R I V I STA D E L C I N E M ATO G R A FO WWW.CINEMATOGRAFO.IT GENNAIO-FEBBRAIO 2006 N. 1-2 € 3,50 SENZA FINE LE CONSEGUENZE DEL TERRORISMO IN MUNICH DI STEVEN SPIELBERG CON ERIC BANA AGENTE DEL MOSSAD OSCAR: L'ANNO DI CLOONEY Judy Dench e Philip Seymour Hoffman SPECIALE OLIMPIADI Discipline e campioni dalla A alla Z 45 PAGINE DI FILM, ANTICIPAZIONI, INTERVISTE Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano +Isabella e Roberto Rossellini+Claudio Bisio+Reese Witherspoon+Kirk Douglas PUNTI DI VISTA Giochi di cinema er non mancare l’appuntamento con le Olimpiadi di Torino siamo andati a cercare negli archivi della storia del cinema e dello sport. Sorpresa: siamo rimasti intrappolati in una lista lunghissima di titoli e di discipline sportive. Abbiamo pensato perciò che la cosa migliore fosse offrire una prospettiva diversa, non un’enciclopedia ma una sorta di dizionarietto dei Giochi e dei film legati alle singole categorie, dalla A alla Z, anzi a dire il vero dalla A alla T. Partiti dalle Olimpiadi di Berlino del 1936 filmate da Leni Riefenstahl, abbiamo analizzato i biopic di celebri atleti, siamo passati per il novecento dietro a un pallone e siamo arrivati a quel settembre nero del 1972, ora portato in sala da Steven Spielberg, a cui non a caso abbiamo dedicato la copertina. Nel 2006 succedono molte cose, una che non potevamo dimenticare è il centenario della nascita di Roberto Rossellini. Una ricorrenza che celebriamo attraverso le parole e le immagini del cortometraggio a lui dedicato dalla figlia Isabella. Ma questo numero doppio, con il quale siamo soliti aprire il nuovo anno, si coniuga anche al futuro, almeno è quello che speriamo. Proseguendo il percorso di approfondimento contenutistico e rinnovamento grafico della rivista, dedichiamo spazio ulteriore ai film e inauguriamo nuove rubriche, a cui se ne aggiungeranno delle altre nel corso dell’anno. Ne “I protagonisti” Marcello Giannotti prende a tu per tu il grande schermo, realizzando finte interviste a celebri personaggi di celluloide, mentre Aldo Fabrizi è la star della neonata rubrica “Divi ai fornelli”. Ad ampliarsi è “Economia dei Media” che si trasforma in “Inside Cinema” per portare alla ribalta chi sta dietro le quinte e compare solo nei titoli di coda: volti, nomi e professioni con cui dialoga Marco Spagnoli in “Cast & Crew”. Un altro sguardo lungimirante lo lanciamo Oltreoceano. La 78esima cerimonia di premiazione degli Oscar si terrà il 5 marzo, ma noi abbiamo provato a scommettere. Non per un gioco fine a se stesso, ma per “sostenere” pellicole di forte impegno civile e morale. Pensiamo a titoli quali il già ricordato Munich, la lucida opera seconda di George Clooney Good Night, and Good Luck, il thriller politico Syriana e la quarta regia di Terrence Malick, The New World, che libera Pocahontas dalla gabbia dorata in cui l’aveva rinchiusa il cartoon Disney. Per noi, loro hanno già vinto. Così come Robert Altman, al quale l’Academy dopo averlo “illuso” per ben cinque volte - tante sono le sue nomination alla statuetta di miglior regista - si è decisa ad attribuire un Oscar alla carriera. Quella che ripercorreremo nel prossimo numero di RdC. FOTO: PIETRO COCCIA P Citius, altius, fortius: lo spirito olimpico in 35 mm rC d CINEMA - TELEVISIONE - RADIO TEATRO - INFORMAZIONE Nuova Serie - Anno 76 Numero 1-2 Gennaio-Febbraio 2006 In copertina Eric Bana in Munich di Spielberg Direttore Responsabile Dario Edoardo Viganò Caporedattore Marina Sanna Progetto grafico e Art Director Alessandro Palmieri Hanno collaborato a questo numero Andrea Agostini, Luciano Barisone, Francesco Bolzoni, Alessandro Boschi, Ermanno Comuzio, Rosa Esposito, Silvio Danese, Cesare Frioni, Marcello Giannotti, Diego Giuliani, Oscar Iarussi, Leonardo Jattarelli, Massimo Monteleone, Franco Montini, Enzo Natta, Roberto Nepoti, Luca Pallanch, Peter Parker, Luca Pellegrini, Federico Pontiggia, Angela Prudenzi, Cristina Scognamillo, Alessandro Scotti, Marco Spagnoli, Davide Turrini, Chiara Ugolini Proprieta’ Ente dello Spettacolo Editore Ente dello Spettacolo Direzione e amministrazione Via G. Palombini, 6 - 00165 Roma Tel.(06) 663.74.55 - 663.75.14 fax (06) 663.73.21 e-mail: [email protected] Registrazione al Tribunale di Roma N. 380 del 25 luglio 1986 Iscrizione al ROC N 2118 Del 26/9/01 Pubblicita’ e sviluppo Renato Geloso Tel. 335 8100850 e-mail: [email protected] Servizio cortesia abbonamenti Direct Channel S.r.l. – Milano Tel. 02-252007.200 fax 02252007.333 Lun-Ven 9/12,30 – 14/17,30 e-mail: [email protected] Stampa Società Tipografica Romana S.r.l. Via Carpi 19 - 00040 Pomezia (RM) Finita di stampare il 20 Gennaio 2006 Distributore esclusivo A. & G. Marco S.p.A. Via Fortezza, 27 - 20126 Milano Associata A.D.N. Abbonamento per l'Italia (10 numeri) 35,00 euro Abbonamento per l'estero (10 numeri) euro 103,29 Associato all'USPI Unione Stampa Periodica Italiana Iniziativa realizzata con il contributo della Direzione Generale Cinema – Ministero per i Beni e le Attività Culturali Gennaio-Febbraio 2006 RdC 3 sommario Numero 1-2 - Gennaio-Febbraio 2006 Cover Story 10 Settembre nero Monaco ‘72. Spielberg racconta la perdita dell’innocenza di una generazione (e oltre) (Marina Sanna) Servizi 14 Scommesse da Oscar Clooney, Dench, Seymour Hoffman: chi ha già vinto la statuetta (Rosa Esposito, Federico Pontiggia) 18 Un secolo di Rossellini Isabella ricorda papà Roberto: “Con quel pancione mi sembrava onnipotente” (Chiara Ugolini) 22 Claudio vs. Bisio Il ritorno dello showman nella Cura del Gorilla: “Che fatica recitare con una doppia personalità” (Diego Giuliani) 24 Il tesoro del Cairo Il cinema esplode e l’Italia latita. Le istituzioni egiziane denunciano (Marina Sanna) Speciale 31 Momenti di gloria Le Olimpiadi dalla A alla Z. Maratona di titoli, discipline e curiosità, in occasione di Torino 2006. Con divagazioni su trash, biografie e tappe fondamentali nella storia dei Giochi (Hanno collaborato: Alessandro Boschi, Silvio Danese, Diego Giuliani, Leonardo Jattarelli, Roberto Nepoti, Luca Pallanch, Luca Pellegrini, Federico Pontiggia, Cristina Scognamillo. A cura di Marina Sanna) 4 RdC Gennaio-Febbraio 2006 63 Jarhead di Sam Mendes I film 56 58 59 59 60 60 61 62 63 63 64 64 65 66 67 67 68 68 69 70 70 Match Point Lady Vendetta Le tre sepolture Casanova U-Carmen Saddam Quando l’amore brucia l’anima Dick & Jane: operazione furto Jarhead North Country Orgoglio e pregiudizio Derailed Il pane nudo I segreti di Brokeback Mountain Cacciatore di teste The Red Shoes Le cronache di Narnia Joyeux Noël The White Countess King Kong Saw II (Luciano Barisone, Diego Giuliani, Oscar Iarussi, Massimo Monteleone, Enzo Natta, Luca Pellegrini, Angela Prudenzi, Cristina Scognamillo, Marco Spagnoli, Davide Turrini) 35 Cortina, 1956: la Loren alle prime Olimpiadi invernali italiane Le rubriche 6 Tutto di tutto News, festival, protagonisti e fornelli (Andrea Agostini, Marcello Giannotti, Massimo Monteleone, Peter Parker, Chiara Ugolini) 74 Dvd & Extra-Ordinari Dalla John Wayne Collection a Heimat 3 (Alessandro Scotti, Marco Spagnoli) 78 Inside Cinema Anarchici e doppiatori (Franco Montini, Marco Spagnoli) 80 Libri Riscoprire Rohmer (Francesco Bolzoni) 82 Colonne sonore A History of Violence e gli altri (Ermanno Comuzio) 17 La rivelazione The New World 22 Dr. Bisio & Mr Hyde: metà Socio, metà Gorilla 24 Il Cairo: reportage da un paese in grande fermento 10 Golda Meir in Munich Gennaio-Febbraio 2006 RdC 5 TuttoDiTutto Ultimissime in pillole dal pianeta cinema: tendenze, news, divi e fornelli A cura di Diego Giuliani GUAI IN FAMIGLIA PER REESE La Witherspoon (nella foto in Se solo fosse vero) sarà protagonista e produttrice di un film tratto dallo script Our family Troubles di Don Winston. Nella storia sarà una neomamma perseguitata da fenomeni inspiegabili che la spingono a dubitare della propria sanità mentale. Quando farà ritorno nella sua città natale in Tennessee, inizierà a credere che degli spiriti maligni cerchino di fare del male al suo bambino. COM’ERA BRUCIATA LA MIA GIOVENTÙ La vita di Nicholas Ray diventa un film. A dirigere la biografia del regista di Gioventù bruciata sarà Philip Kaufman (L’insostenibile 6 RdC Gennaio-Febbraio 2006 leggerezza dell’essere, Sol Levante), che si concentrerà sui suoi ultimi dieci anni di vita. Morto all’età di 68 anni, Ray condusse in questo periodo una serrata battaglia contro la droga, l’alcool e il sistema hollywoodiano. In primo piano sarà nel film anche la relazione del regista con la giovane Susan Scheartz. GRAHAM NON RIDE PIU’ La doppia vita di Heather Graham. Giunta al successo nei panni dell’agente Felicity al fianco di Austin Powers, dopo un periodo di inattività l’attrice si divide ora tra cinema e televisione. Mentre a metà gennaio debutta come protagonista nella serie comica della ABC Emily’s Reasons Why Not, è al cinema che riserva le sue doti drammatiche. Dopo aver interpretato Mary di Abel Ferrara, affiancherà William Baldwin ed Erika Michels in 1-9 di Alfredo De Villa, storia di tre persone che, reduci da un Appuntamento fisso con un ammiratore mascherato. Che si confessa alla Kidman, per parlarle di sé, del cinema e del mondo SulletraccediNicole JOHN TRAVOLTO ON THE ROAD Motociclista d’assalto con Tim Allen. Secondo l’Hollywood Reporter John Travolta affiancherà l’attore in Wild Hogs, commedia prodotta dalla Tochstone Pictures in cui i due faranno parte di un gruppo di motociclisti quarantenni e frustrati che, per dare una svolta alla loro vita, decidono di partire in sella alle loro moto alla ricerca d’avventura. Ma il viaggio prenderà una piega inaspettata quando si imbatteranno negli Hell’s Angels, la temibile banda di motociclisti fuorilegge che negli anni sessanta scorrazzavano impuniti per le strade degli Stati Uniti. chi fa cosa Di Andrea Agostini periodo difficile della loro vita, trovano conforto l’una nell’altra durante un freddo inverno newyorkese. Le riprese inizieranno a metà febbraio. Prima tappa: Sydney Arrivo da te con la valigia in mano e la testa piena di progetti Ho pensato a lungo alle parole che sto scrivendo. Sono giorni, e giorni, e giorni che ci penso. Da quando, sbarcato a Sidney con la valigia in mano e la testa piena di progetti, ti ho visto all’aeroporto. Tu, spietata Nicole, mi hai gelato con lo sguardo. “Ti riconosco, mio caro, ma il tempo è passato”. Ecco quello che volevano dire i tuoi occhi. Un fodero di una chitarra ai tuoi piedi, un ragazzo, un bel ragazzo al tuo fianco. In un attimo tutta la stanza che mi ero costruito con te è crollata. Dicono che lui sia un cantante, un cantante country di nome Keith. Dicono anche che vuoi sposarlo nei prossimi giorni. La mia disperazione, quella, la tengo per me, algida Nicole. Anzi, per dirla tutta non riuscirò mai a ritornare in me. Ovunque io metta piede mi segue un fantasma che mi sconvolge. Atterrito dal dolore, sono salito su un altro aereo, il primo che capitava. E sono sbarcato a Los Angeles. Sono andato da Maria Bello. Conoscevo il suo indirizzo, l’avevo sbirciato sulla tua agenda l’ultima volta che ci siamo visti: quell’agenda che resta l’ultimo tuo regalo che mi sono tenuto. Le ho fatto i complimenti per A History of Violence. Maria è stata gentile, mi ha offerto un tè e mi ha raccontato le sue origini italiane. Per ora resto qui con lei, nella sua villa. Penso che Maria mi abbia preso per un pazzoide non pericoloso. Non ti ho dimenticata, cara Nicole. Ma vado avanti. Forse è stato tutto un sogno: “Sono pagata per far credere agli uomini quello che vogliono credere”, dicevi in Moulin Rouge. Io ci ho creduto. E di questo non sono pentito. Tuo Peter Parker Non ti ho dimenticata ma vado avanti. Forse è stato tutto un sogno Gennaio-Febbraio 2006 RdC 7 TuttoDiTutto I protagonisti di Marcello Giannotti IL GRANDE SCHERMO A TU PER TU. OVVERO: FINTA INTERVISTA A PERSONAGGI REALMENTE ESISTITI. AL CINEMA IL PERSONAGGIO Il colonnello Dax (Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick) Francia, 1916. Nella lunga guerra di posizione tra Francia e Germania, il generale Broulard (Adolphe Menjou) ordina all’ambizioso Moreau (Georges Macready) di attaccare la roccaforte tedesca del Formicaio, praticamente una missione suicida. In cambio Moreau ottiene la promessa di un avanzamento di carriera. A guidare l’assalto è il colonnello Dax (Kirk Douglas), tutt’altro che convinto della buona fede dei generali. L’assalto si rivela un fallimento e si conclude con l’accusa di tradimento del battaglione francese. Nel corso del processo vengono scelti a caso tre soldati e condannati a morte come punizione esemplare malgrado la L’ATTORE Kirk Douglas 8 RdC Gennaio-Febbraio 2006 difesa appassionata di Dax. Quarto film di Kubrick, tratto da un romanzo di Humphrey Cobb, Orizzonti di gloria è uno dei punti più alti dell’antimilitarismo nel cinema. Colonnello Dax, lei è uno strano tipo. Fa il colonnello ma la guerra non le piace. E’ uno che dice: “Tra mosche e moschetto preferisco le mosche” Senta, io sono un tipo così. Prendere o lasciare. I piedi in testa non me li faccio mettere da nessuno. E non me li sono fatti mettere neanche da quei due generali, figurarsi. Qui non è questione di pacifismo ma di rispetto degli esseri umani. Difendere i più deboli è qualcosa che ho imparato quando facevo l’avvocato e ho continuato a farlo anche da colonnello. Ma quando il generale Moreau le ordinò di prendere il Formicaio alla fine obbedì… Mentre Moreau passava in rassegna le truppe urlando e dicendo idiozie sul valore sacro della guerra, io sa come lo aspettavo nella mia tenda? A torso nudo. E poi? Poi l’ho colpito nel suo punto più debole, in quello che spesso hanno i generali. La cultura. E gli ho citato Samuel Johnson, un letterato inglese del ‘700 che aveva detto che il patriottismo è l’ultimo “Il potere è sempre uguale in tutte le epoche: mette in evidenza le peggiori meschinità dell'uomo” rifugio delle canaglie. Quella citazione l’ha fatto andare su tutte le furie. Non se l’aspettava Moreau, non sapeva neanche chi fosse Johnson. Alla fine riuscì ad avere la meglio. Fu proprio grazie alla sua accusa che il generale uscì di scena. Guardi, il potere è sempre quello, in tutte le epoche, non cambia: mette in evidenza la peggiore meschinità umana. E Broulard e Moreau rappresentano quello. Anche se tra Broulard e Moreau, a essere sincero, mi fa più schifo Broulard. Davvero? E’ quello che neanche si sporca le mani per andare al fronte a guidare la battaglia, sta nei salotti buoni a danzare e a ordinare massacri. Mi ricorda certi politici di adesso. Per questo quando mi ha chiamato “figliolo” prospettandomi la promozione gli ho detto che tutto potevo essere ma non il suo figliolo e che la sua promozione poteva mettersela da un’altra parte. Gli ho detto “vecchio, sadico e degenerato”, proprio così. E l’ho mandato al diavolo. Colonnello, si è mai pentito in tutti questi anni? No, anzi, vedendo quel che è accaduto poi al genere umano mi sembra che aver detto quelle parole pesanti come un macigno in faccia a Broulard sia stato davvero un motivo di orgoglio. Ce ne fossero stati e ce ne fossero oggi di colonnelli che dicono quel che pensano realmente ai generali: avremmo evitato guerre e molte vittime. > IL PERSONAGGIO Nome Aldo Fabrizi Provenienza Italia Il film d’esordio Avanti c’è posto Il miglior film Roma città aperta L’ ultimo film Il ginecologo della mutua > LA SPECIALITA’ alla capricciosella Pasta con calamaretti e pisellini ar tartufo Spaghettini de li poveri a le tre grazie Pasta (burro, latte e gorgonzola) > LA SCELTA Cento anni di uno chef poeta. La rima costruita sullo spaghetto, l’ispirazione venuta da una minestra. La passione di Aldo Fabrizi per la buona tavola e la cucina romana è nota, ma non tutti sanno che è stata fonte di ispirazione per alta poesia. L’amore per la cucina si è riversato in versi e rime: sonetti dedicati alla pasta, ai sughi, alle zuppe. Da pochi mesi si è festeggiato il centenario di questo poeta dei fornelli, nato il 1° novembre del 1905. Il Comune di Roma ha raccolto in un libretto le ricette in poesia, create in tanti anni nel suo studio, la cucina, dove elaborava nuovi piatti, scriveva, riceveva amici e parenti, personalità e giornalisti. Sito web www.berlinale.de Dove Berlino, Germania Quando 9-19 febbraio Resp. Dieter Kosslick tel. (0049-30) 259200 fax. (0049-30) 25920299 E-mail [email protected] LVI edizione della Berlinale, fondamentale appuntamento europeo come Cannes e Venezia. In concorso per l’Orso d’Oro le novità d’oltreoceano e il grande cinema d’autore mondiale (lunghi e cortometraggi). FESTIVAL INTERNATIONAL DU COURT METRAGE DE CLERMONTFERRAND Sito web www.clermontfilmfest.com Dove Clermont-Ferrand, Francia Quando 27 gennaio - 4 febbraio Resp. Roger Gonin tel. (0033-4) 73916573 fax. (0033-4) 73921193 E-mail [email protected] XXVIII appuntamento con la produzione mondiale dei cortometraggi (animazione, per bambini, documentari, opere studentesche). SUNDANCE FILM FESTIVAL Sito web www.sundance.org Dove Park City (Utah), USA Quando 19-29 gennaio Resp. Geoffrey Gilmore tel. (001-801) 3283456 E-mail [email protected] XXI appuntamento con la vetrina più importante della produzione indipendente americana. In concorso opere divise nelle categorie “fiction” e “documentario”. Anteprime del cinema internazionale. Attraverso gli anni il Sundance ha scoperto e lanciato autori emergenti. ANIMATED EXETER Sito web www.animatedexeter.co.uk Dove Exeter, Gran Bretagna Quando 13-25 febbraio Resp. Catherine Bailes tel.(0044-1392) 265208 fax. (0044-1392) 265366 E-mail [email protected] VII edizione della rassegna non competitiva specializzata nelle produzioni d’animazione, rivolta agli spettatori studenti. Previsti workshop di apprendimento con professionisti del settore. PREMIERS PLANS - FESTIVAL D’ANGERS Sito web www.premiersplans.org Dove Angers, Francia Quando 20-29 gennaio Resp. Claude-Eric Poiroux tel. (0033-2) 41889294 fax. (0033-2) 41876583 E-mail [email protected] XVIII edizione della rassegna con quattro sezioni competitive: cortometraggi francesi, opere-prime (lungometraggi e corti) e saggi di scuole di cinema europee. FESTIVAL DE GERARDMER / FANTASTIC’ ARTS Sito web www.gerardmerfantasticart.com Dove Gerardmer, Francia Quando 25-29 gennaio Resp. Jerome Lasserre tel. (0033-3) 29609821 fax. (0033-3) 29609814 E-mail [email protected] GOTEBORG FILM FESTIVAL Sito web www.goteborg.filmfestival.org Dove Goteborg, Svezia Quando 27 gennaio - 6 febbraio Resp. Bengt Toll tel. (0046-31) 3393000 fax. (0046-31) 410063 E-mail [email protected] XXIX edizione del più importante festival scandinavo, a carattere competitivo. Presenta una selezione di film internazionali e un approfondimento sulle produzioni dei paesi nordici. ANIMA Sito web www.awn.com/folioscope Dove Bruxelles, Belgio Quando 24 febbraio - 5 marzo Resp. Doris Cleven, Philippe Moins tel. (0032-2) 5344125 fax. (0032-2) 5342279 E-mail [email protected] XXV edizione dell’autorevole manifestazione competitiva specializzata nel cartoon e nelle innovative tecniche d’animazione digitali (corti e lungometraggi). In concorso i corti prodotti dal Belgio. ALPE ADRIA CINEMA - TRIESTE FILM FESTIVAL Sito web www.alpeadriacinema.it Dove Trieste, Italia Quando 19-26 gennaio Resp. Annamaria Percavassi tel. (040) 3476076 fax. (040) 662338 E-mail [email protected] XIII edizione della rassegna internazionale competitiva specializzata in fantasy, fantascienza, Horror e thriller secondo un’ottica interdisciplinare: film, video, fumetti ed altre forme d’arte. INTERNATIONAL FILM FESTIVAL - ROTTERDAM Sito web www.filmfestivalrotterdam.com Dove Rotterdam, Olanda Quando 25 gennaio - 5 febbraio Resp. Sandra Den Hamer tel. (0031-10) 8909090 fax. (0031-10) 8909091 E-mail [email protected] XXXV edizione dell’importante festival informativo e competitivo. Molti titoli in programma (film a soggetto, corti, documentari, video, film on-line, Dvd, Cd-rom), comprese anteprime mondiali o europee. XVII edizione degli “Incontri con il cinema dell’ Europa CentroOrientale”, tradizionale appuntamento con film e video di quest’area geografica. In concorso opere recenti divise fra lungometraggi e corti. Prevista una retrospettiva monografica. Gennaio-Febbraio 2006 RdC 9 festival del mese Di Massimo Monteleone divi al fornello Di Chiara Ugolini INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE BERLIN COVER STORY Mona il giorno dopo Che cosa successe davvero all’indomani del 5 settembre 1972? Fatti e fiction nel nuovo, dolentissimo, film di Steven Spielberg DI MARINA SANNA entre il presidente iraniano Ahmadinejad nega l’Olocausto e chiede la cancellazione dello Stato ebraico dalle carte geografiche, Steven Spielberg esce nei cinema con una storia che fa rabbrividire. Soprattutto se a raccontare quel settembre nero del ’72, con sguardo lucido e quasi imparziale, è l’uomo della Shoah, regista stimato negli ambienti più conservatori. Spielberg, che sapeva dove sarebbe andato a finire, non voleva farlo. Aveva rifiutato tre volte il soggetto. Ci sono voluti cinque anni e molte pressioni dalla sua amica e partner di produzione Kathleen Kennedy per convincerlo. Munich è ispirato al libro Vengeance del canadese George Jonas, ma lo sceneggiatore premio Pulitzer Tony Kushner ha riscritto tutta la trama (tu pensi alle parole, gli ha detto Spielberg, io alle immagini). Non ci sono eroi come in Schindler’s List, alcune scene hanno l’impatto violento di Salvate il soldato Ryan. I fatti sono quelli del settembre 1972, quando a Monaco avvenne l’impensabile: l’inizio del terrorismo internazionale. In un luogo e in un M 10 RdC Gennaio-Febbraio 2006 tempo deputati alla festa, in pieno svolgimento dei giochi olimpici, un gruppo di giovani in abbigliamento sportivo si introduce negli alloggi israeliani. Sono terroristi palestinesi che prendono in ostaggio undici atleti e, falliti i tentativi di riscatto, li ammazzano tutti. Le immagini sono drammatiche, la televisione è già uno strumento