p.r. 28 dicembre 2000 n. 445), ha attitudine certificativa e probatoria fino 32 a contraria risultanza nei confronti della p.a. Cass., sez. lav., 24-03-2003, n. 4297 Foro it., 2003, I, 1391 (nella motivazione) Gli estratti contributivi su modulo a stampa prodotti in giudizio dall’Inps sono la riproduzione a stampa di un documento elettronico, secondo quanto previsto dall’art. 3, 2º comma, d.leg. 3 febbraio 1993 n. 29, e come tali non abbisognano per spiegare i loro effetti di alcuna sottoscrizione; ad essi devono quindi essere riconosciuti gli effetti di cui all’art. 2712 c.c., e pertanto, in mancanza di contestazione della controparte, costituiscono piena prova dei fatti in essi rappresentati (nel caso di specie, la suprema corte ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto tali estratti privi di ogni valore probatorio in quanto dotati del timbro tondo della sede Inps di provenienza, ma privi di firma certificativa del dirigente Inps che ne attestasse la provenienza). Cass., sez. III, 18-03-2003, n. 3998 Foro pad., 2004, I, 35 Le disposizioni di cui all’art. 2702 c.c. in tema di opponibilità della scrittura privata, non vengono in rilievo qualora quest’ultima sia stata invocata, non per conseguire gli effetti negoziali propri della convenzione in essa contenuta, ma quale semplice fatto storico che, come tale, può essere provato con ogni mezzo. T. Milano, 20-02-2003 Foro it., 2004, I, 1649 La verificazione incidentale di scrittura privata disconosciuta di cui all’art. 216, 1º comma, c.p.c. ha natura istruttoria e la relativa istanza deve dunque ritenersi assoggettata ai medesimi termini - e preclusioni - previsti, dall’art. 184 c.p.c., per i mezzi istruttori. A. Roma, 06-02-2003 Nuovo dir., 2003, I, 1008 La capacità probatoria degli atti ricevuti da notaio e delle relative copie, nonché quella delle scritture private dallo stesso autenticate, si affida esclusivamente all’osservanza delle forme richieste dalla legge per il rilascio, non anche al loro disconoscimento di iniziativa della controparte, come, invece, avviene per le scritture private. A. Genova, 18-12-2002 Foro pad., 2004, I, 342 Nuova giur. ligure, 2004, 113, n. VARESE, GANDOLFO Il modulo con il quale è comunicata la cessione di credito recante la stampigliatura completa di data col timbro delle poste italiane è idoneo ad attribuire all’atto data certa. 33 T. Cagliari, 26-08-2002 Riv. giur. sarda, 2004, 63, n. VACCA Le riproduzioni meccaniche di supporti magnetici non sono copie fotografiche o fotostatiche di scritture originali esistenti (nel caso di specie trattasi non di copie fotografiche di scritture originali, concernenti gli estratti conto, bensì di stampa di un’elaborazione computerizzata operata dal sistema centrale della banca); per l’effetto il regime applicabile non può essere quello di cui all’art. 2719 c.c., ma quello previsto dall’art. 2712 c.c. con la conseguenza che ogni contestazione circa la veridicità delle riproduzioni non dovrà far riferimento ad un originale che non esiste (nella specie: eventuali scritture originali di estratto conto mensili), bensì ai fatti che esse rappresentano (nella specie: rispondenza alla verità delle singole operazioni di conto corrente registrate). Giudice di pace Avigliana, 27-06-2002 Arch. circolaz., 2002, 775, n. CIARDI È afflitta da nullità la contestazione di una violazione di norme del codice della strada effettuata mediante la notificazione del mero riversamento su carta del «documento informatico» rappresentato dal file ottenuto dalla scansione del verbale di accertamento, laddove l’autenticazione di quelle che, a tutti gli effetti, sono via via copie dell’atto originale («informatica» e «cartacea») non venga effettuata nelle forme rispettivamente previste per tali tipi di documenti dal d.p.r. 445/2000 (associazione della «firma digitale» di chi crea o trasmette il file per il primo, e dichiarazione sottoscritta da parte di colui che attesta la conformità ad altro atto per il secondo). Cass., sez. I, 28-12-2000, n. 16204 Arch. circolaz., 2001, 291 Finanza loc., 2001, 762 Giust. amm., 2001, 243 Giust. civ., 2001, I, 982 In relazione a fattispecie antecedente all’entrata in vigore dell’art. 15 l. n. 59 del 1997 e dei regolamenti attuativi in esso previsti, deve escludersi la validità, sulla base dell’art. 3 d.leg. n. 39 del 1993, di ordinanze ingiunzioni irrogative di sanzioni amministrative per violazione dell’art. 204 cod.strad., ove prive di firma autografa, in quanto costituenti provvedimenti amministrativi non suscettibili di automatica elaborazione informatica e richiedenti, a norma degli art. 18 l. n. 689 del 1981 e 3 l. n. 241/90, specifica motivazione in relazione alle particolarità del singolo caso concreto; peraltro gli atti in questione debbono considerarsi comunque validi ove, pur in mancanza dell’autografia della sottoscrizione, i dati estrinsecati nel contesto documentativo degli stessi, consentano comunque di accertare aliunde la sicura attribuibilità, dell’atto a chi, secondo le norme positive, debba esserne l’autore. 34 35 Cassazione civile , sez. III, 17 maggio 2007, n. 11460 Fatto Con ricorso al pretore di Rapallo del 3 novembre 1997 A.A., nella qualità di erede di D.B.B. ved. A. che nel 1962 aveva concesso in locazione ad uso commerciale un immobile di sua proprietà a C.P., conveniva in giudizio A.M., M.G. e C.P.L. (nella qualità di eredi del conduttore succeduti nel rapporto locatizio) nonchè P.M.G. (succeduta agli eredi C. nell'occupazione dell'immobile) per ottenerne la condanna al pagamento delle differenze per canoni maturate dall'inizio del rapporto e reclamate nella misura di L. 123.956.669. I convenuti contrastavano la domanda, deducendo che il canone originario era di L. 30.000 e non di L. 65.000 mensili, siccome affermava il locatore sulla base di documentazione, che veniva contestata. Il pretore adito riteneva che il corrispettivo mensile originariamente pattuito era di L. 30.000 non avendo il locatore dimostrato che le parti originarie del contratto ne avessero previsto altra maggiore misura e rigettava la domanda. Sul gravame principale di A.A. e su quello incidentale di C.M.G. provvedeva la Corte d'Appello di Genova con la sentenza pubblicata il 3 aprile 2002, che, determinato il corrispettivo iniziale in L. 30.000 mensili, dichiarava che la locazione era stata assoggettata a proroga legale a decorrere dal 18 giugno 1977; rigettava l'eccezione di prescrizione; disponeva che il calcolo degli aumenti del canone fosse effettuato secondo il sistema "a base montante"; dichiarava interamente compensate le spese dei due gradi del giudizio. Ai fini che ancora interessano i Giudici dell'appello consideravano, quanto all'entità del canone originariamente pattuito, che la misura di L. 30.000 mensili era quella documentata dal contratto sottoscritto dalle parti e dalle quietanze di pagamento prodotte dai convenuti nel giudizio di primo grado. Ritenevano che la dimostrazione della maggiore entità del corrispettivo non poteva essere tratta dalla scrittura privata a firma di C.P. (contenente la dichiarazione di accettazione del nuovo canone mensile di L. 65.000) e dalla quietanza sottoscritta dall'originaria locatrice D.B.B. vedova A., poichè i due documenti erano stati disconosciuti ex art. 214 c.p.c., e per essi non era stata formulata l'istanza di verificazione. Aggiungevano che dei predetti documenti, che erano stati già prodotti in altre due cause tra le stesse parti e che nei relativi pregressi giudizi non erano stati disconosciuti dai conduttori, non era possibile per tale motivo recuperare l'efficacia probatoria nel presente giudizio se non a seguito di giudizio positivo di verificazione. Rilevavano, altresì, che la prova della dissimulazione di un canone in misura maggiore di quella indicata in contratto non poteva dirsi raggiunta in virtù di missiva inviata alla originaria locatrice. Ritenevano, infine, impraticabile il calcolo dell'eventuale residuo debito degli appellati essendo indisponibile l'esatto quadro dei versamenti effettuati a conclusione del rapporto, precisando che detto calcolo poteva essere effettuato dalle stesse parti trattandosi di "mera operazione matematica". Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.A., che ha affidato l'accoglimento dell'impugnazione a due censure, la prima articolata in tre distinti profili. Non hanno svolto difese gli intimati C.M.G., C.P.L. ed il fallimento di P.M.G., anche quale erede di C.A.M.. Diritto Con il primo motivo d'impugnazione - deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui all'art. 2702 c.c., artt. 112, 214 e 215 c.p.c., nonchè la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia - il ricorrente prospetta le seguenti censure: a) il Giudice del merito, nonostante il disconoscimento che la controparte aveva fatto delle due scritture private prodotte a dimostrazione della reale entità del canone di locazione, dei documenti in questione avrebbe dovuto, comunque, tenere conto, perchè essi in altro pregresso 36 giudizio tra le medesime parti non erano stati disconosciuti; b) il disconoscimento delle due scritture private non era stato effettuato nel presente giudizio, nel quale era stata soltanto contestata la conformità all'originale dei due documenti, per cui il giudice del merito in grado di appello avrebbe dovuto dichiarare che risultava integrata la fattispecie del riconoscimento implicito per la mancanza di una valida dichiarazione ai sensi dell'art. 214 c.p.c.; c) in ogni caso, anche a supporre un valido disconoscimento delle suddette due scritture private, il reale ammontare del canone il giudice del merito avrebbe dovuto ritenere provato sulla scorta di altra scrittura proveniente da C.C., la quale dichiarava che l'importo trimestrale del canone era di L. 198.000. Nessuna delle tre censure può essere accolta. In ordine alla prima è da rilevare, anzitutto, che nel ricorso, oltre a non riprodurre il testo dei due documenti, il ricorrente neppure specificato in quale altro precedente giudizio le due scritture siano state prodotte nonchè secondo quali modalità e ad opera di quale parte in causa sarebbe di esse derivato il riconoscimento implicito ex art. 215 c.p.c.. Questo giudice di legittimità non è posto, perciò, in grado di valutare la pertinenza e la decisività della censura, che risulta pertanto generica per difetto del requisito dell'autosufficienza. La parte ricorrente, che denuncia con l'impugnazione per cassazione il pregresso implicito riconoscimento di scritture private e di detta circostanza lamenta la mancata o inadeguata valutazione ad opera del giudice di merito, aveva, infatti, l'onere, oltre che di riprodurre nel ricorso il tenore esatto del documento, di indicare da quali altri elementi era possibile trarre la conclusione che le scritture medesime erano state prodotte in diverso e precedente giudizio, nel quale non erano state disconosciute, essendo al giudice di legittimità istituzionalmente vietato di ricercare direttamente le prove negli atti di causa o di compiere indagini integrative rispetto ai fatti prospettati dalla parte. L'interesse ad impugnare con ricorso per Cassazione discende, infatti, dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole e, a tal fine, è necessario che sia indicata in maniera adeguata la situazione di fatto della quale si chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal Giudice del merito, asseritamene erronea. In ogni caso, ove anche si potesse prescindere da tale preliminare rilievo di difetto di autosufficienza della censura, devesi rilevare che la tesi esposta dal ricorrente, secondo cui le scritture non disconosciute in altro giudizio conserverebbero anche in successivi giudizi tra le medesime parti l'efficacia della prova documentale assistita sino a querela, non può essere seguita. A sostegno di quanto assume, il ricorrente invoca il precedente di questa Corte n. 11406 del 1992 a mente del quale nel caso di produzione in giudizio di una scrittura privata, il suo mancato disconoscimento, ai sensi dell'art. 215 c.p.c., ne determina il legale riconoscimento, senza che alla parte, che non ha provveduto al suo rituale disconoscimento, sia dato di procedervi attraverso l'instaurazione di un nuovo e successivo giudizio. Il precedente suddetto, tuttavia, non ha il valore precettivo che ad esso il ricorrente attribuisce (quello, cioè, della ultrattività del riconoscimento tacito ex art. 215 c.p.c., della scrittura privata per il caso che essa sia fatta valere in altro successivo giudizio), ma si riferisce, invece, alla diversa ipotesi in cui, non essendo il disconoscimento avvenuto nel giudizio in cui il documento è prodotto, la parte al disconoscimento medesimo proceda in successivo nuovo giudizio per utilizzarne il relativo accertamento nella causa preventivamente introdotta allo scopo di ovviare, in tal modo, al fatto che nel primo giudizio il disconoscimento risulta ormai precluso. Ma non è questa l'ipotesi riferibile al caso di specie, nella quale, essendo mancato l'accertamento specifico con valore di giudicato dell'autenticità della scrittura prodotta (accertamento possibile solo attraverso il riconoscimento espresso della scrittura o per il tramite del giudizio di verificazione della scrittura medesima), il valore di presunzione assoluta derivante dal riconoscimento tacito del documento limita i suoi effetti, sul piano probatorio, al solo procedimento nel quale la presunzione stessa è destinata ad operare e ne esclude la pretesa operatività ultrattiva con efficacia erga omnes. 