è oltre la logica della reciprocità. Il discepolo di Gesù sta davanti all’altro,
cammina con l’altro, lo riconosce, anche se non riconosciuto.
Terzo “il verbum”, la parola, Gesù è il logos, è la parola, che cammina con
me. Vi è la parola di mezzo, il parlarsi, essere bocca all’altro, ed essere
orecchio alla parola dell’altro. Ecco allora questa relazione dialogica nella
vicinanza, nell’empatia: mi immedesimo nel racconto dell’altro e nella
critica so discernere ciò che è bene e ciò che è male
Quarto la categoria del “sub”, la sottomissione; attenzione questo è un
discorso importante, noi ci chiediamo sempre: “come mi colloco davanti
all’altro?”
Allora devo stare attento a come Dio in Gesù si colloca davanti a me.
Guardate, è ora che la smettiamo di dire “dobbiamo stare in ginocchio
davanti a Dio”. Il fatto è che Dio in Gesù sta in ginocchio davanti a noi. La
lavanda dei piedi! E’ il servizio del nostro bisogno, della nostra gioia, ed è
la giusta collocazione, non con i piedi sulla testa degli altri. Non con le mani
e sul corpo e sulla coscienza degli altri, ma ai piedi degli altri; quando si è
in basso si vede bene il bisogno dell’altro. Questa è la giusta collocazione.
Ogni mattina, quando uno si alza, va per la strada, sta davanti all’altro, con
l’altro, parla all’altro, felice di essere al servizio del bisogno e della gioia
dell’altro. Ecco che l’individuo recupera l’altro, l’io recupera il noi, il “mio”
recupera il “nostro”. Tanto è vero che come Dio è di tutti, padre nostro, così
il pane, il bisogno e la gioia dell’altro è di tutti, il pane è nostro; chi di noi si
sente di dire “dacci oggi il mio pane e non il nostro pane”? E poi l’ultima
categoria e ho concluso: l’essere a vantaggio dell’altro. Anche qui il credo
“per noi e per la nostra salute”.
Tempo della crisi. Nel tempo della crisi rientra in te stesso, diventa uomo di
domanda, di ricerca, di invocazione, di attesa; ecco quello che dico sempre
a voi giovani, ritornate creature di domanda, di ricerca, di invocazione, di
invocazione e di attesa. Aspetto che
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Centro Studi “Agnese Baggio”
p. Giancarlo Bruni
della Comunità di Bose
“Com’è profondo il mare”
il bisogno di spiritualità nel nostro tempo
Iniziamo questo incontro in amicizia e in tranquillità per dirci alcune cose.
Io sottolineo subito una cosa: se mi accorgo che qualcuno o qualcuna si
appisola abbasso il tono della voce perché non voglio assolutamente
sprecare la sua tranquillità; è così raro dormire che quando si vede uno a
farlo vien da dire “finalmente qualcuno dorme”.
La crisi dei miti fondatori dell’Occidente
Partirei così: bisogna stare attenti al linguaggio abusato, perché la realtà è
che oggi parliamo di crisi. Anche qui un briciolo di umorismo non fa mai
male ed io penso sempre a quel grande scrittore italiano così pieno di
aforismi, che era Ennio Flaiano. Tutte le volte che noi diciamo “siamo ad
una svolta epocale” “siamo in crisi”, lui raccomandava “aggiungete: come
sempre”. Per far capire che in fondo ogni generazione ha il suo tempo di
crisi; la crisi è un dato reale, allora bisogna anche, a questo punto, per
quanto ci è dato, dare nome alle cose. Crisi, questa parola che vuol dire
semplicemente distinguere, giudicare e quindi scegliere in base a più o
meno avvertite e puntuali motivazioni, discernere il segno del tempo, segno
del tempo che è la crisi.
2
Ma crisi di chi? Di che cosa? Quale crisi? Questa è la prima domanda. Io
credo che, detto in sintesi, - e io qui riassumo dei discorsi culturali che si
stanno facendo - credo che siano in crisi i miti fondatori dell’Occidente e i
miti fondatori dell’Occidente li possiamo dire in 4 nomi: la Potenza,
l’Identità, la Proprietà e il Sacrificio. E’ quindi una crisi di civiltà. La nostra
civiltà è fondata su questi pilastri.
Il Potere: dirige la vita chi ha il potere. L’altro grande pilastro è l’Identità.
