dhhZgkVidg^d^ciZgY^higZiijVaZ'%%, bVXgdiZcYZcoZ hXZcVg^Zkdaji^k^YZ^XdbedgiVbZci^ ZYZ\a^hi^a^Y^k^iVYZ^XdchjbVidg^ bZiVY^higZiid XVaoVijg^Zgd kZcZid Vii^YZaXdckZ\cd ajcZY&-\^j\cd'%%, Y^higZiid YZabdW^aZXaVhh^Xd YZaaVe^VcjgV kZcZiV Y^higZiid YZaegdhZXXd Y^XdcZ\a^Vcd ZkVaYdWW^VYZcZ osservatorio interdistrettuale 2007 macrotendenze scenari evolutivi dei comportamenti e degli stili di vita dei consumatori Uno sguardo attento e curioso verso l’immaginario collettivo del mercato globale che evolve e si trasforma con nuove tendenze di carattere sociale, culturale ed economico, mostrando scenari di esperienza e di pensiero sempre più affascinanti. Il punto di vista congiunto di diversi Distretti, Calzatura, Mobile Classico e Prosecco che parte dall’analisi delle tendenze per scoprire quanto vi è oltre, verso un unico e complesso mercato di riferimento da conoscere per poter con esso dialogare. atti del convegno Luciano Rossignoli Buonasera a tutti. Con il solito ritardo diamo inizio ai lavori di questo nostro incontro sulle tendenze. E’ un dato particolare, nel senso che abbiamo messo insieme tre distretti che sembrano incompatibili tra loro: la calzatura, il vino e il mobile, per cercare di capire qualcosa di più su come va il mondo dei consumi, al quale ovviamente tutte le nostre aziende, per un verso o per l’altro, sono orientate. Per primo, come inizio dei lavori, partirà il prof. Finzi che ci darà 18 megatrends, poi il dott. Papetti direttore del Gazzettino e il dott. Candoni, responsabile dell’Ufficio Sviluppo e quindi dei distretti della Regione Veneto, faranno le loro considerazioni su questo tema. Questo è il primo appuntamento ed è a livello trasversale, nel senso che riguarda tutti e tre i distretti, in autunno poi continuerà l’attività dell’osservatorio con altri tre incontri specifici, uno per ogni distretto, dove cercheremo di calare e di confrontare quello che esce oggi e quello che l’osservatorio continuerà a produrre, in termini di tendenze per quanto riguarda il consumo, con quelle che sono le indicazioni che arrivano direttamente dalle aziende dei vari settori merceologici, per capire se le nostre aziende si stanno muovendo secondo queste tendenze oppure se si trovano dei dati discordanti. Quindi il mio è un saluto a nome di tutti e tre i distretti, non vi rubo altro tempo e darò subito la parola al prof. Finzi. Grazie. Enrico Finzi Bene, grazie, ben trovate, ben trovati. Nel 1980 io sono uscito, ho lasciato il posto di direttore marketing della Rizzoli Corriere della Sera, perché tirava una strana aria; qualche tempo dopo abbiamo capito si chiamava P2. Me ne sono andato perché non mi piaceva come andavano le cose, senza avere un posto di lavoro, con un minimo di coraggio di cui al momento del giudizio universale mi vanterò! e venni contattato per caso, non ne conoscevo neanche l’esistenza, da una società inglese che si chiamava International Matrix, che voleva introdurre anche in Italia certi tipi di previsioni specifiche dal lato della domanda, non sulle tecnologie, sui processi produttivi, ma su come cambiano i consumatori, i risparmiatori, gli elettori, ecc.. Ed ecco, siamo arrivati ad oggi, nel senso che da allora, io mi sono occupato di tendenze, sono anche forse noto per qualche ricerca di mercato sul presente, ma in realtà il mio mestiere da quasi 30 anni è quello di fare delle previsioni, che noi aggiorniamo ogni anno per una trentina di aziende e organizzazioni, in genere sono medio grandi. All’interno di questo lavoro di scenari, ci è stato chiesto da tre realtà molto diverse tra loro: calzature, mobile classico e prosecco di approfondire alcune di queste tendenze e magari di individuarne alcune altre e di presentarle ai tre consorzi. La cosa è stravagante; mi era capitato di lavorare per un consorzio, ma mai per tre consorzi diversi, il cui nesso sembra anche modesto perchè pochi di voi bevono in straordinarie scarpette di Cenerentola di cristallo del prosecco di Valdobbiadene o di Conegliano! non sono tre settori contigui! Ma è stato estremamente interessante perché io credo che in un momento in cui c’è uno straordinario bisogno di innovazione, le innovazioni non si trovino solo all’interno del proprio settore, partendo dalle proprie esperienze, che certo è la via maestra, ma anche guardano fuori, a tendenze sociali che non sono specifiche di quel settore, ma che possono dare all’intelligenza e al fiuto delle piccole e medie imprese, perché di questo stiamo parlando. Naturalmente essendo tendenze sociali valgono anche per i grandi gruppi, ma quello che ci interessa sono le piccole e medie imprese del triveneto, dando degli stimoli che altrimenti, per le loro dimensioni, per la mancanza di tempo, ecc., non potrebbero ottenere, che possono esser almeno in parte, di suggerimento, degli stimoli come quelli che noi ricaviamo da molte altre fonti. Alcuni sono fenomeni noti che si stanno rafforzando, altri sono fenomeni ignoti. Sono molti. Io cercherò di correre veloce, indicando in particolare quelle che a me sembrano le novità rispetto alla sensibilità comune degli imprenditori colti, cioè quelli che leggono i giornali, seguono un po’ di cose in televisione, si interrogano, leggono il Sole 24 Ore, partecipano a dei convegni. Io di mestiere faccio molte di riunioni di questo tipo, vedo che sono utili perchè aggiornano le conoscenze, però a volte non colgono dei fenomeni che stanno espandendosi nella società e che a medio termine, 5-7, anni determineranno effetti rilevanti e la mia tesi è quella che conoscerle un po’ in anticipo ti può dare un vantaggio competitivo o può consentire ad alcuni membri dei consorzi, ad alcuni soggetti, di farsi venire l’idea buona. Vedremo, alcune quasi solo per titolo, le 10 medie tendenze che, vi ricordo, hanno caratteristica di essere trasversali ai settori, di essere nazionali, di essere considerate importanti e non discendenti, cioè non fenomeni che vanno a morire ed hanno un arco temporale tra i 5 e i 7 anni. Il primo è stato chiamato la “demografia veloce”, cosa ci dice? Il cambiamento della struttura della popolazione è sempre stato importantissimo nella storia, ma non ha mai avuto effetti di breve periodo sulle imprese o sulle pubbliche amministrazioni, perché la popolazione, si è sempre detto così, cambia molto lentamente. Oggi non è più così. Oggi ci sono dei cambiamenti nella struttura della popolazione che hanno un impatto molto forte, nel giro di 5-10 anni, in parte perché sono fenomeni nuovi che qui non sono citati: crescono gli immigrati extracomunitari, tema molto caldo anche nel dibattito politico, io non voglio toccare temi politici; ricordo però che i fenomeni sociali sono sempre ambivalenti, può essere per esempio un’opportunità: ci sono delle zone, a forte insediamento, di solito capita vicino alle stazioni in tutta Europa, anche a Milano vicino alla stazione centrale, dove il boom della presenza di immigrati islamici può costituire un rischio per l’antiterrorismo, e di questo io non so darvi testimonianza, ma può dare vita ad un’offerta di ristoranti arabi, di kebab, ecc., gigantesca. E diventa un fenomeno di mercato. Oppure possiamo assistere alla crescita nella scala sociale degli immigrati, dopo qualche decennio che sono qui o della nuova generazione e per esempio la Camera di Commercio di Milano ha segnalato un dato impressionante e cioè che l’anno scorso la maggioranza delle nuove imprese è extracomunitaria, ha un imprenditore extracomunitario, quindi fenomeni di vitalità, ecc.. Per cui è tutto molto ambivalente. Ma le cose che volevo