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LE
Le villi
Edgar
SINOSSI DELLE OPERE DI
P UCCIN I
Atto I
Primavera. In un villaggio della Foresta Nera si festeggia il fidanzamento
fra Roberto (tenore) ed Anna (soprano), figlia di Guglielmo Wulf
(baritono), ricco possidente del luogo. Anna è tuttavia triste perché il
fidanzato sta per mettersi in viaggio verso Magonza, allo scopo di prendere
possesso dei beni lasciatigli in eredità da un'anziana congiunta.
Atto II
Dalla voce di un narratore apprendiamo che il presentimento di Anna si è
avverato. Giunto in città, Roberto si è lasciato sedurre da una «sirena»,
dimenticandosi della fidanzata lontana, che nel frattempo è morta di
dolore. Infine, abbandonato dall'amante, Roberto ha deciso di far ritorno
al paese per implorare il perdono di Anna, di cui ignora la tragica sorte.
Inverno. È notte. Il vecchio Guglielmo, che non può darsi pace, invoca
l'intervento delle Villi: le magiche creature che si danno convegno nelle
notti di luna piena facendo danzare convulsamente i traditori d'amore fino
a provocarne la morte. Giunto al villaggio, preda della nostalgia e del
rimorso, Roberto intravede il fantasma di Anna, che con infinita tristezza
gli si rivolge per ricordargli le promesse di fedeltà e il tradimento di cui si è
macchiato. Roberto fa per muovere verso di lei, quando uno stuolo di Villi
lo afferra e lo coinvolge in un ballo vorticoso. All'alba, mentre Roberto
giace ormai senza vita, le Villi si dileguano e con esse svanisce, finalmente
placato, il fantasma della fanciulla morta per amore.
[https://it.wikipedia.org/wiki/Le_Villi]
Atto I
L'azione si svolge nelle Fiandre nel 1300. È l'alba: nel villaggio contadini e
pastori si recano al lavoro. Fidelia, figlia di Gualtiero, è innamorata di
Edgar, ma il giovane non riesce a resistere al fascino di Tigrana, una
bellissima zingara. Anche Frank, fratello di Fidelia, è innamorato di
Tigrana, ma costei lo respinge e cerca di conquistare Edgar. Quando la
zingara assume atteggiamenti irriverenti, intonando davanti alla chiesa una
canzone sboccata, viene cacciata dai contadini, allora Edgar interviene in
sua difesa, poi preso da un'irrefrenabile esaltazione, afferra una torca ed
incendia la casa paterna. Fugge con Tigrana dopo aver affrontato in duello
e ferito Frank che tenta di fermarli.
Atto II
In un sontuoso palazzo si sta svolgendo una festa ed Edgar, ormai stanco
della vita perversa con Tigrana, pensa con nostalgia alla casa paterna e a
Fidelia. La zingara tenta inutilmente di riconquistarlo.
Davanti al palazzo, tra i rulli dei tamburi e i suoni delle fanfare, passa una
schiera di soldati; allora Edgar sente il desiderio di riabilitarsi e per espiare
le sue colpe decide di unirsi a quei militari guidati da Frank. Tigrana giura
di vendicarsi.
Atto III
L'esercito vince la battaglia, ma molte vittime restano sul campo: anche
Edgar è tra i scomparsi. Si preparano le solenni esequie in suo onore.
Mentre Frank pronuncia l'elogio funebre, un frate, con il volto coperto da
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Manon Lescaut
un cappuccio, ricorda le colpe di cui si è macchiato in vita Edgar. Fidelia
difende la memoria dell'uomo amato, poi si ritira in chiesa a pregare.A
cerimonia ultimata giunge Tigrana che appare addolorata per la morte
dell'uomo; il frate e Frank le promettono ori e monili se si fa delle
confessioni ai danni dello scomparso. Quando Amonastro esce dal
nascondiglio e si presenta come il re degli Etiopi, Radamés capisce di aver
involontariamente tradito il proprio paese. Tigrana dichiara non solo di
essere stata l'amante di Edgar, ma anche che quello pensava di tradire la
patria. Alcuni soldati, credendo alle accuse della donna, si avventano sul
cadavere di Edgar, ma nella bara c'è solo la sua armatura: egli è vivo, in
realtà è il frate incappucciato. Fidelia si slancia verso di lui per abbracciarlo,
ma Tigrana compie la sua vendetta: afferra un coltello e la uccide con una
pugnalata. Edgar si china sul suo corpo in preda alla disperazione.
[http://www.liricamente.it/trama-opera.asp?opera=edgar]
Atto I
‘Un vasto piazzale presso la porta di Parigi, ad Amiens.’ Nei pressi di
un'osteria, studenti, borghesi e ragazze scherzano sui temi dell'amore e
della giovinezza. Uno degli studenti, Renato Des Grieux, vanta la propria
indifferenza verso l'amore («L'amor? Questa tragedia, ovver commedia, io
non conosco!»). Giunge una carrozza, dalla quale scendono Manon
Lescaut, una ragazza destinata alla vita monastica, e il fratello, nel libretto
indicato con il solo cognome: Lescaut. Quando Des Grieux vede Manon, è
amore a prima vista. Non appena la ragazza rimane sola, le si avvicina e, al
ritorno del fratello di lei, riesce a strapparle un nuovo appuntamento. Nel
frattempo Lescaut architetta il rapimento della sorella. In tal modo lei
diventerà l'amante di Geronte, facoltoso banchiere, e lui ne condividerà la
vita lussuosa. Ma uno degli studenti, Edmondo, ascolta il dialogo, informa
l'amico Des Grieux e organizza una contromossa: sarà Renato a rapire
Manon, battendo sul tempo il vecchio Geronte. A fatica Des Grieux riesce
a convincere Manon a fuggire con lui e, mentre gli studenti salutano la
partenza in carrozza dei due innamorati, Geronte medita vendetta. Lescaut,
d'altronde, si dice certo che la sorella non sopporterà a lungo una vita
modesta.