L’identità è pericolosissima perché l’identità rischia di essere un fatto
esclusivo ed escludente. Quindi è la mia identità, ad esempio, occidentale, è
la mia identità, ad esempio, religiosa, è la mia identità culturale, è la mia
identità economica che può diventare esclusione di chi non riconosco nella
mia identità, nei principi, nei codici che mi identificano.
Noi viviamo in questa crisi del potere da un lato e di crisi del principio del
potere e del principio di identità dall’altro. Il nostro principio di identità è
messo in crisi dal fatto che ormai la globalizzazione è la globalizzazione di
religioni, di culture, di colori, di pelli diverse; allora la tentazione è di
ritenere esclusiva la mia identità e di escludere. Legata a questa è la crisi
della proprietà; questo territorio è mio, questa ricchezza è mia, tanto è vero
che abbiamo insistito su questo ‘mio’ e abbiamo, per questo mito della
proprietà, che ormai le nostre città, le nostre vite, se stiamo attenti, sono
tutte recintate, noi viviamo nella società di attenti al cane. Qui mi rivedo
ragazzo, bambino proprio, in un mondo che era quello che era, allora il
mare dove abitavo, quindi la Versilia, quelle zone era “le macchie”, come si
diceva, erano libere.
Oggi c’è spiaggia pubblica quei 4 metri quadrati, dove è indecoroso andare
e tutto è un'altra cosa. Quindi anche il concetto di proprietà, con questa
esasperazione del mio o del nostro circoscritto, sta entrando in crisi forse.
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spirito santo” e poi aggiungiamo “credo la Chiesa cattolica” vuol dire ‘se tu
davvero hai dentro di te questo spirito, questo spirito, che è spirito di
comunione, ti costituisce una creatura cattolica, cioè ”universale”, che ha in
sé lo spirito di Gesù, è universale, guarda la realtà con questi occhi.
Tutti siete degli amati, tutti sono da amare, tutti sono amati di un amore
eterno, per cui il Dio di Gesù non è un Dio etnico, non è un Dio che esclude,
non è un Dio che fa preferenze e quindi questa dilatazione della mente è
questa dilatazione del cuore. E’ questo saper cogliere ovunque, in ogni
racconto laico e religioso, saper cogliere, come dice la lettera ai Filippesi,
quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile e onorato. E’ lo stare quindi
davanti agli altri in una precisa maniera. Come stare davanti agli altri,
chiunque essi siano?
Il rapporto con l’altro nell’economia e nelle istituzioni
Cinque piccole preposizioni. Il “davanti”, quando io dico “ho iniziato da
questo amico” alla lettura di me come amato inviato ad amare e amato per
sempre, sto davanti all’altro, ma stare davanti all’altro vuol dire che l’altro
lo riconosco, questa è la spiritualità della relazione. Lo riconosco come altro
da me, come unico, come irripetibile, come inviolabile chiunque esso sia, è
un altro da me, riconosciuto nella sua inviolabile alterità. L’altra categoria è
il “con”, con l’altro. Gesù, si chiama Emanuele “Dio con Noi”. L’altro da
me lo leggo come compagno di viaggio, chiunque esso sia, come compagno
con cui condividere il pane, condividere la fatica della vita e la gioia della
vita; con l’altro, facendo strada con lui, indipendentemente da ogni merito
che abbia o non abbia; un camminare che include giusti e ingiusti, ebrei e
stranieri, un camminare insieme radicale, fino a dare la vita. E’ un
camminare insieme disposto allo scacco del non essere riconosciuto; il mio
riconoscerlo non dipende dall’essere riconosciuto,
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che è non imporre niente a nessuno e che è il non pretendere che gli altri ti
credano, dopo la pretesa che gli altri ci devano credere. Il fanciullo è colui
che dice “ho una buona notizia, vado dai miei coetanei e gliela racconto e
basta così; in assoluta non violenza perché poi questo amico me lo fa capire,
ricordati che queste cose hanno senso solo nella libertà. Io sto alla porta e
busso, se qualcuno mi apre, verrò a lui e cenerò con lui, se qualcuno mi
apre; questa è la differenza fra il Dio di Gesù e l’idolo. L’idolo è il senza
‘se’. Il Dio di Gesù è ‘se’; “se accetti la mia compagnia, se non accetti la
mia compagnia, ti guardo con amore, piango perché hai perso un amico, me
ne vado altrove, non ti incendio e non ti mando all’inferno”. Per cui nel Dio
di Gesù, ecco il discernimento, vi è un dato di fatto - e questa è la differenza
con i fondamentalismi cristiani - che in Dio vi è un limite invalicabile, il
limite invalicabile di Dio è la coscienza dell’uomo. Dio non varca mai la
porta della coscienza se qualcuno non l’apre, non si permette, la coscienza è
il limite di Dio.