potentissimo: sia i terroristi che le famiglie delle vittime seguono in diretta, minuto dopo minuto, le mosse della polizia tedesca e le morti dei loro cari. Si scatena l’inferno, sangue, fuoco, morte. La reazione di Israele non tarda ad arrivare. Nella casa di Gerusalemme, dove si tiene l’incontro segreto e decisivo con i generali e i responsabili dei servizi segreti, il primo ministro, la signora Golda Meir, dà il via al contrattacco, altrettanto violento, con una frase sibillina: “Oggi abbiamo scoperto che ogni civiltà deve negoziare i suoi più alti valori con molti compromessi”. Tra i convocati c’è Avner (Eric Bana), burocrate del Mossad senza esperienza, figlio di un eroe di guerra ed ex body guard della Meir. “La famiglia è importante, è la base del nostro futuro” gli dice il primo ministro, mettendolo di co Le immagini sono drammatiche. La televisione è già uno strumento potentissimo Gennaio-Febbraio 2006 RdC 11 COVER STORY Il primo ministro israeliano Golda Meir (Lynn Cohen) fronte al dilemma: abbandonare la moglie incinta o lo stato di Israele. Nelle mani del superagente del Mossad Ephraim (Geoffrey Rush), Avner capitola e parte per una missione segretissima: rintracciare i responsabili del massacro di Monaco ed eliminarli uno ad uno. Lo squadrone della morte è formato da altri quattro agenti (tra cui Mathieu Kassovitz e Daniel Craig) che hanno mansioni diverse: guidare la macchina, fabbricare documenti falsi o ripulire la scena del crimine. Nessuno di loro ha mai ucciso qualcuno. Da Ginevra a Francoforte, da Roma a Parigi, Londra e persino Beirut (territorio proibito), Avner e il suo plotone si muovono dapprima tentennando poi con sempre maggiore fine del terrorismo? Poi tutto cambia. Popoli, nazionalità, ragioni, cause, effetti. Cadono i cliché. Più che un film per la pace, sembra una presa di coscienza drammatica, un’invocazione disperata. In una scena che ricorda Private di Saverio Costanzo, Spielberg fa incontrare casualmente palestinesi e israeliani. Avner è sotto copertura, parla liberamente: “Perché non ve ne andate? Perché continuate a combattere?” e il giovane arabo che si ritrova sotto lo stesso tetto per una notte risponde: “E’ la nostra patria, è la nostra terra, non la lasceremo mai”. “Che cosa ve ne fate? Per voi è arida e brulla” ribatte Avner. Le altre domande (chi ha incominciato per primo? Chi ha torto? Chi vincerà? Dove andremo a finire?) Per un'ora e mezza il film sembra parteggiare per gli israeliani. Poi cambia tutto. Cadono i cliché e diventa una presa di coscienza e un'invocazione disperata sicurezza e sempre maggiore sete di vendetta. Per avere informazioni e contatti spendono cifre incredibili, il tramite è un giovane francese che appartiene a una famiglia indipendente da qualsiasi governo e nazione. Scoprono così che il terrorista più pericoloso, uno dei mandanti del massacro di Monaco, è protetto anche dalla Cia, che lo paga perché abbia un occhio di riguardo nei confronti dei diplomatici anglosassoni. A un’ora e mezza dall’inizio Munich sembra parteggiare per gli israeliani, Avner e i suoi sono attentissimi a non fare vittime tra i civili, si pongono interrogativi morali tipo: chi stiamo davvero uccidendo? Sarà la 12 RdC Gennaio-Febbraio 2006 cadono nel vuoto, negli sguardi di reciproco sospetto. L’escalation di violenza non si ferma, a ogni bersaglio abbattuto, i palestinesi rispondono con attentati e stragi, le immagini sono difficili da dimenticare. Verso la fine Avner, la cui parabola di uomo pacifico diventato macchina da guerra rispecchia profondamente quella del suo popolo, chiede a Ephraim: “Ho commesso degli omicidi? Quelle persone sono state rimpiazzate da altre ancora più feroci. A che cosa è servito?”. Sullo sfondo delle Torri Gemelle ancora intatte, è la ragione di stato a rispondergli: “Li hai uccisi per la pace. Se loro vivono gli israeliani muoiono”. Eric Bana e Mathieu Kassovitz. Accanto con Ayelet Zurer QUEL SETTEMBRE NERO Nomi, date e avvenimenti del massacro di Monaco Durante le Olimpiadi di Monaco otto terroristi palestinesi fecero irruzione nei quartieri della squadra israeliana. Ferirono a morte l’allenatore di lotta libera Moshe Weinberg e uccisero il campione nazionale di sollevamento pesi Yossef Romano, svegliati dalle urla e dagli spari altri atleti riuscirono a scappare, ma durante il blitz gli attentatori presero comunque in ostaggio 9 componenti del team israeliano: i lottatori Mark Slavin ed Eliezer Halfin, i pesisti David Berger e Zeev Friedman, gli allenatori Kehat Shorr, Andre Spitzer ed Amitzur Shapira, l’istruttore di sollevamento pesi Jakov Springer e l’arbitro di lotta libera Jospeh Gutfreund. Per liberarli i terroristi richiesero la scarcerazione di 232 palestinesi detenuti in Israele e dei due leaders della Rote Armee Fraktion Andreas Baader ed Urike Meinhof. Il Premier israeliano Golda Meir rifiutò ed il Governo di Bonn prese tempo. Dopo ore di trattative terroristi ed ostaggi furono trasferiti all’esterno in pullman e quindi trasportati in elicottero all’aeroporto militare di Fürstenfeldbruck alle porte di Monaco, per lasciare la Germania su un Boeing. Invece le teste di cuoio tedesche intervennero. L’operazione andò male: i tedeschi credevano che i terroristi fossero cinque mentre erano otto. Alla fine del sequestro i morti erano diventati 18: tutti gli ostaggi, un poliziotto, un pilota e cinque degli attentatori. Tre palestinesi furono presi, ma per poco: il 29 ottobre vennero liberati in seguito al dirottamento del volo Lufthansa DamascoFrancoforte. Dopo un giorno di lutto, i giochi olimpici continuarono. Solo un ristretto numero di atleti lasciò le Olimpiadi. La frase pronunciata dal Presidente del Comitato Olimpico Internazionale Avery Brundage è rimasta tristemente celebre: “The games must go on”. Il gruppo di fuoco palestinese si chiamava “settembre nero”, sino ad allora aveva già agito solo in Medio Oriente. Prima di Spielberg, al massacro di Monaco sono state dedicate due ricostruzioni: un documentario televisivo statunitense 21 ore a Monaco del ‘76, e nel ‘99 una coproduzione anglo-elvetica Un giorno in settembre che guadagnò un Oscar e fu diffusa anche sui piccoli schermi tedeschi. Gennaio-Febbraio 2006 RdC 13 SCOMMETTIAMO CHE... MATURI PER 14 RdC Gennaio-Febbraio 2006 M anca poco più di un mese alla consegna degli Oscar. Titoli e nomi dei vincitori della 78a edizione si conosceranno il 5 marzo. Difficile che quest’anno un solo titolo riesca a convogliare su di sé un numero molto elevato di nomination, sebbene non manchino come sempre dei candidati forti. Ma vera novità di quest’edizione, oltre ad avere nuovamente posticipato la cerimonia di consegna delle statuette per lasciare spazio alle Olimpiadi, è il ritorno alla carica degli indipendenti e dei biopic. A ciò si aggiunge la scarsa presenza di star tra i favoriti alla conquista del premio e, per contro, i tanti volti emergenti a farla da padrone. King George L’OSCAR Clooney ottimo regista di Good Night, and Good Luck e al giro di boa come attore per Syriana. Seymour Hoffman finalmente protagonista in Capote e Judi Dench da applauso in Lady Henderson. Comunque vada, ecco chi ha già vinto DI ROSA ESPOSITO Non è un caso che i due film tra i quali si combatterà, con ogni probabilità, la battaglia per la conquista della statuetta siano Good Night, and Good Luck, opera seconda di George Clooney, e il vincitore del Leone d’Oro a Venezia I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee. Entrambi hanno fatto incetta di premi e nomination fra i tanti riconoscimenti che fanno da preludio agli Oscar, ma se per Lee si tratta di un ritorno dopo la candidatura conquistata nel 2000 per La tigre e il dragone, Clooney è in lizza non solo per una nomination (la prima della sua carriera) come regista, ma anche come attore non protagonista per Syriana, il thriller politico ispirato a una storia vera e diretto da Stephen Gaghan. Vite da Oscar Sono molti i film biografici che domineranno quest’edizione degli Academy Awards. Su tutti Capote, con Philip Seymour Hoffman nel ruolo del celebre scrittore, e Quando l’amore brucia l’anima, sulla vita del cantante country Johnny Cash con Joaquin Phoenix. Senza dimenticare che anche Gennaio-Febbraio 2006 RdC 15 SCOMMETTIAMO CHE... Lady Henderson presenta e, sotto, una scena di Syriana Match Point di Woody Allen. Il regista potrebbe tornare agli Oscar per la quattordicesima volta e vincere la sua terza statuetta dopo quelle conquistate per Io e Annie e Hannah e le sue sorelle. Sfida tra titani Good Luck, and Good Night racconta la storia del giornalista della CBS Edward R. Murrow, e poi Cinderella Man con Russell Crowe nel ruolo del pugile Jim Braddock. Tra gli indipendenti spiccano The Constant Gardener di Fernando Meirelles, l’outsider The Squid and the Whale diretto dall’esordiente Noah Baumbach e Crash, opera prima dello sceneggiatore di Million Dollar Baby Paul Haggis. Ma soprattutto Da parte nostra ci sentiamo di scommettere su due titoli e due nomi “snobbati” da parte della critica Usa e dalla serie di riconoscimenti che anticipano la consegna degli Academy Awards: Munich di Steven Spielberg (vedi servizio a pag. 10) e The New World di Terrence Malick. I due registi potrebbero tornare a scontrarsi di nuovo sul ring del Kodak Theater a sette anni dalla sfida (poi vinta da Spielberg) in cui a contrapporsi erano Salvate il soldato Ryan e La sottile linea rossa. Pocahontas alla riscossa Una quindicenne al suo esordio guida invece la pattuglia delle donne che Terrence Malick e Steven Spielberg si sfidano di nuovo sul ring del Kodak Theatre. Mentre Woody Allen ci torna addirittura per la quattordicesima volta 16 RdC Gennaio-Febbraio 2006 LA RIVELAZIONE Gwyneth Paltrow in Proof. Sotto Joaquin Phoenix in Quando l’amore brucia l’anima ambiscono all’Oscar per la migliore attrice protagonista: la sorprendente Q’Orianka Kilcher di The New World dovrà fare i conti con la navigata e magistrale Judi Dench di Lady Henderson presenta e con Felicity Huffman dell’indipendente Transamerica. Meno gettonate Charlize Theron per North Country, Reese Witherspoon per Quando l’amore brucia l’anima, Zhang Ziyi per Memorie di una geisha e Gwyneth Paltrow per Proof. Sul fronte maschile il superfavorito Heath Ledger (I segreti di Brokeback Mountain) dovrà vedersela con la rivelazione Philipp Seymour Hoffman, straordinario, nel primo ruolo da protagonista della sua carriera in Capote. A contendere loro il riconoscimento un solo divo, Russell Crowe, che tenta il colpaccio dopo la statuetta conquistata per A Beautiful Mind, Joaquin Phoenix per Quando l’amore brucia l’anima, David Strathairn per Good Night, and Good Luck e Jeff Daniels per The Squid and the Whale. Q'Orianka Kilcher. A destra con Colin Farrell in The New World 1607: la perdita del paradiso Pocahontas alla scoperta del Nuovo Mondo. Con la bellezza esordiente di Q’Orianka Kilcher “C’era movimento sopra l’acqua, c’erano uccelli che volavano probabilmente senz’altra ragione che la sola bellezza”. È l’incipit di Elegia del viaggio di Sokurov, ma è utile per accedere al poema visuale The New World, quarto film nella carriera trentennale di Terrence Malick. Bellezza, elegia e viaggio: questi i cardini della rilettura dell’amore che fu tra il soldato di ventura John Smith (un immoto Colin Farrell) e l’indiana Pocahontas. È proprio lei, sfrondata della melensa sovrastruttura disneyana, a rifulgere di bellezza, in fusione panica con la natura di una Virginia ancora vergine oggi. Corpo flessuoso e volto di cerbiatto, è l’esordiente quindicenne Q’Orianka Kilcher, sangue per metà quechua, a incarnare lo status edenico dei nativi, dove anche il vocabolario rifugge le brutture relazionali del mondo civilizzato. Con il meraviglioso testo a fronte della figlia del capo tribù Powhatan, il capitano Smith traduce la propria errabonda identità inglese nel tessuto sociale degli indiani. Ma è una trasposizione imperfetta. È la violenza a catalizzare l’intrusione dei bianchi nel territorio dei pellerossa, la cui nobiltà stride con il grado zero della civiltà nel fortino di Jamestown. D’altronde, sin dagli anni ’70 Malick era intenzionato a tracciare una sottile linea rossa sul mito interracial. Ma l’incomunicabilità tra i conquistatori inglesi, capeggiati dal capitano Newport (Christopher Plummer), e i nativi ha una sosta struggente nel contatto tra Pocahontas e Smith: parole e corpi, sfiorati e rincorsi, promessi e pronti a travalicare le opposte fazioni. Fino a che morte – presunta e poi reale – non li separi. Ragion di stato forse, quella addotta da Smith, per lasciare l’America. Amore di ripiego, quello di Pocahontas per l’aristocratico John Rolfe (un intenso Christian Bale). E giunta in Gran Bretagna quale principessa della Virginia, portata al cospetto dei reali, installata da gran dama in una dimora sfarzosa, Pocahontas conosce il medesimo destino del Barry Lindon kubrickiano: la sua estroversione, le “cattive maniere” vengono costrette in un bustino asfittico, il suo danzare nella natura selvaggia della Virginia viene castrato in un giardino all’inglese. Chiede di tornare a casa, ma la cacciata dall’Eden è senza ritorno. Paradiso perduto. Per sempre. FEDERICO PONTIGGIA Gennaio-Febbraio 2006 RdC 17 PERSONAGGI 100 volte Rossellini A un secolo dalla nascita, Isabella dedica al padre Roberto un cortometraggio. Un atto d’amore, un viaggio nella memoria, senza dimenticare la bellissima madre Ingrid DI CHIARA UGOLINI “ M io padre faceva tutto a letto: scriveva, montava i film. Stava sempre in pigiama con il pancione esposto e io spesso abbracciata a lui. L’abbraccio di mio padre così morbido, così tanto, così tenero, è un’immagine a cui sono legata, un’immagine buffa nella quale ho trovato la mia voce per raccontarlo”. Isabella Rossellini abbraccia un enorme pancione nudo. Quello di suo padre. Così l’attrice ha voluto ricordare Roberto Rossellini nel centenario della nascita in un cortometraggio, My Dad is 100 Years Old (Mio papà ha cento anni), visto in anteprima al Torino Film Festival. Se non fosse morto improvvisamente il 3 maggio del 1977, Roberto Rossellini compirebbe un secolo il prossimo 8 giugno. “Quando ero piccola papà mi diceva sempre: che peccato che non posso 18 RdC Gennaio-Febbraio 2006 allattarvi, che peccato che non sono rimasto incinto, quanto mi piacerebbe. Me lo diceva sempre – ricorda l’attrice -. Quando avevo 3 o 4 anni pensavo davvero che mio padre fosse incinto, per via di quella sua grande pancia e perché lo credevo onnipotente”. E per questo in tutto il cortometraggio, di Rossellini si vede solo la pancia, una pancia che parla, che si solleva, che ride. Una lettera d’amore di quindici minuti, un film interiore, nato nella testa di Isabella e diretto dal regista inglese Guy Maddin. Quanto di più lontano ci può essere dal documentario. Un viaggio onirico, che parte dal generoso pancione di suo padre per arrivare ad alcuni personaggi chiave della vita di Rossellini, tutti interpretati dalla stessa Isabella. Con i capelli impomatati e il sigaro è il produttore David O. Selznick, che aveva sotto contratto la Bergman; con gli inconfondibili baffetti e ali da angelo è Charlie Chaplin; con la sua inseparabile sciarpa e il cappello è l’amico Federico Fellini; di profilo è Alfred Hitchcock. Sempre lei, sempre Isabella, in una grande opera di trasformismo quando si tramuta in Ingrid Bergman provoca nello spettatore un turbamento, una profonda emozione. “Il film di una figlia innamorata di suo padre. Per anni ho cercato di spiegarlo ai miei terapisti americani che non capivano – ricorda -. Dicevano: “Ma certo questo è il classico Gennaio-Febbraio 2006 RdC 19 PERSONAGGI complesso di Elettra, lei è innamorata di suo padre”. Ma io gli rispondevo che se avessero avuto un padre come Roberto Rossellini, anche loro avrebbero avuto il complesso di Elettra”. D’altronde il nome di Elettra è un Leitmotiv di tutta la famiglia Rossellini. Elettra era la nonna paterna, Elettra è la ventenne figlia di Isabella, ma Elettra è anche lei. Isabella Fiorella Elettra Giovanna Rossellini, nata il 18 giugno del 1952, 34 minuti prima della sorella gemella Isotta. “La nostra è una famiglia allargata, dispersa per il mondo, ma sempre in contatto. Renzo, che è stato anche assistente di papà, vive tra Roma e Los Angeles; Roberto è un pittore e sta a Parigi e Montecarlo; mia sorella gemella Isotta insegna letteratura alla Columbia University e poi ci sono ancora i figli della moglie indiana di mio padre, Sonali: Raffaella, che vive nel Qatar e si è fatta musulmana e Gil, che è stato colpito da una malattia e che quando posso vado a trovare in Svizzera anche per portargli i salami che ama tanto. Poi ci sono i molti nipoti, tra cui i miei figli. Il maschio si chiama Roberto Rossellini, l’ho adottato, è nero con gli occhi blu e ho sempre pensato che a mio padre sarebbe piaciuto moltissimo ritornare in questa versione da Apollo, da dio della bellezza”. Traduttrice, corrispondente per la Rai da New York, modella, per breve tempo costumista, volto immagine per anni della Lancôme e poi infine soltanto attrice. “Mio padre mi avrebbe ammazzato se avesse saputo che facevo un provino, che volevo diventare attrice. Ci sono riuscita solo dopo la sua morte e in modo tormentato. Paolo e Vittorio Taviani mi chiesero di lavorare in un loro film (Il prato) ed io ero molto combattuta: da un lato mi legava a loro una profonda amicizia (mio padre li aveva premiati a Cannes una settimana prima di morire), e dall’altro sentivo ancora la sua disapprovazione. Chiesi consiglio a mia madre che mi disse: ‘Tuo padre amava i non attori, fai questo film da non attrice’”. Chi sono gli uomini di una donna innamorata di suo padre? Sono registi per lo più. Martin Scorsese, ma anche David Lynch. Un attore, Gary Oldman, un ballerino, Michail Baryshnikov, un modello, Jonathan Wiedemann. “Nella mia vita, dopo la morte di mio padre, ho imparato che i cineasti parlano sempre di cinema. Lo faceva Martin Scorsese e pure David Lynch e io mi preoccupavo, mi chiedevo: ‘Cos’è successo? Ci sono dei problemi sul set?’. Poi ho capito che i registi parlano sempre di cinema, papà no. Oggi avrebbe parlato della guerra in Iraq”. La voce di Isabella Rossellini è inconfondibile con la sua “r” alla “Da piccola il suo pancione me lo faceva sembrare onnipotente. Credevo davvero che fosse incinto” francese, ha un tono argentino e allo stesso tempo ammaliante. “Ho scelto di raccontare mio padre in modo ironico, con un’immagine buffa per evitare il confronto con i miei genitori, che sono riusciti talmente bene nel dramma. Ancora sessant’anni dopo, alla fine di Roma città aperta o di Paisà non ti alzi dalla sedia. Anche i film hollywoodiani di mia madre, pur melodrammatici, ti straziano ugualmente. Il primo piano di mamma in Casablanca è un’immagine che strappa le lacrime. Nel dramma io rimango senza forze, mentre con una battuta di spirito ritrovo l’energia. Ho scelto un tono comico perché è quello che mi dà la forza di dire la verità, forse”. Roberto Rossellini con i figli Renzo, Isotta e Isabella NEL MONDO PARIGI E NON SOLO Laboratori virtuali, retrospettive e concorsi per giovani cineasti: il regista di Paisà rivive dal MoMA alla Cinémathèque Roma, Parigi, Torino, New York e Maiori. Sono queste le città che si preparano a festeggiare il centenario della nascita di Roberto Rossellini. A partire dal 2006 la Fondazione Rossellini, diretta dal figlio Renzo e dal critico Adriano Aprà, dà il via a una serie di progetti: un laboratorio con Rossellini come tutor virtuale, una mostra, l’edizione critica integrale della sua opera letteraria, un museo virtuale dove il visitatore potrà perdersi tra i film e le complesse vicende biografiche del regista. Alla Cinémathèque di Parigi e al MoMA di New York si stanno 20 RdC Gennaio-Febbraio 2006 preparando due importanti retrospettive, ma anche nel piccolo comune di Maiori sulla costiera amalfitana, dove Rossellini girò alcuni film (Paisà, La macchina ammazzacattivi, Viaggio in Italia) si stanno facendo grandi preparativi. Il premio che porta il nome del regista, in questa speciale edizione è dedicato agli studenti di cinema; si invitano ad elaborare soggetti per cortometraggi ispirati agli insegnamenti rosselliniani, che verranno poi proiettati, insieme ai film del regista girati a Maiori e dintorni, nei comuni della costiera. L’INTERVISTA Dr. Bisio & Mr. Hyde Lo showman strizza l’occhio a Paolo Rossi e Salvatores. E all’alba del 2006 (un romanzo, Pantani, il teatro) si sdoppia ne Dr. Jekyll. Qui la metamorfosi è tutta interiore” DI DIEGO GIULIANI llegro, entusiasta, curioso come un bambino. Il primo a intuirlo è stato il figlio di sette anni. “Non ho ancora capito papà quanti lavori fa – aveva detto alla mamma durante le riprese del film -, ma vorrei che facesse sempre questo”. Lui è Claudio Bisio: showman televisivo e colonna di Zelig, cresciuto inseguendo i modelli di Dario Fo e degli affabulatori. Il suo grande amore è da allora il teatro. Il cinema, dice, resta però il suo amante: “Una presenza incostante, ma che proprio per questo lascia un senso di incompiutezza che mi spinge a riprovarci ogni volta”. Da ben sei anni lontano dagli schermi, Bisio lo fa adesso con La cura del gorilla: uno “spaghetti noir” in sala dal 3 febbraio, in cui interpreta addirittura un doppio ruolo. Il suo personaggio si chiama Sandrone, come l’amico Dazieri al cui romanzo è ispirato il film. Un’identificazione sconfinata in episodi esilaranti, come la gelosia dell’autore e cosceneggiatore, che in un primo momento si era ribellato a una defaillance a letto del protagonista con Stefania Rocca. Insieme a lei, e al A “Nel film non dormo mai e ho due anime opposte: una bonaria e gioviale, l'altra calcolatrice e fredda” 22 RdC Gennaio-Febbraio 2006 ballerino di Maria De Filippi Kledi Kadiu, Bisio ritrova sul set Gigio Alberti, Bebo Storti e Antonio Catania. Trascinante new entry, nell’opera prima del