Atto II
‘A Parigi.’ Siamo nel salotto della casa di Geronte’. Come volevasi
dimostrare, l'idillio è durato poco e Manon ha raggiunto il fratello per
diventare la mantenuta del banchiere. La vediamo allo specchio, mentre si
prepara per un ricevimento, durante il quale dovrà esibirsi nel ballo e nel
canto. Sennonché la ragazza comincia ad annoiarsi e a provare nostalgia
per Des Grieux, tanto che il fratello, per evitare che la situazione precipiti,
decide di chiamare di nascosto Des Grieux a palazzo. Il ricevimento è
terminato, Manon è sola. Nella sua camera irrompe Des Grieux e, con lui,
la passione di un tempo. Il ragazzo naturalmente è furibondo, ma, forte del
suo fascino, Manon trova facilmente le parole per ammansirlo. Peccato che
nel bel mezzo di un lungo abbraccio arrivi Geronte che, senza troppo
scomporsi, anche di fronte all'ironia della ragazza che gli ricorda la
differenza d'età, si accomiata con un sibillino «Arrivederci... e presto!».
Manon non si rende conto del pericolo. Des Grieux la supplica di fuggire
immediatamente, ma persino quando il fratello, precipitatosi a palazzo, la
avverte che Geronte l'ha denunciata, Manon non sa decidersi a lasciare
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tutte quelle ricchezze. Proprio mentre tenta di recuperare un po' di gioielli
qua e là per la stanza, entrano le guardie e la arrestano come ladra e
adultera.
Atto III
‘Le Havre. Piazzale presso il porto.’ È notte. Manon è rinchiusa con altre
cortigiane nella prigione di Le Havre, in attesa di essere imbarcata all'alba
in una nave diretta verso gli Stati Uniti. Lescaut organizza una fuga per
evitare la deportazione, ma il piano fallisce e, quando il sergente degli
arcieri inizia l'appello delle deportate, a Des Grieux non rimane che una
possibilità: supplicare il comandante della nave affinché accetti di
imbarcarlo insieme a lei. Le sue parole e le sue lacrime commuovono il
comandante e i due innamorati partono per l'ennesimo viaggio.
La bohème
Atto IV
‘In America. Una landa sterminata ai confini di New Orleans.’ Sotto il sole
rovente del deserto di New Orleans, Manon e Des Grieux vagano senza
meta, stremati dalla fatica. Ancora una volta, l'imprudenza della ragazza li
ha costretti alla fuga, ma sarà l'ultima. Manon è stanca, cade al suolo,
incapace di proseguire. Non c'è acqua. L'orizzonte non rivela ombra di
vita. Il suo amante fedele non può fare più nulla, se non gridare la sua
disperazione e ascoltare le sue ultime parole; la bella e voluttuosa Manon
muore fra le sue braccia, sorridendogli amorosamente per l'ultima volta.
[https://it.wikipedia.org/wiki/Manon_Lescaut#Trama]
Quadro I
'In soffitta'. Quattro giovani amici, Rodolfo, Marcello, Schaunard e Colline
conducono una vita gaia e spensierata.
La vigilia di Natale vede Rodolfo e Marcello che, impossibilitati a lavorare
per il gelo della soffitta, sono costretti a bruciare il grosso manoscritto di
un dramma di Rodolfo. I festeggiamenti alla notizia che il musicista
Schaunard ha guadagnato qualche soldo sono interrotti dalla inaspettata
visita di Benoit, il padrone di casa venuto a reclamare la pigione. Costui,
costretto a bere dai turbolenti inquilini, si lascia andare ad imprudenti
confidenze sulle sue infedeltà coniugali e viene cacciato dai giovani che si
fingono indignati. I quattro bohèmiennes escono tranne Rodolfo che deve
attardarsi per terminare un articolo di giornale. Rimasto solo, sente bussare
alla porta: è Mimì, una giovane che abita in una soffitta nello stesso
casamento venuta per far riaccendere il lume spentosi.
Mimì si sente male: è il primo sintomo della tisi e Rodolfo la rinfranca con
un po' di vino accanto al fuoco. Quando la giovane sta per andarsene, si
accorge di aver smarrito la chiave della stanza; un colpa d'aria spegne di
nuovo la sua candela e poi quella del giovane. Inginocchiati sul pavimento,
al buio, i due iniziano a cercarla; Rodolfo la trova, la nasconde in tasca e
stringe la piccola mano di Mimì. I due giovani narrano ciascuno la propria
storia.
Chiamato a gran voce dagli amici, convince la ragazza ad unirsi a loro. Già
innamorati, i due giovani si baciano e si avviano.
Quadro II
'Al quartiere latino'. Colline e Schaunard fanno acquisti, Rodolfo e Mimì si
aggirano felici tra la folla, solo Marcello è triste: la bella Musetta lo ha
abbandonato per rincorrere nuovi amori.
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Al caffè di Momus i giovani, dopo la presentazione di Mimì, ordinano la
cena e appare intanto Musetta, seguita da un vecchio pomposo, Alcindoro
de Mitonneaux.
La bella giovane, allontanato con un pretesto il vecchio amante, civetta con
Marcello che non riesce a resisterle e i due fuggono con gli amici unendosi
alla folla che segue la banda militare e lasciando i conti da pagare ad
Alcindoro il quale al suo ritorno, allibito, cade sopra una sedia.
Quadro III
'La barriera d'Enfer'. Alla Barriera d'Enfer Mimì, pallida e sofferente, parla
con Marcello: la vita con Rodolfo è diventata impossibile per le continue
liti. Nascosta tra gli alberi, ascolta il colloquio tra Marcello e l'amico.
Dapprima Rodolfo accusa Mimì di infedeltà, poi spiega il vero motivo del
suo modo d'agire: la giovane è gravemente malata e il vivere nella soffitta
umida e fredda finirà per abbreviarle l'esistenza, perciò è necessaria la
separazione.La tosse e i singhiozzi tradiscono la sua presenza e Rodolfo la
stringe amorosamente tra le braccia. Al colloquio dei due amanti, che si
allontanano dopo la decisione di rinviare a primavera l'addio, si intreccia un
serio litigio tra Musetta e Marcello, divorati dalla gelosia: anch'essi si
separeranno.
