R I V I STA
D E L C I N E M ATO G R A FO
WWW.CINEMATOGRAFO.IT
GENNAIO-FEBBRAIO 2006
N. 1-2 € 3,50
SENZA
FINE
LE CONSEGUENZE DEL
TERRORISMO IN MUNICH DI
STEVEN SPIELBERG
CON ERIC BANA AGENTE
DEL MOSSAD
OSCAR: L'ANNO
DI CLOONEY
Judy Dench e Philip
Seymour Hoffman
SPECIALE
OLIMPIADI
Discipline e campioni
dalla A alla Z
45
PAGINE DI FILM,
ANTICIPAZIONI,
INTERVISTE
Poste Italiane SpA - Sped. in
Abb. Post. - D.L. 353/2003
(conv. in L. 27.02.2004, n° 46),
art. 1, comma 1, DCB Milano
+Isabella e Roberto Rossellini+Claudio Bisio+Reese Witherspoon+Kirk Douglas
PUNTI DI VISTA
Giochi di cinema
er non mancare l’appuntamento con le Olimpiadi di
Torino siamo andati a cercare negli archivi della
storia del cinema e dello sport. Sorpresa: siamo
rimasti intrappolati in una lista lunghissima di titoli e
di discipline sportive. Abbiamo pensato perciò che la cosa
migliore fosse offrire una prospettiva diversa, non
un’enciclopedia ma una sorta di dizionarietto dei Giochi e
dei film legati alle singole categorie, dalla A alla Z, anzi a dire
il vero dalla A alla T. Partiti dalle Olimpiadi di Berlino del 1936 filmate da Leni Riefenstahl, abbiamo
analizzato i biopic di celebri atleti, siamo passati per il novecento dietro a un pallone e siamo arrivati a
quel settembre nero del 1972, ora portato in sala da Steven Spielberg, a cui non a caso abbiamo dedicato
la copertina.
Nel 2006 succedono molte cose, una che non potevamo dimenticare è il centenario della nascita di Roberto
Rossellini. Una ricorrenza che celebriamo attraverso le parole e le immagini del cortometraggio a lui dedicato
dalla figlia Isabella. Ma questo numero doppio, con il quale siamo soliti aprire il nuovo anno, si coniuga
anche al futuro, almeno è quello che speriamo. Proseguendo il percorso di approfondimento contenutistico e
rinnovamento grafico della rivista, dedichiamo spazio ulteriore ai film e inauguriamo nuove rubriche, a cui se
ne aggiungeranno delle altre nel corso dell’anno. Ne “I protagonisti” Marcello Giannotti prende a tu per tu il
grande schermo, realizzando finte interviste a celebri personaggi di celluloide, mentre Aldo Fabrizi è la star
della neonata rubrica “Divi ai fornelli”. Ad ampliarsi è “Economia dei Media” che si trasforma in “Inside
Cinema” per portare alla ribalta chi sta dietro le quinte e compare solo nei titoli di coda: volti, nomi e
professioni con cui dialoga Marco Spagnoli in “Cast & Crew”. Un altro sguardo lungimirante lo lanciamo
Oltreoceano. La 78esima cerimonia di premiazione degli Oscar si terrà il 5 marzo, ma noi abbiamo provato a
scommettere. Non per un gioco fine a se stesso, ma per “sostenere” pellicole di forte impegno civile e morale.
Pensiamo a titoli quali il già ricordato Munich, la lucida opera seconda di George Clooney Good Night, and
Good Luck, il thriller politico Syriana e la quarta regia di Terrence Malick, The New World, che libera
Pocahontas dalla gabbia dorata in cui l’aveva rinchiusa il cartoon Disney. Per noi, loro hanno già vinto. Così
come Robert Altman, al quale l’Academy dopo averlo “illuso” per ben cinque volte - tante sono le sue
nomination alla statuetta di miglior regista - si è decisa ad attribuire un Oscar alla carriera. Quella che
ripercorreremo nel prossimo numero di RdC.
FOTO: PIETRO COCCIA
P
Citius, altius, fortius:
lo spirito olimpico
in 35 mm
rC
d
CINEMA - TELEVISIONE - RADIO
TEATRO - INFORMAZIONE
Nuova Serie - Anno 76 Numero 1-2
Gennaio-Febbraio 2006
In copertina Eric Bana in Munich di Spielberg
Direttore Responsabile
Dario Edoardo Viganò
Caporedattore
Marina Sanna
Progetto grafico e Art Director
Alessandro Palmieri
Hanno collaborato
a questo numero
Andrea Agostini, Luciano Barisone,
Francesco Bolzoni, Alessandro
Boschi, Ermanno Comuzio, Rosa
Esposito, Silvio Danese, Cesare
Frioni, Marcello Giannotti, Diego
Giuliani, Oscar Iarussi, Leonardo
Jattarelli, Massimo Monteleone,
Franco Montini, Enzo Natta,
Roberto Nepoti, Luca Pallanch, Peter
Parker, Luca Pellegrini, Federico
Pontiggia, Angela Prudenzi, Cristina
Scognamillo, Alessandro Scotti,
Marco Spagnoli, Davide Turrini,
Chiara Ugolini
Proprieta’
Ente dello Spettacolo
Editore
Ente dello Spettacolo
Direzione e amministrazione
Via G. Palombini, 6 - 00165 Roma
Tel.(06) 663.74.55 - 663.75.14
fax (06) 663.73.21
e-mail: [email protected]
Registrazione al Tribunale di
Roma
N. 380 del 25 luglio 1986
Iscrizione al ROC N 2118
Del 26/9/01
Pubblicita’ e sviluppo
Renato Geloso
Tel. 335 8100850
e-mail: [email protected]
Servizio cortesia abbonamenti
Direct Channel S.r.l. – Milano
Tel. 02-252007.200 fax 02252007.333
Lun-Ven 9/12,30 – 14/17,30
e-mail: [email protected]
Stampa
Società Tipografica Romana S.r.l.
Via Carpi 19 - 00040 Pomezia (RM)
Finita di stampare il 20 Gennaio 2006
Distributore esclusivo
A. & G. Marco S.p.A.
Via Fortezza, 27 - 20126 Milano
Associata A.D.N.
Abbonamento per l'Italia
(10 numeri) 35,00 euro
Abbonamento per l'estero
(10 numeri) euro 103,29
Associato all'USPI
Unione Stampa Periodica Italiana
Iniziativa realizzata
con il contributo
della Direzione
Generale Cinema –
Ministero per i Beni
e le Attività Culturali
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 3
sommario
Numero 1-2 - Gennaio-Febbraio 2006
Cover Story
10 Settembre nero
Monaco ‘72. Spielberg racconta
la perdita dell’innocenza di
una generazione (e oltre)
(Marina Sanna)
Servizi
14 Scommesse da Oscar
Clooney, Dench, Seymour
Hoffman: chi ha già vinto la
statuetta
(Rosa Esposito, Federico
Pontiggia)
18 Un secolo di Rossellini
Isabella ricorda papà
Roberto: “Con quel
pancione mi sembrava
onnipotente”
(Chiara Ugolini)
22 Claudio vs. Bisio
Il ritorno dello showman
nella Cura del Gorilla: “Che
fatica recitare con una
doppia personalità”
(Diego Giuliani)
24 Il tesoro del Cairo
Il cinema esplode e l’Italia
latita. Le istituzioni egiziane
denunciano
(Marina Sanna)
Speciale
31 Momenti di gloria
Le Olimpiadi dalla A alla Z.
Maratona di titoli, discipline
e curiosità, in occasione di
Torino 2006. Con divagazioni
su trash, biografie e tappe
fondamentali nella storia dei
Giochi
(Hanno collaborato:
Alessandro Boschi, Silvio
Danese, Diego Giuliani,
Leonardo Jattarelli, Roberto
Nepoti, Luca Pallanch, Luca
Pellegrini, Federico Pontiggia,
Cristina Scognamillo. A cura
di Marina Sanna)
4 RdC Gennaio-Febbraio 2006
63 Jarhead di Sam Mendes
I film
56
58
59
59
60
60
61
62
63
63
64
64
65
66
67
67
68
68
69
70
70
Match Point
Lady Vendetta
Le tre sepolture
Casanova
U-Carmen
Saddam
Quando l’amore brucia l’anima
Dick & Jane: operazione furto
Jarhead
North Country
Orgoglio e pregiudizio
Derailed
Il pane nudo
I segreti di Brokeback
Mountain
Cacciatore di teste
The Red Shoes
Le cronache di Narnia
Joyeux Noël
The White Countess
King Kong
Saw II
(Luciano Barisone, Diego
Giuliani, Oscar Iarussi,
Massimo Monteleone, Enzo
Natta, Luca Pellegrini, Angela
Prudenzi, Cristina
Scognamillo, Marco Spagnoli,
Davide Turrini)
35 Cortina, 1956: la Loren alle prime Olimpiadi invernali italiane
Le rubriche
6 Tutto di tutto
News, festival, protagonisti e
fornelli
(Andrea Agostini, Marcello
Giannotti, Massimo
Monteleone, Peter Parker,
Chiara Ugolini)
74 Dvd & Extra-Ordinari
Dalla John Wayne Collection a
Heimat 3
(Alessandro Scotti, Marco
Spagnoli)
78 Inside Cinema
Anarchici e doppiatori
(Franco Montini, Marco
Spagnoli)
80 Libri
Riscoprire Rohmer
(Francesco Bolzoni)
82 Colonne sonore
A History of Violence e gli altri
(Ermanno Comuzio)
17 La rivelazione The New World
22 Dr. Bisio & Mr Hyde: metà Socio, metà Gorilla
24 Il Cairo: reportage da un paese in grande fermento
10 Golda Meir in Munich
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 5
TuttoDiTutto
Ultimissime in pillole dal pianeta cinema: tendenze, news, divi e fornelli
A cura di Diego Giuliani
GUAI IN FAMIGLIA
PER REESE
La Witherspoon (nella foto in Se solo
fosse vero) sarà protagonista e
produttrice di un film tratto dallo
script Our family Troubles di Don
Winston. Nella storia sarà una
neomamma perseguitata da
fenomeni inspiegabili che la
spingono a dubitare della propria
sanità mentale. Quando farà ritorno
nella sua città natale in Tennessee,
inizierà a credere che degli spiriti
maligni cerchino di fare del male al
suo bambino.
COM’ERA BRUCIATA LA MIA
GIOVENTÙ
La vita di Nicholas Ray diventa un
film. A dirigere la biografia del
regista di
Gioventù
bruciata sarà
Philip Kaufman
(L’insostenibile
6 RdC Gennaio-Febbraio 2006
leggerezza dell’essere, Sol Levante),
che si concentrerà sui suoi ultimi
dieci anni di vita. Morto all’età di 68
anni, Ray condusse in questo periodo
una serrata battaglia contro la droga,
l’alcool e il sistema hollywoodiano. In
primo piano sarà nel film anche la
relazione del regista con la giovane
Susan Scheartz.
GRAHAM NON RIDE PIU’
La doppia vita di Heather Graham.
Giunta al successo nei panni
dell’agente Felicity al fianco di Austin
Powers, dopo un periodo di inattività
l’attrice si divide ora tra cinema e
televisione. Mentre a metà gennaio
debutta come protagonista nella
serie comica della ABC Emily’s
Reasons Why Not, è al cinema che
riserva le sue doti drammatiche.
Dopo aver interpretato Mary di
Abel Ferrara, affiancherà William
Baldwin ed Erika Michels in 1-9 di
Alfredo De Villa, storia di tre
persone che, reduci da un
Appuntamento fisso con un ammiratore mascherato. Che si confessa alla Kidman, per parlarle di sé, del cinema e del mondo
SulletraccediNicole
JOHN TRAVOLTO ON THE ROAD
Motociclista d’assalto con Tim Allen.
Secondo l’Hollywood Reporter John
Travolta affiancherà l’attore in Wild
Hogs, commedia prodotta dalla
Tochstone Pictures in cui i due
faranno parte di un gruppo di
motociclisti quarantenni e frustrati
che, per dare una svolta alla loro
vita, decidono di partire in sella alle
loro moto alla ricerca d’avventura.
Ma il viaggio prenderà una piega
inaspettata quando si imbatteranno
negli Hell’s Angels, la temibile banda
di motociclisti fuorilegge che negli
anni sessanta
scorrazzavano
impuniti per le
strade degli
Stati Uniti.
chi fa cosa Di Andrea Agostini
periodo difficile della loro vita,
trovano conforto l’una nell’altra
durante un freddo inverno
newyorkese. Le riprese inizieranno a
metà febbraio.
Prima tappa: Sydney
Arrivo da te con la valigia in mano e la testa piena di progetti
Ho pensato a lungo alle
parole che sto scrivendo.
Sono giorni, e giorni, e
giorni che ci penso. Da quando,
sbarcato a Sidney con la valigia in
mano e la testa piena di progetti, ti ho
visto all’aeroporto. Tu, spietata Nicole,
mi hai gelato con lo sguardo. “Ti
riconosco, mio caro, ma il tempo è
passato”. Ecco quello che volevano
dire i tuoi occhi. Un fodero di una
chitarra ai tuoi piedi, un ragazzo, un
bel ragazzo al tuo fianco. In un attimo
tutta la stanza che mi ero costruito
con te è crollata. Dicono che lui sia un
cantante, un cantante country di
nome Keith. Dicono anche che vuoi
sposarlo nei prossimi giorni.
La mia disperazione, quella, la tengo
per me, algida Nicole. Anzi, per dirla
tutta non riuscirò mai a ritornare in
me. Ovunque io metta piede mi segue
un fantasma che mi sconvolge.
Atterrito dal dolore, sono salito su un
altro aereo, il primo che capitava. E
sono sbarcato a Los Angeles. Sono
andato da Maria Bello. Conoscevo il
suo indirizzo, l’avevo sbirciato sulla
tua agenda l’ultima volta che ci siamo
visti: quell’agenda che resta l’ultimo
tuo regalo che mi sono tenuto. Le ho
fatto i complimenti per A History of
Violence. Maria è stata gentile, mi ha
offerto un tè e mi ha raccontato le
sue origini italiane. Per ora resto qui
con lei, nella sua villa. Penso che
Maria mi abbia preso per un pazzoide
non pericoloso.
Non ti ho dimenticata, cara Nicole. Ma
vado avanti. Forse è stato tutto un
sogno: “Sono pagata per far credere
agli uomini quello che vogliono
credere”, dicevi in Moulin Rouge. Io ci
ho creduto. E di questo non sono
pentito.
Tuo Peter Parker
Non ti ho dimenticata ma
vado avanti. Forse è stato
tutto un sogno
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 7
TuttoDiTutto
I protagonisti
di Marcello Giannotti
IL GRANDE SCHERMO A TU PER TU. OVVERO: FINTA INTERVISTA
A PERSONAGGI REALMENTE ESISTITI. AL CINEMA
IL PERSONAGGIO Il colonnello Dax (Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick)
Francia, 1916. Nella lunga guerra
di posizione tra Francia e
Germania, il generale Broulard
(Adolphe Menjou) ordina
all’ambizioso Moreau (Georges
Macready) di attaccare la
roccaforte tedesca del Formicaio,
praticamente una missione
suicida. In cambio Moreau ottiene
la promessa di un avanzamento di
carriera. A guidare l’assalto è il
colonnello Dax (Kirk Douglas),
tutt’altro che convinto della buona
fede dei generali. L’assalto si rivela
un fallimento e si conclude con
l’accusa di tradimento del
battaglione francese. Nel corso del
processo vengono scelti a caso tre
soldati e condannati a morte come
punizione esemplare malgrado la
L’ATTORE Kirk Douglas
8 RdC Gennaio-Febbraio 2006
difesa appassionata di Dax. Quarto
film di Kubrick, tratto da un
romanzo di Humphrey Cobb,
Orizzonti di gloria è uno dei punti
più alti dell’antimilitarismo nel
cinema.
Colonnello Dax, lei è uno strano
tipo. Fa il colonnello ma la guerra
non le piace. E’ uno che dice: “Tra
mosche e moschetto preferisco le
mosche”
Senta, io sono un tipo così.
Prendere o lasciare. I piedi in testa
non me li faccio mettere da
nessuno. E non me li sono fatti
mettere neanche da quei due
generali, figurarsi. Qui non è
questione di pacifismo ma di
rispetto degli esseri umani.
Difendere i più deboli è qualcosa
che ho imparato quando facevo
l’avvocato e ho continuato a farlo
anche da colonnello.
Ma quando il generale Moreau le
ordinò di prendere il Formicaio alla
fine obbedì…
Mentre Moreau passava in
rassegna le truppe urlando e
dicendo idiozie sul valore sacro
della guerra, io sa come lo
aspettavo nella mia tenda? A torso
nudo.
E poi?
Poi l’ho colpito nel suo punto più
debole, in quello che spesso hanno
i generali. La cultura. E gli ho citato
Samuel Johnson, un letterato
inglese del ‘700 che aveva detto
che il patriottismo è l’ultimo
“Il potere è sempre uguale in tutte le
epoche: mette in evidenza le
peggiori meschinità dell'uomo”
rifugio delle canaglie. Quella
citazione l’ha fatto andare su tutte
le furie. Non se l’aspettava Moreau,
non sapeva neanche chi fosse
Johnson.
Alla fine riuscì ad avere la meglio.
Fu proprio grazie alla sua accusa
che il generale uscì di scena.
Guardi, il potere è sempre quello, in
tutte le epoche, non cambia: mette
in evidenza la peggiore meschinità
umana. E Broulard e Moreau
rappresentano quello. Anche se tra
Broulard e Moreau, a essere
sincero, mi fa più schifo Broulard.
Davvero?
E’ quello che neanche si sporca le
mani per andare al fronte a
guidare la battaglia, sta nei salotti
buoni a danzare e a ordinare
massacri. Mi ricorda certi politici di
adesso. Per questo quando mi ha
chiamato “figliolo” prospettandomi
la promozione gli ho detto che
tutto potevo essere ma non il suo
figliolo e che la sua promozione
poteva mettersela da un’altra
parte. Gli ho detto “vecchio, sadico
e degenerato”, proprio così. E l’ho
mandato al diavolo.
Colonnello, si è mai pentito in
tutti questi anni?
No, anzi, vedendo quel che è
accaduto poi al genere umano mi
sembra che aver detto quelle
parole pesanti come un macigno in
faccia a Broulard sia stato davvero
un motivo di orgoglio. Ce ne
fossero stati e ce ne fossero oggi
di colonnelli che dicono quel che
pensano realmente ai generali:
avremmo evitato guerre e molte
vittime.
> IL PERSONAGGIO
Nome Aldo Fabrizi
Provenienza Italia
Il film d’esordio
Avanti c’è posto
Il miglior film
Roma città aperta
L’ ultimo film
Il ginecologo della mutua
> LA SPECIALITA’
alla capricciosella
Pasta
con calamaretti e
pisellini
ar tartufo
Spaghettini
de li poveri
a le tre grazie
Pasta
(burro, latte e
gorgonzola)
> LA SCELTA
Cento anni di uno
chef poeta. La rima
costruita sullo
spaghetto, l’ispirazione
venuta da una
minestra. La passione
di Aldo Fabrizi per la
buona tavola e la
cucina romana è nota,
ma non tutti sanno che
è stata fonte di
ispirazione per alta
poesia. L’amore per la
cucina si è riversato in
versi e rime: sonetti
dedicati alla pasta, ai
sughi, alle zuppe. Da
pochi mesi si è
festeggiato il
centenario di questo
poeta dei fornelli, nato
il 1° novembre del 1905.
Il Comune di Roma ha
raccolto in un libretto le
ricette in poesia, create
in tanti anni nel suo
studio, la cucina, dove
elaborava nuovi piatti,
scriveva, riceveva amici
e parenti, personalità e
giornalisti.
Sito web www.berlinale.de
Dove Berlino, Germania
Quando 9-19 febbraio
Resp. Dieter Kosslick
tel. (0049-30) 259200
fax. (0049-30) 25920299
E-mail [email protected]
LVI edizione della Berlinale,
fondamentale appuntamento
europeo come Cannes e Venezia. In
concorso per l’Orso d’Oro le novità
d’oltreoceano e il grande cinema
d’autore mondiale (lunghi e
cortometraggi).
FESTIVAL INTERNATIONAL DU
COURT METRAGE DE CLERMONTFERRAND
Sito web www.clermontfilmfest.com
Dove Clermont-Ferrand, Francia
Quando 27 gennaio - 4 febbraio
Resp. Roger Gonin
tel. (0033-4) 73916573
fax. (0033-4) 73921193
E-mail [email protected]
XXVIII appuntamento con la
produzione mondiale dei
cortometraggi (animazione, per
bambini, documentari, opere
studentesche).
SUNDANCE FILM FESTIVAL
Sito web www.sundance.org
Dove Park City (Utah), USA
Quando 19-29 gennaio
Resp. Geoffrey Gilmore
tel. (001-801) 3283456
E-mail [email protected]
XXI appuntamento con la vetrina più
importante della produzione
indipendente americana. In
concorso opere divise nelle
categorie “fiction” e
“documentario”. Anteprime del
cinema internazionale. Attraverso gli
anni il Sundance ha scoperto e
lanciato autori emergenti.
ANIMATED EXETER
Sito web www.animatedexeter.co.uk
Dove Exeter, Gran Bretagna
Quando 13-25 febbraio
Resp. Catherine Bailes
tel.(0044-1392) 265208
fax. (0044-1392) 265366
E-mail [email protected]
VII edizione della rassegna non
competitiva specializzata nelle
produzioni d’animazione, rivolta agli
spettatori studenti. Previsti
workshop di apprendimento con
professionisti del settore.
PREMIERS PLANS - FESTIVAL
D’ANGERS
Sito web www.premiersplans.org
Dove Angers, Francia
Quando 20-29 gennaio
Resp. Claude-Eric Poiroux
tel. (0033-2) 41889294
fax. (0033-2) 41876583
E-mail [email protected]
XVIII edizione della rassegna con
quattro sezioni competitive:
cortometraggi francesi, opere-prime
(lungometraggi e corti) e saggi di
scuole di cinema europee.
FESTIVAL DE GERARDMER /
FANTASTIC’ ARTS
Sito web www.gerardmerfantasticart.com
Dove Gerardmer, Francia
Quando 25-29 gennaio
Resp. Jerome Lasserre
tel. (0033-3) 29609821
fax. (0033-3) 29609814
E-mail [email protected]
GOTEBORG FILM FESTIVAL
Sito web
www.goteborg.filmfestival.org
Dove Goteborg, Svezia
Quando 27 gennaio - 6 febbraio
Resp. Bengt Toll
tel. (0046-31) 3393000
fax. (0046-31) 410063
E-mail
[email protected]
XXIX edizione del più importante
festival scandinavo, a carattere
competitivo. Presenta una selezione
di film internazionali e un
approfondimento sulle produzioni
dei paesi nordici.
ANIMA
Sito web www.awn.com/folioscope
Dove Bruxelles, Belgio
Quando 24 febbraio - 5 marzo
Resp. Doris Cleven, Philippe Moins
tel. (0032-2) 5344125
fax. (0032-2) 5342279
E-mail [email protected]
XXV edizione dell’autorevole
manifestazione competitiva
specializzata nel cartoon e nelle
innovative tecniche d’animazione
digitali (corti e lungometraggi). In
concorso i corti prodotti dal
Belgio.
ALPE ADRIA CINEMA - TRIESTE
FILM FESTIVAL
Sito web www.alpeadriacinema.it
Dove Trieste, Italia
Quando 19-26 gennaio
Resp. Annamaria Percavassi
tel. (040) 3476076
fax. (040) 662338
E-mail [email protected]
XIII edizione della rassegna
internazionale competitiva
specializzata in fantasy, fantascienza,
Horror e thriller secondo un’ottica
interdisciplinare: film, video, fumetti
ed altre forme d’arte.
INTERNATIONAL FILM
FESTIVAL - ROTTERDAM
Sito web
www.filmfestivalrotterdam.com
Dove Rotterdam, Olanda
Quando 25 gennaio - 5 febbraio
Resp. Sandra Den Hamer
tel. (0031-10) 8909090
fax. (0031-10) 8909091
E-mail
[email protected]
XXXV edizione dell’importante
festival informativo e competitivo.
Molti titoli in programma (film a
soggetto, corti, documentari, video,
film on-line, Dvd, Cd-rom), comprese
anteprime mondiali o europee.
XVII edizione degli “Incontri con il
cinema dell’ Europa CentroOrientale”, tradizionale
appuntamento con film e video di
quest’area geografica. In concorso
opere recenti divise fra
lungometraggi e corti. Prevista una
retrospettiva monografica.