37 In tal senso è la risalente giurisprudenza di questa Corte (Cass., 21 maggio 1956, n. 1749) ed a conclusione analoga perviene la prevalente dottrina, la quale pone in rilievo che la fattispecie del riconoscimento tacito secondo il modello dell'art. 215 c.p.c., opera esclusivamente nel processo in cui detta fattispecie si realizza e che essa esaurisce i suoi effetti nell'ammissione della scrittura come mezzo di prova, con la conseguenza che la parte interessata, qualora il documento fosse prodotto in altro processo per derivarne effetti diversi, bene può disconoscerla. Detta conclusione, del resto, è coerente con la ratio della previsione del riconoscimento tacito in caso di contumacia della parte nei cui confronti la scrittura privata è prodotta, dato che dalla situazione di contumacia può derivare la presunzione di riconoscimento solo con effetti nel processo in cui la parte rimane assente, giacchè altrimenti la contumacia verrebbe inammissibilmente ad essere considerata produttiva di effetti sostanziali al di fuori di una reale volontà della parte ammissiva dell'autenticità della scrittura. La conclusione, inoltre, riceve testuale conferma dal fatto che, se al tacito riconoscimento della scrittura privata secondo il modello dell'art. 215 c.p.c., in un determinato processo fosse da riconoscere il preteso effetto ultrattivo, non avrebbe senso la disposizione del secondo comma dell'art. 217 c.p.c., che, nel novero delle scritture assistite dall'assoluta garanzia di autenticità che debbono servire da comparazione nel giudizio di verificazione, comprende quelle la cui provenienza dalla persona, che si afferma esserne l'autrice, "è riconosciuta oppure accertata per sentenza del giudice o per atto pubblico", significando in tal modo che occorre un riconoscimento espresso e non una situazione nella quale, per presunzione di legge, la scrittura "si ha per riconosciuta". Invero, siccome questa Corte ha precisato (Cass., n. 531/79; Cass., n. 129/2001), il previsto riconoscimento dell'art. 217 c.p.c., è quello positivo del reale riconoscimento, non già quello derivante dal dato negativo della mancanza del formale disconoscimento nei tempi e nei modi degli artt. 214 e 215 c.p.c.. Quanto alla seconda censura di cui innanzi sub b), in base alla quale non sarebbe stato effettuato nel presente giudizio un valido riconoscimento, dovendosi ribadire (ex plurimis: Cass., n. 9543/2002; Cass., n. 1591/2002) che l'idoneità delle espressioni utilizzate dalla parte a configurare un valido disconoscimento costituisce giudizio di fatto ed è incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata, osserva questa Corte che la parte ricorrente non segnala apprezzabili profili di illogicità della motivazione della sentenza sul punto. In ordine, poi, alla censura di cui sub c), devesi rilevare che trattasi di mera quaestio facti, diretta com'è ad ottenere in questa sede una diversa valutazione del documento sottoscritto da C.C., del quale il giudice del merito ha spiegato, con argomenti non illogici nè contraddittori, perchè di esso non si poteva tener conto ai fini indicati dall'appellante. Con il secondo mezzo di doglianza - deducendo la violazione della norma di cui all'art. 112 c.p.c., nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia - il ricorrente denuncia che il giudice del merito non si era pronunciato sulla sua domanda diretta ad ottenere il pagamento della somma complessiva di L. 123.956.669 (ovvero della maggiore o minore somma ritenuta), oltre interessi e rivalutazione, a titolo di differenza per canoni non corrisposti. Assume che la domanda, secondo quel che emerge dal dispositivo della sentenza di secondo grado, non risulta nè accolta, nè rigettata; che appare incongruente la giustificazione al riguardo adottata dell'indisponibilità dell'estratto delle somme versate; che la relativa indicazione analitica era nel documento n. 23 della sua produzione in primo grado; che lo stesso consulente tecnico aveva esposto le diverse ipotesi secondo cui poteva svolgersi il calcolo di quanto ancora spettantegli per somme non corrisposte; che l'ipotesi di calcolo fatta propria dalla Corte d'appello comportava un suo residuo credito, che il giudice del merito avrebbe dovuto quantificare e rispetto al quale doveva stabilire anche in ordine alla richiesta degli interessi e della rivalutazione. Il motivo è fondato e deve essere accolto con la pronuncia di cassazione dell'impugnata sentenza con rinvio alla medesima Corte d'appello di Genova in diversa composizione, la quale dovrà pronunciare in ordine alla domanda del reclamato credito e degli accessori, che, se sussistente, dovrà essere determinato nel suo complessivo ammontare. Costituisce, infatti, principio pacifico, al quale il giudice del rinvio dovrà uniformarsi, che, qualora l'attore abbia richiesto la condanna del convenuto al pagamento di una determinata somma a titolo di differenze non corrisposte di canoni di locazione, il giudice del merito non 38 può emanare una condanna generica e rimettere la liquidazione eventuale del credito medesimo al calcolo affidato alle medesime parti in base a criteri parametrici neppure indicati, ma, in ossequio al principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, deve determinare il credito in base agli elementi acquisiti al processo oppure rigettare la domanda per difetto di prova. Al Giudice del rinvio è rimessa anche la pronuncia in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità (art. 385 c.p.c., comma 3). P.Q.M La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta il primo motivo; cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'Appello di Genova in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 4 aprile 2007. Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2007. 39 Cass., sez. lav., 08-05-2007, n. 10430 Fatto Il Tribunale di Prato con sentenza n. 4 del 2002 rigettava la domanda proposta da D.N.A. contro PACINI INVEST SAS di PACINI Luigi e C. per ottenere il risarcimento del danno da mancato guadagno per L. 26.533.652, conseguente alle dimissioni dal lavoro rassegnate a causa delle ingiurie e molestie ricevute in ufficio e oggetto di denuncia penale. Il Tribunale non riteneva provata la domanda, in quanto non era ammissibile l'interrogatorio formale di PA.Lu., non rivestendo la carica di legale rappresentante della società, nè essendo ammissibile ai sensi dell'art. 2712 c.c. la consulenza tecnica di ufficio, volta alla trascrizione del nastro magnetico, in quanto la convenuta aveva contestato l'esistenza delle asserite conversazioni e della loro conformità ai fatti. L'anzidetta decisione, impugnata dalla D.N., è stata riformata, previo espletamento di consulenza fonografica, dalla Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 213 del 2004, che, in parziale accoglimento dell'appello, ha condannato la Giotto Immobiliare al pagamento a favore dell'appellante della somma di Euro 8367,29, oltre rivalutazione monetaria ed interessi. La Corte territoriale ha ritenuto ammissibile la consulenza tecnica per valutare gli elementi probatori desumibili dalle registrazioni fonografiche effettuate dalla D.N., in quanto il disconoscimento della conformità ai fatti rappresentati non impedisce al giudice di trarre in via presuntiva argomenti di giudizio anche dalle riproduzioni meccaniche, ove sorrette da elementi gravi, precisi e concordanti. Ciò premesso, il giudice di appello ha osservato che le risultanze della microcassetta registrata di cui alla consulenza tecnica confermavano il clima di particolare ostilità di PA.Lu. in reazione alla richiesta di ferie della dipendente, come evidenziato dalle contestazioni disciplinari mosse e dalla minaccia di denuncia ai Carabinieri per contestati ammanchi, ove la D.N. non avesse presentato a breve la lettera di dimissioni, pur dichiarandosi la stessa disposta alla restituzione. In questa situazione, ad avviso della Corte, erano da ritenersi giustificate sotto l'aspetto psicologico le dimissioni anticipate dalla D.N. al 6 dicembre 1996 rispetto alla scadenza del contratto a termine nel giugno successivo. Circa l'entità del danno risarcibile la Corte ha liquidato l'anzidetto importo di Euro 8367,29, pari alle retribuzioni maturate fino alla scadenza del contratto. La società ricorre per cassazione contro l'anzidetta sentenza con due motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c. La D.N. resiste con controricorso. Diritto 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa l'applicazione dell'art. 2712 c.c., art. 116 c.p.c., e art. 2729 c.c., nonchè vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). La Giotto Immobiliare sostiene che il giudice di appello non ha fatto buongoverno delle richiamate norme, in particolare dell'art. 2712 c.c., con riguardo all'ammissibilità della trascrizione del nastro magnetico, in quanto la stessa ricorrente, in sede di comparsa di costituzione e risposta dinanzi al primo giudice, aveva disconosciuto la conformità ai fatti della registrazione prodotta dalla controparte e comunque che la conversazione registrata sul nastro fosse avvenuto con il tenore ivi risultante. Ad avviso della ricorrente, l'art. 2712 c.c., se correttamente applicato, avrebbe dovuto escludere la possibilità da parte della Corte di Appello di provvedere alla trascrizione del nastro magnetico e di utilizzarne, quindi, il contenuto. Da parte sua la controricorrente ha contestato le avverse deduzioni ed argomentazioni e ha concluso per il rigetto del ricorso, ritenendo corretta la sentenza impugnata sia in ordine alla decisione di ammissione della trascrizione del nastro magnetico e della conseguente 40 utilizzazione degli elementi di fatto emersi da tale trascrizione, sia in ordine alla decisione di trarre argomenti di giudizio anche dalle riproduzioni meccaniche, ove sorretti, come nel caso di specie, da elementi gravi, precisi e concordanti. Ciò posto sulle opposte linee difensive, questa Corte ritiene privi di pregio i rilievi della ricorrente. Le statuizioni del giudice di appello sono condivisibili e non in contrasto con l'art. 2712 c.c., giacchè la contestazione della società non ha riguardato il fatto della registrazione, ma le sue risultanze, valutate, come già detto, dallo stesso giudice in base ad elementi presuntivi ex art. 2729 c.c., quali il clima di particolare ostilità di PA.Lu. in reazione alla richiesta di ferie della dipendente D.N. e alla minaccia di denuncia penale ai Carabinieri per contestati ammanchi di cassa, ove la D.N. non avesse presentato a breve la lettera di dimissioni. Sotto tale profilo può richiamarsi l'indirizzo giurisprudenziale il quale sostiene che il disconoscimento, che fa perdere alle riproduzioni meccaniche la loro qualità di prova e va distinto dal mancato riconoscimento diretto o indiretto - che non esclude il libero apprezzamento da parte del giudice delle riproduzioni legittimamente acquisite, deve essere chiaro e circostanziato ed esplicito con allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (Cass. n. 8998 del 2001). Il giudice di appello ha fatto corretta applicazione di tale orientamento, avendo ritenuto con apprezzamento in fatto, non censurato dalla ricorrente, che la contestazione mossa dalla difesa della società fosse generica, dal che la possibilità di un libero apprezzamento degli anzidetti elementi presuntivi ex art. 2729 c.c.. Questo Collegio non ignora altro indirizzo secondo il quale il disconoscimento delle riproduzioni meccaniche (nella specie cassetta audiofonica) di cui all'art. 2712 c.c. non consente la formazione di prova piena (Cass. n. 12715 del 1998), ma ciò non può precludere al giudice la ricostruzione del contenuto della registrazione, contestato in modo generico, attraverso elementi gravi, precisi e concordanti, la cui consistenza nel caso di specie, come già evidenziato, è stata acclarata dalla Corte territoriale con accertamento adeguatamente motivato. 2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. e art. 1453 e seguenti c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Al riguardo osserva che il giudice di appello ha in modo erroneo liquidato il danno nella misura delle retribuzioni maturande fino alla scadenza del contratto, laddove il pregiudizio, in mancanza di prova da parte della lavoratrice di un diverso e maggiore danno, è rappresentato unicamente dall'indennità sostitutiva del preavviso ex art. 2119 c.c., che richiama l'art. 2118 c.c., comma 2. Il motivo è infondato. La decisione del giudice di appello non è suscettibile di censura, in quanto nella specie non trattasi di rapporto a tempo indeterminato, in relazione al quale è prevista l'indennità sostitutiva del preavviso, ma di rapporto a termine, sicchè correttamente il danno, subito dalla lavoratrice in conseguenza delle dimissioni per giusta causa, è stato determinato nella misura pari alle retribuzioni che la stessa avrebbe percepito fino alla scadenza del contratto (in questo senso si richiama Cass. n. 924 del 1996; Cass. n. 6439 del 1995; Cass. n. 5600 del 1987). 3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato. Ricorrono giusti motivi, in considerazione della non uniformità delle decisioni dei giudici di merito, per dichiarare compensate le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese. Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2007. Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2007. 