Tosca
Quadro IV
'La soffitta'. Ormai separati dalle giovani, Rodolfo e Marcello si confidano
le pene d'amore; giungono Colline e Schaunard con una magra cena: pane
e un'aringa.
La scena di un simulato gioioso festino è interrotta dal'arrivo di Musetta
che accompagna Mimì ormai prossima alla fine. Ricordando con tenerezza
i giorni del loro amore Mimì si spegne dolcemente circondata dal calore
degli amici e dell'amato Rodolfo, il quale continua a nutrire vani speranze
finchè dal contegno dei presenti capisce che la giovane si è spenta. Allora si
getta sul suo corpo invocandola disperatamente.
[http://www.liricamente.it/trama-opera.asp?opera=la-boheme]
L'azione si svolge nel 1800 a Roma in un clima di tensione in seguito agli
avvenimenti rivoluzionari in Francia e alla caduta della prima Repubblica
Romana.
Atto I
‘Chiesa di Sant'Andrea della Valle’. Il prigioniero politico Cesare Angelotti,
evaso da Castel Sant'Angelo, cerca rifugio nella chiesa, trova la chiave nel
luogo convenuto ed entra nella cappella che appartiene alla sorella, la
marchesa Attavanti. La donna è stata ritratta senza saperlo in un quadro
del pittore Mario Cavaradossi il quale sta dipingendo una cappella della
chiesa. Angelotti si nasconde all'apparire del sagrestano; costui
borbottando mette in ordine gli attrezzi del pittore il quale giunge poco
dopo per continuare il suo dipinto. Il sagrestano si congeda, allora
Angelotti esce dal nascondiglio, riconosce in Cavaradossi un amico e gli
racconta la sua avventurosa fuga. Il loro colloquio è interrotto dall'arrivo di
Floria Tosca, la bella cantante amante del pittore.Di nuovo Angelotti si
nasconde; Tosca, mentre espone a Mario il suo progetto amoroso per la
sera, vede nella figura della Maddalena del dipinto la marchesa Attavanti, fa
una scenata di gelosia al pittore che riesce a calmarla. All'uscita di Tosca il
fuggitivo riappare e continua il dialogo con Mario che gli offre il suo aiuto.
Cavaradossi e Angelotti lasciano la chiesa dove entra, alla ricerca dell'evaso,
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poco dopo Scarpia, capo della polizia papalina, sospettando di Mario
bonapartista. Tosca torna alla chiesa per informare l'amato che la sera deve
cantare a Palazzo Farnese per i festeggiamenti della vittoria dell'esercito
austriaco su Napoleone a Marengo.
Scarpia, che si è invaghito di Tosca, alimenta la gelosia della giovane; costei
sospettando un incontro di Mario con la marchesa giura di ritrovarli
mentre viene seguita dal poliziotto Spoletta per ordine del suo capo.
Atto II
'Palazzo Farnese'. Scarpia, mentre cena in una sala di Palazzo Farnese, ode
la voce di Tosca che esegue la cantata celebrativa; nel frattempo i poliziotti
conducono in sua presenza Mario che, arrestato e interrogato, rifiutando di
rivelare il nascondiglio di Angelotti, viene condotto in una stanza dove
viene torturato. Sopraggiunta Tosca convocata da Scarpia, udendo i gemiti
dell'amato, rivela il nascondiglio del fuggitivo: il pozzo della villa di
Cavaradossi. Mario apprende del tradimento della giovane e si rifiuta di
abbracciarla; in quel momento arriva il gendarme Sciarrone ad annunciare
che Napoleone non ha subito una sconfitta, ma ha vinto a Marengo. Mario
esulta ad alta voce e Scarpia lo condanna immediatamente a morte.
Disperata, Tosca gli chiede di concedere la grazia a Mario. Scarpia la
ricatta: se gli si concederà, potrà salvare Cavaradossi e lasciare Roma con
lui. Viene interrotto da Spoletta il quale informa che Angelotti per evitare
la cattura si è ucciso. Tosca promette di darsi a Scarpia in cambio della vita
dell'amato, allora costui finge di dare ordini perché la fucilazione di Mario
sia solo simulata con i fucili caricati a salve. Mentre quello compila il
salvacondotto la giovane prende un coltello e lo uccide.
Madama Butterfly
Atto III
'La piattaforma di Castel Sant'Angelo'. È l'alba. Cavaradossi, in attesa di
essere giustiziato, inizia a scrivere una lettera di addio che un carceriere, in
cambio di un anello, dovrà consegnere a Tosca. La donna arriva e informa
il giovane della fucilazione simulata; in realtà Scarpia l'ha ingannata: Mario
viene fucilato veramente. Allora Tosca, disperata ed inseguita dagli sbirri
che hanno scoperto il cadavere di Scarpia, si getta dagli spalti del castello.