regista pubblicitario Carlo A. Sigon, è poi l’88enne Ernest Borgnine di Mucchio selvaggio, al suo primo ruolo in italiano. Nella storia è un vecchio americano, a cui il Gorilla fà da guardia del corpo, dopo aver abbandonato l’attività clandestina di investigatore privato. Tutto liscio, finché una donna non metterà in crisi le opposte anime che albergano in lui. Che cosa ti ha convinto de La cura del Gorilla? Fin da subito, a colpirmi è stato il La cura del gorilla: “Altro che personaggio. Un uomo che soffre di sdoppiamento della personalità, ma è lontano dal cliché manicheo del Dottor Jekyll e Mr. Hyde. La sua trasformazione è tutta interiore e invisibile agli altri. Giocare su queste sfumature impalpabili è quello che da attore mi ha appagato di più. Chi sono le due anime del Gorilla? Sandrone è uno di noi: bonario, ironico, con un passato di centri sociali e militanza politica. Il Socio è invece la sua componente razionale, fredda, calcolatrice. La più grande sfida è stata riportare sullo schermo questa doppiezza. Mentre nel romanzo comunicano attraverso dei bigliettini, nel film abbiamo introdotto dei veri e propri dialoghi. Siamo ricorsi a una serie di espedienti, come la macchina da presa che passa da una parte all’altra dello specchio, attraverso cui stanno parlando. A partire da questa scena, ho capito di aver “trovato” i personaggi e che sarebbe stato tutto in discesa. Perché “spaghetti noir”? La definizione è nata anche grazie Stefania Rocca è tra i protagonisti con Borgnine, Gigio Alberti e Antonio Catania alle musiche. A firmarle è stato Daniele Luppi, un italiano scoperto da Tarantino, che abbiamo scelto per dare alla storia un sapore vintage e anni ’70. Per le sonorità si è rifatto a b-movies, a capolavori come Un cittadino al di sopra di ogni sospetto, e si è addirittura avvalso degli stessi musicisti di Morricone. Emblematica è la scena finale, in cui tra sombreri e baffoni, Borgnine si esibisce in una performance dall’inequivocabile sapore spaghettiwestern. Come è stato lavorare con lui? Il copione lo voleva come un vecchio rimbambito e insopportabile. Il Gorilla è la sua ombra, il bodyguard che deve proteggerlo. Il problema è stato però il carattere travolgente di Borgnine: fin dal suo arrivo siamo rimasti tanto affascinati da questo vecchietto arzillo e vulcanico, che una volta sul set, non riuscivo a essergli insofferente come avrei dovuto. Gigio Alberti, Bebo Storti, Antonio Catania: sul set ritrovi tre amici di sempre. Puro divertimento o ricerca di protezione? Gli incontri nuovi mi stimolano, ma preferisco lavorare con persone con cui ho un’intesa rodata. Lo stesso Zelig è una chioccia da cui mi faccio coccolare da sempre. Ritrovare amici come loro è stato un vero e proprio “piacere fisico”. Quest’anno ricorre poi il ventennale di Comedians, lo spettacolo fatto anche con Salvatores, Silvio Orlando e Paolo Rossi. Potrebbe essere l’occasione per ricordarlo insieme, magari in televisione. E nel futuro? Un anno sabbatico che mi riprometto dal ’97. Vorrei recuperare tutto ciò che non ho fatto a 20 anni: girare il mondo da globe-trotter, leggere e soprattutto scrivere. Ho in cantiere un romanzo giallo ambientato nel passato. Prima però c’è la stagione di Zelig appena iniziata e il film su Pantani. Dimagrire 25 chili sarà il meno. Questa volta dovrò misurarmi con il vero dramma di un uomo e di un grande campione. Gennaio-Febbraio 2006 RdC 23 L'esibizione di un mangiatore di fuoco. Sotto una veduta del Cairo al tramonto IL RICHIAMO DEL 24 RdC Gennaio-Febbraio 2006 PRIMO PIANO NILO 48 paesi rappresentati nelle varie sezioni e Morgan Freeman ospite d’onore. Il festival del Cairo fa passi da gigante mentre lo spettro della guerra aleggia sui film e l’Italia latita. Come sottolinea il ministro della cultura Farouk Hosny DI MARINA SANNA FOTO PIETRO COCCIA Gennaio-Febbraio 2006 RdC 25 PRIMO PIANO L'Egitto attira migliaia di persone da tutto il mondo. Il turismo è una delle principali fonti di ricchezza econdo un recente sondaggio Il Cairo è all’ultimo posto per qualità della vita, surclassata persino da Città del Messico e Rio de Janeiro. I criteri si rifanno al contributo che le capitali hanno dato alla cultura e alla scienza, alle potenzialità economiche, al modo in cui sono state governate negli ultimi 30 anni e all’accoglienza riservata ai turisti. Eppure la megalopoli di grattacieli e sabbia, la città delle moschee (ne contiene quasi quattromila) conserva intatto il fascino millenario. Nonostante i recenti attentati e i controlli quasi ossessivi in entrata e in uscita dagli alberghi, l’Egitto continua ad attirare migliaia di S 26 RdC Gennaio-Febbraio 2006 persone dal mondo. Il turismo è una delle principali fonti di ricchezza, insieme con il riso e il petrolio. Oltre alla bellezza dei paesaggi, questa terra di contrasti, di lusso e di miseria, esprime grande senso di ospitalità nei confronti dello straniero, è un popolo, per usare le parole di Morgan Freeman, gentile e caloroso. Accolto con tutti gli onori dal presidente del festival del Cairo Cherif El Shoubashy, l’attore afroamericano è stato a lungo applaudito da centinaia di Morgan Freeman ospite d'onore del festival del Cairo. Accanto il presidente El Shoubashy persone, sebbene in questi anni la parola americano non vada per la maggiore. Dopo l’Iraq, chi sarà il prossimo? Si chiede il protagonista del film egiziano La notte in cui cadde Bagdad, di Mohamed Amin, in competizione al festival, e immagina di essere un cittadino iracheno umiliato in diretta televisiva dai soldati americani. Intanto la Gazzetta egiziana titola Is Bush the worst president of Usa? E sciorina uno per uno, numeri alla mano, i motivi per cui Bush jr. sarà ricordato come il peggiore della storia degli Stati Uniti. Record finora detenuto da James Buchanan, eletto nel 1856, che portò il paese alla guerra civile. Per il presidente c’è l’imbarazzo della scelta: si spazia dal disastro iracheno al collasso economico, dovuto alla combinazione di riduzione delle tasse alle fasce più ricche della popolazione e all’aumento della spesa nel settore militare, per finire al fallimento della politica interna (vedi New Orleans). FILM DAL MONDO 48 paesi rappresentati nelle varie sezioni. Cherif El Shoubashy si sfrega le mani, ben consapevole che il festival ha fatto un salto in avanti. Un’edizione tra le più interessanti – ci dice - per temi, varietà linguistiche e culturali. Anche per la forte presenza della Cina, a cui è stato reso omaggio, una novità rispetto al passato, che ha solleticato il palato di gran parte degli invitati, tradizionalmente abituati a vedere prodotti americani ed europei. I cinesi sono arrivati in tanti, a incominciare dal Ministro della cultura per finire al presidente della giuria He Ping. Dietro la splendida location, il Gran Hyatt che si affaccia sul Nilo, i ricevimenti lussuosi e gli spettacoli spensierati, il disagio collettivo e la tensione politica internazionale si fanno sentire anche al festival. Se El Shoubashy ricorda il regista siriano Moustapha Akkad, vittima recente del terrorismo, lo spettro della guerra aleggia su gran parte dei film in competizione e non. I più premiati sono “stranieri”: il finlandese Mother of Mine, ambientato durante la seconda guerra mondiale, e l’albanese Magic Eye, che fotografa il dramma del conflitto civile in Albania, alla fine degli anni Novanta. Quasi da ogni parte del mondo si leva una voce, a I film in concorso La notte in cui cadde Bagdad e Mother of Mine Gennaio-Febbraio 2006 RdC 27 volte flebile a volte disperata, sull’assurdità di tutte le guerre. L’ITALIA CHE NON C’E’ Parola di ministro. Se l’anno scorso il presidente El Shoubashy si rammaricava della scarsa presenza italiana, Farouk Hosny, portavoce colto e sofisticato della cultura egiziana da circa vent’anni (e pittore piuttosto conosciuto anche in Occidente) rincara la dose: “Siamo alla 29ma edizione di una manifestazione, l’unica in questa parte del mondo, ad appartenere alla Federazione dei grandi Festival del Cinema, come Venezia e Cannes, per intenderci. Il pubblico egiziano conosce il cinema italiano attraverso la televisione, lo ama, ma ha poche opportunità di vedere i film nelle sale. Il Festival sarebbe un’ottima opportunità, anche perché in questa sede non si prevede censura. Al contrario, mi risulta che sia sempre più complicato ottenere una buona selezione di opere italiane attraverso i canali ufficiali. I produttori francesi, inglesi, indiani, degli altri paesi africani ed europei, anche gli americani, chiedono e sono entusiasti di 28 RdC Gennaio-Febbraio 2006 Lucrezia Lante Della Rovere e il regista Giampaolo Tescari. Accanto El Shoubashy con l'ambasciatore italiano Badini partecipare, gli italiani sono assenti. Vorrei capire il motivo di questo disinteresse”. Difficile smentire il ministro, a rappresentare l’Italia quest’anno c’erano Pasquale Pozzessere con La porta delle sette stelle, e Giampaolo Tescari con Lucrezia Lante Della Rovere per Gli occhi dell’altro, già presentato in anteprima al festival di Taormina. Qua e là facevano capolino anche Private, senza delegazione, Miracolo a Palermo, Pontormo, Prima dammi un bacio, La spettatrice e Ovunque sei. Di certo, una fetta non rappresentativa della produzione recente nostrana. “Il cinema – prosegue Hosny - non è soltanto un prodotto industriale che può diventare opera d’arte, è anche, se non soprattutto, uno straordinario mezzo di comunicazione, uno strumento di promozione culturale che offre uno spaccato sulla società, sul modo di vivere, sulla psicologia di gente diversa ed eterogenea e permette, quindi, la presa di coscienza di altre realtà. E’ per questo che organizziamo manifestazioni nei vari settori, dal teatro sperimentale al cinema alle arti in generale. Per avvicinare i popoli”. LO STATO DELLE COSE L’Egitto ha una cinematografia sviluppata, che cerca a livello PRIMO PIANO Il Ministro della Cultura Hosny: “Credo nei giovani e spingo affinché entrino nel circuito internazionale” locale di contrastare l’invasione americana. Da qualche tempo però la cugina Siria sta guadagnando terreno soprattutto nella produzione televisiva, e il paese potrebbe trovarsi presto orfano del suo guru Youssef Chahine, il cui stato di salute peggiora progressivamente. Ma Hosny è ottimista: “In passato l’Egitto è stato un pioniere: l’egiziano è diventata lingua universale nei paesi arabi, e il nostro cinema ha invaso il Medio Oriente ed è stato esportato dappertutto. Il critico Sherif Awad ha detto giustamente che l’attore egiziano rappresenta per gli arabi quello che la star hollywoodiana rappresenta per il mondo intero. Abbiamo Omar Sharif, un attore di fama internazionale, una star, ma anche un intero firmamento di stelle amate in tutti i paesi arabi e registi interessanti, soprattutto tra i giovani, alcuni dei quali si sono perfezionati all’estero, in Italia per esempio. Il solo nome, però, che ricorre nei paesi occidentali è Youssef Chahine”. E per il futuro signor Ministro? “Ho molta fiducia nelle nuove leve, e mi adopererò perché possano entrare in un circuito internazionale”. VOCI FUORI DAL CORO Dietro le quinte ci imbattiamo in Omar Helal, di passaggio al festival del Cairo. E’ qui nella speranza di stringere la mano a Morgan Freeman: “E’ un attore straordinario. Magari avessi la possibilità di conoscerlo”. Omar ha 30 anni e sta lavorando al suo primo film. Ha una laurea in scienza della Comunicazione ma a 18 anni ha incominciato a lavorare come fotografo e ha imparato il mestiere. Ha lavorato all’estero, poi è tornato a casa, al Cairo. “Chi pensa di avere talento deve tornare in patria, solo così possiamo risollevarci da questa situazione di stallo”. La televisione, soprattutto quella satellitare, li ha messi in ginocchio. Fino ai primi anni novanta l’arte era “monopolio” egiziano. Poi è accaduto un fatto curioso: Il gladiatore di Ridley Scott ha cambiato il mondo arabo e il modo di fare cinema: tutti hanno cercato di emularlo. I migliori film per la tv sono diventati di matrice siriana, è incominciata la grande corsa tra l’Egitto e la Siria, ma nelle sale sono arrivati prodotti di scarsa qualità. “E’ vero, abbiamo Chahine. Ma lui crede di essere Fellini e la maggior parte della gente non capisce i suoi film. I corti non esistono e quanto alle uscite in homevideo la situazione è pessima. Sei mesi fa ha aperto il megastore Virgin (n.d.r. prima praticamente non c’era nulla) l’offerta però è limitata a circa 200 titoli americani”. Dopo molti regie per la pubblicità, Omar è in procinto di fare il grande salto: “Il mio film è ambientato in un futuro che non ha fatto progressi. La storia si svolge in un tunnel della metropolitana, la linea che va all’aeroporto. C’è un ultimo treno alle tre di mattina, due vagoni si scontrano e tredici persone rimangono intrappolate sottoterra. Mentre il resto del mondo è ignaro dell’incidente, loro discutono se muoversi per chiedere aiuto o rimanere fermi. E’ una metafora della situazione attuale in Egitto, e una grande scommessa. Non siamo a Londra, qui i registi giovani si contano sulle dita”. Il regista Omar Helal. Sopra il Ministro Farouk Hosny Gennaio-Febbraio 2006 RdC 29 NEL 1972 IL MONDO È STATO TESTIMONE DELL’ASSASSINIO DI 11 ATLETI ISRAELIANI ALLE OLIMPIADI DI MONACO. QUESTA È LA STORIA DI QUANTO ACCADDE DOPO. DA L 2 7 G E N N A I O A L C I N E M A Gli speciali rC d Le Olimpiadi dalla A alla Z. Maratona di titoli, discipline e curiosità, in occasione di Torino 2006 MOMENTI DIGLORIA Gennaio-Febbraio 2006 RdC 31 MOMENTI DI GLORIA OLIMPIADI DA BERLINO ’36, TOKYO ’64, MONACO ’72: TRE TAPPE FONDAMENTALI NELLA STORIA DEI GIOCHI (AL CINEMA). FIRMATE RIEFENSTAHL, ICHIKAWA, LELOUCH, SPIELBERG… DI ROBERTO NEPOTI 32 RdC Gennaio-Febbraio 2006 LE DATE FONDAMENTALI, per FILM le Olimpiadi al cinema, sono tre. Andando a ritroso, il 1972, che ora Munich di Steven Spielberg, film bello e terribile, riporta all’attualità. E’ noto che Spielberg mostra solo il dietro le quinte dei Giochi di quell’annus horribilis - il sequestro di undici atleti israeliani da parte di un commando palestinese di Settembre Nero – per narrare, poi, le conseguenze del funesto episodio e la guerra segreta che ne derivò. I riferimenti all’intrusione sanguinosa della politica, invece, erano rimasti a margine di un altro lungometraggio dedicato alla stessa Olimpiade di Monaco, Visions of Eight (1973), diretto, come da titolo, da otto registi di fama dell’epoca: Arthur Penn, Claude Lelouch, Milos Forman, Mai Zetterling, John Schlesinger, Gennaio-Febbraio 2006 RdC 33 MOMENTI DI GLORIA Jiuri Ozerov, Michael Pfleghar e Kon Ichikawa. La produzione (americana) permise a tutti di esprimere punti di vista molto personali sui Giochi: vedi Schlesinger, che tratta la maratona con effetti allucinatori; Penn, che risolve totalmente il suo episodio in immagini slow-motion e assenza di suoni; Lelouch, il quale si piega a osservare gli sconfitti, gli umiliati e offesi della grande competizione. Quanto al maestro Kon Ichikawa, che nella gara dei 100 metri cercava di riassumere emblematicamente l’immagine della moderna competitività, per realizzare il suo ottavo film occorsero 34 macchine da presa e 20mila metri di pellicola. Poca roba, del resto, a paragone di quello che il regista giapponese aveva fatto con Le Olimpiadi di Tokyo (Tokyo Orimpikku), in occasione dei Giochi del 1964: 120mila metri di pellicola impressionata che, proiettati integralmente, avrebbero dato luogo a un film di settanta ore. La vicenda è parecchio bizzarra. Basti pensare che Ichikawa non amava lo sport, non ne aveva mai praticato alcuno né se n’era interessato. Tuttavia, quando il comitato olimpico giapponese lo incaricò di realizzare un film sull’evento, vi si concentrò con grande passione, valendosi di 142 cineprese manovrate da cinque direttori della fotografia e cento operatori (famosi 34 RdC Gennaio-Febbraio 2006 LE MILLE LUCI DI ATENE Musiche e scenografie pensando a Cécile B. De Mille: la cerimonia di apertura del 2004 farà scuola? Diecimila mani l’hanno portata ad Atene attraversando i cinque continenti: la torcia olimpica. Ed ora immacolati tedofori volano davvero nello stadio ateniese verso l’enorme braciere. Poco prima, la cerimonia d’apertura delle XXVIII Olimpiadi, il 13 agosto 2004, ci aveva regalato momenti spettacolari, grazie alla tecnica cinematografica. Mai come questa volta, infatti, una cerimonia d’apertura olimpica aveva utilizzato tanti effetti speciali, supporti digitalizzati e testi rappresentati quali vere sequenze cinematografiche. Vogliamo ricordare tre usi esemplari di cinema. Il primo: la bianca costruzione che fluttua sul mare, simbolo dell’Egeo, cui lo stadio si è trasformato nel suo mezzo, e che si scompone in frammenti sui quali vengono proiettate immagini dell’umanità come inno all’universalità e alla interculturalità olimpica. Il secondo: per significare l’inizio della vita, quella vita che attesta la pari dignità dell’uomo, pur nelle differenze di razze, culture e popoli, emerge dall’acqua una rappresentazione oleografica della sequenza di DNA, che si costruisce al ritmo delle musiche di Vangelis, attraverso proiettori tridimensionali che ci faranno vivere il cinema in modo nuovo. Infine, il terzo: per raccontare la storia di Grecia e le sue tradizioni, tableaux vivants si susseguono per lo stadio, evocati da un Mercurio volante, come un’ininterrotta scena di sublime bellezza. Cécile B. De Mille ne sarebbe rimasto estasiato. L.P. Le Olimpiadi a colori e in bianconero: Atene 2004 e il teodoforo Lacedelli a Cortina '56 gli episodi dei cento metri, con la vittoria di Bob Hayes, e della maratona, col trionfo di Abebe Bikila). Benché i suoi committenti pensassero a una pellicola capace di emulare quella girata nel 1936 da Leni Riefenstahl, il regista nipponico fece un film celebrativo ma insieme eccentrico, “sporcato” da inquadrature impossibili, ralenti, controluce, sfocature. Dunque, il 1964 rappresenta la seconda data pietra-miliare della nostra filmografia, mentre la terza è proprio il 1936, anno in cui la Riefenstahl realizzò un capolavoro del cinema di propaganda (e del cinema tout-court) con i due episodi di Olympia. Una storia delle Olimpiadi dall’antichità al presente, culminante nei Giochi olimpici che si svolsero a Berlino in quell’anno e concepita a gloria imperitura del Führer e a consacrazione della superiorità della razza germanica. Anche se, poi, il nero americano Jessie Owens dominò in quattro diverse specialità dell’atletica e Hitler dovette premiarlo sotto l’occhio della cinepresa di Leni. Per il suo film, la regista tedesca ebbe a disposizione mezzi faraonici: una folla di operatori e cineprese, montate su palloni o immerse, in cabine stagne, nelle piscine; oltre a CORTINA IERI E OGGI Una settimana di eventi per ricordare le prime Olimpiadi Invernali italiane FOTO: ROMA Faraonici i mezzi utilizzati già nel 1936 per Olympia 500mila metri di pellicola, pari a 300 ore di proiezione (ne furono selezionate poco meno di quattro ore). Va detto, per la cronaca, che i Giochi non hanno dato luogo soltanto a grandi macchine spettacolari come quelle citate fin qui. A margine, si può annotare qualche bizzarrìa divertente. Come Le olimpiadi dei mariti (1960), dove i giornalisti Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello abbordano due turiste straniere, a Roma per le Olimpiadi; o come Le Olimpiadi della jungla (Animalympics, 1978), cartoon in cui, a disputare le gare nelle varie specialità, sono leoni, elefanti, paperi. Cortina, 1956: tutto iniziò qui. Cinquant’anni dopo, la località sciistica trentina ricorda le prime Olimpiadi Invernali italiane con una settimana di eventi a tema. Momento clou il passaggio della fiaccola, il programma prevede una non-stop di documentari e cinegiornali d’epoca dell’Istitituto Luce, fino al 29 gennaio. Le commemorazioni comprendono anche una rassegna di film a tema sportivo, una parata di 15 auto degli anni ’50 e la premiazione di alcuni storici protagonisti degli sport invernali. MARATONE AL MUSEO Venti grandi classici e il duplice restauro del primo Cabiria. Così Torino omaggia anche le altre Olimpiadi. Quelle della cultura Sport e non solo. Parallelamente alle Olimpiadi Invernali la città di Torino organizza anche una lunga maratona di mostre e retrospettive. Fulcro del cartellone sono gli appuntamenti delle Olimpiadi della Cultura. Completamente rinnovato, il Museo Nazionale ripercorrerà i fasti del cinema italiano dal dopoguerra agli anni ’80 con venti classici restaurati. Titoli come La dolce vita, L’avventura di Antonioni e Riso amaro di De Santis accompagneranno in cartellone il duplice restauro di Cabiria. Smarrito nel suo originale, il film girato da Pastrone nel ’14 sarà riproposto sia in una ricostruzione effettuata sulla base dei documenti a disposizione, sia nella successiva versione del ’31, musicata con le nuove partiture dei maestri Avitabile e Ribas. Le due proiezioni, che tra il 20 e il 21 marzo concludono le Olimpiadi della Cultura, affiancano l’omaggio al cinema muto torinese. A ricordarne fasti e scenografie sarà infatti anche la mostra fotografica “Immagini del silenzio”, allestita a partire dall’8 febbraio sulla rampa e sulla cancellata della Mole Antonelliana. D.G. Gennaio-Febbraio 2006 RdC 35 MOMENTI DI GLORIA A C O M E Atletica leggera NAZISMO, GUERRA, DRAMMI ESISTENZIALI. LA STOFFA DEI CAMPIONI NELLE RILETTURE DI SCHLESINGER, STERN E PETER WEIR LA DISCIPLINA PRINCIPE delle Dall’alto Un ragazzo di Calabria, Momenti di gloria e Forrest Gump 36 RdC Gennaio-Febbraio 2006 Olimpiadi, l’atletica leggera, si installa sul grande schermo da protagonista o più frequentemente quale tratto pertinente di un personaggio. E’ il caso di Thomas Babe Levy, il maratoneta interpretato da Dustin Hoffman nel thriller omonimo di John Schlesinger. Ebreo, studente universitario di storia, Levy si allena alla corsa di fondo a Central Park cercando di avvicinare il suo modello, l’etiope