Kodak Autograph
Ai miei amici. Il mio lavoro è compiuto. Perché attendere?
E’ l’ultima frase, dettata, ma più probabilmente scritta da Gorge Eastman pochi minuti prima di porre
fine alla sua vita, il 14 marzo del 1932.
Indubbiamente la maggior parte del lavoro compiuto da Eastman, attraverso la sua azienda, la Kodak,
era effettivamente compiuto, in buona sostanza la fotografia era diventata alla portata di tutti, ma
indubbiamente altro ci sarebbe stato da fare, e così è stato, non solo per Kodak, ma per il progresso che
ha trasformato la fotografia così come era concepita negli anni 30, alla fotografia, quindi al digital
imaging del terzo millennio.
Per parlare in modo corretto di pellicola non ci si può esimere da qualche breve digressione sulla sua
invenzione, e sarebbe necessario ben di più dello spazio disponibile nell’articolo di una rivista.
Sintetizzando, quindi, dobbiamo innanzitutto pensare che i primi materiali sensibili erano lastre di
vetro, fragili e complesse da utilizzare, e non alla portata del grande pubblico ma solo dei fotografi
professionisti. Nel 1885 George Eastman mise a punto la prima pellicola, quindi un materiale
flessibile, infrangibile e avvolgibile, usando il nitrato di cellulosa – e per questo altamente
infiammabile ( Uno degli eventi principali del film Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore ne è un
esempio) - .
Quasi contemporaneamente, nel 1887, il Reverendo Hannibal Goodwid depose un brevetto
sostanzialmente identico, ed entrambi i prodotti guardavano innanzitutto alla neonata cinematografia,
prima che alla fotografia. Il primo rullo di Kodak era infatti nel formato 35mm, formato da cui negli
anni venti prese spunto Oskar Barnack quando nel 1924 inventò la prima LeiCa.
Grazie alla cinematografia – la cui industria da sempre ma soprattutto oggi ha giustificato e continua a
giustificare la produzione della pellicola 35 mm ANCHE per uso fotografico – la fotografia diventa
portatile – la fotocamera – e alla portata di tutti.
Questo nulla toglie al lavoro del fotografo, al principio quasi esclusivamente ritrattista, ma da un lato
permette a chiunque di fotografare, e di conseguenza, seppur con qualità relativa rispetto a un
professionista, di costruire una storia visiva del 900, fatta per lo più di ricordi personali, di volti ignoti,
ma anche di foto di paesaggio, di città, di navi e treni, oggi come minimo trasformati se non scomparsi
per sempre.
Lo slogan del 1888 proprio della Eastman Kodak: “ You press the button, we do the rest “ è la vera
rivoluzione della storia della fotografia.
La rivoluzione successiva segue a oltre cento anni di distanza, quando chiunque, con uno smartphone
dotato di fotocamera, può premere un bottone e senza neppure che nessun altro faccia il resto…
La pellicola 120 fu introdotta da Kodak nel 1901.
Kodak, come altri fabbricanti di pellicole, non solo realizzava pellicole, chimica e carte fotografiche
ma anche fotocamere. L’interesse non era naturalmente nella vendita delle fotocamere, a basso valore
aggiunto, ma nella vendita delle pellicole e dei relativi servizi di sviluppo e stampa, ad alto valore
aggiunto, non diversamente dagli attuali fabbricanti di stampanti che propongono il prodotto a un
prezzo simbolico – il costo del primo set di cartucce incluse oltre a una sorta di gettone d’ingresso –
piuttosto che i provider telefonici, che regalano – quasi – i telefoni confidando poi sui ricavi
provenienti dal traffico telefonico.
Se la fotocamera più famosa di Kodak fu proprio la Eastman Camera, prodotta nel 1888 e precaricata
con un rullo da ben 100 pose (!) quella che rese la fotografia davvero alla portata di tutti fu la Brownie
del 1900: costava un dollaro e la pellicola 15 centesimi, e il fatto che la fotocamera costava come
appena 6 rulli di pellicola o poco più la dice lunga sul concetto di “ ricavi da materiale consumabile “.
Ma Kodak non produsse solo fotocamere economiche, ma anche prodotti estremamente raffinati e
complessi sia dal punto di vista ottico che meccanico. Senza contare l’utilizzo di materiali e un design
che in molti casi ha sfiorato nella produzione di alcuni modelli la vera e propria opera d’arte, intesa dal
punto di vista del design industriale.
Qual’era la situazione di mercato, quindi l’offerta di fotocamera ai primi del novecento?
Il Giappone ancora non aveva iniziato a produrre fotocamera, attendeva inconsapevole la prima Leica
UR di Oskar Barnack.
Si iniziavano ad affacciare le prime fotocamere in grado di accettare le pellicole Kodak, quindi le
pellicole medio formato – il formato 24x36mm era ancora di là da venire - . Stava per muovere i primi
passi la Rolleiflex, in contemporanea con Voitglander, di cui i fondatori di Rolleiflex erano due
dipendenti poi staccatisi, all’inizio con fotocamere stereoscopiche – la Rolleiflex che conosciamo noi
altro non è se non un modello stereo appoggiato su uno dei lati corti … C’era naturalmente una pletora di folding, prodotte da diverse nazioni, a cominciare dalla Francia,
nella maggior parte dei casi macchine artigianali e riservate ai fotografi professionisti.