41 Cass., sez. un., 26-03-2007, n. 7246 Fatto Con atto di citazione notificato il 27 luglio 1992, P.I. e D.G., D.A., D.S. e T.R., questi ultimi quali eredi di D.F., convenivano in giudizio C.A. ed esponevano: - che, in base a contratto stipulato il 1 giugno 1990, i coniugi D.F. e P.I. avevano promesso di vendere ad C.A., che aveva promesso di acquistare, l'appartamento sito in Bracciano, via (OMISSIS), piano quarto, al prezzo di Lire 121.974.651; - che detto prezzo avrebbe dovuto essere, per una parte, corrisposto dalla C. mediante accollo di due mutui fondiari gravanti rispettivamente sull'immobile oggetto del contratto (per Lire 28.902.836) e su altro immobile di proprietà dei promittenti venditori (per Lire 80.757.918); - che, stipulato il 27 giugno 1990 il contratto di vendita, la compratrice si era accollato il solo mutuo gravante sull'immobile oggetto del contratto, ed aveva corrisposto le rate di entrambi i mutui fino al giugno 1991, omettendo però di pagare le successive rate semestrali del mutuo gravante sull'altro immobile; - che, richiesta dell'adempimento dagli eredi di D.F., nel frattempo deceduto, C.A. aveva rifiutato il pagamento; - che la compratrice era decaduta dal beneficio del termine ai sensi dell'art. 1186 c.c. e, pertanto, essi attori avevano diritto alla corresponsione della parte residua del prezzo effettivamente convenuto, pari a Lire 69.894,225; - che, su ricorso di essi attori, il Presidente del Tribunale, li aveva, con ordinanza del 17 giugno 1992, autorizzati ad eseguire sequestro conservativo sui beni di C.A. fino alla concorrenza di Lire 70.000.000, imponendo cauzione di Lire 20.000.000; - che il sequestro era stato eseguito mediante trascrizione, eseguita il 17 luglio 1992, del provvedimento sui registri immobiliari. Sulla base di tali premesse, gli attori chiedevano: la convalida del sequestro conservativo concesso in loro favore con l'ordinanza del 19 giugno 1992; l'accertamento che il prezzo di vendita dell'immobile sopra indicato era pari a Lire 121.974.651; l'accertamento dell'inadempimento della convenuta alla obbligazione di pagamento della somma di Lire 69.894.225, quale parte residua del prezzo; la condanna della convenuta al pagamento della somma di Lire 69.894.225, quale parte residua del prezzo, ed al risarcimento dei danni dipendenti dall'inadempimento, "da quantificare in corso di giudizio, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi come per legge". La convenuta si costituiva deducendo: - che in base ad accordi fra le parti del contratto preliminare del 1° giugno 1990 il prezzo della vendita dell'immobile che ne costituiva l'oggetto era stato parzialmente ridotto e che, pertanto, essa C.A. avrebbe pagato le rate del mutuo gravante sull'immobile oggetto della vendita e si sarebbe accollata le rate del mutuo dell'altro immobile appartenente ai venditori fino alla concorrenza di Lire 30.000.000; - che tale accordo era stato solo in parte trasfuso nel contratto di vendita del 27 giugno 1990, in cui le parti avevano dichiarato, a fini tributari, un prezzo pari a Lire 41.000.000, da corrispondersi in parte mediante il solo accollo del mutuo gravante sull'immobile oggetto del contratto; - che, pertanto, l'esatto contenuto dell'accordo era solo quello risultante dall'atto pubblico di vendita, essendo, ormai, inefficaci, sul punto, le pattuizioni contenute nel contratto preliminare; - che, pertanto, il sequestro conservativo non avrebbe potuto essere concesso, attesa l'inesistenza del credito vantato dagli attori. Con sentenza in data 11 marzo 1998 il Tribunale di Roma accoglieva le domande degli attori. C.A. proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Roma con sentenza in data 2 0 novembre 2001. I giudici di secondo grado ritenevano che infondatamente l'appellante si lamentava del fatto che il Tribunale di Roma avesse dato ingresso alle prove testimoniali offerte sulla differente entità del prezzo effettivamente pattuito fra le parti (rispetto a quello risultante dall'atto pubblico) sui rilievi che: in tema di simulazione relativa la prove per testi fra le parti è consentita solo per far valere l'illiceità del negozio dissimulato; e che - trattandosi di negozio che richiedeva la forma scritta per la validità - la prova testimoniale avrebbe richiesto la dimostrazione della perdita incolpevole del documento (ex art. 2725 cod. civ.); il primo giudice aveva, invece, richiamato erroneamente la disposizione dell'art. 2724 cod. civ., n. 1, attribuendo fra l'altro valore di 42 principio di prova scritta al contratto preliminare, che era stato superato dalle pattuizioni consacrate nell'atto pubblico. La decisione di primo grado, infatti, era conforme alla giurisprudenza di questa S.C., secondo la quale la prova, per testimoni o presunzioni, della simulazione del prezzo della vendita immobiliare non incontra, tra le parti, i limiti dettati dall'art. 1417 cod. civ., né contrasta con il divieto posto dall'art. 2722 cod. civ. La pattuizione di celare una parte del prezzo non è equiparabile, infatti, per mancanza di una propria autonomia strutturale o funzionale, all'ipotesi di dissimulazione del contratto, che conserva inalterati i suoi elementi di validità, inerenti al documento di cui si assume la falsificazione. Alla inefficacia della pattuizione apparente, concernente il prezzo, può dunque ovviarsi con una prova che ha scopo e natura semplicemente integrativa del contratto, e può risultare anche da deposizioni testimoniali o presunzioni. Presunzioni bene ricavabili anche dal tenore del preliminare, quando non risultino, fra questo e la data del definitivo, fatti che abbiano alterato in maniera sensibile gli interessi delle parti composti nel contratto. Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione C.A., con cinque motivi, illustratati da memoria. Resistono con controricorso D.G., D.A., D.S., T.R.. La causa è stata rimessa alle Sezioni unite in ordine al contrasto esistente in giurisprudenza in ordine alla possibilità di provare per testimoni la simulazione del prezzo della vendita. Diritto Con il primo motivo la ricorrente ribadisce la tesi secondo la quale la prova per testimoni del prezzo effettivamente pattuito non poteva essere ammessa in considerazione del disposto dell'art. 2722 cod. civ. La sentenza impugnata si è rifatta alla giurisprudenza meno recente di questa S.C. Si è, in proposito, affermato che, allorquando l'accordo simulatorio investe solo uno degli elementi del contratto (quale è il prezzo di una vendita immobiliare), per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, il contratto simulato non perde la sua connotazione peculiare, ma conserva inalterati gli altri suoi elementi - ad eccezione di quello interessato dalla simulazione - con la conseguenza che, non essendo il contratto in tali termini simulato né nullo né annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti. Pertanto, la prova per testimoni del prezzo effettivo della vendita, versato o ancora da corrispondere, non incontra, tra alienante e acquirente, i limiti dettati dall'art. 1417 cod. civ. in tema di simulazione, in contrasto con il divieto posto dall'art. 2722 cod. civ., in quanto la pattuizione di celare una parte del prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale, all'ipotesi di dissimulazione del contratto, così che la prova relativa ha scopo e materia semplicemente integrativa e può pertanto risultare anche da deposizioni testimoniali (sent. 24 aprile 1996 n. 3857; 23 gennaio 1988 n. 526). In altra occasione si è più genericamente affermato che il requisito di forma è adempiuto ove sussista nel contratto simulato o in quello dissimulato, in considerazione della sostanziale unità della determinazione volitiva delle parti nel fenomeno simulatorio e della operatività della simulazione sul piano egli effetti e non sulla validità del contratto (sent. 9 luglio 1987 n. 5975). Da tale orientamento, che non incontra il favore di una parte rilevante della dottrina, si è di recente distaccata la sentenza di questa S.C. in data 19 marzo 2004 n. 5539, la quale ha così motivato: Per una corretta impostazione del problema è opportuno prendere le mosse dal disposto dell'art. 2722 c.c. Tale norma esclude che tra le parti si possa dare per testimoni la prova di un patto aggiunto o contrario al contenuto di un documento, ove si alleghi che la stipulazione del patto sia stata anteriore o contemporanea alla redazione del documento medesimo. Al pari che in tutte le altre disposizioni sui limiti della prova testimoniale, traspare qui un certo grado di ragionevole diffidenza del legislatore nei riguardi di un tale genere di prova, soprattutto quando essa sia volta a sormontare risultanze assai meno controvertibili quali quelle documentali, è chiaro, cioè, l'intento di impedire che rapporti giuridici tra le parti, quando documentalmente provati, possano essere alterati da prove par testi, appunto perché queste non offrono la stessa garanzia di veridicità di quella documentale e perché non è logico presumere che, una volta scelta la via della documentazione degli accordi contrattuali tra esse intercorsi, le parti ne 43 abbiano affidato la modifica ad intese meramente verbali. Sicché ben si comprende anche la ragione del superamento del suindicato limite alla prova testimoniale quando, nei casi specificamente contemplati dal successivo art. 2724 c.c., quella negativa presunzione possa invece essere superata. Il limite alla prova testimoniale di cui si sta discutendo, per le ragioni che vi sono sottese, è quindi destinato ad operare in qualsiasi caso si sostenga esservi una divaricazione tra il contenuto di un contratto, formalmente consacrato in un documento, ed una diversa pattuizione, ugualmente pregna di contenuto negoziale, che nel documento medesimo non sia riportata e di cui, tuttavia, si assuma esservi stata una stipulazione anteriore o contemporanea. Il fenomeno della simulazione contrattuale, sia essa assoluta o relativa, non esaurisce l'area di possibile applicazione di detto art. 2722 c.c., ma sicuramente ne occupa una larga parte. Ed, infatti, nel disciplinare ex professo i limiti della prova testimoniale della simulazione, il legislatore non ha dettato una disposizione in se compiuta ed autosufficiente, ma si è unicamente preoccupato di chiarire, nell'art. 1417 c.c., che quella prova è ammessa senza limiti tanto nel caso di domanda proposta da creditori o da terzi quanto nell'ipotesi in cui, essendo proposta dalle parti, la domanda sia volta a far valere l'illiceità del contratto dissimulato. I limiti cui il citato art. 1417 c.c. allude - e che consente di superare solo nelle suddette particolari situazioni - sono, ovviamente, quelli dettati dagli artt. 2721 c.c., e segg., ed in particolare quelli già sopra richiamati a proposito dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento. Stando così le cose, quando la prova tra la parti della simulazione di un contratto documentale non riguardi l'illiceità del contratto dissimulato, è evidente che essa incontra i suaccennati limiti di prova (vedi anche, in tal senso, Cass. n. 16021 del 2002 e n. 4073 del 1992). Ma appare difficile negare che tali limiti operino anche in presenza di una simulazione soltanto parziale, ogni guai volta questa si traduca nell'allegazione di un accordo ulteriore e diverso da quello risultante dal contratto, comunque destinato a modificare l'assetto degli interessi negoziali riportato nel documento sottoscritto dalle parti. Né certo sarebbe ragionevole sostenere che la clausola di determinazione del prezzo non abbia rilevanza centrale nell'economia degli interessi regolati mediante un contratto di compravendita. D'altronde, affermare che la pattuizione con cui le parti convengano un prezzo diverso da quello indicato nel documento contrattuale da esse sottoscritto non integrerebbe gli estremi di una vera e propria simulazione, avendo scopo meramente integrativo, non risolve in alcun modo il problema. Se anche così fosse, infatti, resterebbe comunque difficilmente eludibile il rilievo per cui una tale pattuizione si pone in contrasto con il contenuto di un documento contrattuale contestualmente stipulato e, come tale, ricade nella previsione dell'art. 2722 c.c. La differenza che l'orientamento giurisprudenziale qui non condiviso introduce - tra la prova della simulazione, soggetta agli anzidetti limiti legali, e la prova di patti meramente integrativi del contratto, che detti limiti non incontrerebbe perché quei patti difetterebbero di una propria autonomia strutturale o funzionale - non sembra perciò trovare un sufficiente appiglio: né nella lettera del citato art. 2722 c.c., che si riferisce ai "patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento", e quindi anche a quelli di carattere integrativo se essi contengano elementi nuovi o contrastanti con quelli documentati; né nella già richiamata ratio legis, che evidentemente abbraccia ogni ipotesi nella quale si pretenda di dare, per mezzo di testimoni, la prova di obblighi o diritti di portata diversa da quanto risulta da accordi consacrati in un documento e perciò dotati di un grado di certezza non superabile con quel genere di prova. Ritiene il collegio di condividere tale più recente orientamento. Va, in proposito, osservato che il fatto che il contratto simulato non sia nullo o annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti non giustifica la conclusione che il contratto dissimulato, il quale è destinato ad avere effetto tra le parti, non debba avere i requisiti di forma necessari per la validità dello stesso, secondo quanto espressamente stabilito dall'art. 1414 cod. civ., comma 2. Né si potrebbe sostenere che il requisito di forma sarebbe soddisfatto dal negozio simulato (come sembra sostenere la sentenza 9 luglio 1987 n. 5975). Una tesi analoga era stata sostenuta questa S.C. anche in tema di interposizione fittizia, ma è stata successivamente abbandonata (cfr. sent. 22 aprile 1986 n. 2816; 22 novembre 1979 n. 6074), in base alla considerazione che l'interposizione deve risultare anch'essa da un patto rivestito della forma solenne. Né, con riferimento specifico al problema della prova del prezzo, si potrebbe sostenere che la prova per testimoni sarebbe destinata soltanto ad integrare soltanto un elemento negoziale per il quale il requisito di forma è soddisfatto dal contratto simulato. 