Il contemplativo è l’indice, la memoria di una identità che si racconta in
forma bella e buona, in uno stile senza pretese. Il contemplativo cristiano
non ha la pretesa che Dio ami solo lui, ma è colui che dice “non sono che un
frammento, indice dell’amore di Dio per tutti, al punto di dire poi, se ama
me figurati gli altri!”.
Quindi nessuna pretesa di esclusività; è straniera ogni logica escludente.
Nessuno è sottratto a questo atto d’amore del padre, apparso questo atto
d’amore nel figlio e di cui siamo chiamati ad essere prolungamento. Questo
amare senza escludere nessuno, amici, ripeto, nemici, buoni e cattivi, della
mia religione, non della mia religione, della mia e non della mia etnia, anzi
dicendo come mi ha insegnato Gesù “padre nostro” vedo negli altri,
chiunque essi siano, dei figli amati da Dio, verso cui ho il debito dell’amore
e dei figli amati per sempre. Vedete quando noi nel credo diciamo “credo
nello
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Poi l’idea del sacrificio. In fondo il potere, l’identità esclusiva ed
escludente, la proprietà, il proprio, l’io non il noi, il mio non il nostro,
hanno generato sacrificio, il sacrifico degli esclusi, ma anche il sacrificio di
quelli che escludono, al punto che è difficile alla mattina uscire di casa e
chiedere a uno come sta, è pericoloso. Quindi c’è questo sacrificare gli altri
e questo creare sacrificio. Questo concetto di sacrificio che poi, in nome
della potenza, in nome dell’identità, in nome della proprietà, ha portato alla
ritualità sacrificale. Dunque pensiamo i nostri monumenti ai caduti. Cosa
sono i monumenti ai caduti? Sono riti che cercano di elaborare il complesso
di colpa per avere mandato al macello e continuare a mandare al macello
tanta gente, soprattutto i giovani. In nome di che cosa? Della potenza, della
identità, della patria e della proprietà.
Desideri ed economia a servizio dei desideri
E capite questa crisi di civiltà. Poi c’è un’altra crisi a cui è stato accennato,
mi permetto di accennarvi brevemente. E’ la crisi di questa che
culturalmente chiamavano la post-modernità. In fondo io faccio parte di una
generazione e ripenso al mio ’68, questa data un po’ mitica. In fondo alla
fine che cosa ha visto? Ha visto semplicemente la soggettività di desiderio,
la soggettività di desiderio, di affermazione dei propri impulsi vitali.
L’individuo, con i suoi desideri, è il nuovo soggetto storico. L’individuo
con i suoi desideri oggi è il vero soggetto storico, a scapito della comunitas
e di ogni orizzonte di senso della storia umana. Oggi quello che conta è
l’individuo con i suoi desideri. Ecco perché io qui faccio un discorso
culturale non banale. Ecco perché il vero vincitore del ’68 è Silvio
Berlusconi, perché è l’affermazione dell’individuo con il suo desiderio e
non c’è legge nei confronti di questo. Mi raccomando, non voglio entrare in
politica, il mio discorso
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è riferito all’individuo al cui servizio è l’economia. L’economia è al servizio
dei desideri degli individui; si richiamano a vicenda. Questa prospettiva ha
vinto al punto tale da superare i suoi iniziali caratteri trasgressivi contro le
autorità, che ne minavano il successo; ormai questa vittoria è totale; è stata
la vittoria sui genitori, è stata la vittoria sulla scuola, è stata la vittoria sui
partiti, è stata la vittoria sullo stato, è stata la vittoria sulla chiesa.
Oggi è così che può essere considerata questa liberazione, la grande
rivoluzione del ’68, e ciò che ha portato negli anni successivi: è stata la
liberazione del desiderio. Del desiderio come fatto culturale, per cui “è
vietato vietare”. Questo desiderio è il padrone reale del tempo in cui
viviamo, è dotato di potere effettivo ed è un diritto. Il mio desiderio è
sovrano nel suo potere di determinazione dei prodotti di acquisto di beni
materiali, della salute, della cultura, della stessa religione, che è soggetta al
desideri, che è sovrano. “Desidero dunque sono” e il mio desiderio è
sovrano, stabilisce che cosa e non che cosa, e non può essere sottomesso a
legge alcuna, perché non è sindacabile giuridicamente. Il mio desiderio è
legge ed è legge insindacabile.