Zeiss e Leitz erano impegnate innanzitutto nella produzione di telescopi e di microscopi, mentre Nikon
produceva binocoli e sistemi di puntamento per la Marina Imperiale Giapponese mentre bisognerà
aspettare gli anni trenta e quaranta perché gli attuali giganti dell’ottica giapponese producano i primi
corpi macchina e primi obiettivi – sulla falsariga di LeiCa.
Agli inizi del 900 possiamo quindi assolutamente affermare che la Eastman non era solo il principale
produttore mondiale di pellicola, chimica e carte fotografiche, ma anche di fotocamere.
Qui ci occuperemo di una delle fotocamere che a nostro avviso è tra le più interessanti dell’intera
storia della fotografia, includendo anche il digitale, la Kodak Autographic.
Il primo modello Kodak Autographic Junior è del 1914, e montava già la pellicola 120,
contemporaneamente ad altri modelli che montavano pellicola sempre in rollfilm ma in formato
116,118,122, 130. Una bella Babele dalla quale si è salvato solo il formato 120, ma questo ci basta, e
basta a chiunque riesca a mettere le mani su una Autographic 120: se è vero che alcuni formati di
pellicola sono ancora in produzione, ma in piccoli lotti difficili da reperire, certamente il formato 120 è
ancora e assolutamente in produzione e questo ci basta.
Ma cosa aveva di speciale la Kodak Autographic: la risposta proprio nel nome; permetteva infatti non
solo – ovviamente – di fotografare, ma anche di autografare le proprie immagini.
Prima di addentrarci più approfonditamente nei dettagli tecnici della fotocamera, questa prerogativa
era garantita da uno sportello posizionato sul dorso della fotocamera che una volta aperto permetteva
di accedere alla carta di protezione nella quale era ed è tuttora avvolta la pellicola 120 . Con uno stilo
appuntito fornito in dotazione con la fotocamera, era possibile scrivere sulla carta una data, piuttosto
che la località di scatto, un breve appunto, volendo la propria firma, per far sì che la luce potesse
esporre la scritta appena composta direttamente sull’emulsione attraverso il dorso della pellicola.
Semplicemente esponendo il dorso della fotocamera con lo sportello aperto al sole o alla luce
ambiente, per un numero di secondi che erano riportati sulle istruzioni della fotocamera e che
variavano appunto a seconda del tipo di luce presente sulla scena – sole diretto, cielo nuvoloso, e così
via – impressionando così la scritta sulla pellicola.
Una volta sviluppata la pellicola, che fosse poi stampata a contatto come spesso accadeva a
quell’epoca o ingrandita, sulla stampa, nello spazio tra ciascuna coppia di fotogrammi, senza quindi
alterare in alcun modo l’immagine, si sarebbe potuta leggere la scritta, in bianco su fondo nero.
La Kodak Autographic è quindi l’unica fotocamera mai prodotta nella storia della fotografia con la
quale era effettivamente possibile fotografare nel senso letterale del termine, quindi scrivere con la
luce.
N. 1 Pocket Kodak è il modello che abbiamo utilizzato per questo lavoro.
Utilizzava – anzi, utilizza ! – pellicola 120.
E’ un modello del 1924 come si evince dalla serie di brevetti incisi all’interno.
Tra Autographic e Pocket con funzione Autograph ne sono stati prodotti davvero diversi esemplari,
che si differenziano sotto vari aspetti, dalla presenza o meno della messa a fuoco, all’apertura massima
del diaframma, all’otturatore e relativi tempi di scatto, al tipo di pellicola e al formato del fotogramma,
oltre alla focale dell’obiettivo e alla costruzione ottica dell’obiettivo stesso.
Il modello che abbiamo provato, oltre alla fortuna di utilizzare pellicola 120, lavora in formato 6x8,
per la precisione 59x84mm a cui si aggiunge una ulteriore altezza di 8 x 60 mm per annotare volendo i
propri appunti autografi. Un formato più che adeguato al più tradizionale 6x9 usato all’epoca,
compatibili con più teste di ingranditori, e che consente un’autonomia di 8 fotogrammi.
L’obiettivo ha diaframmi da f/7.9 fino a f/45, l’otturatore, del tipo a riarmo automatico, consente due
tempi di scatto, 1/50 e 1/25 di secondo, oltre alle pose B e T che possono essere comandate tanto della
leva di scatto – che incorpora un occhiello per il comando a distanza a … spago ( ! ) – che dall’attacco
filettato per il classico scatto a distanza a filo con o senza il blocco dell’esposizione.
