Un laboratorio di formazione aperto ai giovani per poter vivere a pieno sfide e opportunità della società multiculturale Sintesi di alcuni interventi a cura di Anna Granata Durante i mesi autunnali del 2009, l associazione Arcobaleno, da sempre impegnata sul fronte dell accoglienza e dell insegnamento della lingua italiana agli stranieri nella città di Milano, ha promosso un percorso di approfondimento e confronto sui temi della società multiculturale, rivolto a un piccolo gruppo di giovani italiani e stranieri. Pensato nella forma di un laboratorio di confronto e scambio, Il mondo che vorrei ha visto succedersi interventi di giovani ricercatori, esperti di immigrazione e intercultura, sul fronte giuridico, psicologico, linguistico, pedagogico ed economico, con l intento di fornire un quadro generale e allo stesso tempo variegato della tematica. A seguito di ciascun intervento, è stato aperto un dialogo tra i partecipanti, raccogliendo domande, riflessioni e proposte che hanno fatto di questo percorso una preziosa occasione di conoscenza reciproca e di scambio interculturale. Questo fascicolo, in cui vengono raccolte le sintesi di alcuni degli interventi proposti, vuole essere un agile strumento di diffusione di contenuti e informazioni, rivolto a un numero più esteso di persone e in vista di ulteriori opportunità di riflessione, nella convinzione che un bagaglio di conoscenze sui temi interculturali sia oggi necessario a chiunque voglia vivere in maniera aperta e consapevole nella nostra società. Anna Granata 2 Indice Spazi di relazione interculturale. Le frontiere dentro e fuori di noi 4 di Laura Contardi Identità in gioco. Diventare italiani, diventare stranieri 6 di Anna Granata Il percorso di un immigrato in Italia 8 di Roberto Falessi e Mohammed Haida Tradurre mondi diversi. Mediazione e confronto tra culture 10 di Maria Rezzonico La ferita dell'altro. Economia, reciprocità e relazioni interpersonali 13 di Andrea Penazzi 3 Spazi di relazione interculturale. Le frontiere dentro e fuori di noi Laura Contardi, psicologa (15 ottobre 2009) Cultura, culture, intercultura Non si tratta di tre realtà ma di una sola: la cultura oggi è immediatamente plurale anche nella esperienza quotidiana che ne facciamo. Tuttavia, siamo bloccati in un dilemma tra etnocentrismorelativismo, infausto perché entrambi ignorano l essenziale: l etnocentrismo, presumendo una superiorità della cultura di appartenenza, rinuncia a vedere non solo l altro ma anche se stessi, il relativismo rassegnandosi a subire ogni rivendicazione che venga avanzata in nome della differenza sono risposte inadeguate alle sfide di oggi, perché promuovono quel multiculturalismo a mosaico , che rende problematico il concetto stesso di multicultura , nel cui nome vengono erette barriere, violati i diritti, promossa una visione dell appartenenza che mortifica l iniziativa delle persone. Nel pensare (più o meno consapevole) al rapporto tra culture è facile commettere due errori: Primo errore: The west versus the rest La concezione evoluzionista della cultura (nata nell 800) proponeva di considerare le culture come collocate su un percorso lineare al termine del quale si trovava la civiltà europea. Vi era certezza dell esistenza di un unica via verso il progresso e le società extraeuropee erano collocate in qualche punto di un continuum tracciato dalla storia europea; una conseguenza della concezione evoluzionista era costituita dal fatto che essa affidava alle nazioni europee il compito di civilizzare le società primitive. Ma l idea degli stadi di sviluppo delle culture è infondata dal punto di vista storico: nulla ci autorizza a vedere nella storia umana una linea di marcia unica verso un progresso definito negli stessi termini per tutte le società. Oggi un filone di studi (la ricerca cross-culturale) propone semplicistiche dicotomie tra un monolitico occidente e un altrettanto monolitico resto del mondo : tali contrapposizioni riflettono l eredità della concezione coloniale incorporata nell espressione the West versus the Rest. Un curioso contenitore questo di occidente , in cui capita di essere dentro o fuori a seconda dell argomento di cui si sta parlando: l Italia non è tanto occidentale se si parla di forme di partecipazione politica, ma lo è se si parla di Michelangelo, Raffaello e Leonardo. Come poi sia possibile collocare in uno stesso contenitore il resto del mondo è difficile da capire. Secondo errore: La reificazione della cultura Nella pratica quotidiana usiamo un concetto inadeguato di cultura, come se fosse una realtà monolitica, pensando che le frontiere tra i gruppi, così come i contorni delle loro culture, siano ben definiti e relativamente facili da descrivere. Si rischia, così, di reificare le culture