Vi dò un esempio banale ma che aiuta a capire. Pensate al fenomeno
dell’omosessualità; da fatto nascosto a un certo punto diventa un fatto che
dice “ho il diritto di cittadinanza”, diventa un fatto pubblico e poi da fatto
pubblico diventa un fatto di diritto, “devo essere riconosciuto
giuridicamente”. Quindi la mia situazione, il mio desiderio è insindacabile,
la mia situazione, il mio desiderio deve essere riconosciuto, come hanno
riconoscimento giuridico altre situazioni; non è sindacabile moralmente,
non è sindacabile giuridicamente. Il desiderio è sovrano.
Ora vediamo quindi una situazione in cui entra in crisi qualcosa, ed entra in
crisi questa percezione. Ma l’economia e l’individuo possibile che siano le
due uniche categorie in campo?
giorno che ti è stato dato guardando con amore chiunque incontri. Allora
uno comincia a dire “questo è un senso della vita”
Dove andremo? Io, prima di abbandonare un amico così, ci penso tre volte.
Sotto il sole non è che abbia trovato molte persone che mi abbiano aperto al
senso della vita così, che mi diano un nome di amato, che mi diano un
compito di amare come amato.
Questa è la spiritualità cristiana: sei un amato, inviato alla terra per amarla
come amato e amato di un amore eterno.
L’eros si Dio è più forte di thanatos, è più forte della morte. Per cui vedete
quando io faccio questi discorsi e mi dicono “tu sei matto”, guardate che un
uomo sufficientemente razionale ha tutto il diritto di dire che io sono matto
ed ha ragione, ma questa è la follia del Cristianesimo. Questo è lo scandalo
del Cristianesimo e tra gli uomini non dobbiamo cercare consenso. Noi
nella vita umana dobbiamo stare attenti a non privare l’uomo, proprio
perché lo amiamo, di questa follia, di questo scandalo, di questa
esagerazione. Nicholas Cabasilas definisce Dio “manikos eros”, tradotto in
italiano, scandaloso, eros maniacale; un amante folle, Dio è amante folle,
scandaloso, uno ti uccide e tu lo abbracci e lo baci, è amore fino al bacio di
colui che ti uccide.
Perché vivi? Perché è vita. E questo è aver trovato un senso. Il
contemplativo, quindi il cristiano – e in questo sta la spiritualità cristiana si distingue per il sapersi iniziato, la scuola Christi di un altro da sé che
dimora in sé, alla visione di sé come amato per amare per sempre. Ecco
allora avete trovato il mio nome?
Si, tu sei l’amato da sempre. Avete trovato il mio compito? Sei inviato alla
terra per amarla per sempre. Avete trovato il mio approdo? Sei amato per
sempre e qui lascia la fanciullezza da fanciulli che accolga queste notizie. Il
Cristianesimo deve recuperare il “se non sarete come fanciulli”; la
fanciullezza che è mitezza, che è umiltà, che è dolcezza,
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inedito”, che ha a che fare con quello che ho detto finora. Ma che cosa è
questo senso inedito? Mi dice “tu figlio di, nato a, sei da sempre un amato.
Il tuo nome è amato da sempre” E da chi? Dal mio Dio. Ecco allora questo
venire iniziati a questa ineffabile conoscenza del sé, io sono un amato da
sempre: è una definizione singolare.
Quale Dio?
Vi racconto un piccolo episodio per farvi capire questo. Ero studente liceale
a Firenze, mi faceva scuola padre Turoldo, vado da padre Davide e dico
“padre ho il sospetto, stavo leggendo Marx, Feuerbach, Freud, avevo queste
passioni, ho il sospetto di diventare ateo”. Davide mi guarda e fa “era ora” e
aveva ragione, era ora che tu ti liberassi dentro da tutti i tuoi discorsi su Dio,
da tutte le tue immaginazioni su Dio; fai il vuoto, se puoi, lascia spazio in
te, a un amico, un uomo, poi sarà figlio di Dio, ma uomo, di nome Gesù di
Nazareth, per cui ti accorgi dopo, rileggendolo e ritrovandolo, per cui allora
capivo che quello che lui diceva “io non credo in Dio. Se dico Dio è perché
un tu di nome Gesù di Nazareth, incontrandomi ed aprendomi gli occhi al
senso alla vita, mi dice: “Senti, io ti parlo anche a nome di Dio Padre”. Per
cui quando mi dicono se credo in Dio, io dico sempre quale? Il mio Dio è il
Dio di Gesù, non so se mi spiego.
