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Estratto da
Miss Giulia dice la sua
Titolo originale dell’opera
Miss Julia Speaks Her Mind
Traduzione dall’inglese
di Valentina Ricci
© 1999 by Ann B. Ross
© 2013 astoria srl
via Aristide De Togni 7 – 20123 Milano
Prima edizione: giugno 2013
ISBN 978-88-96919-59-0
Progetto grafico: zevilhéritier
www.astoriaedizioni.it
Ero appena riuscita a riprendere fiato dopo lo shock della
morte improvvisa di mio marito quando il suo ultimo lascito si
presentò alla mia porta. Avevamo sepolto Wesley Lloyd Springer
pochi mesi prima di quel rovente e immobile mattino di agosto
e speravo di aver finito di firmare moduli, parlare con avvocati e
sfogliare innumerevoli documenti legali di varia natura. Parola
mia, morire ha più risvolti legali di quanto si pensi. Il defunto non
sa mai cosa si deve passare per mettere ordine nei suoi affari, e
quelli di Wesley Lloyd erano sistemati che meglio non si poteva.
Pensavo.
Misericordia, faceva un caldo terribile quella mattina, e ricordai ancora che Wesley Lloyd si era sempre opposto all’aria
condizionata, anche quando l’avevano installata i Conover. Con
un impianto centralizzato, poi. Wesley Lloyd sosteneva che era
uno spreco di denaro, e che, inoltre, l’aria naturale ci faceva bene.
Però era di quell’opinione solo per casa nostra, visto che il suo
ufficio in banca era tenuto sempre abbastanza fresco da permettergli di indossare tutto l’anno i suoi completi a tre pezzi. Ma non
credo sia giusto parlare male dei morti, anche se si dice la verità.
Insomma, ero seduta in salotto e cercavo di distrarmi dall’afa
sfogliando una pila di cataloghi di vendite per corrispondenza.
Stavo preparando un elenco di ciò che intendevo acquistare e mi
divertivo a farlo, visto che Binkie Enloe mi aveva detto che do1
vevo spendere un po’ di denaro. Sam Murdoch si era dichiarato
d’accordo e doveva ben sapere quel che diceva, essendo l’esecutore del testamento che mi aveva regalato la mia nuova posizione
finanziariamente solidissima. Misericordia, Wesley Lloyd aveva
più denaro di quanto avessi mai immaginato, e apparteneva tutto
a me, la sua vedova inconsolabile. Ma anche una vedova orgogliosa, e a ragione, perché la mia scelta in fatto di mariti si era
rivelata ottima e fortunata.
Vi confesso, però, che pensavo di non riprendermi più dallo
shock di aver trovato Wesley Lloyd morto stecchito, accasciato
sul volante della sua nuova Buick Park Avenue. Grigio acciaio
con sedili morbidissimi, parcheggiata proprio lì fuori, sul vialetto
di casa.
Ma ci ero riuscita, e l’avevo sepolto con una cerimonia presbiteriana perfetta in tutti i dettagli, come lui si sarebbe aspettato.
Poi mi era toccato un altro shock quando avevo scoperto che
Wesley Lloyd era ricchissimo. Diamine, oltre alla banca lasciatagli
dal padre sembrava possedesse metà della contea, e anche azioni,
obbligazioni, rendite con agevolazioni fiscali, che fruttavano tutte
altro denaro ogni giorno. Quando mi avevano spiegato l’ammontare del suo patrimonio ero riuscita solo a pensare alla somma
che mi passava ogni venerdì per le spese di casa, dicendo: “Falla
durare, Julia. Il denaro non cresce sugli alberi, sai”. E intanto lui
ne coltivava un bosco intero! Beh, buon pro gli aveva fatto, perché
era toccato tutto a me, fino all’ultimo centesimo.
Adesso, dopo quarantaquattro anni di beata ignoranza sulle
attività di Wesley Lloyd, finanziarie e non, ero decisa a godermi
i benefici della vedovanza e un nuovo libretto degli assegni, e
padroneggiavo entrambi senza nessun particolare problema.