come entità separate sopravvalutandone le diversità e l impermeabilità dei confini, si rischia di sopravvalutare l omogeneità interna delle culture ed, infine, si trattano le culture come fossero dei contrassegni delle identità di gruppo. In realtà, le culture sono sistemi porosi, spazi di scambio, sistemi di risorse disponibili agli attori sociali per la loro interazione con l ambiente. Sono risorse per l azione, che consistono in artefatti, siano oggetti o idee: norme, valori, punti di riferimento, criteri per distinguere il bene dal male. Occorre comprendere che le culture sono costruzioni narrative realizzate in modi diversi da attori sociali diversi, che le persone innovano continuamente le loro tradizioni, le culture sono insiemi di risorse situate che le persone hanno a disposizione per dare senso alle proprie esperienze e per agire. Tra culture non ci sono frontiere definite ma spazi in cui vivono dei noi particolari in mezzo a dei particolari loro (e viceversa), ma perché dobbiamo pensare a due gruppi contrapposti? Come mai viene stabilita un opposizione invece che una relazione? Perché non pensare a noi e loro mescolati in modo tale che non ci sia un noi senza un loro e viceversa? Non è proprio questo il concetto di intercultura? L intercultura è riconoscere le culture, le appartenenze, le identità, ma sempre avendo chiaro che esse non sono realtà omogenee bensì spazi di scambio, risorse per l azione, narrazioni condivise e contestate. La presunta identità comune si scompone, non appena cerchiamo di definirla, in molteplici 4 appartenenze politiche, culturali, professionali, sensibilità, generazioni, territori, famiglie, educazione, ecc: pochi saprebbero dire che cosa significhi essere europei oggi. È necessario applicare anche alle altre culture le sottili distinzioni che sappiamo fare benissimo quando parliamo del nostro mondo. Gli stereotipi che non usiamo per definire la nostra cultura sembrano andare invece benissimo per definire le altre. Questo modo di pensare stigmatizza le persone erigendo intorno ad esse barriere che non hanno alcuna giustificazione. Cosa fare? 1- Il rispetto per i mondi culturali e morali diversi è quasi impossibile, se pensiamo che il nostro mondo sia superiore: la rinuncia alla pretesa di una superiorità è alimentata soprattutto da una visione realistica di se stessi. Le pagine meno gloriose del nostro passato sarebbero le più istruttive se solo accettassimo di leggerle per intero. Il passato è fruttuoso non quando serve a nutrire il risentimento, ma quando il suo gusto amaro ci spinge a trasformarci (Todorov, 1996). La mancanza di una riflessione critica sulla nostra storia non è frutto di distrazione, superficialità, mancanza di tempo, ma il prodotto di una efficace tecnica di rimozione. Nella nostra storia ci sono tante cose orribili di cui però noi non possiamo essere ritenuti responsabili in senso proprio. Nel momento in cui parliamo della nostra cultura, della nostra tradizione, dobbiamo farcene carico davvero, per evitare di continuare negli stessi errori, per evitare di avere un idea falsa di noi stessi. Il problema è quello di riconoscere le pagine meno gloriose della nostra storia per sapere chi siamo e per cercare di correggerci. 2- Occorre anche acquisire la capacità di comprendere ciò che non si può accettare , la capacità di cogliere sistemi di valori diversi anche se non si sente il bisogno di condividerli: capire inteso nel senso di comprendere, percepire e intuire, dev essere distinto dal capire come concordanza di opinioni, unione di sentimenti o fedeltà comune a determinati valori. Comprendere ciò che in qualche modo ci è estraneo, e che verosimilmente resterà tale, senza minimizzarlo con vaghi commenti di varia umanità , senza vanificarlo con un atteggiamento indifferente del tipo a ciascuno il suo , né respingerlo considerandolo affascinante e persino attraente ma illogico, è un abilità che dobbiamo faticosamente apprendere; è, una volta che l abbiamo appresa dobbiamo continuamente sforzarci di tenerla in vita (Mantovani). Se non si sviluppa la capacità di comprendere anche ciò che non si condivide, si afferma una concezione arrogante che accetta l altro solo nella misura in cui lo si vede come assimilato o almeno assimilabile. È questo il presupposto della globalizzazione intesa come diffusione su scala planetaria della cultura e delle tecniche occidentali. 