farvi notare, per quello che riguarda la demografia, sono 4: la prima riguarda gli anziani. Tutti sappiamo che abbiamo sempre più vecchi; un po’ perché aumentano in percentuale, si chiama invecchiamento della popolazione, anche perché altri gruppi diminuiscono, un po’ perché si vive più a lungo. Per scioccarvi con un dato che ho già discusso con i calzaturieri, al censimento del 1901 l’età media era 43 anni, adesso è 80. Le conseguenze sono gigantesche. Quello che magari si sa meno è che ormai il 55% degli anziani è moderno, non sono più come i nostri “veci”. Basta fare un calcolo e vedere oggi uno che ha 60 anni o 65 e vi rendete conto che è nato negli anni ’50. Non ci vuole un genio per capire che non è vissuto nell’Italia della miseria, che si è abituato ad interagire con la televisione, con la pubblicità, con i super e gli iper mercati, ecc.. E’ sicuro che noi decadiamo, ma l’età media della decadenza delle persone in Italia è tra 78 e i 79 anni. Il risultato è che tra i 70 e i 79 anni c’è una nuova età della vita. Guardate che è una rivoluzione! All’inizio del ‘900 c’è stata la rivoluzione dell’adolescenza, che poi ha provocato i suoi esiti negli anni sessanta, e cioè i bambini, guardate adesso, sono mostruosamente in anticipo per quello che riguarda l’uso delle tecnologie: mia nipote ha 2 anni e mezzo ed è già in grado di capire il comando a distanza. Dall’altro lato, statisticamente, ha la probabilità di avere un reddito fisso sicuro per potere fare un mutuo, per comprarsi la casa, tra 27 anni e mezzo. Questo vuol dire che ha delle capacità sempre più anticipate e delle altre sempre più ritardate: produrre reddito, andare a vivere da sola. E’ un’età che una volta non c’era. Una volta si passava dalla fanciullezza all’età adulta, dalle prime mestruazioni all’aver figli, in tre anni, all’inizio del ‘900. Se voi vi occupaste di scarpe per ragazzine, capireste che il mercato è nato innanzi tutto da un fenomeno demografico. E allora noi abbiamo una nuova età, che prima non c’era: un’età post adulta, ma non ancora “rincoglionita”, un’età di consumi, un’età in cui i viaggi crescono, in cui si vuole bere meglio, non di più. I vecchi vecchi consumavano più vino della media, i nuovi vecchi consumano meno della metà dei vecchi, aventi gli stessi anni, di 20 anni fa! Noi abbiamo più vecchi veneti cirrotici epatici, abbiamo nuovi vecchi consumatori moderni, che magari sono arrivati al vino con la rivoluzione del Prosecco di 2025 anni fa, che ha avviato molte donne al bere semplice, al bere facile, al bere con le bollicine, all’aperitivo e poi si sono abituate e magari sono passate al rosso. Il secondo esempio: si dice abbiamo più vecchi, ma nessuno ragiona su una cosa di cui non sento mai parlare: gli adulti invecchiano; così sembra una cretinata. Noi nella società italiana abbiamo e avremo sempre di più gente tra i 40 e 60 anni e non gente tra i 20 e i 40 anni. Cosa vuol dire? Io non do le risposte, in taluni casi le do e qualcuno mi paga anche per darle; noi qui diamo degli stimoli culturali semplificati. Un altro esempio: i giovani. Noi dobbiamo piantarla di pensare ai giovani come la locomotiva dell’innovazione, oggi non lo sono più; lo sono per l’abbigliamento, per la musica, per le tecnologie di consumo, e basta: internet, l’I-Pod, ecc.. Per il resto, oggi l’innovazione sociale, culturale, non parlo di politica, di consumo, la fanno le persone tra i 35 e i 40 anni, per l’esattezza, c’è un programma di elaborazione che calcola il baricentro dell’innovazione, è a 36 anni e qualche mese. Il brunch o l’happy hour sono stati introdotti come consumo dai 35 e 40enni a Milano e solo poi ci sono i ragazzini che riempiono i marciapiedi a certe ore. Certe innovazioni della moda sono più concentrate tra i 35 e i 40 anni, che non tra i giovani. Dobbiamo incominciare ad uscire da quello che tutti pensiamo e cogliere delle tendenze emergenti, la democrazia diventa sempre più veloce. Un’altra cosa che interessa solo ai mobili direttamente. Noi sappiamo che le famiglie sono sempre più piccole, perché si fanno pochi figli. Un milione e 63 mila bambini nati vivi nel 1963; adesso che non c’è nessuna crescita di natalità, gli italiani ne fanno la metà: 539 mila. Allora sappiamo tutti che abbiamo famiglie in cui non abbiamo più bisogno di 3 stanze per i ragazzi, quindi per i nostri amici di Cerea, ma anche per l’Ikea, o per la B&B o la Cassina di livello alto sappiamo che non abbiamo più bisogno. Vediamo sempre di più divani a due posti e quelli grandi sono a tre, non ci sono più 5 sedute, salvo per quelli, di solito evasori fiscali, che hanno una serie di cose e poi qualche eccezione. Tra l’altro chi ha tanti figli di solito è cattolico in questo Paese e i cattolici fanno dormire i figli nei letti a castello, per cui non c’è neanche una stanza, giustamente; li portano in montagna e non al mare, ricerca per Alpitour e Francorosso. Avete notato? I cattolici impegnati vanno molto di più in montagna! E’ una differenza sembra di marketing, ma ci sono dei motivi, non è perché sono più vicini a Dio, non è assolutamente cosi! Quello di cui non si è mai ragionato è cosa vuol dire avere tante famiglie in più. Se voi prendete la torta sociale, che cresce poco perché gli italiani non crescono quasi niente, e la dividete in fettine più piccole, famiglie meno numerose, avete più famiglie. Quanti hanno ragionato sul fatto che certi consumi sono mediati dalla famiglia? Non sono come il cellulare che è personale, ma sono come l’apparecchio fisso. Ci sono delle conseguenze: ragioniamoci. Il baricentro; con il fatto che, ragioniamo al mercato del lavoro, integriamo il giovane sempre più tardi (il precariato tra l’altro consente di pagarli meno, sono più ricattabili, non sono sindacalizzati), incominciamo a discriminare la gente a 45–50 anni, abbiamo il risultato che abbiamo più o meno 20 anni di reddito sicuro con i contributi e le pensioni ed è ovvio che sia li, quando cominci ad avere un po’ di reddito, sei un genitore giovane! Quindici anni fa un genitore giovane per noi ricercatori stava tra i 25 e 34 anni, oggi è tra i 35 e i 44 anni. Andate di fronte alle scuole elementari, vedete come trovate 40enni, giovani, che vanno in palestra, abbronzati, meno contadini, ma non hanno più, come quando io ero genitore di bambini, tra i 25 e i 30 anni. Il risultato è che noi dobbiamo riflettere su molti fenomeni che non conosciamo, la dobbiamo smettere di credere che young, giovane, voglia dire new, nuovo. E’ vero solo in certe categorie di prodotto. Ma poi c’è un’altra tendenza clamorosa: meno ma meglio, le tre M. Siamo già entrati in un era in cui la gente non vuole più avere tanti acquisti, vuole, non può, acquistare meno ma meglio, con una migliore qualità. Uno dice: la società italiana si è impoverita, o almeno la classe media allargata; il risultato non è stato un peggioramento dei prodotti acquistati, ma è che chi ha dovuto tirare i remi in barca, ha mantenuto e perfino esteso certi consumi per lui di qualità, magari tagliando sull’alimentare; l’alimentare non era mai sceso in Italia in valore assoluto, in moneta costante, cioè depurata dall’inflazione, ed è sceso! Le grandi catene hanno perso soldi per due anni e si erano abituati a fior di redditi. I risultati sono clamorosi: noi abbiamo da un lato una parte della classe media allargata, due terzi, che non si è più ripresa dalla crisi del ’92 – ‘94 e che ha subito fortemente la stagnazione dei consumi, che però è stato un impoverimento percepito, perché la gente ha avuto l’impressione di