Allora ricordati, dice Gesù, ti dico una cosa ineffabile, “Tu sei stato pensato
e amato da sempre e ricordati”. E che ci faccio qui? La sua risposta “tu sei
inviato, tu non sei un caso, tu sei un inviato alla terra per amarla come io,
come il Padre in me ama te”.
Allora ecco la domanda. “Ma chi sono io?” “Sei un amato da sempre”. “Ma
che ci faccio?” “Sei un inviato ad amare”. Ama questa terra come io amo te,
ama i buoni, cattivi, giusti, ingiusti, mussulmani, ebrei, cristiani, buddisti,
induisti, senza religione alcuna. Passa il
Oggi si parla di individualismo e si parla di economia, non si parla d’altro.
Io mi diverto anche in treno viaggiando, sto molto attento, non si parla
d’altro, sono le uniche categorie in campo; possibile che sia l’unico reale
della realtà? Allora ecco che è entrato in crisi , è la crisi dell’economia, è la
crisi dell’individuo, che ad un certo punto si trova senza ragione di vita,
entrando in crisi l’economia che soddisfa i suoi desideri, entrano in crisi
anche i suoi desideri.
Sono questi i desideri? Ecco la crisi. A questo punto, può diventare una
opportunità. C’è un libretto bellissimo della Cristian Singer su “Del buon
uso della crisi” pubblicato da Servitium; questa donna saggia e anziana dice
“nel corso della vita ho raggiunto la certezza che le catastrofi servono a
evitarci il peggio”.
Una crisi dei miti fondatori dell’Occidente; c’è una crisi dell’economia, c’è
una crisi del soggetto, lo smarrimento, il disorientamento. “Sapete che cos’è
il peggio, continua, è aver trascorso la vita senza naufragi e essere sempre
rimasti alla superficie delle cose”. Per cui quando sentite qualcuno che vi
dice “ho la sensazione di fallire la vita, credetemi siamo a buon punto”.
Il problema è del buon uso della crisi nella consapevolezza che nella nostra
società tutta l’attenzione è concentrata a sviarci da ciò che è autentico.
“Vediamo la più gigantesca cospirazione di una civiltà, cito ancora da
Cristian, contro l’anima”. Io a volte poi nelle mie meditazioni, anche in
treno viaggiando, faccio i conti e mi dico “ma guarda un po’ cosa è
cambiato da 50 anni fa ad oggi”. Mi ricordo allora tutta la preoccupazione
sull’anima; il corpo non esisteva. Oggi tutta la preoccupazione è sul corpo,
l’anima non esiste e si applicano al corpo tutte le categorie che si
applicavano all’anima. La pulizia. Viviamo di un enorme detersivo. Fate i
conti, quello che vi dicevamo anni fa sull’anima, state attenti che la
propaganda oggi ve lo dice sul corpo, stesso linguaggio, stessi prodotti. E’
questa situazione per cui
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la crisi diventa l’unico ariete capace di sfondare questa fortezza in cui siamo
richiusi.
La crisi come opportunità – la contemplazione
Allora la crisi è una opportunità. La vita comincia nel punto in cui si
frantumano le nostre sicurezze ed è uno spazio di immensa libertà. Io penso
sempre alla parabola, a livello personale, del pubblicano, quell’uomo
frantumato dentro, quell’uomo che non ha in sé ragioni per ridare un
orientamento, un senso alla sua vita, quell’uomo che ha il coraggio di
invocare, di tendere la mano a un altro da lui. Quell’uomo è Zaccheo, dal
profondo della sua crisi al cominciamento di una vita nuova. E poi amo
molto questa frase di Luca 21, 28 “Quando cominceranno ad accadere
queste cose (per noi la crisi dei nostri miti, la crisi dell’individualismo, al
cui servizio è l’economia) levate il capo perché la vostra liberazione è
vicina”.
Non dimentichiamo che l’autunno, spogliando i rami, lascia vedere il cielo.
Ecco allora l’opportunità, ma quale opportunità? La crisi come opportunità
significa riscoprire una dimensione che non può essere ulteriormente
disattesa: la dimensione della contemplazione. Non ho paura di usare questa
parola e poi la spieghiamo.
