Svetlana Yaroslavna Puskovic
Vola al di là della neve
Il presente romanzo è opera di pura fantasia.
Ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, avvenimenti, indirizzi e-mail, siti web, numeri telefonici, fatti storici, siano essi realmente esistiti od esistenti, è da considerarsi puramente casuale.
Dedica.
Ogni dolce sussurro che la mia storia susciterà è dedicato a te, incantevole Vàrvara. Continua a farmi sognare con le tue splendide melodie, e conducimi lontana, in
mondi surreali che non ho mai visto prima.
Tua Svetlana.
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Prologo
Mosca, Russia
Ancestrale e fulgida stella,
dal recondito cielo risplendi come un diamante.
Tu custodisci i misteri primordiali,
tu vegli materna sul fluire dell’universo.
Dolce astro sapiente,
so che puoi carpire la mia sofferenza.
In questa notte di luna nuova, affido al tuo splendore la
mia afflizione.
Conducimi in lei!
E’ parte di me e regna nei sogni.
Siamo due ali di una sola farfalla,
due petali di un solo fiore,
due raggi di un unico sole.
Siamo il sentimento che si pronuncia “amore”
Come ogni sera affidai al diario i miei sentimenti. Seduta sul letto, estenuata da una giornata qualunque, ebbi
cura di riporre il mio prezioso confidente all’interno di
un portagioie, celandolo così a occhi indiscreti. Con
uno sguardo fugace all’orologio notai che la mezza notte era appena giunta, cosa mi avrebbe portato il giorno
che stava nascendo? L’amore? La felicità? O la libertà?
Di certo, nulla di tutto ciò. “ La vita ti ha voltato le
spalle. Sei sola al mondo, che tu viva o muoia non fa
alcuna differenza; nessuno si accorge che esisti.” La
mia anima è vessata dalla solitudine e a ogni giorno che
trascorre reputo l’esistenza un inutile calvario dove recondite mete di felicità si prospettano all’orizzonte, ma
nessuno mai potrà conquistarle. Sul mio ventre ho tatuato una farfalla ad ali spiegate, ho deciso d’imprimerla sulla pelle per non scordare che le ragazze come me
hanno diritto a spiccare il volo senza vergogna. Odio
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vivere in questo collegio, ma mia zia ha deciso che debbo restarci. Suppongo che il termine “ Collegio” evochi
alla mente uno spazio angusto e desolato, locato per lo
più nel degrado di qualche periferia. Magari, qualcuno
immagina che trascorro le mie giornate dietro i vetri
d’un fatiscente istituto a osservare il mondo che sfugge.
Se è questo ciò che pensate, beh, vi state sbagliando. Il
Majakovskij è ben altro. E non mi stupisco che tale
nome suoni estraneo alle vostre orecchie; neanch’io conoscevo l’esclusiva scuola moscovita, almeno fino a
due anni fa, quando nella mia abitazione di Fifth Avenue, a New York, giunse quella lettera. “ Congratulazioni, signorina Svetlana Yaroslavna Puskovic! Siamo
lieti di comunicarle che il suo test d’ingresso è stato superato con il massimo dei voti e, di conseguenza, la sua
richiesta d’ammissione ai corsi è stata accettata.” Attonita davanti alla cassetta delle lettere non credevo a ciò
che avevo appreso. Le mie mani tremavano come foglie, mentre le lacrime scioglievano l’inchiostro impresso sulla carta. No, non era commozione la mia,
semplicemente rabbia. In realtà, alle domande di quel
test avevo dato soltanto risposte errate, dunque, la spiegazione logica non poteva che essere una: mia zia aveva fatto carte false pur di gettarmi fuori casa. E mi ritrovo qui, in gabbia, a implorare le stelle e a sognare l’amore. Una truce angoscia mi attanaglia l’anima e finirà
presto per soffocare il mio spirito, a quel punto perderò
me stessa. Comprendere ciò che provo è arduo. La verità, è che non so quanto valga la pena condurre una vita
del genere. Ho soltanto sedici anni, ma la mia esistenza
vuota e priva d’emozioni mi sta sfibrando l’anima. Orami è da tempo che ho questa consapevolezza di me.
Non so se tale caratteristica sia inscritta nel mio patrimonio genetico oppure, sia un qualcosa di meramente
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acquisito. Certo è, che non posso parlarne con nessuno,
o almeno non con la gente bigotta che mi circonda; credo che se lo sapessero mi rinchiuderebbero in una clinica psichiatrica. La tolleranza, credetemi, non è di questo mondo. Sì, la gente si sforza di accettare chi compie
un percorso d’amore differente dal proprio, ma è intrinseco nella loro cultura aborrire ciò che etichettano con
l’epiteto “ diverso”. E’ così difficile nascondermi! Sopratutto quando un ragazzo mi fa la corte; in quelle occasioni trovo tutti gli espedienti possibili affinché non
trapeli nulla. Di solito giustifico il mio disinteresse nei
loro riguardi con la classica frase “ non sei il mio tipo”,
ma non sempre riesco ad affrancarmi così facilmente.
Dalle ragazze invece sono invisa, certo non da tutte, ma
è un cospicuo gruppo in questo collegio a non vedermi
di buon occhio. Forse sono gelose dei voti eccellenti
che conseguo, oppure dei miei occhi azzurri e dei lunghissimi capelli biondi; di certo, aborriscono la mia
ostentata fermezza nel respingere ogni genere d’ avance
che giunge dall’universo maschile.
1 Astrel
Londra, Inghilterra
I signori Lawless attendevano con ansia l’arrivo del rettore Stanley. La segretaria li aveva fatti accomodare
nell’ufficio di presidenza invitandoli a prestare un po’
di pazienza. - Il rettore sarà qui a minuti. – li aveva assicurati, eppure quei minuti erano già diventati quaranta. I due coniugi sedevano sulle poltrone di fronte la
scrivania, discutendo animatamente ma a bassa voce.
- Caro, non potremmo pensarci ancora un po’? Lasciarla qui, in questo collegio, io… - Disse la donna con
aria titubante, esternando le proprie perplessità.
- Non c’è nulla da pensare. Non la stiamo abbandonando in un orfanotrofio, questo è il migliore collegio di
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Londra, non immagini neppure quanti figli di deputati
hanno studiato qui. - Ribatté il marito con voce ferma e
risoluta.
- Lo sarà pure ma, cosa m’invento con le amiche? Sono
certa che domenica, in chiesa, mi domanderanno sue
notizie, e io cosa pensi che debba rispondere in proposito? Nostra figlia si trova in collegio perché abbiamo
scoperto che è una… Cristo Santo! Non voglio nemmeno pronunciarla quella parola. - Oh, Annette! Non farla tanto lunga. E’ soltanto una
diciassettenne, queste crisi sono normali durante l’adolescenza. Probabilmente tra un paio d’anni le passerà e
si troverà un ragazzo, magari anche ben piazzato. Quello che dobbiamo fare adesso, è allontanarla per un po’,
in modo che nessuno sappia e che lei non si distrugga la
reputazione. La figlia dei Lawless sedeva silenziosa alle spalle dei
genitori, accomodata su un divano di pelle nera. Il suo
sguardo afflitto e demotivato fissava un punto indefinito della parete, nel profondo dei suoi occhi cerulei mille
sentimenti si offrivano a chi non era capace di coglierli.
Tra le mani stringeva un talismano rosa, che le era stato donato da una veggente in un paesino della Transilvania durante un viaggio studio.
La porta della presidenza si aprì, e il rettore Stanley entrò nel suo ufficio. - Signori buon giorno. Vogliate perdonarmi il ritardo. – L’uomo si accomodò dietro la scrivania, e dopo aver controllato il fax si rivolse alla coppia con tono formale e garbato. - La segretaria mi ha
comunicato che era vostro desiderio parlarmi. – esordì
l’integerrimo rettore poggiando gli avambracci sulla
scrivania. Il signor Lawless annuì. - Bene, di cosa si
tratta? –
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- Ecco, io e mia moglie siamo molto impensieriti per la
condotta di nostra figlia. Ultimamente si mostra scostante e trascorre tutto il giorno fuori di casa. Con un’azienda da condurre e gli affari da portare avanti, per noi
è molto arduo occuparci della ragazza, ma non per questo lasceremo che la sua buon’educazione vada alla deriva. Un periodo in collegio sarebbe l’unica soluzione.
– Si espresse l’uomo tutto di un fiato, convinto di aver
esposto il problema in modo conciso e persuasivo.
- Mi ascolti, signor Lawless – parafrasò il rettore lievemente contrito nel volto – Il mio istituto ha un sistema
didattico improntato sul rigore e i docenti esigono la
massima diligenza da ogni allievo. Da quello che mi
dice, deduco che è intenzionato a iscrivere la ragazza, e
nell’immediato presente... ecco, ci sarebbero alcuni
problemi di vario ordine –
- Qualsiasi intralcio lei possa riscontrare – lo interruppe
il signor Lawless tassativo – spero non impedirà a mia
figlia di frequentare quest’istituto. – Il rettore Stanley
temporeggiò ancora, valutando la situazione, poi volse
la sua attenzione alla giovane che in disparte sedeva sul
divano.
- Come ti chiami? – le domandò con voce autoritaria.
La ragazza lo studiò per qualche momento, incuriosita
dalla fisionomia irregolare che caratterizzava quel volto
indefettibile, poi tornò a fissare il suo talismano senza
premurarsi di replicare alla domanda.
– Astrel! Cos’è, hai perso l’udito? Il rettore ti ha fatto
una domanda ben precisa. – intervenne la signora Lawless, risentita dal silenzio della figlia.
- A cosa serve rispondere se ti sei già impicciata tu?
D’altronde, invadere gli spazzi altrui è ciò che meglio ti
riesce, mamma. –
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- Chiudi quella bocca, per carità! Non ti consento di rivolgerti a tua madre in una simile maniera. – sbottò il
signor Lawless, compiacendo il volto basito della moglie. Il rettore Stanley dissentiva perplesso.
- Domando scusa, signori. – disse, schiudendosi un varco in quella piccola rappresaglia familiare.-Ritengo opportuno che vostra figlia attenda fuori il mio ufficio: la
sua parlantina baldanzosa potrebbe intralciare la civiltà
di quest’incontro. - Sentenziò con alterigia pungente.
Astrel scattò in piedi indignata, e incalzante raggiunse
la porta d’uscita.
- Non occorre che me lo diciate voi, vado via da sola.
Voi intanto, deliberate pure sulla mia vita. –Spedita
scappò dal collegio, ed amareggiata s’incamminò tra le
caotiche strade della City. La sua collera la spinse a
battere a lungo l’asfalto senza itinerario, mentre l’aria
animava i suoi lunghi capelli nero corvino. Più volte si
scrutò alle spalle, augurandosi che i suoi genitori non la
raggiungessero in macchina e, per evitare che ciò accadesse, si rifugiò su una sponda del Tamigi. Il rumore
travolgente dell’acqua l’aiutò a estraniarsi dal resto che
la circondava. - Il fiume scorre impetuoso, quanto vorrei gettare in esso tutto il male che ho dentro. Se m’introspeziono vedo una vita vuota e piena di fallimenti.
Ogni mattina mi sveglio prigioniera, intrappolata fra gli
alti e bassi di un’adolescenza che si diverte a giocare
con le mie emozioni. Non è facile esistere quando la tua
mente è un caos ridondante di paura e speranza, desiderio e abbandono, follia e ragione. I miei genitori non mi
comprendono, in realtà non si sono mai sforzati di farlo, eppure sono sempre lì, pronti a giudicare ogni alito
d’aria che respiro. Non li sopporto più. Ormai conosco
a memoria le loro prediche quotidiane: “ Sei una ribelle, un’anticonformista, nessuno si comporta come te,
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resterai sola tutta la vita se non ti adegui al mondo che
ti circonda.” Gli altri mi credono una ragazza chiusa in
se stessa che non sorride mai, e invece Dio solo sa
quanto vorrei vivere le emozioni più belle che la natura
ha creato! Ma chi può donarmi tutto ciò? E vado errando per la città come un’ombra vagante, nel tentativo disperato di placare il mio dolore, ricerco freneticamente
la pace interiore, ma non so dove trovarla. Se solo potessi colmare il vuoto abissale che mi divora l’anima. –
Una donna Room s’aggirava lungo la riva del Tamigi.
Procedeva scalza per non perdere il contatto con la madre terra, e indossava un’ampia gonna dalle tonalità floreali per giocare col vento. A tratti si fermava opponendo le mani all’aria, e chiudendo gli occhi intonava una
malinconica melodia. I campanellini che pendevano dai
suoi bracciali l’accompagnavano nel canto. Quando
notò la presenza d’Astrel a pochi metri di distanza, la
gitana tornò al silenzio. Di solito non rivolgeva la parola agli estranei, ma quella ragazza emanava un’energia
particolare, quasi suadente. - La tua anima pena, lo percepisco. Perché non segui gli insegnamenti della luna? Astrel si voltò verso la voce che aveva appena udito,
subendo il fascino d’un volto misterioso.
- Chi sei? – le domandò, notando l’abbigliamento etnico della donna. La gitana si espresse con voce serafica.
- Il mio nome è Aradia, ma non importa ch’io sia.
Quando diventerete un solo alito di vento, colmerai il
tuo abisso. –
- Scusami, ma non riesco a comprendere le tue parole. - Non occorre che tu lo faccia. Devi agire come la luna,
seguire il suo esempio. –
- Che vuol dire agire come la luna? – Chiese Astrel
sperando di ricevere un chiarimento. La donna sorrise
affabilmente.
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- Anche tu pensi che in origine la luna fosse così perfetta e tondeggiante come ci appare oggi? Beh, non mi
stupisce. Questo è un errore che in fondo facciamo tutti.
- Quale errore? –
- Quello di non comprendere i significati nascosti nella
natura. Il mondo ci parla, fanciulla, e tu dovresti stare
ad ascoltarlo se è la felicità ciò che desideri. - Astrel fu
ammaliata da quelle parole, ma non riusciva, benché si
sforzasse, a comprenderne il senso.
- Vedi, milioni d’anni or sono, la luna non era altro che
una roccia a metà, una semplice pietra che un giorno
trovò nella sua orbita un altro masso uguale a sé. Aveva
le stesse dimensioni, analoghi crateri e il medesimo colore. E fu così che il nostro satellite divenne rotondo,
bello e sfavillante come siamo abituati a conoscerlo.
Tuttavia, alcuni giorni del mese la luna eclissa la sua
preziosa metà, e se lo fa vi è una ragione precisa. Astrel era sempre più conquistata, i movimenti mimici
che la donna compiva in accompagnamento alla sua
spiegazione l’avevano quasi indotta a prefigurarsi la
scena in cui una luna separata a metà si congiungeva
come d’incanto. Eppure, Astrel continuava a non comprendere.
- Quale ragione? Perché la luna dovrebbe eclissare la
sua meta? –
- Ma è ovvio, fanciulla! Per indicarci il cammino della
felicità. Dimmi una cosa, preferisci la luna quando è
piena o quando è crescente? –
- Beh, quando è piena brilla di più. –
- Infatti! Tutti brilliamo di più se possediamo la metà
che ci completa, non dobbiamo far altro che trovare una
roccia uguale a noi: questo è il messaggio di cui è gra9
vida la luna. - Astrel meditò qualche istante su ciò che
la donna aveva appena affermato, poi obbiettò.
- A dire il vero, i libri di scuola dicono ben altro sulle
fasi lunari. –
- Intendi le spiegazioni astronomiche? Sì, quelle vanno
bene, ma solo per il mondo della ragione, nel mondo
del cuore valgono altre regole. Non sottovalutare mai
questa parte d’universo, bella fanciulla, leggi la natura
senza l’ausilio della mera razionalità e vedrai… –
- Ci proverò – rispose Astrel un po’ scettica.
- L’universo è nato in pochissimi istanti, in altrettanto
poco tempo la tua vita cambierà. Presto brillerai anche
tu, ma le tenebre resteranno in agguato per separarti
dalla tua essenza. Non permetterglielo, e sarà in eterno.
– Sulla scia di queste enigmatiche parole che suonavano profetiche, la donna si congedò. Astrel tornò a guardare il fiume provando ora un lieve senso di benessere.
Mosca, Russia
La piscina del Majakovskij aveva chiuso da ben tre ore,
il cartellino plastificato sulla vetrata d’ingresso lo indicava chiaramente. I fari sul tetto erano stati spenti, e le
lampade led istallate sul fondo della vasca creavano
un’atmosfera suggestiva. Non era la prima volta che
violavo il regolamento per concedermi un tuffo proibito, ultimamente avveniva ogni sera. Resistere al richiamo melodioso dell’acqua mi era impossibile, ogni volta
che immergevo il corpo nel liquido primordiale sentivo
di esserne parte integrante, e sapere che l’acqua era l’unico luogo in cui la forza coercitiva della gravità non
poteva impedirmi di volare mi consentiva di assaporare
un alito di libertà. Ancora una volta mi tuffai in gran
segreto in barba al cartellino sulla porta, certa che nulla
avrebbe ostacolato le mie atletiche bracciate in stile libero, tranne il fischietto della professoressa Čechov,
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che in quel momento minacciava di spezzarmi i timpani. L’insegnante dai capelli biondo cenere e dalla fisicità corpulenta, mi osservava impettita dal bordo vasca.
Dall’alto del suo cipiglio si muoveva avanti e indietro
rasentando l’orlo della vasca, come un felino in agguato
che si prepara a ghermire la sua preda. - Signorina Svetlana Yaroslavna! Sono stanca di rammentarle che la piscina non si può usare a quest’ora. - Odiavo il tono stizzito che adottava nel rivolgersi agli altri, ma non era
nulla se paragonato al suo carattere facinoroso e irascibile. Contrariarla in qualcosa equivaleva a farle spaccare un vetro dalla rabbia, o qualsiasi oggetto che si trovasse nell’arco della sua portata. Avvicinandomi alla
scaletta, saltai fuori dall’acqua. Sapevo che con quella
donna discutere era superfluo e non ci provai neppure.
Rassegnata, mi avvolsi nell’accappatoio e mi allontanai
dalla piscina mentre lo sguardo torvo della Čechov continuava a puntarmi.
- Svetlana! Dove va? – Sbraitò a squarcia gola con le
vene ingrossate che le pulsavano sulle tempie.
- In camera mia. – Risposi in modo irriverente e lapidario.
- Ne ho abbastanza della sua impertinenza! La piscina
può essere usata soltanto negli orari d’apertura e questo
vale per tutti, nessuno eccettuato. – M’ero ripromessa
di non discutere con la Čechov, ma quel sussiego rivoltante nelle sue parole mi spinse a erigermi a paladina di
me stessa.
- Questa mattina non ho saltato neppure una lezione –
La informai ostentando fermezza – durante la pausa
pranzo ho redatto il mio articolo per il giornale della
scuola, e subito dopo sono corsa al laboratorio di chimica trascorrendovi ben due ore, al termine delle quali
mi sono recata in camera mia per finire i compiti. Tutto
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questo è coinciso con “ gli orari d’apertura della piscina” e, mi creda, coincide ogni giorno. Dunque, mi domando se stia nel mio diritto concedermi almeno un’ora
di relax alla sera. - D’un tratto gli occhi della donna si
fecero biechi come due canne di pistola pronte ad aprire
il fuoco.
- Nient’affatto. – Pronunciò con aria di sufficienza,
quasi non meritassi la sua replica. – Le rammento tuttavia che questa è una scuola, non il Marriot Royal hotel.
Le regole vigono per tutti, e come ho già detto nessuno
è eccettuato dal rispettarle. - Già, soltanto voi insegnanti potete agire arbitrariamente, infischiandovi dei nostri diritti! – Polemizzai
con biasimo. La Čechov ebbe uno scatto inconsulto e
balzò in avanti, come se il pungiglione d’un ape si fosse
d’improvviso conficcato nella sua pelle chiara.
- Non sono in grado di tollerare tutte queste lagne, non
con il mal di testa che mi ritrovo. Fili subito in camera
sua! E l’avverto, Svetlana, se una simile disobbedienza
si ripeterà ancora, riferirò l’accaduto alla direttrice. Convinta che quella bomba a orologeria stesse per
esplodere, mi allontanai senza degnarla d’un saluto.
Ero abituata all’insensibilità che ostentavano gli insegnanti del Majakovskij, spesso la spacciavano per rigore, necessario, dicevano, affinché riceviate una formazione impeccabile. La verità è che amavano trincerare
la totale indifferenza nei nostri confronti sotto la maschera di tutori autoritari ma corretti ed equi. Giunsi in
camera mia bagnata e gocciolante, intirizzita tra la spugna dell’accappatoio. La mia compagna di stanza era
alle prese con una montagna d’indumenti che si apprestava ad accalcare dentro una valigia. Quando s’accorse
che il bagaglio era al limite della capienza, vi si poggiò
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sopra con entrambe le ginocchia e lo gravò di tutto il
suo peso corporeo.
- Ciao Sveta. – Mi salutò con la voce strozzata dalla fatica, mentre tentava di chiudere la valigia.
- Julia, perché stai facendo le valigie? Torni dai tuoi? –
Le domandai, osservando la sua lotta contro il bagaglio.
- No, cambio solo stanza. – Rispose col fiato alleggerito, dopo esser riuscita in quell’impresa.
- Qui con me non ti trovi più bene? - Julia sorrise intenerita.
- Niente affatto, Sveta. Domani arriverà una ragazza da
Londra, e la direttrice ha stabilito che alloggerà qui,
mentre io sarò trasferita in camera con Irina. –
- Una ragazza da Londra? - Già. Credo che la direttrice non sia molto lieta del suo
arrivo, oggi era intrattabile. –
Tuffandomi sul letto mi concessi una breve risata, allentando la tensione per l’alterco di poco prima con
l’insegnante di ginnastica. - Non mi pare una novità, intrattabile lo è sempre! Londra, Inghilterra.
Il Big Ben omaggiava solenne lo scorrere del tempo,
svettando fastoso sui tetti della City. Un’imbarcazione
turistica si preparava a salpare da un molo, agghindata a
festa con vivaci bandierine e grosse lampade sospese su
fili sottili. Le stelle adornavano di fascino il buio, incastonate come diamanti sul misterioso manto cosmico.
Astrel uscì da un fast food sorseggiando un milkshake
con la cannuccia. Lo strombazzare delle auto si alternava al rumore più ovattato dei motori e a quello in lontananza di sirene e antifurti scattati per sbaglio. La giovane si riparò nell’androne del fast food, quasi lì i rumori
non potessero raggiungerla. Le lancette fosforescenti
del suo orologio le ricordarono che era giunto il mo13
mento di rincasare, ma al solo pensiero Astrel ebbe voglia di sparire, in un posto recondito e a chiunque inaccessibile. Sedendosi sulla panchina del bus stop, diede
l’ultimo sorso alla bevanda, poi si fece pensierosa. Era
certa che i suoi la stessero attendendo infuriati. Prima la
scenata del pomeriggio, poi era sparita per delle ore. Indubbiamente le avevano serbato una punizione esemplare, ma la giovane preferì non dar peso a quell’eventualità. Alzandosi dalla panchina, scrutò in fondo alla
corsia, speranzosa che il suo autobus giungesse presto.
Lungo l’asfalto le auto sfrecciavano veloci come lucciole impazzite, sembrava che nulla potesse arrestare la
loro folle corsa, tranne quella luce rossa che si accese
dopo il giallo. Sulle strisce pedonali una donna attraversò la carreggiata tenendo per mano una bambina. Felice
e spensierata, la piccola si divertiva a saltare da una zebratura bianca all’altra. Osservando quella scena dal ciglio del marciapiede, Astrel provò un pizzico di malinconia. Pochi anni addietro anche lei era una bambina
gioiosa, una bambina che come tale, vedeva il mondo
sotto ottiche differenti. Da piccoli non si è capaci di
giudicare, perché non si possiede un’opinione, così, tutte le frottole che i grandi raccontano vengono prese per
buone. Frottole, era ciò che la vita aveva raccontato ad
Astrel riguardo ai suoi genitori. Per quanto tempo s’ era
illusa che suo padre fosse un grand’ uomo? “ Il papà
più generoso del mondo” le rammentava appassionata
la madre, quando per Natale lei scartava i regali; peccato, che quello stesso uomo fosse così avaro di sentimenti, e di questo la piccola Astrel ne aveva sempre penato. Due imprenditori quotati in borsa, una coppia stabile e regolare, che va a messa la domenica e torna a lavoro il lunedì. Gente dabbene. Una volta cresciuta,
Astrel comprese che i suoi genitori non erano altro che
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questo: una facciata modellata secondo i canoni della
società. Semplici attori che si calano nella parte per recitare la loro commedia borghese, fumo negli occhi,
null’altro. Da quel mondo fatto di convenzioni e scandito da cliché, Astrel s’ era sempre sentita oppressa.
Anima libera e sognatrice, non poteva accettare che la
sua vita fosse ridotta ad una farsa da palco scenico. Lei
aveva scelto d’essere non d’apparire, e questa, fu un’irriverenza che i suoi non le perdonarono più.
2 L’ultima volta
Il suo viso contro lo spigolo della parete, un dolore
atroce, poi tutto buio. Lara si svegliò di scatto ritrovandosi per terra, sdraiata davanti all’ingresso di casa. La
vista era annebbiata, la mente confusa. La ragazza riacquistò l’equilibrio con fatica, e barcollante s’incamminò lungo il corridoio. Fermandosi di fronte allo specchio osservò la sua immagine riflessa. I lunghi capelli
rossi le cadevano scomposti giù per la schiena, i suoi
brillanti occhi verdi, apparivano spenti e atterriti; e sulla guancia, l’ennesimo segno di violenza. La minigonna
bianca che indossava l’aiutò a ricordare ciò ch’era accaduto, suo zio riteneva che fosse troppo corta e per tale
ragione l’aveva picchiata. La ferita sullo zigomo le doleva parecchio, Lara corse in cucina a tamponarla con
del ghiaccio. Sul tavolo trovò una bottiglia di Whisky
scolata fino all’ultimo goccio e le chiavi dell’auto sparite dal proprio posto. – Quel pazzo sarà al volante sbronzo. Spero proprio che non torni. – Disse la giovane
donna, lasciandosi cadere su una sedia. Il ghiaccio cominciò a sortire i suoi effetti benefici, il dolore s’attenuava lentamente, ma l’umiliazione per l’ennesima vessazione subita pulsava forte dentro il suo cuore. - Questa è l’ultima volta che mio zio mi mette le mani addos15
so! – Proruppe ad alta voce, per imporlo a se stessa con
maggiore patos. – Sparirò da questa casa, per sempre. Astrel oltrepassò il cancello della sua abitazione e percorse velocemente il giardino. Gli idranti automatici innaffiavano il prato, e nell’aria si levava l’inconfondibile
odore di terra umida. Quella sera Astrel avrebbe preferito non rincasare, in modo da sfuggire a una struggente
crisi isterica della madre e a una sfuriata del padre, tuttavia era conscia di non avere scelta. Giunta davanti
l’uscio, la ragazza mandò giù lentamente una boccata
d’aria, cercando di prepararsi psicologicamente a ciò
che poteva attenderla. Ancor prima che inserisse la sua
chiave nella serratura osservò la maniglia d’ottone ruotare su se stessa, Willard era corso ad aprirle battendola
sul tempo.
- Buona sera, signorina. Ben tornata a casa. - Ciao, Willard. –
“ Il peggior maggiordomo che potesse capitarci!” Protestava sovente il padre d’Astrel, quando Willard tardava nello svolgere una mansione domestica, ma la ragazza non condivideva questo punto di vista. D’altronde,
Willard era l’unico in casa a rispettare la sua privacy e
ad accoglierla sempre col sorriso fra le labbra. Insieme
scambiarono due chiacchiere amichevoli, poi Willard si
congedò tornando al suo da fare. Rimasta sola innanzi
all’androne, Astrel si auspicò che i suoi genitori fossero
già andati a dormire, e con passo furtivo s’incammino
su per le scale in punta di piedi. Salire velocemente
mantenendo quella postura non le fu semplice, ma il
freddo corrimano l’agevolò nell’impresa, e quando era
in procinto di balzare sull’ultimo gradino, la voce gracida di sua madre la fece sussultare. Astrel tornò a toccare il suolo con i talloni e voltandosi scrutò in fondo le
scale.
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- Astrel! Si può sapere dove accidenti ti sei cacciata per
tutto il pomeriggio? - Astrel non desiderava dilungarsi
in una discussione, e l’atteggiamento avverso della madre la dissuase maggiormente.
- In giro. – Replicò a monosillabi, ostentando indifferenza. La donna salì le scale divorando gli scalini, e una
volta raggiunta la figlia, le puntò il dito contro il viso.
- In giro eh? Ci sono delle belle novità per te, signorina! Fila giù nell’ufficio di tuo padre, ha da dirti un paio
di cosette. – Sistemandosi la vestaglia da notte rosa
confetto, la donna s’incamminò per il corridoio del primo piano diretta nella propria camera.
3 Una notizia inaspettata
Astrel irruppe nell’ufficio del padre senza preoccuparsi
di bussare alla porta. L’ambiente era saturo di fumo,
tutto puzzava di sigaro, e in quel preciso istante, il facoltoso impresario ne stava premendo uno contro il
portacenere. - La mamma mi ha detto che desideravi
parlarmi. – Disse Astrel inghiottendo l’aria malsana.
L’uomo distolse l’attenzione dalla miriade di fogli che
tappezzavano la sua scrivania, e con sussiego osservò la
figlia.
- E così, alla fine hai preferito rincasare. Il letto del motel era troppo scomodo? – La stuzzicò con una punta di
sarcasmo. Astrel preferì non dar peso al cinismo del padre.
- Cos’è che hai da dirmi? – L’uomo estrasse un altro sigaro dalla custodia in pelle appartenuta al fratello defunto, e dopo averlo acceso ne godette la prima boccata
socchiudendo lievemente gli occhi, poi restituì all’ambiente un fitto alone di fumo che migrò verso l’alto.
Astrel detestava quel viziaccio del padre, il fumo le faceva bruciare la gola, e inoltre s’annidava insolente tra
la sua chioma, annientando le fragranze dello shampoo
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ai fiori di ciliegio. Vedere il padre fumare era per lei
presagio di sventura, e d’altronde, tutte le volte che l’era stata impartita una punizione esemplare c’era sempre
un sigaro a rendere il contesto più gravoso di quanto
non lo fosse già.
- Se oggi pomeriggio non te ne fossi andata come una
screanzata, sapresti già cos’ ho da dirti. - Se oggi pomeriggio quel tronfio non m’ avesse cacciata, io sarei rimasta. – L’uomo imprecò fra sé e strinse i denti, non gradiva quando gli altri lo eccepivano,
ciò lo rendeva collerico e gli impediva di gustare l’aroma del suo Bolivar. Deciso a non sbottare, recuperò la
ventiquattrore dal pavimento e la poggiò sulla scrivania. Aprendola si mise a rovistare fra i documenti in
cerca di quel biglietto aereo acquistato poche ore prima,
e una volta recuperato lo porse alla figlia. Astrel raccolse il biglietto fra le sue mani, notando ch’era decorato
dal logo di una nota compagnia aerea britannica.