Guardai dalla finestra mentre su Polk Street passavano rare
automobili dirette verso la Main. Diamine, avevano tutti un telefono incollato all’orecchio, anche se questa città non è abbastanza grande da rendere necessario il cellulare tutte le volte che si
fa una capatina al supermercato. Dall’altra parte della strada il
parcheggio si estendeva dalla Polk al retro della First Presbyterian
Church di Abbotsville, la mia chiesa e quella che Wesley Lloyd
e suo padre prima di lui avevano sostenuto con la loro presenza,
con decime, offerte e donazioni extra. Anche con consigli, che
venivano sempre accettati ma non sempre apprezzati. Dall’asfalto
del parcheggio si sprigionavano ondate di calore mentre osservavo le automobili in sosta per capire a chi appartenevano. Avevo
l’abitudine di tenermi al corrente di ciò che avveniva intorno a
me e, visto che il lunedì era il giorno di libertà del pastore Ledbetter, non mi si poteva biasimare se mi chiedevo perché si stesse
incontrando in chiesa con alcuni membri del consiglio degli anziani. Ma lungi da me ficcare il naso.
Sentivo Lillian canticchiare in cucina sulle note della radio,
accompagnata di tanto in tanto dallo sbattere delle pentole mentre mi preparava il pranzo. Anche questo era cambiato da quando Wesley Lloyd non rientrava più a casa a mangiare. Aveva
amato una casa silenziosa, la massima puntualità nei pasti, e ogni
cosa fatta in orari prestabiliti. Avevo già cominciato a godermi un
po’ di libertà da quelle tabelle di marcia, dicendo a Lillian che
potevamo pranzare quando una di noi aveva fame o quando le
veniva voglia di mettere qualcosa in tavola.
Mi leccai un polpastrello e sfogliai una pagina del catalogo
natalizio di Neiman Marcus, chiedendomi cos’avrebbero detto
Sam e Binkie se avessi ordinato qualche sciocchezzuola. Parola mia, alcuni degli articoli in vendita erano per gente con più
denaro che buonsenso, e questo non era il mio caso, sono felice
di dirlo. Suppongo, tuttavia, che in molti avrebbero affermato il
contrario se avessero saputo fino a che punto Wesley Lloyd era
stato oculato e lungimirante.
Comunque. La sua oculatezza e la sua lungimiranza non
avevano tenuto conto degli infarti. Sapevo, com’era vero che mi
trovavo nel mio salotto, che non aveva mai avuto intenzione di
affidarmi il suo intero patrimonio. L’avevo capito appena il pastore Ledbetter era venuto da me con fare da cospiratore, nemmeno due giorni dopo aver celebrato il funerale di Wesley Lloyd,
per dirmi che sapeva che volevo rispettare le ultime volontà del
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signor Springer anche se non erano mai state messe per iscritto.
Era la prima volta che sentivo che Wesley Lloyd aveva progettato
di fare della First Presbyterian Church il suo principale erede,
con il pastore Ledbetter e un membro del consiglio degli anziani
incaricati di elargirmi una somma mensile in qualità di amministratori fiduciari.
A questo proposito non credereste quante telefonate, circolari,
brochure e lettere su costosa carta intestata avevo ricevuto da
consulenti patrimoniali e finanziari, esperti di successioni e chi
più ne ha più ne metta, decisi a convincermi ad affidare loro i
miei beni. Non importava se si trattava di una chiesa, di un’università, di un ente benefico o di un uomo d’affari seduto nel suo
ufficio, tutti sapevano cos’era meglio per me. Se avessi permesso
loro di prendersi cura di tutto avrei potuto contare su un appannaggio versato ogni tre mesi per il resto della mia vita. Beh, avevo
ricevuto un appannaggio per quarantaquattro anni, grazie tante,
e tenersi tutto era molto meglio.