Il mirino a specchio reversibile consente sia inquadrature orizzontali che verticali, non facili
effettivamente da comporre, in quanto manca un vetro smerigliato su cui l’occhio possa fissare il fuoco
e di conseguenza la visualizzazione dell’inquadratura necessita di un po’ di pratica. Manca anche
qualsiasi ausilio alla focheggiatura, niente telemetro quindi ma la cosiddetta messa a fuoco a stima,
cioè a occhio …
Un altro vantaggio del modello che ci è capitato tra le mani è che ha anche il sistema di messa a fuoco.
Lo svantaggio è che le pose B e T non funzionano. Carlo Giussani della TGF di Milano, uno dei più
famosi riparatori di Rollei e non solo in Italia, smonta l’otturatore e rilava la rottura di una levetta, che
può tranquillamente rifare - ! – purché gli porti un’altra fotocamera identica con l’otturatore a posto
per poter eseguire la copia del pezzo rotto.
La posa B e/o T sono importanti più dell’assenza dei tempi veloci: con 1/25 o 1/50 di secondo con sole
pieno e pellicola a 400 ISO problemi non ce ne sono di certo, anzi, visto che si scatterà intorno a 1/500
f/16 e che la fotocamera dispone appunto solo del cinquantesimo e un diaframma fino a f/45, è facile
addirittura sovresporre e lavorare quindi con una pellicola a 100 ISO. Ma nelle situazioni non in pieno
sole, a cominciare dagli interni, chiudendo comunque di un paio di stop il diaframma per migliorare la
resa dell’obiettivo, lavorare a 1/25 f/16 sarà davvero difficile, senza poter usare invece la posa B. Ma,
assicurando la fotocamera su un buon treppiedi, visto che l’otturatore è a riarmo automatico e non
collegato all’avanzamento della pellicola, scattando cinque o dieci volte con l’otturatore su 1/25 di
secondo – naturalmente solo con soggetti immobili, sarà possibile arrivare a una somma tale di scatti
brevi da arrivare e superare tranquillamente il o i due secondi di posa e oltre.
Al modello in questione manca anche purtroppo lo stilo con cui autografare le immagini, ne useremo
uno prestatoci da un amico.
Armato di fotocamera e di un robusto treppiedi, oltre che di un esposimetro e di uno scatto a filo
eseguiamo il primo shooting. Ancora non sappiamo dell’esistenza della vera e compianta pellicola
Kodak Autograph, quindi dopo ogni scatto, proviamo con questo stilo a incidere in qualche modo la
carta di protezione della pellicola ma con vani risultati: o non rimane nessun segno, oppure calcando
troppo la carta si lacera.
La pellicola originale Kodak Autograph è stata invece fabbricato dai primi del 900 fino agli anni 30.
Disponibile in diversi formati, era avvolta da due strisce di carta – non da una sola come le pellicole
tradizionali – la prima era una carta trasparente che serviva unicamente a non lesionare il secondo
strato di carta inferiore con lo stilo appuntito, il secondo strato di carta era impregnato di polvere di
carbone. La pressione dello stilo attraverso il primo foglio portava allo spostamento della polvere di
carbone permettendo così alla luce di attraversare entrambi i fogli ed esporre con il proprio appunto la
pellicola; attenzione, nonostante le similitudini con la carta carbone o la carta copiativa, lo scritto non
veniva trasferito sulla pellicola, ma semplicemente reso trasparente alla luce attraverso lo spostamento
della polvere di carbone che si addensava ai lati delle lettere o dei numeri incisi. Un’idea raffinata
quanto geniale ma che probabilmente non ha incontrato l’interesse di più, visto che è stata dismessa.
Abbiamo naturalmente cercato di sovraesporre ove possibile gli scatti, non sapendo i tempi effettivi
del venticinquesimo e del cinquantesimo di secondo ( l’idea delle esposizione multiple per allungare il
tempo di posa ci viene prima del secondo shooting ).
Il risultato finale.
Dopo essere rimasto in visibilio per un risultato eccezionale, sia da un punto di vista della risoluzione
ottenuta con l’ottica a menisco, sia dall’aver utilizzata una macchina con quasi cento anni di storia
sulle spalle, sia dalla commistione di virtù e fortuna che ci hanno permesso di conseguire scatti
perfettamente esposti – anche quelli ottenuti dalla “ doppia esposizione “ di 75 scatti sullo stesso
fotogramma, ci siamo in un certo senso un po’ infastiditi. Infastiditi dal fatto che nonostante le
fotocamere di oggi siano per certo eccellenti, sul fronte della capacità di riportare su carta o sui
monitor la realtà alla fine non c’è tutta quella differenza che ci saremmo aspettati.
Vogliamo dire che già cento anni fa la qualità ottenibile da una fotocamera neppure professionale era
assolutamente di altissimo livello e che ancora oggi i risultati sono godibilissimo, con quel pizzico di
brivido delle notevoli variabili a cui ci si deve assoggettare durante un percorso tecnico decisamente
poco ripetibile.