- Un volo per Mosca? - Chiese sbigottita. – Partirà domani da Heathrow? – Viste le circostanze, Astrel non
poteva supporre che il padre le stesse regalando una vacanza. - Papà, cosa significa? Perché mi hai comprato
un biglietto per la Russia? – Domandò, ansiosa di ricevere una risposta.
- Non ti piace Mosca? - La interrogò lui con sarcastico
umorismo.
- Io non capisco. – L’uomo richiuse la ventiquattrore
inserendo la combinazione, poi si rivolse alla figlia. Oggi pomeriggio, io e tua madre abbiamo avuto una
lunga discussione con il signor Stanley. Gli abbiamo
chiesto se fosse disposto ad accettarti nella sua scuola,
ma essendo i corsi già iniziati e avendo riscontrato problemi d’altro genere, per lui non è stato possibile farlo.
– Astrel avrebbe voluto tirare un bel sospiro di sollievo,
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ma quel volo fissato per il giorno seguente gliel’impedì.
- Per tuo raro privilegio, cara Astrel, il padre che ti ha
generato non è un infingardo operaio, ma una personalità distinta e influente. - continuò lui accantonando la
modestia. – Per tale ragione, il signor Stanley ci ha offerto la possibilità di farti studiare al Majakovskij –
- Dove? - chiese la ragazza del tutto spaesata. L’uomo
parve irritato per ciò che considerava una carenza culturale della figlia, e con baldanza le forni alcune spiegazioni.
- Il Majakovskij è il più famoso collegio moscovita.
Chiunque vi abbia studiato ha praticamente un pass
d’accesso per l’università Lomonosov. Il signor Stanley
è un benefattore del collegio, e grazie alla sua magnanimità, l’istituto vanta una serie di laboratori didattici,
nonché una fornita biblioteca scolastica. - L’impresario
si concesse una pausa di pochi secondi, per passare dall’altezzoso al compiaciuto, poi continuò. - Capirai bene,
che il signor Stanley occupa una posizione d’influenza
all’interno del Majakovskij, così, gli è bastata una semplice telefonata per farti ammettere subito e gratuitamente. Io e tua madre non dovremmo pagare neppure
una retta! - concluse l’uomo col trasporto di un cantastorie che giunge al lieto fine della sua novella. Astrel
rimase attonita, sconvolta da tanta freddezza. I suoi genitori avevano scelto per lei! Senza consultarla, senza
aver pena di mandarla via in un paese straniero.
- Siete impazziti? – Urlò agitandosi – Come vi è potuta
saltare in mente un’idea simile? Invece di parlarmene,
siete corsi in agenzia ad acquistare il biglietto, e per
giunta dovrei partire domani! – La ragazza provò a controllarsi, non voleva mostrare al padre quanto fosse ferita. – Non posso crederci! Mi spedisci in Russia, da
sola, in un collegio che qui non ha alcuna credenziale, e
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tutto per lasciare in tasca il portafogli. – L’uomo le riservò una smorfia astiosità che in genere teneva in serbo per umiliare i propri dipendenti quando tardavano al
lavoro o mancavano in qualche commissione.
- Sei una povera ingrata, Astrel. Io e tua madre stiamo
solo cercando di salvarti la faccia, di non rovinare il tuo
debutto in società.- Di salvarmi da cosa, Papà?- Inveì Astrel con irruenza.
- Dalle mie scelte sentimentali? Dalle mie idee? Da
quello che sono? La verità è che a voi non è mai importato nulla di me! Sin da quando sono nata non avete fatto altro che progettarmi la vita. Che razza di messaggio
ho ricevuto in questa famiglia? Quale realtà distorta mi
avete messo di fronte? Per voi ciò che conta è solo apparire conformi alla morale contorta di quei quattro bigotti che vi circondano, ma se pensi che sprecherò la
mia esistenza andando dietro le apparenze ti sbagli, ho
rispetto per me stessa papà, non cadrò mai così in basso. - Il ricco impresario lanciò una biro contro la parete,
senza volerlo ruppe il vetro d’un quadro che andò subito in frantumi. A quell’uomo non importavano le recriminazioni della figlia, intrappolato com’era nel suo minuto universo, non riusciva a comprendere le sofferenze
di una ragazza a cui viene preclusa la libertà d’ essere.
- Non voglio udire una sola sillaba in più, Astrel. Domani stesso partirai per la Russia, ci resterai non meno
di un anno, e chiudiamo qui la discussione. – La giovane si sentì frastornata come se un colpo di mazza l’avesse raggiunta, quasi vacillò e a stento trattenne le lacrime, ma alcune sfuggirono al suo rigido controllo,
Astrel le braccò con le dita chiedendosi se a sconvolgerla maggiormente fosse stata la notizia della sua imminente partenza, o l’ostentata insensibilità del padre.
Singhiozzante si voltò e uscì dall’ufficio.
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4 Dirsi addio?
Astrel tornò in camera sua con aria sconfitta. Entrando,
incrociò uno sguardo familiare.
– Ciao Lara, non sapevo fossi venuta a trovarmi. – Lara
sedeva sul dondolo accanto alla finestra, stringendo fra
le braccia un soffice peluche che tempo addietro le era
appartenuto. Un fermaglio elastico le raccoglieva i folti
capelli rossi alla nuca, e sulla guancia, un tocco di cipria tentava invano di celare la ferita.
- Ciao Astrel, sono arrivata qualche minuto fa. Willard
mi ha detto che stavi parlando con tuo padre e ho preferito aspettarti qui. - Hai fatto bene – Disse Astrel, impegnandosi per apparire serena, tuttavia, le due ragazze si conoscevano fin
troppo per non accorgersi reciprocamente che qualcosa
stava andando per il verso storto. Sin da piccole, quando un pomeriggio d’estate s’erano incontrate al parco,
era nata in loro una solida amicizia fondata sulla stima
reciproca. Per Astrel, Lara rappresentava quella sorella
maggiore che non aveva mai avuto, l’unica persona capace di stringerle la mano quando il mondo minacciava
di crollare giù. Entrambe sapevano di poter contare l’una sull’altra, nell’insidioso mare della vita, soltanto la
loro amicizia rappresentava un’ancora sicura. Vedendo
l’amica stretta al suo orsacchiotto, Astrel avvertì una
fitta al petto: come dirle addio? Come pronunciare questa concisa parola carica di rammarico? Eppure doveva
farlo, doveva riuscire a congedarsi dall’amica del cuore, realizzando al contempo, che nell’imminente e travagliato futuro, Lara non sarebbe stata al suo fianco.
Prima d’informare l’amica di ciò che stava accadendo,
Astrel le si avvicinò per attingere un blando conforto,
fu allora che s’ accorse di quella brutta ferita che le
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sfregiava il volto. - Oh Lara, cos’hai fatto alla guancia?
- Entrambe compresero quanto superflua fosse la domanda, Astrel sapeva bene chi aveva fatto del male all’amica, ma in cuor suo nutrì la speranza che si trattasse
solo di un banale incidente domestico. Quando il viso
di Lara si fece mesto e incupito, Astrel abbandonò i
suoi crucci dimenticando la Russia. - Quel bastardo di
tuo zio ti ha picchiato di nuovo, non è così? - Lara annuì con un cenno del capo. - Tesoro, mi dispiace, adesso avverto la polizia. - Astrel aveva già sollevato il ricevitore del telefono e si apprestava a comporre il numero.
- No! - Urlò Lara con tono appassionato. Astrel tentò di
persuaderla.
– Ti prego, ascoltami. Lo capisci che questa storia non
può più andar avanti? Se non è oggi, sarà domani, la
prossima volta lui potrebbe…- Lara balzò in piedi lasciando dondolare a vuoto la sedia, e fra le sue mani accolse quelle dell’amica fissandola negli occhi con
sguardo penetrante.
- Astrel, non ci sarà una prossima volta. Se sono venuta
da te questa sera, l’ho fatto per una precisa ragione.
- E quale? - Lara fece piombare lo sguardo verso il pavimento e proferì con voce tremula.
- Non potevo andar via senza salutarti. –
- Andar via? Cioè, intendi scappare da casa? - Proprio così. Tra due ore partirò per Southampton e
da lì verso gli U.S.A. Purtroppo, dovrò affrontare questo viaggio senza documenti e senza un penny per le
mie esigenze, ma… saprò cavarmela lo stesso. –
- Cosa? – La interrogò Astrel sbalordita. - E perché mai
non hai con te né documenti né denaro? –
- Pensi che mio zio sia uno stolto? Ha sempre sospettato che volessi fuggire, e per impedirmelo mi ha seque22
strato il passaporto e vigila sul mio portafogli. E’ solo
un povero illuso, lo fregherò comunque, …l’ho già fatto. – Astrel ebbe un lieve mancamento e avvertì il bisogno d’inspirare una boccata d’aria salubre, il fumo di
prima non si decideva ad abbandonare le sue narici.
Aprendo la finestra della propria camera si sedette sul
davanzale e inspirò a fondo. I rumori cittadini si percepivano in lontananza condotti a tratti dal vento.
- Vuoi andare a vivere con tuo fratello a Seattle, non è
vero? – Lara raggiunse l’amica alla finestra guadagnandosi un angolino sul davanzale, e con gli occhi rifulgenti di speranza rispose.
- Sì. Adesso lui è ricco, ha la possibilità d’ospitarmi e
offrirmi una vita migliore, così, finalmente potrò continuare i miei studi. – La voce di Lara viaggiava sul tono
dell’entusiasmo, già si vedeva, inscritta al college con
l’armadietto pieno di libri e una collezione d’ottimi
voti. Astrel desiderava con tutta se stessa che i sogni
dell’amica si trasformassero in realtà, avrebbe concesso
anche l’anima per saperla felice, ma l’apprensione che
in quel momento provava le impedì di gioire con lei.
- Come farai ad arrivare così lontano se ti mancano soldi e documenti? - Lara possedeva già una risposta a
quella domanda, ma rintracciarla le era costato parecchio.
- Vedi Astrel, ho trascorso notti insonni per trovare una
soluzione a questo dilemma, e ora che ne possiedo una,
non intendo perdere la mia occasione. Quando arriverò
a Southampton, m’imbarcherò su un transatlantico, è
una nave da crociera che raggiungerà gli Stati uniti nel
giro di una settimana. A bordo lavorerò in nero come
inserviente, ma questa è soltanto una copertura. –
- Lavorerai in nero su una nave? – Ripeté Astrel sbalordita, col cuore palpitante. – Ma, Lara, sei sicura di vole23
re… insomma, non mi sembra per nulla una buona
idea. - E’ l’unico modo. – Ribadì lei con fare probante. - A
mio zio non potrebbe saltare in mente di venirmi a cercare in mezzo all’oceano, e quando dalla rabbia inizierà
a scaraventare sedie e oggetti per casa, io sarò già in
America a condurre una nuova vita. – Astrel era sempre
più agitata. Imbattersi da sola e da clandestina in una simile avventura non era certo un gioco per bambini.
- Facciamo un passo indietro, Lara. – Disse Astrel muovendo le mani, quasi volesse acciuffare i concetti che le
sfuggivano per agganciarli in una catena logica.
- Cosa vuol dire che farai l’inserviente su una nave? E
che intendi con “ copertura” ? - Lara posò la mano sulla
spalla dell’amica carezzando la lana tiepida del suo
golf.
- Bene, cominciamo dall’inizio. – Premise - Otto mesi
addietro ho conosciuto la persona che faceva al caso
mio: un membro dell’equipaggio, un uomo che lavora a
bordo della Far Dream, la nave sulla quale viaggerò.
Lui è disposto a fornirmi una copertura che mi permetterà di traversare l’oceano indisturbata. - E giunta a New York? Dovrai pur scendere dalla
nave, come pensi di eludere i controlli doganali? –
- Mi ha garantito che scenderò dalla nave ancor prima
che attracchi, e una volta a New York, mi indirizzerà
presso un suo conoscente, il quale mi fornirà documenti
falsi per muovermi facilmente fino a Seattle. – L’espressione d’Astrel era basita, a tratti dubitava che una
simile storia potesse accadere nella realtà e alla gente
comune, eppure, Lara non pareva in vena di scherzi.
- Che cosa chiede in cambio quest’uomo? –
- Soldi. – Ribatté Lara. - Una cifra insormontabile per
le mie capacità, ma il conto corrente di mio zio aveva
24
parecchie risorse prima che gliel’azzerassi. – Astrel
ebbe l’accortezza di celare le perplessità che nutriva,
non voleva gravare Lara del suo pessimismo.
– Tuo fratello sa già che lo raggiungerai? – Domandò la
giovane scendendo dal davanzale e stirando energicamente le braccia verso l’alto, quasi ambisse a toccare il
tetto.
- No, lo avvertirò soltanto se riuscirò a toccare il suolo
americano. –
- Pensaci bene Lara, sei sicura di ciò che fai? –
- Andiamo, Astrel! Non devi angustiarti per me. – La
esortò sprizzando ottimismo. – Sto per dare una svolta
decisiva a questa misera esistenza. - Lo so, ma se ti accadesse qualcosa di brutto io… - Andrà tutto per il verso giusto, te lo garantisco, e ti
prometto anche, che non appena arriverò a Seattle ti
chiamerò ogni giorno. – Astrel dissentì col capo ed
esplose in un pianto straziante.
- Mi dispiace tanto Lara, ma quando arriverai a Seattle
io non sarò più qui. - Cosa? – Abbandonando ogni sforzo d’autocontrollo,
Astrel lasciò che le lacrime venissero giù inondandole
le guance. Lara cullò l’amica fra le sue braccia. Non capiva quale fosse la causa del suo tormento, ma non si
sarebbe congedata da lei se prima non fosse riuscita almeno a rasserenarla.
- Perché stai piangendo? - Mio padre ha deciso di rovinarmi la vita. – Sibilò fra i
singhiozzi inconsulti.
- In che senso? - Astrel respirò a fondo per sedare le lacrime, quello sfogo prepotente le donò un tenue sollievo. Adesso era in grado di raccontare all’amica ciò che
era accaduto. Le parlò della freddezza che avevano
avuto i suoi nel decidere di mandarla in collegio, del25
l’insolenza di quel rettore a cui s’erano rivolti, e afflitta,
riferì anche del viaggio studio a Mosca. Lara ascoltò
l’amica in silenzio, senza interromperla, esprimendo la
sua incredulità soltanto con gli sguardi.
- Io non capisco. - Esordì ora – Decidono di farti studiare a Mosca, in questo cavolo di collegio, e non ti
consentono neppure d’abituarti all’idea. Tutto ciò è ridicolo! –
Astrel annuì, stringendo fra le dita il suo inseparabile
talismano rosa. Lara procedeva avanti e indietro per la
camera, era irrequieta, come assalita da una raffica di
dubbi, a modo suo cercava una soluzione per evitare
che l’amica partisse.
- Non potresti chiedere a tuo padre, magari, se lo convinci a rimandare la partenza di otto o nove giorni,
avresti il tempo di trovare un collegio qui a Londra. Astrel scosse il capo accompagnata dalla sua chioma
bruna, e amaramente sorrise.
- Credi davvero che mio padre si lasci scappare una simile occasione? Farmi studiare gratis in una scuola
esclusiva? No, non ci rinuncerà mai. - Lara comprese
l’ineluttabilità della situazione e a quel punto arrestò il
suo passeggio privo di meta intorno alla stanza, scegliendo di consolare l’amica più che fornirle consigli
alternativi.
- Vieni qui, tesoro. – Le disse, protendendo le braccia
verso lei. Astrel si lasciò confortare da un abbraccio
protettivo.
- Non voglio andare a Mosca. Ho paura. – Bisbigliò
Astrel, avvicinando la bocca all’orecchio dell’amica.
Lara tentò ancora di rasserenarla.
- Comprendo la preoccupazione che ti angustia, ma io
sono un’insanabile ottimista, e a differenza di te scorgo
delle note positive in questa vicenda. - Astrel si allonta26
nò appena dal corpo di Lara, in modo da poterla osservare in volto, e con un barlume di speranza le domando
- Quali sono gli aspetti positivi? - Davvero non riesci a vederli? Ma come? Non credi
che trascorrere un po’ di tempo lontano dai tuoi ti possa
giovare nel riconciliarti con te stessa? Niente più “
Astrel sei strana, Astrel vestiti come s’addice, Astrel
dovresti frequentare solo i figli dei nostri amici”. - Le
due ragazze risero di cuore approfittando di quell’effimera ilarità per scaricare la tensione.
- Sì, forse hai ragione, anche se avrei preferito andare
alle Bahamas.- L’orologio di Lara emise due bep. La
ragazza si accorse dell’orario e disattivò la sveglia.
- Devo andare, tesoro, altrimenti rischio di perdere il
mio treno per Southampton. - Astrel annuì rassegnata,
soffocando dentro il petto quell’opprimente bisogno di
piangere ancora; Lara andava incoraggiata con uno
splendido sorriso.
Mosca, Russia.
La neve fioccava leggera cancellando ogni colore.
L’immensa area della Piazza Rossa, le venti torri del
Cremlino, i tetti delle abitazioni, e perfino le policrome
cupole di S. Basilio, quella notte sfumarono nel gelido
abbraccio dell’inverno. Un urlo acuto lacerò il silenzio
della notte, tutti al Majakovskij ci svegliammo di soprassalto. Julia trabalzò dal letto con un fremito, e agitando la mano in direzione del comodino afferrò l’interruttore che pendeva dall’abatjour per accendere la lampada. Un bagliore abbacinante colpì i miei occhi causandomi una fitta acuta all’altezza della fronte, prontamente mi fiondai sotto le coperte, unico luogo ove la
luce non riusciva a raggiungermi.
- Hai sentito anche tu, Svetlana? – Domandò Julia. Lentamente sollevai la testa dal cuscino tornando allo sco27
perto, l’orologio sulla parete segnava le 4: 35, attraverso la condensa sulla finestra scorsi la neve cadere giù.
Dal corridoio provenivano passi e voci confuse, per
l’ennesima notte Irina era riuscita a sfumare il sonno di
tutti, gettando l’istituto in un fragoroso subbuglio. Julia
si alzò nervosamente dal letto infilandosi la vestaglia. E’ incredibile! – Sbottò, sforzandosi di conferire veemenza alla sua voce assopita – Domani quella squilibrata sarà la mia nuova compagna di stanza. Fantastico!
- Non preoccuparti Julia, Ira sta attraversando un periodo difficoltoso, ma le passerà, credo. – Replicai sbadigliando.
- Beh, la direttrice dovrebbe avvertire i suoi genitori se
non vuole che qui diventiamo tutti matti. –
Al piano superiore, Irina si dimenava nel suo letto.
- Non posso, non posso farlo ancora. – Sillabava con la
voce cadenzata dai singhiozzi, mentre le lacrime s’infittivano sul cuscino. – Non posso! – Strillò, abbandonando il tepore delle lenzuola per divorare la stanza con la
foga dei suoi passi. In preda ad una crisi isterica si scaraventò contro una parete causandosi una contusione
alla spalla, poi scivolò sul pavimento cominciando a dimenare braccia e gambe verso l’alto, quasi stesse officiando un rituale scaramantico. La giovane Irina era
stremata; flagellata dagli spiacevoli episodi che puntuali si ripetevano quando la notte incombeva. Ogni notte
nello stesso posto mefitico, ogni notte, alla mercé di chi
gradiva intrattenersi con lei. Irina sapeva bene come affrancarsi da quella condizione di schiavitù, le sarebbe
occorso esternare tutto ai genitori, raccontar loro di
come Ivan, un compagno di classe, la costringesse a subire le angherie del cliente di turno. Quante volte era
stata sul punto di alzare la cornetta per chiamare la poli28
zia? Poi la paura s’insinuava in lei, le minacce di ritorsione le tornavano in mente turbandola, e tutto restava
com’era. Infilandomi le pantofole, mi diressi fuori dalla
mia camera.
- Dove vai? - Mi chiese Julia sorseggiando un bicchiere d’acqua.
– A vedere come sta Irina. – Replicai, socchiudendo la
porta dopo essere uscita dalla stanza. La segretaria della
direttrice Rosencrans percorreva goffamente il corridoio del secondo piano, calpestando un’interminabile guida dalle colorazioni purpuree. Bassa e mingherlina, dall’aria bisbetica e il vestiario trasandato, la donna rendeva il doppio degli anni registrati all’anagrafe. I lamenti
d’Irina le avevano spezzato il sonno nel cuore della notte, spingendola a saltar giù dal letto per dirigersi bellicosa in camera della giovane
- Irina Nikolaevna! – Strepitò appena giunta a destinazione.- E’ ora di piantarla con questi isterismi. – Rincarò furiosa, accendendo la luce nella camera. Irina mugugnava raggomitolata per terra, fra il letto e il comodino, e come in una monotona litania continuava a ripetere e ripetere la stessa frase.
– Non sono una prostituta! Io non sono una prostituta.
No, non lo sono. - La segretaria della direttrice fu spiazzata da quell’atteggiamento, così come lo fui io quando
giunsi in camera sua. Dove si era celata la ragazza che
avevo conosciuto due anni fa? Quella che riempiva i libri e le pareti di cuoricini perché innamorata della vita?
A vederla ora, pareva lo spettro di se stessa. Desideravo aiutarla, rendermi utile in qualche maniera, ma il
mio compito si faceva arduo di fronte al carattere introverso e poco loquace che ultimamente aveva assunto
lei. La segretaria della direttrice stava lì, piantonata al
centro della stanza con le braccia conserte, pronta a
29
sbottare e a scagliare una raffica di sberle contro le
guance emaciate della giovane. Io scelsi d’agire, e avvicinandomi alla ragazza tentai di rasserenarla.
- Ira, non fare così, cerca di calmarti, va tutto bene.- Non sono una prostituta! – Continuava a sgolarsi lei
con impeto smisurato.
- Certo, lo so, ma adesso basta piangere. - Irina non
diede adito ai miei consigli, e divagando lo sguardo si
concentro sul bianco della parete. Fissò il muro per
qualche istante, strabuzzando gli occhi come se d’un
tratto qualcosa avesse interessato la sua attenzione. Per
un breve momento placò il pianto e sembrò riacquistare
l’uso della razionalità, ma subito dopo, prese a respirare
affannosamente e a pronunciare asserzioni dalla logica
inafferrabile.
- Sveta, tu non immagini nemmeno ciò che mi accade
ogni notte. - Era come se stesse delirando, e non capivo
fino a che punto fosse consapevole di ciò che affermava, tuttavia, prestai ascolto alle sue parole.
- Cosa ti succede ogni notte, Ira? - La segretaria della
direttrice non gradì la mia domanda, così come non gradiva la mia presenza in quella circostanza.
- Svetlana! Ritorni in camera sua, immediatamente! –
M’intimò con tono minaccioso.
- Sto solo cercando d’ aiutare una ragazza che non si
sente bene. – Incalzai persuasa e lievemente animosa.
- E io sto solo cercando un pretesto per farti perdere il
semestre. - Sapevo di trovarmi dalla parte della ragione,
in fondo, non facevo nulla di scorretto prestando soccorso ad una compagna, eppure, la prima lezione che il
Majakovskij m’aveva impartito era quella di non cercare mai riscatto contro l’ostilità dei sui educatori. Affranta m’incamminai verso l’uscita. - Irina sta solo delirando, Svetlana.- Arringò la donna quando le passai ac30
canto. – Ciò che afferma è privo di riscontro, probabilmente ha avuto un incubo. – Aggiunse persuasiva, accompagnando le sue parole con una puntuale e quasi
esasperante gesticolazione delle mani. Era come turbata, pareva temere che i discorsi deliranti d’Irina avessero acceso in me una qualche curiosità. Scelsi di non replicare, sconcertata da tanta vigliaccheria mi limitai a
voltarle le spalle e andare.
Londra, Inghilterra.
Astrel si tuffò nel suo letto a baldacchino allargando le
braccia, il trambusto che aveva marcato nel segno la
sua giornata pareva ora aver assunto un peso fisico gravandole il corpo come fosse un macigno. Pressata da
quell’insolita fiacchezza, Astrel si assopì nel tepore della coperta in pile; era sul punto d’abbandonarsi a un
sonno profondo quando qualcuno busso alla sua porta.
Astrel sgranò gli occhi e si tirò su dal letto a mezzo busto.
- Non voglio essere importunata! – Gridò. La porta era
già aperta, ma Willard si fermò con discrezione davanti
all’uscio.
- Scusami tanto, Willard. – Replicò la giovane imbarazzata - Entra pure, io… credevo fosse mio padre. – Spiegò per sincerarsi che il maggiordomo non avesse equivocato.
- Nessuna scusa, signorina. – Willard entrò e si sedette
sullo stesso dondolo che aveva ospitato Lara qualche
minuto addietro. Con un gesto pratico strinse il papillon
che portava al collo, poi scrutò Astrel leggermente prostrato. - Suo padre mi ha commissionato di prepararle
le valigie inserendovi solo lo stretto necessario, ma a
Mosca fa molto freddo di questi tempi, così mi sono
permesso d’aggiungere qualche capo pesante in più. –
Astrel sorrise in segno di gratitudine.
31
- E’ gentile da parte tua, come sempre ti premuri che io
stia bene. –
Anche se Willard era soltanto il maggiordomo di casa,
un dipendente al servizio del padre, per lei rappresentava molto più. Da bambina lo credeva il suo angelo custode, un angelo che la sera non mancava di rimboccarle le coperte, e se Morfeo tardava la intratteneva narrandole una fiaba. Ed era sempre quell’angelo dalle mani
bianche di velluto a sfilarle il termometro di bocca se la
temperatura andava su, lui ad assistere alle recite natalizie e ai saggi di danza, sedendo insieme agli altri genitori. Astrel prese fra le mani un cuscino ricamato da
payettes e con il dito cominciò a ripassare i disegni. La
tribolazione fluttuava nel profondo dei suoi occhi azzurri, dopo essersi accomiatata da Lara, doveva reggere
il peso di un altro addio.
- Sei mai stato a Mosca, Willard? – Gli domandò, staccando lo sguardo dai ricami del cuscino.
- Sì, molti anni fa. –
- Sul serio? E, com’è? – Il maggiordomo ci pensò su un
momento.
- Ecco, ci sono bei monumenti, tantissima neve che ti
raggela le ossa, ma soprattutto… in Russia vivono le
ragazze più belle del mondo! - Davvero? –
- Ma certo! – Affermò Willard con quel tono di meraviglia che spesso impiegava quando le raccontava dei
suoi viaggi in Zimbabwe. Astrel inspirò e si fece cupa.
- Voglio che tu sappia una cosa, Willard. Io ho sempre
apprezzato le tue premure e la munificenza nei nostri
confronti. Detesto quando mio padre si rivolge a te in
malo modo, con quel tono saccente. Lui non ha alcun
diritto di rimbrottarti sempre e su tutto, tu sei l’unico
che si è curato di me durante questi anni. – Il maggior32
domo sorrise compiaciuto, deliziato da quel pensiero
sincero.
- Oh, signorina Astrel, Il mio più grande privilegio è
stato quello di vederla crescere e diventare una ragazza
incantevole. –
- Un giorno avrò una casa tutta mia, e tu lavorerai per
me, con i dovuti lauti e con tutto il rispetto che meriti. –
Promise Astrel
- Ci posso contare? - Chiese Willard divertito, fingendosi lusingato.
– Assolutamente sì! – Ribadì Astrel seriamente persuasa.
5 Diretta altrove
Dall’aeroporto londinese di Heathrow decollo il volo
BA0874 diretto a Mosca.
Mosca, Russia.
Libera dallo studio, scelsi di dedicare qualche ora del
pomeriggio allo shopping. La Via Arbat era tra le mie
destinazioni predilette; mescolarmi con l’andamento
spensierato dei turisti occidentali mi rilassava più di un
antistress, ma optai per i Grandi Magazzini Gum. Nella
magnificenza del centro commerciale per antonomasia,
ero solita spendere molto tempo oltre che rubli. La mia
innata esterofilia, erudita da corpose letture, mi conduceva a immergermi nel fascino dei bazar; quanti mondi
convivevano tra le scansie di quei negozietti! A volte
indossavo delle giacche in lana di lama provenienti dal
Perù, e con le dita percorrevo i disegni geometrici che
s’intrecciavano in allegre cromature. Non facevo parecchia fatica a immaginarmi in un remoto paese andino,
dove le tessitrici filavano la lana con eccelsa maestranza. E che dire della musica occidentale suonata al flauto
di Pan! Poi volgevo lo sguardo a oriente, e mi lasciavo
33
sedurre dagli abiti eccentrici delle danzatrici egiziane, e
se la commessa era distratta, mi dilettavo con i cimbali
o battevo qualche colpo ritmato sulle darbuke in esposizione. Intenta a passeggiare in galleria, catturata dai colori e dalle esposizioni in vetrina, non mi accorsi che
qualcuno mi stava tallonando già da un pezzo. Prima
aveva mantenuto un andamento distaccato, poi, si era
avvicinato pian piano fino a raggiungermi per braccarmi il passaggio. – Ira? Che cosa ci fai qui?- Le domandai, non appena la vidi materializzarsi di fronte ai miei
occhi. Irina aveva il fiato corto e un inarrestabile tremulo alle ginocchia. Indossava un cappellino viola dal
quale sfuggivano due o tre ciocche castane. A tratti barcollava, e con i guanti rosa si sfregava le gote, quasi a
voler cancellare dal volto il tormento che l’attanagliava,
ma dal profondo dei suoi occhi verde acqua, traspariva
la stanchezza per una notte trascorsa a delirale.
– Posso parlarti? – Mi chiese con affanno.
– Certo. - Replicai, esibendo volutamente la mia disponibilità, affinché lei non fosse reticente.
- Sveta, ti seguo da quando sei uscita dal Majakovskij,
lungo la strada, sull’autobus, fino ad arrivare qui. Scusami, io non volevo violare la tua privacy, desideravo
soltanto parlarti. - Va bene, ma potevi anche farlo prima che uscissi da
scuola, in questo modo evitavi di fare un giro inutile.
- No! – Incalzò lei con un guizzo irrequieto. - No, al
Majakovskij non potevo farlo, lui mi sorveglia sempre.
- Guardai Irina con espressione interrogativa, ancora
una volta le sue parole apparivano enigmatiche e incomprensibili.
- Chi ti sorveglia? Ira, io vorrei tanto aiutarti, ma se tu
non mi lasci intendere qual è il problema non so cosa
fare. –
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- Pensi che io sia pazza, vero? - Mi chiese tra le lacrime. Il suo tono era affranto, per nulla provocatorio. –
Non mi stupirebbe, tutti lo pensano di me. - Non io. - Ribattei decisa. La ragazza condusse nervosamente le mani ai capelli, trepidante si pentì di ciò che
stava facendo.