Abebe Bikila. La sua vis agonistica diviene vendetta ebraica nei confronti di un criminale di guerra nazista. A tutto fuoco la maratona è ripresa invece in Running – Il vincitore di Steven H. Stern, con Michael Douglas capace di superare una crisi esistenziale e di fare terra bruciata ai Giochi Olimpici di Montréal del 1976. Ma in vista del traguardo cade, si frattura una costola e conclude ultimo la gara tra le ovazioni del pubblico. Da un a-solo al passo doppio, quello di due atleti britannici a caccia di Momenti di gloria a Parigi ’24: allenamento, cameratismo e religione. Emozionanti pagine di atletica contrappuntano Gli anni spezzati di Peter Weir, con Mel Gibson e altri volontari del Nuovissimo Mondo impegnati nel sanguinoso assedio del porto turco di Gallipoli verso la fine del 1915. Ancor più strettamente biografica l’ispirazione di Luigi Comencini per Un ragazzo di Calabria, ovvero Francesco Panetta. Nel film, il tredicenne Mimì corre, corre, corre, sebbene il padre vorrebbe proseguisse gli studi. La stoffa del campione metterà una F.P. pezza in famiglia. AL CINEMA PIACE il baseball. Lo sport nazionale degli States batte tutte le altre discipline con un numero di pellicole che sfiora le trecento. Sceneggiatori, registi e major si rendono conto che con il baseball ci si può rivolgere a un pubblico molto vasto. E soprattutto si può parlare di tutto. Dai grandi sentimenti alla corruzione. Cosa meglio di una squadra dove regna la competizione e allo stesso B C O M E Baseball PIÙ DI 300 TITOLI, CHE CON SAM WOOD, DE NIRO E SINATRA, PARLANO DEL SOGNO AMERICANO (INFRANTO) Gennaio-Febbraio 2006 RdC 37 MOMENTI DI GLORIA Il baseball a due facce: L'idolo delle folle e, accanto, Fratelli per la pelle dei Farrelly tempo lo spirito di gruppo, dove tra i molti può emergere uno solo, dove si può sconfiggere l’avversario ma anche un passato di povertà e solitudine? Cosa meglio di una squadra può mettere in luce pregi e difetti di una società? Musical e corruzione in Facciamo il tifo insieme di Busby Berkeley con Frank Sinatra, Gene Kelly ed Ester B COME BIOGRAFIE Dai pugni di Cenerentola al riscatto Sioux: storie vere da film DI CRISTINA SCOGNAMILLO Ascesa e declino. Vite private di grandi personaggi dello sport. Sono questi i motivi che portano gli autori di cinema a occuparsi dei campioni. Non sono il baseball, la boxe, il calcio o quant’altro. Sono le storie, spesso disperate, di questi eroi e antieroi moderni che interessano il grande schermo. Vizi privati e pubbliche virtù offrono il destro per raccontare solitudine, disperazione, trionfi e amori di campioni che hanno fatto grande uno sport e che da questi sono stati travolti e intrappolati. Il Jake La Motta di Scorsese/De Niro è in questo senso emblematico. La sua violenza sul ring in Toro scatenato viene sottolineata anche nel quotidiano. Ma quello a cui tiene Scorsese è “mostrare come un pugile impara a dominare l’odio e la violenza, come tenta di diventare umano al di fuori del ring, come tutto congiura per impedirgli di fermarsi”. E’ la redenzione dell’uomo, che il regista sottolinea con la citazione di un versetto del Vangelo di Giovanni. Ventidue anni dopo Michael Mann si occuperà di un altro campione del 38 RdC Gennaio-Febbraio 2006 pugilato con Alì, storia del leggendario Cassius Clay, dai suoi successi, all’impegno civile alla conversione all’islamismo e al suo nuovo nome, Muhammad Alì. Ma la vita del grande campione era stata già raccontata nel documentario premio Oscar, Quando eravamo re di Leon Gast. Anche nel recente Cinderella Man di Ron Howard si racconta la storia di disperazione di un altro pugile. Jim Braddock che, dopo essersi ritirato dalla boxe non riuscendo a trovare lavoro e non sapendo come mantenere la famiglia, decide di tornare sul ring. Il baratro. C’è chi si avvicina, chi cade ma poi risale e chi inesorabilmente ci si butta. Maradona e Marco Pantani. Due grandi campioni. Una vita spezzata e ricostruita, un’altra per sempre perduta. Del primo si stanno occupando Marco Risi (La mano di Dio) e Emir Kusturica (Maradona el pibe de oro). Mentre per Pantani i progetti sono di Claudio Bonivento (Il Pirata) e della Colorado Film (Un uomo in fuga con Claudio Bisio). Ancora baratro, droga e solitudine in Ritorno dal nulla Williams. Il tema del grande giro d’affari che gravita intorno al gioco torna spesso. La proprietaria dei Cleveland Indians vuole arrivare ultima al campionato per rescindere il contratto in Major League – La squadra più scassata della lega di David S. Ward. The Fan – Il mito di Tony Scott, un action-thriller con Robert De Niro indaga sul business e condanna il divismo sportivo. Scandalo e sfruttamento con l’affare “Black Sox” in Otto uomini fuori di John Sayles con John Cusack e Charlie Sheen. Gli otto giocatori dei Chicago White Sox sono riconoscibili anche in uno dei più bei film sul baseball, L’uomo dei sogni di Phil Alden Robinson con Kevin Costner e Ray Liotta. Eroi sfortunati e ostinati. Batte il tamburo lentamente di John Hancock in cui Robert De Niro è un campione condannato da un male incurabile. Carriera stroncata a vent’anni per un incidente anche per Robert Redford ne Il migliore di Barry Levinson. E Dennis Quaid presta il volto a un altro campione mancato in Un sogno, una vittoria di John Lee Hancock. Anche i piccoli giocatori trovano posto sul grande schermo. Un modo per indagare sulle diverse condizioni di vita dei ragazzi. Baby league di Burt Reynolds, Angeli di William Dear, Che botte se incontri gli orsi di Michael Ritchie con Walter Matthau, manager per salvare una squadra di ragazzi poveri. Che rivive nel remake The Bad News Bear della Disney con Billy Bob Thornton. Kevin Costner, Tim Robbins, Susan Sarandon con Bulldurham – Un gioco a tre mani di Ron Shelton mettono al centro del baseball conquiste amorose. Amore e passione anche nel film di Sam Raimi Gioco d’amore che vede ancora protagonista Kevin Costner. Il riscatto in Hardball di Brian Robbins e in Summer of Sam di Spike Lee. Un capitolo a parte meritano le biografie dei C.S. grandi campioni. Fra i temi ricorrenti quelli della corruzione e delle scommesse di Scott Kalvert, sull’irrequieto campione di basket Jim Carroll. Destini crudeli di campioni che dopo un trascorso di vittorie e successi finiscono la vita tra malattia e solitudine, dimenticati dai milioni di fan che per lungo tempo li hanno seguiti. E’ il caso di George Herman Ruth, detto “Babe”, in L’ultima sfida di Roy Del Ruth. Poi ci sono i campioni sfortunati, quelli che all’apice del successo vengono colpiti da malattie mortali o da gravi incidenti. La prematura morte del mezzofondista americano Steve Prefontaine in No Limits di Robert Towne. O ancora la biografia romanzata del campione di baseball Lou Gehrig, morto a 37 anni, per distrofia muscolare in L’idolo delle folle diretto da Sam Wood. Con un remake, A Love Affaire: The Eleanor and Lou Gehrig Story di Fielder Cook. Ed è sempre Sam Wood che con Il ritorno del campione si occupa di un altro grande del baseball, Monty Stratton, di nuovo sul campo da gioco dopo un grave incidente che gli fece perdere una gamba. Ai campioni di baseball sono stati dedicati numerosi film: a Jim Piersall, Prigioniero della paura di Robert Mulligan; a Joe Clark, Conta su di me di John G. Avildsen; a Ty Cobb, Cobb di Ron Shelton. A Olimpiadi e pellerossa sono poi dedicati Running Brave di D.S. Everett, vera storia del Sioux Billy Mills che abbandonò la riserva per dedicarsi al fondo, e Pelle di rame di Michael Curtiz, vita e gioco di Jim Thorpe. A occuparsi di calcio e dei suoi personaggi è la Gran Bretagna in testa. Mary McGuckian mette in scena in Best l’asso del dribbling George Best e mentre John Hay in Jimmy Grimble racconta la storia di un ragazzino isolato dal mondo e dalla famiglia, che diventa una star del calcio. La storia vera dell’austriaco Heinrich Harrer, campione di sci in Sette anni in Tibet di Jean-Jacques Annaud chiude il cerchio dei nostri campioni. E proprio come Jake La Motta, anche quella di Harre è una storia di redenzione. Gennaio-Febbraio 2006 RdC 39 MOMENTI DI GLORIA 40 RdC Gennaio-Febbraio 2006 C C O M E Calcio ALLE OLIMPIADI la presenza del calcio ha sempre suscitato polemiche, da un lato per lo scarso interesse che la manifestazione riveste per la carriera di un giocatore, dall’altra per la mancanza nel calcio, sport per antonomasia milionario, dei valori racchiusi nei Giochi. Di qui anche la mancanza di film volti ad approfondire il rapporto fra calcio e Olimpiadi, mentre ben altra attenzione godono le cronache domenicali. Il calcio pone la macchina da presa di fronte a precisi limiti narrativi: la partita, evento irripetibile, “rigorosamente in diretta”, legata all’emozione e all’incertezza del punteggio, mal si presta alle visioni plurime, in tempi e luoghi diversi, della sala cinematografica. Più del rito della partita, il cinema è quindi attratto dai risvolti umani e sociali, dall’intrecciarsi di sentimenti e passioni che essa genera. È significativo che il più bel film sulla passione calcistica, Il viaggiatore di Abbas Kiarostami, sia interamente costruito sul desiderio di un bambino di assistere a una partita di calcio a Teheran e sugli espedienti per rimediare i soldi del biglietto. Giunto allo stadio dopo un lungo viaggio, il bambino si addormenta su un prato. Una visione negata, che però preserva interamente la FUGA PER LA VITTORIA, KIAROSTAMI E GLI ALTRI: NEL MONDO INTORNO AL PALLONE UNA LEZIONE DI STORIA SUL ‘900 DI LUCA PALLANCH Gennaio-Febbraio 2006 RdC 41 MOMENTI DI GLORIA magia di un sogno. Questo sì reiterabile all’infinito. Non stupisce quindi che il più delle volte la macchina da presa si ritrae per descrivere quanto accade al di fuori del campo di calcio: sugli spalti, negli spogliatoi, nei bar, per strada. Ciò che ruota attorno al calcio, spesso visto come metafora di fenomeni sociali più complessi. Il tifo per esempio, punto di sfogo di tensioni latenti nella vita quotidiana e spunto per analisi sulla violenza nella società contemporanea (Ultrà di Ricky Tognazzi, Appuntamento a Liverpool di Marco Tullio Giordana, sulla tragedia dello stadio Heysel). E, nelle sue versioni più genuine, come momento di aggregazione (Due sulla strada di Stephen Frears e Febbre a 90° di David Evans, tratto dal bestseller di Nick Hornby), oppure come surrogato di una famiglia che non c’è (Jimmy Grimble di John Hay). Il football offre l’occasione per rievocazioni nostalgiche, come in ItaliaGermania 4-3 di Andrea Barzini: il celebre gol di Rivera come immagine simbolo di una generazione, al pari del gol nella finale di Coppa dei Campioni Manchester United-Benfica del ’68 di George Best, recentemente scomparso, a cui rende omaggio l’omonimo film Italia-Germania 4-3: il gol di Rivera come simbolo di un'epoca Colin Firth malato di calcio in Febbre a 90°. L'ispirazione è il romanzo di Nick Hornby di Mary McGuckian, o alla storica vittoria della Roma al campo Testaccio contro la Juventus nel ’31, raccontata da Mario Bonnard in Cinque a zero. Il calcio con i suoi eroi e le sue leggende si propone quale coordinata per tracciare la Storia del Novecento: una Storia fortemente popolare, che scorre di pari passo con il ricordo delle figurine Panini e le immagini di archivio che tanto successo riscuotono in TV. Di tali immagini, per la verità, il cinema ha fatto un uso parsimonioso, forse perché a 42 RdC Gennaio-Febbraio 2006 differenza di altre discipline è mancata una visione d’insieme del calcio e in particolare una visione storica, paragonabile, per esempio, al rilievo attribuito al baseball nella cultura americana. Se non nell’hollywoodiano Fuga per la vittoria di John Huston, sulla fuga di un gruppo di prigionieri, guidati da Pelè, resa possibile da una partita di calcio contro i nazisti, o nel più profondo Cup Final di Eran Riklis, sul conflitto fra israeliani e palestinesi, in cui il primo momento di integrazione e Emancipazione e lotta al pregiudizio in Sognando Beckham di Gurinder Chadha fraternità è rappresentato dalla visione collettiva di ItaliaGermania, finale del campionato del mondo 1982. Vi sono stati semmai tentativi di mettere in discussione l’immagine che l’industria del calcio punta a diffondere. È il caso di Ultimo minuto di Pupi Avati, uno dei pochi film sul calcio che rifiuta ogni mitizzazione e penetra negli spogliatoi mostrandone i lati oscuri: il cinismo, l’ipocrisia, la spregiudicatezza, la perdita di valori di un universo rinchiuso in se stesso. Visto con gli occhi di un ragazzo che si affaccia nella prima squadra. Al quale possiamo associare, nell’ingenuità che ancora lo contraddistingue, il calciatore protagonista de L’uomo in più di Paolo Sorrentino, che dopo un’onorata carriera aspira a diventare allenatore. Salvo scontrarsi con un mondo che tende a emarginarlo, perché non ha più un valore economico. A trent’anni o giù di lì, un età nella quale si è già pensionati e si è costretti a vivere una vita per la quale non si è attrezzati: La solitudine dell’ala destra – per citare una raccolta di poesie sul calcio di Fernando Acitelli – che finisce col connotare un’intera esistenza. Solitudine che il cinema ha ben descritto ne La paura del portiere prima del calcio di rigore diretto da Wim Wenders da un romanzo di Peter Handke, fredda ricostruzione del vuoto che attraversa l’esistenza dell’estremo difensore, e in Un uomo in vendita diretto e interpretato da Richard Harris, la storia di un campione sul viale del tramonto che delude le speranze di riscatto di un suo giovanissimo tifoso sbagliando un calcio di rigore (una vicenda analoga era già stata narrata da Mario Camerini ne Gli eroi della domenica). Film che spezzano l’idolatria dei tifosi e cercano di svelare il volto di uomini nascosti dietro una maglia. C COME CICLISMO Animate e in bianconero: le sfide di Totò e Appuntamento a Belleville Bianconero d’annata, animazione colta, patinato melodramma hollywoodiano. Fuori dal coro delle più tradizionali riletture ciclistiche, spicca il poetico Appuntamento a Belleville presentato a Cannes nel 2001. Fra vecchiette mangiaranocchie e dichiarati omaggi a Keaton e Tati, l’animazione muta di Chomet ricorre al sogno infantile di partecipare al Tour de France, per mettere in scena un surreale e poetico j’accuse all’ossessione della tecnica. La bicicletta come improbabile mezzo di seduzione è poi la chiave di Totò al Giro d’Italia. Accanto a lui veri campioni come Coppi e Bartali, nel film di Mattoli del ’49 s’improvvisa addirittura ciclista, per conquistare la sua bella. A scatenare gag ed esilaranti confronti, il patto col Diavolo con cui si è garantito il successo: rendergli l’anima un’ora dopo il trionfo. Decisamente più conforme alla prosopopea hollywoodiana è Il vincitore con Kevin Costner. Storia di due fratelli ciclisti, che la malattia separa a pochi metri dall’agognato traguardo. D.G. Gennaio-Febbraio 2006 RdC 43 MOMENTI DI GLORIA E C O M E Equitazione SEABISCUIT : IL SOGNO AMERICANO A PORTATA DI TUTTI AL GALOPPO verso un futuro dove tutto è possibile. Ovvero: storia di un cavallo zoppo e un fantino cieco, alla conquista dell’American Dream. E’ la trasfigurazione mitica della storia di Seabiscuit, sdoganata G C O M E Ginnastica O COME JANE FONDA, LA MADRINA DELL’AEROBICA PRIMA AL CINEMA In punta di piedi, poi in Vietnam contro l’imperialismo Usa. E’ la strabiliante parabola di Jane da Hollywood con sette nomination nel 2004. Alle spalle le vere prodezze che ubriacarono gli Stati Uniti del proibizionismo, l’adattamento di Gary Ross cavalca gli stereotipi dell’agiografia, Fonda, figlia d’arte dalle sette vite, con due Oscar in bacheca e la maternità dell’aerobica in televisione. Lanciata come sexsymbol dal marito Roger Vadim, la Barbarella degli anni ’60 si ricicla presto per film più impegnati. Due statuette per Tornando a casa e Una squillo per l’ispettore Klute e poi ecco la seconda vita: recuperate le ambizioni da modella, si esibisce in tv con i suoi esercizi. Risultato: milioni di casalinghe da tutto il mondo, alimentano il suo nuovo impero e consacrano la nascita di una nuova disciplina. L’aerobica. D.G. Dopo due statuette il vero Oscar. Con gli esercizi in tv 44 RdC Gennaio-Febbraio 2006 prestando il sogno americano all’ambiente dell’equitazione. Depressione e rinascita di un paese fiaccato dalla crisi corrono parallele all’analoga parabola del fantino Tobey Maguire. Le stesse vicende ispirano nel ’49 anche il romantico The Story of Seabiscuit con Shirley Temple e Lon McCallister, mentre non basta William Hurt a salvare dal patetismo il successivo Champions, girato da Irvin D.G. nell’83. H C O M E Hockey SENZA REGOLE SUL CAMPO: DA VENERDÌ 13 ALLA COMICITÀ DEI FARRELLY DAI SINISTRI ECHI di Hannibal alla comicità demenziale dei Farrelly. Dal manifesto antiviolenza di Meryl Streep al Colpo secco di Paul Newman. Secondo soltanto a basket e baseball, l’hockey si inserisce a pieno titolo fra gli sport più rappresentati dal cinema Usa. Complice la sua stessa durezza, il gioco diventa quindi spesso caleidoscopio della L C O M E Lotta PITT E NORTON CONTRO LA SOCIETÀ DEI CONSUMI. A MANI NUDE DAVID FINCHER mette al tappeto la società dei consumi. Complici Brad Pitt e un superbo Edward Norton, ricorre alla lotta come strumento di ribellione suprema. Dissacrante e violenza che lo accompagna e contamina. E’ questo il caso di Colpo secco, che lo affianca a una spietata farsa sul sistema mediatico, come anche di Hockey violento con Meryl Streep. Soltanto iconografico, invece, il riferimento che ne mutua il genere horror: dal primo Venerdì 13 del 1980, la maschera traforata del portiere accompagna interi filoni del Creepshow, fino alla moderna contaminazione Freddy vs. Jason. In dichiarata antitesi a questa atmosfere, la farsa dei Farrelly in Fratelli per la pelle: gemelli siamesi, costretti dalla nascita a condividere hockey e D.G. non solo. iconoclasta, il suo Fight Club recupera la primordialità del corpo a corpo, per caricarlo di dirompente valenza politica. Primo ad essere contagiato dal virus dell’insurrezione è l’agente assicurativo Norton. Inquadrato colletto bianco, figlio della generazione Ikea, inizia a condurre una doppia vita. Di giorno ad alimentare il sistema in azienda, di notte negli scantinati a distruggerlo. L’idea è del suo folle alter ego Pitt e il gioco funziona. Sempre più affollati di insospettabili wasp, i loro gruppi di auto-aiuto clandestino crescono quindi in ambizioni e obiettivi. Prima sfogare nella lotta frustrazione e rabbia individuali. Poi rivolgerle all’esterno senza pietà. Emblematica la panoramica finale con il crollo a domino dei grattacieli di New York. D.G. N C O M E Nuoto IN VASCA PER EMERGERE (O NON AFFONDARE): IL CASO DI EVIL E ON A CLEAR DAY BRACCIATA DOPO BRACCIATA, per scacciare l’incubo di un figlio perduto. A sfidare la Manica è addirittura Peter Mullan, cinquantacinquenne al bivio nell’applaudito On a Clear Day con Brenda Blethyn e Billy Boyd. Presentato al Sundance Festival 2005, il film celebra il potere catartico del nuoto in puro stile Ken Loach. Alternando dramma e scanzonata commedia, l’esordiente Gaby Dellal abbozza la denuncia sociale, ma si concentra sulla rinascita del protagonista. Per Frank, improvvisamente allo sbando dopo il licenziamento e la morte di un figlio, il nuoto diventa così nuova ragione di vita. Poco importa che si tratti di una sfida impossibile. Come in Evil il ribelle di Mikael Håfström, l’importante è ritrovare uno scopo. Per andare avanti nel primo caso e affermare la propria identità nel film svedese candidato all’Oscar nel 2004. La riuscita sportiva è qui tappa della dura lotta del protagonista, per sopravvivere a bigottismo e soprusi dell’istituto di correzione a cui è stato condannato dalle violenze paterne. D.G. Gennaio-Febbraio 2006 RdC 45 MOMENTI DI GLORIA LA BOXE sta alle Olimpiadi come L’arrivèe du train a La Gare de La Ciotat sta al cinema. Immagini e parole possono mettere ko o esaltare i sentimenti. Ancora oggi, nell’angolo di una palestra che puzza di sudore, il giovane e l’anziano discutono sulla fascinazione di entrambi. L’allievo: “Come andò quella volta tra Chuk Wepner e Muhammed Alì?”