Bisogna che la fotocamera funzioni, bisogna cercare di comporre l’inquadratura attraverso un mirino
approssimativo, bisogna effettuare la messa a fuoco a stima, bisogna esporre avvalendosi di un
esposimetro esterno e sapendolo adoperare. Poi si passa la trattamento manuale di sviluppo della
pellicola, e infine alla stampa manuale sotto l’ingranditore, indubbiamente una trafila – ripetiamo,
piena di variabili – dove riuscire ad ottenere il risultato voluto è fatto da un lato di una notevole
esperienza, dall’altro, sì, certo, anche da una generosa dose di fortuna.
Se avete presente le nuove – e non solo – generazioni – che rivolgono verso il soggetto i loro tablet
pensando di scattare una fotografia, beh, potete tranquillamente dir loro che stanno sicuramente
facendo qualcosa, e buono e valido, ma non certo una fotografia.
Milano, 5 settembre 2012.
Gerardo Bonomo
Si ringrazia: Felix Bielser di Punto Foto Group per le pellicole Rollei
Fowa per le pellicole Kodak
Il buon Dio che ci ha fatto piovere dal cielo la Kodak Autograph usata per questo lavoro
Carlo Giussani di TGF che prima o poi ci riparerà questa fotocamera.
Donato Navone che si è occupato dello sviluppo dei negativi, delle stampe e relativi interventi
migliorativi
Felix Bielser della PuntoFotoGroup, spalla morale del lavoro e regio fornitore delle pellicole Rollei e
relativa chimica Maco.
Gorge Eastman …
01 autograph. La n.1 Pocket Kodak Autograph usata per
questo articolo.
Dalla matricola si desume che la questo modello è stato
fabbricato nel 1926. Otturatore Kodek n. 0 con due tempi
di scatto, 1/25 e 1/50 più la posa B e T ( in questo modello
non funzionanti ). Diaframmi da f/7.9 a f/45 su focale
110mm Anastigmat. Pellicola di tipo 120, numero
fotogrammi 8 in formato 55x85mm la lunghezza del
fotogramma è volutamente sacrificata di alcuni millimetri
per lasciare lo spazio agli appunti autografi, che così non
sormontano l’immagine.
02 autograph: sul dorso della fotocamera è visibile l’apertura a ghigliottina per gli appunti autografi
03 autograph: qui l’apertura mostra il dorso di carta della pellicola 120
04 autograph: usando lo stilo in dotazione si incidono gli appunti sulla carta di copertura della pellicola
120; non trattandosi di un’autentica pellicola Autograph, il risultato finale è un appunto visibile sì, ma
piuttosto debolmente sul negativo.
05 autograph: causa il fatto che le pose B e T erano fuori
uso, quando è stato necessario chiudere il diaframma e la
luce ha cominciato a scarseggiare, l’esposimetro per luce
incidente utilizzato segnalava un tempo di posa di circa
due secondi, a cui andava aggiunto un terzo per
compensare l’effetto di non reciprocità. Se 1/25 di secondo
è appunto la venticinquesima parte di un secondo,
complice il fatto che l’otturatore è a riarmo automatico,
completamente scollegato dall’avanzamento della
pellicola, sono state effettuate sullo stesso fotogramma 75
pose consecutive da 1/25 di secondo ciascuna, la cui
somma ha portata alla posa additiva dei 3 secondi richiesti.
Il treppiedi robusto e stabilmente posizionato, oltre allo
scatto a distanza sufficientemente lungo perché non
trasmettesse alla fotocamera i movimenti della mano
durante la raffica di scatti, hanno permesso di ottenere 75
pose assolutamente identiche, senza alcun tipo di
microspostamento del gruppo fotocamera/treppiedi tra una
posa e l’altra.
06 autograph: la messa a fuoco, esattamente come per i
banchi ottici, si ottiene allungando il soffietto; in questo
modello la scala della messa a fuoco era in metri, questo
modello quindi non era destinato al mercato americano.
07 e 08: due pubblicità dell’epoca della Kodak Autograph
09: un esemplare di pellicola Eastman Autographic, scaduto nel giugno del 1923 … !
10: il packaging della Kodak TX400 nel formato 135, 120 e in basso le tacche di indicazione per la
manipolazione al buio della versione in pellicola piana.
Navone ha sviluppato con R09 Studio 1 + 31 per 8 minuti, 5 rovesciamenti ogni 30 secondi.
11 autograph: la pellicola Rollei RPX 400 è la riedizione della celeberrima Agfa APX 400, disponibile
sia nel formato 135 che 120, non in pellicola piana.
E’ stata una delle emulsioni più utilizzate fino a quando è esistito il marchio Agfa. Anche qui troviamo
una grana molto secca unita nuovamente al vantaggio dei due stop di margine di manovra in più
rispetto alla pellicola da 100 ISO. Per questo lavoro Navone ha sviluppato in R09 Studio ( Maco ) 1 +
31 7’ 30”, 20 gradi centigradi, tre rovesciamenti della tank ogni 30”
12 autograph: della T MAX 400 abbiamo già riferito nel numero precedente di Classic camera:
attualmente è la pellicola bn da 400 ISO con la miglior risoluzione disponibile sul mercato: 200 linee
per mm, come la gemella TMAX 100 ISO.