- Cos’è che devi dirmi? Puoi fidarti di me, qualsiasi
cosa sia, resterà comunque un segreto, te lo prometto. - Non posso dirtelo. Non posso dirlo a nessuno! Devo
andare… - Lesta come una lepre, Irina si dileguò e sparì in mezzo alla folla.
– Irina! Aspetta un momento, dove vai? – Le gridai
mentre la vedevo confondersi fra le persone. – Magari
ti posso aiutare. - Tutto inutile, non riuscii a comprendere il turbamento che crucciava la mia compagna.
Il boeing 767 jet proveniente da Londra scendeva di
quota lentamente preparandosi a toccare il suolo russo.
La pista innevata dell’aeroporto Domodedovo si avvicinava sempre più. “ Finalmente sto per tornare sul pianeta terra!” Pensò Astrel in procinto di tirare un respiro liberatorio, ma attendendo l’effettivo atterraggio dell’aeroplano prima di allentare la tensione che da ore la divorava. La paura di volare era l’unica fobia che fin da
bambina l’aveva accompagnata in tutti i suoi viaggi.
Lei stessa non si spiegava a cosa fosse dovuto quell’irrazionale quanto incontrollabile terrore che le prendeva
ad ogni decollo. Lei che non temeva neppure i ratti, né
le lucertole o i serpenti, e che avrebbe condiviso volentieri un tragitto in treno in loro compagnia, piuttosto
che abbandonare il suolo alla volta del vuoto, in balia
dell’aria e delle sue capricciose fluttuazioni.
Finalmente le ruote dell’aeroplano incontrarono la pista
dell’aeroporto, sfatando ogni congettura funesta che
Astrel aveva rimuginato durante il viaggio. Quando il
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velivolo si arrestò completamente e i portelloni si aprirono, ella si stupì di come ciò fosse potuto accadere;
davvero singolare che i motori non si fossero incendiati
durante il viaggio, così come era alquanto strano che
nessun passeggero avesse con sé una bomba ben celata
dentro il bagaglio a mano. E che dire di tutte quelle spie
rosse che mandano in delirio i piloti? Astrel si slacciò la
cintura dalla vita con gran foga, certa che a breve un dirottatore squilibrato avrebbe irrotto in cabina di pilotaggio appropriandosi dei comandi e decollando per ch’issa quale destinazione; meglio affrettarsi a scendere prima che ciò accadesse sul serio. Ormai in aeroporto, la
ragazza recuperò i bagagli dal nastro trasportatore e si
diresse agli arrivi, percorrendo prima un lungo corridoio. L’enorme sala d’attesa che raggiunse infine, era affollata da una moltitudine di persone. Astrel soffermò
la sua attenzione sull’abbigliamento invernale di quegli
individui, la maggior parte di essi erano imbacuccati
per bene, quasi i loro volti sparivano sotto la pelliccia
del colbacco e la lana doppia della sciarpa. Un anziano
signore, dalla chioma canuta, si barcamenava tra la folla di turisti inglesi e cittadini russi di ritorno in patria.
Con entrambe le mani agitava un foglio di carta, e a dispetto della sua statura, non troppo elevata, riusciva a
sollevare il foglio fin sopra i colbacchi della gente, affinché campeggiasse in bella vista. Istituto Majakovskij
riportava a caratteri cirillici. Astrel ebbe qualche difficoltà nel decifrare quell’iscrizione, e prima di riuscirvi
la sillabò mentalmente accompagnando l’operazione
con un movimento muto delle labbra. Infine comprese
che l’anziano signore stesse attendendo proprio lei, e
gravata da una certa timidezza, lo raggiunse e si presento.
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- Signorina Astrel Lawless! Ben arrivata a Mosca. Io
mi chiamo Vyacheslav Lavrov, e lavoro per il Majakovskij come inserviente. Prego mi segua, fuori c’è un
taxi che la sta aspettando. – Il vecchio inserviente, dalla
corporatura esile e dai toni garbati, s’incamminò verso
l’uscita dell’infrastruttura aiutando la nuova arrivata a
trasportare le valigie. Astrel avrebbe gradito scambiare
due chiacchiere con quel signore cortese, ma in mente
non le giungeva alcuno spunto per avviare una conversazione. Fortunatamente a rompere il ghiaccio ci penso
lui.
- Quello è il suo taxi. – Disse, appena fuori l’aeroporto.
- salga pure, penso io a sistemare i bagagli sul retro. –
- Grazie. - Il signor Vyacheslav guardò l’orologio.
- Sono certo che la signorina Rosencrans la starà già
aspettando. - Astrel salì sul taxi e poi chiese.
- Chi è la Rosencrans?L’anziano inserviente le chiuse la portiera salendo sul
marciapiede, poi rispose.
- E’ la direttrice dell’istituto. –
- Ah, capisco. Posso farle una domanda? – L’uomo annuì abbozzando un sorriso cordiale.
- Che tipo è? E’ una persona severa? - Il signor Vyacheslav attese qualche secondo prima di soddisfare la
curiosità della straniera.
- Ecco, signorina Astrel, era proprio necessario che lei
venisse a studiare qui? Non poteva restare a Londra?
Mi creda, sarebbe stato molto meglio se non fosse mai
venuta.- Con reticenza e titubanza, l’uomo aggiunse –
In ogni caso, se avrà bisogno di qualcosa si rivolga pure
a me, io non sono come lei, non voglio entrarci in quel
genere di faccende.- Astrel fu molto turbata da quella
risposta, ma non ebbe il tempo di muovere alcuna obie37
zione che il taxi partì allontanandola dal signor Vyacheslav, che fermo sul marciapiede le accennò un saluto.
6 Spiacevole accoglienza
Imperiosa davanti all’ingresso del Majakovskij, la direttrice Anne Rosencrans attendeva spazientita che la
nuova arrivata scaricasse le valigie dal taxi. Non mosse
un dito per aiutarla, neppure quando la vide salire gli
scalini gravata dal peso dei bagagli.
- Signorina Lawless? – Astrel salì l’ultimo gradino trafelata, poggiò le valigie per terra, eb annuì alla donna.
- Bene, io sono la direttrice Rosencrans. - Si presentò
con tono lapidario - Mi segua all’interno, per cortesia. Aggiunse burberamente. Astrel si appropinquò alla
donna e dopo cinque passi solcò l’ingresso di quella
che per un lungo periodo sarebbe stata la sua nuova abitazione. I toni caldi dell’ambiente sembravano poter accogliere chiunque, ma la ragazza provò solo un angoscioso senso di vuoto. Di fronte a sé, si estendeva un
enorme atrio ricoperto da una moquette bordeaux, e coronato dagli smerigli adamantini di quattro lampadari.
Ai piani superiori dava l’accesso una scala con passamani laccati in oro e gradini rivestiti in marmo. Colonnine ornamentali poste ai lati dell’atrio, fungevano da
piedistallo per alcune riproduzioni in miniatura di sculture famose.
- Da questa parte, signorina Lawless, desidero mostrarle il nostro istituto. –
- Potrei posare i miei bagagli prima? - La Rosencrans fu
innervosita da quella richiesta, e non si fece scrupoli nel
mostrare il suo disappunto. Irritata, chiamò un inserviente commissionandogli di sistemare le valigie al piano superiore, poi si rivolse ad Astrel congelandola con
lo sguardo.
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- Ci sono altre richieste, signorina, o possiamo proseguire? - Io… no, nessuna richiesta. -Farfugliò la ragazza,
spiazzata da un simile atteggiamento.
Con alcuni pacchetti in mano feci di corsa e tutta d’un
fiato la scalinata del Majakovskij. Sapevo d’essere eccessivamente in ritardo, la direttrice mi aveva concesso
soltanto due ore, ed io, beh, me n’ero presa quattro.
Furtiva m’intrufolai all’interno della scuola, pregando
affinché la Rosencrans non mi beccasse in flagrante, se
solo si fosse accorta dell’orario, tutti i miei acquisti sarebbero finiti nella spazzatura. Fortunatamente di lei
non vi era traccia, ed io raggiunsi la mia stanza in tutta
tranquillità. Aprendo la porta, mi accorsi che per terra
giaceva un foglio di carta piegato più volte, sapevo già
di cosa si trattava, anzi, di chi si trattava. Chinandomi
lo recuperai dal pavimento e lessi con indifferenza il
messaggio in esso contenuto.
Ciao bambola,
che ne dici di divertirci insieme? Conosco un locale
dove tutto è concesso… Ti prego non dirmi di no. Lo
sai che ti sogno ogni notte.
Ivan.
Con i nervi a fior di pelle stracciai il biglietto in mille
pezzettini e lo gettai nella spazzatura, non era il primo
che ricevevo, ed ero certa che non sarebbe stato neppure l’ultimo. Un tocco alla porta fece rinsavire la mia attenzione, se solo si fosse trattato dell’autore del biglietto lo avrei preso a schiaffi. In realtà, dietro la porta a
bussare, non c’era lui, ma uno dei tanti inservienti del
Majakovskij. In mano teneva due valigie, e a giudicare
dal suo fiatone dovevano essere molto pesanti.
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- Devo sistemare questi bagagli all’interno. - M’informò continuando a respirare affannosamente.
- Ma, ah sì! Devono essere della ragazza nuova. Li posi
pure su quel letto. Astrel percorreva un lungo corridoio dal pavimento
granitico. Sulle alte mura rivestite con carta da parati,
risuonava l’eco dei passi sgraziati che la direttrice compiva due metri avanti a lei. Prima di fare una visita guidata, Astrel avrebbe preferito raggiungere la sua stanza
per concedersi una doccia rilassante, e magari riposare
qualche ora, tuttavia, scelse di non contrariare quella
biasimevole donna dagli atteggiamenti inospitali. Continuando a seguirla, Astrel udì delle voci squillanti provenire da un’aula alla sua sinistra, e quando vi passò rasente, scorse all’interno un gruppo di alunne che attardatesi in classe spettegolavano animosamente. Quando
le giovani incrociarono lo sguardo frastornato di Astrel,
interruppero le coinvolgenti ciance e la puntarono con
ingiustificato astio. Astrel accelerò il passo per sfuggire
a quegli sguardi inopportuni, d’un tratto l’ambiente che
la circondava parve acquisire vita e fissarla in modo
torvo, come fosse un corpo estraneo da annientare, perfino il ritratto dello zar Nikolaj II, appeso al muro, la
puntò aggrottando i lineamenti del viso. Qualche altro
passo rumoroso, e la Rosencrans sostò davanti a una
mastodontica porta decorata da vetri colorati. A fatica
la spinse ed entrò all’interno della biblioteca scolastica.
Astrel seguì la donna in silenzio, mentre un’interminabile fila di scaffali, s’illuminava pian piano sotto la luce
intermittente dei neon. Il lusso dominò la scena ancora
una volta. La grande sala dal perimetro circolare era ornata da preziosi materiali: legno di palissandro per gli
scaffali e i tavoli da lettura, cristalli per le vetrine che
custodivano i vari trofei e onorificenze dell’istituto.
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- Questa è la nostra biblioteca. - Esordì la direttrice,
presentando lo spazio con un ampio movimento delle
braccia, lì dentro la temperatura era decisamente più
bassa. Astrel captò l’odore della carta miscelarsi a quello del legno e in mente le tornarono i pomeriggi trascorsi a leggere l’Utopia di Thomas More alla London
Library. - Io stessa ne sono la curatrice, mi prodigo nel
reperire e catalogare i testi. Qui conserviamo i migliori
capolavori che hanno fregiato la letteratura russa: Puškin Aleksandr Sergeevič, Michail Vasil'evič Lomonosov, Tolsotj, e naturalmente molti altri, ma… sono convinta che lei non sappia neppure a cosa mi riferisco. - Il
tono della Rosencrans tracimava sprezzo. Astrel ebbe
qualche secondo d’esitazione, poi rispose.
- Beh, a dire il vero, io sono cresciuta in Inghilterra e ho
seguito un altro genere di studi. –
- Ragion per cui, la conoscenza della letteratura russa è
per lei di poco valore.- No, io non intendevo dire questo. - Spiegò la ragazza
– Ma qui è tutto diverso, mi occorrerà un po’ di tempo
prima di familiarizzare con la vostra cultura. –
- Non importa. – Sentenziò la Rosencrans, troncando la
discussione. – Il giro allo zoo è terminato, l’accompagno in camera sua. – Astrel si attardò un momento prima di uscire dalla biblioteca, chiedendosi cosa spingesse quella donna a mostrarsi irta e inospitale.
7 L’incontro
Recuperando i miei appunti dallo zaino, mi sedetti alla
scrivania cominciando a ripassare per l’interrogazione
del giorno successivo. Ebbi appena il tempo di aprire il
quaderno che qualcuno entrò in camera mia interrompendomi. Feci roteare gli occhi al cielo quando m’accorsi che la Rosencrans aveva irrotto. La sua sagoma
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bassa e sproporzionata le conferiva un unicum sul genere umano, mi bastò fissarla alcuni secondi per giungere
alla mia solita conclusione: la direttrice dell’istituto è
davvero orrenda! Molti dei miei compagni, dopo aver
visto Il Signore degli anelli, erano soliti paragonarla all’orripilante Gollum, notando come la celebre affermazione dell’hobbit “il mio tesoro” si addicesse al suo viscerale bisogno di accumulare denaro. Certa che la visita non fosse di cordialità, pensai che fosse giunta per
redarguirmi, magari qualcuno le aveva spifferato del
mio ritardo. Dietro di lei, una figura radiosa si materializzò inaspettatamente. Era una ragazza. Alta circa un
metro e ottanta, snella e dalle forme sinuose, bella
come una principessa delle fiabe! Lunghissimi capelli
neri le cadevano morbidi sulle spalle, ma la cosa che mi
colpì in particolar modo, furono i suoi occhi azzurri,
sembravano due topazi incastonati. Non fu soltanto il
colore di quegli occhi a catturarmi, ma il modo in cui
essi mi fissarono. Inspiegabilmente i miei battiti aumentarono, provai una stretta allo stomaco e per alcuni
secondi fui incapace di dire la qualsiasi. Non era la prima volta che mi capitava di vedere una bella ragazza,
ma mai prima d’ora avevo provato delle sensazioni simili. In me sentivo germogliare un nuovo sentimento:
era come se un legame arcaico e dimenticato mi unisse
a lei. E’ difficile spiegare, ma quella visione incantevole risvegliò in me qualcosa che riposava da tempo,
qualcosa, che non sapevo facesse parte di me.
- Signorina Puskovic, questa è la sua nuova compagna
di stanza, d’ora in avanti dividerete gli spazi, e guai a
voi se non sarete capaci d’accordarvi. – Io e la ragazza
ci fissammo ancora, fra i nostri sguardi correva un flusso d’intesa. – Ah, dimenticavo! – Trasalì la Rosencrans,
richiamando a sé l’attenzione della nuova studentessa. 42
Nel nostro istituto vigono regole ben severe, riguardo
alle quali, la signorina Puskovic sarà ligia nel delucidarla. Badi bene, Astrel Lawless: io pretendo il più rigido ossequio, la minima inadempienza potrebbe costarle
cara. - La ragazza annuì riverente. – Bene. Ritorno al
mio da fare e spero che la sua presenza al Majakovskij
non sia d’intralcio per nessuno. – La Rosencrans ritrasse la sua lingua da aspide zitella, e uscì dalla stanza circondata da una cupa bolla di negatività. La ragazza indugiò fissando il vuoto, frastornata come un uccellino
cascato dal nido.
- Spero di non disturbarti.- Fu la prima cosa che disse.
La sua voce melodica mi sciolse come ghiaccio al sole.
- No, nessun disturbo, sono felice di condividere la mia
stanza con te. Come ti chiami? –
- Mi chiamo Astrel, e tu? –
- Sono Svetlana, piacere. –
- Che bel nome che hai! Dalle mie parti non è molto comune. –
- Grazie. Vieni da Londra, giusto? –
- Sì. Ok, mettiti pure a tuo agio. Ieri sera ho fatto spazio in
quell’armadio, così potrai sistemarci le tue cose. - Va bene. - Astrel iniziò ad aprire le valigie e a tirare
fuori i vestiti, io mi sedetti sul mio letto a farle un po’
di compagnia.
- La nostra scuola deve essere molto famosa all’estero
se hai deciso di venirci a studiare. - Famosa? – Ripeté lei perplessa.
- Non lo so. A dire il vero, non ho scelto io di venire a
Mosca. Sono stati i miei genitori a spedirmi qui.
- Contro la tua volontà? - Dire che mi hanno buttato fuori di casa equivale a un
eufemismo. - Percepivo afflizione tra le parole di quella
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ragazza; malgrado non la conoscessi ancora, i suoi stati
d’animo si fondevano ai miei. - Quanta neve che c’è lì
fuori! – Esclamò Astrel indicando la finestra – Non so
perché, ma ho sempre immaginato Mosca come una città piena di neve. - Forse perché lo è veramente, o almeno per un lungo
periodo dell’anno. – Le risposi. Astrel lasciò che quei
batuffoli leggiadri la seducessero col loro candore.
- Per alcuni la neve è sinonimo di gelo e null’altro, io
credo che sia una gomma in mano alla natura, capace di
cancellare tutti quegli orrendi mostri di cemento, esaltando al contempo la bellezza dei monumenti e delle
foreste. - Le sue parole suonarono poetiche alle mie
orecchie, e la poesia è un dono inconsueto di questi
tempi. In un’epoca come la nostra, dove la gente si appropinqua al gregge incurante della direzione, in un’epoca tale, è quasi d’obbligo tradire il proprio io in favore di un modello preconfezionato di vita. Sono i media
a dirci chi siamo, loro stabiliscono cosa desideriamo e
cosa invece non ci piace. A volte mi domando se la volontà esista veramente, se ciò che diciamo, lo affermiamo perché ne siamo persuasi, oppure perché stiamo
eseguendo un comando involontario dettatoci dalla tv.
E’ arduo svincolarsi dalla mediocrità di un mondo senza colori, dove ogni angolo dell’anima è dipinto di grigio, e dove la preoccupazione dei verdetti altrui prevarica sull’ostentazione del proprio credo. Sono poche le
persone capaci di cogliere la sterilità del grigio, e ancora meno, quelle che possiedono la temerarietà di nuotare controcorrente deprecando le smaniose mode dei costumi. Il loro percorso è arduo e tutto in salita, e una
volta raggiunta la cima, non c’è un premio ad attenderli, nessun’onorificenza che possa gratificarli, ma soltanto l’onere d’essere etichettati come “diversi” o “devian44
ti”. Io sono una di loro. Sono una diversa che vive in
mezzo alle circospezioni della gente, che ha scelto da
sola il cammino da seguire, che non si è lasciata trascinare dalla massa informe di una società senza colori.
Astrel cominciò a esplorare la stanza con attenzione;
trovarvi tutti quei comfort la sorprese. Il Majakovskij,
poiché collegio privato, era dotato d’ogni tipo di comodità. Tutte le camere degli studenti erano fornite da
connessioni internet a banda larga, Tv satellitare, vasca
idromassaggio, e un efficiente impianto di climatizzazione.
- I tuoi genitori devono essere molto ricchi se ti fanno
studiare qui.- Disse Astrel mentre tornava al suo da
fare.
- I miei genitori? – Domandai, quasi incapace di trovare
un riscontro affettivo a quella parola. Astrel parve
contrita.
– Scusami, non volevo toccare un tasto dolente. - No, non preoccuparti. - Le risposi con un sorriso. Ecco… la mia è una storia un po’ lunga. - Spiegai con
un certo imbarazzo.
- Non sei obbligata a parlarmene se non te la senti. - No, al contrario. Mi farebbe piacere. - Con una dolcezza da me inaspettata, la ragazza si avvicinò e con discrezione prese posto sul mio letto.
– Bene, allora ti ascolto. - Mi fece uno strano effetto
sfogliare ancora il libro della vita. Non ricordavo neppure quanto tempo era trascorso dall’ultima volta che
ne avevo condiviso le pagine con qualcuno. In realtà,
ciò non era mai accaduto. Introversa come sono, ho
sempre celato la mia essenza tra i meandri della mente,
ma a volte lo spazio scarseggia. Quando tutto si accalca
in una bolgia confusa, l’unica soluzione è esternare il
tutto, traducendo i pensieri in parole, i sogni in poesie,
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le angosce in lacrime. - Sei russa, vero? – Mi chiese
Astrel mentre si sedeva.
- Sì, Sono nata a Novosibirsk. - Le risposi, inebriata dal
profumo delicato che la sua pelle emanava vicino a me.
- Da una famiglia molto povera, che tentava di sopravvivere alle scelte errate di alcuni leader politici. Ma,
non era la povertà l’unico problema… - Cos’altro? – Domandò Astrel, per liberarmi dall’esitazione.
- Loro non si amavano più! I miei genitori, intendo.
Forse a causa della gelosia cieca che mio padre nutriva
nei confronti di mia madre, non saprei dire cosa minasse l’equilibrio della loro relazione, perché ero troppo
piccola, e fra i miei ricordi annovero soltanto le urla di
quotidiane e furibonde liti. Una fredda mattina di dicembre, quando avevo appena tre anni, mia madre si è
svegliata prima del solito; In silenzio ha recuperato una
vecchia valigia, l’ha riempita di viveri e di qualche indumento rappezzato, e poi, è sparita insieme al suo colbacco e all’unico paio di scarpe invernali. - E’ andata via di casa? –
- Già. Per i primi tempi mio padre non ha fatto altro che
cercarla, si è recato perfino a Čeljabinsk, la città natale
di mia madre, ma a nulla sono valse le sue ricerche.
Ogni sforzo s’è rivelato vacuo. Fino a oggi di lei non si
sa nulla. Feci una pausa, Astrel mi osservò comprensiva, immedesimata nel mio racconto, quasi ne condividesse il ricordo.
- Dunque, sei rimasta sola con tuo padre? –
- Non proprio. Mio padre da quel momento ha perso la
testa. Ha iniziato a bere, a essere violento e aggressivo,
fino a quando, un giorno, colto da un raptus ha ucciso
un compagno di lavoro per futili motivi. - La mia voce
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si spezzò come un ramoscello, impedendomi di continuare.
Narrare di quegli anni lontani era semplice, e lo feci
con apatia e distacco, ma proseguire non fu altrettanto
facile, ora il peso dei ricordi cominciava a incombere, e
quelle vecchie ferite mai cicatrizzate dolevano inesorabili.
- E’ stato arrestato e gettato in prigione, ma la sua permanenza in cella è durata appena il tempo di ammutinarsi alle sbarre con un gesto estremo. –
- Oh, lui si è… - Astrel aveva compreso perfettamente
che fine atroce avesse spento mio padre, ma lasciò che
fossi io a proseguire.
- Si è ucciso, proprio così. Penzolava col cappio al collo
quando l’hanno rinvenuto. - Mi dispiace molto. – Disse la ragazza in tono sommesso.
- A me non è andata meglio. Ormai senza famiglia, solo
l’orfanotrofio poteva attendermi, e fu il peggiore di Novosibirsk a inghiottirmi nella sua miseria. - Astrel parve
frustrata, desiderava manifestare la solidarietà che nutriva nei miei riguardi, ma conoscendomi appena, le fu
arduo articolare le parole. Forse, quella ragazza non sapeva di possedere un dono speciale; forse, nessuno le
aveva mai fatto comprendere che i suoi occhi fulgidi
riuscivano a essere eloquenti più di mille poemi.
- Dopo cos’è avvenuto? Intendo dire, come hai fatto ad
arrivare fin qui? –
- Appena compiuti dieci anni, l’orfanotrofio che mi
ospitava è riuscito a rintracciare una parente che non
sapevo d’avere.
- Una parente? –
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- La sorella maggiore di mia madre, residente negli
U.S.A. E’ stata una grande sorpresa scoprire d’avere
una zia. - Anche scoprire d’avere una nipote è qualcosa di sorprendente, lei come ha reagito? –
- Ha deciso d’adottarmi, e in breve mi sono trasferita a
New York, nella sua residenza di Manhattan. - Hai vissuto a New York? - Domandò Astrel con enfasi. – E’ la
mia città preferita! - Continuò.
- Sì, per cinque anni, ma li rammento con mestizia.
Conducevo un tenore di vita molto elevato, diciamo che
lo conduco tutt’ora. Al mio primo giorno nella Big
Apple, mia zia mi portò a fare shopping. Insieme entrammo in un negozio, si chiamava J. Craw. Lì, mi regalò una carta di credito illimitata invitandomi ad acquistare tutto ciò che desideravo; ed io che non sapevo
neppure a cosa servisse quel tesserino plastificato. –
- Beh, adesso lo sai. – Replicò Astrel sorridendo e indicando il mio I-pod ultimo modello sul comodino.
- Eppure – Continuai, chiudendo la parentesi economica – la sua magnanima generosità non era un’espressione d’affetto nei confronti di una ragazzina sfortunata,
bensì un rimpiazzo materiale a un sentimento che non
era capace di nutrire. Diceva di volermi molto bene, era
brava con le parole, la sua retorica avrebbe persuaso anche il più ostinato degli scettici, ma con i gesti quotidiani, dai più banali a quelli importanti, si smentiva da sé.
–
- Io non capisco. – Obiettò Astrel – Se ha deciso spontaneamente d’adottarti, per quale ragione non riusciva a
essere amorevole? - Ecco, lei non poteva avere figli suoi, ciò la rendeva
frustrata e spesso cadeva in depressione. Mi ha adottato
per appagare la sua indole materna repressa, erronea48
mente ha rifuso in me ciò che si aspettava da un figlio
naturale, ma io restavo comunque sua nipote, e questa
clausola proprio non le riusciva d’accettarla. Credimi, è
umiliante sentirsi il premio di consolazione, l’acquisto
difettoso che vorresti riportare al negozio per barattarlo
con uno migliore.- Ma tu non eri un giocattolo! – Precisò Astrel con ardore, quasi quella vicenda avesse toccato una parte di
sé, delle sue esperienze pregresse.
- No, non ero un giocattolo, ma per mia zia raffiguravo
ciò che la natura le aveva precluso. Così, una volta
compiuti quindici anni, ha stabilito che dovevo tornare
in Russia, perché erano molte le cose da imparare sulla
mia terra. Diciamo pure: un brillante espediente per allontanarmi da casa. –
- Dunque, neppure tu hai scelto questa scuola di libera
iniziativa? –
- Affatto. Odio il Majakovskij dal primo giorno che ci
ho messo piede. –
- Il Majakovskij o la direttrice? – Mi domandò con l’intento di sdrammatizzare. Il suo sorriso sfavillante alleggerì la situazione, prosciugando in sé quel sottile velo
di malinconia che appannava i nostri sguardi. - Se solo
fossi stata al posto di tua zia – Esordì poi, argomentando con fare convinto – non ti avrei mai considerato un
premio consolatorio, bensì un dono prezioso. - Le sue
parole suonarono così calde alle mie orecchie, che credei il cuore mi si stesse infiammando.
8 Vita segreta al Majakovskij
Nella stanza la luce era spenta. Con la complicità del
buio i due partner si agitavano vogliosamente sfidando
i margini ridotti di un letto singolo. Liudmila era in preda agli ormoni, e rapita dal fascino estatico del suo
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partner, si concedeva a esso ansimando di piacere. Ancora una volta l’allieva del Majakovskij si strusciava la
pelle con i muscoli caldi e suadenti d’un perfetto sconosciuto, ma questa volta, ella ne rammentava il nome e
perfino il colore degli occhi. Liudmila pensò d’aver incontrato l’amante perfetto, mai nessuno prima di lui l’aveva fatta godere così a lungo e intensamente. Con ardore lo agguantò per le scapole e inarcò il capo all’indietro, sperando che quel momento non avesse mai termine. D’un tratto ai suoi ansimi di godimento si frapposero degli energici tocchi alla porta che la interruppero
sul punto migliore. Liudmila si destò tornando con il
capo in posizione corretta, con un balzo fu in piedi scaraventando il suo partner per terra.
– Oh mio Dio! – Esclamò colta dal terrore, incerta sul
da farsi. Fulminea corse ad accendere la luce e nuda
prese a girare per la sua camera ammonticchiando fra le
braccia tutti gli indumenti maschili sparsi sul tappeto. I
tocchi alla porta si fecero più insistenti. – Sto arrivando! – gridò trafelata, ghermendo il suo stallone per un
braccio e spintonandolo fino al bagno. - Entra qui. – Gli
intimò, barricandolo all’interno della stanza da bagno
insieme agli indumenti che aveva appena raccolto.
- Ehi, aspetta, ma che diavolo fai? Aprimi! – Si ribellò
lui, ormai imprigionato dalla ragazza che un momento
prima godeva avviluppata alla sua carne.
- Resta qui e sta zitto, se solo mi scoprono con te sono
nei guai! – Bisbigliò l’allieva con le labbra rasenti all’uscio. All’ingresso qualcuno continuava a infuriare
tocchi. Liudmila afferrò frettolosa una tovaglia da bagno e la usò per coprirsi, poi si accertò che in giro non
vi fossero altri indumenti maschili e spedita corse ad
aprire la porta. La segretaria della direttrice Rosencrans
apparve impettita innanzi allo sguardo disorientato del50
la giovane allieva. Una folta capigliatura rossastra le
troneggiava arruffata sul capo, il suo naso aguzzo puntellato da efelidi si perdeva nei giganti fondi di bottiglia
che era solita indossare quando lavorava. Liudmila avvertì il carico dell’occhiata inquisitoria che la donna le
scagliò contro, e preoccupata che ella sospettasse qualcosa si giustificò preventivamente.
– Salve, mi scusi se non ho aperto subito la porta, ma
come può notare ero sotto la doccia. - Al fine di rendere
la farsa più credibile, Liudmila strinse a sé la tovaglia
fingendo di sentir freddo, quasi fosse bagnata. La segretaria non diede peso a quelle parole, e col sussiego tipico del suo carattere si limitò a riferire ciò che doveva.
– La direttrice Rosencrans ha chiesto di lei, si rechi in
presidenza, subito. - Liudmila impallidì, le sue labbra
sottili presero a fremere ritmicamente “ Forse l’ha visto
entrare” suppose terrificata.
– La direttrice vu, vuole vedermi? E perché? –
- Si rechi nell’ufficio della Rosencrans invece di prolungarsi in stupidi quesiti! - Ribatté la donna parecchio
alterata. Liudmila si sforzò di essere cortese.
- Sì, mi perdoni. Indosso qualcosa e corro in presidenza. –
- Si sbrighi. – Aggiunse la segretaria mentre andava via
borbottando fra sé parole incomprensibili.
La studentessa richiuse la porta alle sue spalle e incollerita prese a scalciare contro una parete. - Odiosissima
vecchia befana! Sei riuscita a rovinarmi la serata. –
Rintronò, sferrando calci con maggiore violenza.
Sono sempre stata una ragazza introversa e riservata.