44 E' facile osservare che il prezzo è un elemento essenziale della vendita, per cui anch'esso deve risultare per iscritto e per intero quando per tale contratto è prevista la forma scritta ad substantiam, non essendo sufficiente che quest'ultima sussista in relazione alla manifestazione di volontà di vendere e di acquistare. In altri termini, la prova per testimoni del prezzo dissimulato di una vendita immobiliare non riguarda un elemento accessorio del contratto, in relazione al quale non opera il divieto di cui all'art. 2722 cod. civ., ma un elemento essenziale, con conseguente applicabilità delle limitazioni in tema di prova previste da tale disposizione. Alla luce delle considerazioni svolte, il primo motivo del ricorso va accolto, con assorbimento degli altri motivi, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M La Corte accoglie il primo motivo del ricorso; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, il 6 marzo 2007. Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2007 45 Cass., sez. un., 20-04-2005, n. 8202 Fatto Con ricorso depositato in data 29 aprile 1993 E.F., F.S. e F.S., tutti nella qualità di eredi di R.S., adivano il Pretore di Palmi, in funzione di giudice del lavoro, esponendo che il loro dante causa R.S., deceduto in data 11 settembre 1992, era affetto da patologie gravi che ne avevano menomato la capacità di muoversi autonomamente e di attendere alle proprie ordinarie e personali necessità quotidiane. Chiedevano, quindi, che fosse riconosciuto giudizialmente lo stato di invalidità assoluta del loro dante causa ed il diritto all'indennità di accompagnamento, e che il Ministero dell'Interno fosse condannato al pagamento dei relativi ratei. Il Pretore rigettava la domanda ed il Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza del 5 gennaio 2002, confermava la prima decisione. Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale escludeva, sulla base del disposto dell'art. 437 c.p.c., che si potesse tenere conto dei nuovi documenti (non indicati nell'atto di appello) prodotti nel corso del gravame, e sui quali il consulente tecnico d'ufficio nominato in quel grado del giudizio aveva fondato, in via esclusiva, il suo parere positivo sulla sussistenza del requisito sanitario richiesto per il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento. A sostegno della sua decisione il giudice d'appello osservava che i documenti in oggetto erano stati depositati solo dopo l'inizio delle operazioni, violandosi così il precetto che limita la possibilità di acquisire documenti in appello solo al momento della proposizione del gravame. Precetto che nel caso di specie risultava applicabile trattandosi non di documenti sopravvenuti ma invece di documenti di data anteriore al primo grado di giudizio. Avverso tale sentenza E.F., F.S. e F.S., nelle suddetta qualità, propongono ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo. Resiste con controricorso il Ministero dell'Interno. A seguito di ordinanza del 22 luglio 2003 della Sezione lavoro il Primo Presidente ha disposto che, ai sensi dell'art. 374 c.p.c., le Sezioni Unite si pronunzino in ordine all'ammissibilità nelle controversie di lavoro della produzione di nuovi documenti in appello, per essere la questione stata oggetto di contrasto all'interno della stessa Sezione lavoro. Diritto 1. Con l'unico motivo di ricorso gli eredi di R.S. denunziano violazione di legge e mancata o insufficiente motivazione sui punti decisivi della controversia (art. 1 legge n. 18 del 1980 e successive modificazioni; art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.). In particolare denunziano che il giudice di appello ha disatteso con la sua decisione la giurisprudenza della Corte di cassazione, che ha ripetutamente affermato che nel rito del lavoro i documenti, quali prove precostituite, ancorché non indicati nel ricorso possono essere prodotti fino all'udienza di discussione, anche in appello, senza incorrere nelle preclusioni di cui agli artt. 414, 416 e 437 c.p.c.; norme quest'ultime applicabili alle sole prove costituende. 2. Ragioni di ordine argomentativo rendono opportune alcune preliminari considerazioni sulla problematica oggetto dell'esame di queste Sezioni Unite. 2.1. Come evidenziato nella già indicata ordinanza del 22 luglio 2003, dopo la sentenza delle Sezioni unite del 6 settembre 1990 n. 9199 - secondo la quale la produzione dei documenti, pur sottraendosi al divieto sancito dall'art. 437 c.p.c., esige a pena di decadenza che essi siano indicati specificamente nel ricorso dell'appellante o nella memoria dell'appellato e vengano depositati contestualmente a tali atti (salvo che si tratti di documenti sopravvenuti o la cui produzione sia giustificata dallo sviluppo della vicenda processuale) - sono intervenute numerose pronunzie che hanno confermato quanto statuito dalla ricordata decisione, anche in ordine alle modalità ed ai limiti della produzione (cfr. ex plurimis: Cass. 26 maggio 2004 n. 10128, con riferimento alle controversie in materia di locazione, cui è applicabile il rito del lavoro, cui adde, Cass. 19 maggio 2003 n. 7845; Cass. 24 novembre 2000 n. 15197; Cass. 5 agosto 2000 n. 10335; Cass. 10 giugno 2000 n. 7948; Cass. 4 maggio 2000 n. 5596; Cass. 29 dicembre 1999 n. 14690; Cass. 17 novembre 1994 n. 9724, ed, ancora, Cass. 15 ottobre 1992 n. 11323, che ha però escluso la regola della necessaria indicazione dei documenti nuovi nell'atto introduttivo del giudizio di appello con riferimento alle controversie in tema di invalidità pensionabile, ove la documentazione medica riguardi aggravamenti o infermità certificati in epoca posteriore al deposito del ricorso d'appello). 46 Altre decisioni, invero, nel confermare la non operatività del divieto di cui all'art. 437, comma 2, c.p.c. in relazione alle prove costituite, hanno mostrato maggiore flessibilità nel dare ingresso alla produzione dei documenti, statuendo che detta produzione, anche se i documenti non siano indicati in ricorso, possa avvenire fino alla udienza di discussione anche in appello (Cass. 19 marzo 2003 n. 4048; Cass. 25 gennaio 2000 n. 817 nonché, con riferimento ai documenti sopravvenuti nel corso del giudizio d'appello, e, pertanto, inevitabilmente non indicati nel ricorso, Cass. 2 novembre 1998 n. 10944; Cass. 8 aprile 1998 n. 3640). Uno scrutinio delle indicate pronunzie ne evidenzia il dato comune nell'assunto, condiviso anche da una parte della dottrina, che il divieto sancito dall'art. 437, comma 2, c.p.c. - di ammissione in grado di appello nelle controversie soggette al rito del lavoro di nuovi mezzi di prova (salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione) - si riferisca soltanto alle prove costituende, per le quali è previsto in generale un giudizio di ammissibilità ed un procedimento di assunzione (cui fa riferimento in particolare lo stessoart. 437, comma 3, c.p.c.) e non riguarda invece la produzione di documenti, la cui acquisizione, tra l'altro, non contrasta con le esigenze di concentrazione e di immediatezza caratterizzanti il processo del lavoro. 2.2. Si è andato nel tempo, però, formando un indirizzo restrittivo, fondato sul principio che il potere del giudice d'appello di ammettere nuovi documenti trova un limite nel carattere veramente <nuovo> che la documentazione offerta in sede di impugnazione deve avere, sicché il documento che poteva essere indicato ex art. 414 n. 5 c.p.c. nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado non può più essere prodotto in appello (cfr. Cass. 4 agosto 1994 n. 7233). E sempre nell'ambito di più restrittivi orientamenti, in alcuni pronunziati è stato, poi, affermato che nel rito del lavoro è inammissibile la produzione dei documenti sui quali il giudice di primo grado abbia già emesso una pronunzia di inammissibilità, con contestuale dichiarazione di decadenza della parte stessa dalla facoltà di produrli, osservandosi al riguardo che la produzione di tali documenti vanificherebbe la sanzione di decadenza già pronunziata (cfr. Cass. 6 marzo 2003 n. 3380; Cass. 16 maggio 2000 n. 6342; Cass. 2 aprile 1992 n. 4013). Nello stesso ordine di idee si è poi rimarcato che il principio per cui il giudice può rilevare di ufficio le eccezioni in senso lato o improprio, non comporta di per sé che, nel rito speciale del lavoro, la parte possa produrre in grado di appello documenti a sostegno di una di dette eccezioni quando non siano stati formati successivamente all'introduzione del giudizio di primo grado, ed in quel giudizio sia stata pronunciata la decadenza della parte dalla produzione tardivamente effettuata (Cass. 11 agosto 1998 n. 7907). 2.3. Si ascrive all'indirizzo volto a rendere rigoroso il sistema delle preclusioni, con riferimento alla produzione dei documenti, l'affermazione dei giudici di legittimità che la possibilità per la parte di produrre, tardivamente nel giudizio di primo grado, prove documentali presuppone ex art. 420, comma 5, c.p.c. che si tratti di documenti sopravvenuti nella disponibilità delle parti stesse ed in ogni caso che si tratti (in coerenza con il disposto dell'art. 416 n. 3 c.p.c) di documenti a sostegno di eccezioni o posizioni difensive tempestivamente dedotte, risultando "fuorviante invocare la nota ripartizione tra prove costituite e prove costituende" al fine di superare le preclusioni rigidamente indicate dalla citata norma del codice di rito (cfr. in tali sensi: Cass. 1 ottobre 2002 n. 14110). 2.4. Nel quadro globale dei precedenti giurisprudenziali sulla problematica in esame, sicuramente espressione dell'indirizzo più rigoroso è una recente pronunzia della Sezione lavoro di questa Corte che, dopo avere sottoposto a revisione critica tutti gli elementi su cui si basa il contrario orientamento, esclude, sulla base di ragioni sia testuali che logico-sistematiche, la possibilità di differenziare ai fini preclusivi prove costituite e prove costituende, da ciò facendo scaturire l'inclusione dei documenti nei <nuovi mezzi di prova>, indicati nell'art. 437, comma 2, c.p.c., con conseguente applicabilità anche per la produzione documentale della disciplina limitativa delle prove in appello, dettata dalla summenzionata disposizione di rito. Nel delineato assetto ricostruttivo della operatività nel rito del lavoro delle preclusioni, il limite alla producibilità dei nuovi documenti finisce così per non operare solo per: i documenti preesistenti, la produzione dei quali sia giustificata dallo sviluppo assunto dal processo (art. 420, comma 5 e 7, c.p.c.); i documenti destinati a provare un fatto di cui, con ragionevole attendibilità, non è prospettabile una particolare contestazione; i documenti costituiti, pur dopo il ricorso introduttivo della lite, aventi ad oggetto l'accertamento delle condizioni di salute dell'assicurato, che possono essere esibiti nel corso del giudizio ed anche in grado d'appello in ragione del disposto dell'art. 149 disp. att. c.p.c. (che nelle controversie previdenziali in materia di invalidità dà rilievo all'aggravamento della malattia, nonché a tutte le infermità comunque 47 incidenti sul complesso invalidante che si siano verificate tanto nel corso del processo amministrativo che di quello giudiziario) (cfr. Cass. 20 gennaio 2003 n. 775). 3. L'indirizzo da ultimo indicato, che ha indotto la dottrina a rivisitare approdi in buona misura sedimentati ed a sollecitare un intervento di queste Sezioni Unite volto a eliminare nell'esercizio dei suoi poteri nomofilattici - il denunziato contrasto, impongono alcune considerazioni sulla specialità del processo del lavoro al fine di accertare se ed in quali limiti detta specialità si rifletta sulla soluzione della problematica in esame. 4. Queste Sezioni Unite in relazione all'onere <di prendere posizione, in materia precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda>, previsto dall'art. 416, ultimo comma, prima parte c.p.c., hanno statuito che il combinato disposto di quest'ultima disposizione e dell'art. 167, 1 comma, c.p.c. fa <della non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, proprio per la ragione che l'atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla stregua dell'esposta regola di condotta processuale, espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti>; su tale premessa hanno poi precisato che nel nostro sistema il principio della "non contestazione" viene ad accreditarsi di tendenziale irreversibilità (dovendosi fare salvi i casi di contestazione rimessi ad atti successivi a quelli introduttivi del giudizio) <in piena coerenza con la struttura del processo che, nel rito del lavoro, è finalizzata a far sì che all'udienza di discussione la causa giunga delineata in modo compiuto, quanto ad oggetto ed ad esigenze istruttorie, secondo un modello non estraneo, ormai, come nota autorevole dottrina, neanche al rito ordinario, improntato, dopo la riforma del 1990, a finalità di chiarezza e semplificazione rese palesi dal concatenamento fra la fase diretta alla chiarificazione della posizione delle parti e la fase della formulazione delle richieste istruttorie> (cfr. in tali sensi Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2002 n. 761, cui adde successivamente, Cass. 8 febbraio 2003 n. 1562; Cass. 15 gennaio 2003 n. 535). 