Allungai una mano per accostare le tende di velluto color
vinaccia, a causa del sole mattutino che irrompeva dalla finestra – bisogna stare attenti, altrimenti il sole sbiadisce i tappeti
orientali – e cambiai posizione sulla poltrona per evitare la luce
accecante. Una forcina mi scivolò sul collo e, mentre la rimettevo
a posto, ricordai che Velma aveva cominciato a chiacchierare
durante il mio ultimo appuntamento, senza prestare alcuna attenzione al suo lavoro che in quel momento consisteva nel farmi
la permanente. Mi ero sentita male quando avevo visto cos’aveva combinato. Aveva detto che i ricci si sarebbero ammorbiditi
quando li avessi lavati, che i miei capelli erano finissimi e avrei
dovuto sapere che il capello cambia consistenza con l’età; forse
prendevo medicine che potevano fare reazione con il prodotto?
Parola mia, vorrei che per una volta nella sua vita quella donna
ammettesse di aver sbagliato e non desse la colpa a me o ai miei
capelli se la mia testa sembra una paglietta in acciaio per pentole.
Ma ci sono cose con cui bisogna convivere. Come i capelli
troppo ricci, o la mancanza di figli che ti confortino nella vec-
chiaia, due cose che potrebbero far venire voglia di nascondersi
il viso tra le mani e piangere.
Ma, per guardare al lato positivo, i capelli ricrescono e a volte
i figli crescono e finiscono per litigare per l’eredità, quindi non
potevo lamentarmi troppo. Non che negherei mai a un figlio mio
ciò che gli o le spetta di diritto, ma potrebbero accapigliarsi tra
loro. Di fatto, mi era stato risparmiato il vergognoso spettacolo di
una famiglia dilaniata dalle liti tra eredi. So di cosa sto parlando,
perché l’ho visto succedere troppe volte ed è un vero peccato.
Suppongo che al mondo non sia mai esistito un testamento in
grado di soddisfare tutti i beneficiari, dunque non potevo rattristarmi eccessivamente all’idea di essere l’unica sopravvissuta.
Sospirai e sfogliai un’altra pagina, così concentrata sulle immagini patinate dei cataloghi che per poco non mi presi un colpo
quando suonò il campanello.
Andai alla porta d’ingresso e attraverso la zanzariera fissai la
donna in attesa: sfoggiava tacchi troppo alti, un abito troppo corto
e capelli troppo gialli. Tutto troppo giovanile per le rughe che le
segnavano gli occhi e le labbra lucide e dipinte di rosso. Un ragazzino pelle e ossa era in piedi dietro di lei a capo chino, e pensai
che la donna vendesse qualcosa. I venditori porta a porta lo fanno,
non lo sapevate?, di portare con loro un bambino per farvi sentire
in colpa se rifiutate di comprare. Aprii la bocca per dire “No,
grazie”, ma lei aveva già cominciato a parlare.
“Scusi il disturbo,” disse armeggiando con la tracolla della
borsa. Vidi il luccichio del sudore che traspirava da sotto il trucco
mentre lei faceva un profondo respiro e continuava a ruota libera.
“Non lo farei se fossi riuscita a trovare un altro modo. Ma non ce
ne sono, lui non mi ha lasciato altra scelta, e devo guadagnarmi
da vivere. Sa com’è; beh, forse no. Ma sto andando a un corso
per estetiste giù a Raleigh. Sul manicure. Ha presente, le unghie
in acrilico e tutto il resto? Con le unghie si può guadagnare bene,
e non so proprio cos’altro fare.”
Continuavo ad aprire la bocca per dirle che aveva sbagliato
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casa, non avevo la minima idea di chi fosse, ma non me ne diede
l’opportunità. Sospinse il bambino di fronte a sé e gli diede una
lieve spinta verso la porta a zanzariera. Era un essere dall’aria
afflitta, magrissimo e pallido, che se ne stava in piedi con l’espressione del cane abbandonato e reggeva un sacchetto di carta marrone del supermercato Winn-Dixie con entrambe le mani.