Non ero solita coinvolgere gli altri nella trama burrascosa che caratterizza la mia vita. Accanto a me, tuttavia, posava un angelo dalla tale dolcezza, che credevo
quasi mi leggesse dentro. Non abbiamo avvertito il bi51
sogno di sciogliere il ghiaccio, tra noi, il feeling è stato
immediato. Potrebbe apparire inverosimile legare emotivamente con una persona che, per quanto benevola
sia, resta pur sempre un’estranea. A volte si parla di
colpi di fulmine, infatuazioni repentine capaci d’annientare tutte le norme sociali che si frappongono alla
libertà d’esperire un rapporto interpersonale con la sola
empatia. Adesso mi sentivo leggera come una libellula,
finalmente ero riuscita ad affrancarmi dalla zavorra,
quel fardello oppressivo di ricordi e paure che incalzava
il mio spirito ovunque si recasse. Per tutto questo tempo non avevo fatto altro che sgusciare via dai miei fantasmi, chiedendo asilo alle fantasie riguardo al futuro e
ai buoni propositi per affrontare il presente. Seduta sul
mio letto, osservavo Astrel organizzarsi in un nuovo
spazio. Si muoveva in modo aggraziato ed elegante, anche i gesti più banali, se compiuti da lei, apparivano armonici come il volo delle farfalle. Quando si chinò per
sollevare una valigia, la mia attenzione cadde su un
ciondolo rosa che indossava al collo, assomigliava a un
cristallo, e luccicava a ogni leggiadro movimento che la
proprietaria compiva.
- Com’è bello quel pendente! – Commentai interessata.
Astrel condusse una mano al collo bloccando il dondolio del suo monile.
- Questo? - Chiese. - E’ un talismano, uno di quelli che
le veggenti usano per leggere il futuro o roba del genere. Mi è stato donato da una donna Rom durante un
soggiorno in Romania, solo che io non credo in questo
genere di cose. –
- A cosa non credi? - Domandai incuriosita.
- Quando la veggente me lo diede in dono, mi disse di
non separarmene mai, perché il talismano mi avrebbe
protetto da ogni male. Allora avevo solo dieci anni, e
52
ogni volta che mi arrampicavo su un albero del mio
giardino senza precipitare giù, credevo fosse opera del
talismano. –
- Devo supporre che negli ultimi tempi avrai cambiato
opinione? –
- Sì, naturalmente. –
- E, se pensi che il tuo talismano non sia capace di proteggerti, come mai lo porti ancora al collo? – Domandai, sperando che le mie parole non suonassero indiscrete. Astrel tentò di spiegarmene il motivo, sembrava
lieta di farlo, quasi attendesse da parecchio che qualcuno la sollecitasse su quell’argomento.
- Per me è una sorta di retaggio. Se lo stringo fra le dita
posso rivivere il capitolo chiuso della mia infanzia, credere ancora nelle fiabe e riscoprire la magia che i miei
disincantati occhi ormai non vedono più. –
- Dunque - mi pronunciai ora con l’intento di desumere
la mia conclusione. – tu non credi che il mondo possa
tornare magico come allora? – Astrel scosse la testa silenziosa, nel suo sguardo si rapprese un commisto di
pessimismo e di vacua speranza.
- Lo vorrei tanto, ma ho imparato che la felicità non
vive di vita propria, perciò, è futile ricercarla con tanto
ardore, dovremmo solo imparare a generarla. –
- E come potremmo farlo? – Le domandai, stregata da
tale profondità, la saggezza che palesava non si accordava alla sua giovane età.
- Beh, funziona un po’ come il calore, se vogliamo ottenerlo ci occorre una fonte d’energia, la mia felicità si
nutre solo d’amore e finché non ne troverò a sufficienza
continuerò a stringere questo talismano con amara malinconia. 9 Insidiosi stratagemmi
53
Ogni sera, alle ventuno scoccate, l’illuminazione interna della scuola si spegneva in automatico cedendo il
posto alle bluastre lampade notturne, istallate nei corridoi e nell’atrio centrale del piano terra. Tutto imbruniva
nella paziente attesa del mattino. In fondo al corridoio
est, dall’imponente ingresso della presidenza, una luce
fioca filtrava dal millimetrico interstizio fra la base della porta e il pavimento. La Rosencrans s’intratteneva
ancora nel suo ufficio, impelagata nella burocrazia delle
carte pareva aver scordato l’esistenza dell’orologio.
Con indosso un tallier blu notte dal taglio classico, l’anziana donna sedeva laboriosa dietro la scrivania, sorseggiando un wisky invecchiato quindici anni dal pregiato cristallo di un bicchiere. Il suo viso corrugato dal
tempo e incorniciato da una sfoltita chioma canuta raffigurava tutti gli anni decorsi dal suo cinquantesimo
compleanno. Liberandosi momentaneamente dagli occhiali da presbite, l’attempata direttrice si sfregò le palpebre conducendo la nuca sullo schienale della poltrona. Il suo sguardo vagante cadde su vecchie foto che
arredavano la scrivania, e come sovente avviene dinanzi al passato cartaceo, s’abbandonò con la mente in lacunosi percorsi di reminescenze. Inglese dalla nascita,
la direttrice Anne Rosencrans era cresciuta a Londra tra
le finezze di una vita agiata. Il padre, un abbiente proprietario terriero amante delle scienze umanistiche,
conduceva a Londra un ragguardevole collegio privato,
dove i figli dell’elite cittadina ricevevano l’adeguata
istruzione per debuttare in società. La madre, anche lei
dall’apollineo spirito filantropico, si dilettava con l’arpa
e il violino, insegnando musica nella scuola del marito.
In quest’ambiente erudito e alto borghese, l’allora giovane Anne vi era cresciuta, maturando presto la capaci54
tà di declinare la sua persona con i diktat del perbenismo, dei buoni costumi, e della totale ammissione dei
cliché sociali. Con la morte d’entrambi i genitori, tutti
gli averi succedettero alla figlia, unica erede. Per ragioni del tutto sconosciute, nel 1995 ella vendette la scuola
del padre alla blasonata famiglia Stanley, impiegando il
ricavato nella fondazione di un nuovo collegio con sede
a Mosca. La donna diede all’istituto il nome di: Vladimir Vladimirovič Majakovskij, per onorare la memoria
del primo poeta russo di cui aveva letto le opere, augurandosi che ciò fosse propiziatore di fausti. Fu così, che
la Rosencrans divenne la direttrice indiscussa del Majakovskij, e a decorare d’autorevolezza la sua carriera,
come i nastrini sulle divise militari, vi sono ben dieci
anni di conduzione scolastica. Rammento un periodo,
circa un anno addietro, in cui i fondi dell’istituto cominciarono a scarseggiare. Si vociferava che il Majakovskij fosse sull’orlo del collasso, “ Impossibile” smentiva perentoria la Rosencrans, se le chiedevano conferma
a quella voce “ Le classi tracimano d’allievi, e ogni
anno tutti quei ricconi infatuati dal capitalismo non fanno che inoltrare domande d’iscrizione per i loro figli.”
Su tali persuasive argomentazioni, la direttrice confutava tutti coloro che sostenevano il contrario. Ciò nondimeno, la carenza di liquidità era palese in quel periodo:
dal cibo di seconda scelta, al taglio delle spese per lo
sport e i viaggi d’istruzione, fino al licenziamento ingiustificato di alcuni docenti. Nessuno si spiegava a
cosa fosse dovuto quel repentino buco di bilancio, e
scavare nelle insidie che insabbiavano la verità risultava ostico. Gli insegnanti destituiti vociferavano che la
Rosencrans si fosse data al gioco d’azzardo, e in effetti,
non di rado la si poteva incontrare in un casinò di Mosca a intrattenere una partita di poker o semplicemente
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incantata dinanzi ai monitor luminescenti delle slot-machine. Quale che sia la realtà, in meno di un anno la situazione si ristabilì. Gli insegnanti furono riassunti, il
cibo tornò a essere quello di una volta, e tutti parvero
dimenticare la misteriosa vicenda senza porsi ulteriori
domande. Intenta a digitare caratteri sulla tastiera, la direttrice udì bussare alla porta.
- Avanti - Disse, schiarendosi la voce. Liudmila fece il
suo ingresso in presidenza dominando la scena con
spettacolosi ancheggiamenti di bacino, come se stesse
calcando una passerella d’alta moda. Mantenendo l’andatura e la rotta, raggiunse la scrivania della direttrice e
si accomodò sul pouf verde muschio con rifiniture colore oro. L’allieva ebbe attenzione di curare la postura
ed elegantemente accavallò le gambe poggiando entrambe mani sopra le ginocchia. Liudmila adorava atteggiarsi come una donna di classe, incarnare stereotipi
confezionati dal senso comune le dava maggiore fiducia per affrontare la gente. Spesso i suoi gesti artificiosi
la rendevano oggetto di ludibrio da parte degli altri allevi, ma questo era un fattore di poco conto, per Liudmila
contava soltanto una cosa nella vita: trovarsi sempre al
centro della scena. Bramava affinché gli altri la considerassero perfetta, lei meritava d’esserlo! Nell’egocentrismo esasperato Liuda vi era affondata trascinando
giù i sentimenti, a galla persisteva soltanto il marcio.
Alta appena un metro e sessanta, dalle forme arrotondate e dai comuni occhi castani, la giovane era in conflitto
col suo aspetto e con la schiettezza di tutti gli specchi.
La vita era stata così crudele appioppandole quel corpo
da anatroccolo che un cigno come lei non meritava
d’incarnare, e quanto odio fomentava dentro per tale
perfidia subita! Con fare cerimonioso, la ragazza lanciò
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alla preside uno sguardo adulatorio sperando d’aggraziarsene i propositi.
- Desiderava qualcosa da me, signorina Rosencrans? La direttrice sollevò il bicchiere di wisky poggiato sulla
scrivania, fece roteare per alcuni secondi i cubetti di
ghiaccio quasi sciolti, e poi mandò giù l’ultimo sorso
d’alcool.
- Avrei un favore da chiederle, Liudmila Borisovna.
Vorrei affidarle un compito abbastanza intrigante. Liudmila rizzò la schiena sul pouf, quasi volesse trovare una posizione consona all’annuncio.
- Dica pure, sono a sua totale disposizione. – La direttrice diede un colpo di tosse parandosi la bocca, poi si
espresse.
- Ho appena ricevuto una telefonata da Londra. Il rettore Stanley era ansioso di esprimere la sua gratitudine
nei miei riguardi per l’aver accolto quella smorfiosetta
che ci ha spedito. –
- Si riferisce alla nuova allieva? Quella che doveva arrivare dall’Inghilterra? –
- Sì, proprio lei. – La preside si dilungò in una pausa
vuota, implicitamente stava ammettendo di pensare a
come dire meglio, ma Liudmila non colse questo messaggio subliminale e fremette sul silenzio della donna.
- Insomma! – Incalzò, protraendosi in avanti col busto.
– Qual è il compito che intende assegnarmi, signorina
Rosencrans? – La donna non gradì l’impazienza della
giovane, ma temendo di vagare rinunciò a riprenderla
per giungere al dunque. Con un gesto pratico voltò lo
schermo LCD del computer verso Liudmila, e dopo
aver cliccato su un file disse
- Il mio problema, è che non possiamo permetterci di
mantenere a spese dell’istituto un’allieva che viene da
fuori, non con i gravi in bilancio che abbiamo registrato
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in quest’ultimo periodo. – La ragazza osservò il monitor. Era pieno d’iscrizioni accuratamente posizionate su
uno schema a due colonne, le quali riportavano le voci
di “dare” “avere”. Liudmila non si era mai intesa di
partite doppie e di calcoli matematici, ma pervenne
ugualmente alla conclusione a cui doveva arrivare: la
situazione economica della scuola era nuovamente in
ribasso.
-Beh? – Si pronunciò Liudmila, come a voler minimizzare - Mi pare che la soluzione sia semplice: la rispedisca a Londra. - Concluse con aria risoluta, quasi avesse
trovato la soluzione a un problema di geometria. Dall’altro capo della scrivania la direttrice tuonò con dissenso.
- Evidentemente, la parola diplomazia per lei non ha alcun valore. Il signor Stanley è un nostro benefattore, se
rimandassi indietro quella smorfiosa, rischierei di perdere il 20% delle entrate. Cosa che non ci possiamo
proprio permettere. Le farebbe piacere terminare gli
studi in un altro collegio diverso dal Majakovskij? Magari in una misera scuola pubblica, perché è questo ciò
che potrebbe accaderti, a te e ai tuoi compagni, se il
Majakovskij dovesse malauguratamente chiudere. Liudmila parve scandalizzata.
- Certo che no! Cosa propone di fare in merito? - La
Rosencrans inspirò profondamente, poi rispose.
- Di affidare nelle tue mani la situazione. –
- Cosa? –
- Non agitarti mia cara, l’incarico è più semplice di ciò
che credi. Devi semplicemente far in modo che la nuova arrivata ci saluti al più presto. - Liudmila si abbandono a una risatina nevrotica.
– E come potrei mai riuscirvi? 58
- Non è a me che devi porre tale quesito, ma al tuo ingegno. Io cerco soltanto un pretesto, una ragionevole
motivazione che mi consenta d’espellere quella ragazzetta dall’istituto senza perdere il rispetto del rettore
Stanley. Solo se la spingiamo a infrangere il regolamento, possiamo liberarcene. - Liudmila obbiettò assalita dai dubbi
- Sì, ma se non infrangesse alcuna regola? –
- Sta proprio in questo la tua mansione, devi fare in
modo che ciò avvenga. Usa la persuasione, avvaliti dell’inganno, risparmia la deontologia e vienimi in soccorso! – La ragazza annuì, inquietata e intrigata al contempo. - Reputo superfluo, Liudmila Borisovna, rammentarle che la nostra conversazione in realtà non ha mai
avuto luogo, e che la discrezione e la riservatezza dei
nostri accordi vada considerata d’irrinunciabile priorità.
- Sì, certamente. – Assicurò la ragazza - Non ne farò
menzione con nessuno, ma in cambio io… - La direttrice sbuffò rassegnata e prese a battere nervosamente le
unghie sulla plastica del tagliacarte, sapeva che per pagare il silenzio di Liudmila doveva cederle qualcosa in
cambio.
- Ricevere visite da individui esterni al Majakovskij
non le basta? – Liudmila arrossì imbarazzata, aveva
colto il senso di quelle parole.
- Io, io non ricevo visite da - tentò di giustificarsi con
voce strozzata.
- Andiamo! Sa benissimo che nulla può sfuggirmi.
Sono a conoscenza delle visite in camera sua, alquanto
notturne per essere solo di cortesia. –
- Perché allora non mi ha punito? Come fece quella volta con Julia, quando la scoprì a baciarsi con un ragazzo.
– Incalzò la giovane con un sottile tono di sfida. La Ro59
sencrans bloccò le unghie sul tagliacarte e lapidò la giovane con lo sguardo.
- Mi auspico, Liudmila, che fra noi s’instauri un rapporto di reciproca collaborazione. Io occorro dei suoi servigi, ma sia chiaro a priori: non sono disposta a barattare più del necessario. Posso chiudere un occhio sulle
sue… chiamiamole pure “Scappatelle”, in pratica l’ho
faccio già da un pezzo, ma chiedere ulteriori privilegi,
significherebbe scherzare col fuoco, e il fuoco, a volte
riscalda, altre brucia. - L’antifona apparve chiara e precisa alle orecchie dell’ancora imbarazzata studentessa.
10 Verso la sua anima
Finalmente ero riuscita a mettere a proprio agio la mia
nuova compagna di camera. Non doveva esserle semplice ambientarsi in un paese straniero, ma le difficoltà
che si possono riscontrare in quest’impresa sono esigue
se paragonate agli ostacoli tortuosi che il Majakovskij
pone d’innanzi. Sapevo già in quali sgradevoli episodi
stava per imbattersi quella ragazza dagli occhi cerulei:
canzonature perfide da parte degli studenti, malanimo
fra i volti degli insegnati, punizioni gratuite elargite
dalla Rosencrans. Quest’immane sfilza d’atteggiamenti
poco amichevoli, ruotavano intorno a un epicentro nominato “competizione”, che nei connotati meno eufemistici suona come “sopraffazione”. Al Majakovskij le
cose erano sempre andate così. Tutti contro tutti in un
belligerante clima d’antagonismo. Quali le ragioni?
Uno dei motivi principali poteva ravvisarsi nel trattamento ineguale che la Rosencrans adottava, lo stesso
trattamento, che in fondo, ci riservavano gli insegnati,
usando due metri e due misure con ogni studente. Quest’errata linea didattica, faceva sì che fra noi nascessero
rancori e invidie spesso difficili da redimere. Non erano
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solo questi i motivi delle soventi inimicizie che ci si poteva creare al Majakovskij, in genere occorreva conseguire un bel voto o vincere una gara sportiva per attirarsi contro gelosie e cattiverie. La prepotenza usata per
prevalere sugli altri, l’indifferenza totale per i sentimenti altrui, le vendette sottili e invisibili che tutti i giorni ti
colpivano, caratterizzavano una realtà a cui inevitabilmente Astrel sarebbe andata incontro. Sola e senza risorse, io non potevo far nulla per evitarle quest’impatto
crudo e scellerato, non potevo sostenerla in nessun altro
modo se non standole vicino. Probabilmente vi domanderete il motivo di tanta preoccupazione per una ragazza a me sconosciuta, e mi rincresce deludervi affermando che non possiedo alcuna risposta; non è affare di chi
viaggia sull’onda del cuore crucciarsi nell’incertezza
dei quesiti. Gli occhi d’Astrel volgevano languidi oltre i
vetri della finestra. Osservando quei fiocchi bianchi venire giù, la sua espressione divenne serafica. Di tanto in
tanto lanciava un’occhiata fugace al cellulare, forse si
aspettava che i genitori la chiamassero, che qualcuno
reclamasse sue notizie, eppure niente, da quando era arrivata a Mosca, non un solo squillo aveva contribuito a
farla sentire meno sola. Magari un giro turistico della
capitale poteva giovarle.
- Eri mai stata a Mosca prima d’ora? – Le chiesi mentre aprivo l’armadio per tirar fuori il cappotto. Astrel si
voltò verso me, poi rispose.
- L’anno scorso sono stata a San Pietroburgo per un
viaggio studio, ma a Mosca non ero mai venuta.- Ti piacerebbe visitarla? – Astrel parve interessata
-Sì, certamente. – Colta da un entusiasmo che raramente provavo, mi diressi verso la porta carica d’energia.
- Bene, allora andiamo. - La mia compagna di camera
mi fissò perplessa.
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- Cosa? Intendi dire adesso? –
- Non ti va? – Domandai comprensiva.
– Sì, ma non credo ci faranno uscire, sono le nove passate. – Sorridendo maliziosamente replicai
– E chi ha parlato di chiedere il permesso? –
- Ok, ho capito. Da dove si esce qui senza correre il rischio d’essere beccati? - Abbottonandomi il cappotto,
risposi
- Non immagini neppure quanto siano trafficate le scale
d’emergenza a quest’ora. - Svignarmela di nascosto era
diventato un gioco fin troppo facile per me, e devo ammettere, anche un pizzico intrigante. Non ero certo l’unica che violava il coprifuoco per godersi un po’ di
night life, e quella sera non sarei stata né la prima né
l’ultima. L’unico problema era costituito dal signor
Vyacheslav Lavrov. All’operoso inserviente, infatti, era
stato disposto d’aggirarsi su e giù per la scuola fino a
tarda notte, in maniera da evitare fughe notturne e qualsiasi forma di disordine. Eludere il suo occhio vigile era
un’impresa da guinness, e non so a quale ingegnoso
escamotage ricorrevano gli altri per riuscirvi. Io, tuttavia, possedevo una tecnica collaudata e infallibile. Mi
bastava comporre il numero del Majakovskij e far partire la chiamata dal mio cellulare, a quel punto il telefono
dell’istituto squillava… e il povero Vyacheslav si apprestava a rispondere con un’efficienza impeccabile.
Quando riagganciava pensando che si trattasse di uno
scherzo, io scendevo già le scale d’emergenza cantando
vittoria.
Liudmila rientrò in camera con l’espressione assorta. Il
letto era ancora in disordine, e la finestra che dava sul
giardino spalancata. Le tende svolazzavano in una danza scomposta. Liudmila corse a richiudere l’imposta
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giostrandosi fra la stoffa del tendaggio. Che gran comodità alloggiare al pianterreno!
La neve aveva smesso di cadere, ma quel silenzio surreale aleggiava ancora impalpabile. Le finestre delle
abitazioni erano offuscate dalla condensa, i lampioni
accesi per le vie deserte, illuminavano la calma piatta di
una sera moscovita. In compagnia d’Astrel percorrevo
la piccola traversa che fiancheggiava la parte laterale
del Majakovskij, immettendoci ora nella strada principale, una folata d’aria fredda ci colpì raggelandoci. Non
poteva dirsi la sera adatta per passeggiare romanticamente, ma entrambe nutrivamo il medesimo bisogno
d’evasione.
- Bene, Astrel, che meta preferisci? – Le domandai rivolgendomi a lei con un sorriso. Astrel parve riflettere.
- Beh, non saprei, la famosa Piazza Rossa è lontana da
qui? –
- Affatto, siamo a meno di un chilometro, seguimi. - I
nostri passi solcarono la neve tracciando un temporaneo
itinerario. Passeggiando tra i bagliori della sera, la sua
mano strinse la mia. Non mi aspettavo quel gesto, che
allo stesso tempo percepivo così spontaneo. Finalmente
le dita iniziarono a scongelarsi, sotto la sua presa calda
provai sollievo. Quel semplice gesto, compiuto con naturalezza, contribuì ad aumentare la nostra intesa. Mano
nella mano giungemmo a destinazione e l’immensa
area della Piazza Rossa si manifestò ai nostri occhi. Lo
spettacolo da cartolina cui stavo assistendo mi era alquanto familiare, eppure, non smetteva mai di stupirmi.
Potrei sprecare mille parole nel vacuo tentativo di narrare la bellezza di quei monumenti, nel descrivere come
le tonalità calde e purpuree contrastavano la temperatura invernale, ma credo sarebbe impresa vana. Nessuna
espressione letteraria o figura retorica che sia, potrà mai
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essere all’altezza di ciò che stavo contemplando. L’enorme perimetro della piazza era sgombero da turisti e
passanti, le finestre del Grande Cremlino e dei magazzini Gum erano illuminate a festa, mentre le magnifiche
cupole di San Basilio si erigevano fiere, irte nel cielo.
- Wow! – Esclamò Astrel meravigliata. – Quanti bei colori su quelle cupole, sembrano degli enormi gelati. –
Con sguardo vispo ammirava tutte le bellezze che il panorama le offriva, le sue pupille sfrecciavano veloci da
destra a sinistra, voraci, nel tentativo di catturare anche
i dettagli più minuti. Osservandola con incanto, mi accorsi di quanto fosse bella. I lineamenti del suo volto ricordavano lo charme misterioso delle principesse orientali, ma la sua carnagione era nivea come quella di una
valchiria. Quando il vento impazzava insolente, i suoi
lunghi capelli corvini ondeggiavano vivaci svelando la
forma dell’aria e rilasciando fragranze afrodisiache.
Con la mano premeva la sciarpa al collo per evitare che
il freddo le penetrasse all’interno, e delicatamente socchiudeva gli occhi per non farli lacrimare.
– Che ne dici se ci sediamo un po’? – Le proposi, scostando la neve da una panchina con il palmo della
mano.
- Va bene. - Pochi minuti più tardi, ci ritrovammo a ridere e scherzare come fanno le amiche di vecchia data.
- Certo che la vita è davvero strana! – Disse Astrel riflettendo ad alta voce.
– Cos’ha di strano la tua? – Astrel si fece riflessiva e
assorta replicò.
– Beh, di punto in bianco tuo padre ti dice che devi partire per la Russia, e poche ore più tardi, ti ritrovi qui,
nella piazza più celebre di Mosca - Astrel ebbe un momento d’esitazione e fugò lo sguardo altrove, quasi intimidita, poi, tornando a fissarmi, trovò l’audacia per lan64
ciarmi un’occhiata interessata - …Con te. - Non so
spiegare con esattezza ciò che provai in quel momento,
ero così preda del suo incantesimo, che tutto attorno a
me si mutò in qualcosa d’irreale, come una dimensione
parallela in cui l’incalzare del tempo si smorza per cedere il posto a una forma di presente che si dilunga all’infinito.
- Hai ragione, la vita è imprevedibile. Neanch’io avrei
potuto immaginare d’incontrarti, ma sono felice d’averti conosciuta. – Le risposi con un fil di voce. Lei continuava a fissarmi. In un'altra circostanza, timida per
come sono, avrei distolto lo sguardo imbarazzata, con
lei tutto era diverso. Non mi sentivo a disagio quando
mi guardava, non provavo inibizione nello stare seduta
cosi vicino al suo volto.
- Sei bellissima. Willard l’aveva detto che a Mosca ci
sono le ragazze più belle del mondo. - Per un attimo
credei che si trattasse solo di un sogno, un magnifico
sogno che stavo vivendo a occhi aperti, eppure, ciò che
avevo udito non poteva essere più reale.
- Anche tu sei molto bella, non mi stancherei mai d’ammirarti. – Astrel infittì la sua mano tra i miei capelli
biondi, carezzandoli come se stesse apprezzando la
morbidezza di un tessuto pregiato. Non potei che concedermi con tutta me stessa a quel tocco fatato e socchiudendo gli occhi avvicinai le labbra fino a condurle
a un palmo dalle sue. Ora potevo sentire il suo respiro
sfiorarmi l’anima e il suo sapore attrarmi come un magnete. Un brivido struggente mi percorse la schiena
quando finalmente le nostre bocche s’incontrarono. Inizialmente fu un tocco sottile, timido, delicato, poi assunse nuove sembianze, e tra un batticuore e l’altro mi
ritrovai coinvolta nel bacio più intenso e romantico della mia vita. Oggettivamente stavo baciando con ardore
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una ragazza che conoscevo da meno di tre ore, ma quella non era la prima volta che i nostri destini s’incrociavano per fondersi l'un l'altro. In realtà ciò avveniva da
sempre e per sempre sarebbe stato così. Ogni essenza
alimenta il suo esistere per riconciliarsi alla metà perduta, e se le forze raziocinanti aberrano tali impeti antesignani, sarà il cuore a far d’auriga, e il mio cuore quella
sera, mi condusse in lei.
- Sai di buono. - le dissi, riaprendo lentamente gli occhi.
- Lucida labbra alle fragole. - Davvero squisito. – Astrel fece scorrere la lingua fra
le labbra.
- Mi hai baciato per assaporarlo? –
- Mm, non solo per quello. - Tra noi era scattata una
scintilla, un trasporto folle e vibrante di passionalità.
- Non ho mai visto una ragazza così bella. – Mi sussurrò, avvolgendomi tra le sue braccia con pura dolcezza.
- Forse, perché in quest’istante non puoi specchiarti da
nessuna parte.- Possiedi uno charme particolare, Svetlana. Avrò visto
tantissime ragazze dagli occhi cerulei, ma soltanto i
tuoi possiedono le cromature di un lago ghiacciato in
uno sguardo caldo come l’estate. - La sua poesia mi
conquistò ancora. Dolce e autentica come di rado la
gente sa essere, quella ragazza mi donò nuove emozioni, sentimenti intensi e vivi, che da sempre decoravano
le pagine del mio diario come utopiche fantasie, sogni
ineffabili taciuti perfino al pensiero. Astrel si alzò dalla
panchina rabbrividita, manifestando il desiderio di far
ritorno in un luogo caldo.
– Sbaglio, o la direttrice ha detto che tu avresti dovuto
insegnarmi “ le regole vigenti nel vostro istituto” ? 66
Mettendomi in piedi anch’io, pronta a imboccare la
strada del ritorno, risposi.
– Beh, non c’è modo migliore d’apprendere una regola
se non infrangendola. - Dunque, devo trarre che baciare una ragazza sia vietato. - Vietatissimo, ma non nutro rimorsi per aver eccettuato
la regola. 11 Il primo giorno al Majakovskij
Mosca si svegliava nel candore della neve mentre tiepidi raggi solari la baciavano di luce. Il Moscova fluiva
lungo il corso del suo letto, adorno di ghiaccio e di
gelo. L’imminente arrivo della stagione invernale si celebrava tra i fumi dei comignoli. Al pianoterra del Majakovskij, allievi e docenti affollavano i corridoi con
caotica frenesia, pochi minuti ancora, e il suono della
campanella avrebbe sancito l’inizio della prima ora.
Astrel si aggirava raminga barcamenandosi tra la folla.
L’ansia da primo giorno le divorava lo stomaco a morsi. L’aula di storia doveva trovarsi oltre una di quelle
porte sulla destra, che si susseguivano contraddistinte
da lettere. Astrel sapeva che la sua prima lezione si sarebbe svolta nell’aula con la lettera G, ma la giovane
non riusciva a ricordare la corrispondente cirillica, e per
ben tre volte entrò nelle classi sbagliate beccandosi le
burle di chi la considerava un’analfabeta. Esasperata
gettò per terra lo zaino e si arrestò in mezzo al corridoio, mentre la frenesia della mattina le correva intorno
indifferente. I suoi genitori non avevano ancora reclamato sue notizie, soltanto Willard si era prodigato ad
accertarsi che stesse bene, “sii temeraria e ponderante”
le aveva detto, com’era solito raccomandarle. Ciò che
Astrel desiderava davvero in quel preciso istante era
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esplodere in un fragoroso pianto e poi correre a perdifiato fino a raggiungere le rive del suo Tamigi, ma l’unico luogo in cui riuscì ad arrivare quella mattina, fu
l’aula di cui era alla ricerca. Astrel vi entrò solcando
l’uscio con ambascia, come se stesse oltrepassando la
frontiera dello stato nemico. L’insegnante non era ancora arrivata, ma gli studenti sedevano con ordine ai propri posti. Astrel indugiò davanti all’ingresso, mille
sguardi inopportuni le piombarono addosso annichilendola. La sua presenza destò non poca perplessità.
- Ehm, buon giorno, è qui la lezione di storia? - Chiese
la ragazza, tentando di fendere un varco amichevole
nell’ostile silenzio che gli alunni opponevano. Nessuno
le diede risposta, neppure con un leggero cenno del
capo. - Cominciamo bene. – Farfugliò lei angustiata,
sedendosi sull’unico banco libero. Un brusio ovattato
si levò da ogni direzione. La ragazza cominciò a sfogliare un libro velocemente, sapeva d’essere lei l’argomento che alimentava quel parlottare confuso. Liudmila
entrò in classe esibendosi in una starnazzante chiacchierata al cellulare.
- E’ un fico da sballo! Entro domani me lo faccio, giuro. Ma come ti salta in mente? Lui non ha occhi che
per me. – Pavoneggiandosi come una cheerleader, la
studentessa desiderava suscitare invidia agli occhi delle
altre ragazze, tuttavia, la sua spavalda eloquenza si
spense in modo repentino quando s’accorse che il suo
posto era già occupato.
- Tu chi diavolo saresti? – Chiese Liudmila ponendosi
di fronte all’intrusa. Astrel sussultò sbalordita.
- Come? Dici a me? – Liudmila sogghignò in segno di
sprezzo.