4.1. Gli enunciati principi, che si pongono in linea con il rigoroso sistema delle preclusioni dettato dal legislatore del 1973 (che ha disegnato un coerente sistema ispirato ai principi di concentrazione, immediatezza ed oralità, propugnati da autorevole dottrina processualistica) e che si presentano come passaggio obbligato per una effettiva funzionalità dell'intero sistema incentrato sulle preclusioni e sulle decadenze di cui agli artt. 414 c.p.c. e 416 c.p.c. (sistema che trova piena legittimazione costituzionale nel carattere paritario della disciplina difensiva dell'attore e del convenuto, giusta quanto evidenziato da Corte Cost. 14 gennaio 1977 n. 13), sono stati ribaditi di recente da altra pronunzia delle Sezioni Unite, che ha messo in evidenza come il principio della non contestazione del <fatto costitutivo del diritto> sia funzionalizzato alla predisposizione dell'udienza di discussione, in cui si completa quello che è stato definito <il quadro complessivo> della materia in giudizio, in relazione al quale è possibile condurre le necessarie indagini istruttorie onde pervenire alla decisione con celerità (anche, cioè, nella stessa udienza, definita alla stregua di quanto disposto dall'art. 420 c.p.c. "tendenzialmente unica") (cfr. al riguardo Cass., Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353). In tale contesto ricostruttivo i giudici di legittimità hanno anche sottolineato - con argomentazioni in verità capaci di assumere portata generale a seguito della novella n. 353 del 1990 (e delle modifiche conseguenti alla l. n. 534 del 1995) e di certo improntate anche ad una ineludibile tutela della certezza, celerità ed economia dei giudizi - come nel rito del lavoro si riscontri tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova una indubbia circolarità, con reciproco condizionamento, come è attestato dall'evidenziata impossibilità di richiedere la prova oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito su fatti non allegati nonché su circostanze che, pur configurandosi come presupposti del diritto azionati, non siano stati esplicitati in modo specifico nel ricorso introduttivo del giudizio (cfr. Cass., Sez. Un., 11 giugno 2004 n. 11353 cit.). Circolarità questa che, seppure con distinte modalità espressive, viene riconosciuta in dottrina allorquando si sottolinea, al fine di un dinamico ma nello stesso tempo razionale svolgimento del processo, la necessaria correlazione che lega l'attività di deduzione delle prove (attività istruttoria) all'attività di introduzione dei relativi fatti da provare (attività assertiva). 4.2. Gli enunciati principi segnano i confini entro i quali deve trovare composizione il contrasto in esame, in ragione del rispetto della invocata funzione nomofilattica di questa Corte, che verrebbe a subire un grave vulnus se a fronte ai suddetti principi si finissero per introdurre incoerenze sistematiche, sicuramente riscontrabili in una ricostruzione della dinamica processuale che, a fronte di una estrema rigorosità nella determinazione dei tempi di 48 indicazione (precisazione o modificazione) degli elementi (di fatto e di diritto) posti a base della domanda, e delle eccezioni (processuali e di merito) della controparte (cfr. artt. 414 n. 4 e 416 per il rito del lavoro; ed artt. 163 n. 4, 166, 183 e 184 per il rito ordinario), si finissero poi per avallare opzioni ermeneutiche volte - senza un sicuro approdo a chiari precetti normativi ad affrancare le produzioni documentali da preclusioni operative per tutte le restanti prove. 4.3. Ai fini decisori va da ultimo rimarcato che - pur non potendosi di certo attraverso il sistema delle preclusioni ledere il diritto di difesa delle parti e la ricerca della verità materiale la garanzia della <ragionevole durata del processo>(riconosciuta come diritto dall'art. 6 della Convenzione europea ed ora espressamente sancita dall'art. 111, comma 2, Cost.), debba fungere come parametro di costituzionalità delle norme processuali per essere oggetto <oltre che di un interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno di quello di un giudizio equo ed imparziale> (così da ultimo Corte Cost. 21 marzo 2002 n. 78), con la conseguenza che l'opera ermeneutica del dato normativo deve accompagnarsi - come è stato osservato da quanti si sono confrontati proprio con le problematiche in questa sede esaminate alla consapevolezza che i termini acceleratori e le preclusioni volte ad impedire l'ingresso nel processo di un fatto e/o di una prova sono funzionalizzati proprio a tutelare il suddetto principio della <ragionevole durata> e quello, ad esso correlato, dell'<economicità> del giudizio. 5. È generalizzata in dottrina ed in giurisprudenza la distinzione delle prove in prove costituite e prove costituende, per caratterizzarsi, le prime (come le prove documentali) per la loro formazione al di fuori del processo (e, di solito, prima di esso) e per l'acquisizione nel processo attraverso un mero atto di esibizione, e le seconde (come le prove orali: prove testimoniali, confessione, giuramento, ecc.) per formarsi, di contro, nel processo, come risultato dell'attività istruttoria a seguito di una istanza di parte e di conseguenziale provvedimento di ammissione del giudice. 5.1. Orbene, la diversa regolamentazione tra prove costituite e prove costituende concretizzantesi nel riconoscimento di spazi più ampi (anche se indicati, nel variegato panorama dottrinario e giurisprudenziale, in termini non sempre coincidenti) di ingresso nel processo per le prime - viene fondata sostanzialmente su un duplice ordine di argomenti. Il primo di carattere letterale fa leva sulla distinta menzione di <mezzi di prova> (art. 345, comma 3, per il rito ordinario; art. 420, comma 5 e 7, art. 421, comma 2, art. 437, comma 2, per il rito del lavoro) identificati con le prove costituende, e del termine <documenti> (art. 163 n. 5, art. 167, comma 1, art. 184 per il rito ordinario; art. 414 n. 5, 416, comma 2, per il rito del lavoro), da identificarsi, invece, con le prove costituite. Il secondo di carattere logico-sistematico viene ravvisato nella diversa ricaduta delle due differenti categorie di prove sulla durata del processo, per non necessitare le prove precostituite di nessuna attività istruttoria capace di ritardare l'esito della controversia. 5.2. Le argomentazioni suddette, evocate ripetutamente in numerosi pronunziati (cfr. tra le tante: Cass. 12 luglio 2002 n. 10179; Cass. 20 novembre 2000 n. 15197 cit.; Cass. 29 marzo 1993 n. 1359; Cass., Sez. Un., 6 settembre 1990 n. 9199 cit., cui adde, in epoca più risalente, Cass. 25 maggio 1978 n. 2654; Cass. 29 giugno 1997 n. 2835; Cass. 16 ottobre 1976 n. 3503), sono state sottoposte di recente a revisione oltre che dai ricordati pronunziati anche dalla dottrina che, con voce quasi unanime, ha ritenuto che la produzione documentale viva delle stesse preclusioni previste per le prove costituende, con considerazioni che questa Corte ritiene di condividere. 5.3. La sottolineatura operata da più parti della distinzione codicistica tra <mezzi di prova> (i soli che sarebbero ammessi al vaglio dell'ammissibilità), e <documenti> (che sarebbero, invece, assoggettabili unicamente al giudizio di rilevanza), per inferirne in via argomentativa una diversa incidenza delle preclusioni - scaturenti dall'imposizione di termini perentori o decadenze - sull'indagine istruttoria (con conseguente sottrazione della produzione documentale al dictum dell'art. 345, comma 3, e 437, comma 2, c.p.c.), oltre a non tenere conto che, non certo di rado, lo stesso legislatore codicistico parla di <mezzi di prova> e di <ammissione>degli stessi anche con riferimento alla produzione documentale (cfr. art. 698 c.p.c. sull'assunzione delle prove preventive; art. 495, comma 3, c.p.p. che, regolando i provvedimenti del giudice in ordine alla prova, statuisce espressamente: "Prima che il giudice provveda sulla domanda, le parti hanno facoltà di esaminare i documenti di cui è chiesta l'ammissione"), non assegna, per di più, il dovuto valore all'opinione di chi, autorevolmente, nell'ambito della dottrina processualistica, ha rimarcato come anche la prova documentale sia un <mezzo di prova>, 49 perché tutte le prove sono <mezzi>, cioè strumenti per asseverare quanto assunto dalle parti nei loro atti difensivi, perché in senso tecnico l'espressione <mezzi di prova> sta, appunto, ad indicare <le persone o le cose da cui si vogliono trarre elementi di conoscenza utili alla ricerca della verità>. Ed in una medesima ottica si è affermato che i documenti configurano una specie, sia pure particolare, del genus <mezzi di prova>, evocandosi a sostegno di tale assunto il disposto dell'art. 163 n. 5, sopravvissuto alle novelle del 1950 e del 1990, che (con formula analoga a quella degli artt. 414 n. 5, e 416, comma 3) prevede che l'atto di citazione deve contenere <l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi ed in particolare dei documenti che offre in comunicazione>, sicché è lecito concludere che il legislatore ha adottato una nozione di <mezzi di prova> comprensiva dei documenti, i quali ne costituiscono, appunto, una species ("in particolare"). Il dato letterale, cui è stato assegnato una pregnante portata contenutistica, viene così a trovare la sua ratio in ragioni che tale portata non giustificano per risalire unicamente al distacco temporale tra il momento della produzione di documenti e quello dell'ammissione, come è significativamente attestato dall'art. 87 disp. att. c.p.c. che - in relazione ai documenti offerti in comunicazione dalle parti dopo la loro costituzione - dispone il deposito in cancelleria con la comunicazione del relativo elenco alle altre parti ex art. 170, ult. comma, c.p.c. non certo per escludere un giudizio sulla loro ammissibilità (la cui richiesta è implicita nella stessa produzione), ma per consentire che anche su di essa venga assicurato un effettivo contraddittorio. Merita, dunque, pieno consenso l'assunto secondo cui la distinta menzione dei <documenti> (oggetto di produzione) e <mezzi di prova> (oggetto di richiesta di ammissione) (cfr. artt. 184 e 345, questo nel testo anteriore alla legge 14 luglio 1950 n. 581) ed il parallelismo con cui questi strumenti vengono disciplinati (parallelismo presente anche nell'art. 416, comma 3, c.p.c.) sono di fatto determinati <dal particolare meccanismo che la richiesta di prova per documenti comporta: la produzione dell'atto, come fatto che materialmente precede, e necessariamente implica e formalmente esprime, questa richiesta> (così: Cass. 20 gennaio 2003 n. 775 cit.). 5.4. Né per andare in contrario avviso per legittimare un meno rigoroso impatto delle preclusioni sulla prova documentale vale richiamarsi alle esigenze di particolare celerità e di concentrazione (che con il nuovo rito il legislatore ha voluto soddisfare) per poi dedurne che dette esigenze non sarebbero messe in pericolo dalla produzione ed acquisizione di nuovi documenti in quanto prove già costituite. È opinione generale che la produzione di nuovi documenti, pur non richiedendo un procedimento di assunzione, può determinare un prolungamento delle attività processuali. Ed invero, al di là del fatto che la produzione di un atto pubblico o di una scrittura privata può determinare giudizi di per sé lunghi e complessi a seguito dei procedimenti per querela di falso o di istanza di verificazione, il richiamo alle esigenze di celerità sembra concretizzare soprattutto un intento meramente evocativo perché, come è stato autorevolmente notato, ogni volta che consenta ad una parte una acquisizione nel processo di una nuova produzione documentale il giudice non può - in ossequio del diritto di difesa e del principio del contraddittorio - negare alla controparte la possibilità di dedurre i mezzi di prova resisi necessari in relazione ai documenti prodotti, pur se comportanti l'espletamento di una attività istruttoria incompatibile con quelle esigenze di celerità e concentrazione del processo, che invece si vorrebbe non essere intaccati dalla tardiva produzione. 6. Quanto sinora esposto offre le coordinate nel rispetto delle quali deve procedersi per individuare - con una coerenza logica importante una indifferenziata soluzione per ogni tipo di prova - i termini processuali entro i quali è consentito nel rito del lavoro l'ingresso ad istanze istruttorie e, pertanto, anche la produzione di documenti. 6.1. Ed invero, nell'indicato quadro ricostruttivo, il combinato disposto dell'art. 416, comma 3 che stabilisce tra l'altro che il convenuto deve, come si è già ricordato, indicare <a pena di decadenza> i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed <in particolare modo i documenti che deve contestualmente depositare> (onere probatorio gravante anche sull'attore per il principio di reciprocità fissato dal giudice delle leggi con la decisione 14 gennaio 1977 n. 13; cfr. al riguardo Cass., Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353, e fra le altre Cass. 17 aprile 2002 n. 5526 cit.) - e dell'art. 437, comma 2 (proiezione e specificazione delle preclusioni già emergenti dall'art. 416, comma 3, e 420, comma 5 e 7) - che a sua volta esclude l'ammissione di <nuovi mezzi di prova> (nei quali devono annoverarsi anche i documenti: cfr. al riguardo in tali sensi: Cass. 13 dicembre 2000 n. 15716) - induce a fissare il principio di diritto che <l'omessa 50 indicazione, nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall'evolversi delle vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo)>. 6.2. Nel caso in esame il mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, intesi a regolamentare la dinamica processuale in funzione propulsiva, importa l'irreversibilità dell'estinzione del processuale diritto di produrre il documento con l'insuscettibilità di una sua riviviscenza in un successivo grado di giudizio (così: Cass. 20 gennaio 2003 n. 775 cit.). Ed, infatti, l'inosservanza degli oneri correlati al rispetto dei suddetti termini, impedisce il verificarsi di <movimenti a ritroso>, perché le preclusioni si presentano quali conseguenze, di regola definitive, dell'inadempimento di specifiche e ben individuate condotte, che operano sul versante processuale con gli stessi effetti. Conclusione questa che trova decisivo avallo nella considerazione che si è in presenza di un fenomeno per il quale può attagliarsi - in ragione degli interessi coinvolti non disponibili dalle parti processuali (in relazione ai quali si è parlato di <ordine pubblico processuale>) - la definizione data dalla dottrina processualistica al termine perentorio, visto "come fatto giuridico strutturalmente autonomo caratterizzato da una propria efficacia di tipo estintivo". Per di più non è suscettibile di alcuna riserva l'ulteriore rilievo, fatto proprio dalla stessa dottrina, che la decadenza produce la perdita, estinzione o consumazione di una facoltà processuale, con esiti di regola irreversibili, perché il solo strumento tecnico idoneo a rimuovere detti esiti - la c.d. restituzione o remissione in termini - è configurato nel nostro ordinamento se non in determinate ipotesi particolari. 