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 9
festival del mese Di Massimo Monteleone
divi al fornello Di Chiara Ugolini
INTERNATIONALE
FILMFESTSPIELE BERLIN
COVER STORY
Mona
il giorno dopo
Che cosa successe davvero all’indomani del
5 settembre 1972? Fatti e fiction nel nuovo,
dolentissimo, film di Steven Spielberg
DI MARINA SANNA
entre il presidente iraniano
Ahmadinejad nega l’Olocausto e
chiede la cancellazione dello Stato
ebraico dalle carte geografiche, Steven
Spielberg esce nei cinema con una
storia che fa rabbrividire. Soprattutto se a
raccontare quel settembre nero del ’72, con sguardo
lucido e quasi imparziale, è l’uomo della Shoah,
regista stimato negli ambienti più conservatori.
Spielberg, che sapeva dove sarebbe andato a finire,
non voleva farlo. Aveva rifiutato tre volte il
soggetto. Ci sono voluti cinque anni e molte
pressioni dalla sua amica e partner di produzione
Kathleen Kennedy per convincerlo. Munich è
ispirato al libro Vengeance del canadese George
Jonas, ma lo sceneggiatore premio Pulitzer Tony
Kushner ha riscritto tutta la trama (tu pensi alle
parole, gli ha detto Spielberg, io alle immagini).
Non ci sono eroi come in Schindler’s List, alcune
scene hanno l’impatto violento di Salvate il soldato
Ryan. I fatti sono quelli del settembre 1972,
quando a Monaco avvenne l’impensabile: l’inizio
del terrorismo internazionale. In un luogo e in un
M
10 RdC Gennaio-Febbraio 2006
tempo deputati alla festa, in pieno svolgimento dei
giochi olimpici, un gruppo di giovani in
abbigliamento sportivo si introduce negli alloggi
israeliani. Sono terroristi palestinesi che prendono
in ostaggio undici atleti e, falliti i tentativi di
riscatto, li ammazzano tutti. Le immagini sono
drammatiche, la televisione è già uno strumento
potentissimo: sia i terroristi che le famiglie delle
vittime seguono in diretta, minuto dopo minuto, le
mosse della polizia tedesca e le morti dei loro cari.
Si scatena l’inferno, sangue, fuoco, morte. La
reazione di Israele non tarda ad arrivare. Nella casa
di Gerusalemme, dove si tiene l’incontro segreto e
decisivo con i generali e i responsabili dei servizi
segreti, il primo ministro, la signora Golda Meir, dà
il via al contrattacco, altrettanto violento, con una
frase sibillina: “Oggi abbiamo scoperto che ogni
civiltà deve negoziare i suoi più alti valori con molti
compromessi”. Tra i convocati c’è Avner (Eric
Bana), burocrate del Mossad senza esperienza, figlio
di un eroe di guerra ed ex body guard della Meir.
“La famiglia è importante, è la base del nostro
futuro” gli dice il primo ministro, mettendolo di
co
Le immagini sono drammatiche.
La televisione è già uno
strumento potentissimo
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 11
COVER STORY
Il primo ministro
israeliano Golda Meir
(Lynn Cohen)
fronte al dilemma: abbandonare la moglie incinta o lo stato di
Israele. Nelle mani del superagente del Mossad Ephraim (Geoffrey
Rush), Avner capitola e parte per una missione segretissima:
rintracciare i responsabili del massacro di Monaco ed eliminarli
uno ad uno. Lo squadrone della morte è formato da altri quattro
agenti (tra cui Mathieu Kassovitz e Daniel Craig) che hanno
mansioni diverse: guidare la macchina, fabbricare documenti falsi
o ripulire la scena del crimine. Nessuno di loro ha mai ucciso
qualcuno. Da Ginevra a Francoforte, da Roma a Parigi, Londra e
persino Beirut (territorio proibito), Avner e il suo plotone si
muovono dapprima tentennando poi con sempre maggiore
fine del terrorismo? Poi tutto cambia. Popoli, nazionalità, ragioni,
cause, effetti. Cadono i cliché. Più che un film per la pace, sembra
una presa di coscienza drammatica, un’invocazione disperata.
In una scena che ricorda Private di Saverio Costanzo, Spielberg fa
incontrare casualmente palestinesi e israeliani. Avner è sotto
copertura, parla liberamente: “Perché non ve ne andate? Perché
continuate a combattere?” e il giovane arabo che si ritrova sotto lo
stesso tetto per una notte risponde: “E’ la nostra patria, è la nostra
terra, non la lasceremo mai”. “Che cosa ve ne fate? Per voi è arida
e brulla” ribatte Avner. Le altre domande (chi ha incominciato per
primo? Chi ha torto? Chi vincerà? Dove andremo a finire?)
Per un'ora e mezza il film sembra parteggiare per gli israeliani. Poi cambia tutto. Cadono i
cliché e diventa una presa di coscienza e un'invocazione disperata
sicurezza e sempre maggiore sete di vendetta. Per avere
informazioni e contatti spendono cifre incredibili, il tramite è un
giovane francese che appartiene a una famiglia indipendente da
qualsiasi governo e nazione. Scoprono così che il terrorista più
pericoloso, uno dei mandanti del massacro di Monaco, è protetto
anche dalla Cia, che lo paga perché abbia un occhio di riguardo
nei confronti dei diplomatici anglosassoni. A un’ora e mezza
dall’inizio Munich sembra parteggiare per gli israeliani, Avner e i
suoi sono attentissimi a non fare vittime tra i civili, si pongono
interrogativi morali tipo: chi stiamo davvero uccidendo? Sarà la
12 RdC Gennaio-Febbraio 2006
cadono nel vuoto, negli sguardi di reciproco sospetto. L’escalation
di violenza non si ferma, a ogni bersaglio abbattuto, i palestinesi
rispondono con attentati e stragi, le immagini sono difficili da
dimenticare. Verso la fine Avner, la cui parabola di uomo pacifico
diventato macchina da guerra rispecchia profondamente quella
del suo popolo, chiede a Ephraim: “Ho commesso degli omicidi?
Quelle persone sono state rimpiazzate da altre ancora più feroci. A
che cosa è servito?”. Sullo sfondo delle Torri Gemelle ancora
intatte, è la ragione di stato a rispondergli: “Li hai uccisi per la
pace. Se loro vivono gli israeliani muoiono”.
Eric Bana e Mathieu
Kassovitz. Accanto con
Ayelet Zurer
QUEL SETTEMBRE NERO Nomi, date e avvenimenti del massacro di Monaco
Durante le Olimpiadi di Monaco otto terroristi
palestinesi fecero irruzione nei quartieri della
squadra israeliana. Ferirono a morte l’allenatore di
lotta libera Moshe Weinberg e uccisero il campione
nazionale di sollevamento pesi Yossef Romano,
svegliati dalle urla e dagli spari altri atleti riuscirono
a scappare, ma durante il blitz gli attentatori presero
comunque in ostaggio 9 componenti del team
israeliano: i lottatori Mark Slavin ed Eliezer Halfin, i
pesisti David Berger e Zeev Friedman, gli allenatori
Kehat Shorr, Andre Spitzer ed Amitzur Shapira,
l’istruttore di sollevamento pesi Jakov Springer e
l’arbitro di lotta libera Jospeh Gutfreund. Per liberarli
i terroristi richiesero la scarcerazione di 232
palestinesi detenuti in Israele e dei due leaders della
Rote Armee Fraktion Andreas Baader ed Urike
Meinhof. Il Premier israeliano Golda Meir rifiutò ed il
Governo di Bonn prese tempo. Dopo ore di trattative
terroristi ed ostaggi furono trasferiti all’esterno in
pullman e quindi trasportati in elicottero
all’aeroporto militare di Fürstenfeldbruck alle porte
di Monaco, per lasciare la Germania su un Boeing.
Invece le teste di cuoio tedesche intervennero.
L’operazione andò male: i tedeschi credevano che i
terroristi fossero cinque mentre erano otto. Alla fine
del sequestro i morti erano diventati 18: tutti gli
ostaggi, un poliziotto, un pilota e cinque degli
attentatori. Tre palestinesi furono presi, ma per poco:
il 29 ottobre vennero liberati in seguito al
dirottamento del volo Lufthansa DamascoFrancoforte. Dopo un giorno di lutto, i giochi olimpici
continuarono. Solo un ristretto numero di atleti
lasciò le Olimpiadi. La frase pronunciata dal
Presidente del Comitato Olimpico Internazionale
Avery Brundage è rimasta tristemente celebre: “The
games must go on”. Il gruppo di fuoco palestinese si
chiamava “settembre nero”, sino ad allora aveva già
agito solo in Medio Oriente. Prima di Spielberg, al
massacro di Monaco sono state dedicate due
ricostruzioni: un documentario televisivo
statunitense 21 ore a Monaco del ‘76, e nel ‘99 una
coproduzione anglo-elvetica Un giorno in settembre
che guadagnò un Oscar e fu diffusa anche sui piccoli
schermi tedeschi.
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 13
SCOMMETTIAMO CHE...
MATURI PER
14 RdC Gennaio-Febbraio 2006
M
anca poco più di
un mese alla
consegna degli
Oscar. Titoli e
nomi dei vincitori
della 78a edizione
si conosceranno il
5 marzo. Difficile
che quest’anno un
solo titolo riesca a convogliare su di sé
un numero molto elevato di
nomination, sebbene non manchino
come sempre dei candidati forti. Ma
vera novità di quest’edizione, oltre ad
avere nuovamente posticipato la
cerimonia di consegna delle statuette per
lasciare spazio alle Olimpiadi, è il
ritorno alla carica degli indipendenti e
dei biopic. A ciò si aggiunge la scarsa
presenza di star tra i favoriti alla
conquista del premio e, per contro, i
tanti volti emergenti a farla da padrone.
King George
L’OSCAR
Clooney ottimo regista di Good
Night, and Good Luck e al giro di
boa come attore per Syriana.
Seymour Hoffman finalmente
protagonista in Capote e Judi
Dench da applauso in Lady
Henderson. Comunque vada, ecco
chi ha già vinto
DI ROSA ESPOSITO
Non è un caso che i due film tra i quali
si combatterà, con ogni probabilità, la
battaglia per la conquista della statuetta
siano Good Night, and Good Luck, opera
seconda di George Clooney, e il
vincitore del Leone d’Oro a Venezia I
segreti di Brokeback Mountain di Ang
Lee. Entrambi hanno fatto incetta di
premi e nomination fra i tanti
riconoscimenti che fanno da preludio
agli Oscar, ma se per Lee si tratta di un
ritorno dopo la candidatura conquistata
nel 2000 per La tigre e il dragone,
Clooney è in lizza non solo per una
nomination (la prima della sua carriera)
come regista, ma anche come attore non
protagonista per Syriana, il thriller
politico ispirato a una storia vera e
diretto da Stephen Gaghan.
Vite da Oscar
Sono molti i film biografici che
domineranno quest’edizione degli
Academy Awards. Su tutti Capote, con
Philip Seymour Hoffman nel ruolo del
celebre scrittore, e Quando l’amore
brucia l’anima, sulla vita del cantante
country Johnny Cash con Joaquin
Phoenix. Senza dimenticare che anche
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 15
SCOMMETTIAMO CHE...
Lady Henderson
presenta e, sotto, una
scena di Syriana
Match Point di Woody Allen. Il regista
potrebbe tornare agli Oscar per la
quattordicesima volta e vincere la sua terza
statuetta dopo quelle conquistate per Io e
Annie e Hannah e le sue sorelle.
Sfida tra titani
Good Luck, and Good Night racconta la
storia del giornalista della CBS Edward R.
Murrow, e poi Cinderella Man con Russell
Crowe nel ruolo del pugile Jim Braddock.
Tra gli indipendenti spiccano The Constant
Gardener di Fernando Meirelles, l’outsider
The Squid and the Whale diretto
dall’esordiente Noah Baumbach e Crash,
opera prima dello sceneggiatore di Million
Dollar Baby Paul Haggis. Ma soprattutto
Da parte nostra ci sentiamo di
scommettere su due titoli e due nomi
“snobbati” da parte della critica Usa e
dalla serie di riconoscimenti che
anticipano la consegna degli Academy
Awards: Munich di Steven Spielberg (vedi
servizio a pag. 10) e The New World di
Terrence Malick. I due registi potrebbero
tornare a scontrarsi di nuovo sul ring del
Kodak Theater a sette anni dalla sfida (poi
vinta da Spielberg) in cui a contrapporsi
erano Salvate il soldato Ryan e La sottile
linea rossa.
Pocahontas alla riscossa
Una quindicenne al suo esordio guida
invece la pattuglia delle donne che
Terrence Malick e Steven Spielberg si sfidano di nuovo
sul ring del Kodak Theatre. Mentre Woody Allen ci torna
addirittura per la quattordicesima volta
16 RdC Gennaio-Febbraio 2006
LA RIVELAZIONE
Gwyneth Paltrow in
Proof. Sotto Joaquin
Phoenix in Quando
l’amore brucia
l’anima
ambiscono all’Oscar per la migliore attrice
protagonista: la sorprendente Q’Orianka
Kilcher di The New World dovrà fare i
conti con la navigata e magistrale Judi
Dench di Lady Henderson presenta e con
Felicity Huffman dell’indipendente
Transamerica. Meno gettonate Charlize
Theron per North Country, Reese
Witherspoon per Quando l’amore brucia
l’anima, Zhang Ziyi per Memorie di una
geisha e Gwyneth Paltrow per Proof. Sul
fronte maschile il superfavorito Heath
Ledger (I segreti di Brokeback
Mountain) dovrà vedersela con la
rivelazione Philipp Seymour Hoffman,
straordinario, nel primo ruolo da
protagonista della sua carriera in Capote.
A contendere loro il riconoscimento un
solo divo, Russell Crowe, che tenta il
colpaccio dopo la statuetta conquistata
per A Beautiful Mind, Joaquin Phoenix
per Quando l’amore brucia l’anima,
David Strathairn per Good Night, and
Good Luck e Jeff Daniels per The Squid
and the Whale.
Q'Orianka Kilcher. A
destra con Colin Farrell
in The New World
1607: la perdita
del paradiso
Pocahontas alla scoperta del Nuovo
Mondo. Con la bellezza esordiente di
Q’Orianka Kilcher
“C’era movimento sopra l’acqua, c’erano
uccelli che volavano probabilmente senz’altra
ragione che la sola bellezza”. È l’incipit di
Elegia del viaggio di Sokurov, ma è utile per
accedere al poema visuale The New World,
quarto film nella carriera trentennale di
Terrence Malick. Bellezza, elegia e viaggio:
questi i cardini della rilettura dell’amore che fu
tra il soldato di ventura John Smith (un immoto
Colin Farrell) e l’indiana Pocahontas. È proprio
lei, sfrondata della melensa sovrastruttura
disneyana, a rifulgere di bellezza, in fusione
panica con la natura di una Virginia ancora
vergine oggi. Corpo flessuoso e volto di
cerbiatto, è l’esordiente quindicenne Q’Orianka
Kilcher, sangue per metà quechua, a incarnare
lo status edenico dei nativi, dove anche il
vocabolario rifugge le brutture relazionali del
mondo civilizzato. Con il meraviglioso testo a
fronte della figlia del capo tribù Powhatan, il
capitano Smith traduce la propria errabonda
identità inglese nel tessuto sociale degli
indiani. Ma è una trasposizione imperfetta. È la
violenza a catalizzare l’intrusione dei bianchi
nel territorio dei pellerossa, la cui nobiltà
stride con il grado zero della civiltà nel fortino
di Jamestown. D’altronde, sin dagli anni ’70
Malick era intenzionato a tracciare una sottile
linea rossa sul mito interracial. Ma
l’incomunicabilità tra i conquistatori inglesi,
capeggiati dal capitano Newport (Christopher
Plummer), e i nativi ha una sosta struggente
nel contatto tra Pocahontas e Smith: parole e
corpi, sfiorati e rincorsi, promessi e pronti a
travalicare le opposte fazioni. Fino a che morte
– presunta e poi reale – non li separi. Ragion di
stato forse, quella addotta da Smith, per
lasciare l’America. Amore di ripiego, quello di
Pocahontas per l’aristocratico John Rolfe (un
intenso Christian Bale). E giunta in Gran
Bretagna quale principessa della Virginia,
portata al cospetto dei reali, installata da gran
dama in una dimora sfarzosa, Pocahontas
conosce il medesimo destino del Barry Lindon
kubrickiano: la sua estroversione, le “cattive
maniere” vengono costrette in un bustino
asfittico, il suo danzare nella natura selvaggia
della Virginia viene castrato in un giardino
all’inglese. Chiede di tornare a casa, ma la
cacciata dall’Eden è senza ritorno. Paradiso
perduto. Per sempre.
FEDERICO PONTIGGIA
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 17
PERSONAGGI
100 volte
Rossellini
A un secolo dalla nascita, Isabella dedica al padre Roberto un cortometraggio. Un atto
d’amore, un viaggio nella memoria, senza dimenticare la bellissima madre Ingrid
DI CHIARA UGOLINI
“
M
io padre faceva tutto a letto:
scriveva, montava i film.
Stava sempre in pigiama
con il pancione esposto e io spesso
abbracciata a lui. L’abbraccio di
mio padre così morbido, così
tanto, così tenero, è un’immagine
a cui sono legata, un’immagine
buffa nella quale ho trovato la
mia voce per raccontarlo”.
Isabella Rossellini abbraccia un
enorme pancione nudo. Quello di
suo padre. Così l’attrice ha voluto
ricordare Roberto Rossellini nel
centenario della nascita in un
cortometraggio, My Dad is 100
Years Old (Mio papà ha cento
anni), visto in anteprima al
Torino Film Festival. Se non fosse
morto improvvisamente il 3
maggio del 1977, Roberto
Rossellini compirebbe un secolo il
prossimo 8 giugno. “Quando ero
piccola papà mi diceva sempre:
che peccato che non posso
18 RdC Gennaio-Febbraio 2006
allattarvi, che peccato che non
sono rimasto incinto, quanto mi
piacerebbe. Me lo diceva sempre –
ricorda l’attrice -. Quando avevo 3
o 4 anni pensavo davvero che mio
padre fosse incinto, per via di
quella sua grande pancia e perché
lo credevo onnipotente”. E per
questo in tutto il cortometraggio,
di Rossellini si vede solo la
pancia, una pancia che parla, che
si solleva, che ride. Una lettera
d’amore di quindici minuti, un
film interiore, nato nella testa di
Isabella e diretto dal regista
inglese Guy Maddin. Quanto di
più lontano ci può essere dal
documentario. Un viaggio
onirico, che parte dal generoso
pancione di suo padre per arrivare
ad alcuni personaggi chiave della
vita di Rossellini, tutti interpretati
dalla stessa Isabella. Con i capelli
impomatati e il sigaro è il
produttore David O. Selznick,
che aveva sotto contratto la
Bergman; con gli inconfondibili
baffetti e ali da angelo è Charlie
Chaplin; con la sua inseparabile
sciarpa e il cappello è l’amico
Federico Fellini; di profilo è
Alfred Hitchcock. Sempre lei,
sempre Isabella, in una grande
opera di trasformismo quando si
tramuta in Ingrid Bergman
provoca nello spettatore un
turbamento, una profonda
emozione. “Il film di una figlia
innamorata di suo padre. Per anni
ho cercato di spiegarlo ai miei
terapisti americani che non
capivano – ricorda -. Dicevano:
“Ma certo questo è il classico
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 19
PERSONAGGI
complesso di Elettra, lei è innamorata
di suo padre”. Ma io gli rispondevo
che se avessero avuto un padre come
Roberto Rossellini, anche loro
avrebbero avuto il complesso di
Elettra”. D’altronde il nome di Elettra
è un Leitmotiv di tutta la famiglia
Rossellini. Elettra era la nonna
paterna, Elettra è la ventenne figlia di
Isabella, ma Elettra è anche lei.
Isabella Fiorella Elettra Giovanna
Rossellini, nata il 18 giugno del 1952,
34 minuti prima della sorella gemella
Isotta. “La nostra è una famiglia
allargata, dispersa per il mondo, ma
sempre in contatto. Renzo, che è stato
anche assistente di papà, vive tra
Roma e Los Angeles; Roberto è un
pittore e sta a Parigi e Montecarlo;
mia sorella gemella Isotta insegna
letteratura alla Columbia University e
poi ci sono ancora i figli della moglie
indiana di mio padre, Sonali:
Raffaella, che vive nel Qatar e si è fatta
musulmana e Gil, che è stato colpito
da una malattia e che quando posso
vado a trovare in Svizzera anche per
portargli i salami che ama tanto. Poi ci
sono i molti nipoti, tra cui i miei figli.
Il maschio si chiama Roberto
Rossellini, l’ho adottato, è nero con gli
occhi blu e ho sempre pensato che a
mio padre sarebbe piaciuto
moltissimo ritornare in questa
versione da Apollo, da dio della
bellezza”.
Traduttrice, corrispondente per la Rai
da New York, modella, per breve
tempo costumista, volto immagine
per anni della Lancôme e poi infine
soltanto attrice. “Mio padre mi
avrebbe ammazzato se avesse saputo
che facevo un provino, che volevo
diventare attrice. Ci sono riuscita solo
dopo la sua morte e in modo
tormentato. Paolo e Vittorio Taviani
mi chiesero di lavorare in un loro film
(Il prato) ed io ero molto combattuta:
da un lato mi legava a loro una
profonda amicizia (mio padre li aveva
premiati a Cannes una settimana
prima di morire), e dall’altro sentivo
ancora la sua disapprovazione. Chiesi
consiglio a mia madre che mi disse:
‘Tuo padre amava i non attori, fai
questo film da non attrice’”.
Chi sono gli uomini di una donna
innamorata di suo padre? Sono registi
per lo più. Martin Scorsese, ma anche
David Lynch. Un attore, Gary
Oldman, un ballerino, Michail
Baryshnikov, un modello, Jonathan
Wiedemann. “Nella mia vita, dopo la
morte di mio padre, ho imparato che
i cineasti parlano sempre di cinema.
Lo faceva Martin Scorsese e pure
David Lynch e io mi preoccupavo, mi
chiedevo: ‘Cos’è successo? Ci sono dei
problemi sul set?’. Poi ho capito che i
registi parlano sempre di cinema, papà
no. Oggi avrebbe parlato della guerra
in Iraq”. La voce di Isabella Rossellini
è inconfondibile con la sua “r” alla
“Da piccola il suo pancione me lo
faceva sembrare onnipotente.
Credevo davvero che fosse incinto”
francese, ha un tono argentino e allo
stesso tempo ammaliante. “Ho scelto
di raccontare mio padre in modo
ironico, con un’immagine buffa per
evitare il confronto con i miei
genitori, che sono riusciti talmente
bene nel dramma. Ancora sessant’anni
dopo, alla fine di Roma città aperta o
di Paisà non ti alzi dalla sedia. Anche i
film hollywoodiani di mia madre, pur
melodrammatici, ti straziano
ugualmente. Il primo piano di
mamma in Casablanca è
un’immagine che strappa le lacrime.
Nel dramma io rimango senza forze,
mentre con una battuta di spirito
ritrovo l’energia. Ho scelto un tono
comico perché è quello che mi dà la
forza di dire la verità, forse”.
Roberto Rossellini
con i figli Renzo,
Isotta e Isabella
NEL MONDO
PARIGI E NON SOLO
Laboratori virtuali, retrospettive e concorsi per giovani cineasti:
il regista di Paisà rivive dal MoMA alla Cinémathèque
Roma, Parigi, Torino, New York e Maiori. Sono
queste le città che si preparano a festeggiare il
centenario della nascita di Roberto Rossellini. A
partire dal 2006 la Fondazione Rossellini, diretta
dal figlio Renzo e dal critico Adriano Aprà, dà il
via a una serie di progetti: un laboratorio con
Rossellini come tutor virtuale, una mostra,
l’edizione critica integrale della sua opera
letteraria, un museo virtuale dove il visitatore
potrà perdersi tra i film e le complesse vicende
biografiche del regista. Alla Cinémathèque di
Parigi e al MoMA di New York si stanno
20 RdC Gennaio-Febbraio 2006
preparando due importanti retrospettive, ma
anche nel piccolo comune di Maiori sulla costiera
amalfitana, dove Rossellini girò alcuni film
(Paisà, La macchina ammazzacattivi, Viaggio in
Italia) si stanno facendo grandi preparativi. Il
premio che porta il nome del regista, in questa
speciale edizione è dedicato agli studenti di
cinema; si invitano ad elaborare soggetti per
cortometraggi ispirati agli insegnamenti
rosselliniani, che verranno poi proiettati,
insieme ai film del regista girati a Maiori e
dintorni, nei comuni della costiera.
L’INTERVISTA
Dr. Bisio & Mr. Hyde
Lo showman strizza l’occhio a Paolo Rossi e Salvatores. E all’alba del 2006 (un romanzo, Pantani, il teatro) si sdoppia ne
Dr. Jekyll. Qui la metamorfosi è tutta interiore” DI DIEGO GIULIANI
llegro, entusiasta, curioso come
un bambino. Il primo a intuirlo
è stato il figlio di sette anni.