. Il maestro: “Andò che per poco Clay non cadde steso per un gancio sinistro ben assestato. Montanti e ganci, montanti e ganci. Chuk sembrava alle corde, poi schiva bene a sinistra, P 46 RdC Gennaio-Febbraio 2006 rientra con un fendente al fegato e quel colosso di Alì viene salvato dal gong. Te lo ricordi l’incontro tra Stallone e Apollo Creed in Rocky, il primo della serie? Beh, il regista Alvidsen copiò tutto dalla realtà”. L’allievo: “Ma oggi che senso ha girare ancora un film sulla boxe? Sono un po’ tutti uguali”. Il maestro: “Lo dici tu. Il pugilato è poesia che arriva dritta allo stomaco, come un diretto senza guantoni; a mani nude, grasso sulle nocche e garza di panno. Lo hanno ammirato scrittori, ti dice niente Ezra Pound: “L’apparizione di questi C O M E Pugilato UN ALLIEVO E UN MAESTRO SUL RING. PER RIPERCORRERE I KO DEL CAMPIONE DI ZEFFIRELLI E VIDOR, ROCKY E THE BOXER DI LEONARDO JATTARELLI volti nella folla/Petali su un umido, nero ramo”. Ti dice niente la parola Shadow Boxing? Il pugile che tira pugni davanti allo specchio con la sua ombra è come l’attore che davanti alla macchina da presa fronteggia se stesso. La boxe al cinema è la narrazione di una epopea dello spirito. C’è la povertà e la resurrezione, la ribellione e il compromesso, il riscatto sociale e il sogno infranto. Forse a te non ricordano nulla titoli come Una faccia piena di pugni con Anthony Quinn, Anima e corpo di Rossen, Stasera ho vinto Niro-La Motta”. L’allievo: “Mi parla sempre di cinema! Io voglio sapere tutto di campioni veri, altro che immaginazione”. Il maestro: “Primo Carnera sta tutto nel Colosso d’argilla. Quando è troppo tardi per pentirsi di incontri biecamente combinati, il protagonista si trova di fronte un gigante di nome Max Baer, campione del mondo in carica dei pesi massimi. E sai chi c’era sul ring e davanti alla cinepresa? Proprio lui, Max Baer, un po’ vecchio e appesantito ma sempre in forma. Avrai letto sui libri di boxe la storia di James J. Braddock, il Il pugile che boxa con la sua ombra è come l'attore davanti al ciak Cinderella Man interpretato da Russell Crowe. Nell’America della Grande Depressione, il vero Braddock prima della semifinale per il titolo i soldi se l’era impegnati tutti per pagare la bolletta della luce e l’affitto della sua baracca. Questa è storia di vita, altro che immaginazione! Prendi il Rocky Graziano di Lassù qualcuno mi ama, prendi Rocco e i suoi fratelli di Visconti, dove l’onta anch’io di Robert Wise, Il campione di King Vidor e quello di Zeffirelli, quell’uragano Hurricane di Denzel Washington o Il colosso d’argilla con Humprey Bogart o ancora quel capolavoro di Toro scatenato di Scorsese con De Million Dollar Baby. Sotto il primo Rocky e Cinderella Man. Accanto The Boxer dell’essere un immigrato in patria si cercava di lavarla a forza di pugni. E prova per un attimo ad immedesimarti nella disperata esistenza di Rubin Carter, L’uragano, arrestato ad undici anni e da quel momento sempre con la polizia col fiato sul collo”. L’allievo: “Io ultimamente al cinema ho visto un film sulla boxe, come si chiamava? Ah, sì... Million Dollar Baby ”. Il maestro: “E ancora non hai capito che attraverso, ma anche al di là della boxe si può raccontare il dramma di un uomo deluso dalla vita, si può dare voce “alle ambizioni della gente che vive alla periferia della società” come ha detto Eastwood? Ma di questo parleremo un’altra volta. Adesso dobbiamo andare. Sei pronto? Ricorda: guardia alta, niente colpi sotto la cintura, metti a frutto il tuo Jab e che il Signore t’assista in queste Olimpiadi”. MOMENTI DI GLORIA P C O M E Pallacanestro Pattinaggio artistico Pallanuoto DI CAPRIO, D’ALATRI, VAN SANT: SUL Pallacanestro GHIACCIO E SUL PARQUET C’È POSTO PER ANDIAMO A CANESTRO col Ritorno dal nulla di Leo Di Caprio, che passa dai campetti newyorkesi al baratro dell’eroina nell’adattamento del romanzo autobiografico di Jim TUTTI. ANCHE PER CONIGLI, VERE STAR E UNA SQUADRA DI CAMPIONI ANIMATI 48 RdC Gennaio-Febbraio 2006 Carroll. E’ invece un dilemma etico a far tremare la mano a Nick Nolte, allenatore della squadra universitaria dei Dolphins in Blue Chips di William Friedkin. Con cammei di star del basket, quali Shaquille O’Neal - Il vero Michael Jordan alle prese con avversari in cartoon. Con lui in Space Jam anche il canarino Titti vincere di Michael J. Fox è di stretta osservanza W.A.S.P., con He Got Game Spike Lee firma un pamphlet moralista afroamericano capace di elevarsi metafisicamente seguendo le morbide parabole di un asso diciottenne del basket universitario. Di paternità, ma delegata, parla pure Scoprendo Forrester di Gus Van Sant, con Sean Connery nume tutelare di un ragazzino dalla mano calda sia con la palla che con la penna. Parente alla lontana del film di Lee è anche Chi non salta bianco è dello “sportivo” Ron Shelton, che butta sul playground l’amicizia interracial tra i giocatori Wesley Snipes e Woody Harrelson. Tocca invece a Paolo Villaggio recarsi negli Usa per scritturare un campione militante nel Black Power in Sistemo l’America e torno di Nanni Loy. Concludiamo con lo scontro tra il più grande cestista di sempre, Michael Jordan, e gli alieni in Space Jam, con Bugs Bunny e gli altri cartoons a far F.P. da spettatori. violentissimo è il Rollerball portato sullo schermo da Norman Jewison nel 1975 e poi da John McTiernan nel 2002. Sorta di drammatico diversivo del Sistema per incanalare le energie degli individui nel film originario, quasi trent’anni dopo il rollerball diviene mero espediente per un cine-game F.P. brutale. Pallanuoto DISILLUSIONE A BORDO VASCA. E’ LA PALOMBELLA (ROSSA) DI NANNI MORETTI Pattinaggio MEDAGLIA DI BRONZO ai l’interpretazione gli valse una nomination ai Razzle Awards come peggior esordiente -, Blue Chips non solo inquadra realisticamente tattica e fisicità, ma irrompe negli spogliatoi per denunciare la piaga della corruzione. Mentre la Voglia di Giochi Olimpici di Salt Lake City del 2002, Barbara Fusar Poli e Maurizio Margaglio sono i danzatori sul ghiaccio scelti da Alessandro D’Alatri per simboleggiare il rapporto di coppia ideale. Quello a cui tendono Stefania Rocca e Fabio Volo in Casomai. Allusivo e tremendamente realistico è il pattinaggio del Decalogo 1 di Krzysztof Kieslowski: padre e figlio calcolano al computer la possibilità di pattinare sul vicino laghetto, ma il ghiaccio si rompe e il bambino muore. Acrobatici sono invece i pattini d’argento di un orfanella accolta da una compagnia di rivista sul ghiaccio nel film omonimo diretto da Leslie Goodwins nel 1943. Ibrido – mix di pattinaggio a rotelle, hockey, basket e motociclismo – e Tocca al deputato comunista Michele Apicella il tiro che garantirebbe la vittoria alla sua squadra di pallanuoto: una “palombella” con una parabola insidiosa per sorprendere il portiere fuori dai pali. Ma il tiro fallisce, come fallimentare è il bilancio ideale e professionale del Nanni Moretti che si confessa grottescamente in Palombella Rossa. Divenuto pallanuotista nonostante la piscina lo terrorizzasse, nelle pause del match Michele incontra un cattolico assillante e un politico trito: la nausea a bordo vasca. F.P. Gennaio-Febbraio 2006 RdC 49 MOMENTI DI GLORIA S NOBILI, arricchiti, spericolati. Sport per pochi eletti, lo sci risponde a un’iconografia ben precisa. Campione delle rappresentazioni è il suo versante acrobatico, di cui si è a più riprese nutrita la saga di James Bond. Ai rocamboleschi inseguimenti di Sean Connery e successori, fanno da contraltare l’iconografia nazionalpopolare delle Vacanze di Natale di Boldi e De Sica e il ritratto più prettamente sportivo de Gli spericolati. L’eloquente titolo la dice lunga sul taglio imposto da Michael Ritchie nel ’69: ritratto semidocumentaristico, imperniato sulle evoluzioni in pista della squadra olimpica di discesa libera. Le riprese di Robert Redford, protagonista con Gene Hackman, sono state realizzate da un vero asso dello sci americano. Fra le esibizioni dei campioni è poi da ricordare quella del francese Killy in Grande slalom per una rapina. Nella commedia di Englund del ’72 c’è addirittura il tocco nostrano di Vittorio De Sica, sul set con Danièle Gaubert e Cliff Potts. Memorabile, infine, l’omaggio di Hitchcock in Io ti salverò: grazie alla fantasia visionaria di Dalì, la traccia di un paio di sci spalanca qui la porta a raffinatissime derive D.G. psicanalitiche. Redford e Hackman Spericolati nel film di Michael Ritchie 50 RdC Gennaio-Febbraio 2006 C O M E Sci VACANZE DI NATALE E HITCHCOCK: INTERPRETAZIONI AGLI ANTIPODI, CON FUORIPISTA PSICANALITICI FOTO: CONSTANTINI L'antisportivo Boldi sulla neve per Vanzina. Decisamente più acrobatico Tony Sailer (sopra), vincitore della discesa libera alle Olimpiadi di Cortina ‘56 Gennaio-Febbraio 2006 RdC 51 MOMENTI DI GLORIA SI TIRA UNA PALLA da una parte all’altra. Quando va bene, tra campioni, finisce tutto in quattro, cinque battute a punto. E se devi riprendere la partita, un campo lungo con la cinepresa al posto dell’arbitro funziona quanto basta. Campo e controcampo lo fa la pallina, una volta di qua, una di là. Il tennis appassiona solo chi lo pratica. Lo capisce soltanto chi lo gioca. Lo guarda soltanto chi lo conosce. Ne parlano in 52 RdC Gennaio-Febbraio 2006 T pochi. E quando succede, non è al bar, ma in un salotto di San Babila o via Bigli (oppure dei Parioli). Il cinema sfrutta il tennis come notazione di costume, per segnalare lo stato sociale dei protagonisti, riccastri e signorine, perché il tennis è femmina, o intellettuali metropolitani, perché loro – noi – amano il palleggio autorefernziale anche quando si tratta di muovere i muscoli e rilassare la mente (il vero intellettuale non fa body C O M E Tennis building, ma soul building, sempre). Alvy (Woody Allen) conosce Annie (la Keaton) a una partita di tennis e lei si finge interessata alla trascendenza! E come sono “easy elegant” Kathryn Hepburn e Spencer Tracy in Lui e lei di Cukor, dove la Hepburn esibisce vere doti sportive e allaccia le scarpe lasciando vedere cosce muscolose dalla gonnellina bianca. E lui: “Non ha tanta carne addosso, ma quella che ha è roba fina” (non sembra proprio Tracy che ci rivela perché si è innamorato per la vita della Hepburn?). Comunque, lei è sopraffatta da un senso di colpa che si manifesta durante il gioco quando compare il fidanzato. Per visualizzare il senso di inferiorità, Cukor ingigantisce la racchetta dell’avversario e riduce quella della Hepburn. Dolci borghesi anche i signorini di Il giardino dei Finzi Contini, ma se stiamo al Kirsten Dunst sull'erba di Wimbledon: secondo film della storia girato sui campi inglesi DRITTO, ROVESCIO, CAMPO E CONTROCAMPO. MATCH POINT DI WOODY ALLEN CONFERMA: È UNO SPORT DA INTELLETTUALI METROPOLITANI DI SILVIO DANESE tennis-femmina, c’è anche un film di Ida Lupino, forse mai uscito in Italia, Hard, Fast and Beautiful, una commedia della Rko del ’51, dove la campionessa Sally Forrest, dura, veloce e bella, molla la carriera (filmata anche al celebre Forest Hills di Philadelphia) perché realizza che la cosa che veramente desidera è una casa e un marito. Lupino non era femminista. Quando s’intromette in un film, il tennis funziona se diventa metafora. Per esempio, per stare sulla notizia, l’infelice istruttore del film di Woody Allen Match Point, perde in un palleggio tra matrimonio e passione, fedeltà e adulterio, con un tempo finale (un po’ poliziesco) che assomiglia a uno scambio tra giocatori. Dice la voce fuori campo, all’inizio: “In un match di tennis la palla, colpita la banda della rete, per un quarto di secondo pende da una parte o dall’ altra. Con un po’ di fortuna sarete il vincitore. Ma se ricade dalla vostra, allora avrete perduto”. Aspettiamo di vedere da che parte cade la palla anche in L’altro uomo di Hitchcock, dove un campione di tennis è costretto a giocare in forma binaria una partita a due: io ti uccido la moglie che non vuole divorziare, tu mi fai fuori il padre. In un film dove la dialettica è “tra l’occhio che vede e l’occhio che immagina” (Merleau-Ponty citato da Tinazzi), per il finale di Blowup Antonioni ha scelto la pantomima dello sport in cui è più difficile in assoluto distinguere l’oggetto del contendere, la palla, ma qui siamo a un bisogno di senso aperto: davanti alla partita che non c’è il protagonista Elegantissima anche la Hepburn in Lui e lei di Cukor Gennaio-Febbraio 2006 RdC 53 MOMENTI DI GLORIA T COME TRASH Invasione di campo e di b-movies: da Paulo Roberto Cotechiño a L'allenatore nel pallone Abatantuono, Martino, Cicero, Buzzanca. Eccezzziunali… veramente in un revival da serie A I Il 1982 è stato un anno molto importante per gli sportivi, specialmente per gli appassionati di calcio. Tanto per dirne una l’11 luglio di quell’anno, allo stadio Santiago Bernabeu, l’Italia si laureò campione del mondo. Ma questo, in realtà, è secondario. Ciò che conta veramente è che il 1982 vide uscire nelle sale uno dei film più ignobilmente divertenti sul calcio e i suoi dintorni. Stiamo parlando, se proprio serve specificarlo, di Eccezzziunale… veramente. Il film diretto da Carlo Vanzina, micidiale ritratto di tre supertifosi interpretati dal grande e grosso Diego Abatantuono, creò un precedente facendo da stura a una serie di pellicole tutte incentrate sul mondo del calcio. Da L’allenatore nel pallone di Sergio Martino a Mezzo destro mezzo sinistro, perpetrato sempre dallo stesso Martino, passando per Paulo Roberto Cotechiño centravanti di sfondamento, diretto da Nando Cicero e interpretato da Alvaro Vitali, che nello stesso anno era stato tra i protagonisti de Il tifoso l’arbitro e il calciatore di Pier Francesco Pingitore. Forse proprio quest’ultimo film (ancor più che L’arbitro, con Lando Buzzanca) segna il discrimine tra prima e dopo, tra storie che mantenevano una seppure fotografo (della realtà ambigua) entra nel gioco e raccoglie la palla (che non c’è). Altrimenti si tira via: non funziona il gioco del tennis come motore narrativo, e quando succede (raramente) è una noia. Il tennis non è il calcio, né automobilismo, boxe o i cento metri. Non è 54 RdC Gennaio-Febbraio 2006 esilissima parentela con la commedia all’italiana e storie che servivano solo da pretesto a sgangherate (ma divertenti) sequele di gag, volgarissime e senza costrutto. Citando solo di sfuggita Moana e Cicciolina ai mondiali, è interessante notare come quei film, al di là di non richiesti giudizi di valore, riscuotessero molti consensi di pubblico e, come suggeriscono i dati di vendita dei DVD, ne riscuotano ancora oggi. Se a distanza di oltre 20 anni ancora se ne parla vuol dire che l’accoppiata cinema e pallone, in quel caso, funzionava. E questo è un po’ il punto della discussione. Se infatti guardiamo bene, dobbiamo notare che roba da momenti di gloria. L’ultimo gioco di Anthony Harvey, in fondo unico nella storia del cinema sportivo, si svolge interamente, con una serie di flashback, durante le due ore di una partita di tennis, e forse non piace neanche ai patiti. Meglio Wimbledon, diretto due anni è sempre è stato difficilissimo fare film sul calcio, e se si eccettua il peraltro non riuscitissimo Fuga per la vittoria di John Huston, ci accorgiamo che di capolavori sulla sfera cuoiata non ne sono mai stati realizzati. Anzi, paradossalmente, i più riusciti sono film come Ultimo minuto di Pupi Avati (con un cameo guarda caso di Abatantuono), e Febbre a 90°, dove immagini di calcio o non si vedono o sono di repertorio. Sparlare dei titoli succitati è un po’ come voler friggere con l’acqua: si sa che è inutile. Scrivere “se vi sta a cuore la cultura scegliete qualcos’altro”, significa davvero non sapere cosa la cultura sia, se non un inutile esercizio fa da Richard Loncraine, il secondo film (dopo Players, un Paramount dove comparivano Jimmy Connors, Ion Tiriac e un giovanissimo McEnroe) girato nel celebre club alla periferia di Londra, con buone riprese degli incontri. Ci sono parole per ricordare l’immaginifico Tati, snob. Non c’è dubbio che il trash, se proprio vogliamo usare questa parola, non è altro che un escamotage dell’industria cinematografica per riciclare prodotti privi di pretese etiche ed estetiche, ma forse nella fattispecie si imporrebbe una riflessione. Dal momento che il cinema d’autore non è mai riuscito a parlare di calcio in maniera convincente, non sarà che forse la dimensione del calcio appartiene proprio alla commediaccia? Ai cineasti “seri” lasciamo però come ispirazione lo spirito olimpico, elevato, che da tempo non abita più negli stadi dove si gioca a pallone. ALESSANDRO BOSCHI che veste il suo Hulot in vacanza con un cappello di carta di giornali e, con pantaloncini alla zuava, tira oltre la rete palle imprendibili sui denti sorridenti del pubblico? Il cinema è come il tennis. A volte ti becchi l’immagine in faccia, e fa male. Punto critico: manuale per sopravvivere alle uscite in sala MATCH POINT Delitto senza castigo per il geniale Woody Allen. Una lezione amorale in sintonia coi tempi IN SALA (Doppio) delitto e (senza) castigo. Solo con qualche rimorso di coscienza, un tarlo che non permette al colpevole di godersi appieno gli agi sociali ottenuti con ciniche strategie e col crimine, “necessario” per sbarazzarsi di un’amante ingombrante (e incinta). In Match Point - racconto (a)morale ambientato a Londra - Woody Allen sa tessere una perfetta e implacabile rete di personaggi, scelte, passioni e coincidenze per dimostrare il ruolo predominante della “fortuna” sul corso della nostra vita. Ai tempi di Crimini e misfatti l’oculista ebreo macchiatosi del delitto finiva per lacerarsi la coscienza, memore degli insegnamenti del rabbino sul fatto che non si può sfuggire allo sguardo di Dio anche se si elude la giustizia terrena. La tesa e misurata regia di Match Point (con ironico contrappunto di opere liriche) implica dialoghi in cui si nomina chiaramente il Caso. L’etica (o almeno il richiamo ad essa) qui è scomparsa: regna la sola Dea Bendata (non La dea dell’amore del regista), simbolizzata dall’esemplare scena d’apertura, con la palla da tennis che esita sopra la rete. Se cadrà al di là o al di qua del “net”, dipende solo dal capriccio fortuito di un universo anti-provvidenziale, privo di un disegno o un destino. Il movimento della palla – fisico ma anche filosofico – si ripete nell’ambigua scena dell’anello della vecchia uccisa. Una prova scottante se venisse raccolto dalla polizia, con somma sfortuna del killer. Ma il caso gioca paradossalmente a favore di Chris, fornendo un indiretto alibi per scagionarlo dai sospetti della polizia, cosicché egli resta impunito. Nonostante le dichiarazioni di Allen sull’ispirazione dostoevskijana, la LA REGIA TESA E MISURATA ESALTA LA TRAMA DI PASSIONI E COINCIDENZE PER DIMOSTRARE IL RUOLO DELLA FORTUNA scena in cui il giovane arrampicatore sociale legge il romanzo, e qualche somiglianza con la struttura dell’intrigo, in realtà Delitto e castigo è distante anni luce dalla Weltanschaung del cineasta. Non solo perché lì Raskolnikov uccide l’usuraia per presunzione ideologica al di là del bene e del male, camuffata da filantropia; non solo perché non sfugge alla Legge degli uomini ma anzi si costituisce e finisce in Siberia; ma soprattutto perché la sua presa di coscienza coincide con la conversione cristiana, catalizzata dalla presenza amorevole della prostituta Sonia, donna di fede. Il crimine come peccato di onnipotenza e disprezzo per gli esseri “inferiori”, e il cammino di espiazione dell’assassino dostoevskijano, presuppongono l’esistenza e l’operato di Dio. Ben più squallidamente, come specchio dei nostri tempi eticamente confusi, il tragico atto di Chris è motivato dalla borghese necessità di non perdere lusso e carriera. A cui si possono sacrificare un’ipocrisia matrimoniale senza amore (con Chloe), una passione vera (con Nola) e perfino un figlio in arrivo, definito “danno collaterale”. Senza castigo, l’opportunista omicida non può mettere del tutto il silenziatore alla verità. Gli appaiono i fantasmi delle due vittime, che lo costringono a riflettere: sarà per lui alto il prezzo da pagare (nella mente, non in carcere) per aver eliminato degli innocenti. E Chris, solo in quel confronto metafisico, dichiara che se venisse arrestato almeno esisterebbe al mondo una giustizia, cioè un significato delle cose. Non è la prima volta che Allen mette in scena dei trapassati (Alice, Tutti dicono “I Love You”). Per l’unico momento di ipotesi non atea sul “senso”, il regista più che Dostoevskij ha omaggiato Dickens e il suo moralissimo Cantico di Natale. MASSIMO MONTELEONE REGIA Con Genere Distr. Durata 56 RdC Gennaio-Febbraio 2006 WOODY ALLEN Scarlett Johansson, Jonathan Rhys-Meyers Drammatico, Colore Medusa 124’ iFilmDelMese Gennaio-Febbraio 2006 RdC 57 iFilmDelMese LADY VENDETTA Peccato e redenzione in confezione shock. Dalla Corea con grande stile IN SALA Era in gara all’ultima Mostra di Venezia, dove suscitò entusiasmo nella crescente cerchia degli adepti dei riti coreani. Ecco Lady Vendetta (Simpathy for Lady Vengeance) del quarantunenne Park Chan-wook, che è attualmente con Kim Ki-duk uno dei registi sudcoreani più apprezzati nel mondo. Episodio finale di un trittico dedicato alla vendetta, di cui in Italia è uscito nel 2005 il secondo titolo (Old Boy), Lady Vendetta ribattezza in una luce nemesiaca la bellissima Lee Youngae, diva televisiva con fan adoranti in tutta l’Asia. E’ la protagonista MONTAGGIO E INVENTIVA STRAORDINARI. COME LA PROTAGONISTA LEE YOUNG-AE 58 RdC Gennaio-Febbraio 2006 imprigionata a vent’anni per il sequestro e l’omicidio di un bambino, mentre il vero colpevole – che lei si limitò a “coprire” - è un maestro d’inglese che continuerà nella sua efferata pedofilia (nel film ci sono alcune immagini davvero scioccanti di bambini torturati e assassinati). Uscita tredici anni dopo dal carcere, dove si è resa amabile alle altre detenute per la sua dolcezza e la disponibilità, la splendida Lee si trasforma appunto in Lady Vendetta: ritrova la figlioletta che al momento del processo era stata affidata a una coppia australiana, individua, sequestra e prende a torturare il maestro cattivo, ma lascia che a finirlo siano i parenti degli altri bambini da lui uccisi nel corso del REGIA Con Genere Distr. Durata PARK CHAN-WOOK Lee Young-ae, Choi Min-Sik Thriller, Colore Lucky Red 119’ tempo. Sul luogo c’è anche il poliziotto che s’era occupato del caso, al quale è lasciato il compito di scattare la foto-ricordo a “lavoro” concluso. Un epilogo dai toni tragicogrotteschi, che consente alla protagonista di ricominciare una vita normale. Ma la trama non basta a rendere giustizia al film di Park Chan-wook, alla sua pirotecnica inventiva che si avvale di cromie esasperate e di strabilianti effetti di montaggio, delle dolcissime musiche di Vivaldi e di sparatorie ravvicinate alla maniera di Quentin Tarantino. E, su tutto e tutti, del pallore angelico eppure rosseggiante di rabbia di Nostra Signora della Vendetta. OSCAR IARUSSI ANTEPRIMA LE TRE SEPOLTURE Esordio alla regia per l’attore Tommy Lee Jones. Con una parabola illuminante ANTEPRIMA CASANOVA Divertente commedia degli equivoci. Il famoso seduttore è quasi un pretesto C’è qualcosa di autentico, di veramente vissuto, in Tommy Lee Jones, nel modo in cui il suo corpo aderisce ai personaggi che interpreta. È una sorta di natura “nodosa” da uomo di frontiera, da texano abituato a fare i conti con il tempo e lo spazio, come quella di un tronco con le radici ben piantate nel terreno e la superficie che conserva le tracce degli anni. Questa natura la trasmette al suo primo film da regista, Le tre sepolture, l’unica vera sorpresa del festival di Cannes 2005. Se parliamo di natura è perché, al di là delle sottigliezze di una