guadagnare uguale, ma di avere un minore potere di acquisto. Il risultato è che il 70% degli Italiani si è considerato impoverito. La reazione è stata non “compro le stesse cose di prima ma un po’ più brutte o meno frequentemente”, ma “compro meno per difendere una certa qualità dei prodotti che mi interessano”. Perché questo ha avuto una funzione antidepressiva, sennò arretrare nella scala sociale, ti fa sentire una merda, io capisco che non sia alta sociologia, ma vi giuro che è molto meglio che dire “agisce negativamente sulla tua autostima”! Gli italiani hanno difeso certi consumi; pensate ai cellulari, che sono cresciuti anche nelle famiglie impoverite, perché questo è stato un vissuto importante, poi magari hanno tagliato sull’andare in pizzeria, che ormai per un giovane invitare un ragazza in pizzeria richiede un mutuo, perché la pizza, il vino, la birra, il cinema, prescindiamo dal sesso o prevediamolo gratuito, il parcheggio, la multa,… e il risultato è che abbiamo tagliato certe cose, anche mangiato peggio, anche comprato prodotti più bassi nei supermercati. Ma poi c’è un secondo fenomeno, e questo non lo dice nessuno; tutti piangono sul non arrivare alla fine del mese e invece la cosa è da rivedere fortemente: la gente non chiede prodotti peggiori, ma chiede prodotti convenienti di cui non gliene importa niente e chiede di avere ad un prezzo competitivo prodotti di cui cerca la qualità, anche perché, per es. la tecnologia, abbassando continuamente i prezzi, abitua la gente ad avere più qualità; pensate alle funzioni oggi di un cellulare rispetto a qualche anno fa ad un prezzo che è un quinto! Ma c’è un altro fenomeno che è meno noto: il ritrarsi dai consumi di chi può consumare, non di chi ha difficoltà, ma del ceto medio alto, che sta riducendo i propri consumi o meglio, sta riducendo i propri acquisti, ma è quello che conta per le imprese! perché in parte usa prodotti che non acquista; “rileggo dei libri”, “leggo un libro, ma non l’ho comprato”, oppure “non ho tempo!”; sapeste quanta gente che ha soldi non ha più tempo di fare le cose, di comprare un’altra casa perché non la potrebbe godere, di comprare dei libri anche se piace leggere perché non fa in tempo, c’è un intero settore, che è quello dei prodotti per la casa, che ha un grande salone, si chiama Macef, perciò ho lavorato per tanti anni. Tutti i prodotti per il Macef, di legno, di plastica, di vetro, etnici, ecc., hanno subito un calo drammatico, perché non c’è più posto nelle cucine all’americana per comprare un piccolo elettrodomestico, un vasetto o un servizio di piatti, vai coi piatti di carta, per esempio. Ma specialmente, e ricordatevi che il Veneto è una regione che ha avuto una crescita dei consumi e anche del materialismo molto forte, un sociologo saggio vi dice che le antiche tradizioni si perdono difficilmente, quindi quello che sto per dire vale di più qui che in altre regioni: c’è molta gente che ha soldi, ma che ha meno bisogno di spendere, pur potendo, perché c’è molta gente che sta rivalutando le attività che danno felicità, ma che non costano. Si sta riscoprendo il fatto che la vita non è mercato, non è economia, perché per pregare non si paga, per fare l’amore non si paga, per rileggere un libro, per chiacchierare con gli amici, per giocare coi figli; c’è una notevole parte dell’attività che dà benessere esistenziale che è gratuita, è extramercato; è come se per questi ceti il giornale “Sole 24 Ore” dovrebbe chiamarsi il “Sole 19 Ore”, perché ci sono 5 ore, non parlo del dormire, attività per altro amatissima dagli italiani e gratuita, che non sono più di mercato. Questo ha delle conseguenze perché in taluni casi non devi spingere la gente a comprare te a scapito della marca dell’altro; devi spingere la gente a spendere dei soldi per comprare dei prodotti che non avverte più come necessari, perché in parte abbiamo la pancia piena, c’è sazietà, saturazione. Abbiamo una borghesia, specie la più colta, in parte satolla, che non sa più dove mettere le cose, che non ha tempo per goderle, che ha istanze spirituali che, zitte zitte, stanno venendo avanti. Anche su questo si può fare il business e comunque bisognerebbe tenerne conto. Un altro elemento cruciale per molti settori è che la gente non pensa più, per il 55%, che una cosa buona deve costare molto; la maggioranza degli italiani pensa che ci siano cose ottime nelle varie categorie di prodotto che non costano tanto. Il venir meno del rapporto cosi forte tra qualità e prezzo comporta delle conseguenze notevoli. Per esempio, so che Ikea non è amata, un concorrente molto forte là dove compare la produzione di uno dei tre consorzi per i quali abbiamo lavorato, ma toglietevi dalla testa che molta gente va all’Ikea solo per la convenienza! molta gente è convinta che all’Ikea si trovi stilismo, materiali piacevoli, qualità, cioè non va per risparmiare, è contenta di non pagare tanto, che poi non è sempre vero, ma compra qualità, non compra prezzo e allora questo apre una nuova sfida, che è quella della qualità più a buon mercato, dell’insensatezza delle strategie di “pricing”, del modo in cui sono fatti i prezzi, della necessità di rivedere a volte le strategie di prezzo. La domanda di supergaranzia è cruciale. Siamo entrati nell’era dell’incertezza collettiva. Il nostro Paese ha smesso di essere un popolo ottimista, non siamo diventati pessimisti, ma incerti; vince chi ti da garanzia di salutarietà, non ti ammala, di naturalità, di origine, ti da una certificazione totale, razionale, su quello che puoi misurare, emozionale, “mi sento sicuro in mani sue”. E anche etica, da questo punto di vista. Abbiamo qui elencato i 12 aspetti della garanzia, non valgono tutti. L’origine per esempio, vale per tutti e tre i consorzi, almeno nell’agone mondiale, però per alcuni vale di più, per es. l’origine vale di più per il Prosecco di quanto valga per l’Acrib, perché non è magari presente la notizia che si produce nella Riviera del Brenta, c’è un marchio, ma ha un minore valore. La naturalità vale in certi ambiti, il legno di Ikea, la purezza in taluni settori è determinante, la non manipolazione, a volte nei servizi è la spontaneità, l’autenticità, l’esperienza, la sicurezza, la credibilità, l’esistenza di controlli; perché hanno ancora successo le doc, le dop, le igt, le igp? Perché c’è la convinzione che siano enti di un’area specifica e limitata dove ci sono delle regole che vengono fatte rispettare, cioè c’è l’idea che il consorzio sia una garanzia per il consumatore, con i controlli. Io, lavorando per il consorzio Prosciutto di Parma, gli ho detto una volta, ricerche alla mano, fate vedere il consorzio! Fatelo vedere! Nel filmato che poi ha avuto un grandissimo successo, c’era l’uomo che andava lì e poi spillava con l’ago: “l’uomo del consorzio ha detto si!”