3- Gli scambi interculturali hanno una struttura dialogica. Tuttavia, ci sono scambi in cui non ci si propone di comprendere gli altri, ma di indagare le sue abitudini e credenze per poterlo giudicare ed eventualmente condannare. Le domande assomigliano più ad un processo inquisitorio che a tentativi di entrare in mondi altri . Non è vero che basta aumentare le occasioni di dialogo perché le persone si comprendano di più e, nei limiti del possibile, si accettino. Il dialogo può allontanare le persone, anziché avvicinarle, se viene condotto in modo aggressivo e se non esistono nei partecipanti né le risorse cognitive né la volontà di comprendere le ragioni dell altro . Il dialogo tra membri di differenti culture richiede attenzione e apertura mentale. Il rispetto dell altro non è semplicemente una regola di buona educazione. Ha una radice più profonda: riconoscere che l altro custodisce un immagine della verità, della bellezza, dei valori diversa da quella che conosciamo ma necessaria anche a noi per non sviluppare una visione non difensiva della nostra identità e tradizione. La creazione di uno spazio interculturale non è una questione di tolleranza dell altro, nel senso che gli si concede di comportarsi come crede fintanto che non invade spazi che non gli appartengono. Il dialogo può diventare una risorsa solo se siamo genuinamente interessati a ciò che distingue l altro e lo rende partecipe di tradizioni che hanno dato soluzioni diverse dalle nostre ai problemi della condizione umana. 5 Identità in gioco. Diventare italiani, diventare stranieri Anna Granata, pedagogista interculturale (22 ottobre 2009) E solo verso i 21 anni che ho cominciato a comprendere il senso delle parole che mia nonna mi ripeteva da bambina: cerca di diventare qualcosa per non essere né carne né pesce . Per una qualsiasi altra bambina italiana queste parole non avrebbero avuto un significato particolare se non quello di diventare grande. Per me, invece, divisa tra una natalità italiana e una faccia scura, che parlava di una terra lontana, la frase da lei pronunciata voleva dire molto di più 1. Passare da una condizione infantile ad una adolescenziale non è la sola esperienza di passaggio che i figli degli immigrati si trovano a gestire, durante la crescita. Ad essa si aggiungono almeno altri tre motivi di cambiamento: l esperienza del viaggio, tanto più rilevante quanto più vivo è il ricordo del paese d origine con i suoi paesaggi, i suoi affetti, uno stile di vita magari edulcorato dal ricordo o segnato dalla fuga e dalla paura per una condizione di pericolo; l esperienza della differenza, percepita e resa visibile dal momento in cui il gruppo dei pari sottolinea e rimarca le origini straniere di chi è nato e vissuto in Italia, ma si caratterizza per tratti somatici che rimandano a un altrove; l esperienza della traduzione nel passaggio quotidiano dal proprio mondo famigliare, con le proprie tradizioni culturali e religiose, a quello della società italiana, col suo stile di vita e le sue regole scritte e non scritte. Proviamo in queste brevi righe ad accostarci a queste tre esperienze che connotano in maniera precoce le vite di molti bambini e ragazzi di origine straniera. L esperienza del viaggio. I figli degli immigrati arrivati in età consapevole vivono direttamente il trauma della separazione dal loro mondo di origine. Conoscono un prima e un dopo che devono connettere, e questo non è sempre agevole, soprattutto se l evento migratorio interviene quando sono già grandicelli. In questo caso attraversano un trauma doloroso, fatto di separazione da persone care, dal contesto in cui sono cresciuti, per essere innestati in un ambiente nuovo, nei cui confronti spesso sperimentano una sensazione di profonda estraneità. Essi, oltretutto, non sono sostenuti dalle intense motivazioni che hanno spinto i loro genitori a migrare, ma vivono il viaggio come qualcosa che subiscono passivamente, e non di rado lo possono percepire come una vera e propria violenza 2. L esperienza del viaggio spesso rimane scolpita in maniera indelebile nella memoria di questi bambini: il giorno, l ora, le sensazioni, le luci, il clima, così come le immagini di una casa, di una scuola, di una città sconosciute; immagini che vengono richiamate alla memoria attraverso dettagli precisi: lo sguardo della maestra, il primo giorno nella nuova classe, la casa più piccola rispetto a quella lasciata al paese, il senso di spaesamento dei propri genitori, una lingua mai sentita prima. L esperienza della differenza. Per i bambini e i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri la situazione è molto diversa: conoscono l Italia come unico luogo in cui vivere e non provano quel sentimento di nostalgia per il passato, per una condizione perduta, per un paese abbandonato, ma conoscono solo il presente della loro condizione. Eppure, spesso, anche loro parlano di un prima e di un dopo nel passaggio dall omologazione al gruppo dei coetanei che caratterizza l infanzia, a una condizione di estraneità con cui si apre in genere l adolescenza. Twine li chiama boundary events 3 (eventi confine), episodi che segnano un punto di non ritorno nella biografia di questi ragazzi e possono nascere da riferimenti blandi a una differenza, sotto forma di una domanda o di uno sguardo compassionevole, oppure da veri e propri atteggiamenti razzisti che minano la stima di sé e condizionano l identità di chi sta crescendo e registra con particolare sensibilità il giudizio delle persone intorno. 