- Scusa, tesoro, ma le tue chiappe non possono riposare
sulla mia sedia. – Astrel fece una smorfia sconcertata.
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- Non vedo la ragione per cui tu debba essere così ispida e sarcastica nei miei riguardi. C’è posto per entrambe in questo banco, dunque puoi sederti, o la mia presenza ti urta? – Liudmila tentennò spiazzata, non era
abituata a dibattere con persone sagaci.
- Alzati subito da lì, sgualdrina! – Schiamazzò con irreprimibile ira.
- Liudmila Borisovna! E’ questo il modo di fare? – Intervenne l’insegnante di storia, appena giunta in classe.
Nel vedere la donna accomodarsi dietro la cattedra, gli
allievi si drizzarono in piedi esibendo rispetto. - Sedetevi pure. – Le sedie scrosciarono in contemporanea. Dunque, Liuda, qual è il problema, cara? – Nella voce
dell’insegnate viaggiava un leggero tono di predilezione.
- Questa cretina ha occupato il mio posto. – Incalzò la
studentessa inviperita. La professoressa osservò l’ultima arrivata con aria di sufficienza.
- Non mi sembra di conoscerla, signorina. – Disse, continuando a ispezionarla.
- Sono arrivata solo ieri. –
- Ieri? E’ di Mosca o risiede nell’Oblast? –
- No, vengo da lontano, sono inglese. –
- Ah! La studentessa da Londra, o meglio: la raccomandata del rettore Stanley. - Commentò la professoressa,
curando le cadenze del suo tono mordace.
- Di cosa sta parlando? Io non sono una raccomandata!
- Protestò Astrel con impeto. L’insegnante finse di non
sentire e aprendo il libro alla lezione del giorno, continuò a denigrare la nuova arrivata con la classe.
- Credo che oggi incentreremo la nostra lezione su una
semplice parola, la meritocrazia. D’altronde è un termine che ricorre spesso nel nostro parlare, possiamo impiegarlo in riferimento alle cariche istituzionali, ai di69
rettori di un’azienda, e in questo specifico caso agli studenti del Majakovskij. - Quel brusio fastidioso riprese a
serpeggiare fra i banchi – A voi è concesso di seguire le
lezioni giornaliere, di alloggiare in camere confortevoli,
e di accedere agli spazi scolastici ed extrascolastici che
l’istituto dispone. Per diventare gli allievi del Majakovskij, tutti voi avete investito energie e facoltà intellettive per superare i trabocchetti di un complesso test
d’ammissione, tutti, eccetto quella ragazzina inglese,
che con anglosassone freddezza si fa beffe dei vostri sacrifici. - Una pioggia d’occhi torvi si rovesciò contro
Astrel per la seconda volta, ovunque si girasse, la ragazza scrutava soltanto visi arcigni. Il cuore cominciò a
batterle violentemente, sentimenti d’afflizione e collera
scalpitavano nella sua mente alternandosi in un caotico
tumulto.
- Se davvero vuole saperlo – inveì provata – è stato mio
padre a stipulare accordi con il rettore Stanley, lui mi
ha costretto, lui mi ha gettato in questa fossa di leoni! - Che tu sia stata costretta o meno, resti ugualmente una
privilegiata. - Sentenziò una ragazza dai capelli rossi,
seduta in fondo all’aula.
- Precisamente.- Approvò la professoressa di storia –
Non importa a nessuno come siano andate realmente le
cose, lei ha giocato sporco, signorina Astrel, e sono certa che da questo momento il suo inserimento scolastico
tracimerà d’ostacoli. - Astrel stava per replicare, ma
l’ansia provocatale dal vaticinio dell’insegnante frenò
le sue parole affogandole in un singhiozzo. Liudmila
batté la mano sul banco sollecitando ancora la sua attenzione.
– Allora, tesoro, ti alzi da sola o devo prenderti di peso
e poi sbatterti per terra come un sacco di patate?– Il turpiloquio dell’allieva, se pur banale e provocante, solle70
vò una palpitante risata che coinvolse quasi tutti i presenti. Astrel fulminò la sua avversaria con lo sguardo,
benché avesse un carattere mite e poco avvezzo all’irascibilità, la situazione in cui si trovava cominciava a
spazientirla.
– Io non mi muovo da qui. – Affermò con voce inflessibile. Liudmila ghignò arcuando le dita. Invasata dall’ira si scaraventò contro Astrel e le afferrò i capelli per
strattonarla via dal suo posto. – Lasciami andare, ho
detto lasciami! – Gridava Astrel lottando contro quella
presa poderosa. Le manacce di Liudmila sembravano
attaccate alla sua testa con la colla. I ragazzi presenti
parvero divertirsi nel vedere due compagne fare a botte
e fra urli incitanti e schiamazzi confusi, circondarono le
due combattenti per godersi meglio lo spettacolo. In
classe si stava svolgendo un vero e proprio match, e a
decretare il gong ci pensò la professoressa di storia. La
donna afferrò Liudmila dal giro vita e a fatica la trasse
via dalla sua preda, anche Astrel fu allontanata dalla
sfidante, ma riuscì ugualmente a sferrarle un energico
pugno che la colpì dritta a un occhio. Le due avversarie
furono rese inermi, e se da un lato Astrel si era placata
all’istante, dall’altro, Liudmila continuava a scalciare
nel vuoto e a urlare come un’indemoniata.
– Brutta stronza! Te la farò pagare! Te la farò pagare!
–
12 La cena del mercoledì
Il titanico orologio della biblioteca segnava le 19: 30.
Nell’ampia sala, a parte me e le interminabili file di libri, non vi era nessuno. La batteria al litio del mio Ipod si era appena prosciugata, impedendo alla soave
voce di Varvara d’allietarmi ancora. Senza la mia cantante favorita, affrontare la pedanteria delle pagine su
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cui mi stavo documentando risultava più arduo, eppure
mi adoperai con zelo per completare la ricerca sugli
Inuit. Abbandonando il resto in sottofondo, non mi accorsi che Ivan, un mio compagno di classe, era appena
entrato in biblioteca e si dirigeva spavaldo verso il tavolo in cui sedevo. I suoi passi pesanti spezzarono la
mia concentrazione, mentre lui si sedeva accavallando
le gambe, io richiudevo i libri infastidita dall’interruzione.
- Ciao bambola, stai bene? –
Nell’udire quella voce mi venne il voltastomaco. Ripensai al contenuto del bigliettino sotto la mia porta, il
“galante”mittente si trovava proprio accanto a me. Ahimè, sono già due anni che Ivan mi sbava dietro. Due
anni segnati da continue proposte, inviti hot, e apprezzamenti scurrili, che di certo non gradivo. Qualsiasi altra ragazza, al mio posto, sarebbe presto ceduta al quel
fascino latino, sciogliendosi sotto lo sguardo penetrante
dei suoi occhi neri, e vibrando nell’incandescenza dei
suoi scultorei addominali. L’avvenenza del giovane studente non passava certo inosservata, ma non era soltanto quella ad ammaliare le donne. Ivan rapiva con gli
sguardi, seduceva con i gesti, s’insinuava fra i pensieri
femminili e si trasformava nel sogno erotico più proibito, più segreto. Per me le cose andavano in un'altra maniera. Forse ero l’unica ragazza a non svenire quando
Ivan mi rivolgeva la parola, l’unica che non gli fissa il
fondoschiena incantando lo sguardo come si fa con i
ciondoli ipnotici, ma di certo, non ero la sola ad aver
compreso che l’aitante adone era anche uno spregevole
maschilista. Per Ivan le donne erano un po’ come le sigarette, da fumare prima assaporandone il gusto e da
gettare poi, spegnendole con la punta della scarpa.
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- Spiacente, Vanja, ma come vedi sono impegnata in
faccende più importanti. – Lo informai, riaprendo i libri
e inarcando la schiena verso il tavolo.
- Posso aiutarti io a completare la tua ricerca, così ti resterà del tempo da concedere al tuo fedele spasimante.
–
- Piantala, o ti lancio un libro contro! – Ivan non si
scompose è intrigato replicò col sorriso marpione.
- Beh, non ho un cattivo rapporto col dolore. –
- Che lingua devo usare per farmi comprendere da te?
Vattene e lasciami in pace, è così difficile da capire? –
Sbottai ancora, vistosamente irritata dal suo fare irrispettoso e triviale.
- Ok, non agitarti bambola, altrimenti mi ecciti di più.
Ti accontento, vado via, ma stasera, nel caso tu voglia
ripensarci, mi trovi in camera mia tutto nudo, ehm, volevo dire solo. –
- Va al diavolo! – Gli gridai esasperata, mentre lui si allontanava lanciandomi un voluttuoso bacio. Pochi minuti più tardi, la porta della biblioteca si aprì nuovamente. Sta volta mi ero proprio stufata di quell’idiota!
Rivolgendo lo sguardo in fondo alla sala, m’accorsi che
non si trattava d’Ivan, ma di una splendida ragazza
giunta da Londra appena una sera fa. Alla sua vista il
mio cuore sobbalzo rinvigorendomi, più lei si avvicinava, più la tempesta impazzava dentro me.
– Posso farti compagnia? – Disse, quasi timorosa che le
rispondessi di no.
– Certo che puoi – Il suo volto fu addolcito da un lieve
sorriso, e lieta si sedette, proprio dove Ivan aveva posato le sue disgustose natiche. Astrel indico i libri che
avevo innanzi – Se stai studiando, non vorrei disturbarti. –
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- Nessun problema- La tranquillizzai - ho appena finito.
– Alzandomi dalla sedia riportai i libri al proprio posto.
Astrel si strinse nel suo maglione bianco e mi osservò
salire la scaletta di legno per raggiungere il quinto scaffale.
– Oggi è stata una giornataccia. – considerò mestamente.
– Non è andato bene il tuo primo giorno di scuola? –
M’informai con voce faticata, mentre dall’ultimo gradino della scaletta mi tiravo sulle punte per combattere il
tipico effetto domino dei libri suggli scaffali.
- Beh, a parte l’esser stata presentata ai miei compagni
come una raccomandata scansafatiche, e tralasciando
anche che ho fatto a botte con una certa Liudmila, direi
pure: un inizio encomiabile! –
- Hai fatto a botte con Liudmila? – Le domandai con
enfasi in parte nascosta. – Oh, ti prego, dimmi che l’hai
mandata in ospedale! – Dissi, scendendo con attenzione
dalla scaletta, affinché la iettatura che avevo pronunciato non si ritorcesse contro di me. Astrel sorrise.
- Mi spiace doverti deludere, Svetlana, ma questa è la
prima volta che giungo alle mani, e anche se apparirà
retorico a dirsi, ha cominciato lei. - Non è affatto retorico se stiamo parlando di Liudmila.
Non sai quante me ne ha combinate. Ti consiglio di
starle lontana, è una carognetta prepotente. - Astrel annuì, mentre i suoi aggraziati lineamenti si tingevano di
mestizia.
- Sai una cosa? – Disse, con l’intento di confidarmi i
suoi pensieri. – Ho una gran nostalgia di casa. Mi manca Londra, e la mia amica Lara, e naturalmente Willard,
che a quest’ora starà preparando il tè.
- Non riesci proprio ad ambientarti qui? 74
- No. E’ tutto così inospitale, così algido. - Le sue parole nostalgiche riuscirono a penetrarmi in fondo, mi
coinvolsero a tal punto, che provai l’irrefrenabile bisogno di stringerla a me e rincuorarla. Percepivo quanto
Astrel desiderasse ricevere calore umano, era come se
in quel momento la sua anima mi stesse parlando “abbracciami” mi diceva “ stringimi forte e non lasciarmi
mai più, finalmente ti ho ritrovato dolce metà.”Guidata
solo dal sentimento, l’avvolsi con le braccia e chiusi gli
occhi. Com’era piacevole averla vicina, percepire il
profumo frizzante dei suoi capelli, fondersi con la fragranza leggera della cipria al talco. Avvinghiate in
quell’abbraccio, il mondo sembrò sfumarci intorno, le
nostre labbra si toccarono ancora, e tutto riprese ad esser magico esattamente come la sera precedente. Quanto avrei voluto fermare il tempo, imprigionarlo di nascosto in uno scrigno segreto, e vedere poi tutti i pendoli bloccarsi a mezz’aria. Il suono della campana scolastica infranse le mie aspettative, più trillava echeggiando per la biblioteca, più comprendevo che nulla era in
grado d’arrestare il divenire del tempo, infatti, quel gigante orologio segnava ora le otto in punto.
- Cavolo, la cena del mercoledì! – Strepitai ad alta
voce.
- Cos’è la cena del mercoledì? – Chiese Astrel incuriosita.
- Una fra le tante ridicole trovate che la Rosencrans farebbe meglio a risparmiarsi. –
- Ovvero? –
- Ovvero, ogni mercoledì sera pretende che alcuni di
noi cenino insieme a lei nel salone principale anziché in
mensa. –
- A quale scopo? –
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- Prendiamo posto in un tavolo unico, la preside indice
un argomento da dibattere, e gli altri devono argomentarlo esponendo le proprie opinioni al riguardo. E’ una
sorta di simposio. –
- Un simposio? Che spasso! Non che abbia qualcosa
contro le serate culturali, anzi. – Precisò Astrel. - ma
credo d’averne abbastanza per oggi. –
- Sta tranquilla, di rado la preside ci tedia per più di
un’ora, e poi, la tua assenza alla cena significherebbe
un tacito assenso a dissociarti dalla vita scolastica.- Mentre la mia presenza sarà interpretata come un atto
di sfrontatezza, giacché ho la fama d’infingarda privilegiata. - Vedo che inizi a conoscere la dialettica di questo collegio. –
- Già. – Si espresse con sguardo leggermente assorto. –
Però, ciò che davvero mi piacerebbe conoscere sei tu. –
- Io? – Domandai, visibilmente lusingata
- Beh, dopo quello che è accaduto ieri sera, io vorrei
tanto… - Astrel si mordeva le labbra e freneticamente
agitava le mani, era come incapace di comunicare con
me, frenata da una sorta di pudore che le avvoltolava i
fili del ragionamento. Ruppi il suo imbarazzo con un
semplice sguardo, nell’universo degli occhi niente era
impossibile da esprimere.
- Anche a me piacerebbe conoscerti meglio, e sono
pronta a seguire qualsiasi sviluppo maturerà la nostra
nuova amicizia. –
Il salone principale del Majakovskij rappresenta l’angolo pregiato dell’istituto. La Rosencrans l’aveva ammobiliato seguendo il gusto dello stile vittoriano, curandone i dettagli più minuti. Al centro della sala, sopra un
tappeto intrecciato a mano proveniente da Marrakech,
dominava l’arredamento un massiccio tavolo di forma
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ovoidale in legno d’acero. Nella parte ovest della sala,
un salottino in velluto rosso cocciniglia circondava il
grande caminetto di travertino. A rendere l’ambiente intimo e raccolto, contribuivano le sfumature giallo ocra
sulla carta da parati, finemente abbinate al bordeaux del
tendaggio. L’anziana direttrice amava l’eleganza classicheggiante di quel luogo, per tale ragione ne preservava
la compattezza limitandone l’accesso. Nell’arco settimanale che precedeva il mercoledì, il salone restava un
luogo solitario e immerso nel silenzio. Solo alla polvere
che si depositava sui cimeli era consentito l’accesso. Il
mercoledì sera lo scenario si rivoluzionava. Le voci dei
ragazzi, il via vai dei camerieri che facevano scrosciare
le stoviglie sui carrelli portavivande, lo scoppiettio dei
ciocchi dentro il camino e il profumo delle pietanze che
imprimevano le stoffe dei tendaggi, tutto brulicava di
vita. Liudmila sedeva composta al tavolo, stando ben
attenta che i suoi gomiti non si poggiassero per sbaglio
sulla tovaglia di fiandra. Paziente attendeva che il resto
dei commensali prendessero posto. Alla cena del mercoledì lei giungeva sempre con mezz’ora d’anticipo rispetto all’orario previsto, in modo da esternare alla direttrice il suo spiccato interesse per l’appuntamento settimanale. In realtà la studentessa odiava dover consumare una cena in compagnia della Rosencrans, stava
male alla sola idea di vederla masticare a bocca aperta
con la protesi dentaria che di tanto in tanto veniva giù.
Malgrado l’abominevole spettacolo cui sapeva andare
incontro, Liudmila sedeva sempre accanto all’anziana
donna, approfittando del fatto che nessuno volesse farlo. Per ingannare l’attesa, la giovane estrasse il cellulare
dalla tasca e cominciò a messaggiare con un ragazzo da
poco conosciuto.
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- ci vediamo in camera mia alle 22: 00, entra dalla finestra, è aperta. Era questo ciò che aveva scritto nel suo sms. La campana della scuola emise un altro trillo, stava a indicare che
i “prescelti” per la cena dovevano affrettarsi a raggiungere il salone principale, prender posto e dare una lettura veloce ai depliant che esponevano il tema della serata. Liudmila distese accuratamente il tovagliolo sulle
gambe, e avvicinandosi con la sedia al tavolo si mise
alla ricerca di una vittima, qualcuno da irridere per
semplice diletto. Di solito puntava il mirino contro le
ragazze del primo anno, in particolare quelle timide e
diligenti, loro non erano capaci di risponderle per le
rime, e ciò le facilitava il gioco. Liudmila adorava farsi
beffe delle altre persone, prenderle in giro e ridere di
loro. Era una pulsione che doveva soddisfare a tutti costi, una sorta di droga senza la quale andava in astinenza. Solo enfatizzando i difetti altrui, lei riusciva a placare quell’insanabile complesso d’inferiorità che tanto la
tormentava. Quando mi vide attraversare il salone insieme ad Astrel, sobbalzò sulla sedia facendosi infima, la
sua preda ideale era appena giunta, e di certo la litigiosa
studentessa non l’avrebbe lasciata scappare, non dopo
ciò che era accaduto durante l’ora di storia. Nel momento in cui le passammo vicino, notai il suo occhio tumefatto. Liudmila tentava di occultarlo dipanando alcuni ciuffi sulla fronte, ma bastava un movimento del
capo affinché le tornasse in risalto. “ Quel cerchio violaceo dovrebbe servirle da lezione.” Pensai.
- Eccola arrivata, la nostra cara compagna inglese. –
Esordì Liudmila magnetizzando l’attenzione dei presenti. Astrel non replicò e indifferente si sedette al mio
fianco. - Che c’è, hai paura di prender posto vicino a
me?- Continuò lei, divampando rivalsa - Temi che ti
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possa tornare il colpo che m’ hai inflitto all’occhio? –
Astrel la snobbò ancora, disattendendo le sue puerili
istigazioni. - Tanto meglio. Detesto mischiarmi con le
puttanelle anglosassoni. – Gli occhi dei presenti gravarono sbigottiti su Liudmila, ma la studentessa non provò la benché minima soggezione. Un quartetto di ragazze, che ciarlava fittamente innanzi al camino, esplose in
un fragoroso sghignazzo. Una fiamma impetuosa si accese in me cominciando a scorrermi nelle vene, raramente quella sciocca riusciva a farmi perdere la calma,
ma questa volta era diverso. Non potevo lasciare che la
mia amica venisse umiliata in quel modo, non sopportavo l’idea di vederla soffrire per degli improperi così pesanti ma allo stesso tempo così infondati. Sentendo il
furore aumentarmi dentro, diedi a quella vipera la risposta che si meritava.
- Stasera a chi tocca, Liuda? Chi oltrepasserà il davanzale della tua finestra? Bada bene al tuo privato prima
d’apostrofare gli altri. - Una risata palpitante, come
quelle che fanno da sottofondo ai film comici, si levò
fra i ragazzi mettendo Liudmila in serio disagio. Al Majakovskij la privacy non era di casa, persino i soffitti
avevano orecchie e bocca.
- Questa me la paghi Svetlana! Hai capito? – Infuriò lei
agitando una forchetta tra le mani. La situazione sarebbe degenerata ulteriormente, se la direttrice non fosse
giunta a ristabilire l’ordine con un semplice, ma terrifico, schiarimento della voce. Da tempo avevo imparato
a tutelarmi dalle scabrezze del mondo e dalla spregiudicata malevolenza di persone come Liudmila. Mi ero già
trovata in situazioni analoghe a quella, e con magistrale
indifferenza fingevo che nulla mi potesse scalfire. Agli
altri ostentavo un’armatura corazzata capace di resistere
a qualunque attacco, in realtà vivevo ogni singola catti79
veria come il colpo letale di un dardo avvelenato. Ricordo ancora il mio primo giorno al Majakovskij. Era
un martedì di settembre, quando insieme a due ragazzi,
facevo il mio ingresso nella famigerata scuola. Nessuno
di noi ricevette una calorosa accoglienza da parte della
Rosencrans, ma io fui l’unica che per sei lunghi mesi
alloggiò in una scomoda stanza di servizio, con l’acqua
calda a giorni alterni, e scarna di qualsiasi altro comfort. Quali le ragioni di un’ ammenda così severa? Mia
zia aveva pagato con ritardo la prima mensilità. Un ritardo irrisorio, appena due giorni, eppure, alla direttrice
parve un pretesto sufficiente per impartirmi una lezione
esemplare. Una volta la settimana ricevevo una telefonata da New York. M’infastidiva alzare il ricevitore e
udire la voce fredda e meccanica di mia zia, perfino i risponditori automatici dei gestori telefonici riuscivano a
simulare un tono di cortesia più coinvolgente del suo.
– Fammi tornare a New York! Ti prego, zia, non mi
trovo bene qui, quella donna mi odia e io non so cosa
fare. - Mille volte avevo pronunciato queste parole fra
le lacrime, ma dall’altro capo udivo soltanto la linea cadere improvvisamente. Passavo intere notti a riempire il
diario di quesiti: perché la gente che mi sta intorno calpesta i miei sentimenti come fossero erbacce secche?
Perché gli altri possono decidere della mia vita e gestirla a loro piacimento? Se la libertà esiste, se non è soltanto un’utopia che alimenta ideali, allora perché a me
non è concesso di possederne almeno una parte? Non
sono ancora riuscita a risolvere i miei quesiti, la logica
contorta della vita non è facile da comprendere, eppure,
io una cosa l’avevo capita: mi trovavo in gabbia. Una
gabbia lussuosa dalle barre dorate, ma pur sempre barre, sarei mai riuscita a trovare le chiavi e valicare il
confine della mia prigionia? Trascorsa un’interminabile
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e pedante ora, la direttrice decretò la fine del dibattito,
la cena del mercoledì era ufficialmente conclusa. Solitamente, la Rosencrans sfoderava argomenti d’attualità
come temi della serata, e spesso ci interrogavamo sui
trend di sviluppo del nostro paese, o sui pericoli insiti
nell’immissione di gas serra nell’aria. Dibattiti d’alto
interesse sociale, questo era indubbio, e probabilmente,
ognuno di noi avrebbe avuto maggiore propensione nell’argomentarli, se la regola imprescindibile non fosse
stata: esprimi il tuo parere soltanto se è conforme a
quello della Rosencrans. Come di consueto, la direttrice
non si sarebbe accomiatata da tavola se prima non avesse espresso il suo malcontento alla cuoca, tacciandola
d’aver aggiunto troppo sale alla stessa pietanza che il
mercoledì precedente lamentava esser scipita.
Celata fra i muri della sua camera, Liudmila indossava
la nuova lingeria di seta. In precario equilibrio su un
tacco vertiginoso, la studentessa si atteggiava in pose
sexy e provocanti davanti allo specchio. - Tu sei una
donna fatale, nessuno può resisterti. - diceva sensualmente a quel riflesso seminudo e un po’ tondeggiante.
L’orologio indicava le nove e quaranta, a breve il suo
voglioso partner avrebbe scavalcato la finestra per strusciarsi nel letto assieme a lei, e al solo pensiero Liuda
avvertiva dei piacevoli fremiti scuoterle l’intimo. Ma
quella che si apprestava a divenire una serata rovente e
goduriosa, si trasformò presto in uno smacco. Proprio
come avvenuto la sera precedente, degli insistenti tocchi alla porta interruppero Liudmila quando era molto,
molto impegnata a intrattenere il suo ospite.
Le nostre mani si cercarono vicendevolmente, insieme
si legarono in un delicato contatto, lasciando fluire il
carico emozionale che vibrava come uno spirito danzante. I miei passi e i suoi battevano il pavimento all’u81
nisono, mentre spedite attraversavamo il corridoio per
tornare in camera. La porta dell’aula di scienze era
aperta, e nel momento in cui Astrel ed io vi passammo
rasenti, lei si fermò di colpo perché conquistata da una
mappa stellare appesa al muro. Svelta entrò in aula invitandomi a seguirla. In classe non c’era nessuno, dato
l’ orario, e ogni nostro spostamento produceva un tenue
riverbero che riecheggiava fra i muri. La luce bianca
dei lampioni sul cortile s’infiltrava attraverso le finestre. - Scommetto che v’insegnano a distillare la vodka.
– Scherzò Astrel, indicando un alambicco. - Quante
cose interessanti qui dentro! -Disse, mentre gli oggetti
presenti facevano a gara per stimolare la sua attenzione.
Osservò distrattamente la tavola periodica di Mendeleev raffigurata col gesso sulla lavagna d’ardesia. Poi
s’intrattenne d’innanzi una teca che preservava riproduzioni d’antichi strumenti. Con entrambe le mani lambì
il cristallo della vetrina e con il volto si avvicinò tanto
da lasciarvi l’alone. Era come se desiderasse trapassare
il vetro e ghermire quel vecchio astrolabio per macchinarlo con giocoso spirito, forse si sarebbe accontentata
della piccola meridiana o del termometro galileiano,
pur di manovrarne uno. Infine, puntò gli occhi su ciò
che dall’inizio l’aveva conquistata più del resto, una gigantografia delle ottantotto costellazioni ufficiali.
- Wow! – Esclamò - Guarda com’è bella la Corona boreale! E che mi dici di Pegaso, o della Chioma di Berenice? Con l’aiuto di una fervida fantasia, i popoli della
terra sono riusciti a disegnare sul firmamento. Dall’emisfero boreale a quello australe, si sono sbizzarriti nell’unire puntini luccicanti dando vita alle figure più inedite. Sono in pochi a conoscere la costellazione dell’Orologio o della Macchina pneumatica. –
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- A cos’è dovuta questa passione per gli astri? – Le domandai, curiosa di saperne al riguardo. Astrel mi osservò sorridendo, aveva l’espressione classica di chi sogna
a occhi aperti.
- Hai mai provato a sdraiarti su un prato verde in una
notte d’estate? - Sì, mi è capitato. – Le risposi, immaginando il profumo di rugiada e le carezze dei fili d’erba sulle braccia.
- Allora puoi comprendermi. Ti sarai interrogata anche
tu sui misteri imperscrutabili del cosmo. C’ è un solo
universo? Se sì, all’interno di cosa si estende? Ma, soprattutto: noi siamo gli unici ad abitarlo? –
- Oh, quanto vorrei poterti rispondere! Forse è inutile
porsi delle domande così inarrivabili, sarebbe saggio rinunciare e ammettere i propri limiti ma, credo che un
uomo smetterebbe d’ essere tale se lo facesse. - Astrel
annuì, poggiando una mano sulla cartina. - E’ piacevole
discutere con te. – Commentò, mostrando apprezzamento nei miei riguardi. – Se anche gli altri adolescenti
usassero la tua dialettica forse, avrei più amici. – Il suo
commento mi stupì piacevolmente, di rado la gente sapeva apprezzare le mie riflessioni e coglierne lo spunto
per disquisire con sagacia, il più delle volte si meravigliavano che persino una ragazza bionda con le gambe
in mostra disponesse di un organo celebrale.
- Io cerco soltanto d’ esprimere i miei pensieri, tento di
ricavare un significato a ciò che risulta d’arduo discernimento. - Replicai con modestia.
- Capisco. –
- Se può interessarti - Continuai, attratta dall’idea che
mi balenava in mente. – All’ultimo piano dell’istituto
c’è un piccolo osservatorio astronomico. Non aspettarti
la stazione di Mauna Kea, però, ci sono due telescopi
che arrivano ben oltre i nostri nudi occhi. –
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- Fantastico! Andiamo a spiare i pianeti. – Accettò lei,
entusiasmata dalla mia proposta.
L’ufficio della Rosencrans giaceva al buio. Il ticchettio
ritmico dell’orologio a pendolo intervallava il silenzio
dando voce ai secondi con cadenze regolari. Dalla finestra filtrava una debole luce che illuminava parzialmente la poltrona su cui la preside tentava di riposare. Un
inedito bisogno di raccoglimento l’aveva spinta a celarsi fra le mura del suo ufficio, ma il tentativo d’isolarsi
dal resto veniva puntualmente invalidato da qualsiasi
brusio o scroscio proveniente dall’esterno. La donna sedeva con lo sguardo perso al vuoto e l’espressione abulica, quasi in trance. Nella sua mente rimuginava la solita ossessione. Quel vizio insanabile che voracemente
si nutriva del suo patrimonio prosciugandone ogni riserva. La donna si massaggiò il collo attraverso un movimento breve e rapido della mano, gravando la pelle
vizza della nuca di tutta la sua ansietà. Poi condusse entrambe le mani alle tempie e socchiudendo gli occhi
massaggiò anche quelle. “ Devo porre fine a tutto ciò.
Io devo riuscirci. Da domani, non un solo rublo finirà
perduto al gioco.” Quante volte se l’era ripromesso?
Ma i suoi nobili propositi si frammentavano come cristalli innanzi a una partita di black-jack o a un’invitante
roulette. Tentando di scacciare i tormenti, la preside decise di trascorrere qualche ora al PC per completare un
po’ di lavoro arretrato. Dal corridoio provenivano passi
incalzanti che si udivano sempre più acuti, fino a quando, la direttrice non vide la porta del suo ufficio spalancarsi e Liudmila entrare con gran foga. La giovane allieva s’accorse che La luce era spenta, in mezzo al buio
intravide la faccia rugosa della Rosencrans, che illuminata dal monitor, appariva biancastra come quella di
uno spettro. La voglia d’insultare quella vecchia zitella
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ribolliva in lei come la lava di un vulcano. Ancora una
volta la preside era riuscita a rovinarle la festa sul più
bello, ma adesso la studentessa si trovava al suo cospetto, e se pur con l’espressione imbronciata e i vestiti
stropicciati, doveva fingersi cortese e riverente. La donna accese la luce ed esaminò l’allieva con espressione
coriacea.
– Ho interrotto qualcosa, Liudmila Borisovna? So che
non è buona norma assentarsi quando qualcuno ci viene
a trovare, tuttavia, mi urge conferire con lei; temo dunque che il suo ospite dovrà pazientare.- Liudmila strinse
i pugni con veemenza, dalla rabbia stava quasi per conficcarsi le unghie dentro la carne.
- Non c’è problema signorina Rosencrans, io sono sempre a sua completa disposizione. – Rispose, tradendo la
sua affermazione con una smorfia adirata e risentita.