[http://www.liricamente.it/trama-opera.asp?opera=tosca]
Atto I
In una casa con giardino, a Nagasaki, il tenente della marina statunitense
Benjamin Franklin Pinkerton, accompagnato da Goro, sensale di
matrimoni, attende divertito il corteo nuziale della sua sposa, la geisha CioCio-San, detta Madama Butterfly. Goro gli presenta l'ancella Suzuki, nel
frattempo giunge Sharpless, console americano, al quale Pinkerton espone,
conversando amabilmente davanti a un bicchiere di whisky, la sua cinica
filosofia di «yankee» che vuol godersi la vita, sprezzando rischi e i
sentimenti altrui: s'è invaghito delle ingenue grazie di Cio-Cio-San e
intende ora sposarla secondo il rito giapponese, non riconosciuto negli
Stati Uniti Sharpless gli fa un garbato rimprovero, perchè ha compreso che
«ella ci crede» veramente, ma alla fine alza il bicchiere con Pinkerton che
brinda al giorno in cui si sposerà con una vera sposa americana. Intanto,
arriva Butterfly e il console le rivolge qualche domanda, Cio-Cio-San dice
di essere nata a Nagasaki da una famiglia un tempo assai prospera, ma poi
finita in miseria, motivo per cui è stata costretta a fare la geisha. Vive con la
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madre il padre è morto. Quando le viene chiesta l'età, Butterfly si diverte
fanciullescamente a farla indovinare, poi ammette maliziosa di avere 15
anni. «L'età dei giochi» commenta Sharpless con tono severo verso
Pinkerton. Giungono quindi la madre di Butterfly e gli altri parenti per la
cerimonia, e Pinkerton li osserva divertito. Butterfly trae in disparte
Pinkerton per mostrargli alcuni oggetti che ha portato con sé in dote: dei
fazzoletti, una pipa, una cintura, uno specchio, un ventaglio, un vaso di
tintura per il trucco tradizionale e, infine, un astuccio lungo e stretto, ma
alla richiesta di Pinkerton di vedere cosa contiene, essa lo ripone in tutta
fretta, dicendo che c'è troppa gente intorno. Interviene Goro e spiega
sottovoce che si tratta della lama con cui il padre si è suicidato su ‘invito'
dell'Imperatore.In attesa dell'inizio della cerimonia, Cio-Cio-San confessa a
Pinkerton, a dimostrazione della sua devozione, di aver rinnegato la sua
fede e di essere divenuta cristiana. Si celebrano quindi le nozze, il console e
i funzionari se ne vanno, mentre tutto il parentado si trattiene per
festeggiare. S'ode di lontano la voce terribile dello Zio Bonzo, che irrompe
furibondo, avendo scoperto che Cio-Cio-San ha rinnegato la fede degli avi
e, cacciato da Pinkerton, la maledice rinnegandola a sua volta, seguito dai
parenti. Il pianto di Butterfly viene placato dalle ardenti parole di
Pinkerton, infiammato dal desiderio, mentre scende la notte. L'ingenua
fanciulla risponde teneramente alle appassionate parole del marito che,
stringendola in un abbraccio, la conduce all'interno della casa.
Atto II - parte prima
La fedele Suzuki prega davanti alla statua di Budda affinchè Cio-Cio-San
non pianga più, perchè da tre anni, la sposa aspetta il ritorno del marito
Pinkerton, partito per gli Stati Uniti con la promessa di ritornare a
primavera, nella stagione in cui i pettirossi fanno il nido.Butterfly è
convinta che che un bel giorno dall'orizzonte spunterà la nave di Pinkerton
e il suo sposo salirà la collina chiamandola con gli affettuosi vezzeggiativi
di un tempo. Sopraggiungono Goro e Sharpless, il quale ha ricevuto una
lettera da Pinkerton con un messaggio per Cio-Cio-San. Ella è raggiante di
gioia e dà il benvenuto al console. Sharpless non ha il coraggio di
comunicarle che Pinkerton si è risposato in America e che verrà presto a
Nagasaki con la sua nuova sposa. Cio-Cio-San informa il console di come
il sensale insista per trovarle un nuovo marito. Uno dei pretendenti è il
ricco Yamadori, che giunge poco dopo in gran pompa accompagnato dai
suoi servi, ma Cio-Cio-San non vuole saperne, orgogliosa nella sua tenace
convinzione di essere ancora sposata con Pinkerton, anche secondo la
legge americana. Sharpless comincia con imbarazzo a leggere la lettera di
Pinkerton, continuamente interrotto da Butterfly e cerca di farle capire la
verità chiedendo: «Che fareste […] s'ei non dovesse ritornar più mai?»
Cio-Cio-San s'arresta, immobile, e risponde sommessa che le alternative
sono due: tornare a fare la geisha o morire.
Butterfly chiama Suzuki e le chiede di accompagnare alla porta il console,
poi all'improvviso corre nella stanza accanto e ritorna trionfante con un
bambino in braccio: se Pinkerton l'ha scordata, potrà scordare anche suo
figlio? Il console, profondamente turbato, promette che informerà
Pinkerton dell'esistenza del bambino ed esce. Si avverte un colpo di
cannone e Cio-Cio-San si precipita fuori e, con un cannocchiale, cerca di
individuare la bandiera della nave, quindi, esultante ne grida il nome:
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«Abramo Lincoln!», la nave di Pinkerton. La sua gioia è immensa e ordina a
Suzuki di cogliere tutti i fiori del giardino per adornare la casa e ricevere
degnamente lo sposo. Le due donne cospargono tutto con i fiori raccolti,
poi, dopo aver indossato l'abito da sposa, Cio-Cio-San si accoccola con
Suzuki e il bambino davanti allo shosi in attesa dell'arrivo di Pinkerton.
La fanciulla del
West
Atto II – parte seconda
A poco a poco la notte si dilegua, Butterfly, si allontana dalla stanza con il
bimbo addormentato in braccio. Poco dopo giunge Pinkerton, in
compagnia di Sharpless e di Kate, la moglie americana, che resta ad
aspettare in giardino. Informato dal console del figlio che Butterfly gli ha
dato, è infatti salito alla casa sulla collina per convincerla ad affidargli il
piccolo. Quando apprende da Suzuki come Butterfly lo abbia atteso in quei
tre anni, si allontana col cuore gonfio di rimorso. Butterfly si desta, chiama
Suzuki, entra sollecita nella stanza, vede il console e pensa in grande
agitazione di trovare anche Pinkerton, scorge invece Kate, sulla terrazza, ed
è colta da un brutto presentimento. Interroga Suzuki su Pinketon mentre
fissa Kate, quasi affascinata e finalmente comprende chi è. Kate allora si
avvicina e, chiedendole perdono per il male che inconsapevolmente le ha
fatto, si mostra amorevolmente disposta ad avere cura del bambino e a
provvedere al suo avvenire. Butterfly risponde che consegnerà il piccolo
soltanto a «lui», se avrà il coraggio di presentarsi mezz'ora dopo. Poi li
congeda. Rimasta sola crolla a terra. Ordina a Suzuki di chiudere le imposte
e di ritirarsi nell'altra stanza con il bambino. Suzuki intuisce le intenzioni
della padrona e vorrebbe restare, ma Cio-Cio-San, risolutamente, la spinge
fuori. Poi estrae dall'astuccio di lacca il coltello di suo padre e legge con
solennità le parole incise sulla lama: «Con onor muore chi non può serbar
vita con onore». Sta per compiere harakiri, quando all'improvviso Suzuki
spinge nella stanza il bambino. Butterfly lascia cadere il coltello, si precipita
verso il piccolo, lo abbraccia soffocandolo di baci e, dopo avergli rivolto
uno straziante addio, gli benda gli occhi e lo fa sedere, mettendogli in
mano una bandierina americana. Quindi raccoglie il coltello, si ritira dietro
il paravento e si uccide. Nello stesso istante, invocandola da lontano,
accorre nella stanza Pinkerton, che s'inginocchia singhiozzante sul suo
corpo.