sceneggiatura originale, ben scritta e articolata (di Guillermo Arriaga, lo stesso di Amores perros e 21 Grammi) il cuore del film è la trasmissione dei valori etici e civili, quali la conoscenza di sé e il rispetto dell’altro, ovvero ciò che traspare da sempre nei ruoli ruvidi interpretati da Jones, sia che egli lavori con Eastwood, con Howard o con Friedkin. In tal senso la storia raccontata dal film – il caso del messicano Melquiades Estrada, immigrato illegalmente in Texas, ucciso e seppellito da una guardia di frontiera troppo zelante, riesumato dalle autorità e definitivamente inumato da una giustizia “sommaria”, è riaperto da un cowboy solitario, unico amico del morto, che costringe il colpevole ad una “illuminante” via crucis – ha il valore di una parabola ed è il frutto di un lavoro di cineasta, filtrato attraverso l’esperienza, esistenziale e professionale. Il Texas è territorio americano, strappato ai messicani con le armi, e da anni convive con un’immigrazione che crea divisioni, sociali e razziali. È una situazione raccontata più volte dal cinema attraverso storie drammatiche di antagonismo. Tommy Lee Jones, testimone diretto di questo stato di cose, propone invece una realtà di somiglianze piuttosto che di diversità. Ed è questa prossimità che il suo eroe “antico” fa toccare con mano al giovane assassino, attraverso un viaggio iniziatico nelle rudezze della natura, nell’incontro con persone sconosciute, nella scoperta dei sogni di un uomo, che ormai esiste solo in fotografia: una vicinanza che si respira anche nel montaggio del film, dove presente e passato convivono, e soprattutto negli spazi dilatati del deserto, che costringono l’individuo a riconsiderare la sua posizione nel grande piano del creato. Non più il demiurgo che comanda, ma l’umile allievo che apprende. LUCIANO BARISONE REGIA Con Genere Distr. Durata TOMMY LEE JONES Tommy Lee Jones, Barry Pepper Drammatico, Colore 01 Distribution 121’ Dalla storia di un cowboy solitario emergono valori come la conoscenza e il rispetto dell’altro Non una biografia, bensì un film romantico con toni comici dove di Casanova resta soltanto il cognome. Come è accaduto per I tre moschettieri anche il famoso seduttore assurge al ruolo di icona in un film Disney divertente, ma molto, forse, troppo leggero. Diretta da Lasse Hallström, Casanova è una commedia ispirata molto liberamente alle gesta del celeberrimo veneziano che – per la prima volta – incontriamo dinanzi all’obbligo di una scelta. O il matrimonio, oppure fronteggiare l’arresto e – necessariamente – anche la Santa Inquisizione. Nel frattempo, però, Casanova sembra innamorarsi per la prima volta di una dolce fanciulla, non solo bella, ma anche estremamente intelligente. Una volta tanto è la mente e non solo il corpo ad attirare il playboy ante litteram. Purtroppo, però, sulla sua strada si parano gli obblighi nei confronti del Doge, un matrimonio prestabilito quando la ragazza era ancora in fasce e l’arrivo del Grande Inquisitore in persona interpretato da uno straordinario e autoironico Jeremy Irons. Un pasticcio storico dalla coloratissima messinscena in cui cercare un fondo di verità o di aderenza storica in questo film sarebbe tanto inutile quanto sbagliato. Una commedia degli equivoci buffa, ma imperfetta se non addirittura un po’ “sbrigativa”, ingentilita dalla bellezza e dal carisma di Lena Olin e Sienna Miller. Il resto è solo una scusa per un film romantico dall’ambientazione “diversa”. MARCO SPAGNOLI REGIA Con Genere Distr. Durata LASSE HALLSTRÖM Heath Ledger, Sienna Miller, Jeremy Irons Romantico, Colore Buena Vista 108’ Gennaio-Febbraio 2006 RdC 59 iFilmDelMese U-CARMEN Mirabile rilettura del mito femminile di Bizet. Virata al nero I canoni della seduzione femminile, dalle parti dell’odierna Città del Capo e tra la popolazione di colore più povera, sono davvero diversi da quelli spagnoli immaginati da un francese nel 1875. Eppure la Carmen nera che si affianca alle tante “Carmen” dell’opera e del cinema spalanca un “nuovo mondo” sui criteri di interpretazione di un eterno mito femminile. All’epoca George Bizet scrisse un capolavoro che avrebbe forato i tempi e le culture; oggi l’esordiente Mark Dornford-May, contando sulle forze artistiche irresistibili della compagnia lirica Dimpho Di Kopane, si appropria del “mito”, traduce il perfetto libretto di REGIA Con Genere Distr. Durata IN SALA Henri Meilhac e Ludovic Halévy in lingua Xhosa adattandolo mirabilmente a Khayelitsha, una enorme e povera periferia, nella quale la storia precipita fino alla nota tragica conclusione. Comprimendo la struttura musicale nelle due ore, contaminandola con spericolati ritmi locali, e grazie ad un mirabile adattamento drammaturgico, la U-Carmen di Pauline Malefane si muove non come un comune mezzo- MARK DORNFORD-MAY Pauline Malefane, Andile Tshoni Drammatico, Colore Lady Film 120’ soprano ma come una spiritosa, grintosa e vitale donna di oggi in cerca d’amore, soldi e libertà, contornata da attori-cantanti emozionati. Il mito ne esce indenne e l’amore di Carmen rimane, in una delle poche parti del testo rimasta giustamente ancorata all’originale, “un oiseau rebelle”, con l’avvertimento profetico della sigaraia: “si je t’aime, prends garde à toi”! LUCA PELLEGRINI SADDAM Un Iraq “nostrano” dove la paura non ha confini. Discontinuo e originale 71’15’’ dinanzi ad una porta di cella segretissima. Due soldati italiani, Antonio e Mauro, caratterialmente agli antipodi. Poca azione esterna, molti rivolgimenti interni. 71’15’’ di paure e incomprensioni. Sempre nell’identico posto, con gli stessi personaggi e sensazioni. Segreti al di fuori: dove siamo e perché? Segreti dentro: chi è custodito realmente in quello scantinato oscuro ravvivato soltanto da lampi di luce al neon, solcato dal rumore lontano di spari ed elicotteri, una tensione sconquassata da visite inattese, qualche soldato e un’imprevista complicazione? La presenza del “grande dittatore” incombe. Saddam è un film asimmetrico di Max Chicco, buon talento pur con qualche cedimento dovuto alla sproporzione tra quei 71’15’’ iniziali di tensione davanti alla cella di REGIA Con Genere Distr. Durata MAX CHICCO Mauro Stante, Riccardo Leto Drammatico, Colore Meibi 77’ 60 RdC Gennaio-Febbraio 2006 ANTEPRIMA “tu sai chi” ed i rimanenti cinque minuti che giocano, con spiazzante sorpresa, a favore dell’invenzione filmica. Quei cinque minuti finali servono a tradurre in plausibile spiegazione la maniacale attenzione riversata sui due soldati (Mauro Stante e Riccardo Leto) nei tanti minuti precedenti. Poi si scopre che un certo “orrore” è molto più vicino a casa nostra che al travagliato Iraq, e che la paura non è fomentata dal “chi” sta dietro la porta di una cella ma dal “come” questa porta viene nei nostri difficili giorni, continuamente, pericolosamente manipolata. Profeti di sventura o cinici accusatori del sistema? LUCA PELLEGRINI QUANDO L’AMORE BRUCIA L’ANIMA Musica e genio di Johnny Cash in un biopic che non sfugge al cliché ANTEPRIMA Il biopic musicarello è ormai un abuso artistico quantitativamente evidente. Un fenomeno in continua evoluzione commerciale (al film si collegano pure la vendita di un cd e la rinnovata curiosità per il personaggio dimenticato dalla storia) e immortalato in una statica surplace linguistica. Tanto che la costruzione del narrato in Quando l’amore brucia l’anima (Walk the Line) evidenzia i classici snodi melodrammatici: il trauma infantile, il colpo di fortuna (classico coup de theatre per la più ovvia american way of life), la crescita turbolenta ma ricca di danari, l’elemento disturbante (alcool o SI INTRAVEDE UN’AMERICA LACERATA DA DISPARITA’ ECONOMICHE E SOCIALI droghe, basta che portino il protagonista sulla cattiva strada), la redenzione finale. Johnny Cash andava raccontato, anche per motivi etici, perché lui a sua volta per un po’ di tempo ha raccontato i diseredati, i dolori di un America un po’ nascosta. Il problema semmai è che il biopic si sta sempre più appiattendo sul dato performativo, ovvero quanto è bravo tal dei tali a rifare talaltro. Fino a quando come nel film di Mangold ritroviamo alcune coordinate impazzite: Phoenix non assomiglia somaticamente e fisicamente a Cash, ma dà prova di una certa costanza, di un sentita fatica nel muoversi nei panni di un essere umano perennemente in crisi, instabile psicologicamente, manesco; mentre tutto il coté delle comparse fa a gara per essere più identico possibile a Elvis, REGIA Con Genere Distr. Durata JAMES MANGOLD Joaquin Phoenix, Reese Witherspoon Drammatico, Colore 20th Century Fox 135’ Jerry Lee Lewis e compagnia. Così anche se Mangold riporta un’analisi laterale, scostata, di trent’anni di America profonda, musicalmente rivoluzionaria, screziata dalle disparità economiche e sociali, si attarda sempre qualche minuto in più dietro la necessità di mostrare che la dose di fiction è altissima, che l’artificio è radice inequivocabile di un certo cinema classico, che si dà al pubblico senza riflettere troppo sul come e perché farlo. Scelta ampiamente legittimata dagli incassi e dalla spettacolarizzazione dell’evento, ma che non sa far altro che dividere in bianco e nero realtà davvero complesse e articolate come la vita stramba e difficile di Johnny Cash. DAVIDE TURRINI Gennaio-Febbraio 2006 RdC 61 iFilmDelMese DICK & JANE: OPERAZIONE FURTO Elogio dell’onestà tra farsa e accusa. Jim Carrey da applauso IN USCITA Risposta americana alla commedia “sociale” europea stile Full Monty, Dick & Jane: operazione furto è più vicino al cinema di Frank Capra che a quello hollywoodiano attuale. Remake dell’omonimo film del 1977 con George Segal e Jane Fonda, la pellicola che ha per protagonisti un irresistibile Jim Carrey e Tea Leoni, è diretta dal veterano di diverse serie televisive Dean Parisot (Monk, E.R., The Job). Dopo l’esordio cinematografico di Galaxy Quest, il regista torna a una commedia più sofisticata sotto il profilo della solidità narrativa. Il film, infatti, si chiude con i titoli di coda che “ringraziano” per ECHI DI FRANK CAPRA ACCOMPAGNANO IL REMAKE DEL FILM DEL ‘77 62 RdC Gennaio-Febbraio 2006 l’ispirazione le multinazionali finite nel fango dopo crolli clamorosi come nel caso della Enron, citata apertamente per chiudere un lieto fine necessariamente in sintonia con il tono della pellicola, ma non – purtroppo - con la realtà dei fatti. Il tono alla Frank Capra non impedisce però allo spettatore di divertirsi e meditare sulle conseguenze di simili scandali. Protagonisti sono Dick e Jane, manager di alto livello di una società il cui tracollo rovina la vita di centinaia persone di una cittadina della California. Senza lavoro e senza futuro, i due prima vendono tutto quello che hanno, apprezzando anche l’aiuto della loro cameriera messicana, poi, si dedicano alle rapine. Come fanno, però, due persone oneste a diventare criminali? Semplicemente non possono, REGIA Con Genere Distr. Durata DEAN PARISOT Jim Carrey, Tea Leoni, Alec Baldwin Commedia, Colore Sony Pictures Italia 90’ perché non vogliono avere più di quello che possedevano, ma riconquistare quanto era loro di diritto. Così, insieme a un altro alto manager con la coscienza che gli rimorde, decidono di rifarsi in maniera rocambolesca sull’uomo che li ha derubati. Il finale, però, è diverso da quanto ci si aspetterebbe e la pellicola brilla per la sua compattezza puntellata da momenti esilaranti grazie ad un Jim Carrey al suo meglio. Nonostante, questo, però, Dick & Jane: operazione furto è un “elogio dell’onestà” che obbliga anche a pensare ad una realtà su cui non c’è veramente nulla da ridere, con criminali certo meno fascinosi dell’Amministratore Delegato interpretato da Alec Baldwin. MARCO SPAGNOLI ANTEPRIMA JARHEAD Mendes (troppo) politicamente corretto. La Guerra del Golfo si perde sullo sfondo ANTEPRIMA NORTH COUNTRY Coraggiosa denuncia delle molestie sul lavoro. Ma la Theron non convince Sam Mendes mantiene le promesse: mostrare la Guerra del Golfo come non l’abbiamo mai vista. Scandagliando dinamiche e follie della vita militare, il regista premio Oscar per American Beauty, si destreggia in bilico fra cronaca e denuncia, con un ritratto astuto e politicamente molto corretto. Se il diario dal fronte del tiratore scelto Anthony Swofford aveva sollevato le ire del corpo dei Marines, il suo adattamento cinematografico zoomma sui protagonisti, depotenziandone le scomode implicazioni politiche. Distante anni luce dalla tradizione dei film bellici sul Vietnam, il contesto sfuma sullo sfondo fin quasi a perdere i connotati. Poco importa che si tratti del Golfo Persico. E poco importa che in ballo ci sia il controllo petrolifero del pianeta. Quel che resta sono pozzi in fiamme, colonne di fumo, interminabili distese di sabbia. Elementi a cui Mendes affida un ritratto tanto vago e universale da risultare praticamente innocuo. “Un film sulla guerra, senza la guerra”, lo aveva chiamato, che in questo apparente paradosso riassume l’acme della sua denuncia. Un j’accuse trasversale, che punta il dito su un fenomeno, ma si dimostra al contempo rispettoso del patriottismo di chi per scelta o destino finisce a combattere. L’equilibrismo riesce grazie alla prospettiva scelta: quella di un plotone di Marines, inviato nel Golfo a presidiare le linee. Protagonista è Jake Gyllenhaal, nei panni dell’autore del diario a cui è ispirato il film. Bravo e versatile nell’incarnare la parabola dell’americano medio, con la sua vicenda personale offre il destro per mille altre storie. Quelle di soldati, sì. Ma soprattutto di ragazzi, che come tanti soffrono, credono, piangono la distanza delle fidanzate. La macchina da presa è tanto vicina da trapassarne quasi le uniformi. Con forza e pudore si insinua nelle loro vite private, mostrando quel che resta sotto i galloni: esseri umani, in preda alle stesse contraddizioni di tutti. C’è chi nella divisa ha trovato il riscatto di un’esistenza allo sbando, chi l’ultimo baluardo di uguaglianza razziale. E poi ancora chi crede nella Bandiera e chi nel potere sublima le sue frustrazioni. Spessore e universalità dei temi non mascherano però l’impressione di aver perso un treno. Non bastano le sublimi scenografie del deserto e la straniante fotografia. Con un colpo al cerchio e uno alla botte, Mendes cede a qualche scivolone retorico e manca l’occasione per tornare a graffiare. DIEGO GIULIANI REGIA Con Genere Distr. Durata SAM MENDES Jake Gyllenhaal, Peter Sarsgaard Drammatico, Colore Uip 123’ I primissimi piani sui protagonisti parlano di drammi universali. I riferimenti all’attualità sono però molto sfumati Una decina di anni fa, complice uno spot malandrino, Charlize Theron conquistò un successo planetario. Oggi, dopo innumerevoli film e un meritato Oscar, si getta a capofitto in prove sempre più rischiose. Ne è un esempio North Country Storia di Josey, dove interpreta una ragazza-madre vittima di abusi in ambito familiare e lavorativo. Ispirato a una vicenda reale, il film si svolge negli anni ’70 e dell’epoca riflette le ambiguità presenti nella società americana. Se infatti in quel periodo nei centri culturalmente avanzati del paese - New York, San Francisco, le prestigiose università - si discute di femminismo e di diritti delle donne, il Nord dove vive Josey è ancora impermeabile alle rivendicazioni e impreparato a recepire il concetto di molestia sessuale. Eppure, seguita non senza fatica dalle compagne, Josey si ribella al sistema e chiede giustizia: puntuale arriva la causa contro l’impresa, destinata a spezzare il velo di omertà maschile e a segnare un punto di svolta nella giurisdizione americana. North Country segue le regole ben collaudate delle opere di denuncia, servito da una regia impeccabile anche se non propriamente inventiva. Vero punto di forza sono gli attori: Frances McDormand, Woody Harrelson, Sissy Spacek, Sean Bean, tutti talmente bravi da meritare un premio collettivo. Paradossalmente la meno in parte è Charlize Theron, la cui naturale eleganza mina alla base lo sforzo di essersi infiilata nei panni di una minatrice. La sua, tuttavia, resta una sfida da non sottovalutare. ANGELA PRUDENZI REGIA Con Genere Distr. Durata NIKI CARO Charlize Theron, Frances McDormand Drammatico, Colore Warner Bros. 126’ Gennaio-Febbraio 2006 RdC 63 iFilmDelMese ORGOGLIO E PREGIUDIZIO Jane Austen senza passione né idee. Keira Knightley monocorde Un fantasma si aggira nell’immaginario internazionale: quello di Jane Austen, un’autrice che il cinema di oggi sembra avere preso a modello di ispirazione in maniera ancora più marcata di quanto possa apparire a prima vista. Dopo la sua modernizzazione con Il diario di Bridget Jones e la sua versione etnica con Matrimoni e pregiudizi, la nuova edizione del più celebre romanzo della scrittrice britannica non riesce, però, a rendere alcuna giustizia al lavoro della Austen. Diretto in maniera mediocre e senza idee nuove dal pressoché esordiente Joe Wright, Orgoglio e pregiudizio soffre soprattutto di un grave miscasting. L’affascinante, ma REGIA Con Genere Distr. Durata ANTEPRIMA monoespressiva Keira Knightley non regge due ore di film in un uno dei ruoli più importanti della letteratura internazionale, quello di Elizabeth Bennett eroina romantica e femminista ante litteram, perché donna tanto forte quanto colta. Quello che più nuoce al risultato finale è però soprattutto l’assenza di alchimia con il giovane Matthew McFayden nel ruolo di Mr. Darcy. Personaggi tanto icastici JOE WRIGHT Keira Knightley, Matthew MacFayden Drammatico, Colore UIP 127’ avrebbero avuto bisogno di ben altre interpretazioni. Soprattutto se paragonati alla serie televisiva ispirata allo stesso libro che dieci anni fa lanciò a livello mondiale Colin Firth. Le belle ambientazioni e l’esperienza di Donald Sutherland e Brenda Blethyn non salvano un film senza passione dal diventare l’ennesimo inutile remake senza carisma. MARCO SPAGNOLI DERAILED - ATTRAZIONE FATALE Noir intenso e disturbante. Dall’autore di Evil, con qualche ingenuità Un noir con la vocazione del politicamente scorretto, diretto da Mikael Håfström, già autore dell’intenso Evil, che punta a una storia insolita e volutamente disturbante. Clive Owen è un padre di famiglia, un po’ annoiato e schiacciato dal peso di anni di sacrifici per consentire alla figlia malata un trapianto. Un lunedì mattina sul treno per Chicago dove lavora in una grande società, incontra casualmente una bella donna (Jennifer Aniston) da cui si sente attratto. Le cose “precipitano” e mentre si apparta con lei in un alberghetto, la coppia viene attaccata in camera da un rapinatore maniaco. Il timore di ripercussioni famigliari nel dovere confessare l’infedeltà, obbliga i due fedifraghi a non andare alla polizia. Il delinquente che ha preso loro i portafogli, però, inizia a ricattare entrambi con pretese sempre più REGIA Con Genere Distr. Durata MIKAEL HÅFSTRÖM Clive Owen, Vincent Cassel Thriller, Colore Buena Vista 107’ 64 RdC Gennaio-Febbraio 2006 IN SALA esorbitanti. Da lì una spirale di minacce e violenza destinata a esplodere quando le somme richieste mettono in qualche maniera a repentaglio la vita di tutti. Sorprendente e intenso, grazie ad una regia dalla grande forza drammaturgica Derailed è un film di genere dove le tante ingenuità risultano secondarie rispetto alla qualità di una sceneggiatura con protagonisti degli antieroi tanto ingenui e sfortunati da apparire perfino stupidi. Tra puritanesimo e menzogne, Derailed – Attrazione letale brilla per la sua ambiguità e per la “morale” citata nel film: “alcune persone non riescono mai ad apprezzare quello che hanno…” . MARCO SPAGNOLI IL PANE NUDO Miseria e infanzia negata nella Tangeri del ’42. Emozionante come il romanzo IN USCITA “Un testo nudo nella verità del vissuto, nella semplicità delle prime emozioni” ha scritto Tahar Ben Jelloun del libro Il pane nudo di Mohamed Choukri. Analogamente si può dire del film di Rachid Benhadj, a cui ha collaborato lo stesso scrittore marocchino, morto nel 2003. Lo stile scarno, crudo, emozionante del best–seller autobiografico di Choukri (fu candidato al Nobel per la letteratura) rivive nel film. Sullo schermo scorre impietosa la terribile infanzia del piccolo Mohamed, vittima della miseria e di un padre violento, che ne picchia la madre indifesa e gli uccide il fratellino perché piange LA POVERTA’ DELLE IMMAGINI ESALTA LA FORZA DELLA STORIA troppo. Mohamed è come i suoi coetanei della Tangeri del ’42, un monello che si ciba dai cassonetti dei quartieri degli occidentali, dove anche i rifiuti sono migliori. La fuga, da adolescente. Ma Tangeri è fatta di povertà, prostituzione, violenza per i meno fortunati. Quella di Mohamed è anche fuga verso la libertà, una libertà che, ventenne, trova in prigione grazie al potere del sapere. Perché la miseria più grande non è quella vissuta fino ad allora, ma è l’ignoranza. In carcere - costruito dal regista come una grotta, simbolo delle origini dell’uomo - Mohamed conosce un rivoluzionario che gli insegna a leggere e a scrivere. La sua vita cambia. Prima maestro, poi scrittore. Benhadj, che già aveva emozionato con Mirka, riesce a REGIA Con Genere Distr. Durata RACHID BENHADJ Saïd Taghmaoui, Marzia Tedeschi Drammatico, Colore AE Media Corporation 100’ trasportare sullo schermo con grande abilità uno dei romanzi più belli e duri allo stesso tempo della letteratura araba. I tre volti di Mohamed - bambino, adolescente, adulto – vedono avvicendarsi dei giovani attori di grande talento che lasciano il posto all’adulto Saïd Taghmaoui (co-protagonista de L’odio). Tra le attrici due ruoli fondamentali e antitetici: la madre/martire (Soraya Arterse) e la ammaliatrice un po’ folle e un po’ demone (Marzia Tedeschi). Miseria, violenza, amicizia, amore, determinazione, salvezza si susseguono quali leitmotiv del film di Benhhadj, che nelle immagini “povere” trova la forza del cammino verso la speranza. CRISTINA SCOGNAMILLO Gennaio-Febbraio 2006 RdC 65 