“Non ho ancora capito papà quanti
lavori fa – aveva detto alla mamma
durante le riprese del film -, ma vorrei
che facesse sempre questo”. Lui è
Claudio Bisio: showman televisivo e
colonna di Zelig, cresciuto inseguendo
i modelli di Dario Fo e degli
affabulatori. Il suo grande amore è da
allora il teatro. Il cinema, dice, resta
però il suo amante: “Una presenza
incostante, ma che proprio per questo
lascia un senso di incompiutezza che
mi spinge a riprovarci ogni volta”. Da
ben sei anni lontano dagli schermi,
Bisio lo fa adesso con La cura del
gorilla: uno “spaghetti noir” in sala dal
3 febbraio, in cui interpreta addirittura
un doppio ruolo. Il suo personaggio si
chiama Sandrone, come l’amico
Dazieri al cui romanzo è ispirato il
film. Un’identificazione sconfinata in
episodi esilaranti, come la gelosia
dell’autore e cosceneggiatore, che in
un primo momento si era ribellato a
una defaillance a letto del protagonista
con Stefania Rocca. Insieme a lei, e al
A
“Nel film
non dormo
mai e ho
due anime
opposte:
una bonaria
e gioviale,
l'altra
calcolatrice
e fredda”
22 RdC Gennaio-Febbraio 2006
ballerino di Maria De Filippi Kledi
Kadiu, Bisio ritrova sul set Gigio
Alberti, Bebo Storti e Antonio
Catania. Trascinante new entry,
nell’opera prima del regista
pubblicitario Carlo A. Sigon, è poi
l’88enne Ernest Borgnine di Mucchio
selvaggio, al suo primo ruolo in
italiano. Nella storia è un vecchio
americano, a cui il Gorilla fà da
guardia del corpo, dopo aver
abbandonato l’attività clandestina di
investigatore privato. Tutto liscio,
finché una donna non metterà in crisi
le opposte anime che albergano in lui.
Che cosa ti ha convinto de La cura
del Gorilla?
Fin da subito, a colpirmi è stato il
La cura del gorilla: “Altro che
personaggio. Un uomo che soffre di
sdoppiamento della personalità, ma è
lontano dal cliché manicheo del
Dottor Jekyll e Mr. Hyde. La sua
trasformazione è tutta interiore e
invisibile agli altri. Giocare su queste
sfumature impalpabili è quello che da
attore mi ha appagato di più.
Chi sono le due anime del Gorilla?
Sandrone è uno di noi: bonario,
ironico, con un passato di centri
sociali e militanza politica. Il Socio è
invece la sua componente razionale,
fredda, calcolatrice. La più grande
sfida è stata riportare sullo schermo
questa doppiezza. Mentre nel
romanzo comunicano attraverso dei
bigliettini, nel film abbiamo
introdotto dei veri e propri dialoghi.
Siamo ricorsi a una serie di
espedienti, come la macchina da
presa che passa da una parte all’altra
dello specchio, attraverso cui stanno
parlando. A partire da questa scena,
ho capito di aver “trovato” i
personaggi e che sarebbe stato tutto
in discesa.
Perché “spaghetti noir”?
La definizione è nata anche grazie
Stefania Rocca è tra i
protagonisti con
Borgnine, Gigio Alberti
e Antonio Catania
alle musiche. A firmarle è stato
Daniele Luppi, un italiano scoperto
da Tarantino, che abbiamo scelto per
dare alla storia un sapore vintage e
anni ’70. Per le sonorità si è rifatto a
b-movies, a capolavori come Un
cittadino al di sopra di ogni sospetto, e
si è addirittura avvalso degli stessi
musicisti di Morricone.
Emblematica è la scena finale, in cui
tra sombreri e baffoni, Borgnine si
esibisce in una performance
dall’inequivocabile sapore spaghettiwestern.
Come è stato lavorare con lui?
Il copione lo voleva come un vecchio
rimbambito e insopportabile. Il
Gorilla è la sua ombra, il bodyguard
che deve proteggerlo. Il problema è
stato però il carattere travolgente di
Borgnine: fin dal suo arrivo siamo
rimasti tanto affascinati da questo
vecchietto arzillo e vulcanico, che
una volta sul set, non riuscivo a
essergli insofferente come avrei
dovuto.
Gigio Alberti, Bebo Storti,
Antonio Catania: sul set ritrovi tre
amici di sempre. Puro
divertimento o ricerca di
protezione?
Gli incontri nuovi mi stimolano, ma
preferisco lavorare con persone con
cui ho un’intesa rodata. Lo stesso
Zelig è una chioccia da cui mi faccio
coccolare da sempre. Ritrovare amici
come loro è stato un vero e proprio
“piacere fisico”. Quest’anno ricorre
poi il ventennale di Comedians, lo
spettacolo fatto anche con
Salvatores, Silvio Orlando e Paolo
Rossi. Potrebbe essere l’occasione per
ricordarlo insieme, magari in
televisione.
E nel futuro?
Un anno sabbatico che mi
riprometto dal ’97. Vorrei recuperare
tutto ciò che non ho fatto a 20 anni:
girare il mondo da globe-trotter,
leggere e soprattutto scrivere. Ho in
cantiere un romanzo giallo
ambientato nel passato. Prima però
c’è la stagione di Zelig appena
iniziata e il film su Pantani.
Dimagrire 25 chili sarà il meno.
Questa volta dovrò misurarmi con il
vero dramma di un uomo e di un
grande campione.
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 23
L'esibizione di un
mangiatore di fuoco.
Sotto una veduta del
Cairo al tramonto
IL
RICHIAMO
DEL
24 RdC Gennaio-Febbraio 2006
PRIMO PIANO
NILO
48 paesi rappresentati nelle varie sezioni e Morgan Freeman ospite d’onore. Il festival del Cairo fa passi da gigante
mentre lo spettro della guerra aleggia sui film e l’Italia latita. Come sottolinea il ministro della cultura Farouk Hosny
DI MARINA SANNA FOTO PIETRO COCCIA
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 25
PRIMO PIANO
L'Egitto attira migliaia di persone
da tutto il mondo. Il turismo è una
delle principali fonti di ricchezza
econdo un recente
sondaggio Il Cairo è
all’ultimo posto per
qualità della vita,
surclassata persino da Città del
Messico e Rio de Janeiro. I
criteri si rifanno al contributo
che le capitali hanno dato alla
cultura e alla scienza, alle
potenzialità economiche, al
modo in cui sono state
governate negli ultimi 30 anni
e all’accoglienza riservata ai
turisti. Eppure la megalopoli di
grattacieli e sabbia, la città delle
moschee (ne contiene quasi
quattromila) conserva intatto il
fascino millenario. Nonostante
i recenti attentati e i controlli
quasi ossessivi in entrata e in
uscita dagli alberghi, l’Egitto
continua ad attirare migliaia di
S
26 RdC Gennaio-Febbraio 2006
persone dal mondo. Il turismo
è una delle principali fonti di
ricchezza, insieme con il riso e
il petrolio. Oltre alla bellezza
dei paesaggi, questa terra di
contrasti, di lusso e di miseria,
esprime grande senso di
ospitalità nei confronti dello
straniero, è un popolo, per
usare le parole di Morgan
Freeman, gentile e caloroso.
Accolto con tutti gli onori dal
presidente del festival del Cairo
Cherif El Shoubashy, l’attore
afroamericano è stato a lungo
applaudito da centinaia di
Morgan Freeman ospite
d'onore del festival del
Cairo. Accanto il
presidente El Shoubashy
persone, sebbene in questi anni
la parola americano non vada
per la maggiore. Dopo l’Iraq,
chi sarà il prossimo? Si chiede il
protagonista del film egiziano
La notte in cui cadde Bagdad, di
Mohamed Amin, in
competizione al festival, e
immagina di essere un
cittadino iracheno umiliato in
diretta televisiva dai soldati
americani. Intanto la Gazzetta
egiziana titola Is Bush the worst
president of Usa? E sciorina uno
per uno, numeri alla mano, i
motivi per cui Bush jr. sarà
ricordato come il peggiore della
storia degli Stati Uniti. Record
finora detenuto da James
Buchanan, eletto nel 1856, che
portò il paese alla guerra civile.
Per il presidente c’è l’imbarazzo
della scelta: si spazia dal
disastro iracheno al collasso
economico, dovuto alla
combinazione di riduzione
delle tasse alle fasce più ricche
della popolazione e all’aumento
della spesa nel settore militare,
per finire al fallimento della
politica interna (vedi New
Orleans).
FILM DAL MONDO
48 paesi rappresentati nelle
varie sezioni. Cherif El
Shoubashy si sfrega le mani,
ben consapevole che il festival
ha fatto un salto in avanti.
Un’edizione tra le più
interessanti – ci dice - per temi,
varietà linguistiche e culturali.
Anche per la forte presenza
della Cina, a cui è stato reso
omaggio, una novità rispetto al
passato, che ha solleticato il
palato di gran parte degli
invitati, tradizionalmente
abituati a vedere prodotti
americani ed europei. I cinesi
sono arrivati in tanti, a
incominciare dal Ministro della
cultura per finire al presidente
della giuria He Ping. Dietro la
splendida location, il Gran
Hyatt che si affaccia sul Nilo, i
ricevimenti lussuosi e gli
spettacoli spensierati, il disagio
collettivo e la tensione politica
internazionale si fanno sentire
anche al festival. Se El
Shoubashy ricorda il regista
siriano Moustapha Akkad,
vittima recente del terrorismo,
lo spettro della guerra aleggia
su gran parte dei film in
competizione e non. I più
premiati sono “stranieri”: il
finlandese Mother of Mine,
ambientato durante la seconda
guerra mondiale, e l’albanese
Magic Eye, che fotografa il
dramma del conflitto civile in
Albania, alla fine degli anni
Novanta. Quasi da ogni parte
del mondo si leva una voce, a
I film in concorso La
notte in cui cadde
Bagdad e Mother of Mine
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 27
volte flebile a volte disperata,
sull’assurdità di tutte le guerre.
L’ITALIA CHE NON C’E’
Parola di ministro. Se l’anno
scorso il presidente El Shoubashy
si rammaricava della scarsa
presenza italiana, Farouk Hosny,
portavoce colto e sofisticato della
cultura egiziana da circa
vent’anni (e pittore piuttosto
conosciuto anche in Occidente)
rincara la dose: “Siamo alla 29ma
edizione di una manifestazione,
l’unica in questa parte del
mondo, ad appartenere alla
Federazione dei grandi Festival
del Cinema, come Venezia e
Cannes, per intenderci. Il
pubblico egiziano conosce il
cinema italiano attraverso la
televisione, lo ama, ma ha poche
opportunità di vedere i film
nelle sale. Il Festival sarebbe
un’ottima opportunità, anche
perché in questa sede non si
prevede censura. Al contrario, mi
risulta che sia sempre più
complicato ottenere una buona
selezione di opere italiane
attraverso i canali ufficiali. I
produttori francesi, inglesi,
indiani, degli altri paesi africani
ed europei, anche gli americani,
chiedono e sono entusiasti di
28 RdC Gennaio-Febbraio 2006
Lucrezia Lante Della Rovere
e il regista Giampaolo Tescari.
Accanto El Shoubashy
con l'ambasciatore
italiano Badini
partecipare, gli italiani sono
assenti. Vorrei capire il motivo di
questo disinteresse”. Difficile
smentire il ministro, a
rappresentare l’Italia quest’anno
c’erano Pasquale Pozzessere con
La porta delle sette stelle, e
Giampaolo Tescari con Lucrezia
Lante Della Rovere per Gli occhi
dell’altro, già presentato in
anteprima al festival di Taormina.
Qua e là facevano capolino anche
Private, senza delegazione,
Miracolo a Palermo, Pontormo,
Prima dammi un bacio, La
spettatrice e Ovunque sei. Di
certo, una fetta non
rappresentativa della produzione
recente nostrana. “Il cinema –
prosegue Hosny - non è soltanto
un prodotto industriale che può
diventare opera d’arte, è anche, se
non soprattutto, uno
straordinario mezzo di
comunicazione, uno strumento
di promozione culturale che offre
uno spaccato sulla società, sul
modo di vivere, sulla psicologia
di gente diversa ed eterogenea e
permette, quindi, la presa di
coscienza di altre realtà. E’ per
questo che organizziamo
manifestazioni nei vari settori,
dal teatro sperimentale al cinema
alle arti in generale. Per
avvicinare i popoli”.
LO STATO DELLE COSE
L’Egitto ha una cinematografia
sviluppata, che cerca a livello
PRIMO PIANO
Il Ministro della Cultura
Hosny: “Credo nei giovani e
spingo affinché entrino nel
circuito internazionale”
locale di contrastare l’invasione
americana. Da qualche tempo
però la cugina Siria sta
guadagnando terreno
soprattutto nella produzione
televisiva, e il paese potrebbe
trovarsi presto orfano del suo
guru Youssef Chahine, il cui
stato di salute peggiora
progressivamente. Ma Hosny è
ottimista: “In passato l’Egitto è
stato un pioniere: l’egiziano è
diventata lingua universale nei
paesi arabi, e il nostro cinema
ha invaso il Medio Oriente ed è
stato esportato dappertutto. Il
critico Sherif Awad ha detto
giustamente che l’attore
egiziano rappresenta per gli
arabi quello che la star
hollywoodiana rappresenta per
il mondo intero. Abbiamo
Omar Sharif, un attore di fama
internazionale, una star, ma
anche un intero firmamento di
stelle amate in tutti i paesi
arabi e registi interessanti,
soprattutto tra i giovani, alcuni
dei quali si sono perfezionati
all’estero, in Italia per esempio.
Il solo nome, però, che ricorre
nei paesi occidentali è Youssef
Chahine”. E per il futuro
signor Ministro? “Ho molta
fiducia nelle nuove leve, e mi
adopererò perché possano entrare
in un circuito internazionale”.
VOCI FUORI DAL CORO
Dietro le quinte ci imbattiamo
in Omar Helal, di passaggio al
festival del Cairo. E’ qui nella
speranza di stringere la mano a
Morgan Freeman: “E’ un attore
straordinario. Magari avessi la
possibilità di conoscerlo”.
Omar ha 30 anni e sta
lavorando al suo primo film.
Ha una laurea in scienza della
Comunicazione ma a 18 anni
ha incominciato a lavorare
come fotografo e ha imparato il
mestiere. Ha lavorato all’estero,
poi è tornato a casa, al Cairo.
“Chi pensa di avere talento
deve tornare in patria, solo così
possiamo risollevarci da questa
situazione di stallo”. La
televisione, soprattutto quella
satellitare, li ha messi in
ginocchio. Fino ai primi anni
novanta l’arte era “monopolio”
egiziano. Poi è accaduto un
fatto curioso: Il gladiatore di
Ridley Scott ha cambiato il
mondo arabo e il modo di fare
cinema: tutti hanno cercato di
emularlo. I migliori film per la
tv sono diventati di matrice
siriana, è incominciata la
grande corsa tra l’Egitto e la
Siria, ma nelle sale sono arrivati
prodotti di scarsa qualità. “E’
vero, abbiamo Chahine. Ma lui
crede di essere Fellini e la
maggior parte della gente non
capisce i suoi film. I corti non
esistono e quanto alle uscite in
homevideo la situazione è
pessima. Sei mesi fa ha aperto il
megastore Virgin (n.d.r. prima
praticamente non c’era nulla)
l’offerta però è limitata a circa
200 titoli americani”. Dopo
molti regie per la pubblicità,
Omar è in procinto di fare il
grande salto: “Il mio film è
ambientato in un futuro che
non ha fatto progressi. La storia
si svolge in un tunnel della
metropolitana, la linea che va
all’aeroporto. C’è un ultimo
treno alle tre di mattina, due
vagoni si scontrano e tredici
persone rimangono
intrappolate sottoterra. Mentre
il resto del mondo è ignaro
dell’incidente, loro discutono se
muoversi per chiedere aiuto o
rimanere fermi. E’ una
metafora della situazione
attuale in Egitto, e una grande
scommessa. Non siamo a
Londra, qui i registi giovani si
contano sulle dita”.
Il regista Omar Helal.
Sopra il Ministro Farouk
Hosny
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 29
NEL 1972 IL MONDO È STATO TESTIMONE
DELL’ASSASSINIO DI 11 ATLETI ISRAELIANI
ALLE OLIMPIADI DI MONACO.
QUESTA
È LA STORIA
DI QUANTO ACCADDE DOPO.
DA L 2 7 G E N N A I O A L C I N E M A
Gli speciali
rC
d
Le Olimpiadi
dalla A alla Z.
Maratona di
titoli, discipline
e curiosità, in
occasione di
Torino 2006
MOMENTI DIGLORIA
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 31
MOMENTI DI GLORIA
OLIMPIADI
DA
BERLINO ’36, TOKYO ’64, MONACO ’72: TRE
TAPPE FONDAMENTALI NELLA STORIA DEI
GIOCHI (AL CINEMA). FIRMATE RIEFENSTAHL,
ICHIKAWA, LELOUCH, SPIELBERG…
DI ROBERTO NEPOTI
32 RdC Gennaio-Febbraio 2006
LE DATE FONDAMENTALI, per
FILM
le Olimpiadi al cinema, sono tre.
Andando a ritroso, il 1972, che
ora Munich di Steven Spielberg,
film bello e terribile, riporta
all’attualità. E’ noto che
Spielberg mostra solo il dietro le
quinte dei Giochi di quell’annus
horribilis - il sequestro di undici
atleti israeliani da parte di un
commando palestinese di
Settembre Nero – per narrare,
poi, le conseguenze del funesto
episodio e la guerra segreta che
ne derivò. I riferimenti
all’intrusione sanguinosa della
politica, invece, erano rimasti a
margine di un altro
lungometraggio dedicato alla
stessa Olimpiade di Monaco,
Visions of Eight (1973), diretto,
come da titolo, da otto registi di
fama dell’epoca: Arthur Penn,
Claude Lelouch, Milos Forman,
Mai Zetterling, John Schlesinger,
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 33
MOMENTI DI GLORIA
Jiuri Ozerov, Michael Pfleghar e
Kon Ichikawa. La produzione
(americana) permise a tutti di
esprimere punti di vista molto
personali sui Giochi: vedi
Schlesinger, che tratta la maratona
con effetti allucinatori; Penn, che
risolve totalmente il suo episodio in
immagini slow-motion e assenza di
suoni; Lelouch, il quale si piega a
osservare gli sconfitti, gli umiliati e
offesi della grande competizione.
Quanto al maestro Kon Ichikawa,
che nella gara dei 100 metri cercava
di riassumere emblematicamente
l’immagine della moderna
competitività, per realizzare il suo
ottavo film occorsero 34 macchine
da presa e 20mila metri di pellicola.
Poca roba, del resto, a paragone di
quello che il regista giapponese
aveva fatto con Le Olimpiadi di
Tokyo (Tokyo Orimpikku), in
occasione dei Giochi del 1964:
120mila metri di pellicola
impressionata che, proiettati
integralmente, avrebbero dato
luogo a un film di settanta ore. La
vicenda è parecchio bizzarra. Basti
pensare che Ichikawa non amava lo
sport, non ne aveva mai praticato
alcuno né se n’era interessato.
Tuttavia, quando il comitato
olimpico giapponese lo incaricò di
realizzare un film sull’evento, vi si
concentrò con grande passione,
valendosi di 142 cineprese
manovrate da cinque direttori della
fotografia e cento operatori (famosi
34 RdC Gennaio-Febbraio 2006
LE MILLE LUCI DI ATENE
Musiche e scenografie pensando a Cécile B. De Mille: la cerimonia di apertura del
2004 farà scuola?
Diecimila mani l’hanno portata ad Atene
attraversando i cinque continenti: la torcia olimpica.
Ed ora immacolati tedofori volano davvero nello
stadio ateniese verso l’enorme braciere. Poco
prima, la cerimonia d’apertura delle XXVIII Olimpiadi,
il 13 agosto 2004, ci aveva regalato momenti
spettacolari, grazie alla tecnica cinematografica.
Mai come questa volta, infatti, una cerimonia
d’apertura olimpica aveva utilizzato tanti effetti
speciali, supporti digitalizzati e testi rappresentati
quali vere sequenze cinematografiche. Vogliamo
ricordare tre usi esemplari di cinema. Il primo: la
bianca costruzione che fluttua sul mare, simbolo
dell’Egeo, cui lo stadio si è trasformato nel suo
mezzo, e che si scompone in frammenti sui quali
vengono proiettate immagini dell’umanità come
inno all’universalità e alla interculturalità olimpica. Il
secondo: per significare l’inizio della vita, quella vita
che attesta la pari dignità dell’uomo, pur nelle
differenze di razze, culture e popoli, emerge
dall’acqua una rappresentazione oleografica della
sequenza di DNA, che si costruisce al ritmo delle
musiche di Vangelis, attraverso proiettori
tridimensionali che ci faranno vivere il cinema in
modo nuovo. Infine, il terzo: per raccontare la storia
di Grecia e le sue tradizioni, tableaux vivants si
susseguono per lo stadio, evocati da un Mercurio
volante, come un’ininterrotta scena di sublime
bellezza. Cécile B. De Mille ne sarebbe rimasto
estasiato.
L.P.
Le Olimpiadi a colori e
in bianconero: Atene
2004 e il teodoforo
Lacedelli a Cortina '56
gli episodi dei cento metri, con la
vittoria di Bob Hayes, e della
maratona, col trionfo di Abebe
Bikila). Benché i suoi committenti
pensassero a una pellicola capace di
emulare quella girata nel 1936 da
Leni Riefenstahl, il regista
nipponico fece un film celebrativo
ma insieme eccentrico, “sporcato”
da inquadrature impossibili, ralenti,
controluce, sfocature. Dunque, il
1964 rappresenta la seconda data
pietra-miliare della nostra
filmografia, mentre la terza è
proprio il 1936, anno in cui la
Riefenstahl realizzò un capolavoro
del cinema di propaganda (e del
cinema tout-court) con i due episodi
di Olympia. Una storia delle
Olimpiadi dall’antichità al
presente, culminante nei Giochi
olimpici che si svolsero a Berlino in
quell’anno e concepita a gloria
imperitura del Führer e a
consacrazione della superiorità della
razza germanica. Anche se, poi, il
nero americano Jessie Owens
dominò in quattro diverse specialità
dell’atletica e Hitler dovette
premiarlo sotto l’occhio della
cinepresa di Leni. Per il suo film, la
regista tedesca ebbe a disposizione
mezzi faraonici: una folla di
operatori e cineprese, montate su
palloni o immerse, in cabine
stagne, nelle piscine; oltre a
CORTINA IERI E OGGI
Una settimana di eventi per ricordare le prime Olimpiadi Invernali italiane
FOTO: ROMA
Faraonici i mezzi
utilizzati già nel 1936
per Olympia
500mila metri di pellicola, pari a
300 ore di proiezione (ne furono
selezionate poco meno di quattro
ore). Va detto, per la cronaca, che
i Giochi non hanno dato luogo
soltanto a grandi macchine
spettacolari come quelle citate fin
qui. A margine, si può annotare
qualche bizzarrìa divertente. Come
Le olimpiadi dei mariti (1960),
dove i giornalisti Ugo Tognazzi e
Raimondo Vianello abbordano due
turiste straniere, a Roma per le
Olimpiadi; o come Le Olimpiadi
della jungla (Animalympics, 1978),
cartoon in cui, a disputare le gare
nelle varie specialità, sono leoni,
elefanti, paperi.
Cortina, 1956: tutto iniziò qui. Cinquant’anni dopo, la località sciistica
trentina ricorda le prime Olimpiadi Invernali italiane con una settimana
di eventi a tema. Momento clou il passaggio della fiaccola, il
programma prevede una non-stop di documentari e cinegiornali d’epoca
dell’Istitituto Luce, fino al 29 gennaio. Le commemorazioni
comprendono anche una rassegna di film a tema sportivo, una parata
di 15 auto degli anni ’50 e la premiazione di alcuni storici protagonisti
degli sport invernali.
MARATONE AL MUSEO
Venti grandi classici e il duplice restauro del primo Cabiria. Così Torino omaggia anche le
altre Olimpiadi. Quelle della cultura
Sport e non solo. Parallelamente alle
Olimpiadi Invernali la città di Torino organizza
anche una lunga maratona di mostre e
retrospettive. Fulcro del cartellone sono gli
appuntamenti delle Olimpiadi della Cultura.
Completamente rinnovato, il Museo Nazionale
ripercorrerà i fasti del cinema italiano dal
dopoguerra agli anni ’80 con venti classici
restaurati. Titoli come La dolce vita,
L’avventura di Antonioni e Riso amaro di De
Santis accompagneranno in cartellone il
duplice restauro di Cabiria. Smarrito nel suo
originale, il film girato da Pastrone nel ’14
sarà riproposto sia in una ricostruzione
effettuata sulla base dei documenti a
disposizione, sia nella successiva versione del
’31, musicata con le nuove partiture dei
maestri Avitabile e Ribas. Le due proiezioni,
che tra il 20 e il 21 marzo concludono le
Olimpiadi della Cultura, affiancano l’omaggio
al cinema muto torinese. A ricordarne fasti e
scenografie sarà infatti anche la mostra
fotografica “Immagini del silenzio”, allestita a
partire dall’8 febbraio sulla rampa e sulla
cancellata della Mole Antonelliana.