[http://www.liricamente.it/trama-opera.asp?opera=madama-butterfly]
In un campo di minatori della California, nei giorni della febbre dell’oro.
1849-1850.
Atto I
‘Alla Polka’. Il sipario si alza sulla “Polka”, il Saloon di Minnie. Sulla scena
compaiono i minatori che prendono posto nel locale giocando a carte e
bevendo whisky in attesa dell’arrivo di Minnie. I minatori parlano di loro
stessi, della loro nostalgia per la casa e per la famiglia e lo fanno usando i
temi del folklore americano. Il calore della malinconica lontananza nelle
note del menestrello Wallace accentua il loro essere persone semplici ma
generose, dure e rozze ma estremamente sentimentali. Il colore alla scena è
dato dal contrasto tra questa gentilezza d’animo e il loro essere abili bari
nel gioco, giustizieri sommari della truffa di Sid, così come violenti
contendenti della bella Minnie. È proprio Minnie a sventare la lite tra
Sonora e lo sceriffo Rance. La protagonista, quindi, calca la scena
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presentandosi come una donna forte e decisa che tratta gli uomini usando i
loro stessi mezzi. Una grande sonorità la accompagna finendo per
smorzarsi per evidenziare il suo lato dolce, il suo essere ideale femminile
per tutti i minatori del Saloon, colei la quale è desiderata con rispetto, che
custodisce l’oro e al contempo insegna loro la Bibbia. “Non v’è al mondo
peccatore cui non s’apra una via di redenzione”. Minnie legge il salmo 51
di David e preannuncia, così, al pubblico il suo potere redentore che sarà
pieno solo alla fine dell’opera. La scena, che descrive la sacralità del
profano, si mischia con l’annuncio della trappola che Ashby intende
sottendere per la cattura del bandito Ramerrez, il cui volto è sconosciuto a
tutti tranne che all’amante Nina Micheltorena. Ed è proprio per celebrare
la concezione dell’amore della protagonista che Puccini la isola nel suo
dialogo con Rance il quale, non smentendo il suo cinismo, la corteggia
offrendole mille dollari in cambio di un suo bacio. Ma Minnie non si fa
comprare e, proprio mentre intona il suo desiderio di essere amata, fa il
suo ingresso in scena il bandito Ramerrez, Dick Johnson. Il feeling tra i
due è immediato tanto da destare la gelosia dei minatori avventori del
locale e dello sceriffo che aizza i ragazzi contro il forestiero Johnson. È
Minnie che sventa, nuovamente, il rozzo contendersi che si tramuta,
dunque, in un invito alle danze. Il valzer cessa quando entra in scena il
bandito José Castro, della banda di Ramerrez, che si è fatto catturare per
sviare l’attenzione e permettere al suo capo di mettere a punto la rapina ai
danni dei minatori. La scena si svuota. Restano protagonisti solo Minnie e
Johnson. Questo sarebbe il momento propizio per assegnare il colpo ma in
Johnson prevale l’amore per la tenera Minnie dal “viso d’angelo”. È
proprio il tema dell’amore della protagonista che chiude il primo atto
sancito dal coro fuori scena e da un impasto sonoro di grande interesse.
Atto II
‘Nella casa di Minnie’. Il sipario si apre su una scena di colore folkloristico
tra i due indiani al servizio di Minnie, Billy e Wowkle, che cantano la ninna
nanna al loro piccolo. Non è solo scena bensì storia della vita del West
vissuta da personaggi che fanno i conti con il loro essere “integrati”
nell’America dell’oro e delle miniere. Ma oltre al colore dell’ambientazione
questo atto è denso dell’amore, se vogliamo selvaggio eppur naturale e
semplice, di Minnie e Johnson. Minnie da il suo primo bacio all’uomo che
ha capito di amare dal primo momento e non esiste niente altro che
domini la scena più della loro presenza, resa pathos dalla musica che
contrappone la profondità invadente della passione con l’invadente
perturbazione del mondo che li circonda (la bufera di neve che tenta di
scardinare l’idillio amoroso senza alcun risultato). La scena dei due amanti
che si coricano per non lasciarsi più è interrotta dall’arrivo di Rance, Nick e
di Ashby che induce Minnie a trovare un nascondiglio per Johnson
affinché nessuno lo veda con lei. Ma il gioco è presto rovinato: i ragazzi
svelano a Minnie che lo straniero non è altro che il ricercatissimo bandito
Ramerrez. Tutto succede in fretta perché Puccini vuole che il tempo e
l’emozione siano dedicati alla delusione di Minnie ed all’amarezza di
Johnson messi a confronto. Minnie incalza Johnson con il tono del
disprezzo e a questi non resta altro che cercare di giustificare il suo essere
capobanda per “eredità paterna” e lasciarsi travolgere dalla presa di
coscienza di una redenzione amorosa svanita. Minnie lo spinge fuori di
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casa ma Johnson viene raggiunto da un colpo di pistola sparato dagli
inseguitori nei paraggi. Minnie si pente di averlo dato in pasto al suo
passato, è angosciata così lo recupera dalla soglia di casa per nasconderlo
nel solaio. Rance sopraggiunge nella casa di Minnie seguendo le tracce di
sangue che Ramerrez ha lasciato nella bufera fuori. Non ne scoprirebbe la
presenza se non fosse che le gocce di sangue del ferito cadono dal solaio di
Minnie sulla mano di Rance. Scoperto il ricercato, Minnie usa tutta la sua
astuzia per salvargli la vita. Propone di giocare una partita a poker: se vince
Rance avrà la vita di Johnson ed il suo tanto sospirato amore mentre se lo
sceriffo perde Minnie avrà il suo uomo. Minnie bara ed ottiene, così, la
salvezza del suo uomo.