Nel suo diario Henri Le Saux scrive “è venuta l’ora dei contemplativi, ma
devono essere vivi alla presenza del mondo, dal profondo del loro silenzio;
non una fuga dalla realtà, ma un penetrare nel mondo delle cose”.
Contemplazione include la parola azione, mentre la parola azione da sola
non include nulla; e la parola che include è il contemplum, e il contemplum
era un metro di misura, per cui il contemplativo è semplicemente un uomo,
il contemplativo è semplicemente una donna, che hanno un metro di misura.
Un metro di misura, di lettura della realtà e quindi un metro di misura che
orienta il loro cammino nella realtà. Allora si parlava di disorientamento, di
anche più luoghi di culto, università pluriverse, negozi pluriversi, modi di
mangiare pluriversi. E’ una crisi e questo è appunto l’imparare e quindi il
codice culturale. Oggi la persona intelligente è la persona non chiusa, molto
mobile mentalmente e molto mobile cordialmente.
Poi c’è un terzo codice e qui mi permetto, il discorso lo faccio sempre sotto
voce, perché ho sempre paura di presentare l’identità cristiana. Io vi dico la
verità, oggi ho una difficoltà, non perché ho vissuto l’annuncio del Vangelo,
ma io ho paura dell’annuncio delle cose che stanno a cuore e quindi che per
me sono perle preziose. Ho paura di buttarle addosso agli altri, quindi le
vorrei dire sotto voce, con una mitezza, con un’umiltà e con una dolcezza
inenarrabile.
Il codice cristologico come mio principio di identificazione importante; io
dico il codice cristologico e quindi questa spiritualità cristiana; di quel
codice cristologico vuol dire semplicemente questo: io figlio di., nato a., che
vivo oggi in una cultura plurale, in una religiosità plurale, in etnie plurali, io
che vivo oggi questa realtà sono un tu, che non vuole privare questa realtà
di un tu che gli ha aperto gli occhi al senso. Ma un senso ineffabile. Oggi il
nome della salvezza è il senso, ma che senso ha? Per me dirmi cristiano
vuol dire questo: non sono che un uomo, figlio di., nato a. e incrociato da un
amico che mi ha detto alcune cose; queste cose che mi ha detto hanno
immediatamente – e quindi non sono frutto di razionalità - hanno
immediatamente, intuitivamente, profondamente, ferito.
Quando noi troviamo qualcuno che ci interessa e che ci dice parole che ci
interessano, noi diciamo “mi hai colpito, sono stato colpito, cioè ferito”
Allora ecco questo tu, che apre i tuoi occhi al senso, ha orizzonti inediti ed è
qui che nasce la spiritualità cristiana. Il contemplativo cristiano è
semplicemente un tu che dice “un altro da me ha incrociato il mio cammino
e mi ha aperto la vita a un senso
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codice genetico, che era la prima identificazione. Sono figlio di…e di..
Allora mi ricordo. Ecco la crisi del principio di onnipotenza, che si vince
quando uno pensa, quando uno guarda suo padre e sua madre. Devo
ammetterlo, sono figlio di, c’è qualcuno che mi ha preceduto e da cui sono.
Io amo tradurre questo quando va bene sia quando non va bene, “diligor
ergo sum” sono stato amato dunque sono.
C’è un gesto di amore che mi ha preceduto e nelle nostre definizioni
dell’uomo in occidente questo aspetto dell’amore manca. Penso dunque
sono, ho dunque sono, faccio dunque sono, posso dunque sono. Mi venisse
in mente di dire “sono amato dunque sono”.
Pensate questo codice genetico, che mi qualifica come figlio e come figlio
di.
Da qui l’importanza delle adozioni. Tutto questo vuol dire che è importante
che uno abbia un codice di identificazione, altrimenti lo spaesamento
comincia appena nati. La notte comincia dal mattino. Questo poi ripenso il
codice culturale, nato a., figlio di. e l’ambiente mi ha plasmato, mi ha
coltivato; ecco che nasco alla cultura, all’istruzione, all’educazione. Poi
ritorno in crisi, ma non ha importanza, però sono codici importanti, il codice
genetico e il codice culturale, questi già mi identificano.