. Poi una volta quelli del consorzio li abbiamo messi tutti in pubblicità televisiva, perché la gente era contenta di sapere che è a Parma, che sta in quei posti lì e che quei signori lì ci hanno messo la loro faccia. C’è stato un aumento del 15% delle vendite, ma specialmente una sestuplicazione della notorietà del Consorzio. La costanza della qualità, dove è più importante avere una qualità regolare, che una qualità dop. A volte è la passione, l’orgoglio del produttore, “mi vanto di avere questa marca nel mio assortimento”, “lo produciamo con antico amore”, “venite nelle nostre cantine”, invece non abbastanza dicono di venire nei capannoni dove si produce. Nelle calzature non si fa venire in fabbrica, ma almeno si fanno le mostre, in Cina, ecc. sulla storia. Alcuni elementi valgono per un settore, altri per un altro, ma questa domanda di garanzia è fortissima. Poi la scarsità di tempo. Rendiamoci conto che noi abbiamo un Italia che si lamenta, per quasi la metà, di non avere abbastanza soldi e già è una buona notizia, perché poco più della metà non si lamenta, ma abbiamo il 20% in più, quasi il 70%, che si lamenta della nuova vera povertà, che è quella di tempo, che tra l’altro è inversamente correlata ai soldi; cioè sono i gruppi meno poveri che si lamentano di non avere tempo, specialmente le donne su cui ricade ancora il lavoro di cura degli anziani, dei bambini, dei malati, dei disabili, dei matti di casa, ecc. E allora sempre di più riuscire a risolvere in parte il problema del tempo risulta essenziale, può essere un problema di distribuzione, di durevolezza. Io ho assistito alle lotte furibonde lavorando nel settore del latte per “Fresco Blu” e le nuove tecniche; avere un latte fresco che dura di più ha cambiato le regole del settore, che poi sia avvenuto in modi che sono stati oggetto di indagine da parte della magistratura, questo indica solo la virulenza dello scontro. Allora sempre più la gente cerca soluzioni che risolvono il problema facendoti perdere poco tempo, consentendo di fare due cose contemporaneamente, o di informarti via internet, ecc.. Poi tutti dicono che la vita è sempre così complicata; noi abbiamo un reddito da Paese avanzato, non dimentichiamo mai che facciamo parte del gruppo più a ridosso di quelli più avanzati del mondo più avanzato, che parliamo di problemi da società della pancia piena, dove si parla di più crescita, meno crescita o non crescita, dove ci si lamenta, ma dove la salute è complessivamente garantita, pochissimi muoiono di fame, ecc. Eppure, malgrado abbiamo un reddito da Paese avanzato, un livello di scolarità sempre crescente, la vita è percepita come complessa, affrettata e c’è una grande domanda di semplificazione, di facilitazione, “rendetemi le cose più facili”!, e chi riesce a farlo, a garantire l’accessibilità dei prodotti, la reperibilità, posso sapere dove è, la trasportabilità, non pensate a cose grosse. Io lavoro da tanti anni per San Pellegrino; cosa vuol dire portare un fardello di 6 bottiglie da 1 litro e mezzo di plastica che pesano 9 Kg e 160; uno dei motivi perciò in Italia non cresce ancora di più il consumo di acque minerali oppure vanno le bottigliette è che c’è un problema di trasportabilità. Stamattina ero dal maggiore produttore di farina perché c’è un problema con il sacchetto di carta che è poco trasportabile perché troppo spesso si rompe, perché se c’è un angolo di un altro prodotto dentro la borsa della spesa si distrugge. Il vetro è tanto amato, ma è poco trasportabile; l’usabilità: ci sono prodotti troppo complicati, prodotti tecnologici che non si possono usare, perché hanno mille funzioni ma ci vuole un ingegnere per leggere il libretto delle istruzioni! La distruggibilità, prodotti che non riesci a toglierti dai piedi. L’informalità: la gente vorrebbe poter portare i jeans e mocassini, non tirati in frac o in smoking; facilitazione vuol dire molte cose. Un’altra questione che è molto importante. La gente non ha più gioia di vivere, purtroppo, in larga misura. Abbiamo perso il nostro ottimismo, ma restiamo italiani e quindi non avendo più grandi sogni, grandi progetti, essendo incerti sul futuro, per es. “che ne sarà di questo pianeta?” Ormai non c’entra niente con i Verdi e con i rossi; più dell’ 80% è preoccupatissimo, ha l’impressione che stiamo distruggendo la nostra casa comune e la cosa che ha colpito di più non è il buco dell’ozono o il protocollo di Kyoto che, tra l’altro, è noto solo al 42% degli italiani; invece quello che la gente ha capito è che non ci sono più non solo le mezze stagioni, ma le stagioni! Questa idea del riscaldamento del Pianeta è nota a più del 90% della popolazione. E allora abbiamo ristretto il nostro range esistenziale, abbiamo diminuito il territorio di cui ci occupiamo, perché se è più piccolo lo controlliamo e lì vogliamo godere come dei mandrilli delle piccole cose. Abbiamo rinunciato spesso ai grandi progetti, ci dedichiamo ai piccoli progetti: una buona cena, piccoli piaceri, oggettini, campioncini delle profumerie, ecc., e allora siccome non c’è più la gioia di vivere, si cercano le piccole gioie nel vivere. Chi è capace di farlo, bene! Certe volte conquisti un cliente nel mobilio più da un piccolo comodino che dalla grande stanza, poi arrivi alla stanza. Ricordiamoci che siamo in una fase di profonda incertezza, di ansia circa la violenza a cui siamo continuamente sottoposti da un punto di vista mediatico; la guerra, magari con i nostri soldati che pagano dazio. Tu vai a cena o spegni il televisore oppure, se lo lasci acceso, tiriamo fuori una corazza straordinaria per difenderci. Poi ci sono varie linee editoriali, per es. il Tg5 si occupa abbastanza poco di Irak e Afganistan, ma ci da dentro con gli omicidi, allora a cena vedi madri che uccidono bambini, bambini che uccidono madri, padri che uccidono forse donne incinte, pedofili, bambine che vengono sotterrate, poi per riposarti vai a veder “Chi l’ha visto?”, dove l’unica buona notizia è che alcuni scompaiono perché hanno i fatti loro; è una cosa ossessionante! Anche il modo del litigio politico è degenerato! Tutti noi conosciamo gente che dice “non ce la faccio più”, tra destra, sinistra, ecc., c’è un grandissimo bisogno di armonia, c’è perfino un bisogno di self ecology, di auto ecologia, di purificarsi, no agli opposti estremismi, ma a soluzioni moderate. Pensate alla fortuna della beauty farms o delle creme. Basta con l’esagerazione, la provocazione; moderazione, dolcezza, non l’“over”, il troppo, il sopra, ma il “sober”, il sobrio; “datemi delle soluzioni che non creino tensione, che mi ridiano armonia, che mi consentano di purificarmi”. Questo bisogno di disinquinarsi, di togliersi le scorie, il tema dello stress che è cosi presente a tanta gente; io non so se è tecnicamente stressata, ma ha il vissuto di una vita faticosa. E poi il trionfo delle donne che non è banalmente solo il fatto che le donne hanno un potere sociale maggiore, lavorano di più, stanno crescendo nelle aziende, ma il pendolo della storia in questo momento in Italia, è rivolto verso il femminile, la dolcezza, la levità, la non aggressività; già siamo un popolo poco militare e poco bellicista, i tedeschi giustamente ci disprezzano; a noi piace la pace, piacciono le chiacchiere. Abbiamo fatto una ricerca sulle attività della vita quotidiana che piacciono di più agli italiani, verrà pubblicata a breve. Al primo posto: dormire, al secondo: chiacchierare. Ho fatto una ricerca per Skype, sapete quelli delle telefonate gratis via web , un grande operatore mondiale, e abbiamo scoperto che l’Italia è il primo Paese al mondo nell’usare le tecnologie per chiacchierare, noi siamo quelli che usano di più internet, non per lavorare, per documentarci, ma per chiacchierare, usiamo di più Skype per chiacchierare e per motivi leasure e non professional. Non per niente noi abbiamo avuto Marconi, Meucci, tutte cose di comunicazione in cui si trattava di chiacchierare. D’altra parte è storia provata che quando sulla collina Marconi tentò la prima trasmissione con sua figlia Elettra, lui, la prima parola che passò, perché era riuscito a fare funzionare il trabiccolo che a lungo non aveva funzionato, fu “Socc’mel”, cosa profondamente bolognese e poco da politecnico. Noi abbiamo l’unico uomo al mondo che