LA CLEMENZA DI TITO Opera seria in tre atti di Pietro Trapassi detto il Metastasio Rimaneggiata da Caterino Mazzolà Musica di Wolfgang Amadeus Mozart Salisburgo FESTSPIELE FELSENREITSCHULE SALZBURGER FESTSPIELE ’88 27 luglio 1988 Tito Vitelia Sesto Sevilia Annio Publio Gosta Winbergh Carol Vaness Dielores Ziegler Christine Barbaux Martha Senn Laszlo Polgar Maestro concertatore e direttore Riccardo Muti Direttore del coro Walter Hagen-Groll Scene e costumi Enrico Job Regia Peter Brenner Orchestra Filarmonica di Vienna Coro dello Staatsoper di Vienna Senatore Nella Felsenreitschule, ex scuola di equitazione della scuderia dei principi vescovi di Salisburgo, dove le file dei palchi degli antichi spettatori ora fanno da sfondo al larghissimo palcoscenico. Innalzando davanti a queste file di palchi quattro obelischi, Job aveva costruito, per il regista Peter Brenner, uno spazio teatrale più piccolo, ottenendo un contrasto fra due ambienti, e la possibilità di passare con facilità da un luogo salottiero, settecentesco, ovattato da sontuosi velluti di sipari teatrali, a grandi spazi aperti, contrasto frequente anche nel libretto di Mazzolà (n. d. r.). “Quattro obelischi sorreggono un immenso cerchio dorato, un’ellissi da cui cadono ampie, drappeggiatissime tende verdi che funzionano anche da sipari… L’arredo è costituito da una biblioteca dove si trova il mezzo busto marmoreo di Tito. Il tutto è di un elegantissimo neoclassico… Brenner e Job, che disegna anche i costumi, insomma come Kakoiannis e Aix, hanno scelto la via dell’illustrazione elegante, dell’esercizio di stile scenografico, più che quella della reinterpretazione di un dramma” (Dino Villatico, Non si gettano le parole!, la Repubblica, 29 luglio 1988). “Il regista Peter Brenner e lo scenografo e costumista Enrico Job hanno concepito La clemenza di Tito come una solenne evocazione della Roma imperiale ambientata in un Settecento che si apre al neoclassicismo... un allestimento elegante con i suoi drappeggi e gli alti obelischi, che trae parte della sua magia dall’essere inquadrato, quasi teatro nel teatro, nel suggestivo scenario della Felsenreitschule” (Alfredo Gasponi, Enigma imperiale, Il Messaggero, 29 luglio 1988). “Enrico Job ci è sembrato attento a un certo generico gusto tedesco del neoclassicismo e ha puntato a costruire un clima di palcoscenico da trovarobato di stampo canoviano con alcuni cedimenti decorativi che sembravano uscire dai film di storia romana come Cabiria e degli anni Cinquanta. I costumi avevano una certa efficacia teatrale” (Duilio Courir, Muti riscopre“Tito”: trionfo, Corriere della Sera, 29 luglio 1988). 146 The production was staged in the Felsenreitschule, the former riding school of the stables of the bishop princes of Salzburg, the rows of platforms for the spectators now constituting the backdrop to the broad stage. Mounting four obelisks in front of this these rows of platforms, Job constructed a smaller theatrical space for the director Peter Brenner, obtaining a contrast between the two areas and the possibility of passing easily from an indoor eighteenth-century sitting room, hung with the sumptuous velvets of the theatre curtains, to big open spaces, a contrast which was also frequently used in Mazzolà’s libretto (ed.). “Four obelisks support an immense, golden circle, an ellipse from which hang broad, green, thickly draped curtains which also function as stage curtains... The furnishings consist of a bookcase, upon which stands a marble half-bust of Titus. This is all of a neo-classical elegance... Brenner and Job, who also designed the costumes, basing them on Kakoiannis and Aix, have chosen the path of elegant illustration, of an exercise in set-designing style, rather than that of the reinterpretation of a drama” (Dino Villatico, Non si gettano le parole!, la Repubblica, 29 July 1988). “Director Peter Brenner and set and costume designer Enrico Job have conceived La clemenza di Tito as a solemn evocation of imperial Rome set in an eighteenth century which is opening up to neo-classicism... An elegant production with its drapes and tall obelisks, which derives some of its magic from being framed, almost as theatre within theatre, in the evocative setting of the Felsenreitschule” (Alfredo Gasponi, Enigma imperiale, Il Messaggero, 29 July 1988). “Enrico Job seems careful to reproduce a certain generic German brand of neoclassicism, and has aimed to construct on stage a climate of Canova-inspired furnishings, with some concessions to decoration which look like something out of a 1950s epic film set in Ancient Rome.The costumes had a certain theatrical efficacy” (Duilio Courir, Muti riscopre “Tito”: trionfo, Corriere della Sera, 29 July 1988).