iFilmDelMese I SEGRETI DI BROKEBACK MOUNTAIN Raffinato equilibrismo di Ang Lee. Ribalta i canoni western, giocando sugli opposti IN SALA Lassù, tra le montagne del Wyoming, scorre l’estate di Jack Twist e Ennis del Mar - Jack Gyllenhall e Heath Ledger entrambi in stato di grazia. L’anno è il 1963. Costretti a passare alcuni mesi assieme, il rude e introverso Ennis e il più aperto e consapevole Jack esplorano la natura circostante non meno che la propria. Risultato, la scoperta di una passione totalizzante cui i pendii scoscesi e le vallate maestose fanno da sfondo suggestivo. Lontano dall’Eden, l’amore diventa proibito, colpevole, censurabile. Le regole della società li vogliono divisi, e così i due cowboy inseguono per strade diverse un PENDII E MAESTOSE VALLATE DIVENTANO LUOGHI DELL’ANIMA 66 RdC Gennaio-Febbraio 2006 impossibile sogno di normalità. Quelli che passano sono anni faticosi, spesi a ostacolare la tensione verso l’amato che nessun matrimonio può tuttavia reprimere. Nel corso di due decenni Brokeback Mountain torna ad essere il rifugio protetto, luogo dell’anima prima che paradiso naturale, dove tenere a bada i sensi di colpa. Che alla fine irrompono, segnando il loro destino di lacrime e sangue. Ang Lee si è impadronito di un racconto della scrittrice Annie Proux e ha ribaltato con maestria le leggi del western. Ha giocato sui contrasti natura-città, attrazione-rifiuto, romanticismobrutalità, forza-debolezza, peccatoespiazione, per approdare alla più raffinata delle opposizioni: la monoliticità del genere maschio per eccellenza contro la raffinata e REGIA Con Genere Distr. Durata ANG LEE Jake Gyllenhaal, Heath Ledger Drammatico, Colore Bim 134’ plasmabile struttura del mélo. Ma, ed è la scommessa vinta da I segreti di Brokeback Mountain, nessun genere prevale sull’altro e l’esito è un perfetto equilibrio esente da volgarità e inutili cadute di stile. E in questo bilanciamento tra le due anime, quella fordiana e quella sirkiana, si compie il miracolo di uno svelamento che in passato al massimo aveva trovato eco nelle sfumate esitazioni del Rock Hudson di Come le foglie al vento, o nelle paure tutte interiorizzate del Montgomery Clift di Fiume rosso. Anche qui, la macchina da presa lascia il più possibile fuori campo il materializzarsi dei sentimenti. E così, oggi come ieri, a sedurre e commuovere più di ogni altra cosa è il non detto. ANGELA PRUDENZI IN SALA CACCIATORE DI TESTE Costa-Gavras ai suoi massimi, con una black comedy sulla crisi occupazionale ANTEPRIMA THE RED SHOES Horror coreano visivamente impeccabile. Con qualche sbavatura Presentato in anteprima come film di chiusura della scorsa edizione del Festival di Taormina, Cacciatore di teste è uno dei migliori film mai realizzati da Constatin CostaGavras se non, forse, il suo capolavoro. Questo perché la fusione di generi e stili differenti fa di questa pellicola, una produzione unica capace di coniugare black humour a temi politici e sociali inquietanti ed emblematici per la nostra modernità sofferente. Tutto inizia quando un manager dell’industria della carta viene licenziato in tronco dalla sua società. L’impossibilità di trovare un altro impiego sottrae denaro e risorse alla sua famiglia borghese, che dovrà così fare i conti con indigenza e vergogna. Una miscela esplosiva che costringe l’uomo ad architettare un progetto di morte tanto assurdo quanto efficace. Dopo essersi aperto una casella postale anonima, fa finta di parlare a nome di una società del ramo della carta, facendosi inviare una serie di curricula per vagliare possibili concorrenti per un ambitissimo posto di lavoro che ha adocchiato. Inizia così ad uccidere tutti i potenziali rivali a sangue freddo e con tanta, tantissima fortuna. Mentre la famiglia sembra franargli davanti agli occhi, mette a segno un colpo dopo l’altro, eludendo la polizia, ma senza sfuggire ad un destino tanto cinico e beffardo. Diretto con grande senso del ritmo e dell’umorismo da Costa-Gavras, il film è interpretato dall’attore francese José Garcia che offre un ritratto tanto ironico quanto cinico dell’”assassino per caso”. Divertente, ma anche amaro, il film è una fiaba surreale sulla crisi dell’occupazione nell’Europa di oggi, che punta il dito contro gli interessi delle multinazionali e l’incapacità dei governi di gestire adeguatamente tali problematiche. Un dramma borghese dai toni agrodolci in cui le azioni del protagonista sono dettate da sentimenti quali umiliazione e disperazione dovuta alla mancanza di denaro. La privazione del lavoro equivale al depauperamento della dignità personale, come spiegano gli incontri del protagonista con le sue vittime, abbandonate ad un destino privo di valore umano. Un viaggio all’inferno senza sensi di colpa con un finale che sembra precipitare la società occidentale in una giungla d’asfalto dominata da astuzia e sopraffazione. Un apologo intenso e suggestivo per comprendere i rischi del nostro presente dominato dal materialismo. MARCO SPAGNOLI REGIA Con Genere Distr. Durata CONSTANTIN COSTA-GAVRAS José Garcia, Karin Viard, Ulrich Tukur Drammatico, Colore Fandango 122’ Il risultato è una fiaba surreale che punta il dito contro la moderna politica del lavoro Dimenticate l’originale ottocentesco di Hans Christian Andersen. Nella moderna rilettura del coreano Kim Yong-yu la fiaba cede il posto all’incubo, la magia all’ossessione. Fin dallo straniante incipit, protagoniste sono però sempre loro: le scarpette rosse del titolo. Due donne a una stazione della metropolitana. L’eco dei passi sulla banchina deserta. Una lite furibonda per un paio di scarpe incustodite e poi il tragico epilogo: una di loro finisce straziata dal treno in arrivo. Pregi, limiti e suggestioni del film sono già tutte in questi primi minuti. La struttura narrativa è involuta al punto da risultare spesso criptica e zoppicante. Se la trama soffre passaggi di poco fluidi, a sopperire è però un’estetica soverchiante. Fotografia virata, colori lividi, primissimi piani: dove la sceneggiatura non arriva, l’emozione passa tutta per le immagini. Le stesse fisionomie della protagonista e della figlioletta Tae-soo parlano dell’incubo in cui entrambe sono catapultate: un paio di scarpette assassine, che condannano chi le indossa a misteriose amputazioni degli arti inferiori. Ben lontano dallo splatter, il sangue che scorre a fiumi si fa invece quasi pennellata, nella tavolozza acida fotografata da Kim Tae-kyung. Il risultato è un microcosmo opprimente e ansiogeno, come soltanto i migliori horror estremo-orientali sono in grado di ricreare. DIEGO GIULIANI REGIA Con Genere Distr. Durata KIM YONG-GYUN Kim Hye-soo, Park Yeoh-ah Horror, Colore Medusa 103’ Gennaio-Febbraio 2006 RdC 67 iFilmDelMese LE CRONACHE DI NARNIA - IL LEONE, LA STREGA, L’ARMADIO Riflessione sulla natura umana in forma di fantasy. Per grandi e piccini “Questa sera la grande magia verrà appagata. Ma domani prenderemo Narnia, per sempre”. La strega Tilda Swinton è pronta a sacrificare il leone Aslan. Ma non sarà così: lei, che incarna il male e affligge il paese di Narnia con un eterno inverno senza mai un Natale, non riuscirà a prevaricare sulle forze del bene. Nel fantasmagorico film del neozelandese Andrew Adamson c’è il mitico armadio, che attraversiamo in compagnia dei quattro fratelli Pevensie. E c’è la cattiva Strega Bianca della fiaba di C.S. Lewis, “il cui viso - scrive l’autore - era bianco, non semplicemente pallido, proprio bianco come la neve o lo zucchero a REGIA Con Genere Distr. Durata IN SALA velo”. Le Cronache vanno oltre la realtà, rivolgendosi a tutti con un avvincente racconto fantastico. E narrano dell’innocenza, della tentazione, del gelo del peccato e del calore della bontà. Narrano, tra fauni, centauri e animali parlanti, di come il leone Aslan si sacrifica per salvare una vita, molte vite. Ucciso dalla Strega, risorgerà all’indomani per portare a Narnia la primavera, il bene, la pace. Una sottile allegoria cristiana pervade ANDREW ADAMSON Tilda Swinton, Georgie Henley Fantasy, Colore Buenavista 140’ tutte le pagine della saga. Lewis, e il film, non forzano sulle similitudini. Soprattutto, non rimangono una splendida avventura dell’immaginazione, ma diventano una riflessione sulla natura umana e sulle sue più profonde debolezze ed aspirazioni, quelle che ci appaiono quando abbiamo il coraggio, anche da adulti, di credere a un mondo nascosto oltre le ante di un misterioso armadio. LUCA PELLEGRINI JOYEUX NOEL - MERRY CHRISTMAS Commovente apologia della guerra e dell’odio fra i popoli. Da una storia vera Christian Carion, regista di Una rondine fa primavera, scrive e dirige Joyeux Noël, una pellicola ispirata ad una storia vera, che oggi ci appare tanto drammatica, quanto vergognosa. La vigilia di Natale del 1914, un gruppo di soldati prussiani, francesi e scozzesi impegnati a combattere in Francia trascorsero la Notte Santa scambiandosi le razioni alimentari, bevendo insieme e ascoltando la Messa. L’indomani, giocarono una partita a calcio e si dimostrarono un atto di pietà consentendosi a vicenda di seppellire i propri morti. I rispettivi comandi non presero affatto bene questo atto di lungimiranza e pacifismo e adottarono misure draconiane nei confronti dei loro sottoposti. Presentato alla scorso Festival di Cannes, il film è una coproduzione europea interessante e commovente. REGIA Con Genere Distr. Durata CHRISTIAN CARION Diane Kruger, Guillaume Canet Commedia, Colore Sony Pictures 103’ 68 RdC Gennaio-Febbraio 2006 IN SALA Un atto dovuto nei confronti dei morti dimenticati, sacrificati al fanatismo militare e all’insensato odio tra i popoli. Ottimo il cast, che annovera – tra gli altri - Diane Kruger, Benno Fürmann e Daniel Bruhl per i tedeschi, Guillaume Canet e Michel Serrault per i francesi, l’attore di Ken Loach e di Billy Elliot Gary Lewis per la Scozia. Nonostante alcuni difetti, una pellicola interessante e intensa in cui la follia della guerra si desume da grandi e piccole tragedie nonché da situazioni paradossali come il povero gatto che abita tra le due trincee e che viene chiamato in modo differente dai soldati dei due schieramenti. MARCO SPAGNOLI THE WHITE COUNTESS Amore e pudore a Shanghai. Da James Ivory, con un’ottima Natasha Richardson ANTEPRIMA Un amore muto. Lontano dai cliché e privo di retorica, ma vibrante e ricco di impercettibili sfumature. Le stesse che accompagnano tutto il film, nel suo raffinato tratteggio di personaggi e ambientazioni. Firma e stile sono del miglior James Ivory, qui alle prese con la Shanghai del ’36. Il Kuomintang di Chang-Khai Shek controlla gran parte del paese, ma la guerra civile imperversa e il nord è già in mano ai giapponesi. Quella che vediamo è tuttavia una città cosmopolita, sfavillante, distante anni luce da tutto ciò. Un turbinoso crocevia di politici, faccendieri, rifugiati di ogni nazionalità LA NARRAZIONE PROCEDE PER SFUMATURE IMPERCETTIBILI e provenienza. La macchina da presa spazia senza compiacimento da interni spogli a esterni minuziosamente ricostruiti, da salotti aristocratici a bordelli fumosi. E’ qui che Thomas e Sofia si incontrano per la prima volta. Lei è la White Countess del titolo: una nobile russa decaduta, costretta a prostituirsi per mantenere la famiglia. Lui un ex diplomatico americano, che ha perso vista e affetti in un incidente. Il loro appare fin da subito un incontro di sensibilità e solitudini: ciascuno a suo modo, sono entrambi insofferenti al ruolo a cui la vita li ha condannati. Lui, Ralph Fiennes, perde il suo sguardo cieco nel nulla, alla ricerca di un sogno che sa di avere soltanto dentro di sé. Anche per lei, un’impeccabile Natasha Richardson, parlano soprattutto gli occhi. Spenti, REGIA Con Genere Distr. Durata JAMES IVORY Ralph Fiennes, Natasha Richardson Drammatico, Colore Medusa 135’ sull’orlo del pianto, improvvisamente scaldati da un’inattesa speranza: le bastano quelli per delineare la sua parabola. La loro, anzi. Quella di un magnetico gioco di attrazione e repulsione, graduale avvicinamento e improvvisa ritirata. E’ questa la vera trama del film: la progressiva rivelazione (e liberazione) di due esseri umani prigionieri di se stessi e delle circostanze. Il tutto, lungo una esilissima traccia di indizi, che non lascia spazio a sbavature. I giapponesi sono intanto alle porte. Il “Sabato di sangue” di Shanghai si sta consumando. E seppure sul finale sembra affacciarsi qualche concessione melodrammatica, basti pensare che la prima carezza arriva dopo già più di due ore. DIEGO GIULIANI Gennaio-Febbraio 2006 RdC 69 iFilmDelMese IN SALA KING KONG Nel dramma dello scimmione un sottotesto mitico e divino. Parola di Tolkien IN SALA SAW II Sequel che non regge il confronto. Troppa azione uccide la suspense “Signori, questo è il mito!”. Una battuta rapida come un lampo, pronunciata all’inizio del film da Carl Denham, il regista che nel romanzo di Edgar Wallace si presenta con queste parole: “Sto per realizzare la più grande impresa della mia vita.” Gli fa eco, un po’ più avanti, Jack Driscoll, che sul ponte della “Venture” si confida con Anna Darrow e di fronte all’incerto atteggiamento della ragazza, per farle comprendere che le ha appena rivolto una dichiarazione d’amore, aggiunge: “C’è un sottotesto!”. Il “mito” e il “sottotesto”. Che significato possono avere questi due enigmatici messaggi? Dal Saint Michael College, università americana del Vermont, arriva il debole segnale di una ricerca appena iniziata che ci riporta agli anni ’50, alla Oxford di Viaggio in Inghilterra di Richard Attenborough, a Tolkien e a C.S. Lewis, autori rispettivamente del Signore degli Anelli e delle Cronache di Narnia, al circolo degli Inklings, club di studiosi dedito alla ricerca storica attraverso la letteratura, la filologia e la glottologia. Fra gli Inklings, proprio Tolkien e Lewis erano i più convinti sostenitori di Edgar Wallace e del suo King Kong. Assertori che la favola e il fantastico fossero strumenti che introducono alle vie del sacro, in quel lungo trattamento in chiave di romanzo 70 RdC Gennaio-Febbraio 2006 Tolkien e Lewis avevano individuato un “sottotesto” che andava letto attraverso la lente d’ingrandimento del “mito”. Il mito è il segno del divino che si intreccia con la storia dell’umanità; il mito è la “parola” con cui il divino entra in relazione con l’umano. Ma anche i generi letterari hanno origini antichissime: risalgono ai primordi della letteratura e sono la parola del poeta, l’uomo illuminato dagli dei, che diventa popolare e comprensibile a tutti. In King Kong, Tolkien e Lewis avevano colto un sottile sottotesto che passa attraverso il mito (il mito di Minosse, del Minatauro, ma anche di Andromeda incatenata a uno scoglio e offerta al mostro, di Aretusa, con Alfeo che solca il mare e si unisce ancora a lei, proprio come Kong a New York) e che tramite il mito invade i generi. Suggestivi indizi, che dimostrano quanto i mezzi tradizionali di indagine critica siano insufficienti e quante possibili varianti offrano i percorsi alternativi. King Kong potrebbe essere soltanto l’inizio. ENZO NATTA REGIA Con Genere Distr. Durata PETER JACKSON Naomi Watts, Jack Black, Adrien Brody Azione, Colore Uip 187’ Insieme a C.S. Lewis, l’autore del Signore degli Anelli era tra i più accesi sostenitori del romanzo di Wallace Un uomo incatenato di fronte a un monitor. Dallo schermo le sadiche istruzioni per avere salva la vita: con un bisturi deve scavarsi nella cavità dell’occhio e recuperare una chiavetta. Il timer ticchetta, ma lui non ce la fa. La morsa di ferro che gli imbriglia la testa scatta e gli frantuma il cranio. Sono le immagini shock con cui si apre Saw II, ritorno splatter de L’enigmista a un anno esatto dal suo convincente esordio. Tensioni e premesse dell’incipit si perdono però presto negli sviluppi. Il folle omicida del primo episodio è tornato a colpire con simili modalità: riunito un gruppo di ragazzi in un appartamento blindato, li soffoca gradualmente liberando del gas nervino. L’unica via di scampo è la soluzione degli enigmi a cui li sottopone. Il meccanismo, inatteso e vincente nel primo film, non regge però il confronto col precedente. Questa volta il regista Darren Lynn Bousman diluisce la caccia all’indizio in un’azione esasperata che uccide la suspense. Pur non mancando qualche buona trovata, anche la caratterizzazione dei personaggi risulta infine troppo scontata e patinata. Da menzionare, invece, l’enigmista del titolo: grazie all’interpretazione di Tobin Bell, risulta ancora più inquietante senza la maschera woodo. Per saltare sulla sedia, bisogna affidarsi a qualche scena sparsa: il forno crematorio, il salto nelle siringhe, la pistola nello spioncino… DIEGO GIULIANI REGIA Con Genere Distr. Durata DARREN LYNN BOUSMAN Donnie Wahlberg, Shawnee Smith Horror, Colore 01 Distribution 101’ INFO: 340.8312386 OK Telecomando Homevideo, musica, industria e letteratura: novità e bilanci dal cinema DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore Interviste al buio FOTO: PIETRO COCCIA Quelli dei titoli di coda. Volti, nomi e professioni di chi sta dietro le quinte Gennaio-Febbraio 2006 RdC 73 telecomando DVD Inside Cinema Libri di Alessandro Scotti SUSPENSE D’AUTORE Uno dei più famosi racconti di “fantasmi” di Henry James, diretto da Jack Clayton e sceneggiato da Truman Capote. Imperdibile Unico difetto, la banalità del titolo. Molto più espressivo l’originale, The Innocents, che fà riferimento al tema sotteso all’adattamento cinematografico del romanzo di Henry James Giro di vite (The Turn of the Screw, 1898). La regia di Jack Clayton (quello de Il grande Gatsby) è magistrale, così come la fotografia di Freddie Regia Jack Clayton Francis, vera e propria leggenda vivente (fra gli altri Elephant Man), Con Deborah Kerr, l’interpretazione di Deborah Kerr è Michael Redgrave, Meg Jenkins, Pamela priva di sbavature, e lo è anche la Franklin, Martin scelta del bianco e nero (ora è Stephens, Peter disponibile anche in versione Wyngarde “colorata”), interprete efficace dei Genere Thriller, giochi di ombre e luci che Colore Dolmen costituiscono il tessuto della trama del film. La sceneggiatura di William Archibald e Truman Capote, fedele alla versione scritta della storia, riesce ad esaltare personaggi e azioni curando ogni dettaglio. La storia ha un’ambientazione degna della tradizione letteraria britannica della gothic novel: in un maniero isolato nella malinconica campagna inglese, Miles e la sorellina Flora RARO CASO IN CUI LA PAURA E’ AFFIDATA AL SILENZIO 74 RdC Gennaio-Febbraio 2006 vivono con lo zio dopo la morte dei genitori. Convinto della necessità di garantire ai nipotini una guida e desideroso di alleggerirsi del fardello dei due bambini, lo zio assume una governante, l’inesperta Miss Giddons (Deborah Kerr). Ma ben presto Miss Giddons inizia ad avere strane visioni. Ne parla con la domestica, Mrs. Grose, dalla quale apprende l’orribile verità: si tratta dei fantasmi della precedente governante, Miss Jessel, morta suicida e di Quint, il guardiacaccia, trovato assassinato poco dopo. I due, che avevano esercitato una grande influenza sui bambini, erano stati protagonisti di una torbida e morbosa storia d’amore. Miss Giddons è convinta che Miles e Flora siano gli “ospiti” innocenti dei due amanti che cercherebbero una continuazione della propria vicenda. Ma è questa la verità? I bambini sono davvero così innocenti? Quanto del loro passato e dei misteri che aleggiano sulla tenuta pesa sul presente? E inoltre, quanto c’è di reale nelle visioni della governante? Non saranno i fantasmi degli amanti il frutto di sue ossessioni, di un suo disagio psicologico? È poi tanto improbabile che si tratti delle fantasie di una donna disturbata? La regia di Clayton suggerisce questa lettura a più riprese: nelle sequenze in cui si confondono i piani di sogno e realtà, cosí come nella scena di apertura: il colloquio fra Miss Giddons e lo zio in cui quest’ultimo fa riferimento a una qualità indispensabile per un’aspirante istitutrice, la fantasia... Sospeso fra dramma psicologico e film horror, Suspense è un film dai misteri “sospesi”; uno dei rari in cui l’effetto della paura è sapientemente affidato al silenzio. L’attuale edizione rimasterizzata (con audio inglese dolby 2.0) include una galleria fotografica, filmografie del cast e una selezione di immagini pubblicitarie originali. Colonne sonore Gennaio-Febbraio 2006 RdC 75 telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore LA BESTIA NEL CUORE Sabina, doppiatrice, una vita apparentemente serena. Ma durante l’infanzia una bestia le si è annidata nel cuore. E lì è rimasta, sopita dalla rimozione con cui la protagonista (Giovanna Mezzogiorno) si è salvata fino ad ora. Cristina Comencini affronta un tema spinoso come lo stupro in famiglia; una famiglia borghese come quella di Sabina. Il padre ha abusato di lei con la silenziosa complicità della madre e del fratello (Luigi Lo Cascio), in nome della compattezza della famiglia. Fra gli extra il commento della regista e del critico Mario Sesti. Heimat 3 Ferite e speranze di un popolo, nell’epilogo della monumentale saga di Reitz Regia Edgar Reitz Genere Drammatico Distr. Dolmen Arriva all’epilogo la saga tedesca di Edgar Reitz con quest’ultimo affresco della Germania a partire dal 9 novembre 1989 quando, con la caduta del muro di Berlino, le due repubbliche a lungo divise si riunificano per affacciarsi al nuovo millennio. Opera cinematografica e televisiva di largo respiro, il progetto nasce per il cinema nel 1984 per raccontare la storia della repubblica tedesca dagli anni che precedono la seconda guerra mondiale. L’attuale cofanetto propone l’ultima delle tre serie di Heimat (che significa “patria”, “casa”, intese come senso d’identità e di appartenenza) organizzata in vari episodi: Il popolo più felice della terra (1989), Campioni del mondo (1990), Arrivano i russi (1992-1993), Stanno tutti bene (1995), Gli eredi, (1997) Congedo da Schabbach (1999-2000) fino al conclusivo Cronaca di un cambiamento epocale (2004). Le ferite di un popolo diviso dalla Storia e di famiglie separate trovano finalmente una guarigione col frantumarsi del muro che apre un varco a commossi abbracci. In questo scenario si dipana la vicenda privata di Hermann Simon, direttore d’orchestra, e della ex violoncellista e ora cantante Clarissa Lichtblau. Si incontrano di nuovo dopo una lunga separazione e riprendono in mano la loro storia d’amore; il loro progetto di vita inizia adesso, con la decisione di ristrutturare una casa a Hunsrück, avvalendosi di manodopera proveniente dall’ex Repubblica Democratica. Non è difficile vedere nella loro storia privata lo specchio della grande Storia e nella casa sul Reno la patria a lungo divisa e finalmente di nuovo una. Sono i sogni di milioni di tedeschi nell’euforia di una nuova vita da costruire insieme.. HOTEL RWANDA Rwanda, 1994: ha inizio il massacro. Le milizie Hutu, storicamente oppresse dall’elite Tutsi, si preparano a sterminare i loro rivali. L’Occidente assiste al massacro bollandolo come una questione africana. Le forze delle Nazioni Unite presenti sono insufficienti ad arginare lo scontro. I pochi europei presenti vengono evacuati mentre Paul Rusesabagina, manager Hutu di un albergo di lusso, si espone personalmente offrendo rifugio a migliaia di Tutsi e Hutu moderati. Storia (vera) di Paul e dei suoi ospiti che, per mesi, hanno vissuto sotto assedio nell’Hotel Kigali. Extra-Ordinari a cura di Marco Spagnoli VITA DA STREGA Gag e commento audio rendono lo spirito di questa versione cinematografica. Più che remake di una serie tv, è la celebrazione di un fenomeno di culto. 