- Mi compiaccio. – Affermò la donna, modellando un
sorriso ipocrita. - Desidero sapere se sta svolgendo quel
piccolo favore che le ho commissionato. - Liudmila trasalì in preda al panico. Spiazzata, realizzò di non possedere un piano preciso e ben delineato da esporre, così
assunse un atteggiamento difensivo.
- Ecco, come posso spiegare? Per questo genere di cose
occorre del tempo, ed è passato appena un giorno, di
conseguenza io… - Quando la direttrice udì pronunciare la parola “tempo”, balzò in piedi battendo energicamente la mano sulla scrivania.
- Santo cielo, Liudmila! - Proruppe alzando il tono della voce. - Se c’è una cosa di cui non disponiamo, quella
è il tempo. - Lo so, lo so. Comprendo perfettamente la delicatezza
della situazione ma, quella ragazza è qui d’appena un
giorno. Con tutto il dovuto rispetto, signorina Rosencrans, io non sono capace di operare miracoli. – Liud85
mila espirò ritrattando la sua posizione. – Ad ogni
modo, se mi concede soltanto una settimana, potrei riuscire a… - Non se ne parla proprio – Troncò la preside perentoria. – Domani stesso farai in modo che l’intera scuola la
creda una ladra, a te la strategia. - Una ladra! – Esclamò Liudmila perplessa. – Come
posso? – La Rosencrans tornò al suo da fare fingendo
che Liudmila fosse già andata via, e taciturna cominciò
a sfogliare alcuni documenti contenuti in una cartellina.
- Va bene, ci proverò. – Decretò la studentessa dopo
aver riflettuto in silenzio. – Ehm, se dovessi fallire? –
aggiunse impensierita. La direttrice continuava a lavorare assorta, l’eloquenza del suo silenzio non poteva
travisarsi. Liudmila smise d’intrattenersi e si diresse
verso l’uscita, solo allora la direttrice alzò lo sguardo e
concluse dicendo
– Sarebbe davvero un peccato istallare delle grate su
tutte le finestre del piano terra, non trova anche lei? 13 Due corpi un’essenza
La luna nuova svelava le stelle agli spettatori terrestri,
anche le più timide scintillavano attraverso milioni
d’anni luce. Insieme ad Astrel salivo la scala che mi
avrebbe condotta all’ultimo piano del Majakovskij,
dove grazie ai proventi del signor Stanley, la Rosencrans aveva allestito un piccolo osservatorio per le lezioni d’ astronomia. Giunte sull’attico ci intrufolammo
guardinghe all’interno dell’osservatorio, non era concesso recarvisi senza un insegnante al seguito, ma il signor Vyacheslav soffriva spesso di sbadataggine e scordava di serrare l’ingresso. Una cupola con struttura a
spicchi, in lamiera zincata. sovrastava il basamento circolare della stanza, e grazie al portellone mobile, da me
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appena aperto, era possibile scrutare una parte di cielo.
Astrel mosse qualche passo curioso calpestando il pavimento circolare, rivestito da un materiale ignifugo di
colore bianco. Al centro della stanza, un telescopio con
montatura altazimutale non poté che lasciarsi ammirare
dagli occhi sedotti della mia amica, ma quando ella si
mosse per raggiungerlo fui costretta a bloccarla.
- Aspetta, Astrel! – Astrel si arrestò al mio comando –
Guarda lì. – Le dissi, indicandole con la punta del dito
una piccola spia rossa che lampeggiava sulla scrivania,
all’interno di un dispositivo posto tra il PC e un oculare
ortoscopico a sei lenti. - L’allarme è attivo. –
- Accidenti! – Esclamò lei delusa, ma non troppo.
- Oh Astrel, sono desolata! L’allarme si può disattivare
solo dalla presidenza, e quella strega sarà lì adesso. Lei
sorrise puntando gli occhi al tetto.
- L’idea di spiare il cielo alla scoperta dei suoi misteri
arcaici mi allettava parecchio, ma questa sera le stelle si
vedono benissimo anche ad occhio nudo. - Sì, ma non è la stessa cosa. – Replicai sconfitta. Astrel
si avvicinò a me e con un gesto delicato mi cinse la
vita.
- Io credo sia molto romantico stare qui, non trovi anche tu? - Sole in quel luogo buio, al riparo da sguardi
indiscreti e intransigenti, la situazione non poteva che
evolversi in un solo modo. Entrambe desideravamo la
stessa cosa, lo volevamo intensamente. Mi colpì molto
la naturalezza e la spontaneità con cui avvenne il tutto.
Non ci fu alcuna esitazione nei nostri gesti, nessuna
vergogna né senso del pudore, solo la complicità di due
persone fatalmente attratte. Stringendoci, cominciammo
a sfiorarci in zone proibite. Lentamente prima, con discrezione e delicatezza, poi con maggiore passionalità.
Le sue mani tiepide viaggiavano pioniere sul mio ven87
tre. Sapevo dov’erano dirette, sapevo quando si sarebbero fermate, e desideravo soltanto che giungessero a
destinazione. Erano sensazioni così nuove per me, così
insolite. Trasportata com’ero in un'altra dimensione,
nella mia mente non c’era spazio che per quel momento, il nostro momento. I vestiti sparirono presto dalla
scena, cedendo il posto a un contatto intenso. Mi persi
in lei così come fa la falena quando vede la luce, ci gira
intorno e poi… si fonde nel suo bagliore. Sdraiate ora
sul pavimento gelido, sentivo il suo cuore battere forte,
la sua pelle soffice strofinarsi con la mia, e finalmente,
lei in me nel profondo. Per un interminabile istante provammo un’estasi divina. Adesso la passione aveva ceduto il posto alla tenerezza, la sensualità alla dolcezza, i
sospiri intensi a quelli lievi e sussurrati. I nostri corpi
nudi, che abbracciati si regalavano carezze sottili e nascoste, di certo apparirebbero uno spettacolo triviale e
sgradito ai benpensanti del borgo. Perversione, è la prima parola che userebbero nel descriverci, degrado e devianza sociale, direbbero anche. A volte mi chiedo perché, perché proprio l’uomo, unico essere del regno animale dotato di razionalità, finisca sempre per comportarsi come il più stolto! D’altronde, chi non reputa l’amore un sentimento libero e privo di confini? Ciò significa che esso va vissuto in totale trasporto e naturalezza,
altrimenti, si rischierebbe di perderne lo spirito magico
che lo caratterizza. Eppure, a dispetto di questo lampante assioma e della sua incontrovertibilità, in ogni cultura è già stabilito a priori come l’amore debba svolgersi.
Si può stare insieme solo se eterosessuali, molto meglio
da sposati, all’interno del matrimonio si sa, quella scurrilità che si pronuncia “sesso” trova una collocazione
funzionale. Non si può amare una persona che abbia il
colore della pelle diverso dal proprio, e nemmeno chi
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crede in un altro Dio, è vietato pure amarsi, se vi è differenza d’età o di ceto sociale. Ci sono modi “giusti”
d’amare, modi “permessi”, modi “normali”. Siete davvero convinti di tutto ciò? Pensate che il terreno ideale
per coltivare l’amore sia una società bigotta e intollerante? Quella stessa società che chiude occhi e cuore di
fronte a guerre e sofferenze, e si lascia invece scandalizzare da due uomini che vanno in giro mano nella
mano? Io ho scelto un luogo differente per allevare il
mio sentimento, una terra vergine e prospera che porta
il nome di libertà. E non importa se il dazio da pagare è
l’intolleranza della gente, i loro giudizi razziali, e la discriminazione. Nel mio cuore pulsa comunque la gioia,
alimentata dalla tenacia che mi ha spinto a travalicare il
confine.
Il pavimento freddo cominciò a sortire i suoi effetti,
forse era giunto il momento di alzarci e recuperare i vestiti sparsi qua e la intorno a noi. A volte la sera, prima
d’addormentarmi, socchiudevo gli occhi per fantasticare sulla mia prima volta. L’immaginazione riusciva a
condurmi in ogni luogo: letti soffici, vasche idromassaggio, spiagge esotiche o romantici chalet. Devo ammettere che un osservatorio astronomico ha un po’ deluso le mie aspettative, ma in cambio ho avuto lei.
- Da oggi il mondo è più bello. – Le dissi, mentre la
guardavo rivestirsi. Gli occhi d’Astrel sbucarono dal
pull-over che stava indossando, vogliosi di ritrovare i
miei.
- Anche per me. – Rispose verace. Mettendomi in piedi
le porsi una mano per alzarsi.
- Ti conosco da poco tempo, Astrel, ma ti reputo una
ragazza speciale. - Speciale? – Ripetè lusingata.
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- Proprio così. Sei dolce, affabile, aperta, e poi, nessuno
più di te riesce a comprendermi con uno sguardo. – Lei
annuì serafica, arrossendo appena. - Correggimi se mi
sbaglio. – Continuai, stringendo la sua mano tra le mie
- Ma penso ci sia qualcosa in te, qualcosa che non ti
consenta di viver serena come un adolescente dovrebbe.
- Esatto. E’ proprio così. – Si meravigliò lei, quasi convinta che possedessi un’arte divinatoria, e per un momento mi fece sentire un’indovina al cospetto della sua
palla di vetro. - Ora sei stata tu a capirmi con uno
sguardo, mi hai letto l’anima. E pensare che quello stupido freudiano del mio analista non c’era mai riuscito! - Per certe cose non occorre la psicanalisi. Cos’è che
non va? - Astrel chiuse gli occhi per un momento, una
lacrima calda e veloce le rigò il volto.
- Sono tante le cose che non vanno, Svetlana, ma… il
problema maggiore è costituito dai miei genitori. Loro
non vogliono accettarmi per quella che sono. - Ti riferisci al fatto - Astrel annuì ancor prima che formulassi la mia domanda.
– Sì, esatto. Credo ti sarai accorta che i ragazzi non
m’interessano più di tanto. – Con un sorriso le carezzai
il viso prosciugandole il segno umido della lacrima.
– E allora? Pensi che questo legittimi i tuoi a rovinarti
la vita? A emarginarti o farti sentire inferiore? Sai qual
è l’unica differenza tra le persone come noi e gli altri? –
Astrel lasciò rispondere me. – Che noi siamo una minoranza, un universo inesplorato, e la gente ha sempre temuto ciò che non conosce. –
- Convengo col tuo pensiero, Svetlana, ma ciò non li
autorizza a fomentare disprezzo nei nostri riguardi.
Nessuno ha il diritto di annoverarci tra i rifiuti della società. Eppure il mondo ci riserva lo stesso livore che
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spetterebbe a un delinquente, per non citare l’opprimente senso di colpa che in base al parere di certi religiosi
dovremmo provare.
- Senso di colpa! - Replicai sbottando – Così dovremmo essere noi a martoriarci per colpe inesistenti? E certi capi di stato? Uomini panciuti dall’aria malandrina,
che allegramente discutono sotto cappelle dorate e si
beffano delle conseguenze che le loro scelte comportano. - Entrambe sospirammo in segno d’impotenza, due
ragazze che nutrivano il medesimo dispregio per le
brutture del mondo, non costituivano certo la condizione necessaria per sovvertirne i connotati.
14 Ladra
Mille schizzi zampillavano dalla piscina bagnando il
pavimento circostante e rendendolo lucido. Il sole filtrava dalle ampie vetrate che sovrastavano la piscina e
colpendo l’acqua rifrangeva dinamici riflessi sul tetto di
legno. Nella parte bassa della piscina, Astrel eseguiva
gli esercizi d’acquagym insieme ai suoi compagni di
classe. L’aria riscaldata sapeva di cloro e Astrel sentiva
già gli occhi bruciare intorno alla cornea. Dal bordo vasca, la Čechov coordinava i movimenti a suono di fischietto, sollecitando gli allievi a prestare maggiore impegno.
- Voglio vedere quelle ginocchia schizzare fuori, coraggio! – Ripeteva, alternando gli schiocchi delle dita al fischietto. - Siete lenti! Lenti ragazzini, flosci come cefalopodi. – Nascosto dietro un’apparente partecipazione,
lo sguardo d’Astrel era assente, completamente altrove.
Il suo risveglio quel giorno era stato un po’ turbolento.
Aveva aperto gli occhi di botto, disturbata dal suono
della sveglia che non smetteva di trillare, e si era tirata
su dal letto credendo per un momento di trovarsi a Lon91
dra. Quando comprese d’essere ancora li, a tre fusi orari
da casa, tornò a sdraiarsi affondando la guancia sul cuscino. – Che ci faccio qui? – Bisbigliò mentre si raggomitolava fra le lenzuola. – Voglio andarmene via. – Il
suo cuore sobbalzò improvvisamente, quasi le stesse
parlando, quasi volesse ricordarle che andare via adesso, avrebbe comportato la perdita di qualcosa, o meglio,
di qualcuno.
Intrufolandosi furtiva nello spogliatoio femminile,
Liudmila si accertò d’essere completamente sola. Fece
un giro veloce delle docce, le tendine erano aperte e
dentro non c’era nessuno, anche i bagni erano liberi. Da
lontano provenivano i fischi della Čhecov e il rumore
classico di una massa d’acqua in movimento. La giovane studentessa comprese di poter agire liberamente, ma
doveva fare in fretta. Di fronte a lei, una panchina colorata era colma di zaini e borsoni, insieme a felpe e scarpe da ginnastica gettate a casaccio sul pavimento con i
lacci che serpeggiavano ovunque. Liudmila indugiò
qualche istante, poi si decise. Con una mossa felina si
avvicinò alla panchina, sollevò uno zaino, e solo dopo
aver letto il nome del proprietario riportato sulla targhetta, v’introdusse quell’oggetto di sparute dimensioni
che stringeva in mano già da un pezzo. Accertandosi
d’averlo nascosto per bene dentro una tasca interna, ripose lo zaino al proprio posto. – Missione compiuta! –
Esclamò a bassa voce. – Non vedo l’ora di mettere in
atto il piano B. – A quel punto, tornò in classe a seguire
la lezione e a fingere che nulla fosse.
Io e te.
Soltanto noi negli abissi segreti dell’amore.
Un sentimento ci unisce
e la nostra pelle si sfiora.
Il tuo cuore danza con il mio
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e le nostre anime si fondono.
Ora posso sentirti in me e averti.
Finalmente siamo essenza.
- Forse dovrei cambiare il finale o aggiungere delle
rime. No. Devo riscriverla daccapo. - Sola con il mio
diario, sedevo in un tavolo della mensa scolastica. Il
vociare gavazzano degli altri studenti, tipico dell’ora di
pranzo, non riusciva a farmi concentrare. Magari con
l’arrivo della sera, tranquilla nella mia stanza ad ammirare lei che dorme, sarei riuscita a scrivere con maggiore ispirazione. Il cibo nel vassoio stava quasi per freddarsi, ma preferivo aspettare Astrel prima d’iniziare a
mangiare. Richiusi il diario accarezzandone la copertina, era rivestita da soffice ciniglia rosa. Sul frontespizio
campeggiava una targhetta di cartone robusto, appositamente incollata per indicare il nome del proprietario,
ma io scelsi di trascrivervi una frase: vola al di là della
neve, tutto ciò che sarebbe occorso affinché il mondo
potesse accettarmi. All’ingresso della mensa, Liudmila
prendeva a strattoni il distributore di bevande, ancora
una volta le aveva fregato i soldi. Con la mano premeva
sul vetro speranzosa che la sua lattina uscisse, ma nulla
da fare, quella macchina non voleva saperne. – Dannazione! – Imprecò inviperita, come sempre bastava un
non nulla a farle perdere le staffe. Inserendo un'altra
moneta, Liudmila s’accorse che Astrel era appena entrata in mensa portando il proprio zaino con sé. Dimenticando all’istante il suo piccolo inconveniente col distributore, Liuda la seguì con la coda dell’occhio fino a
quando non la vide raggiungere il tavolo in cui sedevo,
e posarvi sopra lo zaino. – Oh, eccoti qui. Adesso capirai cosa comporta mettersi contro di me. – Liudmila
realizzò di star parlando ad alta voce, e d’istinto si portò una mano alla bocca opponendovi pressione, quasi a
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volerla rimbrottare per tanta arbitrarietà. Nessuno aveva
udito le sue parole, ma la studentessa s’imbarazzò
ugualmente divenendo paonazza. Incedendo con andatura raffinata, Astrel imprigionò i miei sensi ammaliandomi col suo fascino etereo. I suoi occhi cerulei quel
giorno possedevano un inedito fulgore, pareva quasi
che tutti i colori dell’oceano si fossero uniti in un soffio
di cielo per renderle omaggio. Il mio umore non poté
che migliorare, le pedanti lezioni mattutine m’avevano
reso neghittosa e insonnolita, ma ora la mia ambita era
di nuovo accanto a me. Quando i nostri sguardi s’incrociarono, insieme tornammo alla sera precedente. Anche
lei stava rivivendo quel momento, ne ero certa, lo compresi dal gesto d’intesa che mi lanciò, più eloquente di
mille parole.
- Ciao. – Mi salutò
- Ciao, Astrel. –
- Che cosa stavi facendo d’interessante? – Domandò, riferendosi al diario che avevo appena messo via.
- Beh, io scrivo i miei pensieri, traduco in lettere emozioni e sentimenti, mi aiuta ad esprimere ciò che provo.
- Astrel sorrise affascinata e sedendosi di fronte a me
rubò una foglia di lattuga dal mio vassoio.
- Capisco. Anche a me piacerebbe farlo, qualche volta
ho tentato, ma, difficilmente scelgo la scrittura come
canale comunicativo, io non sono brava con le parole. –
- Forse non lo sei quando le stendi sulla carta, ma se le
trasformi in voce riproduci il canto delle sirene. –
Astrel apprezzò il complimento e le sue gotte si accesero come rubini. - Sono convinta che entrambe sentiamo
il mondo nella stessa maniera – Aggiunsi.
- Sì, lo penso anch’io, e se quel diario è l’emblema del
tuo universo, il portale dal quale vi si accede, non desidero altro che ricevere un invito per poterlo visitare. –
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La sua proposta mi provocò una piacevole stretta allo
stomaco, condividere con lei la mia vera essenza, impressa in quel diario, era ciò che più desideravo.
– Non vedo l’ora di leggerti le mie poesie! – Fu la mia
risposta seria e sincera.
Liudmila si trovava ancora lì, impassibile innanzi al distributore di bevande, come se gli occhi di Medusa l’avessero pietrificata. Scrutandosi intorno, notò che la
mensa era più affollata del consueto, non un solo tavolo
libero. Tornando a puntare Astrel, la sua espressione si
fece infima. – Oggi è il tuo giorno sfortunato, carognetta, ti farò passare per una misera ladra. – Ancora una
volta il Super-io di Liudmila non aveva compiuto adeguatamente il proprio lavoro, permettendo che i pensieri della giovane si palesassero a voce alta. Liudmila
quasi non s’accorse di averlo fatto, in quel momento era
assorbita dalla smania di rivalsa. Eccitazione e preoccupazione altercavano nella sua mente, non poteva permettersi di sbagliare, altrimenti, la Rosencrans le avrebbe reso la vita impossibile; la nuova arrivata doveva abbandonare la scuola al più presto, e questo furto ne sarebbe stato il pretesto. Al tavolo dei docenti la Čhecov
trangugiava una bistecca ai ferri. Incurante del galateo,
mandava giù un boccone dopo l’altro rumoreggiando
come una belva feroce. Liudmila le si avvicinò intenta a
scambiare due parole, ma l’insegnante era troppo occupata a ingozzarsi per prestarle ascolto. La studentessa la
osservava basita, schifata da tanta ingordigia. Non occorreva una fantasia fulgida per immaginare la Čhecov
nella penombra di una caverna preistorica alle prese
con la clava. – Mi scusi professoressa, se ha cinque minuti…. – Liuda cercava di conquistare l’attenzione dell’insegnante badando che il suo tono fosse quanto più
garbato possibile, quella donna le occorreva per il suo
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piano, e l’ultima cosa che desiderava era mettersela
contro facendola spazientire.
– Ha qualche problema, Liudmila Borisovna? La lezione d’aerobica è spostata per le due. – Sbottò la donna,
rabboccandosi il bicchiere di Vodka.
– Veramente, non sono qui per la lezione d’aerobica. –
Precisò con un sorriso espansivo. La Čhecov prese a
picchierellare la forchetta sul piatto con ritmo irregolare.
- Allora qual è la ragione che l’ha spinta a importunarmi? – Domandò con lo sguardo magnetizzato dai rimbalzi bislacchi della forchetta sul piatto di plastica.
Liudmila si chinò col capo verso l’insegnante e intrattenne con ella una breve conversazione, scrutando al
contempo gli altri docenti per sincerarsi che nessuno
udisse le sue parole bisbigliate.
- Ma come ti balena in mente? Tutto ciò ha del paradosso! – Liudmila fissò la professoressa di ginnastica con
fare supplichevole, pareva lì lì per genuflettersi e implorare la donna d’assecondarla. La Čhecov Storse le
labbra e fece roteare gli occhi, poi si alzò da tavola contrariata, abbandonando gli ultimi bocconi della sua deliziosa bistecca. Un senso di pesantezza addominale l’accompagnò fino al centro della mensa, insieme alla risoluta Liudmila, che l’appressava briosa come un cagnolino scodinzolante. L’insegnante ghermì con le dita il fischietto che portava al collo e lo spolverò dagli spilucchi di lana rilasciati dal maglione, poi lo strinse nell’unto delle sue labbra che sapevano ancora di vodka e
aglio. Emise due fischi acuti consumando tutto il fiato
che aveva in gola, decisa a placare il vociare festaiolo
dei presenti, affinché la loro attenzione s’incanalasse
sulla fremente Liudmila. Quando la studentessa s’accertò d’avere tutti gli occhi puntati su di sé, e pregando
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affinché quell’istante di notorietà non avesse fine, esordì mettendo in mostra le sue spiccate doti da commediante. L’espressione tragica che aveva assunto si accostava bene al tono piangente della sua voce. - Sta notte
mi è accaduta una cosa terribile! – Esordì, creando un
velo di suspense - Mentre stavo dormendo, qualcuno è
entrato in camera mia e ha cominciato a rovistare ovunque. - Liudmila fece una pausa, sforzandosi di far scendere le lacrime dagli occhi, poi continuò la sua appassionata recita. - Quando mi sono svegliata, ho trovato a
soqquadro ogni angolo della stanza. Fortunatamente
non mancava nulla, tranne un oggetto per me d’inestimabile valore. – La ragazza si portò una mano al petto
per conferire maggiore patos a ciò che diceva. - Si tratta
di un anello; un anello appartenuto alla mia povera nonna defunta, a cui io ero molto legata. Sono vivamente
dispiaciuta per ciò che intendo chiedervi, ma ho bisogno della vostra collaborazione se desidero riappropriarmi del mio prezioso ricordo. Dovrete soltanto aprire gli zaini e mostrarne il contenuto alla professoressa
Čhecov, non che stia accusando qualcuno in particolare, ma sono convinta che il colpevole sia qui fra noi. –
Liudmila fu letteralmente attorniata dalle sue compagne, la storia della nonna defunta le aveva conquistate
tutte. A nessuna di quelle ragazze passò per la mente
che la loro beniamina stesse mentendo, e con verace
partecipazione tentavano di consolarla con svenevoli
moine. La Čhecov rifletteva a braccia conserte. “
Come le può saltare in mente che l’anello sia in qualche
zaino? Con tutti i posti che ci sono per nasconderlo?
Che razza d’idea è mai questa? ” Nonostante la professoressa di ginnastica avesse un carattere sospettoso e
poco avvezzo nel rifondere fiducia in soggetti differenti
da se stessa, quella volta non aveva capito di trovarsi
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coinvolta in un raggiro. Lasciando da parte le sue considerazioni, l’insegnante decise di assecondare Liudmila,
non voleva incorrere in possibili problemi con la Rosencrans, perché era questo ciò che sarebbe accaduto se
solo avesse contrariato i capricci prepotenti della sua allieva prediletta. Liudmila fissava tutti noi con sguardo
compunto, credo di non averla mai vista così provata.
Ammetto che in un primo momento la sua arringa mi
persuase, aveva mescolato toni misurati e persuasivi,
tanto da stentare a cedere che fosse lei a parlare. Riflettendo, però, qualche dubbio mi era sorto. Non capivo la
sua ostinazione nel voler perlustrare gli zaini di tutti gli
alunni presenti in mensa, se solo quella storia fosse stata vera, lei stessa avrebbe capovolto l’intero Majakovskij per riappropriarsi della refurtiva.
- Secondo me, ha inventato ogni cosa. Quella lì cerca
sempre un pretesto per attirare l’attenzione e creare
scompiglio. – Commentò Astrel, lasciando trasparire
quanto di personale vi fosse in ciò che affermava.
- Hai ragione, Liudmila adora stare al centro della scena, più che smania di protagonismo, il suo è un narcisismo sfrenato. – Le risposi. Dopo un lungo giro d’indagini, la Čhecov giunse al tavolo in cui sedevamo io e
Astrel. Con lo sguardo c’intimo di prestarle attenzione,
e con voce stizzita si rivolse a entrambe.
– Aprite le borse voi due, devo controllare. – Liudmila
si sforzava di tenere i nervi saldi, le sue amiche continuavano ad assillarla con domande petulanti.
- Sei sicura che non manchi altro? - Come hai fatto a non accorgerti che c’era qualcuno in
camera? –
- Al posto tuo, io sarei morta di paura! – La derubata
stava per soffocare, non riusciva a scrollarsele di dosso.
Evadendo con lo sguardo, s’accorse che la Čhecov sta98
zionava al nostro tavolo e cacciava l’occhio dentro lo
zaino d’Astrel.
- Oh mio Dio! – Esclamò a voce alta. – Ragazze scusatemi, ma devo proprio andare. – Una volta liquidate le
sue compagne, Liudmila corse ad affiancare la corpulenta insegnate di ginnastica.
- Non è nemmeno qui. – Concluse la Čhecov, ormai
estenuata di cercare a vuoto. Nel sentire pronunciare
tali parole, Liudmila ebbe un tuffo al cuore, la professoressa non s’era accorta di quella piccola tasca interna in
cui si trovava l’anello. Vedendo il suo mefistofelico
piano sgretolarsi come un castello di sabbia, la studentessa decise d’intervenire. Con un gesto selvaggio sottrasse lo zaino ad Astrel, recuperò l’anello da quella tasca, e infine, lo tirò fuori con un sospiro teatrale. - Eccolo! Il mio anello, sì, è proprio il mio anello! - Quasi
tutti raggiunsero il nostro tavolo, facendo a spintoni per
conquistare il posto in prima fila. La Čhecov era senza
parole, letteralmente basita. Di fronte all’evidenza dovette ricredersi, Liudmila aveva ragione. Un furto rappresentava un episodio inedito per il Majakovskij, un
gesto che non si credeva possibile, neppure ad opera dei
più scalmanati. “ Questa londinese ci sta dando filo da
torcere.” Pensò l’insegnante corrucciandosi in viso. E’
superfluo sottolineare, che da un insegnante come la
Čhecov ci aspettavamo tutti una reazione brutale ed eccessiva, uno di quegli sfoghi isterici a cui spesso assistevamo, per intenderci.
- La professoressa ti farà nera! – Disse una voce in
mezzo alla folla. – Non vorrei essere al tuo posto,
Astrel. – Canzonò un’altra, suscitando qualche risatina.
Purtroppo, nessuno di noi si sbagliò in merito, e di lì a
poco, l’insegnante d’educazione fisica scagliò la sua ira
selvaggia contro la povera Astrel. Con l’ausilio delle
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sue manacce pesanti, ghermì la ragazza per un braccio
cominciando a strattonarla.
- Ladra! Non ti vergogni? Sei qui da due giorni, e già ti
metti a rubare. - Più la Čhecov s’infervorava, più la
stretta sul braccio d’Astrel aumentava a dismisura. Il
dolore divenne insopportabile.
- Mi lasci stare, mi fa male! - La situazione voltò a favore di Liudmila e la studentessa colse l’attimo provando a rincarare la dose.
- Ora ricordo! - esordì con atteggiamento battagliero –
Questa notte ti ho visto uscire dalla mia stanza. Hai rubato tu il mio anello, maledetta ladra! - L’evidenza parlava a sfavore di Astrel, e in una simile circostanza, credere alle fandonie di Liudmila sembrava l’unica ragionevole possibilità. Io non lo feci. Neppure per un istante dubitai riguardo all’innocenza della mia amica.
- Ora basta, Liudmila! Stai dicendo delle assurdità,
Astrel non può aver rubato il tuo stupido anello. – Strillai incollerita. Lei replicò litigiosa.
– Ah, no? Allora perché si trovava nel suo zaino? –
- Sei stata tu a infilarglielo, è ovvio. –
- Il braccio! – Astrel continuava a gridare di dolore,
quella donna era talmente coriacea che avrebbe potuto
piegare il ferro.
– Non vede che le fa male? – La Čhecov non mi prestò
attenzione, era furibonda come un rottweiler aizzato
alla lotta.
– Ci provi gusto a rubare? Sei una cleptomane per
caso? - Non ho rubato nulla. –
- Smettila di dire sciocchezze, impudente ladruncola!
Come puoi denegare innanzi all’evidenza? -Astrel era
confusa, disorientata, come riuscire a dimostrare la sua
innocenza? Ormai si trovava nella ragnatela che Liud100
mila aveva tessuto per lei, e uscirne non sarebbe stato
facile.
- Professoressa, rischia di spezzarle l’osso! – Schiamazzò un ragazzo tra la folla. L’insegnante di ginnastica si
persuase, e finalmente ritrasse la sua mano grassa e callosa dal braccio d’Astrel.
- Ci penserà la Rosencrans a darti una bella lezioncina.
– Disse la Čhecov, articolando le dita della mano.
- Questo non mi sembra corretto! – Protestai istintivamente, poi mi rivolsi a Liudmila – Perché non dici la
verità? Coraggio, ammettilo che è tutta una messinscena. –
- Ma quale verità? Quale messinscena? – Replicò lei
con voce innocente.
- Sei una povera vigliacca, solo un’ignobile come te poteva arrivare a tanto. – Tuonò Astrel con disprezzo.
- Ne ho abbastanza di voi tre, signorine. - Sbraitò la
Čhecov esasperata – Recatevi in presidenza, subito! Nel
caso non lo rammentaste, siamo al Majakovskij, non
nel postribolo di un sobborgo. – Liudmila prese a singhiozzare spasmodicamente.
– Dice sul serio? Intende mandare in presidenza anche
me? Ma io non ho fatto nulla. – Si oppose frignando.
- Credo proprio che mi farò radiare dall’insegnamento
se odo un’altra parola, Liudmila. Adesso filate tutte e
tre. 15 Incubi senza fuga.