1 Brano tratto dal forum della Rete G2 seconde generazioni. Sito internet http://www.secondegenerazioni.it Mazzetti, M. (2004), L'adolescenza: una nuova età dell'immigrazione, in BAB Passaggi e Paesaggi Interculturali , n. 4, Centro Interculturale della città di Torino 3 Twine F. W. (1996), Brown skinned, white girls: class, culture and the construction of white identity in suburban communities in Gender, Place and Culture, n. 2 2 6 Così una ragazzina di origine pakistana ha messo a fuoco il suo boundary event : Cammino nell atrio della scuola... La gente cammina accanto a me, affollando i corridoi. Sono una di loro. Mi vesto come loro, parlo come loro, persino impreco per essere dura come loro. Sono coinvolta nella scena, presa nel gesticolare da dodicenne. «P-A-K-I», qualcuno grida... Per me si è fermata la scena... Mi muovo tra gente bianca, seguendo solo i gesti. Mi sento come se qualcuno mi avesse scoperto. Gli occhi sono tutti puntati su di me, adesso. L intruso è stato identificato 4. I figli degli immigrati sono coscienti, fin da molto giovani, di essere considerati diversi dai propri coetanei italiani, rischiano così di sviluppare un identità negativa nel momento in cui si accorgono che anche se fanno di tutto per assomigliare alla maggioranza, vengono considerati sempre, più o meno, persone venute da un altro paese. L esperienza della traduzione. Attraversare soglie, uscire da una cornice culturale per entrare in un altra, adoperare una lingua in ambito privato e poi un altra in ambito pubblico, è un esercizio di traduzione quotidiano e ricorrente per i figli degli immigrati, in cui sono insiti dei rischi ma anche grandi potenzialità. Spesso, il contesto famigliare o della società italiana spingono verso una omologazione alla comunità etnico-religiosa di origine o viceversa alla realtà di maggioranza, senza ipotizzare una terza via, quella che permetterebbe ai figli degli immigrati di essere ad un tempo italiani e musulmani, stranieri e autoctoni, arabofoni e italofoni, etc. L esempio della lingua ben rappresenta questa necessità di sintesi culturale, infatti i bambini che imparano la lingua e la cultura del loro nuovo paese senza perdere quelle del vecchio hanno una comprensione molto migliore del loro posto nel mondo. Non sono costretti a scontrarsi così spesso con i loro genitori o a sentirsi in imbarazzo a causa loro, perché sono in grado di gettare ponti tra le generazioni e di apprezzare le tradizioni e le aspirazioni dei loro anziani 5. C è una terza possibilità tra scegliere di diventare carne o pesce, conclude la ragazza di origine etiope rispondendo alla provocazione di sua nonna: essere uovo. Un qualcosa che ha in sé la radice di entrambi ma allo stesso tempo, non è ancora né l uno né l altro. [ ] Ero stata la ragazzina di origine etiope che si sentiva bianca, perché tutto intorno a lei era bianco e italiano. [Poi] sono diventata una ragazza bianca che si sentiva nera perché tutto intorno a lei era diventato scuro. Oggi, credo di essere entrambe le cose e nessuna delle due. Essere un figlio di immigrati, nella società italiana, e per di più "di colore", non è né facile né difficile. E semplicemente una realtà nuova ed indefinibile6. Scegliere - in qualità di cittadini o di educatori - di fare spazio o meno a questa realtà nuova e indefinibile, significa scegliere se aprirsi o meno al futuro con le sue infinite e ancora inespresse potenzialità. 4 Rajiva M. (2005), Franchir le fossé des générations. Explorer les différences entre le parents immigrants et leurs enfants nés au Canada in Thémes Canadiens (traduzione mia) 5 Portes, A., Rumbaut, R. (2001), Legacies: The Story of the Immigrant Second Generation, University of California Press, Berkeley 6 Brano tratto dal forum della Rete G2 seconde generazioni. Sito internet http://www.secondegenerazioni.it 7 Il percorso di un immigrato in Italia Roberto Falessi, avvocato, a Mohammed Aida (29 ottobre 2009) Il cammino di un immigrato è regolato dalla legislazione che il Paese di destinazione ha approntato per governare il fenomeno dell immigrazione. Tra le previsioni di tali norme lo straniero si trova a dover inserire la sua vita, le sue capacità ed il suo sogno di futuro. Superati gli ostacoli della legge, lo straniero si ritrova, poi, a fare i conti con la realtà sociale del suo nuovo Paese, trovandosi ad essere spesso