Amare nel mondo plurale
Poi vivo in un mondo dove mi rendo conto che bisogna passare
dall’universm al pluriversum, perché la cultura non è più ad un verso unico,
oggi viviamo in un tempo in cui si incrociano più culture, più versi, più
libri, più racconti, più religioni, più etnie; ecco allora bisogna imparare a
vivere figlio di, nato a una cultura a più dimensioni. Da piccolo leggevo su
l’Islam, sull’Induismo, sul Buddismo, ma oggi il discepolo di Maometto, di
Buddha, dell’Induismo ce l’hai a fianco e bisogna anche abituarsi ad avere
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spaesamento, perché manca una bussola, perché manca un metro di misura.
Ora c’è bisogno di contemplativi, questi contemplativi sono l’indice, sono
la memoria dell’urgenza e del primato della interiorità nel tempo della
superficialità.
Noi viviamo alla superficie delle cose, abbiamo uno sguardo totalmente al
di fuori e questo sguardo al di fuori poi è uno sguardo sull’economia, è uno
sguardo che arriva a capire i propri desideri.
Il contemplativo dice “attenzione c’è anche lo sguardo interiore oltre allo
sguardo esteriore, quindi ricordati che vi è non solo l’andare al supermarket,
vi è anche il pellegrinaggio nelle profondità”. Il contemplativo è questa
memoria nella compagnia umana, la memoria di un pellegrinaggio delle
profondità, nelle nostre profondità, un pellegrinaggio verso l’interno, per
ritornare al proprio centro, biblicamente, la cavità del cuore, lì ove nascono
pensieri, sentimenti, desideri e comportamenti.
Allora il tempo della crisi domanda gente che esce dall’essere determinata
dall’esterno e che è capace di abitare con sé. Il tempo della crisi è questa
opportunità: riscopri la tua interiorità, scegli il pellegrinaggio delle
profondità, scendi nella tua interiorità, prenditi in mano la tua interiorità,
mettila in mano, guardala, dai il nome alle ragioni di fondo che ti abitano e
che orientano il tuo cammino di vita. Scendi nel tuo profondo e chiediti “chi
ti abita? che cosa ti abita? chi ti orienta? che cosa ti orienta?”. Questo è da
farsi nel tempo della crisi, quando entrano in crisi le ragioni che hanno
determinato finora il mio modo di pensare, di sentire e di vivere; è una
discesa negli inferi che domanda il recupero del silenzio. Noi viviamo 24 su
24 nel non silenzio.
Il desiderio dell’avere e l’economia al servizio di questo desiderio non
possono permettersi che io taccia, hanno bisogno della mia stupidità,
scusate, per poter adempiere il loro compito indisturbati. Quel giorno che io
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penso che posso vivere anche con un paio di scarpe e non con 24, entra in
crisi un mondo. Quindi recuperare il silenzio, recuperare la ricerca di tempi
e di spazi, ove tacciano i rumori esteriori della casa, del circo, della piazza,
degli affari, degli spettacoli; e la fuga poi nel virtuale, nella droga. E ove
tacciano un attimo i rumori interiori dei pensieri, delle immaginazioni e dei
desideri. Entrare in sé e fare il vuoto dentro di sé, per discernere, per vedere
realmente chi e che cosa vi abita, deposta ogni maschera; vedermi nella mia
nudità.
Contemplativi nella spiritualità: indici e memoria dell’importanza del
recupero del desiderio. Certo, ma nel tempo delle voglie - qui bisogna
distinguere tra voglie e desiderio – bisogna quindi rientrare in sé, leggersi
dentro e valutare le motivazioni su cui poggia una vita, che sottendono il
profondo desiderio di pervenire alla conoscenza della propria ineffabile
identità. Guardate così, parlando a dei giovani, a volte si dice “vengono al
monastero, pregano questi i ragazzi?”. Io una volta mi facevo questa
domanda, ma oggi l’ho cambiata e dico “ma pensano questi ragazzi?”
La prima cosa da fare è restituire all’uomo la dignità del pensare. Perché
finché ci si fa domande c’è salvezza e allora proprio il ridiscendere in sé è
risvegliare questo desiderio, il desiderio che è dignitoso diventare uomini e
donne. Mi è stato dato un giorno a vivere, ma, santo cielo, la dignità sta nel
dire “non lo so se ci arrivo, ma mi piacerebbe diventare un uomo”. Questo
desiderio di questa ineffabile identità, di questo ineffabile che fare e di
questo ineffabile approdo; vi è in ciascuno un uomo nascosto, che pur sta
per emergere e questa mancanza che è all’origine di una ricerca e di una
invocazione; questo pellegrinaggio alla ricerca del sé. Quindi, vedete, il
mutamento del desiderio; non alla ricerca del mio io esteriore, di che cosa
vesto sempre, di che cosa calzo, di che profumo uso; cose importanti, non
vorrei essere frainteso. Ma non è questo l’essenziale.