La rondine
Atto III
‘Nella foresta californiana’. È passata una settimana dalla partita a poker e
la caccia al bandito non è ancora cessata. Rance, Ashby, Nick ed i cercatori
sono pronti a riscuotere la rivincita contro Johnson e la tensione sale. Le
azioni si accavallano eppure tutto si svolge in modo fulmineo. Puccini
esprime in modo esemplare e chiaro il motivo della scena e lo fa mettendo
in risalto i singoli episodi senza mai perdere il senso collettivo della
narrazione. La tensione raggiunge il culmine con l’arrivo di Sonora che
annuncia la cattura del bandito. L’euforia prende il posto della tensione, la
grottesca frenesia dei cercatori si contrappone alla calma di Nick che si
appresta ad avvisare Minnie. Johnson è consegnato alla giustizia della folla:
Rance lo schernisce, i minatori lo accusano di furto e assassinio ma,
soprattutto, di aver rubato l’amore puro di Minnie. A Johnson è concesso
di parlare così impiega il tempo che gli è dato prima di morire dedicandolo
a Minnie affinché ella lo creda “sovra una nuova via di redenzione”. Un
assolo, quello di Johnson, quasi cullato dal dolce andamento armonico che
viene interrotto quando sopraggiunge selvaggiamente Minnie a cavallo con
una pistola tra i denti. La furia iniziale della donna che, mentre si avvinghia
al suo uomo minaccia chiunque osi toccarlo, lascia il passo ad un fare dolce
e da brava insegnante, la figura di donna che ci è stata presentata mentre
leggeva la Bibbia nel Saloon. Minnie si rivolge ai cercatori d’oro e a
ciascuno ricorda ciò che lei ha fatto per loro, per alleviare la loro
sofferenza, ricorda la sua incondizionata dedizione. Sonora è il primo a
perdonare il bandito e ad adoperarsi per convincere i suoi compagni.
Echeggia la suprema verità d’amore che tutto può persino redimere dagli
sbagli. Ed è l’amore della folla per Minnie che permette il perdono di
Johnson che, così, può riabbracciare la sua amata e vivere con lei una
nuova vita serena ed onesta.
[http://guide.supereva.it/toscana_meravigliosa/interventi/2009/07/latrama-de-la-fanciulla-del-west-a-lucca]
Atto I
‘Parigi’. Magda è la giovane amante del ricco banchiere Rambaldo: un
giorno, nel suo salotto, si discute dell'ultima moda parigina, l'amore
romantico. Rimasta sola con le amiche, Magda confida loro di una sua
passione giovanile, ed esprime il desiderio di provare ancora quel
sentimento. Giunge Ruggero, un giovane amico di Rambaldo di passaggio
a Parigi; la discussione divaga ora sul modo più piacevole di trascorrere una
serata nella capitale e, mentre Magda conversa con il
poeta Prunier, le altre ragazze consigliano a Ruggero di recarsi da Bullier,
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un celebre locale notturno della città. Vestitasi semplicemente, quella sera
Magda decide di raggiungere anch'ella il Bullier, senza sospettare che la sua
cameriera Lisette, con gli abiti della padrona ed accompagnata dal suo
amante (che altri non è che Prunier), ha preso la stessa decisione.
Il trittico:
• Il tabarro
Atto II
Al Bullier. Indifferente all'allegria ed alla confusione, Ruggero si annoia.
Arriva Magda che, un poco sfrontatamente, si siede al tavolo del giovane
presentandosi come Paulette; in breve fra i due si stabilisce dapprima
un'intesa, poi un sentimento via via sempre più intenso. Giungono Prunier
e Lisette: quest'ultima crede di ravvisare nella compagna di Ruggero la
padrona, ma Prunier, che capisce la situazione, la smentisce. Poi i quattro si
dispongono a trascorrere la serata conversando amabilmente. L'arrivo di
Rambaldo è un fulmine a ciel sereno; Prunier vorrebbe che Magda si
allontanasse, ma la giovane è intenzionata ad affrontare la situazione e
confessa al banchiere la serietà dei suoi sentimenti. Mentre Rambaldo si
allontana cavallerescamente, Magda torna da Ruggero.
Atto III
Magda e Ruggero vivono ormai insieme, felici e lontani da Parigi,
ma il giovane, che ignora il passato della fanciulla, ha scritto una lettera
alla madre per avere il consenso alle nozze; Magda sente crescere
l'imbarazzo. Giungono Prunier e Lisette e mentre quest'ultima chiede alla
padrona di un tempo di riprenderla a servizio, il poeta informa che i
sentimenti di Rambaldo non sono mutati. La lettera di risposta giunge con
il consenso materno e a questo punto Magda, comprendendo che
l'illusione non può durare più a lungo, racconta tutta la verità. Nonostante
le proteste di Ruggero, disposto a tutto pur di non perderla, Magda parte,
portando dentro di sé il bel ricordo dei giorni passati, per ritornare alla vita
di sempre.
[http://www.teatrodelgiglio.it/fileadmin/uploads/Pdf_per_download_ute
nti/La_Rondine_TRAMA.pdf]
Parigi. 1910: è il tramonto. Sulla Senna è ancorato un vecchio barcone da
carico, di cui è padrone il maturo Michele; questi, che ha sposato
Giorgetta, una parigina molto più giovane di lui, avverte che l'unione sta
vacillando e sospetta che la moglie, sempre più insofferente e scontrosa, lo
tradisca con un altro uomo. Il sospetto è fondato: Giorgetta è innamorata
di Luigi, un giovane scaricatore che ogni sera, richiamato dal tenue chiarore
di un fiammifero acceso, la raggiunge protetto dall'oscurità. Michele, che
vede crollare poco a poco le proprie illusioni, tenta di risvegliare nell'animo
della moglie la passione di un tempo ricordandole quel bimbo la cui breve
esistenza aveva accompagnato il loro amore: erano i giorni felici in cui
Giorgetta e il figlio cercavano rifugio nel suo tabarro. Ma quando egli tenta
di stringerla fra le braccia, la moglie si ritrae adducendo un pretesto.