7. Ragioni di completezza argomentativa impongono, infine, una riflessione sull'opinione di quanti patrocinano la non estensione alla produzione documentale delle barriere temporali riguardanti gli altri <mezzi di prova>, mettendo in risalto come un sistema rigoroso di preclusioni possa ostacolare la ricerca della <verità materiale>, cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento. Ed invero, al di là del pur assorbente rilievo che proprio lo spessore a livello costituzionale dei suddetti diritti impone risposte giudiziarie improntate a celerità - come è attestato significativamente a livello normativo dall'introduzione di ordinanze anticipatorie ex art. 423 c.p.c. cui fa riscontro nella pratica giudiziaria una innegabile incentivazione dei procedimenti cautelari - va rimarcato come la preoccupazione di addivenire a soluzioni distanti dalla realtà fattuale, non sempre esternata (ma di certo costantemente sottesa all'opinione in esame), venga in buona misura ammortizzata dall'attribuzione al giudice d'appello di incisivi poteri d'ufficio in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova ove essi siano <indispensabili ai fini della decisione della causa> (art. 437, comma 2, c.p.c.), con un opportuno contemperamento del principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale, <di guisa che, allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull'onere della prova, ma ha il potere dovere di provvedere d'ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l'incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti> (cfr. in tali sensi Cass., Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353 cit.; Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2002 n. 761 cit.). 7.1. A ben vedere proprio i poteri di ufficio del giudice del lavoro - che non possono però essere esercitati con riferimento a fatti non allegati dalle parti e non emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse (cfr. Cass., Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353 cit.) - segnano in modo accentuato la c.d. <specialità> del rito del lavoro e portano, per altra via, ad evidenziare come si vogliano accreditare a livello normativo forme di tutela (processuale) differenziata delle situazioni soggettive, in ragione di un opportuno adattamento delle regole del rito alla concrete e molteplici situazioni sostanziali implicate nel giudizio, con il conseguenziale formarsi di ordinamenti processuali - come quello, appunto, introdotto dalla legge 11 agosto 1973 n. 533 (in materia di controversie del lavoro) nonché quello disegnato dal d. lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 (in materia di controversie tributarie), ed ancora quello ora regolato dal d. lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 (in materia di controversie di diritto societario) - che, seppure con qualche approssimazione, possono qualificarsi <settoriali>, e che trovano peculiari e specifici tratti 51 distintivi - rispetto al processo ordinario ed anche tra loro - proprio per la diversa individuazione del punto di equilibrio tra le esigenze di celerità e quelle di accertamento della verità materiale. 8. Per concludere, il ricorso, alla stregua di quanto sinora detto, va rigettato perché la sentenza impugnata - con il non dare ingresso alla prova documentale prodotta dagli eredi dell'assicurato stante la sua tardiva esibizione - è pervenuta a conclusioni conformi al diritto anche se con motivazione, che va corretta nei termini innanzi esplicitati nell'esercizio dei poteri attribuiti a queste Sezioni Unite ex art. 384, comma 2, c.p.c. Nessuna statuizione può essere presa in relazione alle spese del presente giudizio di cassazione per la natura della controversia, non essendosi in presenza di una pretesa manifestamente infondata e temeraria (art. 152 disp. att. c.p.c.). P.Q.M la Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese. Così deciso in Roma il 3 marzo 2005. DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 20 APR. 2005 52 Cass., sez. un., 20-04-2005, n. 8203 Fatto Con atto di citazione notificato in data 25 giugno 1996, la s.r.l. Fascino Produzione Gestione Teatro proponeva opposizione dinanzi al Tribunale di Roma avverso il decreto ingiuntivo con il quale era stato intimato al Teatro Parioli di pagare al Ministero dell'Interno - Comando provinciale dei VV. FF. di Roma - la somma di lire 202.816.550 ed accessori, di cui il Ministero si era dichiarato creditore per l'attività di prevenzione incendi prestata dal 1992 al 1994 da tre vigili del fuoco presso il suddetto teatro. L'opponente asseriva di avere regolarmente pagato quanto dovuto per la vigilanza svolta e di avere sempre contrastato l'infondato avverso assunto che detto servizio fosse stato espletato da tre persone. Dopo la costituzione dell'Amministrazione opposta, il Tribunale di Roma, con sentenza del 30 settembre 1999, accoglieva l'opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e compensava le spese del giudizio. Avverso tale sentenza proponeva appello il Ministero dell'Interno e dopo la costituzione della società appellata, che ribadiva in via incidentale le eccezioni già in precedenza formulate, la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 22 ottobre 2001, rigettava l'opposizione e condannava l'appellante al pagamento delle spese del grado. Osservava al riguardo la Corte che il Ministero aveva denunziato l'erroneità della decisione impugnata perché il giudice a quo aveva ritenuto non provata la domanda di pagamento fondata sulla prestazione dell'attività di prevenzione da parte di tre vigili del fuoco. In verità, il Ministero appellante aveva prodotto ampia documentazione attestante l'effettuazione delle indicate prestazioni, ma la società Fascino PGT aveva eccepito - ai sensi dell'art. 345, comma 3, c.p.c. - l'inammissibilità della produzione di documenti, volti a dimostrare la fondatezza della pretesa del suddetto Ministero, sicché della documentazione non poteva tenersi alcun conto a fini decisori. Precisava, infine, la Corte territoriale che, comunque, mancava qualsiasi prova delle giornate lavorative effettuate nonché dell'esatta durata delle prestazioni rese, non potendosi desumere elementi di convincimento dalle dichiarazioni della società, secondo cui per un certo periodo presso il teatro sarebbero stati inviati tre vigili anziché uno. Per concludere, la Pubblica Amministrazione non aveva adempiuto all'onere della prova, su di essa incombente, perché la produzione documentale doveva ritenersi tardiva e perché i documenti non provavano l'entità ed il protrarsi delle prestazioni. Contro la sentenza del giudice d'appello, il Ministero dell'Interno, Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste con controricorso la s.r.l. Fascino Produzione Gestione Teatro. A seguito di ordinanza del 19 gennaio 2005 della Sezione prima di questa Corte di cassazione è stata disposta, ai sensi dell'art. 374 c.p.c., dal Primo Presidente l'assegnazione del presente ricorso alle Sezioni Unite per dirimere il contrasto formatosi nella giurisprudenza di legittimità sia con riferimento alla generale problematica relativa all'estensione, nel giudizio a cognizione ordinaria, della normativa sul divieto di ammissione di <nuovi mezzi di prova> anche alle prove precostituite, sia con riferimento alle connesse problematiche attinenti alla individuazione dei limiti che la produzione dei documenti incontra nel giudizio di appello. Diritto 1. Con il primo motivo di ricorso il Ministero denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 72, 74, 76, 77 disp. att. c.p.c., artt. 58, 115, 165, 166, 169 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.). Sostiene in particolare il ricorrente Ministero che, a fronte del dato inconfutabile che esso Ministero aveva provveduto a depositare presso la cancelleria della Corte d'appello adita il fascicolo contenente la documentazione comprovante l'esistenza e l'ammontare del credito erariale, era doveroso per la Corte stessa - in ragione della successiva mancanza del predetto fascicolo al momento di introitare in decisione la causa - disporne la ricerca con tutti gli strumenti a disposizione, eventualmente procedendo alla ricostruzione del fascicolo, invece di attribuirne arbitrariamente la scomparsa alla responsabilità della parte pubblica. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 345, comma 53 3, c.p.c., nonché omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.), rimarcando che il giudice d'appello ha errato nel considerare tardiva - senza peraltro darne adeguata motivazione - la produzione documentale volta a comprovare tutti i servizi di vigilanza posti in essere, atteso che il divieto di cui alla citata disposizione del codice di rito non si riferisce alla prova documentale. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, infine, violazione e falsa applicazione degli artt.115 e 116 c.p.c., degli artt. 2697, 2699 e 2729 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.), assumendo che i fatti addotti in giudizio dovevano considerarsi incontrovertibili sì da non richiedere una prova specifica perché tra l'altro, a seguito della memoria avversaria depositata in secondo grado e dell'atto di citazione di prime cure, si era da controparte finito per ammettere l'avvenuto espletamento del servizio antincendio da parte di tre vigili del fuoco. Conclusione questa confortata anche dagli atti che, per pervenire da pubbliche autorità - legislativamente deputate a regolare il servizio antincendio - dovevano reputarsi assistiti da una presunzione iuris tantum di corrispondenza al vero. 2. Prima degli altri va preso in esame, per evidenti ragioni di antecedenza logica, il secondo motivo del ricorso. 2.1. Come ha evidenziato la ricordata ordinanza del 19 gennaio 2005, sull'interpretazione da dare al disposto dell'art. 345, comma 3, c.p.c. nel testo sostituito dall'art. 52 della legge 26 novembre 1990 n. 353 (applicabile a decorrere dal 30 aprile 1995), si riscontra in giurisprudenza una diversità di indirizzi. Si è più volte ribadito - con riferimento al giudizio di cognizione ordinaria - che il divieto di ammissione di nuove prove si riferisce esclusivamente alle prove costituende e, quindi, non riguarda i documenti che, in quanto prove precostituite, possono essere prodotti anche in secondo grado (ex plurimis: Cass. 26 agosto 2004 n. 16995; Cass. 29 aprile 2004 n. 8235; Cass. 5 maggio 2003 n. 6756; Cass. 8 gennaio 2003 n. 60; Cass. 6 aprile 2002 n. 5463). Nell'ambito di tale indirizzo si è però da alcune pronunce aggiunto che la produzione di nuovi documenti in appello non trova ostacolo: né nella decadenza in cui sia incorsa la parte per il mancato rispetto del termine perentorio di deposito fissato dall'art. 184 c.p.c., perché tale preclusione ha effetto limitatamente al giudizio di primo grado, mirando la norma solo a tutelare la concentrazione endoprocessuale, quindi interna a ciascun grado di giudizio (cfr. Cass. 20 ottobre 2003 n. 15646); né nella circostanza che si tratti di documenti la cui esistenza sia nota in primo grado e che siano stati menzionati in quella sede, sebbene non prodotti (cfr. Cass. 22 gennaio 2004 n. 1048, secondo cui la produzione in appello prescinde dalla loro indispensabilità ai fini della decisione della causa e dalla colpevolezza del ritardo), perché la novità dei documenti in sede di appello va stabilita in base alla loro materiale esibizione e non anche alla loro mera indicazione, come tale priva di rilevanza processuale (cfr. Cass. 28 marzo 2003 n. 4765). 2.2. Una diversità di indirizzi si riscontra anche sotto un distinto versante, quello cioè relativo alla eventuale esistenza di limiti temporali alla produzione di documenti in sede di appello. Secondo un primo orientamento la facoltà di produrre nuovi documenti, in armonia con lo spirito della legge 26 novembre 1990 n. 353 - rivolta a concentrare le attività assertive e probatorie nella fase iniziale del procedimento - deve essere esercitata, a pena di decadenza, con la costituzione in giudizio ed entro il termine all'uopo fissato dagli artt. 165 e 166 c.p.c. espressamente richiamati, anche con riferimento ai termini, dall'art. 347 dello stesso codice (cfr. Cass. 16 aprile 2002 n. 5463 cit.; Cass. 4 giugno 2001 n. 7510). Un diverso indirizzo è volto, invece, a spostare il limite temporale per la produzione di documenti al momento della rimessione della causa al collegio, con la conseguenza che questi, solo se successivamente prodotti, non possono essere utilizzati ai fini della decisione (cfr. Cass. 10 agosto 2002 n. 12139; Cass. 3 marzo 2000 n. 3892, che precisano anche, come essendosi in presenza di disciplina dettata nell'interesse delle parti, la sua inosservanza debba ritenersi sanata qualora la controparte non abbia sollevato la relativa eccezione in sede di discussione della causa davanti al collegio). 