riesce a comunicare con le cernie!, noi sulla comunicazione siamo imbattibili, le chiacchiere e, in questo momento, la dolcezza, le cose femminili, i valori tipici delle donne. Anche nella società contadina le donne stanno attente, si prendono in carico, curano, in inglese cure e care, interessarsi, proteggono, rassicurano, accarezzano i bambini, i vecchi, ecc., siamo sempre meno maci. Sempre più nei servizi conta la qualità di quello che fornisci, ma conta anche il sorriso. Il motivo per cui uno dei problemi che hanno tutti questi tre settori, il vino meno, è quello della incultura del trade, di incultura dei venditori, dei commercianti, che sono sempre più imbufaliti, sempre più scortesi, sempre meno sorridenti e invece in questo momento è la donna che sta vincendo. Se posso mimare il titolo di una vecchia telecommedia, “Anche i maschi piangono”. Ormai i maschi che si dichiarano deboli, che hanno qualche tenerezza, magari con la scusa dei bambini, si stanno diffondendo fortemente e questo dovrebbe portarci anche a riflettere. Non solo abbiamo più peso delle donne, ma abbiamo bisogno di qualcosa di più dolce nei rapporti, di leggerezza, di morbidezza, di dolcezza, di soavità, che può anche mettere in discussione il modello americano, tedesco, dell’efficienza della produttività, e l’autoseduzione. Si è sempre parlato che noi ci vestiamo, ci abbigliamo per fare scena, recitando sulla platea della vita, “show off”, dice l’americano, mostrar fuori, recitare, ecc.;è sempre meno vero. Le cose fatte per gli altri, compreso il conformismo nelle mode, contano meno, sempre di più le facciamo per noi, per sentirci bene, per piacerci, ma “perché prendi quelle scarpe?” sempre meno “perché sono di moda”, ma “perché mi piacciono”; “perché hai questo stile di arredamento?”, non “perché verrà in visita il collega di mio marito o la mia amica”, ma “perché piace a me”, la casa è il mio, il nostro vestito. E’ vero in tutto salvo che per il vino: nel vino la componente socializzante è prevalente, anzi se mai è in diminuzione il consumo solitario, ma sempre meno uno beve il vino perché si deve bere quel tipo di vino e sempre più si batte per fare bere con altri il vino che piace più a lui. E poi queste due cose insieme. Da un lato abbiamo il boom del virtuale, mia nipote riesce ad accendere il dvd di Cenerentola, sempre più gente comunica a distanza, il cellulare, internet, badate, gli internauti in Italia sono 4 su 10. Un italiano su 3 naviga su internet con facilità e senza aiuto, ormai la maggioranza non sono più ragazzi, hanno tra i 25 e i 44 anni, certo che i giovani usano più internet, ma la maggioranza è adulta; le donne sono circa il 40% di internet ormai da un anno, internet è un fenomeno di ceto medio, non di ceti superiori, è un fenomeno di cultura, la larga parte sono diplomati e laureati e noi abbiamo un mondo virtuale, dove non si tocca con mano, a distanza, massimamente rappresentato da internet, che si sta espandendo, ma attenzione a non fare l’errore! Si espande e si espanderà ed è sicurissimo e tra breve avremo i megafonini, i telefonini di quarta generazione, dove avrai i programmi televisivi e andiamo verso la convergenza: non più differenza tra il computer, il cellulare, il blackberry, la televisione, ma tutto in un unico risotto visibile ovunque, portabile, interattivo, dove non stai più solo a sentire, ma puoi interagire, puoi chiedere, comprare; conosciamo anche i rischi, specie per i giovani, di restare troppo tempo attaccati a questi apparecchi. E però siamo in Italia, e quindi, oltre al boom del virtuale c’è anche l’opposto: il bisogno del contatto diretto, del tocco umano, dell’human touch, dell’intimità calda, abbiamo bisogno di conoscere le persone, di cordialità, soffriamo che quando telefoniamo ad un call center, ti dica “se ha bisogno di questo digiti 1, poi digiti 3”, ecc.; la gente è contenta quando può parlare con un operatore, che dice “sono Carlo, signora posso essere d’aiuto” e cerca di darti una mano e poi magari questo Carlo qualche ragazza vuole conoscerlo di persona. Sempre meno si va in un negozio self service volentieri, sempre di più si va in un supermercato perché c’è la cassiera simpatica, perché si fanno quattro chiacchiere, si va in quel negozio perchè c’è quel commesso o commessa di cui ti fidi, sempre più c’è gente che fa qualche metro in più per andare dal barista simpatico o dal tabaccaio che non ha sempre una piva cosi o cose di questo genere. Noi abbiamo una società che avrà sempre più tecnologia e sempre più virtuale a distanza, ma sempre più bisogno di contatto umano. Restiamo un popolo leader nel Mediterraneo. E anche le marche sempre meno se la tirano come esperte, arroganti, aggressive, lo vedete anche dalla pubblicità, sempre più cercano di presentarsi come amica, come compagna di vita. Io sono molto turbato in questi giorni perché noi stiamo testando una campagna straordinaria con cui la Fiat lancerà la Fiat 500. Io vi invito a vederla, parte il 4 di luglio, non parla dell’auto, sono spot che sono film, durano 90 secondi, il triplo di un normale spot, l’investimento è gigantesco, quando la vedrete vi verrà in mente che io ve l’avevo detto. Sicuramente è figlio dei lavori che anch’io ho fatto, il bisogno della gente di identificarsi con la marca. Vi anticipo solo questo: non parla dei successi della Fiat, non si vede l’avvocato Agnelli, non dice “noi andavamo male, andiamo bene”, fa un discorso, che non posso anticipare, in cui dice che la Fiat è parte della storia italiana, naturalmente dentro c’è una strategia di marketing, ma guardate perché li, con la splendida voce di Ricky Tognazzi, con una musica bella; i risultati di questo test, che stiamo ancora conducendo, sono entusiasmanti e la vedrete, può darsi che non la condividiate, ma almeno cercate di cogliere l’intenzione di trasformare una marca in qualcosa che non fa solo automobili, ma che è un pezzo del nostro passato collettivo e che ha qualche rilevanza, probabilmente lo può dire adesso che si è ripresa. Quindi noi cerchiamo della felicità, noi diciamo sempre alle marche “cercate di facilitare e felicitare la vita”, di rendere più semplice la vita dei consumatori e di dargli un brandello di felicità terrena, cercate di non essere, tutti voi che producete, solo gente che fa comunicazione one way, io parlo tu ascolti, cerchiamo di dialogare, di parlare con la gente, perché siamo entrati in un’era in cui anche il consumatore vuole far conoscere le sue opinioni, è adulto, dialoga, a volte stabilisce lui i prodotti. La Fiat 500 sicuramente nasce da un progetto del centro stile Fiat, ma è stata davvero e non retoricamente ritoccata da decine di migliaia di persone che hanno dato dei suggerimenti, e diversi sono stati accolti, noi stessi per la Fiat abbiamo fatto una ricerca on line, solo sul web, per raccogliere le loro opinioni ed è alla luce anche di questa cosa che si è deciso di non fare la pubblicità di lancio, voi non troverete uno spot che dice come è bella, ma un altro discorso che è un po’ l’espressione, può darsi sbagliata, di questa filosofia: parlare a tu per tu, trattare il consumatore non come un cretino; le banche che hanno dei problemi di illegittimazione molto forte, è nel dialogo con il cliente, nella sensazione di cordialità, certo di severità. E poi tenete conto che internet sta rovesciando gli schemi perché non è più solo dall’alto che vengono le cose, ma cominciano a venire dal basso: il coinvolgimento per una volta è rafforzato dalla tecnologia. La penultima cosa è meno pubblicità, più