Quindi si ritira nella sua stanza in attesa che il marito la segua e si
assopisca, per poi incontrarsi con Luigi. Michele indugia, riflettendo su chi
possa essere l'amante della moglie e meditando vendetta, quindi accende la
pipa. Attirato dal segnale luminoso, Luigi balza sul barcone credendo di
trovarci l'amante; ma Michele gli è sopra, l'immobilizza e con un urlo lo
riconosce; poi lo afferra per la gola, lo costringe a confessare il suo amore e
lo strangola. Quindi ne avvolge il corpo esanime dentro al suo tabarro.
Giorgetta torna in coperta, come colta da uno strano presentimento, ma
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• Suor Angelica
• Gianni Schicchi
quando si avvicina a Michele, questi apre il tabarro lasciando cadere a terra
il cadavere di Luigi.
[https://it.wikipedia.org/wiki/Il_tabarro]
‘ La fine del XVII secolo, tra le mura di un monastero nei dintorni di
Siena’. Da sette anni Suor Angelica, di famiglia aristocratica, ha
forzatamente abbracciato la vita monastica per scontare un peccato
d'amore. Durante questo lungo periodo non ha saputo più nulla del
bambino nato da quell'amore, che le era stato strappato a forza subito
dopo la nascita. L'attesa sembra finalmente terminata: nel parlatorio del
monastero Angelica è attesa a colloquio dalla zia principessa. Ma la vecchia
signora, algida e distante, non è venuta a concederle il sospirato perdono,
bensì a chiederle un formale atto di rinuncia alla sua quota del patrimonio
familiare, allo scopo di costituire la dote per la sorella minore Anna Viola,
prossima ad andare sposa. Il ricordo di eventi lontani ma mai cancellati
dalla memoria e la possibilità di avvicinare una persona di famiglia
spingono Angelica a chiedere con insistenza notizie del bambino. Ma con
implacabile freddezza la zia le annuncia che da oltre due anni il piccolo è
morto, consumato da una grave malattia. Allo strazio della madre, caduta
di schianto a terra, la vecchia non sa porgere altro conforto che una muta
preghiera. Il pianto di Angelica continua, soffocato e straziante, anche
dopo che la zia, ottenuta la firma, si allontana. Nel suo animo si fa strada
l'idea folle e disperata di raggiungere il bambino nella morte per unirsi a lui
per sempre. È scesa intanto la notte e Suor Angelica, non vista, si reca
nell'orto del monastero: raccoglie alcune erbe velenose e con esse prepara
una bevanda mortale. D'improvviso, dopo aver bevuto pochi sorsi del
distillato, Angelica è assalita da un angoscioso terrore: conscia di essere
caduta in peccato mortale, si rivolge alla Vergine chiedendole un segno di
grazia. E avviene il miracolo: la Madonna appare sulla soglia della chiesetta
e, con gesto materno, sospinge il bambino fra le braccia protese della
morente.
[https://it.wikipedia.org/wiki/Suor_Angelica]
‘Firenze, anno 1299’. Buoso Donati è morto e giace nella sua bara
circondato dai parenti che lo vegliano in preghiera. Ma un dubbio sorge ad
interrompere quella triste serata: che il Donati abbia davvero lasciato tutto
in eredità ai frati? I parenti lasciano che la preghiera ceda il passo alla
curiosità patrimoniale così aprono il testamento che conferma ogni
precedente timore. Rinuccio vede sfumare il suo progetto di vita con il suo
amore Lauretta pertanto propone ai parenti di chiedere consiglio su come
aggirare le imposizioni testamentarie affidandosi al parere del padre di lei,
Gianni Schicchi, uomo di fama molto astuto ed accorto. Gianni giunge alla
casa dei Donati ma non riceve la migliore accoglienza visto che la Vecchia
Zita fa osservare l'inadeguatezza del posto per quell'uomo di origini non
borghesi ma plebee. Gianni si offende ed è pronto a lasciare la casa non
fosse altro per le implorazioni che riceve dalla figlia affinché resti e trovi
una soluzione per farle coronare il suo sogno d'amore. Qui scatta la beffa.
Il dottor Spinelloccio è venuto ad informarsi sullo stato di salute di Buoso,
già morto. Gianni si infila nel letto e prende il posto del morto, risponde
alle domande del dottore e chiede subito che sia fatto chiamare il notaio
per dettare il suo testamento. È il momento di Gianni che, astuto qual è,
non spreca tempo a dispensare lasciti per se stesso: si fa lasciare i beni più
preziosi del patrimonio tra cui la casa di Firenze, la mula, i mulini di Signa.
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Turandot
I parenti restano beffati dal beffatore e nulla possono per disinnescare la
truffa pena la giusta punizione che sarebbe inflitta loro. Gianni scaccia tutti
dalla casa, ormai divenuta sua per testamento di Buoso. Torna protagonista
sulla scena dopo essersi riappropriato di tutti i suppellettili che i parenti
Donati avevano cercato di rubare per toglierli dalle grinfie dell'abile
truffatore. Lauretta, adesso, non è più di famiglia plebea. Suo padre,
Gianni, ha acquisito una fortuna, fortuna maltolta ma sempre fortuna.
Gianni osserva i due ragazzi amoreggiare e, rivolgendosi al pubblico, cerca
di purificare la propria astuzia spiegando di aver osato tanto ma solo per il
bene dei due fidanzati. E se l'occasione fa l'uomo ladro è anche vero che il
movente rende il sacco meno peso ragion per cui Gianni reclama
l'attenuante.