2.3. In radicale contrasto con le diverse articolazioni dell'orientamento che sottrae i documenti al divieto di produzione in appello di <nuovi mezzi di prova> si pongono alcune decisioni che ricomprendono anche i documenti tra i <mezzi di prova>, il cui regime viene disciplinato dall'art. 345, comma 3, c.p.c. e che, conseguentemente, reputano legittimo l'esame, da parte del giudice di secondo grado, di documenti nuovi solo ove ciò sia indispensabile ai fini del decidere 54 ed allorché la mancata produzione in primo grado dei documenti stessi non sia imputabile alla parte che intenda avvalersene (cfr. Cass. 6 aprile 2001 n. 5133; Cass. 13 dicembre 2000 n. 15716 cui adde, nel medesimo ordine di idee, Cass. 11 febbraio 2003 n. 2027 e Cass. 21 luglio 2000 n. 9604 che, in tema di appello avverso le decisioni delle Commissioni tributarie di primo grado, hanno sostenuto che l'art. 58, comma 2, del d. lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, fa salva la facoltà delle parti di produrre in appello nuovi documenti indipendentemente dalla impossibilità dell'interessato di esibirli in prima istanza per causa a lui non imputabile, e che hanno altresì evidenziato come questo requisito sia richiesto dall'art. 345, comma 3, c.p.c., ma non dal citato art. 58). 2.4. Nel quadro globale dei precedenti giurisprudenziali sulla problematica in esame si inserisce sicuramente nell'indirizzo più rigoroso - volto ad estendere i limiti all'ammissibilità dei <mezzi di prova>, posti dal codice di rito per il giudizio d'appello, anche alla prova documentale - una recente decisione della Sezione lavoro di questa Corte che, chiamata a pronunziarsi sull'ambito di applicabilità alla prova documentale dell'art. 437, comma 2, c.p.c. (disposizione che è stata costantemente vista come il precedente normativo su cui si è modellato l'art. 345, comma 3, c.p.c.), ha escluso, sulla base di ragioni sia testuali che logico-sistematiche, la possibilità di differenziare ai fini preclusivi <prove costituite> e <prove costituende>, da ciò facendo scaturire - attraverso argomentazioni estensibili per il loro carattere generale oltre che al rito del lavoro anche al processo ordinario - l'inclusione dei documenti nei <nuovi mezzi di prova>(espressione rinvenibile sia nell'art. 345, comma 3, che nell'art. 437, comma 2), con conseguente applicabilità anche per la produzione documentale della disciplina limitativa delle prove in appello (cfr.Cass. 20 gennaio 2003 n. 775 nonché, sempre per l'opinione favorevole ad equiparare ai fini delle preclusioni ogni tipologia di prova, Cass. 1 ottobre 2002 n. 14110, che ha evidenziato come sia "fuorviante" invocare la nota ripartizione tra prove costituite e prove costituende al fine di superare le preclusioni rigidamente indicate dall'art. 427, comma 2, c.p.c.). 3. L'impossibilità di assegnare una mobilità semantica ad una medesima formula normativa (<nuovi mezzi di prova>) e la considerazione che la problematica attinente alla diversità di regolamentazione tra <prove costituite> e <prove costituende> rientra nella generale dogmatica del processo, impongono di dare una risposta in termini unitari, che prescinda cioè dalla natura del rito, alla tematica della inclusione anche delle prove documentali nel <nuovi mezzi di prova>, cui fanno riferimento - come è stato già evidenziato - sia l'art. 345, comma 3 (per il rito ordinario) che l'art. 437, comma 2 (per il rito del lavoro). 3.1. È generalizzata in dottrina ed in giurisprudenza la distinzione tra <prove costituite> e <prove costituende>, per caratterizzarsi, le prime (come le prove documentali) per la loro formazione al di fuori del processo (e, di solito, prima di esso) e per l'acquisizione nel processo attraverso un mero atto di esibizione, e le seconde (come le prove orali: prove testimoniali, confessione, giuramento, ecc.) per formarsi, di contro, nel processo, come risultato dell'attività istruttoria a seguito di una istanza di parte e di successivo provvedimento di ammissione del giudice. 3.2. Orbene, la diversa regolamentazione tra prove costituite e prove costituende concretizzantesi nel riconoscimento di spazi più ampi (anche se indicati, nel variegato panorama dottrinario e giurisprudenziale, in termini non sempre coincidenti) di ingresso nel processo per le prime - viene fondata sostanzialmente su un duplice ordine di argomenti. Il primo di carattere letterale fa leva sulla distinta menzione di <mezzi di prova> (art. 345, comma 3, per il rito ordinario; art. 420, comma 5 e 7, art. 421, comma 2, art. 437, comma 2, per il rito del lavoro), identificati con le prove costituende, e del termine <documenti> (art. 163 n. 5, art. 167, comma 1, art. 184 per il rito ordinario; art. 414 n. 5, 416, comma 2, per il rito del lavoro), da identificarsi, invece, con le prove costituite. Il secondo di carattere logico-sistematico viene ravvisato nella diversa ricaduta delle due differenti categorie di prove sulla durata del processo, per non necessitare le prove precostituite di nessuna attività istruttoria capace di ritardare l'esito della controversia. 3.3. Le argomentazioni suddette, evocate ripetutamente in numerosi pronunziati (cfr. tra le tante: Cass. 12 luglio 2002 n. 10179; Cass. 20 novembre 2000 n. 15197; Cass. 29 marzo 1993 n. 1359; Cass., Sez. Un., 6 settembre 1990 n. 9199, cui adde, in epoca più risalente, Cass. 25 maggio 1978 n. 2654; Cass. 29 giugno 1997 n. 2835; Cass. 16 ottobre 1976 n. 3503), sono state sottoposte di recente a revisione, oltre che dai ricordati pronunziati, anche dalla dottrina che, con voce quasi unanime, ha ritenuto che la produzione documentale vive delle stesse preclusioni previste per le prove costituende, con considerazioni che questa Corte ritiene di condividere. 55 3.4. La sottolineatura operata da più parti della distinzione codicistica tra <mezzi di prova> (i soli che sarebbero ammessi al vaglio dell'ammissibilità), e <documenti> (che sarebbero invece, assoggettabili unicamente al giudizio di rilevanza), per inferirne in via argomentativa una diversa incidenza delle preclusioni - scaturenti dall'imposizione di termini perentori o decadenziali - sull'indagine istruttoria (con conseguente sottrazione della produzione documentale al dictum dell'art. 345, comma 3, e 437, comma 2), oltre a non tenere conto che, non certo di rado, lo stesso legislatore codicistico parla di <mezzi di prova> e di <ammissione>degli stessi anche con riferimento alla produzione documentale (cfr. art. 698 c.p.c. sull'assunzione delle prove preventive; art. 495, comma 3, c.p.p. che, regolando i provvedimenti del giudice in ordine alla prova, statuisce espressamente: "Prima che il giudice provveda sulla domanda, le parti hanno facoltà di esaminare i documenti di cui è chiesta l'ammissione") non assegna, per di più il dovuto valore all'opinione di chi, autorevolmente nell'ambito della dottrina processualistica, ha rimarcato come anche la prova documentale sia un <mezzo di prova>, perché tutte le prove sono <mezzi>, cioè strumenti per asseverare quanto assunto dalle parti nei loro atti difensivi, perché in senso tecnico l'espressione <mezzi di prova> sta, appunto, ad indicare <le persone o le cose da cui si vogliono trarre elementi di conoscenza utili alla ricerca della verità>. Ed in una medesima ottica si è affermato che i documenti configurano una specie, sia pure particolare, del genus <mezzi di prova>, evocandosi a sostegno di tale assunto il disposto dell'art. 163 n. 5, sopravvissuto alle novelle del 1950 e del 1990, che (con formula analoga a quella degli artt. 414 n. 5 e 416, comma 3) prevede che l'atto di citazione debba contenere <l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione>, sicché è lecito concludere che il legislatore abbia adottato una nozione di <mezzi di prova> comprensiva dei documenti, i quali ne costituiscono, appunto, una species ("in particolare"). Il dato letterale, cui è stato attribuito una pregnante portata contenutistica, viene così a trovare la sua ratio in ragioni che tale portata non giustificano per risalire unicamente al distacco temporale tra il momento della produzione di documenti e quello della loro ammissione, come è significativamente attestato dall'art. 87 disp. att. c.p.c. che, per i documenti offerti in comunicazione dalle parti (dopo la loro costituzione), dispone il deposito in cancelleria con la comunicazione del relativo elenco alle altre parti ex art. 170, ult. comma, c.p.c., non certo per escludere un giudizio sulla loro ammissibilità, la cui richiesta è implicita nella stessa produzione, ma per consentire che anche su di essa venga assicurato un effettivo contraddittorio. Merita, dunque, piena adesione l'assunto secondo cui la distinta menzione dei <documenti> (oggetto di produzione) e <mezzi di prova> (oggetto di richiesta di ammissione) (cfr. artt. 184 e 345, questo nel testo anteriore alla legge 14 luglio 1950 n. 581) ed il parallelismo con cui questi strumenti vengono disciplinati (parallelismo presente anche nell'art. 416, comma 3) sono di fatto determinati <dal particolare meccanismo che la richiesta di prova per documenti comporta: la produzione dell'atto, come fatto che materialmente precede, e necessariamente implica e formalmente esprime, questa richiesta> (così: Cass. 20 gennaio 2003 n. 775 cit.). 3.5. Né per andare in contrario avviso, al fine di legittimare un diverso genere di impatto delle preclusioni sulla prova documentale, vale richiamarsi alle esigenze di particolare celerità e di concentrazione (che con il nuovo rito il legislatore del 1990 ha voluto soddisfare) per poi dedurne che dette esigenze non sarebbero messe in pericolo dalla produzione ed acquisizione di nuovi documenti in quanto prove già costituite. È opinione generale che la produzione di nuovi documenti, pur non richiedendo un procedimento di "assunzione" della prova, può determinare un prolungamento delle attività processuali. Ed invero, al di là del fatto che la produzione di un atto pubblico o di una scrittura privata può determinare giudizi di per sé lunghi e complessi a seguito dei procedimenti di querela per falso o di istanza di verificazione, il richiamo alle esigenze di celerità sembra concretizzare soprattutto un intento meramente evocativo perché, come è stato autorevolmente notato, ogni volta che consenta ad una parte una acquisizione nel processo di una nuova produzione documentale il giudice non può - nel rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio - negare alla controparte la possibilità di dedurre mezzi di prova resi necessari in relazione ai documenti prodotti, pur se comportanti l'espletamento di una attività istruttoria incompatibile con quelle esigenze di celerità e concentrazione del processo, che invece si vorrebbe non essere intaccati dalla tardiva produzione. 56 4. Corollario di quanto sinora detto è che per qualsiasi delle diverse tipologie di mezzi di prova deve considerarsi unico l'approccio interpretativo del dato normativo, che non può non condurre per quanto attiene alla individuazione dei limiti di ammissibilità della produzione documentale - e delle preclusioni che detta produzione incontra sia in primo grado che in sede di gravame - agli stessi approdi di quelli propri di ogni altra prova costituita o costituenda. 5. La considerazione che l'opera ermeneutica in materia processuale tenga conto non solo dell'intento sotteso alla singola norma ma anche all'assetto ordinamentale entro il quale la singola norma si colloca, sollecita alcune preliminari riflessioni, sicuramente utili in una materia irta di difficoltà, come attestano i permanenti dubbi che in dottrina ed in giurisprudenza continuano a manifestarsi in relazione a non pochi profili del regime decadenziale delineato dagli artt. 184 e 345, comma 3, c.p.c., ed anche con riferimento alla rigida scansione delle preclusioni istruttorie ed alle barriere che, sia in primo grado che in grado di appello, incontrano le istanze istruttorie delle parti. 5.1. In primo luogo va evidenziato come - pur non potendosi di certo attraverso il sistema delle preclusioni ledere il diritto di difesa delle parti e vanificare la ricerca della verità materiale - la garanzia della <ragionevole durata del processo>(riconosciuta come diritto dall'art. 6 della Convenzione europea, ed ora espressamente sancita dall'art. 111, comma 2, Cost.) debba fungere da parametro di costituzionalità delle norme processuali per essere oggetto <oltre che di un interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno di quello di un giudizio equo ed imparziale> (così da ultimo Corte Cost. 21 marzo 2002 n. 78), con la conseguenza che l'opera ermeneutica del dato normativo deve accompagnarsi - come è stato sovente osservato da quanti si sono confrontati con le problematiche in esame - alla consapevolezza che i termini acceleratori e le preclusioni, volte ad impedire l'ingresso nel processo di un fatto e/o di una prova, sono funzionalizzati proprio a tutelare il suddetto principio della <ragionevole durata> e quello, ad esso correlato, dell'<economicità> del giudizio. 5.2. Va, inoltre, messo in luce che la strumentalità del processo rispetto alle posizioni sostanziali, che nel processo stesso devono trovare guarentigia, consiglia una flessibilità delle regole processuali, che della peculiarità di tali posizioni tenga conto e spiega, altresì, perché si stiano accreditando a livello normativo sistemi di tutela (processuale) differenziata, correlati alla specifica natura dei diritti e degli interessi coinvolti nel giudizio, con la conseguenza che accanto al giudizio c.d. ordinario si sono venuti formando ordinamenti processuali - come quello regolato dalla legge 11 agosto 1973 n. 533 (in materia di controversie del lavoro) nonché quello disegnato dal d. lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 (in materia di controversie tributarie) ed ancora quello ora regolato dal d. lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 (in materia di controversie di diritto societario) - che, seppure con qualche approssimazione, possono qualificarsi <settoriali> e che presentano tratti distintivi - rispetto al processo ordinario ed anche tra loro - per la diversa individuazione del punto di equilibrio tra le esigenze di celerità e quelle di accertamento della verità materiale. Rilievo questo che - confortato dalla giurisprudenza costante della Corte Costituzionale, secondo cui non sussiste un principio in base al quale differenti tipologie del processo debbano avere una regolamentazione uniforme anche con riferimento ai limiti di ammissibilità dei mezzi istruttori (cfr. Corte Cost. 28 luglio 2000 n. 401, ord.; Corte Cost. 31 maggio 2000 n. 165, ord.) - induce al rifiuto di tutte quelle opinioni che, sottovalutando la specialità del rito del lavoro, hanno esteso, seppure con diverse accentuazioni, al giudizio a cognizione ordinaria le conclusioni cui nel suddetto rito speciale si è pervenuti sulla determinazione temporale degli sbarramenti all'ammissibilità delle prove, con una sostanziale omologazione della disciplina dettata dall'art. 345, comma 3, a quella fissata dall'art. 437, comma 2. 