un soggetto debole che lotta nella precarietà e nello sfruttamento del mondo del lavoro, nella difficoltà di reperire un alloggio, nelle intolleranze di culture non attrezzate per le relazioni interculturali. In Italia, il cammino di un immigrato incontra ostacoli e difficoltà e i percorsi tratteggiati dalla nostra legge in materia assomigliano più ai meandri di un labirinto che ad una strada facilmente percorribile, per raggiungere il possibile traguardo del conseguimento della cittadinanza italiana. Anzi, spesso il cammino si interrompe con l uscita volontaria o obbligata. Mohammed Haida, ragazzo di ventitré anni, proveniente dal Marocco e da sette anni in Italia, intervistato dal suo avvocato Roberto Falessi racconterà il suo cammino di vita in Italia. Vuoi raccontarci del tuo Paese di provenienza e del tuo ingresso in Italia? Vengo da un villaggio vicino alla città di Beni Mellal, che si trova in una regione interna del Marocco a due ore da Casablanca e Marrakech, in un oasi ai piedi di una montagna del Medio Atlante e di una famosa cascata (Ouzoud). E una regione che ha avuto molta immigrazione, soprattutto verso l Italia. Quando avevo 15 anni, nell estate del 2002, molti miei amici di scuola avevano deciso di venire in Italia. Era anche il mio sogno, in quanto pensavo che in Italia avrei avuto un futuro migliore di quello che mi aspettava nel mio Paese. Per venire in Italia, per un minorenne o una persona povera non esistono flussi ma solo modi o pericolosi (col gommone per 30 km via oceano) o rischiosi (con ingressi clandestini nei modi più vari, stipati in un camion, accompagnati da qualcuno con passaporto falso). Io ho scelto questa seconda strada e sono venuto in Italia accompagnato da un trafficante di minori, dietro il pagamento da parte di mio padre di 5.000,00. Quale realtà hai trovato in Italia, da clandestino? Esattamente 7 anni fa, era l ottobre del 2002, ho raggiunto a Milano alcuni amici della mia città che erano già immigrati in passato ed ho trovato una realtà completamente diversa da quella che mi avevano raccontato. Andando a casa loro, mi sono reso conto che i loro racconti fatti in Marocco erano del tutto inventati. Anche io avevo immaginato di poter trovare una sistemazione ed un lavoro. Invece, mi sono trovato senza permesso, senza documenti, senza lavoro, senza lingua, senza casa, senza famiglia. Mi sono ritrovato a fare il vu cumprà in metropolitana, a pagarmi un posto letto per 100,00. In una vita davvero difficile. Cosa hai fatto, per uscire dalla condizione nella quale ti trovavi? Sono andato al Commissariato di Polizia della Stazione Centrale e gli ho detto: sono qua, non ce la faccio più . Insomma mi arrendevo alla legge e mi affidavo alla polizia, accettando anche il rischio di una futura espulsione. La Polizia ha contattato i servizi sociali e, quale minorenne non accompagnato, sono stato affidato al Comune di Milano, sono stato inserito in una Comunità con una disciplina militare, ho preso una identità con un attestato del Consolato, ho studiato e conseguito un attestato di elettricista ed ho ottenuto un permesso di soggiorno per minore età. Ti sei ritrovato in una condizione di soggiorno regolare. Come è cambiata la tua vita? Con il permesso di soggiorno, ho potuto essere assunto, con un contratto di apprendistato ed uno stipendio di 500,00, da una ditta specializzata. 8 Con un guadagno del genere, non potendo più stare in una Comunità per minori, perché già maggiorenne, non mi potevo permettere di pagare un affitto e ho dovuto trovare un posto in un dormitorio pubblico, dove sono rimasto per due anni, a 100,00 al mese. Anche in questa fase della mia vita ho dovuto affrontare numerose difficoltà. Nel dormitorio c erano risse tra ubriachi, condizioni di igiene precarie, insomma, pur lavorando, non avevo una vita facile. Ho ottenuto, comunque, il rinnovo del permesso di soggiorno sempre per minore età. Insomma pur nelle difficoltà, eri avviato verso condizioni di miglioramento, avendo comunque permesso di soggiorno e lavoro. Eri in un cammino di integrazione. Quindi cosa è successo? E successo che ho buttato via in una sera tanti anni di sacrifici. Avevo finito tardi di lavorare alla riparazione di un impianto di illuminazione di un campo da tennis, dovevo rientrare nel dormitorio e la metro era chiusa. Mi trovavo dall altra parte della città. Mi viene l idea stupida di prendermi un passaggio da una vecchia auto in sosta. Ovviamente vengo subito scoperto e arrestato per tentato furto d auto. Vengo condannato al minimo della pena con la sospensione. Ma pensavo che la cosa fosse finita lì. Anche perché nel frattempo avevo raggiunto nuovi traguardi con stipendi più elevati ed una casa ALER. Invece al nuovo rinnovo del permesso di