Il vento sferzava le rive del Moscova increspando l’acqua e trascinando nella sua direzione le sottili lastre di
ghiaccio che galleggiavano sul fiume. Il sole appariva e
spariva dal cielo, portando con sé le ombre degli alberi
e degli edifici. Su una sponda del fiume, Irina camminava da sola calpestando alcune foglie secche. Proce101
dendo spedita verso la stazione della metro, la ragazza
dall’animo struggente sapeva di dover tornare lì, in quel
vecchio magazzino in disuso, adibito da Ivan a luogo
dei piaceri. – Io sono una persona libera, nessuno può
costringermi a fare ciò che non desidero – Ripeteva a se
stessa nel vacuo intento di auto persuadersi. – Andrò da
lui e porrò fine a questa storia. – Prima di svoltare per
raggiungere la stazione Paveletskaya, Irina si fermò un
istante a osservare il mondo che le correva intorno.
Com’era bella la sua città quando il soffice mantello
bianco l’avvolgeva, e le sfumature rosate del cielo facevan rifulgere il fiume come un incommensurabile nastro di seta. Quanto avrebbe voluto deliziare di quel panorama. Concedersi al vento e ai profumi autunnali,
udire l’idilliaca melodia del divenire attraverso i fruscii
sussurrati delle frasche. Ormai era impossibile. Nulla
poteva donarle pace. Nella sua mente, soltanto lo spazio
per le ossessioni e i ricordi raccapriccianti. Con aria
mesta, la ragazza riprese a camminare. Adesso guardava al suo passato con malinconia, proprio a quel passato
dal quale era fuggita perché non le piaceva. – La vita di
campagna non fa per me, in mezzo alla steppa c’è troppo silenzio. Ho deciso di partire, voglio andare a Mosca
a studiare. – Con queste lapidarie parole, cominciava la
lettera che Irina aveva lasciato ai suoi genitori sul tavolo della cucina, poi era uscita di casa nel cuore della
notte, ed era saltata sulla transiberiana per raggiungere
Mosca. – C’è una scuola molto importante qui, si chiama Majakovskij. Mi hanno ammesso circa un mese fa,
voi non dovrete preoccuparvi di nulla, ho i miei risparmi, e userò quelli per pagare la retta. – Questo lo aveva
scritto nelle corrispondenze successive, quando Irina
era ancora felice: felice per aver realizzato un sogno,
felice di aver conosciuto un ragazzo di nome Ivan. - Lui
102
è molto gentile con me, mi riempie d’attenzioni e non
mi lascia un momento, credo d’essermi innamorata. –
Si concludeva così l’ultima missiva inviata ai suoi genitori, ciò che era accaduto in seguito, Irina lo aveva tenuto in serbo. Nessuno sapeva di quel magazzino oscuro, dei materassi vecchi che puzzavano d’umido, gettati
per terra in mezzo agli scaffali. Come spiegare ciò che
si prova a sdraiarvisi controvoglia? A essere il giocattolo di chi ha pagato per averti? A volte ragazzi, amici
d’Ivan pronti a sborsare rubli per divertirsi, altre, sessantenni morbosi con l’alito pesante e la pelle untuosa.
La Čhecov ci accompagnò in presidenza imponendoci
di restarvi fino a che la Rosencrans non fosse tornata
dalla pausa pranzo. – Oggi la preside è di pessimo umore, ed io non vorrei mai essere al vostro posto. – ci informò l’insegnante con un certo sarcasmo che pareva
divertirla, poi uscì dall’ufficio battendo la porta con
violenza, per alcuni secondi i cristalli delle finestre tremarono.
– Dannazione a lei! – Imprecò Liudmila contro la porta
che si era appena chiusa. – E’ tutta colpa vostra! Sono
stata derubata e per giunta punita, questo è assurdo, assurdo! – Astrel inspirò lentamente sforzandosi di non
reagire, e come se volesse evadere da quella circostanza, s’incamminò verso la finestra. Il suo sguardo fugace
cominciò a viaggiare oltre i confini che la vista le imponeva, lì dove l’immaginazione supplisce a ciò che gli
occhi non vedono, le orecchie non sentono e le mani
non toccano, in quel luogo avulso chiamato fantasia, in
cui la gente trova ricovero quando la vita recalcitra e
smania come un’animale imbizzarrito. Il prolungato silenzio di Astrel smorzò in qualche modo i toni pesanti
della situazione, Liudmila continuava a puntarla accigliata, bramosa di attaccare briga un’altra volta, ma
103
Astrel non smise di ostentare il suo distacco. Esacerbata, Liudimila si ritirò in un angolo della presidenza,
giungendo le braccia e sbuffando come una bambina
capricciosa a cui i genitori non hanno comprato il gelato.
– Brava, fingi pure di non sentirmi, nemmeno ti conosco e già ti odio. –
La voglia di staffilarle una serie di schiaffi mi struggeva dentro, avrei voluto picchiarla e riempirla d’insulti
fino a farla sparire dalla vergogna, tuttavia, non vi riuscii, forse fu la mia indole inoffensiva a impedirmelo.
Ciò che realmente avevo a cuore in quel momento, era
rasserenare Astrel. Con passo felpato la raggiunsi e accostandomi al suo fianco scrutai oltre la finestra in sua
compagnia, quasi vi fosse un panorama invisibile che
soltanto noi due potevamo ammirare.
– Ehi, tutto bene? – Le domandai, preoccupata dall’esagitazione che palesava. Astrel trasalì, interrompendo il
filo dei suoi pensieri.
– Tu mi credi, vero? – Mi chiese angustiata e a voce
bassa, poggiandomi entrambe le mani sulle spalle. –
Non sono stata io. Te lo giuro Svetlana. Tu devi credermi, fidati di me! –
- Sss - La interruppi, sfiorando con le dita le sue labbra
soffici – Lo so, lo so, anche volendo non avresti potuto,
sbaglio, o abbiamo trascorso l’intera notte insieme? –
Astrel mi regalò un sorriso dolcissimo, ed io lo regalai
a lei con la stessa intensità d’emozioni. – Ho il sonno
leggero, Astrel, non v’è battito d’ali che mi sfugga, figuriamoci se non mi fossi accorta che la mia compagna
di stanza si dileguava con un passamontagna al volto e
una torcia in mano! – Ironizzai, nel tentativo di smorzare la gravità della situazione. Lei sorrise ancora, e nel
suo volto rifulse una nuova luce, una luce che attraver104
sando il ceruleo dei suoi occhi si fece incommensurabile, una luce, che mi pervase fin nell’abisso dello spirito.
Sapevo che quello era il momento in cui insieme l’avremmo pronunciato, e le sue labbra che abbozzavano
parole frammentarie mi diedero conferma di ciò.
- Svetlana io… Sì ecco, io credo d’essermiLa Rosencrans apparve in presidenza cogliendoci di
sorpresa, ad annunciarla neppure il calpestio dei suoi
bassi mocassini sul corridoio. Liudmila sussultò dall’angolo in cui si era ritirata e smarrita accennò un saluto alla donna, ma in replica non ricevette nulla. La preside si sedette alla scrivania con aria flemmatica, e
giungendo le mani rese tangibile la superiorità burocratica che la separava da noi. La magia che aleggiava fra
me e Astrel sfumò repentinamente, come una nuvola di
vapore, al suo posto incombette la cruda realtà. - Avvicinatevi al mio tavolo. – Esordi la donna, mantenendo
fisso lo sguardo sui pollici che roteavano l’uno intorno
all’altro. In assoluto silenzio, avanzammo verso quella
scrivania. La direttrice sollevò lo sguardo e ci fisso a
lungo con aria imperturbabile, infine si schiarì la voce e
cominciò a parlare.– Qualcuna di voi avrebbe l’accortezza di spiegarmi che caspita è accaduto in mensa? –
Come un cane che voracemente abbranca il suo osso
per non lasciarselo sottrarre, Liudmila prese la parola al
volo.
– Signorina Rosencrans, mi rincresce aver creato il
caos, ma la “new entry” della scuola mi ha rubato un
anello questa notte. La direttrice si voltò verso Astrel ed
enfatizzò un’espressione di agghiacciante sbalordimento. Sgomenta da quanta sfacciataggine e sangue freddo
potesse avere Liudmila, intervenni nella discussione
con impulsività.
105
– Non è affatto vero! Liudmila ha inventato ogni cosa.
Mi creda, è la verità. – La direttrice non diede peso alle
mie parole, e rimarcando quell’aria apatica non si
scompose di una virgola.
- Signorina Astrel, ha mai sentito pronunciare la parola
“reato”? Lo sa che i peggiori delinquenti cominciano
sempre cosi? Prima qualche caramella al negozio d’alimentari, poi uno o due scippi per strada, e in men che
non si dica si ritrovano dietro le sbarre costretti a restarvi per molto, molto tempo. – Astrel si concesse una risata nervosa, chiedendosi fino a che punto quella donna
credesse a ciò che affermava.
– Probabilmente non ci siamo intesi. – M’intromisi ancora, monopolizzando l’attenzione sul mio cipiglio. –
Astrel non è una ladra. – La Rosencrans sbottò brutalmente.
– Adesso basta, Svetlana Yaroslavna! Ne ho abbastanza
del suo atteggiamento da paladina. Non voglio più vederla impicciarsi in questioni che non la riguardano, e
se la scopro a spendere una sola parola in sostegno di
quella squilibrata d’Irina, le faccio passare i guai! –
Liudmila rise beffardamente
– Irina! Lo sanno tutti che è pazza. - Forse era il caso di
non replicare alle impudenze della Rosencrans, ma sapevo che di lì a poco Astrel sarebbe stata punita, decisi
dunque, di perseverare con caparbietà.
- Perché finge di non intendere ciò che dico? Andiamo,
è illogico che un ladro s’intrufoli in una stanza con l’intenzione di rubare, ma non porta via né soldi né oggetti
di valore, limitandosi a sottrarre uno stupido anello che
fra l’altro non è nemmeno d’oro. - La Rosencrans corrugò la fronte, il mio discorso filava così corretto che
avrebbe voluto darmi ragione, ma non lo fece naturalmente. La situazione le stava sfuggendo di mano. Ave106
va chiesto lei a Liudmila d’architettare quella messinscena, ma si aspettava che l’alunna benamata avesse
maggiore sagacia nel rendere il tutto verosimile. Senza
saperlo, avevo posto la direttrice in serio imbarazzo, e
ora, la donna meditava a mani giunte sul da farsi. Il suo
volto inespressivo non permetteva alla preoccupazione
d’intravedersi, e il suo silenzio prolungato non lasciava
spazio ai buoni pronostici.
- Quando lei si rivolge a me, Svetlana Yaroslavna, tiene
a mente il concetto di gerarchia? Solo un folle s’arrogherebbe la superbia di ammendare la direttrice della
scuola. - Ormai mi ero cacciata in un bel guaio, e qualsiasi cosa avessi aggiunto, non sarebbe servita a mitigare la mia posizione. Ripiombando nel silenzio, la donna
si alzò dalla scrivania e si diresse verso il carrello porta
vivande. Dalla sua collezione di liquori scelse un whisky e ne versò una piccola quantità in un bicchiere di
cristallo. Dopo averne sorseggiato una goccia tornò alla
sua scrivania, e abbandonò il bicchiere accanto al fermacarte. – Ieri mattina ho contattato un imbianchino, il
muro di cinta del cortile ha l’intonaco che viene giù a
pezzi. – Disse, tornando col bicchiere fra le mani. –
Considerate le circostanze, credo sarà divertente per lei
trascorrere un bel pomeriggio all’agghiaccio in compagnia di un pennello. – Un sorriso sornione modellò le
sottili labbra di Liudmila “ Se ha punito Svetlana così,
Astrel è praticamente espulsa dalla scuola. Oh, sono geniale, il mio piano ha funzionato alla perfezione! ” Pensò, reprimendo a fatica l’entusiasmo. – Si rivolga al signor Vyacheslav Lavrov, lui le fornirà il materiale occorrente per tinteggiare il muro, e ora, uscite dal mio
ufficio e lasciatemi lavorare. – Astrel era incredula, letteralmente sdegnata da tanta cattiveria.
107
– Quello che sta facendo è vergognoso! – Sbottò, penetrando la Rosencrans negli occhi con una sfacciataggine
estranea al suo carattere. – Sono io la ladra, giusto? Allora punisca me. – La direttrice rispose dal dispotismo
della sua poltrona, adottando un tono talmente freddo
da apparire non umano.
– Pare che la ragazzina londinese accusi difficoltà nel
recepire concetti elementari: prendo io le decisioni all’interno di queste mura, la mia parola è irrefutabile. E
adesso andate fuori dalle scatole! Vi concedo tre secondi per sparire o incapperete in ben altri guai. – Amareggiata dalla perfidia che incarnava quella donna, presi
Astrel per mano e la condussi verso la porta.
- Lascia stare, è solo una vecchia arpia malefica. – Le
bisbigliai mentre andavamo via. Prima di congedarsi,
Liudmila si attardò qualche momento fissando la Rosencrans a bocca aperta. “ Io non capisco. ” Pensò aggrottando le sopracciglia “ La direttrice cercava un pretesto per espellere Astrel, e ora che ne possiede uno fra
le mani, non ne approfitta ma punisce solo Svetlana.
Che diamine passa per la testa di quella donna? ” Liudmila stava quasi per muovere la sua obbiezione, era sul
punto di sbottare pretendendo delle spiegazioni che giustificassero quel comportamento illogico, ma la direttrice le intimò nuovamente d’uscire con un semplice, ma
efficacissimo gesto della mano.
Un lungo e fatiscente corridoio buio, una luce abbagliante in fondo a esso. Sulle pareti riecheggiava l’eco
dei suoi passi incalzanti, mentre il soffio del suo respiro
si faceva trafelato. Col cuore in gola e a gran velocità,
Irina saettava verso l’uscita. Voltandosi con un guizzo
della testa, scorse Ivan correrle dietro come un toro inferocito, era troppo veloce, di lì a poco l’avrebbe raggiunta.
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– Fermati bastarda! Dannazione Ira, non fare la stronza,
fermati ho detto! - Atterrita, la ragazza cercò d’accelerare ulteriormente il passo sentendo le forze venirle
meno. Tutto inutile, le possenti braccia d’Ivan l’agguantarono come arpioni, impedendole di proseguire la
sua corsa. Sfiatata, Irina si dimenò e provò a colpirlo,
voleva sferrargli un pugno, centrarlo dritto in faccia per
fracassargli il naso. Non ci riuscì. Ivan era più forte e
non si pose scrupoli nell’immobilizzarla spalle al muro.
Ormai in trappola, la ragazza comprese di nulla potere
contro il suo brutale aggressore, e con le lacrime agli
occhi tentò invano d’indurgli compassione implorandolo con indulgenza.
– Ti prego lasciami andare, non voglio entrarci più nulla in questa storia, ti prego Vanja, ti scongiuro. – Lui la
puntava minaccioso.
– Nessuna può uscirne Ira, lo sai a cosa vai incontro se
tenti di scappare, vero? - Irina sentì le gambe cedere
dalla paura e la voce bloccarsi in gola, nondimeno, cercò dentro sé la forza per reagire a quelle pesanti minacce.
– E tu lo sai a cosa vai incontro se solo informo la polizia di quello che mi costringi a fare? A me e alle altre,
naturalmente. - Le parole erano venute fuori di getto e
senza mediazioni, mosse da un impulso disperato, lo
stesso impulso che aveva spinto Ira ad affrontare testa a
testa la persona che più di ogni altra, riusciva a farla cadere in un cronico stato di soggezione. Tuttavia, adesso
attendeva timorosa la reazione del compagno di scuola,
che preludeva già alquanto crudele. Ivan sentì un improvviso bollore ardergli il viso. Come aveva osato una
persona insignificante, una semplice “femmina”, apostrofarlo in quel modo? Il sangue gli ribollì in testa
mandandolo in tilt. In preda a un raptus estrasse un col109
tello dalla tasca dei jeans, lo fece roteare più volte tra le
mani, e poi, lo punto dritto al collo della ragazza. Inghiottendo rumorosamente, Irina percepì la fredda lama
del coltello lambire minacciosa la sua pelle. - Non farmi del male. - Fu l’unica cosa che riuscì a dire con un
fil di voce – Ti prego abbassa il coltello. – Continuò.
Terrificata dalla minaccia di una morte prematura, consapevole che Ivan aveva ormai abbandonato ogni facoltà razionale, Irina immaginò che quel viso indemoniato
fosse l’ultima cosa che le restasse da vedere.
– Se solo ti azzardi a riferire mezza parola agli sbirri,
se osi raccontare a qualcuno ciò che ogni notte fate per
me, giuro che ti farò pentire amaramente d’essere venuta al mondo. Nessuno deve sapere, chiaro? - Irina annuì
con un cenno del capo, auspicandosi che il suo compagno di scuola le permettesse ora d’andar via. Ivan lesse
il terrore negli occhi straziati della ragazza. Sapeva
d’impugnare il coltello dalla parte del manico, e ciò gli
donò un piacevole senso d’onnipotenza. - Sai che potrei
ammazzarti se solo lo volessi? Mi basterebbe aumentare la pressione sul tuo grazioso collo per mozzarti la carotide. E ciò che vuoi, Irina? Morire da sola in un magazzino desolato, sgozzata come un maiale da macello?
Vuoi che il tuo corpo putrefatto sia rinvenuto nei fondali del Moscova? –
- No! – Vociò stentorea la ragazza.
- Bene, allora vedi di non farmi incazzare un’altra volta. Devi fare la brava con me, lo sai. – Ivan ammiccò
beffardo e aggiunse. – Questa sera c’è un mio amico
che vorrebbe fare la tua conoscenza, si chiama Nikolaij,
e sarà qui per le undici. Osa disertare l’appuntamento, e
ti farò conoscere il lato animalesco del mio carattere. 16 Un retaggio dal mio passato.
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Le nuvole leggere carezzavano il cielo del tardo pomeriggio disegnando figure che solo la fantasia poteva decifrare. In piedi in mezzo al giardinetto del Majakovskij, con le guance semi congelate e le mani sporche
d’intonaco, osservavo il lavoro appena svolto. Il muro
di cinta era stato ritoccato in tutto il suo perimetro, così
come stabilito dalla Rosencrans per punire la mia insolenza. Le braccia mi dolevano tremendamente, dopo
aver trascorso un intero pomeriggio a fare su e giù con
un pennello colante di vernice, quasi non le sentivo più.
Desideravo tornare in camera e fare una doccia calda,
tuttavia, la panchina vuota alla mia destra assunse un
inedito aspetto invitante, sedermi qualche momento prima di tornare in camera era ciò di cui avevo bisogno.
Attorno a me, sfumature autunnali e invernali si fondevano all’orizzonte del panorama. Il vento rapiva le
fronde giallognole ai rami delle betulle per danzarvi in
vivace armonia, poi le abbandonava ai loro destini, lasciando che si adagiassero al bianco suolo per baciarlo
di oro. Chiudendo gli occhi sotto la pressante stanchezza, m’accorsi di quanto silenzio regnava in quel piccolo
giardino; nonostante la scuola fosse a soli due passi dal
centro di Mosca, nessun rumore metropolitano riusciva
a penetrare lo scudo silenzioso che vi aleggiava. - Ciao
– Una voce calda e familiare giunse alle mie orecchie.
Voltandomi, vidi Astrel raggiungermi e sedersi sulla
stessa panchina malconcia che ospitava me. – Wow! –
Esclamò meravigliata, sotto lo scricchiolio del legno
marcio. – Lo hai dipinto tutto da sola? – Chiese, intuendo quanto la domanda fosse retorica. – Ma, quel muro è
alto un metro e lungo pressappoco altri nove, come hai
fatto a pitturarlo in così poco tempo? –
- Lavorando sodo. – Le risposi con voce ansante. – Il
signor Vyacheslav si è prestato più volte ad aiutarmi,
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ma ho preferito non farlo incappare nei rimbrotti di
quella megera. -Astrel si fece incupita.
– Spettava a me quest’incombenza, tu non meritavi una
punizione così brutale. –
- Nemmeno tu. – Replicai, ammirandola, anche con lo
sguardo triste era bellissima. – La Rosencrans avrebbe
dovuto punire Liudmila, è soltanto sua la colpa di tutto
ciò. - Astrel fece spallucce rassegnata.
– Sua, mia, ormai non fa alcuna differenza. Tutti qui,
mi credono una ladra, e io non posso dimostrare il contrario. –
- Io resto comunque dalla tua parte, hai la mia parola.
Qualsiasi cosa accadrà, non sentirti mai sola. - Astrel
rapì la mia mano e la fasciò fra le sue dita inguantate e
tiepide di lana.
– E’ la prima volta che qualcuno fa questo per me. Tu
mi hai difeso ostinatamente, hai perorato la causa di
una ragazza che conosci da appena due giorni. Non eri
obbligata, eppure lo hai fatto, certa di non ricavarne
nulla se non guai. - Ciò che disse mi addolcì come miele, ancora una volta sentii il desiderio di baciarla e condurla in me con passione. Astrel accolse le mie labbra e
con trasporto m’inebriò della sua essenza. Baciandola,
compresi di provare qualcosa in più che una semplice
attrazione fisica, io mi ero perdutamente innamorata.
Sì, amavo un’altra ragazza, l’amavo davvero. Ultimamente scrivo al diario più del solito, con l’inchiostro
imprimo domande che si sommano caoticamente alle
altre già presenti. Ci sono così tanti quesiti in quelle pagine che una notte ho sognato di sfogliarle al contrario
e di leggervi finalmente risposte esaurienti. Se solo con
la realtà si potesse fare lo stesso! Magari, saprei già
cosa mi vieta d’amare una donna, capirei perché la società non accetta con tolleranza le mie scelte sentimen112
tali, che di certo, non ledono la salute di nessuno.- Tu
sei d’accordo con loro? - Domandai una volta al diario Pensi che sia sbagliato innamorarsi di una ragazza?
Come se si potesse scegliere. Certe cose succedono e
basta. E poi, ti sembra che io abbia qualche problema?
Forse tu non lo sai, ma le persone ignoranti considerano
l’omosessualità una grave malattia, alcuni genitori consultano i migliori psicologi nello speranzoso tentativo
di “guarire” i propri figli. - Tutto questo è umiliante per
la dignità di una persona, non trovi ? – Tempo fa presi
la metro, dovevo dirigermi al parco botanico. Mi sedetti
in fondo al vagone, casualmente, vicino a due donne
sulla quarantina che interloquivano amichevolmente.
Indossavano dei colbacchi di volpe e avevano un marcato accento del sud. Parlavano del più e del meno, discorsi vaghi che non ricordo, solo una parte della conversazione mi rimase spiacevolmente impressa. - Tu
come reagiresti se un giorno scoprissi d’avere un figlio
omosessuale? - Chiese una delle due donne, l’altra non
rispose, quasi scandalizzata dalla domanda scabrosa,
poi, con aria schifata disse - Oh mio dio! Preferirei mille volte essere la madre di un delinquente che di un gay.
- Di colpo mi voltai verso quella donna e la fissai basita, lei notò il mio gesto, e quasi volesse sfidarmi, mi
punto negli occhi con ironica commiserazione. - Che
c’è? Fai parte del club anche tu? Sei una di quelle? Oh,
non vorrei mai venirti madre. - Lasciandomi senza parole, la donna si alzò e si diresse verso l’uscita, l’altra la
seguì un po’ imbarazzata, e insieme scesero dal treno
che si era appena fermato a una stazione. - Razzista
pervertita! - La insultai con tutto il fiato che avevo in
gola, alcuni passeggeri mi osservarono perplessi. Quest’episodio, caro diario, lo porto dentro con dolore.
Sono convita che se tu potessi parlare, mi diresti di ra113
gionare con obbiettività, e di capire che quelle parole
sono state pronunciate da una donna stupida e xenofobica. Converrei volentieri con te, se non fossi certa che
in fin dei conti l’intera società la vede così, soltanto,
che alcuni preferiscono dissimulare i loro sentimenti
sotto un infimo velo di perbenismo. In tutte le popolazioni del mondo, da nord a sud, da est a ovest, la parola
“omosessuale” suscita scandalo e vergogna. E’ come
una colpa dalla quale ci si deve redimere, uno scheletro
nell’armadio da tener ben nascosto. E non dirmi che un
giorno le cose cambieranno, che l’uomo imparerà a seguire l’amore ovunque lo conduca temendo soltanto
l’odio, il tempo in cui ciò accadrà, è tanto recondito
quanto l’infinito. –
17 Diabolica perseveranza
Uscendo dalla presidenza, la Rosencrans spense la luce
e chiuse a chiave la porta. Erano le ventitré passate, e in
mezzo alla penombra del corridoio, la donna contava i
passi che la separavano dal suo elegante appartamento,
locato al penultimo piano dell’istituto. Fra le grinze della mano stringeva un mazzetto di chiavi e il manico della valigetta porta documenti. Giunta alla scala principale, scorse una sagoma scura stazionare sui primi gradini. - Chi è là? - Domandò, mentre si avvicinava alla silhouette per svelarne l’identità. – Liudmila Borisovna!
– Strepitò sorpresa, dopo averne riconosciuto il volto.
– Che cosa ci fa qui? Sa che dopo le nove pretendo il
massimo silenzio, e non tollero di vedere gente a bighellonare per l’istituto. Torni in camera sua, adesso. Liudmila fece orecchie da mercante, e comportandosi
come se quell’appassionato rimprovero non le fosse
mai stato posto, inveì contro la donna, dimenticando
per un momento chi aveva di fronte.
114
– A che gioco stiamo giocando, signorina Rosencrans?
Per quale motivo mi ha spinto a fare una cosa simile se
poi non è servita a nulla? – Strillò, con il viso corrucciato. La Rosencrans non ebbe alcuna reazione apparente. Il suo sguardo cheto e imperturbabile strideva
con la situazione animata.
- Non so a cosa si riferisce, Liudmila. – Disse la donna
con voce apatica. L’allieva indugiò qualche istante prima di ribattere, la soverchia tranquillità della Rosencrans la inquietava parecchio, quella donna era perfettamente in grado di gestire le proprie emozioni, per tale
ragione le riusciva così semplice agire in maniera spietata.
- Sa benissimo a cosa mi riferisco! - No, non lo so. – Ribadì la donna cominciando a salire
le scale.
- Sto parlando di ciò che è successo oggi, del furto che
mi ha costretto ad inscenare. - La Preside si fermò con i
piedi su due gradini differenti, e poggiandosi sul passamano si voltò verso l’allieva.
- E allora? Il suo piano si è rivelato un fiasco, e lei ne
pagherà le conseguenze. - Liudmila cominciò a frignare
e a tirarsi i capelli.
- Il mio piano era perfetto! Tutta la scuola ha creduto
che quella stupida londinese mi avesse rubato un anello, e stata lei che ha lasciato il furto impunito. Non è
mia la colpa! - La Rosencrans rise sarcasticamente.
- Sei proprio un’inetta, Liudmila. Una persona all’altezza della situazione, non avrebbe mai congeniato un piano così balordo. Bastava che tu nascondessi soldi in
quello zaino, una somma compromettente, ed io ti avrei
subito appoggiato denunciando un furto di denaro dal
mio appartamento. - Un silenzio repentino calò fra le
115
due. Liudmila incrociò le braccia e meditò a lungo su
quella possibilità.
– E va bene! – disse infine, ostentando scaltrezza. – Ho
sbagliato lo ammetto, ma siamo in tempo per rimediare.
Mi procuri dei contanti e vedrà di cosa sarò capace. La Rosencrans sembrava persuasa, ma non lo diede a
vedere.
- Ci penserò su. - Dunque… siamo d’accordo, mi concederà una seconda chance? –
- Ho detto: ci penserò su! – Sbottò la preside riprendendo a salire le scale.
18 La Far Dream
Una settimana dopo.
Le buie e tranquille acque dell’oceano Atlantico ospitavano l’imponente sagoma della Far Dream, una sfarzosa e rinomata nave da crociera, che più volte l’anno salpava da Southampton alla volta di New York. Il varo
del raffinato transoceanico, avvenuto appena due anni
addietro, era riuscito a sfatare tutti gli scetticismi e le
polemiche per ciò che i media definivano “ La rinascita
di un mito”, o con toni più sensazionalisti, “ Il Titanic
riemerge dagli abissi ”. Si stentava a crederci, ma salire
a bordo della Far Dream significava tornare al 1912 e
rivivere il fascino di un gioiello sfortunato e dalla vita
effimera. - Intendiamo restituire all’Inghilterra ciò che
il mare le ha sottratto. Una volta terminata, la Far
Dream diventerà la precisa copia del Titanic. – Così
commentava l’architetto Charles Chatham ai microfoni
della BBC. – A parte le nuove tecnologie adottate per i
sistemi di propulsione e navigazione, lo stile architettonico della nave rispecchierà in ogni dettaglio quello del
celebre transoceanico. Io e il mio collaboratore stiamo
116
lavorando alla ricostruzione del salone da pranzo, che
realizzeremo in stile Giacomo I, con colonne dorate e
suppellettili in argento. Anche le sale da lettura, decorate con intarsi di madreperla su pannelli di mogano, faranno fede alle originali. Il tocco finale sarà conferito
dal grande scalone A, uno degli elementi ornamentali di
maggior spicco, insieme al cupolone di vetro che lo sormonterà. – Il revival del Titanic apparteneva un po’ a
tutti, all’orgoglio dei britannici come alla storia della
navigazione, ma quel lusso galleggiante restava un privilegio riservato a esigui facoltosi. Solo chi poteva acquistarne il biglietto avrebbe aperto le braccia al vento
per farsi immortalare sulla prua della nave, partecipando poi, a un’indimenticabile festa a tema con abiti d’epoca. L’attuale viaggio della Far Dream volgeva quasi
al termine. Il suolo americano si stagliava all’orizzonte
come un lungo nastro scintillante, spezzando con i suoi
bagliori la monotonia della notte. Gli oltre duemila passeggeri si preparavano a scendere, poche ore di navigazione, e anche per loro un’esperienza indimenticabile si
sarebbe conclusa. Stringendo a sé il cappotto, Lara passeggiava serenamente sul ponte di coperta. Adesso poteva respirare una boccata d’aria fresca e scaricare lo
stress accumulato durante una lunga settimana di lavoro
a bordo. Il firmamento sovrastava il mare ornando la
notte di magia. Il rumore dei motori si fondeva a quello
dello scafo battuto dalle onde. Poggiandosi al parapetto,
la ragazza lasciò che la brezza notturna le sfiorasse il
volto. Osservando New York avvicinarsi sempre più,
Lara capì d’avercela fatta. Era riuscita a scappare dall’Inghilterra, aveva abbandonato lo zio e le sue botte, e
ora, un’infinita distesa d’acqua la separava dal vecchio
continente, dal luogo in cui, anni tristi e dolorosi erano
trascorsi inesorabili. Lì, in mezzo alle lucine metropoli117
tane, una vita nuova e carica d’aspettative attendeva
solo d’esser vissuta, ma prima di raggiungerla, Lara doveva superare un ultimo e decisivo ostacolo: il controllo
doganale. La paura di non farcela, l’idea di vedere il
suo sogno sgretolarsi rapidamente come un vaso di creta, l’angustiava tremendamente. - Ho diritto anch’io a
una vita migliore! – Protestò impetuosamente, rivolgendosi a un Dio che non credeva esistesse. - Lo so che c’è
l’hai con me, lo so. Se così non fosse, non m’ avresti
portato via i genitori a soli cinque anni, abbandonandomi alle follie perverse di un porco senza scrupoli. Dov’eri tu quando mi picchiava a sangue, o quando mi
strappava gli slip con la bava alla bocca? - Lara interrupe bruscamente quel dialogo, in realtà si trattava soltanto d’un monologo, un monologo elegiaco inscritto nel
vento e abbandonato ad esso. – Queste cose appartengono al mio passato, devo dimenticarle ad ogni costo! –
Concluse singhiozzante, per non piombare in un pericoloso vortice di ricordi. L’odore pungente di una sigaretta accesa distolse Lara dai suoi turbamenti. Lo chef della nave si era avvicinato a lei con passo felpato, intento
a scambiare quattro chiacchiere di congedo.