“Questo è Wesley Lloyd Junior, anche se forse,” disse la donna con una risatina nervosa, “il suo nome non è del tutto legale,
come nessuno sa meglio di lei. Io lo chiamo Wesley Lloyd Junior
Springer, non mi importa cosa c’è scritto sul certificato di nascita,
anche se il nome del suo papà compare ufficialmente. Vede? Proprio qui.” E mi porse un foglio di carta con le parole certificato
di nascita stampate in cima.
Aprii la zanzariera come una sonnambula, presi il foglio e
vi lessi il nome di mio marito. “Padre: Wesley Lloyd Springer.
Madre: Hazel Marie Puckett.”
“Devo lasciarlo a lei,” disse Hazel Marie Puckett spingendo
più vicino il moccioso. “Devo affidarmi alla sua carità cristiana,
perché Wesley Lloyd non mi ha lasciato il becco di un quattrino.
Ho parlato con il suo avvocato, e lei mi ha detto che non mi resta
nemmeno la casa in cui vivo da quasi dodici anni. Sono al verde,
signora Springer, e non le chiedo niente, solo di badare al mio
bambino mentre sono al corso. Non posso lasciarlo a nessun altro
e, insomma, è un po’ come se fosse il suo figliastro, no? Tornerò a
prenderlo, al massimo tra sei settimane, e odio fare una cosa simile,
ma sa. Fa’ il bravo,” disse dandogli qualche colpetto sulla schiena
e usando un piede per spingere in avanti la valigia di cartone che
gli stava accanto.
“Obbedisci alla signora Springer, mi hai sentito?” Gli diede
un bacio frettoloso sulla testa e corse giù per i gradini verso una
rombante automobile bianca e rosso scuro parcheggiata di fronte
a casa mia. Il motore bruciava troppo olio e dense volute di fumo
si arricciavano intorno alle mie siepi di bosso.
“Signorina! Signorina!” gridai riacquistando finalmente la
voce e precipitandomi sulla veranda. “Torni qui! Non può farlo!
Non posso tenere questo bambino! Signorina! Guardi che chiamo lo sceriffo, è meglio che torni qui!”
Ma lei salì sul sedile del passeggero, e l’automobile schizzò via
quasi senza lasciarle il tempo di chiudere la portiera. Sedile del
passeggero, pensai all’improvviso. Guidava qualcun altro.
“Cosa sono tutti ’sti urli?” Lillian era sulla soglia, e la sua
divisa bianca splendeva dalle maglie fitte della zanzariera. La
si poteva scambiare per un’infermiera o una cameriera troppo
in carne, se non si notavano i tacchi consunti delle scarpe che
producevano un rumore secco a ogni suo passo. Mi guardò, poi
fissammo entrambe il ragazzino.
Non avevo mai visto una creatura dall’aspetto così pietoso. Sui
nove o dieci anni, pensai, con flosci capelli castani che gli cadevano sugli occhi, grandi occhiali dalla montatura in corno abbassati
sul naso, pelle pallida punteggiata di lentiggini, occhi sfuggenti
che evitavano di guardarci. Se ne stava in piedi a spalle curve,
con il cravattino a farfalla munito di clip tutto storto sulla camicia
di cotone sottile, e i pantaloni lisi a vita troppo alta stretti da una
cintura elastica marrone. Tutto comprato ai saldi da Wal-Mart,
senza dubbio. Lo guardai con attenzione ignorando Lillian, in
piedi a bocca aperta. Gli sollevai il mento, studiai il suo viso ed
ebbi la conferma di ciò che era chiaro come la luce del sole.
Mi cadde il cuore a strapiombo quando mi resi conto che stavo
guardando un Wesley Lloyd Springer più giovane di sessant’anni
e oltre. Era identico, ma senza la sicurezza e le qualità da leader
di Wesley Lloyd.
Feci un respiro profondo. “Lillian, guarda cos’altro mi ha lasciato il signor Springer.”
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