comunicazione. La pubblicità, e io sono considerato un esperto di questo, continuerà a perdere colpi perché è troppo ripetitiva, troppo omologata e troppa, c’è una specie effetto plasma. La gente invece apprezza delle comunicazioni diverse, magari con delle esperienze personali, da qui il grande successo di tutte le forme di partecipazione, degli eventi, delle mostre, delle visite, ecc.. La gente compra delle esperienze coinvolgenti, vuole avere dei brandelli di felicità, vuole sentirsi parte della causa; noi diciamo che il consumatore diventa coproduttore del messaggio, e a volte è lui che fa da mezzo di comunicazione, a volte volontario comunque gratuito. E poi per finire, vi ringrazio della pazienza, spero di essere riuscito a darvi almeno la sensazione di un lavoro che è di una vastità molto più ampia e che poi noi discuteremo, cercando di applicarlo in maniera più personalizzata nelle tre sedi dei tre consorzi con i singoli settori. Lo renderemo oggetto di un approfondimento, ci saranno importanti contributi di consulenti, di docenti universitari, diversi da noi, che studieranno l’applicazione almeno in parte di qualcuno di questi stimoli. Una cosa è chiara: una delle alternative non è “molto caro per pochi elitari, molto basso di prezzo per i poveri”; la vera alternativa è decidere di capire che la marca non è più in grado di coprire tutto e tutti. Vogliamo che sia nell’area del relax o nell’area delle bollicine, non nel senso del Prosecco, ma dell’excitement, dell’eccitazione, perché sono due bisogni che si stanno allontanando. Le stesse persone in certi momenti hanno bisogno di rallentare la loro vita, di non avere stress, di avere finalmente della lentezza, del silenzio, del riposo, della meditazione, anche con valenze spirituali, magari è tipico di certi arredamenti della casa o di un certo relax legato al vino. Il vino è eccitante, ha un modesto contenuto alcolico, non è rischioso, se non è consumato esageratamente, diversamente dai superalcolici e dagli spirits, potrebbe sembrare tutto eccitante, ma non è vero. In molte occasioni di consumo è visto come un rilassante, come un distendersi con gli amici e godersi una serata, quindi non è detto. E l’altro invece sono le marche a cui chiediamo che ci diano energia, una sferzata, un eccitamento fisico, mentale, perfino erotico, dinamismo, brio, la vita con le bollicine; questa è un’antinomia, una polarizzazione, due cose diverse tra loro e incompatibili. E’ molto difficile, nella mia esperienza è pressoché impossibile, soddisfare le due cose, poi può darsi che gli stessi produttori facciano delle proposte per prendere la vita più facilmente, in maniera più rilassata, meno soffocante, e delle altre proposte invece più eccitanti, più dinamiche, più attivizzanti, più energizzanti, più euforizzanti e anche queste sono scelte rilevanti che influenzano lo stile di comunicazione. Come vedete dentro in realtà c’è un modello di interpretazione della società, c’è una certa coerenza. Probabilmente in questo modo, saltando di qua e di la si è perso, ma torno e concludo e vi ringrazio per l’attenzione, al punto iniziale: non è verità rivelata, anche se molte di queste tendenze ci sono già, sono stimoli culturali che normalmente le piccole e medie imprese non troverebbero accessibili, sono modalità per fornire anche a piccoli produttori, la possibilità di scatenare la propria fantasia. E concludo con una osservazione che facevo con un giovane giornalista che mi ha intervistato. Quando io faccio i colloqui di selezione per trovare dei giovani per metà chiedo a loro quali sono le loro competenze, cosa hanno studiato, cosa hanno approfondito, se sanno andare su internet, se sanno l’inglese, se sanno altre lingue, se hanno fatto anche altre esperienze di lavoro, ma davvero circa metà del tempo del colloquio io lo dedico al resto, a quello che non c’entra con il lavoro: che interessi hanno, che passioni hanno, lo sport, uscire con le ragazze, essere casanova, essere una pia donna, andare al cinema, perché ho sempre avuto la convinzione che uno è un professionista tanto migliore in quanto ha un’etica e un senso di responsabilità introiettata, che avverto, e questo è un discorso che qui non ci interessa anche se è importante, secondo: c’ha voglia di lavorare, certamente conta se ha avuto una buona formazione, ma conta secondo me, quasi come tutto il resto messo assieme, salvo l’etica, se è curioso, se pensa divergente. Ecco questo è il senso di questa iniziativa finanziata dalla Regione che ha dimostrato ancora una volta un livello di sensibilità molto forte; fare venire curiosità, dare qualche stimolo; io sarei contento tra 10 anni di trovare uno che mi ferma per strada e mi dice “ma sa che quella roba che aveva detto mi ha fatto scattare e poi è successo che con un socio abbiamo cambiato…”, perché i nostri imprenditori non sono stati costruiti con le scuole di business, con tutti i modelli teorici, in larga misura si basano sull’esperienza, sulla curiosità, sugli stimoli. Se noi in qualche maniera più organizzata, più scientifica, se volete vi spiego come si fanno questi scenari, cosa che faccio da quasi trent’anni, abbiamo fornito qualche stimolo, compreso ai presenti, per pensare in maniera diversa, per ipotizzare, qualcosa, per farsi venire un pensiero creativo in più, abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Grazie. Roberto Papetti Buonasera. Mi è già capitato di avere l’arduo compito di parlare dopo Finzi e la domanda che mi facevo è “e io adesso cosa dico?” Perché francamente non è facile innanzi tutto selezionare tra i molti stimoli che sono proposti in questi interventi e poi insomma, tanto di cappello alla capacità istrionica. Dirò poche cose, anche perché l’intervento molto interessante ed articolato si è protratto nel tempo e c’è anche un altro interlocutore. Se il mondo che c’è intorno cambia così rapidamente, se voi dovete fare i conti con la scarsità di tempo, con la legge delle tre M, con la ricerca dell’armonia, con la femminilizzazione, con la ricerca di una maggiore dialogicità, con tutte le cose che sono state elencate da Finzi e io vi dico che tra l’altro, molte delle cose che lui ha detto, e io vedo la realtà da un osservatorio particolare, per esempio l’aver posto l’attenzione sulla femminilizzazione, sul primato delle donne, come attori delle decisione, questa è una cosa assolutamente fondamentale e ce ne accorgiamo perfino noi dei giornali che spesso arriviamo per ultimi. Voi sapete qual è il giorno in cui i giornali generalisti vendono di meno? Il lunedì, perché le donne orientano le decisioni d’acquisto, anche ormai di un prodotto maschile come il quotidiano. Al lunedì c’è un ricambio di lettori: i quotidiani perdono molte delle lettrici donne, guadagnano un po’ di lettori che comprano il quotidiano solo al lunedì perché c’è lo sport, ma alla fine il rapporto tra i lettori che non lo acquistano e quelli che lo acquistano quel giorno lì è questo. E questo è un dato abbastanza significativo perché i giornali sono prodotti maturi che recepiscono le tendenze della società un po’ più tardi talvolta degli altri. Ma comunque dicevo se tutte queste cose stanno succedendo, uno dice “ma perchè noi dobbiamo metterci insieme?” Certamente il fatto di unire tre distretti cosi importanti ha una serie di ragioni: alcune caratteristiche simili, la territorialità, la possibilità in futuro di sviluppare iniziative in comune, forse di ridurre alcuni costi, però secondo me c’è un elemento fondamentale in questo tipo di esperienze proprio perché ha la