soggiorno, la Questura mi ha detto di no, per quella condanna di furto. Respingendo la Questura il rinnovo del permesso di soggiorno, entri in una nuova condizione di irregolarità, questa volta da maggiorenne. Il tuo percorso in Italia si interrompe e sei destinato all uscita più traumatica, che avviene con il rilascio del decreto di espulsione. Come hai vissuto questa condizione? Se prima la vita era soltanto difficile, ora diventa un incubo. Mentre vengono combattute per due anni tutte le battaglie legali possibili, io vivo nella continua angoscia di essere controllato per strada ed espulso. Vengo anche arrestato, perché non ho lasciato spontaneamente l Italia dopo il decreto di espulsione. In quel momento mi sono sentito completamente estraneo e straniero. In una parola espulso. Dedico tutto il mio tempo al lavoro che per fortuna ho mantenuto e, lavorando con lo stesso impegno dei miei colleghi italiani, mi chiedevo: ma perché non mi vogliono? . Ho fatto un errore ma ho pagato. I tempi della legge, fortunatamente non sono celeri. La battaglia legale si protrae e si arriva ad ottenere a luglio la riabilitazione da quel reato di furto che è un traguardo raggiungibile dopo tre anni di buona condotta da un reato. Ci si prepara per l udienza del TAR per questo autunno. Ma ad agosto succede qualcosa di imprevisto: ti trovi a salvare la vita del tuo vicino che cerca di suicidarsi. Diffondiamo la notizia e sull onda mediatica, prima la Questura annulla il rigetto del permesso di soggiorno e poi la Prefettura annulla il decreto di espulsione. In questa sala, nel pomeriggio del 25 agosto di quest anno, abbiamo tenuto una conferenza stampa, per commentare e concludere la vicenda. Oggi hai un permesso di soggiorno biennale per lavoro subordinato. Il tuo cammino di integrazione ha fatto un importante passo in avanti. In quella conferenza, concludevo con parole che confermo anche oggi. Puoi essere regolare o irregolare. Puoi diventare irregolare dopo anni di lavoro ed inserimento sociale. E sempre una vita comunque dura. Bisognerebbe che la società italiana desse la possibilità di realizzare i sogni di inserimento, perché anche a lei portano benessere. Noi stranieri ci portiamo la nostra storia, educazione, cultura. Nella mia famiglia di undici figli la solidarietà è cosa normale. Secondo me, bisognerebbe consentire a chi vuole integrarsi, di avere la possibilità di farlo, anche se è entrato senza permesso. Lo straniero in Italia è come un bambino, nuovo e fragile: ha bisogno di essere aiutato a crescere. Se lo aiuti, darà il meglio di sé. 9 Tradurre mondi diversi. Mediazione e confronto tra culture Maria Rezzonico, insegnante e arabista (12 novembre 2009) Abbiamo scelto di affrontare l affascinante tema Tradurre mondi diversi. Mediazione e confronto tra culture calandolo in un confronto culturale quanto mai attuale: quello che vede opporre le categorie di Occidente e Oriente, sovrapponendole spesso con quelle di Europa e di Islam. Non sono pochi a credere che uno scontro storico e geografico tra Occidente e Oriente, inaugurato dalle guerre grecopersiane, si riproponga ciclicamente e quasi necessariamente; in questa lettura viene inserita anche l espansione dell Islam, che sembra assumere il ruolo del nemico della civiltà occidentale e che, con il fenomeno migratorio degli ultimi decenni e la minaccia fondamentalista, risveglia echi che taluni considerano degli archetipi7. Ripercorrere storicamente e geograficamente l espansione arabo-islamica verso Occidente a partire dal VII secolo d.C. significa rievocare eventi quali la battaglia di Poitiers del 732, considerata la causa dell arresto dell invasione arabo-islamica in Europa, la presa di Costantinopoli nel 1453, la caduta di Granada - ultimo baluardo del potere islamico in Spagna - nel 1492, la battaglia navale di Lepanto del 1571: date che abbiamo studiato a scuola e che fanno parte, più o meno inconsciamente, del nostro immaginario. Quello che vorremmo fare insieme è un passo ulteriore: gettare una serie di sguardi incrociati sul Mediterraneo di ieri e oggi. Se lo specchio d acqua del mare nostrum attualmente, a vent anni dalla caduta del muro di Berlino, è stato da alcuni tristemente identificato come uno dei nuovi muri eretti dall uomo, esso è indubbiamente da quattordici secoli un luogo di scambio, di contaminazione, ma anche di ignoranza vicendevole8. Partendo per il nostro ahimè troppo veloce, lacunoso e disordinato - viaggio negli sguardi incrociati, ci imbattiamo nelle reciproche rappresentazioni tra Nord e Sud del Mediterraneo dal Medioevo a oggi: nel corso dei secoli i musulmani sono stati definiti mori, saraceni, infedeli, turchi, arabi e, più recentemente, islamisti, terroristi; gli occidentali a loro volta sono stati