D.G.
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 35
MOMENTI DI GLORIA
A
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E
Atletica leggera
NAZISMO, GUERRA, DRAMMI ESISTENZIALI. LA STOFFA DEI CAMPIONI
NELLE RILETTURE DI SCHLESINGER, STERN E PETER WEIR
LA DISCIPLINA PRINCIPE delle
Dall’alto Un ragazzo di
Calabria, Momenti di
gloria e Forrest Gump
36 RdC Gennaio-Febbraio 2006
Olimpiadi, l’atletica leggera, si
installa sul grande schermo da
protagonista o più
frequentemente quale tratto
pertinente di un personaggio.
E’ il caso di Thomas Babe
Levy, il maratoneta
interpretato da Dustin
Hoffman nel thriller omonimo
di John Schlesinger. Ebreo,
studente universitario di storia,
Levy si allena alla corsa di
fondo a Central Park cercando
di avvicinare il suo modello,
l’etiope Abebe Bikila. La sua
vis agonistica diviene vendetta
ebraica nei confronti di un
criminale di guerra nazista. A
tutto fuoco la maratona è
ripresa invece in Running – Il
vincitore di Steven H. Stern,
con Michael Douglas capace di
superare una crisi esistenziale e
di fare terra bruciata ai Giochi
Olimpici di Montréal del
1976. Ma in vista del
traguardo cade, si frattura una
costola e conclude ultimo la
gara tra le ovazioni del
pubblico. Da un a-solo al
passo doppio, quello di due
atleti britannici a caccia di
Momenti di gloria a Parigi ’24:
allenamento, cameratismo e
religione. Emozionanti pagine
di atletica contrappuntano Gli
anni spezzati di Peter Weir,
con Mel Gibson e altri
volontari del Nuovissimo
Mondo impegnati nel
sanguinoso assedio del porto
turco di Gallipoli verso la fine
del 1915. Ancor più
strettamente biografica
l’ispirazione di Luigi
Comencini per Un ragazzo di
Calabria, ovvero Francesco
Panetta. Nel film, il tredicenne
Mimì corre, corre, corre,
sebbene il padre vorrebbe
proseguisse gli studi. La stoffa
del campione metterà una
F.P.
pezza in famiglia.
AL CINEMA PIACE il baseball.
Lo sport nazionale degli States
batte tutte le altre discipline
con un numero di pellicole che
sfiora le trecento.
Sceneggiatori, registi e major si
rendono conto che con il
baseball ci si può rivolgere a un
pubblico molto vasto. E
soprattutto si può parlare di
tutto. Dai grandi sentimenti
alla corruzione. Cosa meglio di
una squadra dove regna la
competizione e allo stesso
B
C
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M
E
Baseball
PIÙ DI 300 TITOLI, CHE CON SAM WOOD, DE NIRO E SINATRA,
PARLANO DEL SOGNO AMERICANO (INFRANTO)
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 37
MOMENTI DI GLORIA
Il baseball a due facce:
L'idolo delle folle e,
accanto, Fratelli per la
pelle dei Farrelly
tempo lo spirito di gruppo,
dove tra i molti può emergere
uno solo, dove si può
sconfiggere l’avversario ma
anche un passato di povertà e
solitudine? Cosa meglio di una
squadra può mettere in luce
pregi e difetti di una società?
Musical e corruzione in
Facciamo il tifo insieme di
Busby Berkeley con Frank
Sinatra, Gene Kelly ed Ester
B COME BIOGRAFIE
Dai pugni di Cenerentola al riscatto Sioux: storie vere da film
DI CRISTINA SCOGNAMILLO
Ascesa e declino. Vite private di
grandi personaggi dello sport. Sono
questi i motivi che portano gli autori di
cinema a occuparsi dei campioni. Non
sono il baseball, la boxe, il calcio o
quant’altro. Sono le storie, spesso
disperate, di questi eroi e antieroi
moderni che interessano il grande
schermo. Vizi privati e pubbliche virtù
offrono il destro per raccontare
solitudine, disperazione, trionfi e amori
di campioni che hanno fatto grande
uno sport e che da questi sono stati
travolti e intrappolati. Il Jake La Motta
di Scorsese/De Niro è in questo senso
emblematico. La sua violenza sul ring
in Toro scatenato viene sottolineata
anche nel quotidiano. Ma quello a cui
tiene Scorsese è “mostrare come un
pugile impara a dominare l’odio e la
violenza, come tenta di diventare
umano al di fuori del ring, come tutto
congiura per impedirgli di fermarsi”. E’
la redenzione dell’uomo, che il regista
sottolinea con la citazione di un
versetto del Vangelo di Giovanni.
Ventidue anni dopo Michael Mann si
occuperà di un altro campione del
38 RdC Gennaio-Febbraio 2006
pugilato con Alì, storia del leggendario
Cassius Clay, dai suoi successi,
all’impegno civile alla conversione
all’islamismo e al suo nuovo nome,
Muhammad Alì. Ma la vita del grande
campione era stata già raccontata nel
documentario premio Oscar, Quando
eravamo re di Leon Gast. Anche nel
recente Cinderella Man di Ron Howard
si racconta la storia di disperazione di
un altro pugile. Jim Braddock che,
dopo essersi ritirato dalla boxe non
riuscendo a trovare lavoro e non
sapendo come mantenere la famiglia,
decide di tornare sul ring. Il baratro.
C’è chi si avvicina, chi cade ma poi
risale e chi inesorabilmente ci si butta.
Maradona e Marco Pantani. Due grandi
campioni. Una vita spezzata e
ricostruita, un’altra per sempre
perduta. Del primo si stanno
occupando Marco Risi (La mano di Dio)
e Emir Kusturica (Maradona el pibe de
oro). Mentre per Pantani i progetti
sono di Claudio Bonivento (Il Pirata) e
della Colorado Film (Un uomo in fuga
con Claudio Bisio). Ancora baratro,
droga e solitudine in Ritorno dal nulla
Williams. Il tema del grande
giro d’affari che gravita intorno
al gioco torna spesso. La
proprietaria dei Cleveland
Indians vuole arrivare ultima al
campionato per rescindere il
contratto in Major League –
La squadra più scassata della
lega di David S. Ward. The
Fan – Il mito di Tony Scott,
un action-thriller con Robert
De Niro indaga sul business e
condanna il divismo sportivo.
Scandalo e sfruttamento con
l’affare “Black Sox” in Otto
uomini fuori di John Sayles
con John Cusack e Charlie
Sheen. Gli otto giocatori dei
Chicago White Sox sono
riconoscibili anche in uno dei
più bei film sul baseball,
L’uomo dei sogni di Phil
Alden Robinson con Kevin
Costner e Ray Liotta. Eroi
sfortunati e ostinati. Batte il
tamburo lentamente di John
Hancock in cui Robert De
Niro è un campione
condannato da un male
incurabile. Carriera stroncata a
vent’anni per un incidente
anche per Robert Redford ne
Il migliore di Barry Levinson. E
Dennis Quaid presta il volto a
un altro campione mancato in
Un sogno, una vittoria di John
Lee Hancock. Anche i piccoli
giocatori trovano posto sul
grande schermo. Un modo per
indagare sulle diverse
condizioni di vita dei ragazzi.
Baby league di Burt Reynolds,
Angeli di William Dear, Che
botte se incontri gli orsi di
Michael Ritchie con Walter
Matthau, manager per salvare
una squadra di ragazzi poveri.
Che rivive nel remake The Bad
News Bear della Disney con
Billy Bob Thornton. Kevin
Costner, Tim Robbins, Susan
Sarandon con Bulldurham –
Un gioco a tre mani di Ron
Shelton mettono al centro del
baseball conquiste amorose.
Amore e passione anche nel
film di Sam Raimi Gioco
d’amore che vede ancora
protagonista Kevin Costner. Il
riscatto in Hardball di Brian
Robbins e in Summer of Sam
di Spike Lee. Un capitolo a
parte meritano le biografie dei
C.S.
grandi campioni.
Fra i temi ricorrenti
quelli della corruzione
e delle scommesse
di Scott Kalvert, sull’irrequieto
campione di basket Jim Carroll. Destini
crudeli di campioni che dopo un
trascorso di vittorie e successi
finiscono la vita tra malattia e
solitudine, dimenticati dai milioni di fan
che per lungo tempo li hanno seguiti.
E’ il caso di George Herman Ruth, detto
“Babe”, in L’ultima sfida di Roy Del
Ruth. Poi ci sono i campioni sfortunati,
quelli che all’apice del successo
vengono colpiti da malattie mortali o
da gravi incidenti. La prematura morte
del mezzofondista americano Steve
Prefontaine in No Limits di Robert
Towne. O ancora la biografia romanzata
del campione di baseball Lou Gehrig,
morto a 37 anni, per distrofia
muscolare in L’idolo delle folle diretto
da Sam Wood. Con un remake, A Love
Affaire: The Eleanor and Lou Gehrig
Story di Fielder Cook. Ed è sempre Sam
Wood che con Il ritorno del campione si
occupa di un altro grande del baseball,
Monty Stratton, di nuovo sul campo da
gioco dopo un grave incidente che gli
fece perdere una gamba. Ai campioni
di baseball sono stati dedicati
numerosi film: a Jim Piersall,
Prigioniero della paura di Robert
Mulligan; a Joe Clark, Conta su di me di
John G. Avildsen; a Ty Cobb, Cobb di
Ron Shelton. A Olimpiadi e pellerossa
sono poi dedicati Running Brave di D.S.
Everett, vera storia del Sioux Billy Mills
che abbandonò la riserva per dedicarsi
al fondo, e Pelle di rame di Michael
Curtiz, vita e gioco di Jim Thorpe. A
occuparsi di calcio e dei suoi
personaggi è la Gran Bretagna in testa.
Mary McGuckian mette in scena in Best
l’asso del dribbling George Best e
mentre John Hay in Jimmy Grimble
racconta la storia di un ragazzino
isolato dal mondo e dalla famiglia, che
diventa una star del calcio. La storia
vera dell’austriaco Heinrich Harrer,
campione di sci in Sette anni in Tibet di
Jean-Jacques Annaud chiude il cerchio
dei nostri campioni. E proprio come
Jake La Motta, anche quella di Harre è
una storia di redenzione.
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 39
MOMENTI DI GLORIA
40 RdC Gennaio-Febbraio 2006
C
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M
E
Calcio
ALLE OLIMPIADI la presenza
del calcio ha sempre suscitato
polemiche, da un lato per lo
scarso interesse che la
manifestazione riveste per la
carriera di un giocatore,
dall’altra per la mancanza nel
calcio, sport per antonomasia
milionario, dei valori racchiusi
nei Giochi. Di qui anche la
mancanza di film volti ad
approfondire il rapporto fra
calcio e Olimpiadi, mentre ben
altra attenzione godono le
cronache domenicali. Il calcio
pone la macchina da presa di
fronte a precisi limiti narrativi:
la partita, evento irripetibile,
“rigorosamente in diretta”,
legata all’emozione e
all’incertezza del punteggio,
mal si presta alle visioni
plurime, in tempi e luoghi
diversi, della sala
cinematografica. Più del rito
della partita, il cinema è quindi
attratto dai risvolti umani e
sociali, dall’intrecciarsi di
sentimenti e passioni che essa
genera. È significativo che il più
bel film sulla passione calcistica,
Il viaggiatore di Abbas
Kiarostami, sia interamente
costruito sul desiderio di un
bambino di assistere a una
partita di calcio a Teheran e
sugli espedienti per rimediare i
soldi del biglietto. Giunto allo
stadio dopo un lungo viaggio, il
bambino si addormenta su un
prato. Una visione negata, che
però preserva interamente la
FUGA PER LA VITTORIA, KIAROSTAMI E GLI ALTRI: NEL MONDO
INTORNO AL PALLONE UNA LEZIONE DI STORIA SUL ‘900
DI LUCA PALLANCH
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 41
MOMENTI DI GLORIA
magia di un sogno. Questo sì
reiterabile all’infinito.
Non stupisce quindi che il più
delle volte la macchina da presa
si ritrae per descrivere quanto
accade al di fuori del campo di
calcio: sugli spalti, negli
spogliatoi, nei bar, per strada.
Ciò che ruota attorno al calcio,
spesso visto come metafora di
fenomeni sociali più complessi.
Il tifo per esempio, punto di
sfogo di tensioni latenti nella
vita quotidiana e spunto per
analisi sulla violenza nella
società contemporanea (Ultrà
di Ricky Tognazzi,
Appuntamento a Liverpool di
Marco Tullio Giordana, sulla
tragedia dello stadio Heysel). E,
nelle sue versioni più genuine,
come momento di aggregazione
(Due sulla strada di Stephen
Frears e Febbre a 90° di David
Evans, tratto dal bestseller di
Nick Hornby), oppure come
surrogato di una famiglia che
non c’è (Jimmy Grimble di John
Hay). Il football offre
l’occasione per rievocazioni
nostalgiche, come in ItaliaGermania 4-3 di Andrea
Barzini: il celebre gol di Rivera
come immagine simbolo di una
generazione, al pari del gol nella
finale di Coppa dei Campioni
Manchester United-Benfica del
’68 di George Best,
recentemente scomparso, a cui
rende omaggio l’omonimo film
Italia-Germania 4-3:
il gol di Rivera come
simbolo di un'epoca
Colin Firth malato di
calcio in Febbre a 90°.
L'ispirazione è il romanzo
di Nick Hornby
di Mary McGuckian, o alla
storica vittoria della Roma al
campo Testaccio contro la
Juventus nel ’31, raccontata da
Mario Bonnard in Cinque a
zero. Il calcio con i suoi eroi e le
sue leggende si propone quale
coordinata per tracciare la
Storia del Novecento: una
Storia fortemente popolare, che
scorre di pari passo con il
ricordo delle figurine Panini e
le immagini di archivio che
tanto successo riscuotono in
TV. Di tali immagini, per la
verità, il cinema ha fatto un uso
parsimonioso, forse perché a
42 RdC Gennaio-Febbraio 2006
differenza di altre discipline è
mancata una visione d’insieme
del calcio e in particolare una
visione storica, paragonabile,
per esempio, al rilievo
attribuito al baseball nella
cultura americana. Se non
nell’hollywoodiano Fuga per la
vittoria di John Huston, sulla
fuga di un gruppo di
prigionieri, guidati da Pelè, resa
possibile da una partita di
calcio contro i nazisti, o nel più
profondo Cup Final di Eran
Riklis, sul conflitto fra israeliani
e palestinesi, in cui il primo
momento di integrazione e
Emancipazione e
lotta al pregiudizio in
Sognando Beckham di
Gurinder Chadha
fraternità è rappresentato dalla
visione collettiva di ItaliaGermania, finale del
campionato del mondo 1982.
Vi sono stati semmai tentativi
di mettere in discussione
l’immagine che l’industria del
calcio punta a diffondere. È il
caso di Ultimo minuto di Pupi
Avati, uno dei pochi film sul
calcio che rifiuta ogni
mitizzazione e penetra negli
spogliatoi mostrandone i lati
oscuri: il cinismo, l’ipocrisia, la
spregiudicatezza, la perdita di
valori di un universo rinchiuso
in se stesso. Visto con gli occhi
di un ragazzo che si affaccia
nella prima squadra. Al quale
possiamo associare,
nell’ingenuità che ancora lo
contraddistingue, il calciatore
protagonista de L’uomo in più di
Paolo Sorrentino, che dopo
un’onorata carriera aspira a
diventare allenatore. Salvo
scontrarsi con un mondo che
tende a emarginarlo, perché non
ha più un valore economico. A
trent’anni o giù di lì, un età
nella quale si è già pensionati e
si è costretti a vivere una vita per
la quale non si è attrezzati: La
solitudine dell’ala destra – per
citare una raccolta di poesie sul
calcio di Fernando Acitelli – che
finisce col connotare un’intera
esistenza. Solitudine che il
cinema ha ben descritto ne La
paura del portiere prima del
calcio di rigore diretto da Wim
Wenders da un romanzo di
Peter Handke, fredda
ricostruzione del vuoto che
attraversa l’esistenza
dell’estremo difensore, e in Un
uomo in vendita diretto e
interpretato da Richard Harris,
la storia di un campione sul
viale del tramonto che delude le
speranze di riscatto di un suo
giovanissimo tifoso sbagliando
un calcio di rigore (una vicenda
analoga era già stata narrata da
Mario Camerini ne Gli eroi
della domenica). Film che
spezzano l’idolatria dei tifosi e
cercano di svelare il volto di
uomini nascosti dietro una
maglia.
C COME CICLISMO
Animate e in bianconero: le sfide di Totò e Appuntamento a Belleville
Bianconero d’annata, animazione
colta, patinato melodramma
hollywoodiano. Fuori dal coro delle più
tradizionali riletture ciclistiche, spicca
il poetico Appuntamento a Belleville
presentato a Cannes nel 2001. Fra
vecchiette mangiaranocchie e
dichiarati omaggi a Keaton e Tati,
l’animazione muta di Chomet ricorre al
sogno infantile di partecipare al Tour de
France, per mettere in scena un
surreale e poetico j’accuse
all’ossessione della tecnica. La
bicicletta come improbabile mezzo di
seduzione è poi la chiave di Totò al Giro
d’Italia. Accanto a lui veri campioni
come Coppi e Bartali, nel film di Mattoli
del ’49 s’improvvisa addirittura ciclista,
per conquistare la sua bella. A
scatenare gag ed esilaranti confronti, il
patto col Diavolo con cui si è garantito
il successo: rendergli l’anima un’ora
dopo il trionfo. Decisamente più
conforme alla prosopopea
hollywoodiana è Il vincitore con Kevin
Costner. Storia di due fratelli ciclisti,
che la malattia separa a pochi metri
dall’agognato traguardo.
D.G.
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 43
MOMENTI DI GLORIA
E
C O M E
Equitazione
SEABISCUIT : IL SOGNO
AMERICANO A PORTATA DI
TUTTI
AL GALOPPO verso un futuro
dove tutto è possibile. Ovvero:
storia di un cavallo zoppo e un
fantino cieco, alla conquista
dell’American Dream. E’ la
trasfigurazione mitica della
storia di Seabiscuit, sdoganata
G
C O M E
Ginnastica
O COME JANE FONDA, LA
MADRINA DELL’AEROBICA
PRIMA AL CINEMA In punta
di piedi, poi in Vietnam contro
l’imperialismo Usa. E’ la
strabiliante parabola di Jane
da Hollywood con sette
nomination nel 2004. Alle
spalle le vere prodezze che
ubriacarono gli Stati Uniti del
proibizionismo, l’adattamento
di Gary Ross cavalca gli
stereotipi dell’agiografia,
Fonda, figlia d’arte dalle sette
vite, con due Oscar in bacheca
e la maternità dell’aerobica in
televisione. Lanciata come sexsymbol dal marito Roger
Vadim, la Barbarella degli anni
’60 si ricicla presto per
film più impegnati. Due
statuette per Tornando
a casa e Una squillo per
l’ispettore Klute e poi
ecco la seconda vita:
recuperate le
ambizioni da modella,
si esibisce in tv con i
suoi esercizi. Risultato:
milioni di casalinghe
da tutto il mondo,
alimentano il suo
nuovo impero e
consacrano la
nascita di una
nuova disciplina.
L’aerobica. D.G.
Dopo due statuette
il vero Oscar. Con gli
esercizi in tv
44 RdC Gennaio-Febbraio 2006
prestando il sogno americano
all’ambiente dell’equitazione.
Depressione e rinascita di un
paese fiaccato dalla crisi corrono
parallele all’analoga parabola del
fantino Tobey Maguire. Le
stesse vicende ispirano nel ’49
anche il romantico The Story of
Seabiscuit con Shirley Temple e
Lon McCallister, mentre non
basta William Hurt a salvare dal
patetismo il successivo
Champions, girato da Irvin
D.G.
nell’83.
H
C O M E
Hockey
SENZA REGOLE SUL CAMPO:
DA VENERDÌ 13 ALLA
COMICITÀ DEI FARRELLY
DAI SINISTRI ECHI di
Hannibal alla comicità
demenziale dei Farrelly. Dal
manifesto antiviolenza di Meryl
Streep al Colpo secco di Paul
Newman. Secondo soltanto a
basket e baseball, l’hockey si
inserisce a pieno titolo fra gli
sport più rappresentati dal
cinema Usa. Complice la sua
stessa durezza, il gioco diventa
quindi spesso caleidoscopio della
L
C O M E
Lotta
PITT E NORTON CONTRO
LA SOCIETÀ DEI CONSUMI. A
MANI NUDE
DAVID FINCHER mette al
tappeto la società dei consumi.
Complici Brad Pitt e un
superbo Edward Norton,
ricorre alla lotta come
strumento di ribellione
suprema. Dissacrante e
violenza che lo accompagna e
contamina. E’ questo il caso di
Colpo secco, che lo affianca a
una spietata farsa sul sistema
mediatico, come anche di
Hockey violento con Meryl
Streep. Soltanto iconografico,
invece, il riferimento che ne
mutua il genere horror: dal
primo Venerdì 13 del 1980, la
maschera traforata del portiere
accompagna interi filoni del
Creepshow, fino alla moderna
contaminazione Freddy vs.
Jason. In dichiarata antitesi a
questa atmosfere, la farsa dei
Farrelly in Fratelli per la pelle:
gemelli siamesi, costretti dalla
nascita a condividere hockey e
D.G.
non solo.
iconoclasta, il suo Fight Club
recupera la primordialità del
corpo a corpo, per caricarlo di
dirompente valenza politica.
Primo ad essere contagiato dal
virus dell’insurrezione è
l’agente assicurativo Norton.
Inquadrato colletto bianco,
figlio della generazione Ikea,
inizia a condurre una doppia
vita. Di giorno ad alimentare
il sistema in azienda, di notte
negli scantinati a distruggerlo.
L’idea è del suo folle alter ego
Pitt e il gioco funziona.
Sempre più affollati di
insospettabili wasp, i loro
gruppi di auto-aiuto
clandestino crescono quindi in
ambizioni e obiettivi. Prima
sfogare nella lotta frustrazione
e rabbia individuali. Poi
rivolgerle all’esterno senza
pietà. Emblematica la
panoramica finale con il crollo
a domino dei grattacieli di
New York.
D.G.
N
C O M E
Nuoto
IN VASCA PER EMERGERE (O NON AFFONDARE): IL CASO DI EVIL E ON A CLEAR DAY
BRACCIATA DOPO BRACCIATA,
per scacciare l’incubo di un figlio
perduto. A sfidare la Manica è
addirittura Peter Mullan,
cinquantacinquenne al bivio
nell’applaudito On a Clear Day
con Brenda Blethyn e Billy
Boyd. Presentato al Sundance
Festival 2005, il film celebra il
potere catartico del nuoto in
puro stile Ken Loach.
Alternando dramma e
scanzonata commedia,
l’esordiente Gaby Dellal abbozza
la denuncia sociale, ma si
concentra sulla rinascita del
protagonista. Per Frank,
improvvisamente allo sbando
dopo il licenziamento e la morte
di un figlio, il nuoto diventa così
nuova ragione di vita. Poco
importa che si tratti di una sfida
impossibile. Come in Evil il
ribelle di Mikael Håfström,
l’importante è ritrovare uno
scopo. Per andare avanti nel
primo caso e affermare la
propria identità nel film svedese
candidato all’Oscar nel 2004. La
riuscita sportiva è qui tappa della
dura lotta del protagonista, per
sopravvivere a bigottismo e
soprusi dell’istituto di correzione
a cui è stato condannato dalle
violenze paterne.
D.G.
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 45
MOMENTI DI GLORIA
LA BOXE sta alle Olimpiadi
come L’arrivèe du train a La
Gare de La Ciotat sta al
cinema. Immagini e parole
possono mettere ko o
esaltare i sentimenti. Ancora
oggi, nell’angolo di una
palestra che puzza di sudore,
il giovane e l’anziano
discutono sulla fascinazione
di entrambi. L’allievo:
“Come andò quella volta tra
Chuk Wepner e Muhammed
Alì?”. Il maestro: “Andò che
per poco Clay non cadde
steso per un gancio sinistro
ben assestato. Montanti e
ganci, montanti e ganci.
Chuk sembrava alle corde,
poi schiva bene a sinistra,
P
46 RdC Gennaio-Febbraio 2006
rientra con un fendente al
fegato e quel colosso di Alì
viene salvato dal gong. Te lo
ricordi l’incontro tra
Stallone e Apollo Creed in
Rocky, il primo della serie?