capacità di rispondere con maggiore efficacia a tutte le cose che Finzi ha raccontato. Molte delle cose che Finzi ci ha raccontato sono cose che quando lui ce le dice diciamo “ah si è vero”, cioè ci ha decriptato una realtà che noi vediamo, ma che spesso, impegnati come siamo nelle cose che facciamo o anche perché non abbiamo gli strumenti, non riusciamo a focalizzare. La sua capacità non è solo quella di prevedere il futuro, ma anche quella di leggere il presente e razionalizzarlo. Se ci sono queste complessità, io credo che l’elemento di forza sia la contaminazione. E cioè far mobili, fare vino o fare scarpe apparentemente sono tre attività molto diverse, ma credo che per affrontare il mercato che Finzi ci ha descritto, la capacità di poter mettere in comune le esperienze e di confrontarle, di cogliere quelli che sono gli elementi che derivano dall’esperienza di cui gli uni e gli altri reciprocamente possono avvalersi, può essere quella marcia in più che da soli non si ha. Io quando parlo di questo, a proposito delle contaminazioni, racconto sempre perché mi colpì molto, la vicenda di Giovanni Rana. Il successo di Giovanni Rana deriva del fatto che lui aveva un fratello o un cugino che produceva acqua minerale. Lui parla con questo cugino che era preoccupato perché si diceva che sul mercato c’era una domanda crescente di acqua naturale, non più solo di frizzante; “meglio cosi comprano di più” diceva Rana, ma il cugino gli dice che l’acqua frizzante può star lì in magazzino due, tre mesi, l’acqua naturale dopo un mese comincia a deteriorarsi. Allora Rana va da un chimico e gli chiede perché succede questa cosa e il chimico gli dice che in una c’è CO2 che è un formidabile antiparassitario e quindi ha una funzione di preservare la qualità del prodotto. Da qui la scintilla! Rana dice “se io metto il CO2 nei miei ravioli allora la possibilità di conservare si allunga irrimediabilmente!”. Mette al lavoro i suoi uomini e nascono i prodotti Rana a lunga conservazione. In quel momento Rana sbaraglia il mercato perché i suoi concorrenti hanno prodotti che durano 7 giorni, lui porta sul mercato prodotti di qualità analoga o superiore, ma che resistono sul mercato 2 mesi!, e questo nasce da un evento di contaminazione. Ora io non so se tra Prosecco, mobili e scarpe potranno nascere esempi di questo genere, ma l’evoluzione, la rapidità con cui le cose cambiano e gli stimoli che arrivano da tutte le parti, i fenomeni demografici e sociali con cui dobbiamo fare i conti e che corrono con una rapidità di cui non ci accorgiamo, rendono questo strumento della contaminazione fondamentale. Già le aziende da sole l’hanno capito, non a caso si sono messe in consorzi, però probabilmente i consorzi da soli non bastano più e da qui la necessità nel momento in cui ci sono alcuni elementi comuni: la territorialità, il fatto di fare prodotti che si rivolgono ad una fascia di mercato medio alta – alta, e altre caratteristiche comuni, sono un elemento di forza per costruire qualcosa d’altro attraverso questo sistema. Naturalmente la contaminazione ha un’estensione anche come significato operativo, industriale, commerciale, di messa in comune di esperienze molto vasta. Per questo io dico e non lo dico perché sono qua a fare il relatore, quindi devo necessariamente parlar bene di quello di cui oggi stiamo parlando, ma perché proprio mentre Finzi raccontava tutti questi cambiamenti e queste prospettive e notava come, declinandone alcune, una serie di valori o di indicazioni valgano per alcuni prodotti e non per altri, mi veniva da pensare che probabilmente, se tre esperienze di successo come quelle di cui stimo parlando, successo di esperienze positive, negative, medie, ma complessivamente di successo, forse mixando le loro esperienze, senza perdere la loro identità perché questo è l’altro aspetto fondamentale, forse possono nascere sicuramente delle esperienze positive. Ora io non vorrei aver dato l’impressione di giocare al piccolo sociologo, cosa che non sono sicuramente in grado di fare, però certo questo è un territorio in cui si dice sempre che c’è un’incapacità di fare sistema. Quando si parla di questo è una bellissima parola d’ordine, dentro la quale ci può stare tutto. Io credo che questo sia un esempio di fare sistema e della volontà di contaminarsi in modo positivo. Non voglio aggiungere molte altre cose, salvo dire, riprendendo anche quello che dicevo prima sul primato delle donne e guardando dalla prospettiva che io meglio conosco, che è quella della comunicazione e della carta stampata, che quando si parla di contaminazione bisogna tener conto che oggi i prodotti cambiano con una rapidità e tendono a sommare una serie di caratteristiche che una volta erano di altri prodotti o di altri segmenti in un modo inimmaginabile. Provate a pensare ai giornali: una volta i segmenti di mercato erano molto chiari: c’era il quotidiano, il settimanale, il mensile, poi c’era la televisione, poi è nato internet, come una cosa separata. Oggi mediamente un quotidiano offre quello che una volta offriva anche il settimanale e quello che offriva il mensile, o ve lo propone e ve lo vende; contemporaneamente il quotidiano è diventato e diventerà sempre di più una parte di un sistema comunicativo di cui internet e la televisione sono un ciclo unico. Verosimilmente noi andiamo verso un futuro non tanto lontano in cui il quotidiano, vedremo se sarà a pagamento o gratis, sarà solo il primo atto di un processo che poi prosegue nel corso della giornata, sempre con le stesse caratteristiche, sempre con lo stesso marchio, sempre con una serie di elementi garanzia del rapporto tra produttore e lettore, con altri strumenti: internet, il telefonino, la televisione. Anche qua siamo di fronte ad un fenomenale esempio di integrazione tra strumenti diversi, anche questo mi sembra un esempio che va nella direzione che abbiamo detto. Per fare tutto ciò però servono anche degli strumenti legislativi, un supporto da parte delle pubbliche amministrazioni e quindi a questo punto io passerei la parola a chi di queste cose può parlare sicuramente molto meglio di me, il dott. Italo Candoni che è dirigente della Regione Veneto e si sta occupando di questa esperienza di unione tra distretti. Italo Candoni Buonasera a tutti. La Regione Veneto cosa può fare? Una bella domanda dopo aver sentito Finzi e dopo aver sentito come siamo in un mondo velocissimo, come anche la demografia che era vissuta come situazione lenta, adesso si velocizza e rende dinamica. Anzi, paradossalmente, in un mondo veloce, la Regione come le altre istituzioni, nella comunità vengono viste forse troppo spesso come l’emblema della burocrazia, della non facilitazione in un mondo che chiede facilitazioni. Io credo che la Regione invece possa fare qualcosa; la prima cosa che può fare è continuare a finanziare studi come questo, sembrerà poco, ma pensiamo che oltre a questo, nel mondo dei distretti in particolare, ci sono casi di osservatori e l’osservatorio non solo per il trend dei gusti del cliente ma che si ampliano come questo a elementi culturali e sociali sono in aumento. Dico continuare a finanziarli perché in realtà ci danno uno spettro di come sta cambiando il processo che porta al prodotto e di come sta cambiando una società, al di là di quello che trovate nel Piano Regionale di Sviluppo che dice il “terzo Veneto: dal Veneto della produzione a quello della conoscenza” e tutti li a dire “forse volevano dire basta imprese?”, “cosa vuol dire Veneto della conoscenza?” Vuol dire che si continui a