C’è un io profondo e allora c’è questo desiderio di dire chi sono? Ma che ci
faccio qui, a che approdo?
Quando io dico il tutto perché nell’io c’è il tutto, il tu e il frammento del
tutto, ma che senso ha?
Il senso della vita
Ecco qui ve lo dico, appartengo ad una generazione che sarà, direi così, sarà
retrograda, sarà quello che volete, ma io non mi sono arreso mai alla non
ricerca del senso. Santo cielo, se mi è dato un giorno a vivere voglio sapere
che senso ha, non è detto che ci arrivi, ma la domanda me la faccio, la
ricerca la svolgo. Arriverò dove arriverò.
A volte ridendo, quando trovo gli amici per strada, faccio “tu hai trovato il
mio nome? perché l’ho smarrito”. Alla ricerca del proprio nome; senti “hai
trovato, per caso, anche il mio orientamento, l’ho smarrito. Se per caso l’hai
trovato, ti prego. E’ mio il mio approdo, ma dove vado a parare, dove
andiamo a parare? Nasce la ricerca, nasce l’invocazione. Io poi la chiamo
questa dimensione metafisica, direi questo desiderio di approdare alla
propria visione di essenza. Quindi questo viaggio di iniziazione al proprio
nome, al proprio compito, al proprio destino. Quindi giovane mi
raccomando, questo mi sento di dirlo, di non arrenderti al nihilismo, oggi il
nihilismo è anche narcisismo. E’ di moda.
Quindi cercatori. Permettetemi un altro passo, questo è davvero spirituale,
contemplativo: una ricerca, indice e memoria della perentorietà di
risvegliare la coscienza alla propria visione di essenza; allora bisogna avere
il coraggio, lo dico in termini psicoanalitici, il coraggio di cercare il proprio
principio di identificazione, il proprio contemplum. Ho trovato questo
principio e allora qui mi diverto ancora, anziano, a rivedere i miei codici di
identificazione e mi accorgo e mi ritornano alla coscienza mio padre e mia
madre, il
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qualcuno, come diceva Jonesco, “venga a illuminare i muri sordi della mia
quotidiana esistenza”. Aspetto frammenti di luce, aspetto bellezza. E qui
con umiltà c’è l’esperienza cristiana, il tuo essere mendicante di un tu di
luce e di frammenti di luce può essere incrociato da un tu che è la luce, la
cui sacca, il Vangelo, è pieno di frammenti di luce. In quell’incontro, sei
iniziato al tuo nome, sei iniziato al tuo che fare, sei iniziato al tuo approdo.
Ritorna nella vita, guarda così l’altro.
Gesù mi insegna pure il come leggere le istituzioni, come leggere
l’economia, come leggere la chiesa, come leggere la cultura. Leggere come
il sabato è per l’uomo; o la chiesa è per l’uomo o non è o l’economia è per il
bisogno - non il desiderio - ma il bisogno, per la gioia dell’uomo o non è, o
la cultura è per fare crescere l’uomo o non è. Quindi la scure è posta alla
radice, è nel cuore umano, è nelle istituzioni.
Il tempo della crisi allora riscopre il tuo nome, riscopre il tuo che fare,
riscopre il tuo approdo, il senso delle istituzioni. Ultimo aspetto, riscopre il
coraggio della creatività; in base a questi orientamenti inizia il cammino
personale e istituzionale.
Un’ultima raccomandazione agli anziani: attenzione, noi anziani, a non
uccidere il futuro dei giovani e quindi il nostro compito è stare attenti a non
a non difendere ma ad aprire strade. Ho parlato di devozioni ma capite che
la spiritualità cristiana non è fatta di devozione, è grazia; ciò che conta nella
spiritualità cristiana è questo: Dio in Gesù viene a dire questo “sono venuto
perché voi in me diventiate una nuova creatura”. E Dio, il Dio di Gesù, al
mondo non offre né bibbie né sacramenti né devozioni , ma offre uomini e
donne nuovi, trasformati dalla Bibbia e dal sacramento.
N.B. Testo non rivisto dal relatore.
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