Beh, il regista Alvidsen copiò
tutto dalla realtà”. L’allievo:
“Ma oggi che senso ha girare
ancora un film sulla boxe?
Sono un po’ tutti uguali”. Il
maestro: “Lo dici tu. Il
pugilato è poesia che arriva
dritta allo stomaco, come un
diretto senza guantoni; a
mani nude, grasso sulle
nocche e garza di panno. Lo
hanno ammirato scrittori, ti
dice niente Ezra Pound:
“L’apparizione di questi
C
O
M
E
Pugilato
UN ALLIEVO E UN MAESTRO SUL RING. PER RIPERCORRERE I KO
DEL CAMPIONE DI ZEFFIRELLI E VIDOR, ROCKY E THE BOXER
DI LEONARDO JATTARELLI
volti nella folla/Petali su un
umido, nero ramo”. Ti dice
niente la parola Shadow
Boxing? Il pugile che tira
pugni davanti allo specchio
con la sua ombra è come
l’attore che davanti alla
macchina da presa
fronteggia se stesso. La boxe
al cinema è la narrazione di
una epopea dello spirito. C’è
la povertà e la resurrezione,
la ribellione e il
compromesso, il riscatto
sociale e il sogno infranto.
Forse a te non ricordano
nulla titoli come Una faccia
piena di pugni con Anthony
Quinn, Anima e corpo di
Rossen, Stasera ho vinto
Niro-La Motta”. L’allievo:
“Mi parla sempre di cinema!
Io voglio sapere tutto di
campioni veri, altro che
immaginazione”. Il maestro:
“Primo Carnera sta tutto nel
Colosso d’argilla. Quando è
troppo tardi per pentirsi di
incontri biecamente
combinati, il protagonista si
trova di fronte un gigante di
nome Max Baer, campione
del mondo in carica dei pesi
massimi. E sai chi c’era sul
ring e davanti alla cinepresa?
Proprio lui, Max Baer, un
po’ vecchio e appesantito ma
sempre in forma. Avrai letto
sui libri di boxe la storia di
James J. Braddock, il
Il pugile che boxa con
la sua ombra è come
l'attore davanti al ciak
Cinderella Man interpretato
da Russell Crowe.
Nell’America della Grande
Depressione, il vero
Braddock prima della
semifinale per il titolo i soldi
se l’era impegnati tutti per
pagare la bolletta della luce e
l’affitto della sua baracca.
Questa è storia di vita, altro
che immaginazione! Prendi
il Rocky Graziano di Lassù
qualcuno mi ama, prendi
Rocco e i suoi fratelli di
Visconti, dove l’onta
anch’io di Robert Wise, Il
campione di King Vidor e
quello di Zeffirelli,
quell’uragano Hurricane di
Denzel Washington o Il
colosso d’argilla con
Humprey Bogart o ancora
quel capolavoro di Toro
scatenato di Scorsese con De
Million Dollar Baby.
Sotto il primo Rocky e
Cinderella Man.
Accanto The Boxer
dell’essere un immigrato in
patria si cercava di lavarla a
forza di pugni. E prova per
un attimo ad immedesimarti
nella disperata esistenza di
Rubin Carter, L’uragano,
arrestato ad undici anni e
da quel momento sempre
con la polizia col fiato sul
collo”. L’allievo: “Io
ultimamente al cinema ho
visto un film sulla boxe,
come si chiamava? Ah, sì...
Million Dollar Baby ”. Il
maestro: “E ancora non hai
capito che attraverso, ma
anche al di là della boxe si
può raccontare il dramma
di un uomo deluso dalla
vita, si può dare voce “alle
ambizioni della gente che
vive alla periferia della
società” come ha detto
Eastwood? Ma di questo
parleremo un’altra volta.
Adesso dobbiamo andare.
Sei pronto? Ricorda:
guardia alta, niente colpi
sotto la cintura, metti a
frutto il tuo Jab e che il
Signore t’assista in queste
Olimpiadi”.
MOMENTI DI GLORIA
P
C
O
M
E
Pallacanestro
Pattinaggio artistico
Pallanuoto
DI CAPRIO, D’ALATRI, VAN SANT: SUL
Pallacanestro
GHIACCIO E SUL PARQUET C’È POSTO PER
ANDIAMO A CANESTRO col
Ritorno dal nulla di Leo Di
Caprio, che passa dai campetti
newyorkesi al baratro
dell’eroina nell’adattamento del
romanzo autobiografico di Jim
TUTTI. ANCHE PER CONIGLI, VERE STAR E
UNA SQUADRA DI CAMPIONI ANIMATI
48 RdC Gennaio-Febbraio 2006
Carroll. E’ invece un dilemma
etico a far tremare la mano a
Nick Nolte, allenatore della
squadra universitaria dei
Dolphins in Blue Chips di
William Friedkin.
Con cammei di star del basket,
quali Shaquille O’Neal -
Il vero Michael Jordan
alle prese con avversari
in cartoon. Con lui in
Space Jam anche il
canarino Titti
vincere di Michael J. Fox è di
stretta osservanza W.A.S.P., con
He Got Game Spike Lee firma
un pamphlet moralista afroamericano capace di elevarsi
metafisicamente seguendo le
morbide parabole di un asso
diciottenne del basket
universitario. Di paternità, ma
delegata, parla pure Scoprendo
Forrester di Gus Van Sant, con
Sean Connery nume tutelare di
un ragazzino dalla mano calda
sia con la palla che con la
penna. Parente alla lontana del
film di Lee è anche Chi non
salta bianco è dello “sportivo”
Ron Shelton, che butta sul
playground l’amicizia
interracial tra i giocatori
Wesley Snipes e Woody
Harrelson. Tocca invece a
Paolo Villaggio recarsi negli
Usa per scritturare un
campione militante nel Black
Power in Sistemo l’America e
torno di Nanni Loy.
Concludiamo con lo scontro
tra il più grande cestista di
sempre, Michael Jordan, e gli
alieni in Space Jam, con Bugs
Bunny e gli altri cartoons a far
F.P.
da spettatori.
violentissimo è il Rollerball
portato sullo schermo da
Norman Jewison nel 1975 e
poi da John McTiernan nel
2002. Sorta di drammatico
diversivo del Sistema per
incanalare le energie degli
individui nel film originario,
quasi trent’anni dopo il
rollerball diviene mero
espediente per un cine-game
F.P.
brutale.
Pallanuoto
DISILLUSIONE A BORDO VASCA. E’ LA PALOMBELLA
(ROSSA) DI NANNI MORETTI
Pattinaggio
MEDAGLIA DI BRONZO ai
l’interpretazione gli valse una
nomination ai Razzle Awards
come peggior esordiente -, Blue
Chips non solo inquadra
realisticamente tattica e fisicità,
ma irrompe negli spogliatoi per
denunciare la piaga della
corruzione. Mentre la Voglia di
Giochi Olimpici di Salt Lake
City del 2002, Barbara Fusar
Poli e Maurizio Margaglio
sono i danzatori sul ghiaccio
scelti da Alessandro D’Alatri
per simboleggiare il rapporto
di coppia ideale. Quello a cui
tendono Stefania Rocca e
Fabio Volo in Casomai.
Allusivo e tremendamente
realistico è il pattinaggio del
Decalogo 1 di Krzysztof
Kieslowski: padre e figlio
calcolano al computer la
possibilità di pattinare sul
vicino laghetto, ma il ghiaccio
si rompe e il bambino muore.
Acrobatici sono invece i
pattini d’argento di un
orfanella accolta da una
compagnia di rivista sul
ghiaccio nel film omonimo
diretto da Leslie Goodwins nel
1943. Ibrido – mix di
pattinaggio a rotelle, hockey,
basket e motociclismo – e
Tocca al deputato
comunista Michele Apicella il
tiro che garantirebbe la
vittoria alla sua squadra di
pallanuoto: una “palombella”
con una parabola insidiosa
per sorprendere il portiere
fuori dai pali. Ma il tiro
fallisce, come fallimentare è il
bilancio ideale e professionale
del Nanni Moretti che si
confessa grottescamente in
Palombella Rossa. Divenuto
pallanuotista nonostante la
piscina lo terrorizzasse, nelle
pause del match Michele
incontra un cattolico
assillante e un politico trito:
la nausea a bordo vasca.
F.P.
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 49
MOMENTI DI GLORIA
S
NOBILI, arricchiti, spericolati.
Sport per pochi eletti, lo sci
risponde a un’iconografia ben
precisa. Campione delle
rappresentazioni è il suo
versante acrobatico, di cui si è
a più riprese nutrita la saga di
James Bond. Ai rocamboleschi
inseguimenti di Sean Connery
e successori, fanno da
contraltare l’iconografia
nazionalpopolare delle
Vacanze di Natale di Boldi
e De Sica e il ritratto più
prettamente sportivo de Gli
spericolati. L’eloquente titolo la
dice lunga sul taglio imposto
da Michael Ritchie nel ’69:
ritratto semidocumentaristico,
imperniato sulle evoluzioni in
pista della squadra olimpica di
discesa libera. Le riprese di
Robert Redford, protagonista
con Gene Hackman, sono
state realizzate da un vero asso
dello sci americano. Fra le
esibizioni dei campioni è poi
da ricordare quella del francese
Killy in Grande slalom per una
rapina. Nella commedia di
Englund del ’72 c’è addirittura
il tocco nostrano di Vittorio
De Sica, sul set con Danièle
Gaubert e Cliff Potts.
Memorabile, infine, l’omaggio
di Hitchcock in Io ti salverò:
grazie alla fantasia visionaria di
Dalì, la traccia di un paio di
sci spalanca qui la porta a
raffinatissime derive
D.G.
psicanalitiche.
Redford e Hackman
Spericolati nel film di
Michael Ritchie
50 RdC Gennaio-Febbraio 2006
C
O
M
E
Sci
VACANZE DI NATALE E
HITCHCOCK: INTERPRETAZIONI
AGLI ANTIPODI, CON FUORIPISTA
PSICANALITICI
FOTO: CONSTANTINI
L'antisportivo Boldi sulla
neve per Vanzina.
Decisamente più acrobatico
Tony Sailer (sopra), vincitore
della discesa libera alle
Olimpiadi di Cortina ‘56
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 51
MOMENTI DI GLORIA
SI TIRA UNA PALLA da una
parte all’altra. Quando va
bene, tra campioni, finisce
tutto in quattro, cinque
battute a punto. E se devi
riprendere la partita, un
campo lungo con la cinepresa
al posto dell’arbitro funziona
quanto basta. Campo e
controcampo lo fa la pallina,
una volta di qua, una di là. Il
tennis appassiona solo chi lo
pratica. Lo capisce soltanto chi
lo gioca. Lo guarda soltanto
chi lo conosce. Ne parlano in
52 RdC Gennaio-Febbraio 2006
T
pochi. E quando succede, non
è al bar, ma in un salotto di
San Babila o via Bigli (oppure
dei Parioli). Il cinema sfrutta il
tennis come notazione di
costume, per segnalare lo stato
sociale dei protagonisti,
riccastri e signorine, perché il
tennis è femmina, o
intellettuali metropolitani,
perché loro – noi – amano il
palleggio autorefernziale anche
quando si tratta di muovere i
muscoli e rilassare la mente (il
vero intellettuale non fa body
C
O
M
E
Tennis
building, ma soul building,
sempre). Alvy (Woody Allen)
conosce Annie (la Keaton) a
una partita di tennis e lei si
finge interessata alla
trascendenza! E come sono
“easy elegant” Kathryn
Hepburn e Spencer Tracy in
Lui e lei di Cukor, dove la
Hepburn esibisce vere doti
sportive e allaccia le scarpe
lasciando vedere cosce
muscolose dalla gonnellina
bianca. E lui: “Non ha tanta
carne addosso, ma quella che
ha è roba fina” (non sembra
proprio Tracy che ci rivela
perché si è innamorato per la
vita della Hepburn?).
Comunque, lei è sopraffatta
da un senso di colpa che si
manifesta durante il gioco
quando compare il fidanzato.
Per visualizzare il senso di
inferiorità, Cukor ingigantisce
la racchetta dell’avversario e
riduce quella della Hepburn.
Dolci borghesi anche i
signorini di Il giardino dei
Finzi Contini, ma se stiamo al
Kirsten Dunst sull'erba
di Wimbledon: secondo
film della storia girato
sui campi inglesi
DRITTO, ROVESCIO, CAMPO E CONTROCAMPO. MATCH POINT DI WOODY
ALLEN CONFERMA: È UNO SPORT DA INTELLETTUALI METROPOLITANI
DI SILVIO DANESE
tennis-femmina, c’è anche un
film di Ida Lupino, forse mai
uscito in Italia, Hard, Fast and
Beautiful, una commedia della
Rko del ’51, dove la
campionessa Sally Forrest,
dura, veloce e bella, molla la
carriera (filmata anche al
celebre Forest Hills di
Philadelphia) perché realizza
che la cosa che veramente
desidera è una casa e un
marito. Lupino non era
femminista. Quando
s’intromette in un film, il
tennis funziona se diventa
metafora. Per esempio, per
stare sulla notizia, l’infelice
istruttore del film di Woody
Allen Match Point, perde in un
palleggio tra matrimonio e
passione, fedeltà e adulterio,
con un tempo finale (un po’
poliziesco) che assomiglia a
uno scambio tra giocatori.
Dice la voce fuori campo,
all’inizio: “In un match di
tennis la palla, colpita la banda
della rete, per un quarto di
secondo pende da una parte o
dall’ altra. Con un po’ di
fortuna sarete il vincitore. Ma
se ricade dalla vostra, allora
avrete perduto”. Aspettiamo di
vedere da che parte cade la
palla anche in L’altro uomo di
Hitchcock, dove un campione
di tennis è costretto a giocare
in forma binaria una partita a
due: io ti uccido la moglie che
non vuole divorziare, tu mi fai
fuori il padre. In un film dove
la dialettica è “tra l’occhio che
vede e l’occhio che immagina”
(Merleau-Ponty citato da
Tinazzi), per il finale di Blowup Antonioni ha scelto la
pantomima dello sport in cui
è più difficile in assoluto
distinguere l’oggetto del
contendere, la palla, ma qui
siamo a un bisogno di senso
aperto: davanti alla partita
che non c’è il protagonista
Elegantissima anche
la Hepburn in
Lui e lei di Cukor
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 53
MOMENTI DI GLORIA
T COME TRASH
Invasione di campo e di
b-movies: da Paulo
Roberto Cotechiño a
L'allenatore nel pallone
Abatantuono, Martino,
Cicero, Buzzanca.
Eccezzziunali… veramente
in un revival da serie A
I Il 1982 è stato un anno molto
importante per gli sportivi,
specialmente per gli appassionati di
calcio. Tanto per dirne una l’11 luglio di
quell’anno, allo stadio Santiago
Bernabeu, l’Italia si laureò campione
del mondo. Ma questo, in realtà, è
secondario. Ciò che conta veramente è
che il 1982 vide uscire nelle sale uno
dei film più ignobilmente divertenti sul
calcio e i suoi dintorni. Stiamo
parlando, se proprio serve specificarlo,
di Eccezzziunale… veramente. Il film
diretto da Carlo Vanzina, micidiale
ritratto di tre supertifosi interpretati
dal grande e grosso Diego
Abatantuono, creò un precedente
facendo da stura a una serie di pellicole
tutte incentrate sul mondo del calcio.
Da L’allenatore nel pallone di Sergio
Martino a Mezzo destro mezzo sinistro,
perpetrato sempre dallo stesso
Martino, passando per Paulo Roberto
Cotechiño centravanti di sfondamento,
diretto da Nando Cicero e interpretato
da Alvaro Vitali, che nello stesso anno
era stato tra i protagonisti de Il tifoso
l’arbitro e il calciatore di Pier
Francesco Pingitore. Forse proprio
quest’ultimo film (ancor più che
L’arbitro, con Lando Buzzanca) segna il
discrimine tra prima e dopo, tra storie
che mantenevano una seppure
fotografo (della realtà
ambigua) entra nel gioco e
raccoglie la palla (che non c’è).
Altrimenti si tira via: non
funziona il gioco del tennis
come motore narrativo, e
quando succede (raramente) è
una noia. Il tennis non è il
calcio, né automobilismo,
boxe o i cento metri. Non è
54 RdC Gennaio-Febbraio 2006
esilissima parentela con la commedia
all’italiana e storie che servivano solo
da pretesto a sgangherate (ma
divertenti) sequele di gag, volgarissime
e senza costrutto. Citando solo di
sfuggita Moana e Cicciolina ai mondiali,
è interessante notare come quei film, al
di là di non richiesti giudizi di valore,
riscuotessero molti consensi di
pubblico e, come suggeriscono i dati di
vendita dei DVD, ne riscuotano ancora
oggi. Se a distanza di oltre 20 anni
ancora se ne parla vuol dire che
l’accoppiata cinema e pallone, in quel
caso, funzionava. E questo è un po’ il
punto della discussione. Se infatti
guardiamo bene, dobbiamo notare che
roba da momenti di gloria.
L’ultimo gioco di Anthony
Harvey, in fondo unico nella
storia del cinema sportivo, si
svolge interamente, con una
serie di flashback, durante le
due ore di una partita di
tennis, e forse non piace
neanche ai patiti. Meglio
Wimbledon, diretto due anni
è sempre è stato difficilissimo fare film
sul calcio, e se si eccettua il peraltro
non riuscitissimo Fuga per la vittoria di
John Huston, ci accorgiamo che di
capolavori sulla sfera cuoiata non ne
sono mai stati realizzati. Anzi,
paradossalmente, i più riusciti sono film
come Ultimo minuto di Pupi Avati (con
un cameo guarda caso di Abatantuono),
e Febbre a 90°, dove immagini di calcio
o non si vedono o sono di repertorio.
Sparlare dei titoli succitati è un po’
come voler friggere con l’acqua: si sa
che è inutile. Scrivere “se vi sta a cuore
la cultura scegliete qualcos’altro”,
significa davvero non sapere cosa la
cultura sia, se non un inutile esercizio
fa da Richard Loncraine, il
secondo film (dopo Players,
un Paramount dove
comparivano Jimmy Connors,
Ion Tiriac e un giovanissimo
McEnroe) girato nel celebre
club alla periferia di Londra,
con buone riprese degli
incontri. Ci sono parole per
ricordare l’immaginifico Tati,
snob. Non c’è dubbio che il trash, se
proprio vogliamo usare questa parola,
non è altro che un escamotage
dell’industria cinematografica per
riciclare prodotti privi di pretese etiche
ed estetiche, ma forse nella fattispecie
si imporrebbe una riflessione. Dal
momento che il cinema d’autore non è
mai riuscito a parlare di calcio in
maniera convincente, non sarà che
forse la dimensione del calcio
appartiene proprio alla commediaccia?
Ai cineasti “seri” lasciamo però come
ispirazione lo spirito olimpico, elevato,
che da tempo non abita più negli stadi
dove si gioca a pallone.
ALESSANDRO BOSCHI
che veste il suo Hulot in
vacanza con un cappello di
carta di giornali e, con
pantaloncini alla zuava, tira
oltre la rete palle imprendibili
sui denti sorridenti del
pubblico? Il cinema è come il
tennis. A volte ti becchi
l’immagine in faccia, e fa
male.
Punto critico: manuale per
sopravvivere alle uscite in sala
MATCH POINT
Delitto senza castigo per il geniale Woody Allen. Una lezione amorale in sintonia coi tempi
IN SALA
(Doppio) delitto e (senza)
castigo. Solo con qualche
rimorso di coscienza, un tarlo che
non permette al colpevole di godersi
appieno gli agi sociali ottenuti con
ciniche strategie e col crimine,
“necessario” per sbarazzarsi di
un’amante ingombrante (e incinta).
In Match Point - racconto (a)morale
ambientato a Londra - Woody Allen
sa tessere una perfetta e implacabile
rete di personaggi, scelte, passioni e
coincidenze per dimostrare il ruolo
predominante della “fortuna” sul
corso della nostra vita. Ai tempi di
Crimini e misfatti l’oculista ebreo
macchiatosi del delitto finiva per
lacerarsi la coscienza, memore degli
insegnamenti del rabbino sul fatto
che non si può sfuggire allo sguardo
di Dio anche se si elude la giustizia
terrena. La tesa e misurata regia di
Match Point (con ironico
contrappunto di opere liriche)
implica dialoghi in cui si nomina
chiaramente il Caso.
L’etica (o almeno il richiamo ad essa)
qui è scomparsa: regna la sola Dea
Bendata (non La dea dell’amore del
regista), simbolizzata dall’esemplare
scena d’apertura, con la palla da
tennis che esita sopra la rete. Se
cadrà al di là o al di qua del “net”,
dipende solo dal capriccio fortuito di
un universo anti-provvidenziale,
privo di un disegno o un destino. Il
movimento della palla – fisico ma
anche filosofico – si ripete
nell’ambigua scena dell’anello della
vecchia uccisa. Una prova scottante
se venisse raccolto dalla polizia, con
somma sfortuna del killer. Ma il caso
gioca paradossalmente a favore di
Chris, fornendo un indiretto alibi per
scagionarlo dai sospetti della polizia,
cosicché egli resta impunito.
Nonostante le dichiarazioni di Allen
sull’ispirazione dostoevskijana, la
LA REGIA TESA E MISURATA ESALTA LA TRAMA DI PASSIONI E
COINCIDENZE PER DIMOSTRARE IL RUOLO DELLA FORTUNA
scena in cui il giovane arrampicatore
sociale legge il romanzo, e qualche
somiglianza con la struttura
dell’intrigo, in realtà Delitto e castigo
è distante anni luce dalla
Weltanschaung del cineasta. Non
solo perché lì Raskolnikov uccide
l’usuraia per presunzione ideologica
al di là del bene e del male,
camuffata da filantropia; non solo
perché non sfugge alla Legge degli
uomini ma anzi si costituisce e
finisce in Siberia; ma soprattutto
perché la sua presa di coscienza
coincide con la conversione cristiana,
catalizzata dalla presenza amorevole
della prostituta Sonia, donna di fede.
Il crimine come peccato di
onnipotenza e disprezzo per gli
esseri “inferiori”, e il cammino di
espiazione dell’assassino
dostoevskijano, presuppongono
l’esistenza e l’operato di Dio. Ben più
squallidamente, come specchio dei
nostri tempi eticamente confusi, il
tragico atto di Chris è motivato dalla
borghese necessità di non perdere
lusso e carriera. A cui si possono
sacrificare un’ipocrisia matrimoniale
senza amore (con Chloe), una
passione vera (con Nola) e perfino un
figlio in arrivo, definito “danno
collaterale”. Senza castigo,
l’opportunista omicida non può
mettere del tutto il silenziatore alla
verità. Gli appaiono i fantasmi delle
due vittime, che lo costringono a
riflettere: sarà per lui alto il prezzo
da pagare (nella mente, non in
carcere) per aver eliminato degli
innocenti. E Chris, solo in quel
confronto metafisico, dichiara che se
venisse arrestato almeno
esisterebbe al mondo una giustizia,
cioè un significato delle cose. Non è
la prima volta che Allen mette in
scena dei trapassati (Alice, Tutti
dicono “I Love You”). Per l’unico
momento di ipotesi non atea sul
“senso”, il regista più che Dostoevskij
ha omaggiato Dickens e il suo
moralissimo Cantico di Natale.
MASSIMO MONTELEONE
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
56 RdC Gennaio-Febbraio 2006
WOODY ALLEN
Scarlett Johansson, Jonathan Rhys-Meyers
Drammatico, Colore
Medusa
124’
iFilmDelMese
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 57
iFilmDelMese
LADY VENDETTA
Peccato e redenzione in confezione shock. Dalla Corea con grande stile
IN SALA
Era in gara all’ultima Mostra di
Venezia, dove suscitò
entusiasmo nella crescente cerchia
degli adepti dei riti coreani. Ecco
Lady Vendetta (Simpathy for Lady
Vengeance) del quarantunenne Park
Chan-wook, che è attualmente con
Kim Ki-duk uno dei registi sudcoreani
più apprezzati nel mondo. Episodio
finale di un trittico dedicato alla
vendetta, di cui in Italia è uscito nel
2005 il secondo titolo (Old Boy),
Lady Vendetta ribattezza in una luce
nemesiaca la bellissima Lee Youngae, diva televisiva con fan adoranti in
tutta l’Asia. E’ la protagonista
MONTAGGIO E INVENTIVA STRAORDINARI.
COME LA PROTAGONISTA LEE YOUNG-AE
58 RdC Gennaio-Febbraio 2006
imprigionata a vent’anni per il
sequestro e l’omicidio di un bambino,
mentre il vero colpevole – che lei si
limitò a “coprire” - è un maestro
d’inglese che continuerà nella sua
efferata pedofilia (nel film ci sono
alcune immagini davvero scioccanti
di bambini torturati e assassinati).