produrre, ma col fatto che si ampli sempre più il contesto produttivo e la conoscenza formi una componente del prodotto. Quindi prima cosa: la Regione deve finanziare cose di questo tipo. Vi sembrerà stano e banale ma c’è ancora chi pensa che la Regione non debba finanziare cose di questo tipo, ma debba finanziare le cose materiali, quelle che hanno una componente di prodotto. Invece io penso che, a maggior ragione oggi, si debba finanziare questo, perché aiuta una produzione diversa che spinge verso la conoscenza. Poi la Regione deve programmare anch’essa con velocità. Voi sapete che la Regione ha due funzioni: programmare e distribuire risorse. Queste due cose deve fare la Regione. Anche la programmazione deve essere sufficientemente veloce ed elastica per dare delle risposte. Credo che molti di voi abbiano apprezzato il fatto che le ultime leggi che riguardano lo sviluppo economico in Veneto, quindi la 8, novellata adesso con la 5 e la 9, ultima arrivata sulla ricerca e innovazione, prevedono esplicitamente aggiornamenti triennali, addirittura nella 9 abbiamo inserito una possibilità, tramite piani di stralcio, annuali di aggiornamento delle risorse, perché con questo mondo veloce sarebbe assurdo che uno componesse una norma che non cambia; quindi programmare velocemente e poi selezionare le risorse. E’ impensabile che le risorse siano a pioggia, perché sono poche; però non basta, bisogna dire dove darle. E il dove le metto dipende anche dagli studi come questo. Dove metto le risorse? Dove me lo dicono solo le aziende? Beh, sono soldi pubblici, li devo mettere in reali elementi di economia della conoscenza e quindi non solo in elementi produttivi. Solo tre riflessioni per chiudere. La prima: questo tipo di osservatori sono sempre meno osservatori per i gusti della clientela e sempre più strumenti di innovazione. Uno dei vostri colleghi mi ha chiesto di recente: “ma come mai si vocifera che nel bando non ci siano più misure relative al finanziamento degli osservatori?” Perché con le poche risorse a valere sui distretti abbiamo preferito dirigere quelle poche risorse sul fronte dell’innovazione, dell’internazionalizzazione e delle infrastrutture di ricerca. Gli osservatori sono importanti, ma proprio perché strumenti di innovazione, non cercateli nella legge sui distretti, perché cose di questo genere c’entrano relativamente con i distretti. Questi sono strumenti di innovazione per il produrre, quindi per lo sviluppo economico, il che significa che strumenti di questo tipo andrò a finanziarli con più soldi di quelli dei distretti, ma raccogliendoli dalla legge 9, cioè da quella sull’innovazione. L’osservatorio andava a finire nella misura in cui si prevedevano misure che arrivavano perfino ai depliant o ai campionari, ai portali; questi non sono strumenti come un portale, ma di innovazione. Seconda riflessione: qui oggi, abbiamo di fronte due cose strane; la prima è che è un osservatorio che ha dentro dei contenuti etico sociali; la seconda è che non è un osservatorio del distretto calzaturiero, cosa per altro a cui l’Acrib ci aveva abituati innovando, quando altri pensavano ai portali, ma questo è una figura strana che riguarda tre distretti che apparentemente hanno poco in comune: il legno, l’agro e la calzatura. Già era innovativo il fatto di un osservatorio nella moda perché accomunava filiere che avevano qualcosa da dire tra loro. Qui apparentemente uno produce vino, uno produce legno e un altro produce scarpe, però in realtà questi distretti condividono qualcosa e quel qualcosa è il mercato e al mercato stanno succedendo tutte quelle cose che Finzi ci ha detto. Condividono uno scenario, allora l’interdistrettualità che abbiamo visto oggi è un fenomeno di proporzioni importantissime; voi non sapete quante volte leggo pareri sul fatto di cosa c’è oltre il distretto, il distretto è alla fine, è un modello che deve cambiare, ma in realtà oggi abbiamo una risposta abbastanza palese: oltre il distretto potrebbe esserci un insieme di distretti. Sembrerà banale, ma in realtà ciò che vediamo è che non si sta discutendo di un modello che è alla fine o vicino alla fine, stiamo discutendo di un modello che rinnova i propri caratteri iniziali, espandendoli, che trova delle interazioni tra filiere anche diverse, è un modello che in una società come quella descritta da Finzi, non può essere in declino, perché l’elemento della trasversalità e della flessibilità si “meccia” più facilmente di un modello classico produttivo. Ultima riflessione: qui oggi c’è stata un’altra cosa che mi ha interessato particolarmente e guarda caso viene alla vigilia di una presentazione di uno studio, questa mattina in sala Pedenin a Palazzo Balbi, per la formazione di distretti culturali in Veneto. Cosa che per un verso all’inizio mi ha lasciato abbastanza perplesso; io sono uno di quelli che dicono che del termine distretto se ne sta facendo un abuso; alla fine quando un significato si allarga tantissimo, si indeboliscono i pochi elementi essenziali. Però a ben vedere una cosa riporto qui: che la cultura sempre più viene vista come componente essenziale del prodotto e anche alcune delle cose che ci siamo detti, ci riportano a questa commistione culturale e anche qui è l’elemento che più mi fa essere ottimista su quella frasetta “dal Veneto della produzione al Veneto della conoscenza”, che altrimenti verrebbe rilegata in un documento cartaceo, il PRS appunto o in 10 mila convegni in cui come è noto non si rischia niente. Ma in realtà la cosa problematica è come si arriva alla conoscenza? Passando per un problema culturale. Qui oggi a me pare si sia fatta cultura, sviluppo economico, si siano date indicazioni che poi ogni impresa dovrà tradurre a suo modo nei prodotti che fa. Quindi quello che ci ha detto quel signore lì, ogni impresa dovrà declinarlo. Cosa significa per chi fa scarpe che c’è scarsità di tempo? Cosa significa il link qualità prezzo, le tre M?, ognuno le declina con l’innovazione che è tipica dei distretti e tipica del Veneto. Quindi quando noi diciamo che il Veneto innova senza ricerca, spende poco in innovazione; dicevo all’assessore che andando in giro per il Veneto si scopre che innovazioni ce ne sono tantissime, ci sono anche le innovazioni incrementali per cui il Veneto va di gran lunga fiero. Allora dico che queste innovazioni individuali hanno e possono avere una matrice comune quando ci sono delle direttrici, quando ci sono i megatrends verso cui una società va e questo ci fa essere ottimisti sul fatto che il Veneto sia ancora più competitivo perché di innovazione e di cultura non ha da prendere lezioni da nessuno. E la Regione la piccola parte che può fare è questa: selezionare le risorse, programmare bene e finanziare serate come questa. Roberto Papetti Noi ci eravamo presi l’impegno di finire per le 7 e mezzo, sono le 7e 31. Non so se finiamo o vogliamo dare spazio a qualche domanda, a qualche sollecitazione, poi in attesa di poter servire il Prosecco in una scarpetta adatta per la degustazione e magari su un mobiletto fatto ad hoc, se intanto ci sono domande, per qualche approfondimento o sensazione siamo a disposizione. Enrico Finzi Questo è un tacito inno al prosecco! Grazie a tutti. Progetto grafico Design Associati Stampa Grafiche La Press Segreteria Organizzativa Metadistretto Calzaturiero Veneto Via Mazzini, 2 – 30039 Stra (Ve) Italy tel. +39.049.9801422 fax +39.049.9800503 [email protected] www.distrettocalzaturieroveneto.it Con il contributo della Regione Veneto L.R. 8/2003 novellata dalla L.R. 5/2006