[http://www.comitatopuccini.com/page.php?page=267&langId=1]
Atto I
Quadro primo: Una piazza a Pechino, «al tempo delle favole». Un
Mandarino annuncia alla folla che il principe di Persia, non avendo risolto i
tre enigmi proposti da Turandot, sarà decapitato pubblicamente. Tra la
folla, ci sono un vecchio ammalato e una donna, che chiede aiuto.
Accorre un giovane, che riconosce nel vecchio Timur, suo padre, un re
tartaro spodestato dai cinesi. Ai primi chiarori lunari, entra il corteo che
accompagna il condannato ed alla sua vista la folla, prima eccitata, si
commuove e invoca la grazia per il condannato. Turandot allora entra,
glaciale, ordina il silenzio alla folla e con un gesto dà l'ordine al boia di
giustiziare l'uomo. Calaf, impressionato dalla regale bellezza di Turandot,
decide di tentare di risolvere i tre enigmi per conquistare la mano della
principessa.Timur e Liù tentano di fermarlo, ma lui si lancia verso il gong
dell'atrio del palazzo imperiale, dove anche i tre ministri del regno, Ping,
Pong e Pang, tentano di fargli cambiare idea sottolineando l'insensatezza
dell'azione che sta per compiere. Ma Calaf, quasi in una sorta di delirio, si
libera di loro e suona tre volte il gong, invocando il nome di Turandot.
Atto II
Quadro secondo: Notte in un padiglione vicino alla reggia. È notte. I tre
ministri si lamentano di come, in qualità di sudditi, siano costretti ad
assistere alle esecuzioni delle troppe sfortunate vittime di Turandot, mentre
preferirebbero vivere tranquillamente nei loro possedimenti in campagna.
Quadro terzo: Vasto cortile del palazzo dominato da una scala di marmo.
Sul piazzale della reggia, tutto è pronto per l'infernale prova dei tre enigmi.
L'imperatore Altoum invita il principe ignoto, Calaf, a desistere, ma
quest'ultimo insiste. Il mandarino fa dunque iniziare la prova mentre entra
Turandot. La bella principessa spiega il motivo del suo comportamento:
molti anni prima il suo regno era caduto nelle mani dei tartari, in seguito a
ciò, una sua antenata era finita nelle mani di uno straniero che l'aveva
violata ed uccisa. In ricordo della sua morte, Turandot aveva giurato che
non si sarebbe mai lasciata possedere da un uomo: per questo, aveva
inventato il rito degli enigmi, convinta che nessuno li avrebbe mai risolti.
Ma Calaf riesce a risolvere gli enigmi e la principessa, disperata, si getta ai
piedi del padre, supplicandolo di non consegnarla allo straniero. Per
l'imperatore la parola data è sacra, la figlia sposerà il giovane. Turandot si
rivolge allora al Principe e lo ammonisce che, in questo modo, egli avrà
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solo una donna riluttante e piena d'odio. Calaf, che l'ama, la scioglie allora
dal giuramento proponendole a sua volta una sfida: se la principessa prima
dell'alba riuscirà ad indovinare il suo nome, egli si sottoporrà alla scure del
boia. Il nuovo patto è accettato, mentre risuona un'ultima volta, solenne,
l'inno imperiale.
Atto III
Quadro quarto: É notte nel giardino della reggia.
In lontananza si sentono gli araldi che portano l'ordine della principessa.
Quella notte nessuno deve dormire. Il nome del principe ignoto deve
essere scoperto ad ogni costo prima dell'alba. Calaf intanto sogna ad occhi
aperti le labbra di Turandot, finalmente libera dall'odio e dall'indifferenza
(aria "Nessun Dorma"). Giungono Ping, Pong e Pang, che offrono a Calaf
qualsiasi cosa pur di sapere il suo nome. Nel frattempo, Liù e Timur
vengono portati davanti ai tre ministri. Appare anche Turandot, che ordina
loro di parlare. Liù, per difendere Timur, afferma di essere la sola a
conoscere il nome del principe ignoto, ma dice anche che non svelerà mai
questo nome. Subisce delle torture, ma continua a tacere, riuscendo a
stupire Turandot. Le chiede cosa le dia tanta forza per sopportare le
torture e Liù risponde che è l'amore a darle questa forza. Turandot è
turbata da questa dichiarazione, ma, tornata ad essere la solita gelida
principessa, ordina ai tre ministri di scoprire ad ogni costo il nome del
principe ignoto. Liù, capendo che non riuscirà a tenerlo nascosto ancora,
riesce a prendere un pugnale e ad uccidersi, cadendo esanime ai piedi di
Calaf. Il corpo senza vita di Liù viene portato via seguito dalla folla che
prega. Turandot e Calaf restano soli e lui la bacia. La principessa dapprima
lo respinge, ma poi ammette di aver avuto paura di lui, la prima volta che
l'aveva visto e pur essendo travolta dalla passione lo supplica di non volerla
umiliare. Calaf le fa il dono della vita e le rivela il nome: Calaf, figlio di
Timur.
Quadro quinto: Cortile d'onore della reggia. Un ampio scalone del
palazzo imperiale. Il giorno dopo, al palazzo reale, davanti al trono
imperiale è riunita una grande folla. Il cortile d'onore della reggia con
l'immensa scala accoglie ancora l'assemblea di funzionari per la suprema
prova davanti al sovrano. Squillano le trombe e Turandot afferma di
conoscere finalmente il nome dello straniero, ma, quando tutti attendono
che lo sveli per mandare l'audace alla morte, la principessa, fissando Calaf,
esclama, ardendo della nuova fiamma: "il suo nome è ...Amore". Calaf
ripete quanto appena udito e sale d'impeto la scalinata per raggiungere
Turandot. Un abbraccio li unisce, mentre la folla acclama e prorompe in
un canto di gioia. Tra le grida di giubilo della folla, Turandot abbraccia
Calaf abbandonandosi tra le sue braccia.
[http://www.settemuse.it/musica/opera_turandot.htm]
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1 Le villi Atto I Primavera. In un villaggio della