Uscita tredici anni dopo dal carcere,
dove si è resa amabile alle altre
detenute per la sua dolcezza e la
disponibilità, la splendida Lee si
trasforma appunto in Lady Vendetta:
ritrova la figlioletta che al momento
del processo era stata affidata a una
coppia australiana, individua,
sequestra e prende a torturare il
maestro cattivo, ma lascia che a
finirlo siano i parenti degli altri
bambini da lui uccisi nel corso del
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
PARK CHAN-WOOK
Lee Young-ae, Choi Min-Sik
Thriller, Colore
Lucky Red
119’
tempo. Sul luogo c’è anche il
poliziotto che s’era occupato del
caso, al quale è lasciato il compito di
scattare la foto-ricordo a “lavoro”
concluso. Un epilogo dai toni tragicogrotteschi, che consente alla
protagonista di ricominciare una vita
normale. Ma la trama non basta a
rendere giustizia al film di Park
Chan-wook, alla sua pirotecnica
inventiva che si avvale di cromie
esasperate e di strabilianti effetti di
montaggio, delle dolcissime
musiche di Vivaldi e di sparatorie
ravvicinate alla maniera di Quentin
Tarantino. E, su tutto e tutti, del
pallore angelico eppure rosseggiante
di rabbia di Nostra Signora della
Vendetta.
OSCAR IARUSSI
ANTEPRIMA
LE TRE SEPOLTURE
Esordio alla regia per l’attore Tommy Lee Jones. Con una parabola illuminante
ANTEPRIMA
CASANOVA
Divertente commedia degli equivoci. Il
famoso seduttore è quasi un pretesto
C’è qualcosa di autentico, di
veramente vissuto, in Tommy Lee
Jones, nel modo in cui il suo corpo
aderisce ai personaggi che interpreta. È
una sorta di natura “nodosa” da uomo
di frontiera, da texano abituato a fare i
conti con il tempo e lo spazio, come
quella di un tronco con le radici ben
piantate nel terreno e la superficie che
conserva le tracce degli anni. Questa
natura la trasmette al suo primo film da
regista, Le tre sepolture, l’unica vera
sorpresa del festival di Cannes 2005. Se
parliamo di natura è perché, al di là
delle sottigliezze di una sceneggiatura
originale, ben scritta e articolata (di
Guillermo Arriaga, lo stesso di Amores
perros e 21 Grammi) il cuore del film è
la trasmissione dei valori etici e civili,
quali la conoscenza di sé e il rispetto
dell’altro, ovvero ciò che traspare da
sempre nei ruoli ruvidi interpretati da
Jones, sia che egli lavori con Eastwood,
con Howard o con Friedkin. In tal senso
la storia raccontata dal film – il caso del
messicano Melquiades Estrada,
immigrato illegalmente in Texas, ucciso
e seppellito da una guardia di frontiera
troppo zelante, riesumato dalle autorità
e definitivamente inumato da una
giustizia “sommaria”, è riaperto da un
cowboy solitario, unico amico del
morto, che costringe il colpevole ad una
“illuminante” via crucis – ha il valore di
una parabola ed è il frutto di un lavoro
di cineasta, filtrato attraverso
l’esperienza, esistenziale e
professionale. Il Texas è territorio
americano, strappato ai messicani con
le armi, e da anni convive con
un’immigrazione che crea divisioni,
sociali e razziali. È una situazione
raccontata più volte dal cinema
attraverso storie drammatiche di
antagonismo. Tommy Lee Jones,
testimone diretto di questo stato di
cose, propone invece una realtà di
somiglianze piuttosto che di diversità.
Ed è questa prossimità che il suo eroe
“antico” fa toccare con mano al giovane
assassino, attraverso un viaggio
iniziatico nelle rudezze della natura,
nell’incontro con persone sconosciute,
nella scoperta dei sogni di un uomo,
che ormai esiste solo in fotografia: una
vicinanza che si respira anche nel
montaggio del film, dove presente e
passato convivono, e soprattutto negli
spazi dilatati del deserto, che
costringono l’individuo a riconsiderare
la sua posizione nel grande piano del
creato. Non più il demiurgo che
comanda, ma l’umile allievo che
apprende.
LUCIANO BARISONE
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
TOMMY LEE JONES
Tommy Lee Jones, Barry Pepper
Drammatico, Colore
01 Distribution
121’
Dalla storia
di un cowboy
solitario
emergono
valori come la
conoscenza
e il rispetto
dell’altro
Non una biografia, bensì un film
romantico con toni comici dove di
Casanova resta soltanto il cognome.
Come è accaduto per I tre moschettieri
anche il famoso seduttore assurge al
ruolo di icona in un film Disney
divertente, ma molto, forse, troppo
leggero. Diretta da Lasse Hallström,
Casanova è una commedia ispirata
molto liberamente alle gesta del
celeberrimo veneziano che – per la
prima volta – incontriamo dinanzi
all’obbligo di una scelta. O il
matrimonio, oppure fronteggiare
l’arresto e – necessariamente – anche la
Santa Inquisizione. Nel frattempo, però,
Casanova sembra innamorarsi per la
prima volta di una dolce fanciulla, non
solo bella, ma anche estremamente
intelligente. Una volta tanto è la mente
e non solo il corpo ad attirare il playboy
ante litteram. Purtroppo, però, sulla
sua strada si parano gli obblighi nei
confronti del Doge, un matrimonio
prestabilito quando la ragazza era
ancora in fasce e l’arrivo del Grande
Inquisitore in persona interpretato da
uno straordinario e autoironico Jeremy
Irons. Un pasticcio storico dalla
coloratissima messinscena in cui
cercare un fondo di verità o di
aderenza storica in questo film sarebbe
tanto inutile quanto sbagliato. Una
commedia degli equivoci buffa, ma
imperfetta se non addirittura un po’
“sbrigativa”, ingentilita dalla bellezza e
dal carisma di Lena Olin e Sienna Miller.
Il resto è solo una scusa per un film
romantico dall’ambientazione
“diversa”.
MARCO SPAGNOLI
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
LASSE HALLSTRÖM
Heath Ledger, Sienna Miller, Jeremy Irons
Romantico, Colore
Buena Vista
108’
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 59
iFilmDelMese
U-CARMEN
Mirabile rilettura del mito femminile di
Bizet. Virata al nero
I canoni della seduzione
femminile, dalle parti dell’odierna
Città del Capo e tra la popolazione di
colore più povera, sono davvero diversi
da quelli spagnoli immaginati da un
francese nel 1875. Eppure la Carmen
nera che si affianca alle tante “Carmen”
dell’opera e del cinema spalanca un
“nuovo mondo” sui criteri di
interpretazione di un eterno mito
femminile. All’epoca George Bizet
scrisse un capolavoro che avrebbe
forato i tempi e le culture; oggi
l’esordiente Mark Dornford-May,
contando sulle forze artistiche
irresistibili della compagnia lirica
Dimpho Di Kopane, si appropria del
“mito”, traduce il perfetto libretto di
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
IN SALA
Henri Meilhac e Ludovic Halévy in
lingua Xhosa adattandolo mirabilmente
a Khayelitsha, una enorme e povera
periferia, nella quale la storia precipita
fino alla nota tragica conclusione.
Comprimendo la struttura musicale
nelle due ore, contaminandola con
spericolati ritmi locali, e grazie ad un
mirabile adattamento drammaturgico,
la U-Carmen di Pauline Malefane si
muove non come un comune mezzo-
MARK DORNFORD-MAY
Pauline Malefane, Andile Tshoni
Drammatico, Colore
Lady Film
120’
soprano ma come una spiritosa,
grintosa e vitale donna di oggi in cerca
d’amore, soldi e libertà, contornata da
attori-cantanti emozionati. Il mito ne
esce indenne e l’amore di Carmen
rimane, in una delle poche parti del
testo rimasta giustamente ancorata
all’originale, “un oiseau rebelle”, con
l’avvertimento profetico della sigaraia:
“si je t’aime, prends garde à toi”!
LUCA PELLEGRINI
SADDAM
Un Iraq “nostrano” dove la paura non ha confini. Discontinuo e originale
71’15’’ dinanzi ad una porta di
cella segretissima. Due soldati
italiani, Antonio e Mauro,
caratterialmente agli antipodi. Poca
azione esterna, molti rivolgimenti
interni. 71’15’’ di paure e
incomprensioni. Sempre nell’identico
posto, con gli stessi personaggi e
sensazioni. Segreti al di fuori: dove
siamo e perché? Segreti dentro: chi è
custodito realmente in quello
scantinato oscuro ravvivato soltanto da
lampi di luce al neon, solcato dal
rumore lontano di spari ed elicotteri,
una tensione sconquassata da visite
inattese, qualche soldato e
un’imprevista complicazione? La
presenza del “grande dittatore”
incombe. Saddam è un film
asimmetrico di Max Chicco, buon
talento pur con qualche cedimento
dovuto alla sproporzione tra quei 71’15’’
iniziali di tensione davanti alla cella di
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
MAX CHICCO
Mauro Stante, Riccardo Leto
Drammatico, Colore
Meibi
77’
60 RdC Gennaio-Febbraio 2006
ANTEPRIMA
“tu sai chi” ed i rimanenti cinque minuti
che giocano, con spiazzante sorpresa, a
favore dell’invenzione filmica. Quei
cinque minuti finali servono a tradurre
in plausibile spiegazione la maniacale
attenzione riversata sui due soldati
(Mauro Stante e Riccardo Leto) nei tanti
minuti precedenti. Poi si scopre che un
certo “orrore” è molto più vicino a casa
nostra che al travagliato Iraq, e che la
paura non è fomentata dal “chi” sta
dietro la porta di una cella ma dal
“come” questa porta viene nei nostri
difficili giorni, continuamente,
pericolosamente manipolata. Profeti di
sventura o cinici accusatori del
sistema?
LUCA PELLEGRINI
QUANDO
L’AMORE BRUCIA L’ANIMA
Musica e genio di Johnny Cash in un biopic che non sfugge al cliché
ANTEPRIMA
Il biopic musicarello è ormai un
abuso artistico quantitativamente
evidente. Un fenomeno in continua
evoluzione commerciale (al film si
collegano pure la vendita di un cd e la
rinnovata curiosità per il personaggio
dimenticato dalla storia) e immortalato
in una statica surplace linguistica. Tanto
che la costruzione del narrato in Quando
l’amore brucia l’anima (Walk the Line)
evidenzia i classici snodi
melodrammatici: il trauma infantile, il
colpo di fortuna (classico coup de
theatre per la più ovvia american way of
life), la crescita turbolenta ma ricca di
danari, l’elemento disturbante (alcool o
SI INTRAVEDE UN’AMERICA LACERATA DA
DISPARITA’ ECONOMICHE E SOCIALI
droghe, basta che portino il protagonista
sulla cattiva strada), la redenzione finale.
Johnny Cash andava raccontato, anche
per motivi etici, perché lui a sua volta
per un po’ di tempo ha raccontato i
diseredati, i dolori di un America un po’
nascosta. Il problema semmai è che il
biopic si sta sempre più appiattendo sul
dato performativo, ovvero quanto è
bravo tal dei tali a rifare talaltro. Fino a
quando come nel film di Mangold
ritroviamo alcune coordinate impazzite:
Phoenix non assomiglia somaticamente
e fisicamente a Cash, ma dà prova di una
certa costanza, di un sentita fatica nel
muoversi nei panni di un essere umano
perennemente in crisi, instabile
psicologicamente, manesco; mentre
tutto il coté delle comparse fa a gara per
essere più identico possibile a Elvis,
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
JAMES MANGOLD
Joaquin Phoenix, Reese Witherspoon
Drammatico, Colore
20th Century Fox
135’
Jerry Lee Lewis e compagnia. Così
anche se Mangold riporta un’analisi
laterale, scostata, di trent’anni di
America profonda, musicalmente
rivoluzionaria, screziata dalle disparità
economiche e sociali, si attarda sempre
qualche minuto in più dietro la
necessità di mostrare che la dose di
fiction è altissima, che l’artificio è radice
inequivocabile di un certo cinema
classico, che si dà al pubblico senza
riflettere troppo sul come e perché
farlo. Scelta ampiamente legittimata
dagli incassi e dalla
spettacolarizzazione dell’evento, ma
che non sa far altro che dividere in
bianco e nero realtà davvero complesse
e articolate come la vita stramba e
difficile di Johnny Cash.
DAVIDE TURRINI
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 61
iFilmDelMese
DICK & JANE: OPERAZIONE FURTO
Elogio dell’onestà tra farsa e accusa. Jim Carrey da applauso
IN USCITA
Risposta americana alla commedia
“sociale” europea stile Full Monty,
Dick & Jane: operazione furto è più
vicino al cinema di Frank Capra che a
quello hollywoodiano attuale. Remake
dell’omonimo film del 1977 con George
Segal e Jane Fonda, la pellicola che ha
per protagonisti un irresistibile Jim
Carrey e Tea Leoni, è diretta dal
veterano di diverse serie televisive Dean
Parisot (Monk, E.R., The Job). Dopo
l’esordio cinematografico di Galaxy
Quest, il regista torna a una commedia
più sofisticata sotto il profilo della
solidità narrativa. Il film, infatti, si chiude
con i titoli di coda che “ringraziano” per
ECHI DI FRANK CAPRA ACCOMPAGNANO
IL REMAKE DEL FILM DEL ‘77
62 RdC Gennaio-Febbraio 2006
l’ispirazione le multinazionali finite nel
fango dopo crolli clamorosi come nel
caso della Enron, citata apertamente per
chiudere un lieto fine necessariamente
in sintonia con il tono della pellicola, ma
non – purtroppo - con la realtà dei fatti.
Il tono alla Frank Capra non impedisce
però allo spettatore di divertirsi e
meditare sulle conseguenze di simili
scandali. Protagonisti sono Dick e
Jane, manager di alto livello di una
società il cui tracollo rovina la vita di
centinaia persone di una cittadina della
California. Senza lavoro e senza futuro,
i due prima vendono tutto quello che
hanno, apprezzando anche l’aiuto della
loro cameriera messicana, poi, si
dedicano alle rapine. Come fanno, però,
due persone oneste a diventare
criminali? Semplicemente non possono,
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
DEAN PARISOT
Jim Carrey, Tea Leoni, Alec Baldwin
Commedia, Colore
Sony Pictures Italia
90’
perché non vogliono avere più di quello
che possedevano, ma riconquistare
quanto era loro di diritto. Così, insieme
a un altro alto manager con la
coscienza che gli rimorde, decidono di
rifarsi in maniera rocambolesca
sull’uomo che li ha derubati. Il finale,
però, è diverso da quanto ci si
aspetterebbe e la pellicola brilla per la
sua compattezza puntellata da
momenti esilaranti grazie ad un Jim
Carrey al suo meglio. Nonostante,
questo, però, Dick & Jane: operazione
furto è un “elogio dell’onestà” che
obbliga anche a pensare ad una realtà
su cui non c’è veramente nulla da
ridere, con criminali certo meno
fascinosi dell’Amministratore Delegato
interpretato da Alec Baldwin.
MARCO SPAGNOLI
ANTEPRIMA
JARHEAD
Mendes (troppo) politicamente corretto. La Guerra del Golfo si perde sullo sfondo
ANTEPRIMA
NORTH
COUNTRY
Coraggiosa denuncia delle molestie
sul lavoro. Ma la Theron non convince
Sam Mendes mantiene le
promesse: mostrare la Guerra del
Golfo come non l’abbiamo mai vista.
Scandagliando dinamiche e follie della
vita militare, il regista premio Oscar per
American Beauty, si destreggia in bilico
fra cronaca e denuncia, con un ritratto
astuto e politicamente molto corretto.
Se il diario dal fronte del tiratore scelto
Anthony Swofford aveva sollevato le ire
del corpo dei Marines, il suo
adattamento cinematografico zoomma
sui protagonisti, depotenziandone le
scomode implicazioni politiche. Distante
anni luce dalla tradizione dei film bellici
sul Vietnam, il contesto sfuma sullo
sfondo fin quasi a perdere i connotati.
Poco importa che si tratti del Golfo
Persico. E poco importa che in ballo ci
sia il controllo petrolifero del pianeta.
Quel che resta sono pozzi in fiamme,
colonne di fumo, interminabili distese di
sabbia. Elementi a cui Mendes affida un
ritratto tanto vago e universale da
risultare praticamente innocuo. “Un film
sulla guerra, senza la guerra”, lo aveva
chiamato, che in questo apparente
paradosso riassume l’acme della sua
denuncia. Un j’accuse trasversale, che
punta il dito su un fenomeno, ma si
dimostra al contempo rispettoso del
patriottismo di chi per scelta o destino
finisce a combattere. L’equilibrismo
riesce grazie alla prospettiva scelta:
quella di un plotone di Marines, inviato
nel Golfo a presidiare le linee.
Protagonista è Jake Gyllenhaal, nei
panni dell’autore del diario a cui è
ispirato il film. Bravo e versatile
nell’incarnare la parabola
dell’americano medio, con la sua
vicenda personale offre il destro per
mille altre storie. Quelle di soldati, sì. Ma
soprattutto di ragazzi, che come tanti
soffrono, credono, piangono la distanza
delle fidanzate. La macchina da presa è
tanto vicina da trapassarne quasi le
uniformi. Con forza e pudore si insinua
nelle loro vite private, mostrando quel
che resta sotto i galloni: esseri umani, in
preda alle stesse contraddizioni di tutti.
C’è chi nella divisa ha trovato il riscatto
di un’esistenza allo sbando, chi l’ultimo
baluardo di uguaglianza razziale. E poi
ancora chi crede nella Bandiera e chi
nel potere sublima le sue frustrazioni.
Spessore e universalità dei temi non
mascherano però l’impressione di aver
perso un treno. Non bastano le sublimi
scenografie del deserto e la straniante
fotografia. Con un colpo al cerchio e
uno alla botte, Mendes cede a qualche
scivolone retorico e manca l’occasione
per tornare a graffiare.
DIEGO GIULIANI
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
SAM MENDES
Jake Gyllenhaal, Peter Sarsgaard
Drammatico, Colore
Uip
123’
I primissimi
piani sui
protagonisti
parlano di
drammi
universali. I
riferimenti
all’attualità
sono però
molto
sfumati
Una decina di anni fa, complice
uno spot malandrino, Charlize
Theron conquistò un successo
planetario. Oggi, dopo innumerevoli
film e un meritato Oscar, si getta a
capofitto in prove sempre più rischiose.
Ne è un esempio North Country Storia di Josey, dove interpreta una
ragazza-madre vittima di abusi in
ambito familiare e lavorativo. Ispirato a
una vicenda reale, il film si svolge negli
anni ’70 e dell’epoca riflette le
ambiguità presenti nella società
americana. Se infatti in quel periodo
nei centri culturalmente avanzati del
paese - New York, San Francisco, le
prestigiose università - si discute di
femminismo e di diritti delle donne, il
Nord dove vive Josey è ancora
impermeabile alle rivendicazioni e
impreparato a recepire il concetto di
molestia sessuale. Eppure, seguita non
senza fatica dalle compagne, Josey si
ribella al sistema e chiede giustizia:
puntuale arriva la causa contro
l’impresa, destinata a spezzare il velo di
omertà maschile e a segnare un punto
di svolta nella giurisdizione americana.
North Country segue le regole ben
collaudate delle opere di denuncia,
servito da una regia impeccabile anche
se non propriamente inventiva. Vero
punto di forza sono gli attori: Frances
McDormand, Woody Harrelson, Sissy
Spacek, Sean Bean, tutti talmente bravi
da meritare un premio collettivo.
Paradossalmente la meno in parte è
Charlize Theron, la cui naturale
eleganza mina alla base lo sforzo di
essersi infiilata nei panni di una
minatrice. La sua, tuttavia, resta una
sfida da non sottovalutare.
ANGELA PRUDENZI
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
NIKI CARO
Charlize Theron, Frances McDormand
Drammatico, Colore
Warner Bros.
126’
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 63
iFilmDelMese
ORGOGLIO E PREGIUDIZIO
Jane Austen senza passione né idee. Keira
Knightley monocorde
Un fantasma si aggira
nell’immaginario internazionale:
quello di Jane Austen, un’autrice che il
cinema di oggi sembra avere preso a
modello di ispirazione in maniera
ancora più marcata di quanto possa
apparire a prima vista. Dopo la sua
modernizzazione con Il diario di Bridget
Jones e la sua versione etnica con
Matrimoni e pregiudizi, la nuova
edizione del più celebre romanzo della
scrittrice britannica non riesce, però, a
rendere alcuna giustizia al lavoro della
Austen. Diretto in maniera mediocre e
senza idee nuove dal pressoché
esordiente Joe Wright, Orgoglio e
pregiudizio soffre soprattutto di un
grave miscasting. L’affascinante, ma
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
ANTEPRIMA
monoespressiva Keira Knightley non
regge due ore di film in un uno dei ruoli
più importanti della letteratura
internazionale, quello di Elizabeth
Bennett eroina romantica e femminista
ante litteram, perché donna tanto forte
quanto colta. Quello che più nuoce al
risultato finale è però soprattutto
l’assenza di alchimia con il giovane
Matthew McFayden nel ruolo di
Mr. Darcy. Personaggi tanto icastici
JOE WRIGHT
Keira Knightley, Matthew MacFayden
Drammatico, Colore
UIP
127’
avrebbero avuto bisogno di ben altre
interpretazioni. Soprattutto se
paragonati alla serie televisiva ispirata
allo stesso libro che dieci anni fa lanciò
a livello mondiale Colin Firth. Le belle
ambientazioni e l’esperienza di Donald
Sutherland e Brenda Blethyn non
salvano un film senza passione dal
diventare l’ennesimo inutile remake
senza carisma.
MARCO SPAGNOLI
DERAILED - ATTRAZIONE FATALE
Noir intenso e disturbante. Dall’autore di Evil, con qualche ingenuità
Un noir con la vocazione del
politicamente scorretto, diretto
da Mikael Håfström, già autore
dell’intenso Evil, che punta a una storia
insolita e volutamente disturbante.
Clive Owen è un padre di famiglia, un
po’ annoiato e schiacciato dal peso di
anni di sacrifici per consentire alla figlia
malata un trapianto. Un lunedì mattina
sul treno per Chicago dove lavora in
una grande società, incontra
casualmente una bella donna (Jennifer
Aniston) da cui si sente attratto. Le
cose “precipitano” e mentre si apparta
con lei in un alberghetto, la coppia
viene attaccata in camera da un
rapinatore maniaco. Il timore di
ripercussioni famigliari nel dovere
confessare l’infedeltà, obbliga i due
fedifraghi a non andare alla polizia. Il
delinquente che ha preso loro i
portafogli, però, inizia a ricattare
entrambi con pretese sempre più
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
MIKAEL HÅFSTRÖM
Clive Owen, Vincent Cassel
Thriller, Colore
Buena Vista
107’
64 RdC Gennaio-Febbraio 2006
IN SALA
esorbitanti. Da lì una spirale di minacce
e violenza destinata a esplodere
quando le somme richieste mettono in
qualche maniera a repentaglio la vita di
tutti. Sorprendente e intenso, grazie ad
una regia dalla grande forza
drammaturgica Derailed è un film di
genere dove le tante ingenuità
risultano secondarie rispetto alla
qualità di una sceneggiatura con
protagonisti degli antieroi tanto ingenui
e sfortunati da apparire perfino stupidi.
Tra puritanesimo e menzogne, Derailed
– Attrazione letale brilla per la sua
ambiguità e per la “morale” citata nel
film: “alcune persone non riescono mai
ad apprezzare quello che hanno…” .
MARCO SPAGNOLI
IL PANE NUDO
Miseria e infanzia negata nella Tangeri del ’42. Emozionante come il romanzo
IN USCITA
“Un testo nudo nella verità del
vissuto, nella semplicità delle
prime emozioni” ha scritto Tahar Ben
Jelloun del libro Il pane nudo di
Mohamed Choukri. Analogamente si
può dire del film di Rachid Benhadj, a
cui ha collaborato lo stesso scrittore
marocchino, morto nel 2003. Lo stile
scarno, crudo, emozionante del
best–seller autobiografico di Choukri
(fu candidato al Nobel per la
letteratura) rivive nel film. Sullo
schermo scorre impietosa la terribile
infanzia del piccolo Mohamed, vittima
della miseria e di un padre violento,
che ne picchia la madre indifesa e gli
uccide il fratellino perché piange
LA POVERTA’ DELLE IMMAGINI ESALTA
LA FORZA DELLA STORIA
troppo. Mohamed è come i suoi
coetanei della Tangeri del ’42, un
monello che si ciba dai cassonetti dei
quartieri degli occidentali, dove
anche i rifiuti sono migliori. La fuga,
da adolescente. Ma Tangeri è fatta di
povertà, prostituzione, violenza per i
meno fortunati. Quella di Mohamed è
anche fuga verso la libertà, una
libertà che, ventenne, trova in
prigione grazie al potere del sapere.