Anche per questa emulsione Navone ha utilizzato lo sviluppo R09 1 + 31, 9 minuti, con 5
rovesciamenti ogni 30 secondi.
13: immagine vagone ferroviario. Foto scattata con
pellicola TMAX 400 NEW, di cui abbiamo riferito già sul
primo numero di CC B&W: si tratta attualmente della
piccola con maggior risoluzione di esponibile sul mercato,
ben 200 linee per mm, equiparabile quindi alla TMAX 100
ma con ben 2 stop in più di sensibilità. Si legge abbastanza
chiaramente la scritta autografa: MENDRISIO 1 7 2012
14 immagine locomotiva: Locomotiva: scatto eseguito con
la celeberrima pellicola TRI X 400, oggi ribattezzata TX
400, la pellicola di gran lunga preferita dalla maggior parte
degli street photographer del 900 e non solo; anche qui due
provvidi stop di sensibilità in più per scattare anche in
scarse condizioni di luce, e una grana evidente ma al
contempo estremamente secca, piacevole filigrana visiva
su cui si appoggia l’immagine una volta stampata.
15 autograph: immagine albero di Bicknell:
Clarence Bicknell era un poliedrico studioso
britannico che approdò a Bordighera nel 1877 dove
fondò nel 1888 il Museo Bicknell; all’interno del
parco della biblioteca piantò diversi alberi, tra cui
due esemplari di Ficus Macrophylla Columnaris,
meglio conosciuti come Moreton Bay Fig, - una
baia situata in Australia a circa 45 km da Brisbane –
da cui vennero importati in Europa nell’800. Viene
definita anche pianta cannibale nel senso che è in
grado di inghiottire letteralmente ogni tipo di
manufatto umano che si pari sul suo cammino.
Seguiamo fotograficamente e non solo questo esemplare dagli anni settanta – qui il primo scatto
proprio degli anni settanta - .
16 autograph: uno scatto all’albero di Bicknell
eseguito lo scorso agosto 2012: il muretto è ormai –
e da tempo – stato completamente fagocitato dalla
pianta. La posa di f/32 con 3 secondi di posa su
pellicola Rollei RPX 400 è stata ottenuta sommando
75 scatti consecutivi effettuati con la fotocamera su
treppiedi ben stazionato, lo scatto a distanza e
naturalmente il blocco del trascinamento della
pellicola. La scritta in verticale a sinistra in
stampatello sarebbe dovuta essere: BICKNELL
2012, ma purtroppo la carta di protezione si è
lesionati in più punti lasciando passare molta più luce di quella necessaria. Si intravede solo e
parzialmente il frammento di parola BICK, ma l’effetto finale, di questi tra filamenti di luce, anche se
non voluto, è ugualmente interessante sul piano emozionale.
17 autograph: il backstage dell’immagine n. 16
18 autograph: un altro scatto e la stampa di partenza. F/32 e 75 esposizioni consecutive da 1/25
ciascuno. Il caro buon vecchio Gitzo che manteneva la Autograph non si è smentito!
19 autograph: qui sono stati segnati gli interventi effettuati sotto l’ingranditore.
20 autograph: e il risultato finale.
22 autograph: a sinistra la stampa originale, a destra un dettaglio; sul negativo la lunghezza del “
manettino “ – ci perdonino gli esperti di locomotive a carbone – è di circa 5mm. Qui vediamo quindi
un particolare del negativo originale ingrandito 25 volte. Significa che se fosse stato stampato l’intero
fotogramma, quindi il negativo con area utile di 59 x 84 mm, avremmo ottenuto una stampa in formato
1, 47 metri x 2, 1 metri … !!!!
Questo è il secondo “grande” lavoro eseguito da Gerardo Bonomo ed è stato reso possibile anche
grazie a Editrice Progresso, che ha pubblicato l’articolo abbreviato e non con tutte le immagini per
motivi di spazio su “CLASSIC CAMERA BLACK & WHITE – Numero 84 – Novembre 2012
Q
Ripresa
AUTOGRAPHIC KODAK:
SCRIVERE CON LA LUCE
La n.1 Pocket Kodak Autograph: dalla
matricola si desume che questo modello
è stato fabbricato nel 1926.
Otturatore Kodak n. 0 con due tempi
di scatto, 1/25s e 1/50s più posa B e T
(in questo modello non funzionanti).
Diaframmi da f/7.9 a f/45 su focale 110mm
Anastigmat.
Pellicola di tipo 120, numero fotogrammi
8 in formato 55x85mm: la lunghezza del
fotogramma è volutamente sacrificata di
alcuni millimetri per lasciare lo spazio per
gli appunti autografi.
“Ai miei amici. Il mio lavoro è compiuto. Perché attendere?” È l’ultima frase,
dettata, ma più probabilmente scritta, da
George Eastman pochi minuti prima di
porre fine alla sua vita il 14 marzo del
1932. Indubbiamente la maggior parte
del lavoro di Eastman era compiuto, in
buona sostanza grazie a Kodak la fotografia era diventata alla portata di tutti,
ma indubbiamente ci sarebbe stato altro
da fare, vista l’evoluzione successiva.