- Ormai manca poco, Lara! – Esordì, con elegante accento parigino. - Riesco già a vedere la statua della libertà. - Disse scherzosamente, gettando la sigaretta in
mare. Sulla camicia bianca portava un cartellino plastificato in cui v’era scritto il nome François, ma il raffinato chef si faceva chiamare Verner. Da molti anni lavorava in giro per l’Europa, e nel fascino di città come,
Varsavia, Vienna, Budapest e Praga, François amava
deliziare i palati più esigenti col gusto di una delicata
arte culinaria. Attualmente cucinava in mezzo all’oceano, regalando ai passeggeri della Far Dream, banchetti
succulenti e imbanditi con le migliori prelibatezze.
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- Che cosa farai adesso, Lara? - Chiese François accendendo un'altra sigaretta. - Ti prenderai qualche giorno
di vacanza, prima di tornare a bordo? – Lara esitò un
istante, lo chef non sapeva del suo contratto lavorativo
inesistente.
- No, non credo. Arrivata a New York ripartirò per
Seattle. – Spiegò sbrigativamente.
- Seattle? Quella vicino al monte Rainier? Dove Kenneth Arnold disse d’aver avvistato degli ufo? Ho capito!
Sei appassionata di dischi volanti. - Lara sorrise apprezzando l’umorismo dello chef.
- No, tutt’altro. A Seattle vive mio fratello, e ho intenzione di trasferirmi lì con lui. - Hai un fratello? Anche a me piacerebbe averne uno, o
magari una sorella. Purtroppo, i miei genitori hanno lasciato che restassi figlio unico. – Commentò François,
con un retrogusto d’infantile malinconia. Lara lo osservò comprensiva.
- In realtà, io e mio fratello abbiamo due madri differenti, siamo fratellastri, ma a me non piace questa parola. - E perché mai? – La interrogò lui.
- Non saprei spiegarlo, sembra connotare una forma
d’intolleranza reciproca, quella gelosia inconfessata che
ti porta all’odio. Io e mio fratello, invece, ci siamo sempre voluti un gran bene, anche se abbiamo vissuto in
case separate. –
- In case separate? – Chiese lo chef, facendosi interessato.
- Sì - Temporeggiò Lara, riflettendo su quanto fosse
saggio raccontare le proprie vicende a un estraneo. –
Purtroppo, i miei genitori sono morti a seguito di un
grave incidente stradale. –
- Ah, mi dispiace molto. –
119
- Per mio fratello è andata diversamente. Lui ha perso
soltanto un padre fra le lamiere accartocciate di quella
Mercedes, ed è cresciuto con la madre naturale, mentre
io, ho trascorso l’infanzia con uno zio paterno. –
– Sono certo che ti avrà cresciuto come fossi figlia sua.
– Disse François, ignaro di quanto le sue parole suonassero sconvenienti.
- Già… - Lara simulò un sorriso d’assenso, sforzandosi
d’apparire credibile, quasi temesse che François potesse
leggerle dentro e scoprire la verità.
19 Il Gorki Park.
Mosca, Majakovskij
Un plumbeo lunedì mattina era da poco cominciato.
Nell’aula di chimica, gli allievi del primo anno svolgevano taciturni la verifica scritta; dieci minuti ancora, e
avrebbero dovuto consegnare il compito. La professoressa Tatjana Vasilevna Meštrovič, procedeva lungo la
classe accertandosi che nessuno sbirciasse la scheda del
compagno a fianco, il rumore dei suoi tacchi a spillo
riecheggiava fra le pareti. Seduta al penultimo posto
con la scheda di verifica seppellita sotto un’infinità di
prodotti make-up, Liudmila piegò più volte un bigliettino di carta, e con un gesto rapido lo passò alla compagna antistante. La ragazza afferrò il biglietto con prudenza, nascondendolo dentro la manica del maglione.
Quando fu certa che la professoressa non potesse vederla, lo dispiegò velocemente e lo lesse. Mi sei in debito.
Mi devi un favore. Fatti trovare in biblioteca alle 17:
00, non un minuto più tardi! La ragazza si voltò verso
Liudmila con aria interrogativa.
– Che cosa vuoi dire? Perché sarei in debito con te? –
Le chiese a bassa voce, scuotendo il biglietto fra le
mani.
120
- Ne riparliamo più tardi. – Replicò Liudmila a labbra
serrate, con in mano il rimmel blu cobalto che tanto le
faceva gli occhi da cerbiatta. Stringendo la mano d’Astrel sfrecciavo giù per la scala principale. Erano le
quattro del pomeriggio e avevo appena disertato la lezione di biologia con un fantomatico mal di testa.
- Svetlana, aspetta! Non così veloce. - Senza assecondare Astrel continuai a scendere esortandola a sbrigarsi.
- Suvvia, Astrel! Dobbiamo far presto. Il signor Vyacheslav potrebbe sbucare da un momento all’altro e
scoprirci. - Quasi tutti gli studenti a quell’ora, seguivano i corsi pomeridiani, la Rosencrans invece, lasciava
l’istituto per disbrigare alcune faccende. Quale momento migliore per abbandonare la scuola senza rischiare
d’esser colti in flagrante? Furtivamente oltrepassammo
l’uscita secondaria e procedemmo con passo circospetto
lungo il vialetto laterale, voltandoci più volte per ispezionare alle nostre spalle. L’ansia ci accompagno fino
all’angolo, ma una volta svoltato, essa si confuse nel
caos metropolitano. Le auto avanzavano sull’asfalto
calcando la neve con i pneumatici e tingendola di un
sudicio grigio fumo. I pedoni ai lati delle strade attendevano l’accensione del verde per schizzare via al ritmo
degli impegni personali, mentre parecchi metri sotto i
loro stivali, vagoni brulicanti di gente saettavano nel
buio dei tunnel. Al quadro di un’ordinaria giornata cittadina, faceva da sfondo un pallido sole che presto si
sarebbe addormentato a ponente, sfumando i colori del
giorno come pastelli su carta bagnata. Lungo la Via
Mokhovaya Ulitsa, feci segno a un’auto di fermarsi. Il
conducente sulla cinquantina decelerò accostandosi
gradualmente sul ciglio destro della carreggiata. Premendo un bottone vicino al volante abbassò il finestrino anteriore e sorrise cordialmente.
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- Buona sera! - Mi salutò. Aveva un’aria affidabile, e la
sua macchina profumava di concessionaria. Dall’interno proveniva un ameno tepore, e la stazione radio su
cui era sintonizzato stava trasmettendo un pezzo di Varvara, Tayal sneg, il mio favorito, una ragione in più per
salire. Ricambiando il saluto, mi rivolsi all’uomo chiedendogli se fosse disposto ad accompagnarci al Gorki
Park per la cifra di cento rubli. L’uomo accettò volentieri invitandoci all’interno. Mentre aprivo la portiera,
notai che Astrel esitava a salire mostrando una certa
diffidenza.
- Su, Astrel, andiamo! Questo signore è disposto ad accompagnarci. –
- Ma, lo conosci? – Mi chiese, sperando che rispondessi
di sì. Sorridendo, compresi che Astrel non era conoscenza di quella tipica usanza moscovita.
- No, non lo conosco. – Le risposi con sincerità. – Vedi,
qui a Mosca ci sono pochissimi taxi e quando la gente
non ha voglia di prendere la metro, chiede dei passaggi
a pagamento. Lo fanno in tanti, basta accordarsi sul
prezzo. – Astrel obbiettò ancora incerta.
- Una sorta d’autostop? - Sì, più o meno. – Le risposi, mentre salivamo in macchina e l’uomo partiva.
- Che strano, a Londra sarebbe impensabile chiedere
passaggi agli estranei. – Commentò lei, mentre la città
scorreva oltre il finestrino.
- Forse perché ci sono troppi autobus a due piani. – Ribattei sorridente.
Avvolta nella penombra crepuscolare, la biblioteca del
Majakovskij riecheggiava i torvi silenzi di un’abbazia
gotica. Davanti all’ingresso, alcuni docenti scambiavano considerazioni sulla didattica colloquiando a voce
bassa. Un allievo sedeva sulla scala a libretto consul122
tando assorto alcuni testi appena prelevati dallo scaffale, affiancato da un giovane che sgranocchiava biscotti
salati. Al centro della stanza un inserviente dava la cera
al pavimento sperando di arrecare il minor disturbo
possibile. Seduta a un tavolo da lettura con la lampada
pieghevole accesa, Liudmila attendeva che la sua compagna di classe si presentasse all’appuntamento, e per
ingannare il tempo sfogliava una rivista di moda. La caterva di libri classificati sugli scaffali poteva offrirle intrattenimenti migliori di un semplice magazine che
spiattellava modelle imbronciate e anoressiche, ma
Liudmila sembrava allergica alla cultura, non riusciva
a coglierne l’importanza. Soltanto lo shopping la rendeva appagata, o quelle intriganti serate trascorse a ciarlare con le amiche tra una spennellata alle unghie e l’altra. – Non capisco perché la gente spreca carta stampando libri, quando potrebbe impiegarla per stamparvi
rubli. – Diceva spesso e stupidamente, guadagnandosi il
benestare di chi la pensava esattamente come lei. Dei
passi svelti ed echeggianti attraversarono la biblioteca
creando una sorta di fischio, simile a quello che accompagna i giocatori di basket nelle palestre. Liudmila li
sentiva sempre più incalzanti, ma non si voltò. Sapeva
già che la sua compagna di classe stava per raggiungerla, soltanto lei poteva calpestare l’eleganza del Majakovskij con delle inappropriate Converse.
- Potresti spiegarmi quale oneroso debito mi lega a te? Esordì la ragazza, richiamando Liudmila all’attenzione.
– Sappi che io non ti devo alcun favore! – sbottò perentoriamente. Liudmila si concesse un sorriso mordace.
- Non mi devi alcun favore? Ne sei persuasa? - Sì, ne sono assolutamente persuasa. – Ribatté la ragazza senza farsi intimorire da quell’atteggiamento bieco.
123
- Ebbene, mettiamola così, carina: c’ero anch’io l’altra
sera al Goldman, e ti ho vista quando ubriaca fradicia ti
sei tolta il reggiseno e ti sei messa a ballare su una sedia. - La ragazza avvertì i muscoli addominali contrasi
in uno spasmo virulento che le troncò il respiro.
- E con ciò? – Disse, sforzandosi di non far vacillare la
voce.
- Se ora non mi aiuterai in quello che ti chiedo, farò in
modo che lo sappia tutta la scuola. – La studentessa rimase di sasso, una repentina sudorazione accompagnò
le palpitazioni del suo giovane muscolo cardiaco.
- E’ una minaccia questa? Raccontalo pure a chi vuoi,
se non hai le prove per dimostrarlo, gli altri penseranno
che siano i tuoi soliti pettegolezzi. - Chi ti dice che non ho le prove? – Chiese Liudmila,
porgendo alla compagna una busta bianca che aveva
appena recuperato dalla borsa. La ragazza estrasse il
contenuto della busta e lo fissò incredula, oltre dieci
scatti la ritraevano ubriaca e svestita mentre con ilarità
danzava attorniata da turisti americani.
- Oh mio Dio… - Balbettò tramortita. – Non posso essere io. - Di quella serata le rimanevano pochissimi ricordi, l’alcol li aveva offuscati in un groviglio intricato
di luci e suoni. Le foto che stava sfogliando supplirono
al vuoto di memoria, con fredda obbiettività le mostrarono un inedito aspetto del suo carattere, dove il senso
del pudore era migrato negli sguardi di chi la osservava.
– Come ho potuto spogliarmi davanti a tutti quei ragazzi? – Si domandò confusa, iniziando a stracciare le foto
con dei movimenti brevi e tremolanti delle mani. Liudmila non la fermò, le permise di ridurre gli scatti in
brandelli.
- Puoi anche bruciarle se vuoi, io non sono una sprovveduta, le originali si trovano nel mio PC. 124
- A chi le hai mostrate? – Domandò la ragazza, consapevole di dover cedere ai ricatti di Liudmila.
- A nessuno finora. - Rispose lei osteggiando una flemma che risultava quasi cortese. - E nessuno ne verrà mai
a conoscenza, se tu mi aiuterai in ciò che ti chiedo. –
- Dunque, non mi resta che pagare il tuo silenzio? –
- Vedo che cominci a ragionare. – Commentò Liudmila,
felice di poter piegare qualcuno alla propria volontà.
- Dimmi che cosa vuoi! – L’asservì la giovane profondamente umiliata.
- Ecco, diciamo una mano d’aiuto per intrufolarmi in
camera dell’ultima arrivata, non dovrai far altro che star
di guardia davanti l’uscio, mentre io do un’ occhiata
all’ interno. –
- Ma sei impazzita? – Strillò la ragazza – Sai benissimo
che queste cose non si possono fare, pensa a come ci
punirebbe la Rosencrans se ne venisse a conoscenza! –
- Oh, come siamo fifone. – La canzonò Liudmila. - Hai
paura della preside? Allora stai ben attenta, non vorrei
che le tue foto finiscano per sbaglio in mezzo ai suoi
documenti. –
- No, ti prego! Liuda non farlo, i miei genitori ne verrebbero presto a conoscenza. – La supplicò la ragazza
giungendo le mani come si fa innanzi a un’icona religiosa.
- Aiutami, è l’unico modo per evitare che ciò accada. Concluse Liudmila, con inamovibile fermezza. La campanella della scuola suonò puntuale alle diciotto. Il suo
trillo acuto indicava la conclusione di tutte le lezioni e
accompagnava per circa un minuto il caos di ragazzi
che dalle aule si riversavano nei corridoi. Liudmila uscì
dalla biblioteca con appresso la compagna di classe. La
borsa sportiva che portava a tracolla conteneva una
grossa somma di rubli, tutti in contanti, tutti vinti dalla
125
Rosencrans al casinò Arbat. “ Quando li avrai nascosti
in camera della londinese, io denuncerò la scomparsa
del denaro, e farò intervenire le forze dell’ordine. ” Il
piano della preside superava d’ingegno il suo, e se pur a
malincuore, Liudmila dovette ammetterlo a se stessa.
Col senno del poi si pentì di non aver fatto altrettanto
quando poteva agire nero su bianco, a ogni modo, una
seconda chance per riscattare il suo errore si schiudeva
all’orizzonte, e la giovane era fiduciosa di potersela cavare egregiamente. Stringendo a sé la borsa l’allieva si
fece strada tra i ragazzi che congestionavano le scale, e
dopo averle salite, s’incamminò per il corridoio ovest
del primo piano; la sua compagna le stava dietro fissandola con sguardo accigliato. Le porte delle camere si
susseguivano monotonamente tra venature di palissandro e targhette in ottone incise da numeri. Sui muri i
volti d’insigni personaggi storici incorniciati nell’onorificenza dei quadri, parevano osservare le due ragazze
con taciturno dissenso. Liudmila incalzò il passo fino a
che non giunse innanzi all’uscio che le interessava. Rapidamente cacciò l’occhio in fondo al corridoio per sincerarsi che nessuno s’aggirasse nelle vicinanze, e con
un gesto nervoso inserì una chiave nella serratura.
- Chi ti ha dato quella chiave? – Domandò la ragazza,
stazionando accanto a lei con una spalla poggiata al
muro.
- Questa chiave? Ehm… - temporeggiò Liudmila – Il
signor Vyacheslav Lavrov. E’ la copia che tiene in portineria. - Concluse frettolosamente dando due giri di
serratura.
- Il signor Vyacheslav Lavrov? – Ripeté la ragazza con
scetticismo. - Così è tuo complice? Andiamo, gliel’avrai rubata. 126
- Chiudi il becco, dannazione! – Eruppe Liudmila,
muovendo la maniglia verso il basso e aprendo la porta.
- Resta qui e non ti muovere di un solo millimetro. Ordinò minacciosamente, dirigendosi all’interno della
stanza. Una delicata essenza di talco inebriò le sue narici, ma lei non si lasciò sedurre e aggrottò il volto quasi
fosse uno sgradevole miasma. La studentessa cominciò
a scrutare intorno a sé con subdola indiscrezione . L’ordine che dominava su tutto non serbava neppure un angolo al caos, e ciò la colpì in modo particolare, la sua
camera appariva un campo di battaglia al raffronto. Dal
lampadario fissato al centro del tetto, pendeva giù un
acchiappasogni in legno di salice. Le sue piume colorate attingevano vita dall’aria, e fluttuando su ignoti itinerari animavano il pavimento con ombre ballerine. Su
tutti i vetri delle finestre, farfalle di carta lucida sfolgoravano in armonica allegria, eclissandosi a tratti nella
seta celeste delle tendine. L’obiettivo precipuo di Liudmila era di trovare un luogo strategico dove celare il denaro, e sgattaiolare via a lavoro compiuto, ma il desiderio irrefrenabile di sbirciare all’interno di beautycase e
cassetti, tipico del suo carattere puerile, la costrinse a
modificare parzialmente i piani d’azione. Vittima della
curiosità, si diresse verso l’armadio e l’aprì. Vi frugò
come una bambina che ammira di nascosto gli abiti della mamma, e fa un giro veloce sui tacchi affondandovi i
piedi. Poi corse a scartabellare alcuni giornali stipati
sotto la scrivania, ma i periodici che trattavano di scienze e attualità non potevano interessarla. Infine, si recò
nel bagno e cominciò a giocherellare con i prodotti make-up.
- Liuda? Devi fare molto? Sono stufa di aspettare qui! –
Protestò la ragazza dall’ingresso. Liudmila sussultò, e
con le labbra imbrattate dalla sbavatura di un rossetto
127
uscì dal bagno. Forse era giunto il momento d’occuparsi del denaro, tuttavia, un portagioie ornato con pepite
colorate e fili in oro, posto su un comodino, suscitò ai
suoi occhi un’attrattiva irresistibile. “ Aprimi.” Sembrava sussurrarle, “Vieni a scoprire cosa si cela al mio interno ”. Quasi ipnotizzata, la studentessa si avvicinò al
portagioie, e lasciò che le sue mani vi si posassero lentamente. Con entrambi i pollici premette sulla chiusura
a scatto, e una volta apertala, la ragazza sollevò il coperchio superiore del cofanetto. L’interno del portagioie era rivestito da elegante raso vermiglio, e tra fermagli
e orecchini di vario genere, si nascondeva un piccolo
diario dalla copertina rosa. Liudmila fissò il contenuto
del portagioie con sguardo da predone, come un pirata
che brama innanzi a uno scrigno che tracima dobloni. –
Un diario, uno di quelli che non si fanno leggere a nessuno! – Esclamò eccitata, recuperando il libricino. Vola al di là della neve - lesse ad alta voce – Vola al di
là della neve? – Si domandò, del tutto incapace di
astrarne il senso. – Cos’è? Un catalogo per i tropici? –
La giovane allieva si accomodò su uno dei due letti,
pronta a cacciare il naso tra le pagine di un diario che
non le apparteneva. Nessuno scrupolo le balenò in coscienza detenendola dal violare i pensieri segreti che
quei fogli custodivano, e avventurandosi nella lettura,
s’imbatté in romantiche poesie, in citazioni famose e in
aneddoti di vita. Nulla che fosse degno di ricevere la
sua attenzione. Probabilmente, Liudmila si aspettava
una piccante antologia di pettegolezzi con maldicenze
d’ogni tipo, e magari, anche una serie di stuzzicanti episodi a sfondo erotico arricchiti da minuziose descrizioni.Tuttavia, procedendo negli scritti, la giovane allieva
rintracciò qualcosa che la sorprese. La sua espressione
si tinse di sbalordito sgomento, più avanzava nelle ri128
ghe spostando le pupille da sinistra a destra, più articolava smorfie di sdegnato diniego.
– Loro due…- realizzò con gli occhi sgranati dallo stupore. – Non posso crederci! E’ rivoltante. – commentò,
percorsa da brividi di repellenza. Adesso Liudmila sapeva. Adesso tutto sarebbe cambiato. Il diario, da sempre emblema di private confessioni, aveva inconsapevolmente tradito, prostrandosi inerte alla foga di famelici occhi che ne avevan divorato il contenuto. Liudmila
non era una ragazza dalla spiccata perspicacia, di questo nessuno poteva dubitarne, ma dal basso della sua ingenuità, ella comprese di possedere un’arma micidiale
da scagliare contro la sua acerrima rivale inglese. Il denaro era passato in secondo piano, quasi l’allieva non
rammentasse più di essersi recata in quella camera con
uno scopo determinato; d’altronde, se alla Rosencrans
urgeva un pretesto per cacciar via Astrel dall’istituto,
quell’insignificante diario gliel’avrebbe servito su un
piatto d’argento.
- Insomma, hai finito? – Sollecitò nuovamente la ragazza, facendo capolino dallo stipite della porta. Liudmila
annuì alzandosi dal letto. Con un gesto accurato stirò la
coperta in modo da cancellare il suo passaggio, poi trafugò il diario riponendolo nella borsa, e si allontanò insieme ai rubli.
Il Gorki Park è uno dei più famosi e divertenti giardini
di Mosca. Sorge proprio sulla riva del Moscova e si
estende per circa tre chilometri. Al suo interno si trova
un piccolo luna park dotato di ruota panoramica, e spesso nell’auditorium del parco vengono organizzati concerti rock. In estate, le barche che salpano dal molo effettuano qualche escursione lungo il fiume, in inverno
invece, i laghetti artificiali si congelano completamente,
trasformandosi in sconfinate piste di pattinaggio. Perfi129
no gli Scorpions lo avevano citato in un loro brano
“Wind of change” e lo scrittore Martin Cruz vi aveva
ambientato un thriller agghiacciante nel suo libro dal titolo omonimo. Con l’arrivo della stagione fredda, potevo tirar fuori dalla scatola i miei pattini da ghiaccio e
recarmi al Gorki Park, dov’ero solita trascorrere interi
pomeriggi slittando libera e veloce sulla gelida coltre
che ricopriva le acque dei laghetti. Astrel mi aveva appena confidato di non cavarsela bene sui pattini, che l’idea d’indossarli le faceva pensare a tutti i lividi che
avrebbe contato sulle ginocchia e sui gomiti, eppure,
adesso si trovava proprio lì, su un’enorme pista ghiacciata, insieme a me e a tanta gente che desiderava provare l’ebbrezza di planare in tutta libertà.
– Ti prego tienimi! Sto per cascare. – Letteralmente avviluppata al mio braccio, Astrel tentava di mantenere
l’equilibrio muovendosi con prudenza.
– Andiamo, Astrel, non è poi così difficile; guarda me e
non aver paura di cadere. – Astrel sembrò persuadersi e
con cautela abbandonò la presa sul mio braccio. Vacillante abbozzò qualche passo scoordinato, sforzandosi di
governare i pattini che indossava ai piedi; due o tre giri
di pista, e il suo portamento migliorò notevolmente. In
men che non si dica la paura d’impattare sul ghiaccio
divenne per lei un ricordo remoto, e se adesso stringeva forte la mia mano, lo faceva per un’altra ragione. La
pista era colma di gente quel pomeriggio, una danza irrefrenabile di cappellini e sciarpe colorate che spiccavano sul suolo bianco. L’aria fermentava di nuovi sapori, con lei vicino, tutto gustava di zucchero filato. Concedendomi alla verve, liberai il cuore dai fantasmi che
lo tormentavano, e tutte le mie paure, tutte le angosce,
le preoccupazioni e la solitudine che regnavano tiranne,
sfumarono d’improvviso quasi non fossero mai esistite.
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“Una creatura rinata” è così che mi sarei narrata a qualcuno che me l’avesse chiesto. Dal cielo bruno, nivei batuffoli discesero al suolo sfiorando l’aria. Molti pattinatori accolsero i doni dell’inverno approntando i palmi
in aria, Astrel si fermò al centro della pista e ricambiò
la carezza delle nuvole con un dolce sorriso che sboccio
tra le sue gote arrossate dal gelo.
- Sei la mia principessa. – Le sussurrai, convinta di vivere una favola romantica. Astrel mi condusse a un palmo dal suo volto.
- Anche tu sei la mia. – Rispose, stringendomi le mani e
trascinandomi via con lei. Insieme volammo come libellule, esplorando l’aria e lo spazio che ruotava complice intorno a noi, fino a quando, l’inesperienza d’Astrel sui pattini le causò una brusca scivolata che coinvolse anche me.
L’impatto con il suolo fu duro, violento, ma nessuna di
noi due si fece male. Una situazione esilarante, per certi
aspetti anche un po’ imbarazzante. E’ con questi termini che in genere si può descrivere una figuraccia, ma
nel ricordo che serbo di quel momento, colgo solo delle
romantiche emozioni. La dinamica “dell’incidente” fu
tale, che ci ritrovammo l’una sopra l’altra, inevitabilmente vicine e strette, fisse negli occhi come non mai.
Stravaccate sul ghiaccio, sentivamo già i vestiti inzupparsi d’acqua, ma le nostre risate c’impedirono di curarci del freddo.
- Svetlana? – Pronunciò Astrel, sfiorandomi la guancia
con il suo guanto ricoperto di brina.
- Dimmi. – Lei mi guardò con rilucente idillio, come
fossi una dea, e per un incommensurabile momento credei davvero d’esserlo.
- Svetlana, io credo di… no, non lo credo, lo sento. Io
sento d’amarti. – Tutto languì d’immediato, e il mondo
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smise d’orbitarci intorno; suoni, luci, e colori, si ovattarono in un alone sfocato. Ora il resto non esisteva più.
- Tu mi ami, Astrel?- Le domandai con un sussurro
sfiatato, temendo d’aver udito male.
- Sì, io ti amo. – Ripeté, con una dolcezza tale, che
avrebbe reso in fiore anche gli sterpi. - Prima d’incontrarti, la mia vita era un puzzle frammentato, un susseguirsi caotico d’eventi che procedevano senza una coerenza. Ogni giorno mi guardavo allo specchio e mi domandavo se valesse la pena continuare a respirare un’esistenza priva di pathos ma con te ogni afflizione tace, e
tutto riacquista il suo brivido vitale; sei la primavera
che ha disgelato il mio cuore. - Quali soavi melodie!
Erano dedicati a me quei voli pindarici? A una ragazza
così delusa dalla vita, tanto da considerare l’amore un
banale espediente per imbellettare romanzi?
- Anch’io ti amo, Astrel. - Risposi, dichiarando amore
per la prima volta. – Sento che tra noi fluisce un legame
inscindibile, qualcosa che ci rende complementari,
come in un incastro perfetto. - Come la luna piena. - farfugliò lei, protendendo il volto verso il mio con le labbra struggenti di desiderio. La
voglia di fonderci in un lungo e romantico bacio brillò
nei nostri sguardi come la scia di una cometa, ma la
gente continuava a slittare anonima in ogni direzione, e
a noi non era concesso vibrare nell’abbraccio di Venere. Avremmo dovuto compiacere ai canoni del buon costume? Lasciare che essi spadroneggiassero in noi facendo razzia dei sentimenti? Piegarci ai dettami di
un’indole tiranna sarebbe equivalso ad assassinare la
nobiltà dell’amore e a ripudiare la sublime ambrosia
che ci offriva. Giungendo le nostre labbra ci baciammo
con ardore; impudenti contro chi bofonchiava sbigottito
o ridacchiava imbarazzato; noi e soltanto noi, libere e
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fiere di godere ciò che nessuno avrebbe mai potuto sottrarci.
La direttrice Rosencrans sostava di sbieco al colossale
portone del suo istituto. Rattrappita dal gelo serale, la
donna chiuse l’ombrello e lo sbatacchiò dal manico per
scrollare via lo strato di neve depositatovi, poi liberò la
mano sinistra dal guanto e scosse anche il colbacco.
Liudmila osservò la scena attraverso una finestra del
primo piano, e spedita corse giù per raggiungere la donna, doveva parlarle assolutamente. La Rosencrans s’incamminò all’interno del Majakovskij attraversando l’atrio d’ingresso con andamento lesto; tra le rughe dei
suoi lineamenti palesava la collera per l’ennesima sconfitta al poker.
- Signorina Rosencrans? - La chiamò Liudmila a gran
voce, scendendo anelante l’ultimo gradino delle scale.
A tracolla indossava ancora la borsa sportiva, che appesantita balzava su e giù scontrandosi con i fianchi della
ragazza. La preside si voltò verso l’allieva.
- Cosa sono questi schiamazzi da carampana? – La boicotto inarcando la fronte e folgorandola con uno sguardo truculento.
- Devo riferirle qualcosa di molto importante. – Incalzò
Liudmila. – Ho trovato un diario nella camera della
nuova arrivata. – Spiegò affannata.
- Lei ha trovato un diario? Oh, che romantico! – Replicò la donna con spregevole ironia – Mi parli del denaro
piuttosto, in quale punto della stanza lo ha collocato? –
Liudmila approntò il palmo della mano verso la donna,
quasi a volerla interrompere, e galvanizzata proseguì il
filo del suo discorso.
- I soldi sono ancora qui, dentro la mia borsa: dopo ciò
che ho letto 133
- Come sarebbe? – Proruppe furente la Rosencrans,
ghermendo Liudmila per il collo della camicetta e strattonandola con impeto. – Io le avevo chiesto una cosa.
Una semplice, elementare, dannatissima cosa! Lei ha
osato disobbedirmi. – Liudmila si divincolò tramortita e
indietreggiò vacillando; il viso cremisi della preside
avrebbe terrorizzato la paura stessa.
- No, io non le ho disobbedito. Mi creda, c’è una spiegazione plausibile a tutto ciò. –Si giustificò l’allieva,
tentando di rabbonire l’ira incontenibile della direttrice.
- Si è scavata la fossa con le sue mani, Liudmila Borisovna. -Sentenziò la Rosencrans con un infido ammiccamento.
- Lei è in errore! – Obbiettò l’allieva, forte delle sue ragioni. – Sono convinta che cambierà idea dopo aver
preso visione del diario che le mostrerò. –
- Prendersi gioco di me la diletta? Sarebbe un tragico
errore provarci, una nefandezza che le farei pagare
amaramente. – Liudmila dissentì in eloquente silenzio.
- Orbene – Esordì la donna, decisa a prestare udienza
alla giovane allieva - mi delizi con le bazzecole di questo diario, e implori i santi affinché io non decreti la
malaugurata sentenza di sbatterla fuori dal Majakovskij. –
CONTINUA …
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Vola al di là della neve