Perché la miseria più grande non è
quella vissuta fino ad allora, ma è
l’ignoranza. In carcere - costruito dal
regista come una grotta, simbolo
delle origini dell’uomo - Mohamed
conosce un rivoluzionario che gli
insegna a leggere e a scrivere. La
sua vita cambia. Prima maestro, poi
scrittore. Benhadj, che già aveva
emozionato con Mirka, riesce a
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
RACHID BENHADJ
Saïd Taghmaoui, Marzia Tedeschi
Drammatico, Colore
AE Media Corporation
100’
trasportare sullo schermo con
grande abilità uno dei romanzi più
belli e duri allo stesso tempo della
letteratura araba. I tre volti di
Mohamed - bambino, adolescente,
adulto – vedono avvicendarsi dei
giovani attori di grande talento che
lasciano il posto all’adulto Saïd
Taghmaoui (co-protagonista de
L’odio). Tra le attrici due ruoli
fondamentali e antitetici: la
madre/martire (Soraya Arterse) e la
ammaliatrice un po’ folle e un po’
demone (Marzia Tedeschi). Miseria,
violenza, amicizia, amore,
determinazione, salvezza si
susseguono quali leitmotiv del film di
Benhhadj, che nelle immagini
“povere” trova la forza del cammino
verso la speranza.
CRISTINA SCOGNAMILLO
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 65
iFilmDelMese
I SEGRETI DI
BROKEBACK MOUNTAIN
Raffinato equilibrismo di Ang Lee. Ribalta i canoni western, giocando sugli opposti
IN SALA
Lassù, tra le montagne del
Wyoming, scorre l’estate di Jack
Twist e Ennis del Mar - Jack Gyllenhall
e Heath Ledger entrambi in stato di
grazia. L’anno è il 1963. Costretti a
passare alcuni mesi assieme, il rude e
introverso Ennis e il più aperto e
consapevole Jack esplorano la natura
circostante non meno che la propria.
Risultato, la scoperta di una passione
totalizzante cui i pendii scoscesi e le
vallate maestose fanno da sfondo
suggestivo. Lontano dall’Eden, l’amore
diventa proibito, colpevole,
censurabile. Le regole della società li
vogliono divisi, e così i due cowboy
inseguono per strade diverse un
PENDII E MAESTOSE VALLATE
DIVENTANO LUOGHI DELL’ANIMA
66 RdC Gennaio-Febbraio 2006
impossibile sogno di normalità. Quelli
che passano sono anni faticosi, spesi
a ostacolare la tensione verso l’amato
che nessun matrimonio può tuttavia
reprimere. Nel corso di due decenni
Brokeback Mountain torna ad essere il
rifugio protetto, luogo dell’anima
prima che paradiso naturale, dove
tenere a bada i sensi di colpa. Che alla
fine irrompono, segnando il loro
destino di lacrime e sangue. Ang Lee
si è impadronito di un racconto della
scrittrice Annie Proux e ha ribaltato
con maestria le leggi del western. Ha
giocato sui contrasti natura-città,
attrazione-rifiuto, romanticismobrutalità, forza-debolezza, peccatoespiazione, per approdare alla più
raffinata delle opposizioni: la
monoliticità del genere maschio per
eccellenza contro la raffinata e
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
ANG LEE
Jake Gyllenhaal, Heath Ledger
Drammatico, Colore
Bim
134’
plasmabile struttura del mélo. Ma, ed
è la scommessa vinta da I segreti di
Brokeback Mountain, nessun genere
prevale sull’altro e l’esito è un perfetto
equilibrio esente da volgarità e inutili
cadute di stile. E in questo
bilanciamento tra le due anime, quella
fordiana e quella sirkiana, si compie il
miracolo di uno svelamento che in
passato al massimo aveva trovato eco
nelle sfumate esitazioni del Rock
Hudson di Come le foglie al vento, o
nelle paure tutte interiorizzate del
Montgomery Clift di Fiume rosso.
Anche qui, la macchina da presa
lascia il più possibile fuori campo il
materializzarsi dei sentimenti. E così,
oggi come ieri, a sedurre e
commuovere più di ogni altra cosa è il
non detto.
ANGELA PRUDENZI
IN SALA
CACCIATORE DI TESTE
Costa-Gavras ai suoi massimi, con una black comedy sulla crisi occupazionale
ANTEPRIMA
THE
RED SHOES
Horror coreano visivamente
impeccabile. Con qualche sbavatura
Presentato in anteprima come
film di chiusura della scorsa
edizione del Festival di Taormina,
Cacciatore di teste è uno dei migliori
film mai realizzati da Constatin CostaGavras se non, forse, il suo capolavoro.
Questo perché la fusione di generi e stili
differenti fa di questa pellicola, una
produzione unica capace di coniugare
black humour a temi politici e sociali
inquietanti ed emblematici per la nostra
modernità sofferente. Tutto inizia
quando un manager dell’industria della
carta viene licenziato in tronco dalla
sua società. L’impossibilità di trovare un
altro impiego sottrae denaro e risorse
alla sua famiglia borghese, che dovrà
così fare i conti con indigenza e
vergogna. Una miscela esplosiva che
costringe l’uomo ad architettare un
progetto di morte tanto assurdo quanto
efficace. Dopo essersi aperto una
casella postale anonima, fa finta di
parlare a nome di una società del ramo
della carta, facendosi inviare una serie
di curricula per vagliare possibili
concorrenti per un ambitissimo posto di
lavoro che ha adocchiato. Inizia così ad
uccidere tutti i potenziali rivali a sangue
freddo e con tanta, tantissima fortuna.
Mentre la famiglia sembra franargli
davanti agli occhi, mette a segno un
colpo dopo l’altro, eludendo la polizia,
ma senza sfuggire ad un destino tanto
cinico e beffardo. Diretto con grande
senso del ritmo e dell’umorismo da
Costa-Gavras, il film è interpretato
dall’attore francese José Garcia che
offre un ritratto tanto ironico quanto
cinico dell’”assassino per caso”.
Divertente, ma anche amaro, il film è
una fiaba surreale sulla crisi
dell’occupazione nell’Europa di oggi,
che punta il dito contro gli interessi
delle multinazionali e l’incapacità dei
governi di gestire adeguatamente tali
problematiche. Un dramma borghese
dai toni agrodolci in cui le azioni del
protagonista sono dettate da
sentimenti quali umiliazione e
disperazione dovuta alla mancanza di
denaro. La privazione del lavoro
equivale al depauperamento della
dignità personale, come spiegano gli
incontri del protagonista con le sue
vittime, abbandonate ad un destino
privo di valore umano. Un viaggio
all’inferno senza sensi di colpa con un
finale che sembra precipitare la società
occidentale in una giungla d’asfalto
dominata da astuzia e sopraffazione.
Un apologo intenso e suggestivo per
comprendere i rischi del nostro
presente dominato dal materialismo.
MARCO SPAGNOLI
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
CONSTANTIN COSTA-GAVRAS
José Garcia, Karin Viard, Ulrich Tukur
Drammatico, Colore
Fandango
122’
Il risultato
è una fiaba
surreale che
punta il dito
contro la
moderna
politica del
lavoro
Dimenticate l’originale
ottocentesco di Hans Christian
Andersen. Nella moderna rilettura
del coreano Kim Yong-yu la fiaba
cede il posto all’incubo, la magia
all’ossessione. Fin dallo straniante
incipit, protagoniste sono però
sempre loro: le scarpette rosse del
titolo. Due donne a una stazione
della metropolitana. L’eco dei passi
sulla banchina deserta. Una lite
furibonda per un paio di scarpe
incustodite e poi il tragico epilogo:
una di loro finisce straziata dal treno
in arrivo. Pregi, limiti e suggestioni
del film sono già tutte in questi primi
minuti. La struttura narrativa è
involuta al punto da risultare spesso
criptica e zoppicante. Se la trama
soffre passaggi di poco fluidi, a
sopperire è però un’estetica
soverchiante. Fotografia virata, colori
lividi, primissimi piani: dove la
sceneggiatura non arriva, l’emozione
passa tutta per le immagini. Le
stesse fisionomie della protagonista
e della figlioletta Tae-soo parlano
dell’incubo in cui entrambe sono
catapultate: un paio di scarpette
assassine, che condannano chi le
indossa a misteriose amputazioni
degli arti inferiori. Ben lontano dallo
splatter, il sangue che scorre a fiumi
si fa invece quasi pennellata, nella
tavolozza acida fotografata da Kim
Tae-kyung. Il risultato è un
microcosmo opprimente e
ansiogeno, come soltanto i migliori
horror estremo-orientali sono in
grado di ricreare.
DIEGO GIULIANI
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
KIM YONG-GYUN
Kim Hye-soo, Park Yeoh-ah
Horror, Colore
Medusa
103’
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 67
iFilmDelMese
LE CRONACHE DI NARNIA - IL LEONE,
LA STREGA, L’ARMADIO
Riflessione sulla natura umana in forma di
fantasy. Per grandi e piccini
“Questa sera la grande magia
verrà appagata. Ma domani
prenderemo Narnia, per sempre”. La
strega Tilda Swinton è pronta a
sacrificare il leone Aslan. Ma non sarà
così: lei, che incarna il male e affligge il
paese di Narnia con un eterno inverno
senza mai un Natale, non riuscirà a
prevaricare sulle forze del bene. Nel
fantasmagorico film del neozelandese
Andrew Adamson c’è il mitico armadio,
che attraversiamo in compagnia dei
quattro fratelli Pevensie. E c’è la cattiva
Strega Bianca della fiaba di C.S. Lewis,
“il cui viso - scrive l’autore - era bianco,
non semplicemente pallido, proprio
bianco come la neve o lo zucchero a
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
IN SALA
velo”. Le Cronache vanno oltre la
realtà, rivolgendosi a tutti con un
avvincente racconto fantastico. E
narrano dell’innocenza, della
tentazione, del gelo del peccato e del
calore della bontà. Narrano, tra fauni,
centauri e animali parlanti, di come il
leone Aslan si sacrifica per salvare una
vita, molte vite. Ucciso dalla Strega,
risorgerà all’indomani per portare a
Narnia la primavera, il bene, la pace.
Una sottile allegoria cristiana pervade
ANDREW ADAMSON
Tilda Swinton, Georgie Henley
Fantasy, Colore
Buenavista
140’
tutte le pagine della saga. Lewis, e il
film, non forzano sulle similitudini.
Soprattutto, non rimangono una
splendida avventura
dell’immaginazione, ma diventano una
riflessione sulla natura umana e sulle
sue più profonde debolezze ed
aspirazioni, quelle che ci appaiono
quando abbiamo il coraggio, anche da
adulti, di credere a un mondo nascosto
oltre le ante di un misterioso armadio.
LUCA PELLEGRINI
JOYEUX NOEL - MERRY CHRISTMAS
Commovente apologia della guerra e dell’odio fra i popoli. Da una storia vera
Christian Carion, regista di Una
rondine fa primavera, scrive e
dirige Joyeux Noël, una pellicola
ispirata ad una storia vera, che oggi ci
appare tanto drammatica, quanto
vergognosa. La vigilia di Natale del
1914, un gruppo di soldati prussiani,
francesi e scozzesi impegnati a
combattere in Francia trascorsero la
Notte Santa scambiandosi le razioni
alimentari, bevendo insieme e
ascoltando la Messa. L’indomani,
giocarono una partita a calcio e si
dimostrarono un atto di pietà
consentendosi a vicenda di seppellire i
propri morti. I rispettivi comandi non
presero affatto bene questo atto di
lungimiranza e pacifismo e
adottarono misure draconiane nei
confronti dei loro sottoposti.
Presentato alla scorso Festival di
Cannes, il film è una coproduzione
europea interessante e commovente.
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
CHRISTIAN CARION
Diane Kruger, Guillaume Canet
Commedia, Colore
Sony Pictures
103’
68 RdC Gennaio-Febbraio 2006
IN SALA
Un atto dovuto nei confronti dei morti
dimenticati, sacrificati al fanatismo
militare e all’insensato odio tra i
popoli. Ottimo il cast, che annovera –
tra gli altri - Diane Kruger, Benno
Fürmann e Daniel Bruhl per i tedeschi,
Guillaume Canet e Michel Serrault per i
francesi, l’attore di Ken Loach e di Billy
Elliot Gary Lewis per la Scozia.
Nonostante alcuni difetti, una pellicola
interessante e intensa in cui la follia
della guerra si desume da grandi e
piccole tragedie nonché da situazioni
paradossali come il povero gatto che
abita tra le due trincee e che viene
chiamato in modo differente dai
soldati dei due schieramenti.
MARCO SPAGNOLI
THE WHITE COUNTESS
Amore e pudore a Shanghai. Da James Ivory, con un’ottima Natasha Richardson
ANTEPRIMA
Un amore muto. Lontano dai
cliché e privo di retorica, ma
vibrante e ricco di impercettibili
sfumature. Le stesse che
accompagnano tutto il film, nel suo
raffinato tratteggio di personaggi e
ambientazioni. Firma e stile sono del
miglior James Ivory, qui alle prese con
la Shanghai del ’36. Il Kuomintang di
Chang-Khai Shek controlla gran parte
del paese, ma la guerra civile
imperversa e il nord è già in mano ai
giapponesi. Quella che vediamo è
tuttavia una città cosmopolita,
sfavillante, distante anni luce da tutto
ciò. Un turbinoso crocevia di politici,
faccendieri, rifugiati di ogni nazionalità
LA NARRAZIONE PROCEDE PER
SFUMATURE IMPERCETTIBILI
e provenienza. La macchina da presa
spazia senza compiacimento da interni
spogli a esterni minuziosamente
ricostruiti, da salotti aristocratici a
bordelli fumosi. E’ qui che Thomas e
Sofia si incontrano per la prima volta.
Lei è la White Countess del titolo: una
nobile russa decaduta, costretta a
prostituirsi per mantenere la famiglia.
Lui un ex diplomatico americano, che
ha perso vista e affetti in un incidente.
Il loro appare fin da subito un incontro
di sensibilità e solitudini: ciascuno a
suo modo, sono entrambi insofferenti
al ruolo a cui la vita li ha condannati.
Lui, Ralph Fiennes, perde il suo
sguardo cieco nel nulla, alla ricerca di
un sogno che sa di avere soltanto
dentro di sé. Anche per lei,
un’impeccabile Natasha Richardson,
parlano soprattutto gli occhi. Spenti,
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
JAMES IVORY
Ralph Fiennes, Natasha Richardson
Drammatico, Colore
Medusa
135’
sull’orlo del pianto, improvvisamente
scaldati da un’inattesa speranza: le
bastano quelli per delineare la sua
parabola. La loro, anzi. Quella di un
magnetico gioco di attrazione e
repulsione, graduale avvicinamento e
improvvisa ritirata. E’ questa la vera
trama del film: la progressiva
rivelazione (e liberazione) di due esseri
umani prigionieri di se stessi e delle
circostanze. Il tutto, lungo una
esilissima traccia di indizi, che non
lascia spazio a sbavature. I giapponesi
sono intanto alle porte. Il “Sabato di
sangue” di Shanghai si sta
consumando. E seppure sul finale
sembra affacciarsi qualche
concessione melodrammatica, basti
pensare che la prima carezza arriva
dopo già più di due ore.
DIEGO GIULIANI
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 69
iFilmDelMese
IN SALA
KING KONG
Nel dramma dello scimmione un sottotesto mitico e divino. Parola di Tolkien
IN SALA
SAW II
Sequel che non regge il confronto.
Troppa azione uccide la suspense
“Signori, questo è il mito!”. Una
battuta rapida come un lampo,
pronunciata all’inizio del film da Carl
Denham, il regista che nel romanzo di
Edgar Wallace si presenta con queste
parole: “Sto per realizzare la più
grande impresa della mia vita.” Gli fa
eco, un po’ più avanti, Jack Driscoll,
che sul ponte della “Venture” si
confida con Anna Darrow e di fronte
all’incerto atteggiamento della
ragazza, per farle comprendere che le
ha appena rivolto una dichiarazione
d’amore, aggiunge: “C’è un
sottotesto!”.
Il “mito” e il “sottotesto”. Che
significato possono avere questi due
enigmatici messaggi? Dal Saint
Michael College, università americana
del Vermont, arriva il debole segnale
di una ricerca appena iniziata che ci
riporta agli anni ’50, alla Oxford di
Viaggio in Inghilterra di Richard
Attenborough, a Tolkien e a C.S. Lewis,
autori rispettivamente del Signore
degli Anelli e delle Cronache di Narnia,
al circolo degli Inklings, club di studiosi
dedito alla ricerca storica attraverso la
letteratura, la filologia e la glottologia.
Fra gli Inklings, proprio Tolkien e Lewis
erano i più convinti sostenitori di
Edgar Wallace e del suo King Kong.
Assertori che la favola e il fantastico
fossero strumenti che introducono
alle vie del sacro, in quel lungo
trattamento in chiave di romanzo
70 RdC Gennaio-Febbraio 2006
Tolkien e Lewis avevano individuato
un “sottotesto” che andava letto
attraverso la lente d’ingrandimento
del “mito”. Il mito è il segno del divino
che si intreccia con la storia
dell’umanità; il mito è la “parola” con
cui il divino entra in relazione con
l’umano. Ma anche i generi letterari
hanno origini antichissime: risalgono
ai primordi della letteratura e sono la
parola del poeta, l’uomo illuminato
dagli dei, che diventa popolare e
comprensibile a tutti. In King Kong,
Tolkien e Lewis avevano colto un
sottile sottotesto che passa attraverso
il mito (il mito di Minosse, del
Minatauro, ma anche di Andromeda
incatenata a uno scoglio e offerta al
mostro, di Aretusa, con Alfeo che
solca il mare e si unisce ancora a lei,
proprio come Kong a New York) e che
tramite il mito invade i generi.
Suggestivi indizi, che dimostrano
quanto i mezzi tradizionali di indagine
critica siano insufficienti e quante
possibili varianti offrano i percorsi
alternativi. King Kong potrebbe essere
soltanto l’inizio.
ENZO NATTA
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
PETER JACKSON
Naomi Watts, Jack Black, Adrien Brody
Azione, Colore
Uip
187’
Insieme a C.S.
Lewis, l’autore
del Signore
degli Anelli
era tra i
più accesi
sostenitori del
romanzo
di Wallace
Un uomo incatenato di fronte a
un monitor. Dallo schermo le
sadiche istruzioni per avere salva la
vita: con un bisturi deve scavarsi
nella cavità dell’occhio e recuperare
una chiavetta. Il timer ticchetta, ma
lui non ce la fa. La morsa di ferro che
gli imbriglia la testa scatta e gli
frantuma il cranio. Sono le immagini
shock con cui si apre Saw II, ritorno
splatter de L’enigmista a un anno
esatto dal suo convincente esordio.
Tensioni e premesse dell’incipit si
perdono però presto negli sviluppi. Il
folle omicida del primo episodio è
tornato a colpire con simili modalità:
riunito un gruppo di ragazzi in un
appartamento blindato, li soffoca
gradualmente liberando del gas
nervino.
L’unica via di scampo è la soluzione
degli enigmi a cui li sottopone. Il
meccanismo, inatteso e vincente nel
primo film, non regge però il
confronto col precedente. Questa
volta il regista Darren Lynn Bousman
diluisce la caccia all’indizio in
un’azione esasperata che uccide la
suspense. Pur non mancando
qualche buona trovata, anche la
caratterizzazione dei personaggi
risulta infine troppo scontata e
patinata.
Da menzionare, invece, l’enigmista
del titolo: grazie all’interpretazione
di Tobin Bell, risulta ancora più
inquietante senza la maschera
woodo. Per saltare sulla sedia,
bisogna affidarsi a qualche scena
sparsa: il forno crematorio, il salto
nelle siringhe, la pistola nello
spioncino…
DIEGO GIULIANI
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
DARREN LYNN BOUSMAN
Donnie Wahlberg, Shawnee Smith
Horror, Colore
01 Distribution
101’
INFO: 340.8312386
OK
Telecomando
Homevideo, musica, industria e letteratura: novità e bilanci dal cinema
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
Interviste
al buio
FOTO: PIETRO COCCIA
Quelli dei titoli di coda.
Volti, nomi e professioni di chi
sta dietro le quinte
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 73
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
di Alessandro Scotti
SUSPENSE D’AUTORE
Uno dei più famosi racconti di “fantasmi” di Henry James, diretto da Jack
Clayton e sceneggiato da Truman Capote. Imperdibile
Unico difetto, la banalità del
titolo. Molto più espressivo
l’originale, The Innocents, che fà
riferimento al tema sotteso
all’adattamento cinematografico del
romanzo di Henry James Giro di
vite (The Turn of the Screw, 1898).
La regia di Jack Clayton (quello de Il
grande Gatsby) è magistrale, così
come la fotografia di Freddie
Regia Jack Clayton Francis, vera e propria leggenda
vivente (fra gli altri Elephant Man),
Con Deborah Kerr,
l’interpretazione di Deborah Kerr è
Michael Redgrave,
Meg Jenkins, Pamela priva di sbavature, e lo è anche la
Franklin, Martin
scelta del bianco e nero (ora è
Stephens, Peter
disponibile anche in versione
Wyngarde
“colorata”), interprete efficace dei
Genere Thriller,
giochi di ombre e luci che
Colore
Dolmen
costituiscono il tessuto della trama
del film. La sceneggiatura di William
Archibald e Truman Capote, fedele
alla versione scritta della storia,
riesce ad esaltare personaggi e
azioni curando ogni dettaglio. La
storia ha un’ambientazione degna
della tradizione letteraria britannica
della gothic novel: in un maniero
isolato nella malinconica campagna
inglese, Miles e la sorellina Flora
RARO CASO IN CUI LA PAURA E’
AFFIDATA AL SILENZIO
74 RdC Gennaio-Febbraio 2006
vivono con lo zio dopo la morte dei
genitori. Convinto della necessità di
garantire ai nipotini una guida e
desideroso di alleggerirsi del
fardello dei due bambini, lo zio
assume una governante, l’inesperta
Miss Giddons (Deborah Kerr). Ma
ben presto Miss Giddons inizia ad
avere strane visioni. Ne parla con la
domestica, Mrs. Grose, dalla quale
apprende l’orribile verità: si tratta
dei fantasmi della precedente
governante, Miss Jessel, morta
suicida e di Quint, il guardiacaccia,
trovato assassinato poco dopo. I
due, che avevano esercitato una
grande influenza sui bambini, erano
stati protagonisti di una torbida e
morbosa storia d’amore. Miss
Giddons è convinta che Miles e Flora
siano gli “ospiti” innocenti dei due
amanti che cercherebbero una
continuazione della propria vicenda.
Ma è questa la verità? I bambini
sono davvero così innocenti?
Quanto del loro passato e dei
misteri che aleggiano sulla tenuta
pesa sul presente? E inoltre, quanto
c’è di reale nelle visioni della
governante? Non saranno i fantasmi
degli amanti il frutto di sue
ossessioni, di un suo disagio
psicologico? È poi tanto improbabile
che si tratti delle fantasie di una
donna disturbata? La regia di
Clayton suggerisce questa lettura a
più riprese: nelle sequenze in cui si
confondono i piani di sogno e realtà,
cosí come nella scena di apertura: il
colloquio fra Miss Giddons e lo zio in
cui quest’ultimo fa riferimento a una
qualità indispensabile per
un’aspirante istitutrice, la fantasia...
Sospeso fra dramma psicologico e
film horror, Suspense è un film dai
misteri “sospesi”; uno dei rari in cui
l’effetto della paura è
sapientemente affidato al silenzio.
L’attuale edizione rimasterizzata
(con audio inglese dolby 2.0) include
una galleria fotografica, filmografie
del cast e una selezione di immagini
pubblicitarie originali.
Colonne sonore
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 75
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
LA BESTIA NEL CUORE
Sabina, doppiatrice, una vita
apparentemente serena. Ma
durante l’infanzia una bestia le si è
annidata nel cuore. E lì è rimasta,
sopita dalla rimozione con cui la
protagonista (Giovanna
Mezzogiorno) si è salvata fino ad
ora. Cristina Comencini affronta un
tema spinoso come lo stupro in
famiglia; una famiglia borghese
come quella di Sabina. Il padre ha
abusato di lei con la silenziosa
complicità della madre e del fratello
(Luigi Lo Cascio), in nome della
compattezza della famiglia. Fra gli
extra il commento della regista e
del critico Mario Sesti.