Ma vediamo come era la fotografia prima
di George Eastman: all’epoca i materiali
sensibili erano lastre di vetro, fragili e
18 CLASSIC CAMERA
complesse da utilizzare, non certo alla
portata del grande pubblico. Nel 1885
George Eastman mise a punto la prima
pellicola, quindi un materiale flessibile,
infrangibile e avvolgibile usando il nitrato
di cellulosa (materiale altamente infiammabile, uno degli eventi principali del film
“Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore
ne è un esempio).
Quasi contemporaneamente, nel 1887,
il Reverendo Hannibal Goodwid depose
un brevetto sostanzialmente identico.
Entrambi i prodotti guardavano innanzitutto alla neonata cinematografia, più
che alla fotografia; fu quindi grazie alla
cinematografia che la fotografia divenne
“portatile” (la fotocamera); perfino oggi è
la cinematografia a giustificare la produzione della pellicola a colori per uso fotografico! Grazie a Kodak la fotografia si
diffonde e, accanto al lavoro del fotografo
quasi esclusivamente ritrattista, nasce
una storia visiva del Novecento fatta per
lo più di ricordi personali, di volti ignoti, di
foto di paesaggio, di città, di navi e treni.
“You press the button, we do the rest” è
lo slogan (1888) con cui Kodak dà vita
alla rivoluzione della fotografia.
Pellicole e fotocamere
Kodak, come altri fabbricanti di pellicole,
non produceva solo pellicole, chimica e
carte fotografiche, ma anche fotocamere, anche se l’interesse commerciale era
soprattutto per la vendita delle pellicole e
dei relativi servizi di sviluppo e stampa,
ad alto valore aggiunto (non diversamente dagli attuali fabbricanti di stampanti
Sul dorso della fotocamera è visibile l’apertura a ghigliottina per
incidere gli appunti.
L’apertura mostra il dorso di carta della pellicola 120.
che propongono il prodotto a un prezzo
simbolico e guadagnano sulle cartucce).
La prima fotocamera fu la Kodak Camera
prodotta fra il 1888 ed il 1889 e subito
sostituita dalla Kodak N.1, pre-caricata
con un rullo da ben 100 pose (!), ma
quella che portò la fotografia alla portata
di tutti fu la Brownie del 1900: costava un
dollaro e la pellicola 15 centesimi; il fatto
che la fotocamera costasse come appena 6 rulli di pellicola o poco più conferma
la sua strategia commerciale.
Kodak tuttavia non produsse solo fotocamere economiche, ma propose anche
prodotti estremamente complessi sia
dal punto di vista ottico che meccanico.
Senza contare l’utilizzo di materiali di
valore e una grande attenzione al design.
Ai primi del novecento cominciavano ad
apparire le prime fotocamere in grado
di accettare le pellicole Kodak, pellicole di medio formato in quanto il formato
24x36mm era ancora di là da venire.
C’era una pletora di folding, prodotte
Usando uno stilo si incidono gli appunti sulla carta di protezione
della pellicola; non trattandosi di un’autentica pellicola Autograph,
l’appunto sarà sì visibile, ma piuttosto debolmente.
La messa a fuoco, come con
il banco ottico, si ottiene
allungando il soffietto;
questo modello ha la scala
delle distanze in metri,
per cui non era destinato
al mercato americano.
CLASSIC CAMERA 19
Nuova confezione
della Kodak TX400
Precedente confezione
della Kodak TX400
Le tacche sulla
pellicola che
permettono di
rilevare al buio
la versione in
pellicola piana.
Nuova
confezione della
Kodak TX400
Questa pellicola Eastman Autographic è
scaduta nel giugno del 1923!
Precedente
confezione della
Kodak TX400
La pellicola Rollei RPX 400 è
la riedizione della celeberrima
Agfa APX 400 (una delle
emulsioni più utilizzate fino a
quando è esistito il marchio
Agfa): è disponibile sia nel
formato 135 che in 120, ma
non in pellicola piana. Come
nell’originale la grana è molto
secca, insieme al vantaggio
dei due stop di margine in più
rispetto alla pellicola da 100
ISO.
in diverse nazioni a cominciare dalla
Francia, e nella maggior parte dei casi
erano macchine artigianali riservate ai
fotografi professionisti.
Zeiss e Leitz erano impegnate innanzitutto nella produzione di telescopi e di
microscopi, mentre Nikon produceva
binocoli e sistemi di puntamento per la
Marina Imperiale Giapponese; bisognerà aspettare gli anni Trenta e Quaranta
perché gli attuali giganti dell’ottica giapponese producano i primi corpi macchina
e primi obiettivi sulla falsariga di Leica.
Possiamo quindi affermare che agli inizi
del novecento la Eastman Kodak non
era solo un grande produttore di pellicole, chimica e carte fotografiche, ma
anche di fotocamere. E qui ci occuperemo di una delle fotocamere che a nostro
avviso è di grande interesse, la Kodak
Autographic.