6. Al fine di trovare un punto di equilibrio tra esigenze di efficienza del processo ed il diritto di difesa delle parti in relazione al giudizio di cognizione ordinaria, il legislatore ha disciplinato le modalità di produzione dei documenti e la proposizione dei mezzi di prova, inserendo la fase delle deduzioni e richieste istruttorie (art. 184 c.p.c.) tra la fase di trattazione (fissazione del thema decidendum) e quella di assunzione delle prove costituende (fase istruttoria in senso stretto); ed ha poi fissato il momento in cui scatta per le parti la preclusione in tema di istanze istruttorie, facendola decorrere dall'ordinanza di ammissione delle prove, nel caso in cui non sia stato chiesto il termine ex art. 184, ovvero, quando tale termine sia stato concesso, dallo spirare del termine in questione, per le richieste di nuovi mezzi di prova e la produzione dei documenti, e dallo spirare del secondo termine per l'indicazione della (eventuale) prova contraria (art. 184, 57 comma 1 e 2, del codice di rito sostituito, con decorrenza dal 30 aprile 1995, dall'art. 18 della legge 26 novembre 1990 n. 353). 6.1. Il superamento della barriera preclusiva di cui al già citato art. 184 importa, poi, la decadenza dal potere di esibire documenti, salvo che la loro produzione sia giustificata dallo sviluppo assunto dal processo o che la formazione sia successiva allo spirare dei suddetti termini. Al di fuori di tali casi, il mancato rispetto dei termini stabiliti per le nuove deduzioni probatorie porta - per il carattere perentorio di essi - ad effetti che devono ritenersi di regola irreversibili, perché removibili solo attraverso lo strumento della remissione in termini. Il che porta ad affermare che - escluse le ipotesi in cui la parte sia incorsa nella sanzione della decadenza ma sia stata poi rimessa in termini ai sensi dell'art. 184 bis - non è consentita una lettura elastica delle avvenute preclusioni, legittimante <movimenti a ritroso> del giudizio di primo grado, capaci di vanificare la riforma della novella n. 353 del 1990, la cui essenza va individuata nella prefissata scansione logico-temporale del procedimento ai fine di pervenire con celerità ad una decisione capace, pur nella sua non definitiva esecutività, di apprestare una efficace tutela ai diritti lesi. 7. Le argomentazioni sinora svolte forniscono le coordinate per una lettura dell'art. 345, comma 3, che, nel rigido rispetto del dato normativo, tenga conto - al fine di evitare discrasie ed antinomie ordinamentali - che la legge n. 353 del 1990, sovvertendo la precedente disciplina della novella del 1950, ha aggiunto al preesistente divieto di domande nuove anche quello di nuove eccezioni e nuovi mezzi istruttori sicché, come è stato da tutti riconosciuto, il pervenire alla pressoché totale abolizione dello ius novorum ha fatto assumere all'appello il carattere della revisio prioris istantiae, per essere stati eliminati quegli elementi spuri che permettevano la configurazione del giudizio di gravame come una prosecuzione ed un completamento di quello di primo grado. 7.1. In linea con quanto ora detto l'art. 345, comma 3, va letto nel senso che tale disposizione fissa sul piano generale il principio dell'inammissibilità dei <nuovi mezzi di prova> (cioè di quei mezzi di prova la cui ammissione non è stata in precedenza richiesta), e quindi anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti (e, quindi, le deroghe) a questa regola, con il porre in via alternativa (e non concorrente) i requisiti che detti <nuovi mezzi di prova> devono presentare per potere trovare ingresso in sede di gravame. Più specificamente l'incipit della disposizione in esame ("Non sono ammessi nuovi mezzi di prova, salvo...") delinea, alla stregua del dettato dell'art. 12 delle preleggi, la natura sostanzialmente <chiusa> del giudizio d'appello. In tale direzione, il rispetto del chiaro dato normativo, che ne impone - rendendone nello stesso tempo agevole - l'interpretazione letterale, induce questa Corte ad affermare che il giudice, oltre a quelle prove che le parti dimostrino di non avere potuto proporre prima per causa ad esse non imputabili, è abilitato ad ammettere, nonostante le già verificatesi preclusioni, solo quelle prove che ritenga - nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite - <indispensabili>, perché suscettibili di una influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come <rilevanti> (cfr. art. 184, comma 1; art. 420, comma 5), hanno sulla decisione finale della controversia; prove che, proprio perché <indispensabili>, sono capaci, in altri termini, di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado. È stato, al riguardo, osservato in dottrina che la particolare complessità delle controversie ordinarie, rispetto a quelle proprie del lavoro, renderebbe particolarmente pesanti le preclusioni istruttorie, previste per il giudizio di primo grado dal nuovo testo dell'art. 184 c.p.c., ove non si consentisse l'ammissione in appello almeno dei mezzi di prova indispensabili, senza che la parte debba dimostrare anche l'impossibilità ad essa non imputabile di una loro anteriore produzione. A conforto di tale opinione che patrocina l'ammissione in appello di nuovi mezzi di prove, e quindi anche di documenti sempre che siano <nuovi> ed <indispensabili> - e nell'ambito della quale opinione qualche studioso ha ravvisato nel disposto dell'art. 345, comma 3, una forma alternativa ed impropria di restituzione in termini - va aggiunto che risponde a razionalità che le esigenze di speditezza, cui è improntato il rito ordinario dopo la novella del 1990, possano subire in sede di gravame, pure cioè in uno stato avanzato dell'intero iter processuale, un parziale ridimensionamento proprio perché si è in presenza di prove che, per il loro spessore contenutistico, sono idonee a fornire un contributo decisivo all'accertamento della verità 58 materiale, restando di contro salva in tutti i restanti casi l'ultrattività delle preclusioni già verificatesi in primo grado. 7. Ragioni di ordine testuale, non disgiunte da doverose opzioni ermeneutiche volte a favorire un ordinato e cadenzato svolgimento delle attività processuali, anche esso funzionale al perseguimento di una <ragionevole durata del processo>, portano a condividere l'indirizzo di questa Corte secondo cui - conformemente al disposto degli artt. 163 e 166, richiamati dagli artt. 342, comma 1, e 347, comma 1 - nel rito ordinario la produzione dei documenti deve essere effettuata dalle parti, a pena di decadenza, mediante la specifica indicazione dei documenti stessi nei rispetti atti introduttivi del giudizio (cfr. Cass. 2 aprile 2004 n. 6528 cit.; Cass. 16 aprile 2002 n. 5463 cit.; Cass. 4 giugno 2001 n. 7510 cit.), sempre che ovviamente la formazione dei documenti da esibire non sia successiva e sempre che la produzione degli stessi non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo. Come è stato sul punto osservato, le parti devono indicare negli atti introduttivi dell'appello i documenti che intendono produrre, perché alla prima udienza di trattazione il collegio, a norma dell'art. 352 c.p.c., deve provvedere all'ammissione delle prove eventualmente dedotte o invitare le parti a precisare le conclusioni. Il che dimostra che in questa fase i termini della controversia devono essere in ogni caso già delineati. Sotto altro versante, a sostegno della rigorosità dell'indirizzo in esame, è stato evidenziato come non a caso il codice di rito non richiami, nella disciplina del giudizio d'appello, la disposizione dell'art. 184 sulla facoltà del giudice di primo grado di concedere un ulteriore termine (dopo la costituzione delle parti) per la produzione dei documenti, atteso che l'esigenza di concentrare le attività assertive e probatorie nella fase iniziale del procedimento (secondo lo spirito della riforma del 1990) si accentua in sede di impugnazione (cfr. Cass. 2 aprile 2004 n. 6528 cit.). 7.4. Da ultimo, esigenze di maggiore completezza motivazionale impongono di sottolineare come a differenza di quanto si riscontra nel rito del lavoro, nel quale l'ammissione ad opera del giudice di nuovi mezzi di prova, per essere espressione del suo potere d'ufficio, non è condizionata da una espressa richiesta in tali sensi (cfr. art. 437, comma 2, "...Non sono ammessi nuovi mezzi di prova... salvo che il collegio, anche d'ufficio, li ritenga indispensabili...."), nel rito ordinario, invece, riscontrandosi un ruolo del giudice meno accentuato ed incisivo nella direzione e nell'impulso del processo, l'ammissione dei <nuovi mezzi di prova> e, quindi, anche della prova documentale, non può prescindere da una espressa domanda delle parti. Peraltro, se si voglia attribuire una ragionevolezza al sistema e se si intenda, nello stesso tempo, conferire al disposto dell'art. 345, comma 3, una qualche operatività, non può che concludersi con l'affermare che il giudice d'appello, lungi dall'essere portatore di un potere discrezionale ai limiti dell'arbitrarietà e, comunque, insuscettibile di controllo, diviene titolare di un potere del cui esercizio deve dare conto con un provvedimento motivato, così come è tenuto a fare nel rito del lavoro il giudice che esercita i poteri d'ufficio ex art. 437, comma 2 (cfr. al riguardo Cass., Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353 cit., secondo cui l'esercizio del potere officioso del giudice, quand'anche si ritenesse avere carattere discrezionale, non può mai esercitarsi in modo arbitrario sicché il giudice, a sensi degli art. 134 c.p.c. e 111 Cost. sul giusto processo, è tenuto ad esplicitare le ragioni per le quali ritiene di fare ricorso ai poteri istruttori o, invece, di disattendere una specifica richiesta in tal senso). Tale provvedimento è censurabile davanti ai giudici di legittimità alla stregua dell'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., sempre che le parti negli spazi di disponibilità ad esse lasciati non abbiano con la loro condotta mostrato di accettare il contraddittorio nei limiti segnati dall'intervento del giudice. 8. Alla stregua dei principi sinora enunciati in relazione alle preclusioni che, nel giudizio d'appello, incontra la produzione dei documenti, il secondo motivo di ricorso, avente sugli altri antecedenza logica, va rigettato perché, come risulta dagli stessi atti difensivi delle parti, il Ministero non ha rispettato il termine perentorio fissato dal giudice di primo grado ex art. 184 per le istanze istruttorie. 8.1. Né assume rilevanza, per andare in contrario avviso, la circostanza che il Ministero ha in ricorso sostenuto di avere in appello prodotto documentazione volta a dimostrare la fondatezza del suo assunto e della quale lamenta il mancato esame da parte della Corte d'appello di Roma. Ed invero, anche a volere prescindere dalla pure assorbente considerazione che nel ricorso per cassazione non sono stati precisati - contro il principio dell'autosufficienza del ricorso stesso né il contenuto dei documenti in oggetto né le modalità temporali della produzione, va 59 osservato che la Corte territoriale, dopo averne riconosciuto la tardività, ha poi aggiunto - con considerazioni non assoggettate ad alcuna specifica doglianza - che i suddetti documenti, ritirati con il fascicolo di parte, <non provavano l'entità ed il protrarsi delle prestazioni>. 8.2. Giudizio questo che nella fattispecie in esame ha comportato una risposta implicitamente negativa sull'esistenza del requisito dell'<indispensabilità> dei documenti, e che per la sua formulazione va sempre devoluto al giudice del gravame in quanto comportante una valutazione che - come è stato già precisato - non può prescindere da un esame dello specifico e globale quadro probatorio già acquisito, e che se assistita da una motivazione congrua e corretta sul piano logico-giuridico, non è suscettibile di alcuna censura in sede di legittimità. 8.3. Quanto ora detto porta all'assorbimento del primo motivo del ricorso perché la già evidenziata tardività della produzione documentale disvela la carenza di interesse alla ammissione della richiesta di ricostruzione del fascicolo di parte avanzata dal Ministero. 8.4. Risulta privo di fondamento giuridico anche il terzo ed ultimo motivo di ricorso, con il quale il Ministero adduce che, anche a non volere considerare il contenuto di documenti reputati tardivi, la Corte d'appello di Roma avrebbe dovuto ugualmente, sulla base delle ulteriori risultanze istruttorie, ritenere fondata la sua domanda. È sufficiente osservare però in contrario che - a fronte di una motivazione del giudice d'appello, che ha chiaramente, seppure in maniera succinta, esposto la ragioni che lo hanno portato a confermare la decisione di primo grado - il Ministero ricorrente non ha evidenziato nella impugnata sentenza carenze sul piano giuridico o motivazionale tali da consentirne l'annullamento. 9. Ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio di cassazione. Così deciso in Roma il 3 marzo 2005. DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 20 APR. 2005 60