Heimat 3
Ferite e speranze di un popolo, nell’epilogo della monumentale saga di Reitz
Regia Edgar Reitz
Genere Drammatico
Distr. Dolmen
Arriva all’epilogo la saga
tedesca di Edgar Reitz con
quest’ultimo affresco della Germania
a partire dal 9 novembre 1989
quando, con la caduta del muro di
Berlino, le due repubbliche a lungo
divise si riunificano per affacciarsi al
nuovo millennio. Opera
cinematografica e televisiva di largo
respiro, il progetto nasce per il
cinema nel 1984 per raccontare la
storia della repubblica tedesca dagli
anni che precedono la seconda
guerra mondiale. L’attuale cofanetto
propone l’ultima delle tre serie di
Heimat (che significa “patria”, “casa”,
intese come senso d’identità e di
appartenenza) organizzata in vari
episodi: Il popolo più felice della terra
(1989), Campioni del mondo (1990),
Arrivano i russi (1992-1993), Stanno
tutti bene (1995), Gli eredi, (1997)
Congedo da Schabbach (1999-2000)
fino al conclusivo Cronaca di un
cambiamento epocale (2004). Le
ferite di un popolo diviso dalla Storia
e di famiglie separate trovano
finalmente una guarigione col
frantumarsi del muro che apre un
varco a commossi abbracci. In questo
scenario si dipana la vicenda privata
di Hermann Simon, direttore
d’orchestra, e della ex violoncellista e
ora cantante Clarissa Lichtblau. Si
incontrano di nuovo dopo una lunga
separazione e riprendono in mano la
loro storia d’amore; il loro progetto di
vita inizia adesso, con la decisione di
ristrutturare una casa a Hunsrück,
avvalendosi di manodopera
proveniente dall’ex Repubblica
Democratica. Non è difficile vedere
nella loro storia privata lo specchio
della grande Storia e nella casa sul
Reno la patria a lungo divisa e
finalmente di nuovo una. Sono i sogni
di milioni di tedeschi nell’euforia di
una nuova vita da costruire insieme..
HOTEL RWANDA
Rwanda, 1994: ha inizio il massacro.
Le milizie Hutu, storicamente
oppresse dall’elite Tutsi, si preparano
a sterminare i loro rivali. L’Occidente
assiste al massacro bollandolo come
una questione africana. Le forze
delle Nazioni Unite presenti sono
insufficienti ad arginare lo scontro. I
pochi europei presenti vengono
evacuati mentre Paul Rusesabagina,
manager Hutu di un albergo di lusso,
si espone personalmente offrendo
rifugio a migliaia di Tutsi e Hutu
moderati. Storia (vera) di Paul e dei
suoi ospiti che, per mesi, hanno
vissuto sotto assedio nell’Hotel
Kigali.
Extra-Ordinari a cura di Marco Spagnoli
VITA DA STREGA
Gag e commento
audio rendono lo
spirito di questa
versione
cinematografica. Più
che remake di una
serie tv, è la
celebrazione di un
fenomeno di culto.
76 RdC Gennaio-Febbraio 2006
SEVEN SWORDS EDIZIONE SPECIALE
Film dello Spielberg
d’Oriente Tsui Hark in
edizione speciale. Fra
gli extra spiccano
scene tagliate, making
of e uno speciale
sull’arte della spada, “il
wuxiapian”.
KING KONG (1976)
Nessun extra, ma – per
la prima volta – la
possibilità di
ascoltarlo in inglese. Il
remake prodotto da
Dino De Laurentiis
utilizzava una
creatura realizzata da
Carlo Rambaldi.
MISTERY TRAIN
Prestige Collection
Memphis, Tennessee. Nell’arco di
ventiquatt’ore si dipanano tre storie
parallele, legate da intermezzi di
brillante comicità e dallo scenario di
una città (punto di riferimento della
musica nera) che vive dei fantasmi
del passato, tappezzata dalle foto di
Elvis, degradata e squallida. Attento
osservatore della casualità degli
eventi e della sovrapposizione delle
esistenze, Jim Jarmusch inscena
con ironia ed eleganza,
enfatizzando l’aspetto
multilinguistico in funzione del
messaggio di una società
forzatamente cosmopolita.
COFANETTO JOHN WAYNE
Da Sentieri selvaggi di John Ford a Un dollaro d’onore di
Howard Hawks: sei titoli riscoprono il vecchio west
CHISUM
Regia Andrew V.
McLaglen
Con John Wayne,
Forrest Tucker, Ben
Johnson, Bruce
Cabot
Genere Western
SANGUE VIVO
Al ritmo della “pizzicata”, scandito
dai pezzi degli Zoé, in un paesaggio
salentino rovente. Due fratelli, due
esistenze: accomunati dalla
durezza di vita e separati dalla
morte del padre. Pino vive di
contrabbando e di traffico di
Albanesi; Donato, dopo aver
abbandonato la band, cade nella
droga e nella rete di un balordo. Il
film di Edoardo Winspeare è duro
come il paesaggio e sanguigno
come la “pizzicata” dai poteri
taumaturgici che cura le vittime del
morso del temuto ragno.
TRIPLE AGENT
Romher si ispira a un vicenda
realmente accaduta. 1936: in Francia
il Fronte Popolare dilaga, in Spagna
imperversa la guerra civile.
Ambiguità e complessità degli eventi
storici si incarnano nella vicenda di
un ex generale dello zar, Fiodor, e
della moglie greca Arsinoe sullo
sfondo di una Parigi in gran
fermento. Ma chi è e cosa cela dietro
le apparenze di una vita
apparentemente tanto ordinata? Per
chi lavora? Chi orchestra gli intrighi
internazionali, le grandi bugie,
i veleni che scorrono minacciosi?
RIO BRAVO
Regia Howard
Hawks
Con John Wayne,
Dean Martin, Walter
Brennan, Angie
Dickinson, Ricky
Nelson
Genere Western
IN NOME DI DIO
Regia John Ford
Con John Wayne,
Pedro Armendariz,
Ward Bond, Harry
Carey Jr, Jane
Darwell, Mae Marsh
Genere Western
QUEL MALEDETTO
COLPO AL “RIO
GRANDE
EXPRESS”
Regia Burt Kennedy
Con John Wayne,
Ann Margret, Rod
Taylor, Ben
Johnson, Ricardo
Montalban
Genere Western
SENTIERI
SELVAGGI
Regia John Ford
Con John Wayne,
Jeffrey Hunter, Vera
Miles, Ward Bond,
Natalie Wood, Harry
Carey Jr., Patrick
Wayne
Genere Western
LA STELLA DI
LATTA
Regia Andrew V.
McLaglen
Con John Wayne,
Gary Grimes,
George Kennedy,
Harry Carey
Genere Western
Distr. Warner Home
Video
Cowboy e deserti rocciosi, saloon,
duelli al rallentatore in strade
polverose: John Wayne è l’icona
incontrastata della frontiera americana.
Un confanetto ripercorre le tappe
fondamentali della carriera di un mito
che, in quarant’anni, ha alimentato
l’immaginario collettivo sul mondo dei
pionieri del nuovo continente. Sei film di
grande successo più una monografia
tracciano altresì un pezzo di storia di
uno dei generi più popolari del cinema.
In nome di Dio diretto da John Ford nel
’48, narra la storia di tre banditi in fuga
e di una donna moribonda che gli affida
il suo piccolo. Uno dei tre riuscirà a
portare in salvo il bambino; una storia
già frequentata dal cinema ai tempi del
muto e stemperata da Ford con
repentini alleggerimenti di tono. Ed è
ancora Ford, nel 1956, a dirigere Sentieri
selvaggi da un romanzo di Alan Le May.
Sullo sfondo della guerra civile Ethan
Edwards (Wayne) è un solitario
ossessionato dall’odio razziale che si
mette alla ricerca di Debbie, la nipotina
rapita dai Comanche. Tra i più riusciti di
Ford, Sentieri selvaggi va ben al di là
della vicenda condita di elementi tragici
e comici che convivono secondo le
regole di genere: il viaggio di Ethan
Edwards è soprattutto un viaggio per
ritrovare se stesso. Nel 1959 esce Un
dollaro d’onore. Howard Hawks è dietro
la macchina da presa che ritrae lo
sceriffo John T. Chance alle prese con
una banda di malviventi che cercano di
liberare un compagno dal carcere. Lo
sceriffo è affiancato da un vecchio
claudicante e da un ragazzino
particolarmente dotato per la pistola:
personaggi straordinari e umorismo ben
dosato. In Chisum diretto da Andrew V.
McLaglen nel ‘70, John Wayne veste i
panni di John Simpson Chisum, più noto
come Lincoln County Cattle War, alias
Barone del Bestiame: allevatore
americano vissuto fra il 1824 e il 1884.
Suo nemico è un corrotto uomo d’affari.
Nel ’73 il non più giovane Wayne aiuta
una donna a recuperare il tesoro
rapinato dal defunto marito; il tutto per
una promessa di ricompensa di 50.000
dollari. Ma i complici del marito si fanno
vivi e non certo animati da pacifici
propositi. Il film si intitola Quel maledetto
colpo al Rio Grande Express. Nello stesso
anno Andrew V. McLaglen dirige
nuovamente John Wayne in La stella di
latta, dove uno sceriffo (interpretato da
uno Wayne straordinariamente calato
nel personaggio) aiutato dall’amico
Cervo Nero, cerca di tirar fuori dai guai i
due figli che si sono fatti coinvolgere in
una rapina.
La ricca monografia
tra gli extra è un pezzo
di storia del cinema
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 77
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
ECONOMIA DEI MEDIA DI FRANCO MONTINI
Europa? Ni, grazie
L’Italia della tv si fa beffe delle normative comunitarie. Con autocertificazioni, assurdi
giuridici e una legge che penalizza il cinema
Ma l’Italia fa parte
dell’Europa? Alla luce di
quanto accade nel settore
televisivo, la domanda è meno
pleonastica di quanto potrebbe
sembrare. Il nostro paese, infatti,
continua ad ignorare una serie di
normative comunitarie, ideate per
salvaguardare e promuovere la
produzione di cinema e fiction del
vecchio continente.
In un recente studio, realizzato
per conto della Commissione
Europea dalla David Graham and
Associates Limited, relativo
all’applicazione della cosiddetta
direttiva comunitaria “Televisione
senza frontiere” è emersa una
evidente dissonanza fra le norme
europee e la legge Gasparri, che
regola il settore televisivo nel
nostro paese. La direttiva
comunitaria prevede che le reti
siano obbligate a riservare alle
78 RdC Gennaio-Febbraio 2006
produzioni europee “la maggior
parte del loro tempo di
trasmissione, escluso il tempo
dedicato a notiziari,
manifestazioni sportive, giochi
televisivi, pubblicità e
televendite”. Ma la legge Gasparri
introduce nel computo anche i
dibattiti, ovvero i talk show, un
genere che, in termini quantitativi,
rappresenta una grossa fetta della
programmazione televisiva.
“La conseguenza - commenta
l’avvocato Giuliana Aliberti,
esperta di problemi audiovisivi e
già autrice di un ricorso alla
Commissione Europea per il
rispetto della direttiva
“Televisione senza frontiere” da
parte della legislazione italiana,
regolata all’epoca dalla legge
Mammì - è che il tempo da
destinare alla programmazione di
produzioni europee, film e fiction,
si riduce sensibilmente.
Continuando a sottrarre tempo
utile alle quote di riserva, di fatto
si svilisce la filosofia e il
funzionamento della direttiva
europea, che statisticamente ha
creato un autentico sviluppo della
produzione audiovisiva nei paesi
europei dove è stata applicata con
maggior rigore”.
Dovendo destinare ampie quote di
programmazione alle produzioni
del vecchio continente, le reti
televisive sono, se non proprio
obbligate, quanto meno
incentivate a produrre. Più ore si
devono coprire, maggiori saranno
gli investimenti nella produzione.
Ma nel nostro paese sembra che
nessuno si sia accorto
dell’infrazione contenuta nella
legge Gasparri: a tutt’oggi né
singoli produttori, né alcuna
associazione di categoria ha
presentato esposti alla
Commissione Europea per
denunciare questa difformità
legislativa e chiedere la tutela dei
propri diritti. In ogni caso, di
fronte alla dissonanza rivelata, la
Commissione Europea potrebbe
decidere di avviare una procedura
d’infrazione nei confronti del
nostro paese, anche perché a
subire le conseguenze negative
della legge Gasparri non sono
Il rispetto dei parametri previsti
costringerebbe il settore audiovisivo a
produrre di più
soltanto i produttori italiani, ma gli
europei in genere.
“Per ciò che riguarda l’Italia aggiunge la Aliberti - il problema
è che il settore è caratterizzato da
un’illegalità diffusa. Basti pensare
che l’Autorità per la Garanzia delle
Comunicazioni, cui è demandato il
compito di vigilare affinché le
quote di diffusione per il prodotto
europeo vengano rispettate dalle
reti, anziché controllare
direttamente, si affida alle
autocertificazioni. Un vero
assurdo giuridico. Senza contare
che nel regolamento dell’Autorità
per la Garanzia delle
Comunicazioni è previsto che
“qualora più canali televisivi
appartengano o siano controllati
da un unico soggetto, la quota di
riserva a favore delle opere
europee viene determinata sulla
programmazione complessiva dei
canali stessi”. Ciò significa, per
esempio, che se Canale 5 supera
la quota europea, Italia 1 può
abbassare la propria. Ma anche
una norma del genere è
visibilmente in contrasto con la
normativa comunitaria”.
Intervenire con rapidità,
ristabilendo regole precise e
verificandone l’applicazione,
sarebbe auspicabile anche in
relazione alle difficoltà del cinema
italiano, derivate dai consistenti
tagli al Fus, imposti dalla
Finanziaria 2006. In attesa di
individuare attraverso nuovi
meccanismi, tipo tax shelter,
risorse alternative ed aggiuntive
all’intervento pubblico,
basterebbe introdurre
concretamente la direttiva
europea “Televisione senza
frontiere” e far rispettare la legge
Gasparri circa le risorse da
destinare alla produzione di
cinema. Obbligate a produrre, le
reti televisive, infatti, tendono a
privilegiare la produzione di
fiction rispetto ai film. La fiction
nazionale ha fatto registrare nelle
ultime stagioni un crescente
successo, ottenendo ascolti
clamorosi ed espellendo dal
“prime time” l’analoga produzione
americana, mentre il nostro
cinema, le cui risorse sono
ampiamente insufficienti, non
riesce a decollare.
CAST & CREW DI MARCO SPAGNOLI
Doppiare un ruggito
Il caso Narnia e non solo: trucchi e segreti di casa Buena Vista
Roberto Morville, Creative Director
di Buena Vista, è il responsabile di
tutte le edizioni italiane dei titoli Disney.
“Ci occupiamo della traduzione,
l’adattamento, la scelta delle voci giuste spiega -. Ogni produzione presenta però
una serie di difficoltà come espressioni
idiomatiche e termini tecnici. Il lavoro
viene poi affidato alla società di
doppiaggio, i cui attori abbiano le
caratteristiche vocali migliori per le
esigenze del film o della serie tv. La
nostra responsabilità è tutelare la qualità
a tutti i costi”.
Quali possono essere le difficoltà?
Omar Sharif, voce di Aslan ne Le
cronache di Narnia, ad esempio, non
aveva mai doppiato. Nonostante fosse
appena stato colpito dalla Fatwa per il
ruolo di San Pietro, ha lavorato con noi
con grande entusiasmo.
Come ha scelto le voci di una serie
Roberto Morville
di culto come Desperate
Creative Director
ISTRUZIONI PER L’USO
Housewives?
Volevamo un coro di voci femminili
differenti, ma dall’identità ben precisa. La
cosa più complicata è stata la voce off di
Emanuela Rossi, che doveva recitare in
maniera ironica, ma mai frivola.
Qualche consiglio per i giovani?
E’ fondamentale vedere tanti film in
originale e viaggiare entrando
profondamente a contatto non solo con
la lingua, ma anche con la mentalità di un
posto.
E la tecnica?
Quella si impara: il mondo del doppiaggio
è un po’ chiuso, ma insistendo si può
provare a fare pratica sul campo.
Purtroppo non ci sono le scuole e
iniziano a mancare le grandi voci. Per
questo c’è spazio per i giovani di talento.
E adesso?
Siamo già al lavoro su Cars, il nuovo film
Pixar: una sfida molto interessante e
divertente.
Indirizzi e raccomandazioni, per provarci senza fare una brutta fine
CHI DOPPIA MUORE?
Quattro le voci italiane di
Sean Connery, tra cui Pino
Locchi e Sergio Rossi. Tutti
defunti. “Ora lo doppiano De
Ambrosis e Merli - dice
Morville -. E stanno tutti e
due molto bene…”.
VOCI MEMORABILI
Walter Veltroni ha doppiato il
tacchino sindaco
nell’animazione Chicken
Little. Laura Morante e
Amanda Lear Gli Incredibili, le
Iene Kessisoglu e Bizzarri Le
follie dell’imperatore.
COMINCIARE DAL WEB
Qualche link utile per saperne
di più sul doppiaggio in Italia.
www.aidac.it/homed.html www.asinc.it www.alerossi.com www.antoniogenna.net/
doppiaggio/doppiaggio.htm
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 79
telecomando
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Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
di Francesco Bolzoni
Pagine di cinema
Prima messo in ombra da Truffaut e Godard, poi osannato per Il raggio verde. È il caso Rohmer:
regista atipico, oggi svelato in un catalogo (e una rassegna)
Festa grande, a France Cinéma di
Firenze, per Eric Rohmer (nome d’arte
di Jean-Marie Maurice Schérer, nato
nel 1920). A lungo professore di
lettere classiche, l’alsaziano Rohmer
venne prestato alla critica
cinematografica (redattore capo con
Lo Duca dei Cahiers du cinéma dal
1959 al ’63) prima di sposarsi con la
cinepresa. Il suo cinema non deve
molto ai “maestri” (Rossellini in testa)
che Rohmer e gli altri corsari della
“nouvelle vague” contribuirono a far
conoscere meglio. Meno irruento di
Godard, meno amabile di Truffaut,
Rohmer rimane a lungo un regista per
pochi amatori. All’inizio, nei sei
Racconti morali, il suo è un “cinema di
conversazione” incentrato su tre
personaggi (un uomo tra due donne);
poi, con Commedie e proverbi, si apre
a uno sciolto dettato sui turbamenti di
fanciulle in fiore; si contrae in due film
influenzati dalla letteratura, La
marchesa von… (1976) e Perceval
(1978); si intenerisce di nuovo nei
Racconti sulle quattro stagioni per
giungere, nel 2001, a La nobildonna e
il duca, ripensamento, ma non
“revisione”, della Rivoluzione
Francese. Non numerosi ma
ostinatamente fedeli i rohmeriani, alla
cui guida si può porre Aldo Tassone,
l’inventore di quel “France Cinéma”
che ogni anno propone da noi il meglio
della produzione di Francia, se non
altro per le tante, vivaci, interviste
inedite pubblicate nel catalogo 2005
della manifestazione fiorentina. In
maggioranza i saggisti italiani
Molto attento alla parola, pareva
invece disinteressarsi quasi
completamente alla cinepresa
80 RdC Gennaio-Febbraio 2006
scoprirono Rohmer grazie a La mia
notte con Maud e, da allora, non lo
abbandonarono più, nonostante il
regista non sia mai diventato una
“passione” per i cinefili. Si potrebbe
sostenere, a ragion veduta, che
Rohmer è un cineasta sconosciuto (o
quasi) in Italia; ed è un buon segno
che la retrospettiva fiorentina sia
stata prenotata da otto città. Quale
sia il segreto della suggestione dei
film di Rohmer non è facile da
spiegare. I suoi dialoghi sono rapidi
quanto lo spostarsi della pallina in uno
scontro a ping pong, eppure insistono
su questioni filosofiche e religiose.
Attento alla parola Rohmer pare
disinteressarsi della cinepresa. Ordina
una sola ripresa, qualche volta ne fa
due, e lascia il massimo di autonomia
agli attori. Spiega Tassone: “ Rohmer
vuole la cinepresa fissa, ad altezza di
sguardo, come Hawks. Rifugge dai
movimenti lambiccati, sono gli attori a
muoversi, la cinepresa è in funzione di
loro, dagli attori esige il massimo della
spontaneità. Dice: cerco di indurli a
ritrovare la naturalezza della vita
quotidiana”.
La collezionista. Nella
pagina accanto
Perceval e, sotto in
senso orario, La fornaia
di Monceau e lo stesso
Rohmer
Gennaio-Febbraio 2006 RdC 81
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DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
di Alessandro Scotti
Visto da vicino
KING KONG
Regia Peter Jackson
Musica James Newton
Il primo King Kong (1933) aveva una musica
(di Max Steiner) sobria e severa; il secondo
(1976) una (di John Barry) un po’ più gonfia;
il terzo, quello attuale, scoppia di immagini
e di suoni. Incaricato della colonna sonora
James Newton Howard, uomo per tutte le
stagioni, commedia, tragedia, avventure,
fantasy, tutto quel che occorre. Tra i suoi
film c’è anche Dinosauri (1999), un
pasticcino mignon al
confronto con l’attuale
risultato, dove agli animali
antidiluviani si
accompagna lo storico
gorillone. E allora dai, giù
con la musicona d’effetto
basata sull’enfasi, sulla
grancassa come quella per
attirare la gente nel
baraccone della fiera,
corni, tromboni, percussioni ed elettronica.
Tutto troppo, una presenza asfissiante che
non dà tregua: i rarissimi istanti di silenzio
sono boccate d’ossigeno che purtroppo
durano poco. Tutto celebra il grandioso,
tutto è mastodontico, roboante: ad ogni
apertura dell’immagine (su paesaggi, su
situazioni, ecc.) ecco la sottolineatura
incalzante. Anche le immagini sono
incombenti e dilatate, è vero; forse però si
poteva contenerne l’impatto spesso
fastidioso usando il pantografo almeno nel
soundtrack. E usare meglio (ci sono solo
accenni) la musica da music-hall che apre
la vicenda e torna nella sequenza più
spiritosa, quella dei “numeri” da varietà
offerti dalla Bella per ingraziarsi la Bestia.
Che dal canto suo gradisce.
Le musiche
ad effetto di
Howard non
concedono
tregua e respiro
Per tutti i gusti
ZUCKER
Che musica volete ci sia in un
film che gira attorno
all’ebraismo? Ovviamente
“klezmer”: bandetta metà
esotica metà balcanica, con
violini petulanti, bombardino a
segnare il ritmo e così via.
Obbligatorio sì, ma occorre
riconoscere che il tedesco Niki
Reiser, in chiave col tono ironico
del film, scherza,
legittimamente, sui motivi seri.
82 RdC Gennaio-Febbraio 2006
Senza senso
BROKEN FLOWERS
MR. & MRS. SMITH
Il film funziona solo se lo si
prende sul ridere. E la musica
collabora. Dopo una serie di
tocchi, borbottii e note pizzicate,
John Powell sottolinea con ritmi
a balzelloni momenti come
quello in cui la padrona di casa
estrae pistole e bazooka dal
vano dietro la batteria delle
pentole in cucina. E nessuno a
questo punto può avere più
dubbi.
A HISTORY OF VIOLENCE
Il canadese Howard Shore è da
sempre complice del
compatriota Cronenberg. In
contrasto con la violenza del
racconto, adotta una musica
pacata, a note “larghe”, anche
dopo sparatorie e sangue. Pare
incongruo, invece la chiave
sonora funziona a meraviglia,
lasciandoci dubitare della verità
dei fatti e delle ambiguità della
tranquilla provincia.
Regia Jim Jarmusch
Musica Mulatu Astatke
La stranezza è voluta? Nelle
musiche di un film che è la
chiara parafrasi del mito di
Don Giovanni non c’è alcun
accenno all’opera mozartiana
di tale titolo. E proprio mentre
si scatenano le celebrazioni
per il 250° anniversario della
nascita di Amadeus!
Oltre che via satellite con Sky (canale 818) e diverse emittenti locali, SaT 2000 imbocca l’autostrada del digitale terrestre attraverso il multiplex Rai.Tre diversi percorsi, dunque, ma una stessa tv,
una stessa ispirazione, uno stesso stile a cui restare fedele con determinazione: essere sempre di più una tv oasi, di respiro, che
prende sul serio il suo pubblico e non vede l’ora di coinvolgerlo con l’interattività.
Una tv che non si accontenta. Una tv differente, dai mille interessi. Una tv che inaugura una stagione decisamente
nuova, ringiovanendosi nei programmi e nei volti: sono appunto cinque giovani ad accompagnare l’intera giornata con
interventi in diretta tra un appuntamento e l’altro per rendere accogliente la programmazione di SaT 2000, dare consigli
utili, raccontare curiosità, rispondere a una lettera.
Informazione, quindi, accanto ad approfondimenti, documentari, intrattenimento culturale, grande musica, fiction. La stagione è davvero nuova perché il digitale terrestre rende possibile il dialogo diretto con i telespettatori, che possono farsi
ascoltare e offrire subito il proprio punto di vista.
www.sat2000.it
rosanna seregni e istituto luce presentano
di krzysztof zanussi
zbigniew zapasiewicz
nikita mikhalkov
jerzy stuhr
daniel olbrychski
c o n l a p a r t e c i p a z i o n e s t r a o rd i n a r i a
di victoria zinny e remo girone
SINTRA
MINISTERO
PER I BENI E
LE ATTIVITÀ
CULTURALI
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dal 3 febbraio al cinema
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