20 CLASSIC CAMERA
Kodak Autographic
Il primo modello Kodak Autographic
Junior è del 1914 e montava già la pellicola 120; sul mercato vi erano anche altri
modelli che montavano pellicola in rullo,
ma in formati diversi, 116, 118, 122, 130.
Una bella Babele dalla quale si è salvato
solo il formato 120, che è ancora e in
produzione e questo ci basta.
Ma cosa aveva di speciale la Kodak
Autographic? La risposta è proprio nel
nome; permetteva infatti di autografare le
proprie immagini. Questa prerogativa era
garantita da uno sportello posizionato sul
dorso della fotocamera che, una volta
aperto, permetteva di accedere alla carta
di protezione che avvolgeva e proteggeva (ancora oggi!) la pellicola 120.
Con uno stilo appuntito fornito in dotazione con la fotocamera, era possibile
scrivere (incidere) sulla carta una data,
la località di scatto, un breve appunto
e volendo, la propria firma; aprendo lo
sportello sul dorso della fotocamera per
il tempo indicato dalla fotocamera (a
seconda del tipo di luce presente sulla
scena, sole, cielo nuvoloso, e così via)
la luce faceva sì che la scritta venisse
registrata dall’emulsione della pellicola.
Una volta sviluppata la pellicola e stampata (a contatto come spesso accadeva
a quell’epoca o ingrandita), nello spazio
tra i fotogrammi si sarebbe potuta leggere la scritta, in bianco su fondo nero.
La Kodak Autographic può quindi essere considerata l’unica fotocamera della
storia della fotografia con la quale è possibile “scrivere con la luce” nel senso letterale del termine.
N. 1 Pocket Kodak: la funzione
Autograph sul campo
È la fotocamera che abbiamo utilizzato
per questo articolo, un modello del 1926
Clarence Bicknell era un poliedrico studioso
britannico che approdò a Bordighera nel
1877 dove fondò nel 1888 il Museo Bicknell;
all’interno del parco della biblioteca piantò
diversi alberi, tra cui due esemplari di Ficus
Macrophylla Columnaris, meglio conosciuti
come Moreton Bay Fig (una baia situata
in Australia a circa 45 km da Brisbane da
cui vennero importati in Europa nell’800). È
definita anche pianta cannibale nel senso
che è in grado di inghiottire letteralmente
ogni tipo di “manufatto umano” che si pari
sul suo cammino.
Lo fotografo costantemente nel tempo,
dagli anni Settanta: qui il primo scatto.
Questo scatto è dello scorso agosto 2012: il
muretto è ormai completamente fagocitato
dalla pianta.
Sulla sinistra la scritta incisa con lo stilo,
ma ho premuto troppo rompendo la carta:
il risultato sono gli aloni luminosi. La posa
di 3 secondi a f/32 (su pellicola Rollei RPX
400) è stata ottenuta sommando 75 scatti
consecutivi bloccando il trascinamento
della pellicola.
Il backstage dello scatto
CLASSIC CAMERA 21
Quando la luce ha comunicato a scarseggiare, l’esposimetro (per luce incidente)
richiedeva un tempo di posa di circa 2 secondi, a cui andava aggiunto un altro secondo
per compensare l’effetto di non reciprocità. Ma su questo modello le pose B e T erano fuori
uso per cui, sfruttando il riarmo automatico dell’otturatore scollegato dall’avanzamento
della pellicola, abbiamo effettuato 75 pose consecutive da 1/25s ciascuna sullo stesso
fotogramma, ottenendo così l’esposizione di 3 secondi. Naturalmente abbiamo usato
un treppiedi robusto, e stabilmente posizionato, oltre allo scatto a distanza per non
trasmettere i movimenti della mano alla fotocamera.
Qui la prima stampa, senza interventi: esposizione di 9 secondi su carta gradazione
1,5.
Sotto : gli interventi effettuati: mascheratura del 30% e bruciatura del 20% come indicato
nell’immagine. Esposizione di 10,5 secondi su carta gradazione 2.
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come si deduce dal numero di matricola.
Tra Autographic e Pocket con funzione
Autograph ne sono stati prodotti davvero diversi esemplari, che si differenziano
sotto vari aspetti, dalla presenza o meno
della messa a fuoco, all’apertura di diaframma, ai tempi di scatto dell’otturatore,
al tipo di pellicola e al formato del fotogramma, oltre alla focale dell’obiettivo e
alla sua costruzione ottica.
Il modello che abbiamo provato utilizza
pellicola 120 con fotogrammi 6x8cm, un
formato più adeguato rispetto al più tradizionale 6x9cm usato all’epoca, che è
compatibile con più teste di ingranditori e
consente di eseguire 10 fotogrammi.
Il diaframma dell’obiettivo va da f/7.9
fino a f/45, l’otturatore è del tipo a riarmo
automatico e consente due tempi di scatto, 1/50 e 1/25 di secondo, oltre alle pose
B e T, che possono essere comandate
tanto dalla leva di scatto (che incorpora
un occhiello per il comando a distanza a
… spago !) che dall’attacco filettato per
il classico scatto a distanza.