chiamati Rumi (dal greco Romàioi: bizantini, cioè i sudditi dell impero romano), Franchi, infedeli, crociati, colonialisti. Ci troviamo di fronte, in entrambi i casi, alla rappresentazione dell altro come blocco monolitico, privo di sfaccettature. L Occidente ancora oggi, per esempio, fatica a lasciarsi alle spalle lo stereotipo per cui arabo coincide con musulmano , senza considerare il fatto che non tutti i musulmani sono arabi (sono arabi solo il 20% circa dei musulmani nel mondo) e che non tutti gli arabi sono musulmani (nel mondo arabo ci sono importanti minoranze religiose: si pensi ai cristiani in Egitto, Siria, Libano, o Palestina e agli ebrei in Marocco). Gli addetti ai lavori, inoltre, parlano di Islam plurale (Islams), dovuto a differenze dottrinali e geografiche. Assumendo ora lo sguardo musulmano, dobbiamo essere coscienti del fatto che, poiché Occidente e cristianità vengono spesso percepiti come una realtà unica, il processo di secolarizzazione è sovente ignorato o incompreso e le scelte politiche e morali delle nostre società vengono interpretate come espressioni del DNA cristiano dell Occidente9. Una tappa interessante del nostro viaggio è quella delle rappresentazioni dell Islam nella letteratura europea. Citando solo alcuni esempi, nei cantari epici, nei poemi dell Orlando Furioso e della Gerusalemme liberata l Islam appare come il nemico metafisico; nella Divina Commedia Dante colloca Maometto tra i seminatori di scandalo e di scisma nel XXVIII canto dell Inferno, mentre pone gli illustri Avicenna, Averroè e Saladino nel Limbo, insieme ai saggi pagani. Questi rapidi cenni ci fanno intuire, da un lato, come alcune immagini epiche siano sopravvissute a lungo come stereotipi, dall altro come nel Medioevo ci fosse un fecondo contatto colturale e letterario tra le sponde del Mediterraneo. Un approfondimento a parte meriterebbe in proposito il ruolo rivestito dalla tradizione araba del viaggio oltremondano di Maometto, primo fra tutti il Libro della Scala10, nell ambito degli antecedenti della Divina Commedia dantesca. Ma passiamo ad uno straordinario strumento di conoscenza reciproca a questa altezza cronologica: le traduzioni dall arabo al latino operate nel XII secolo nella penisola iberica, 7 F. CARDINI, Noi e l Islam. Un incontro possibile?, Roma-Bari Laterza, 1994. P. BRANCA in P. BRANCA, A. CUCINIELLO, Destini incrociati. Europa e Islam, Milano Fondazione Boroli, 2006. 9 F. CARDINI, Ibid. 10 C. SACCONE cur., Il Libro della Scala di Maometto, SE Milano 1991. 8 10 dove con i nuovi conquistatori erano giunti dall Oriente specie di coltivazioni, prodotti, tecniche e conoscenze, ma anche manoscritti scientifici, filosofici e letterari, tra cui le traduzioni in arabo di opere greche che erano state effettuate in Oriente e le opere arabe nate dall incontro con la tradizione greca, persiana, indiana. Se la traduzione dei testi sacri dell Islam fu intrapresa in Occidente per combatterlo sul piano intellettuale (è del 1143 la prima traduzione in latino del Corano redatta dall inglese Roberto di Ketton), l attività di traduzione che si svolse in quest epoca riguardò essenzialmente i trattati scientifici greci e arabi11. Eppure la conoscenza occidentale dell Oriente che si è sviluppata nei secoli a partire da questi contatti è stata fortemente criticata in un celebre libro di Edward Said12, secondo cui l Orientalismo, in quanto sistema di conoscenza dell Oriente, è un filtro attraverso cui l Oriente è entrato nella coscienza e nella cultura occidentali. L Orientalismo sarebbe interamente basato sull esteriorità, nel senso che il poeta e lo studioso che guardano all Oriente si propongono di descriverlo all Occidente: ciò che dicono e spiegano, in quanto viene detto o scritto, già dimostrerebbe che essi sono fuori dall Oriente. Considerando le rappresentazioni dell Occidente che provengono dall altra sponda del Mediterraneo, il momento dell incontro tra Islam e modernità occidentale viene generalmente considerato il 1798, data della spedizione di Napoleone in Egitto. Negli anni seguenti fiorì il primo riformismo islamico, ossia lo sforzo di comprendere la cultura occidentale, il perché del suo successo e di analizzare i motivi della debolezza del mondo islamico; i riformatori islamici mostrarono che sviluppo e progresso potevano essere raggiunti partendo dai fondamenti della fede e dovevano essere concepiti all interno dello spirito dell Islam13. Non c è tempo per ripercorrere le fasi del passaggio culturale e politico dall idea di modernizzare l Islam a quella di islamizzare la modernità , passaggio dovuto a vari e complessi fattori tra cui le delusioni politiche, sociali ed economiche successive al termine della prima guerra mondiale e la lotta contro il colonialismo