76 RdC Gennaio-Febbraio 2006 SEVEN SWORDS EDIZIONE SPECIALE Film dello Spielberg d’Oriente Tsui Hark in edizione speciale. Fra gli extra spiccano scene tagliate, making of e uno speciale sull’arte della spada, “il wuxiapian”. KING KONG (1976) Nessun extra, ma – per la prima volta – la possibilità di ascoltarlo in inglese. Il remake prodotto da Dino De Laurentiis utilizzava una creatura realizzata da Carlo Rambaldi. MISTERY TRAIN Prestige Collection Memphis, Tennessee. Nell’arco di ventiquatt’ore si dipanano tre storie parallele, legate da intermezzi di brillante comicità e dallo scenario di una città (punto di riferimento della musica nera) che vive dei fantasmi del passato, tappezzata dalle foto di Elvis, degradata e squallida. Attento osservatore della casualità degli eventi e della sovrapposizione delle esistenze, Jim Jarmusch inscena con ironia ed eleganza, enfatizzando l’aspetto multilinguistico in funzione del messaggio di una società forzatamente cosmopolita. COFANETTO JOHN WAYNE Da Sentieri selvaggi di John Ford a Un dollaro d’onore di Howard Hawks: sei titoli riscoprono il vecchio west CHISUM Regia Andrew V. McLaglen Con John Wayne, Forrest Tucker, Ben Johnson, Bruce Cabot Genere Western SANGUE VIVO Al ritmo della “pizzicata”, scandito dai pezzi degli Zoé, in un paesaggio salentino rovente. Due fratelli, due esistenze: accomunati dalla durezza di vita e separati dalla morte del padre. Pino vive di contrabbando e di traffico di Albanesi; Donato, dopo aver abbandonato la band, cade nella droga e nella rete di un balordo. Il film di Edoardo Winspeare è duro come il paesaggio e sanguigno come la “pizzicata” dai poteri taumaturgici che cura le vittime del morso del temuto ragno. TRIPLE AGENT Romher si ispira a un vicenda realmente accaduta. 1936: in Francia il Fronte Popolare dilaga, in Spagna imperversa la guerra civile. Ambiguità e complessità degli eventi storici si incarnano nella vicenda di un ex generale dello zar, Fiodor, e della moglie greca Arsinoe sullo sfondo di una Parigi in gran fermento. Ma chi è e cosa cela dietro le apparenze di una vita apparentemente tanto ordinata? Per chi lavora? Chi orchestra gli intrighi internazionali, le grandi bugie, i veleni che scorrono minacciosi? RIO BRAVO Regia Howard Hawks Con John Wayne, Dean Martin, Walter Brennan, Angie Dickinson, Ricky Nelson Genere Western IN NOME DI DIO Regia John Ford Con John Wayne, Pedro Armendariz, Ward Bond, Harry Carey Jr, Jane Darwell, Mae Marsh Genere Western QUEL MALEDETTO COLPO AL “RIO GRANDE EXPRESS” Regia Burt Kennedy Con John Wayne, Ann Margret, Rod Taylor, Ben Johnson, Ricardo Montalban Genere Western SENTIERI SELVAGGI Regia John Ford Con John Wayne, Jeffrey Hunter, Vera Miles, Ward Bond, Natalie Wood, Harry Carey Jr., Patrick Wayne Genere Western LA STELLA DI LATTA Regia Andrew V. McLaglen Con John Wayne, Gary Grimes, George Kennedy, Harry Carey Genere Western Distr. Warner Home Video Cowboy e deserti rocciosi, saloon, duelli al rallentatore in strade polverose: John Wayne è l’icona incontrastata della frontiera americana. Un confanetto ripercorre le tappe fondamentali della carriera di un mito che, in quarant’anni, ha alimentato l’immaginario collettivo sul mondo dei pionieri del nuovo continente. Sei film di grande successo più una monografia tracciano altresì un pezzo di storia di uno dei generi più popolari del cinema. In nome di Dio diretto da John Ford nel ’48, narra la storia di tre banditi in fuga e di una donna moribonda che gli affida il suo piccolo. Uno dei tre riuscirà a portare in salvo il bambino; una storia già frequentata dal cinema ai tempi del muto e stemperata da Ford con repentini alleggerimenti di tono. Ed è ancora Ford, nel 1956, a dirigere Sentieri selvaggi da un romanzo di Alan Le May. Sullo sfondo della guerra civile Ethan Edwards (Wayne) è un solitario ossessionato dall’odio razziale che si mette alla ricerca di Debbie, la nipotina rapita dai Comanche. Tra i più riusciti di Ford, Sentieri selvaggi va ben al di là della vicenda condita di elementi tragici e comici che convivono secondo le regole di genere: il viaggio di Ethan Edwards è soprattutto un viaggio per ritrovare se stesso. Nel 1959 esce Un dollaro d’onore. Howard Hawks è dietro la macchina da presa che ritrae lo sceriffo John T. Chance alle prese con una banda di malviventi che cercano di liberare un compagno dal carcere. Lo sceriffo è affiancato da un vecchio claudicante e da un ragazzino particolarmente dotato per la pistola: personaggi straordinari e umorismo ben dosato. In Chisum diretto da Andrew V. McLaglen nel ‘70, John Wayne veste i panni di John Simpson Chisum, più noto come Lincoln County Cattle War, alias Barone del Bestiame: allevatore americano vissuto fra il 1824 e il 1884. Suo nemico è un corrotto uomo d’affari. Nel ’73 il non più giovane Wayne aiuta una donna a recuperare il tesoro rapinato dal defunto marito; il tutto per una promessa di ricompensa di 50.000 dollari. Ma i complici del marito si fanno vivi e non certo animati da pacifici propositi. Il film si intitola Quel maledetto colpo al Rio Grande Express. Nello stesso anno Andrew V. McLaglen dirige nuovamente John Wayne in La stella di latta, dove uno sceriffo (interpretato da uno Wayne straordinariamente calato nel personaggio) aiutato dall’amico Cervo Nero, cerca di tirar fuori dai guai i due figli che si sono fatti coinvolgere in una rapina. La ricca monografia tra gli extra è un pezzo di storia del cinema Gennaio-Febbraio 2006 RdC 77 telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore ECONOMIA DEI MEDIA DI FRANCO MONTINI Europa? Ni, grazie L’Italia della tv si fa beffe delle normative comunitarie. Con autocertificazioni, assurdi giuridici e una legge che penalizza il cinema Ma l’Italia fa parte dell’Europa? Alla luce di quanto accade nel settore televisivo, la domanda è meno pleonastica di quanto potrebbe sembrare. Il nostro paese, infatti, continua ad ignorare una serie di normative comunitarie, ideate per salvaguardare e promuovere la produzione di cinema e fiction del vecchio continente. In un recente studio, realizzato per conto della Commissione Europea dalla David Graham and Associates Limited, relativo all’applicazione della cosiddetta direttiva comunitaria “Televisione senza frontiere” è emersa una evidente dissonanza fra le norme europee e la legge Gasparri, che regola il settore televisivo nel nostro paese. La direttiva comunitaria prevede che le reti siano obbligate a riservare alle 78 RdC Gennaio-Febbraio 2006 produzioni europee “la maggior parte del loro tempo di trasmissione, escluso il tempo dedicato a notiziari, manifestazioni sportive, giochi televisivi, pubblicità e televendite”. Ma la legge Gasparri introduce nel computo anche i dibattiti, ovvero i talk show, un genere che, in termini quantitativi, rappresenta una grossa fetta della programmazione televisiva. “La conseguenza - commenta l’avvocato Giuliana Aliberti, esperta di problemi audiovisivi e già autrice di un ricorso alla Commissione Europea per il rispetto della direttiva “Televisione senza frontiere” da parte della legislazione italiana, regolata all’epoca dalla legge Mammì - è che il tempo da destinare alla programmazione di produzioni europee, film e fiction, si riduce sensibilmente. Continuando a sottrarre tempo utile alle quote di riserva, di fatto si svilisce la filosofia e il funzionamento della direttiva europea, che statisticamente ha creato un autentico sviluppo della produzione audiovisiva nei paesi europei dove è stata applicata con maggior rigore”. Dovendo destinare ampie quote di programmazione alle produzioni del vecchio continente, le reti televisive sono, se non proprio obbligate, quanto meno incentivate a produrre. Più ore si devono coprire, maggiori saranno gli investimenti nella produzione. Ma nel nostro paese sembra che nessuno si sia accorto dell’infrazione contenuta nella legge Gasparri: a tutt’oggi né singoli produttori, né alcuna associazione di categoria ha presentato esposti alla Commissione Europea per denunciare questa difformità legislativa e chiedere la tutela dei propri diritti. In ogni caso, di fronte alla dissonanza rivelata, la Commissione Europea potrebbe decidere di avviare una procedura d’infrazione nei confronti del nostro paese, anche perché a subire le conseguenze negative della legge Gasparri non sono Il rispetto dei parametri previsti costringerebbe il settore audiovisivo a produrre di più soltanto i produttori italiani, ma gli europei in genere. “Per ciò che riguarda l’Italia aggiunge la Aliberti - il problema è che il settore è caratterizzato da un’illegalità diffusa. Basti pensare che l’Autorità per la Garanzia delle Comunicazioni, cui è demandato il compito di vigilare affinché le quote di diffusione per il prodotto europeo vengano rispettate dalle reti, anziché controllare direttamente, si affida alle autocertificazioni. Un vero assurdo giuridico. Senza contare che nel regolamento dell’Autorità per la Garanzia delle Comunicazioni è previsto che “qualora più canali televisivi appartengano o siano controllati da un unico soggetto, la quota di riserva a favore delle opere europee viene determinata sulla programmazione complessiva dei canali stessi”. Ciò significa, per esempio, che se Canale 5 supera la quota europea, Italia 1 può abbassare la propria. Ma anche una norma del genere è visibilmente in contrasto con la normativa comunitaria”. Intervenire con rapidità, ristabilendo regole precise e verificandone l’applicazione, sarebbe auspicabile anche in relazione alle difficoltà del cinema italiano, derivate dai consistenti tagli al Fus, imposti dalla Finanziaria 2006. In attesa di individuare attraverso nuovi meccanismi, tipo tax shelter, risorse alternative ed aggiuntive all’intervento pubblico, basterebbe introdurre concretamente la direttiva europea “Televisione senza frontiere” e far rispettare la legge Gasparri circa le risorse da destinare alla produzione di cinema. Obbligate a produrre, le reti televisive, infatti, tendono a privilegiare la produzione di fiction rispetto ai film. La fiction nazionale ha fatto registrare nelle ultime stagioni un crescente successo, ottenendo ascolti clamorosi ed espellendo dal “prime time” l’analoga produzione americana, mentre il nostro cinema, le cui risorse sono ampiamente insufficienti, non riesce a decollare. CAST & CREW DI MARCO SPAGNOLI Doppiare un ruggito Il caso Narnia e non solo: trucchi e segreti di casa Buena Vista Roberto Morville, Creative Director di Buena Vista, è il responsabile di tutte le edizioni italiane dei titoli Disney. “Ci occupiamo della traduzione, l’adattamento, la scelta delle voci giuste spiega -. Ogni produzione presenta però una serie di difficoltà come espressioni idiomatiche e termini tecnici. Il lavoro viene poi affidato alla società di doppiaggio, i cui attori abbiano le caratteristiche vocali migliori per le esigenze del film o della serie tv. La nostra responsabilità è tutelare la qualità a tutti i costi”. Quali possono essere le difficoltà? Omar Sharif, voce di Aslan ne Le cronache di Narnia, ad esempio, non aveva mai doppiato. Nonostante fosse appena stato colpito dalla Fatwa per il ruolo di San Pietro, ha lavorato con noi con grande entusiasmo. Come ha scelto le voci di una serie Roberto Morville di culto come Desperate Creative Director ISTRUZIONI PER L’USO Housewives? Volevamo un coro di voci femminili differenti, ma dall’identità ben precisa. La cosa più complicata è stata la voce off di Emanuela Rossi, che doveva recitare in maniera ironica, ma mai frivola. Qualche consiglio per i giovani? E’ fondamentale vedere tanti film in originale e viaggiare entrando profondamente a contatto non solo con la lingua, ma anche con la mentalità di un posto. E la tecnica? Quella si impara: il mondo del doppiaggio è un po’ chiuso, ma insistendo si può provare a fare pratica sul campo. Purtroppo non ci sono le scuole e iniziano a mancare le grandi voci. Per questo c’è spazio per i giovani di talento. E adesso? Siamo già al lavoro su Cars, il nuovo film Pixar: una sfida molto interessante e divertente. Indirizzi e raccomandazioni, per provarci senza fare una brutta fine CHI DOPPIA MUORE? Quattro le voci italiane di Sean Connery, tra cui Pino Locchi e Sergio Rossi. Tutti defunti. “Ora lo doppiano De Ambrosis e Merli - dice Morville -. E stanno tutti e due molto bene…”. VOCI MEMORABILI Walter Veltroni ha doppiato il tacchino sindaco nell’animazione Chicken Little. Laura Morante e Amanda Lear Gli Incredibili, le Iene Kessisoglu e Bizzarri Le follie dell’imperatore. COMINCIARE DAL WEB Qualche link utile per saperne di più sul doppiaggio in Italia. www.aidac.it/homed.html www.asinc.it www.alerossi.com www.antoniogenna.net/ doppiaggio/doppiaggio.htm Gennaio-Febbraio 2006 RdC 79 telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore di Francesco Bolzoni Pagine di cinema Prima messo in ombra da Truffaut e Godard, poi osannato per Il raggio verde. È il caso Rohmer: regista atipico, oggi svelato in un catalogo (e una rassegna) Festa grande, a France Cinéma di Firenze, per Eric Rohmer (nome d’arte di Jean-Marie Maurice Schérer, nato nel 1920). A lungo professore di lettere classiche, l’alsaziano Rohmer venne prestato alla critica cinematografica (redattore capo con Lo Duca dei Cahiers du cinéma dal 1959 al ’63) prima di sposarsi con la cinepresa. Il suo cinema non deve molto ai “maestri” (Rossellini in testa) che Rohmer e gli altri corsari della “nouvelle vague” contribuirono a far conoscere meglio. Meno irruento di Godard, meno amabile di Truffaut, Rohmer rimane a lungo un regista per pochi amatori. All’inizio, nei sei Racconti morali, il suo è un “cinema di conversazione” incentrato su tre personaggi (un uomo tra due donne); poi, con Commedie e proverbi, si apre a uno sciolto dettato sui turbamenti di fanciulle in fiore; si contrae in due film influenzati dalla letteratura, La marchesa von… (1976) e Perceval (1978); si intenerisce di nuovo nei Racconti sulle quattro stagioni per giungere, nel 2001, a La nobildonna e il duca, ripensamento, ma non “revisione”, della Rivoluzione Francese. Non numerosi ma ostinatamente fedeli i rohmeriani, alla cui guida si può porre Aldo Tassone, l’inventore di quel “France Cinéma” che ogni anno propone da noi il meglio della produzione di Francia, se non altro per le tante, vivaci, interviste inedite pubblicate nel catalogo 2005 della manifestazione fiorentina. In maggioranza i saggisti italiani Molto attento alla parola, pareva invece disinteressarsi quasi completamente alla cinepresa 80 RdC Gennaio-Febbraio 2006 scoprirono Rohmer grazie a La mia notte con Maud e, da allora, non lo abbandonarono più, nonostante il regista non sia mai diventato una “passione” per i cinefili. Si potrebbe sostenere, a ragion veduta, che Rohmer è un cineasta sconosciuto (o quasi) in Italia; ed è un buon segno che la retrospettiva fiorentina sia stata prenotata da otto città. Quale sia il segreto della suggestione dei film di Rohmer non è facile da spiegare. I suoi dialoghi sono rapidi quanto lo spostarsi della pallina in uno scontro a ping pong, eppure insistono su questioni filosofiche e religiose. Attento alla parola Rohmer pare disinteressarsi della cinepresa. Ordina una sola ripresa, qualche volta ne fa due, e lascia il massimo di autonomia agli attori. Spiega Tassone: “ Rohmer vuole la cinepresa fissa, ad altezza di sguardo, come Hawks. Rifugge dai movimenti lambiccati, sono gli attori a muoversi, la cinepresa è in funzione di loro, dagli attori esige il massimo della spontaneità. Dice: cerco di indurli a ritrovare la naturalezza della vita quotidiana”. La collezionista. Nella pagina accanto Perceval e, sotto in senso orario, La fornaia di Monceau e lo stesso Rohmer Gennaio-Febbraio 2006 RdC 81 telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore di Alessandro Scotti Visto da vicino KING KONG Regia Peter Jackson Musica James Newton Il primo King Kong (1933) aveva una musica (di Max Steiner) sobria e severa; il secondo (1976) una (di John Barry) un po’ più gonfia; il terzo, quello attuale, scoppia di immagini e di suoni. Incaricato della colonna sonora James Newton Howard, uomo per tutte le stagioni, commedia, tragedia, avventure, fantasy, tutto quel che occorre. Tra i suoi film c’è anche Dinosauri (1999), un pasticcino mignon al confronto con l’attuale risultato, dove agli animali antidiluviani si accompagna lo storico gorillone. E allora dai, giù con la musicona d’effetto basata sull’enfasi, sulla grancassa come quella per attirare la gente nel baraccone della fiera, corni, tromboni, percussioni ed elettronica. Tutto troppo, una presenza asfissiante che non dà tregua: i rarissimi istanti di silenzio sono boccate d’ossigeno che purtroppo durano poco. Tutto celebra il grandioso, tutto è mastodontico, roboante: ad ogni apertura dell’immagine (su paesaggi, su situazioni, ecc.) ecco la sottolineatura incalzante. Anche le immagini sono incombenti e dilatate, è vero; forse però si poteva contenerne l’impatto spesso fastidioso usando il pantografo almeno nel soundtrack. E usare meglio (ci sono solo accenni) la musica da music-hall che apre la vicenda e torna nella sequenza più spiritosa, quella dei “numeri” da varietà offerti dalla Bella per ingraziarsi la Bestia. Che dal canto suo gradisce. Le musiche ad effetto di Howard non concedono tregua e respiro Per tutti i gusti ZUCKER Che musica volete ci sia in un film che gira attorno all’ebraismo? Ovviamente “klezmer”: bandetta metà esotica metà balcanica, con violini petulanti, bombardino a segnare il ritmo e così via. Obbligatorio sì, ma occorre riconoscere che il tedesco Niki Reiser, in chiave col tono ironico del film, scherza, legittimamente, sui motivi seri. 82 RdC Gennaio-Febbraio 2006 Senza senso BROKEN FLOWERS MR. & MRS. SMITH Il film funziona solo se lo si prende sul ridere. E la musica collabora. Dopo una serie di tocchi, borbottii e note pizzicate, John Powell sottolinea con ritmi a balzelloni momenti come quello in cui la padrona di casa estrae pistole e bazooka dal vano dietro la batteria delle pentole in cucina. E nessuno a questo punto può avere più dubbi. A HISTORY OF VIOLENCE Il canadese Howard Shore è da sempre complice del compatriota Cronenberg. In contrasto con la violenza del racconto, adotta una musica pacata, a note “larghe”, anche dopo sparatorie e sangue. Pare incongruo, invece la chiave sonora funziona a meraviglia, lasciandoci dubitare della verità dei fatti e delle ambiguità della tranquilla provincia. Regia Jim Jarmusch Musica Mulatu Astatke La stranezza è voluta? Nelle musiche di un film che è la chiara parafrasi del mito di Don Giovanni non c’è alcun accenno all’opera mozartiana di tale titolo. E proprio mentre si scatenano le celebrazioni per il 250° anniversario della nascita di Amadeus! Oltre che via satellite con Sky (canale 818) e diverse emittenti locali, SaT 2000 imbocca l’autostrada del digitale terrestre attraverso il multiplex Rai.Tre diversi percorsi, dunque, ma una stessa tv, una stessa ispirazione, uno stesso stile a cui restare fedele con determinazione: essere sempre di più una tv oasi, di respiro, che prende sul serio il suo pubblico e non vede l’ora di coinvolgerlo con l’interattività. Una tv che non si accontenta. Una tv differente, dai mille interessi. Una tv che inaugura una stagione decisamente nuova, ringiovanendosi nei programmi e nei volti: sono appunto cinque giovani ad accompagnare l’intera giornata con interventi in diretta tra un appuntamento e l’altro per rendere accogliente la programmazione di SaT 2000, dare consigli utili, raccontare curiosità, rispondere a una lettera. Informazione, quindi, accanto ad approfondimenti, documentari, intrattenimento culturale, grande musica, fiction. La stagione è davvero nuova perché il digitale terrestre rende possibile il dialogo diretto con i telespettatori, che possono farsi ascoltare e offrire subito il proprio punto di vista. www.sat2000.it rosanna seregni e istituto luce presentano di krzysztof zanussi zbigniew zapasiewicz nikita mikhalkov jerzy stuhr daniel olbrychski c o n l a p a r t e c i p a z i o n e s t r a o rd i n a r i a di victoria zinny e remo girone SINTRA MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI WWW.LUCE.IT dal 3 febbraio al cinema