Il mirino a specchio consente sia inquadrature orizzontali che verticali, non facili effettivamente da comporre in quanto
manca il vetro smerigliato su cui l’occhio
possa visualizzare l’inquadratura, occorre quindi un po’ di pratica. Manca anche
qualsiasi ausilio alla focheggiatura (niente telemetro) per cui la messa a fuoco è
a stima, cioè a occhio!
In questa fotocamera però le pose B
e T non funzionano; mi rivolgo a Carlo
Giussani della TGF di Milano, uno dei
più famosi riparatori di Rollei (e non solo
in Italia), che smonta l’otturatore e rileva la rottura di una levetta: la può tranquillamente rifare, ma gli devo portare
una fotocamera identica con l’otturatore
a posto per poter eseguire la copia del
pezzo rotto!
La posa B e/o T sono importanti, più
dell’assenza dei tempi veloci in quanto in
esterni si può scegliere la sensibilità della
pellicola più adatta, ma in interni, chiudendo comunque di un paio di stop il diaframma per migliorare la resa dell’obiettivo, sarà davvero difficile lavorare a 1/25s
a f/16 senza poter usare la posa B. In
questi casi infatti si può scattare più volte
con l’otturatore su 1/25 di secondo (l’otturatore è a riarmo automatico ma non collegato all’avanzamento della pellicola), e
si arriva ad una esposizione complessiva
che supera tranquillamente 1 secondo
di posa. Naturalmente solo con soggetti
statici e con la fotocamera su un buon
treppiedi.
A questo modello manca purtroppo lo
stilo originale con cui “autografare” le
immagini, per cui ne useremo uno prestatoci da un amico.
La stampa finale.
La sessione di ripresa
Ci avviamo al luogo delle riprese armati
di fotocamera e di un robusto treppiedi,
oltre che di un esposimetro e di uno scatto a distanza a filo. Non abbiamo ovviamente l’originale e compianta pellicola
Kodak Autograph, per cui dopo ogni scatto proviamo con il nostro stilo a incidere
in qualche modo la carta di protezione
della pellicola: i risultati sono vani, o non
rimane nessun segno, oppure la carta si
lacera per l’eccessiva pressione.
La pellicola originale Kodak Autograph è
stata fabbricata dai primi del 900 fino agli
anni Trenta; disponibile in diversi formati,
era avvolta in due strisce di carta (non
una come le altre pellicole), la prima una
carta trasparente che serviva unicamente
a evitare di lesionare con lo stilo appuntito lo strato di carta inferiore, la seconda
impregnata di polvere di carbone. La
pressione dello stilo sul primo strato di
carta determinava lo spostamento della
polvere di carbone del secondo strato,
permettendo così alla luce di attraversare
entrambe le strisce di carta, esponendo
così la pellicola. Attenzione, nonostante
l’uso della carta carbone, non vi era il
trasferimento del carbone sulla pellicola,
ma semplicemente lo spostamento della
polvere di carbone che rendeva la striscia di carta trasparente. Un’idea geniale,
ma che probabilmente non incontrò un
grande interesse, visto che la pellicola è
stata dismessa nell’arco di poco tempo.
Per cercare di rendere visibile la scritta
abbiamo cercato di sovra-esporre, nei
limiti del possibile, anche eseguendo 75
esposizioni sullo stesso fotogramma.
Il risultato finale
Dopo la soddisfazione per la qualità
dell’immagine ottenuta con una macchina di quasi cento anni, ci siamo un po’
infastiditi. Ma non nei confronti di questa
Kodak, quanto delle attuali fotocamere!
Certo producono immagini eccellenti
su carta o monitor, ma alla fine non c’è
tutta quella differenza che ci saremmo
aspettati rispetto a questa vecchia macchina a pellicola. Vogliamo dire che già
cento anni fa la qualità di una fotocamera
(neppure professionale) era già elevata e per di più usabile ancora oggi, con
quel pizzico di brivido delle incognite di
un percorso tecnico decisamente poco
ripetibile. Bisogna infatti che la fotocamera funzioni, cercare di comporre l’in-
quadratura attraverso un mirino approssimativo, effettuare la messa a fuoco a
stima, esporre avvalendosi di un esposimetro esterno (e sapendolo adoperare).
Poi passare al trattamento di sviluppo
della pellicola, e infine alla stampa sotto
l’ingranditore, indubbiamente una lunga
trafila (piena di variabili) in cui per ottenere il risultato voluto occorre una buona
esperienza.
Ma sulla qualità non c’è nulla da obiettare, e volete mettere la soddisfazione?
G.B.
Ringraziamenti
Felix Bielser di Punto Foto Group per le
pellicole Rollei.
Fowa per le pellicole Kodak.
Il buon Dio che ci ha fatto piovere dal
cielo la Kodak Autograph.
Carlo Giussani di TGF che prima o poi
ci riparerà questa fotocamera.
Donato Navone che ha effettuato lo
sviluppo dei negativi e le stampe con
gli interventi di mascheratura
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Kodak Autograph - Articolo completo CCBW 11/2012