europeo14. Analizzando l Occidente nell immaginario attuale degli uomini e delle donne del Mashreq e del Maghreb, Alain Roussillon ci consegna un panorama estremamente sfumato, che va dal rigetto di qualsiasi prestito, in nome della fedeltà alle origini, all accettazione, più o meno entusiasta o imbarazzata, dei modelli europei di modernizzazione; tale gamma di atteggiamenti dipende, non da ultimo, dalla storia dei singoli Paesi del Sud del Mediterraneo15. L ultima fase del nostro viaggio prevede un nuovo passo, quello della traduzione di mondi diversi. Come osserva il giurista Silvio Ferrari, l Europa ha una propria identità e chiunque venga ad abitarvi ha il dovere di confrontarsi con essa. Compito degli europei è distinguere il nucleo non negoziabile della propria cultura da ciò che può essere negoziato senza perdere l identità europea, trovando traduzioni storiche che non tradiscano i valori, ma che siano inclusive16. La nostra società è oggi più che mai sollecitata a fare uno sforzo di traduzione da questioni sensibili quali l ora di religione, i luoghi di culto, il velo islamico. Riguardo a quest ultimo, l Islam sta divenendo un discorso pubblico e politico in Europa, al centro del quale non di rado vi sono i corpi e i comportamenti delle donne. In continuità con antiche dinamiche coloniali, la questione dei simboli religiosi è divenuta, agli occhi di molti politici, dei media, ma anche del mondo intellettuale, il fulcro simbolico e politico delle tensioni tra islam o musulmani e culture politiche europee 17. Accanto alle singole questioni, che meriterebbero ciascuna un approfondimento, ci sembra utile portare due esempi di traduzione di ampio respiro, uno preso dalla sfera religiosa, l altro da quella politica: si tratta rispettivamente della posizione della Chiesa Cattolica in merito al dialogo islamo-cristiano scaturita dal 11 M. REZZONICO, La Scuola di Toledo e il Libro della Scala, unità di apprendimento all interno di F, GRANDE cur., Mediazione europea e sintesi dantesca degli influssi arabi: consapevolezza identitaria e apertura all altro, CD realizzato con il contributo del C.N.R., 2008. 12 E. W. SAID, Orientalismo, Bollati Boringhieri 1991. 13 R. REDAELLI, Il fondamentalismo islamico, Giunti 2003, p. 17. 14 Ibid., p. 19. 15 A. ROUSSILLON, Vingtième Siècle, in Revue d Histoire, 82, avril-juin 2004, pp. 69-79. S. FERRARI, Aspetti giuridici e istituzionali dell Islam, in C. BARGELLINI, E. CICCIARELLI curr., Islam a scuola: esperienze e risorse, Quaderni ISMU 2/2007, p. 69. 17 R. SALIH, Musulmane rivelate. Donna, islam, modernità, Roma Carocci 2008, p.119. 16 11 Concilio Vaticano II18 e del discorso tenuto da Barak Obama al Cairo il 4 giugno 2009, testi da conoscere a da cui trarre ispirazione nelle nostre piccole mediazioni e traduzioni quotidiane. Finora abbiamo parlato di sguardi incrociati; nel nostro incontro di oggi a cerchio rappresentavamo le entrambe le sponde del Mediterraneo, cristiani e musulmani: come ha detto qualcuno di noi, i nostri sguardi non si sono solo incrociati, ma si sono incontrati. 18 Lumen Gentium II, 16: Infine quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, in vari modi sono ordinati al Popolo di Dio. Per primo quel popolo al quale furono dati i testamenti e le promesse, e dal quale Cristo è nato secondo la carne: popolo, in virtù dell elezione, carissimo per ragione dei suoi padri, perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili. Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare i musulmani, i quali, professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale ; Dichiarazione Nostra Aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, 3: La Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano l unico Dio, vivente e sussistente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio, anche nascosti, come si è sottomesso Abramo a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, Lo venerano come profeta; essi onorano la Vergine Madre, Maria, e talora anche la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini resuscitati. Così pure essi hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno. Se nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il Sacrosanto Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a promuovere e a difendere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà. 12 La ferita dell'altro. Economia, reciprocità e relazioni interpersonali Andrea Penazzi, economista (19 novembre 2009) Abbiamo pensato di affrontare oggi il tema della dimensione economica della vita, della reciprocità e delle relazioni interpersonali a partire dal volume di Luigino Bruni La ferita dell'altro. Economia e relazioni umane (Il Margine, Trento, 2007). L altro come limite al mio avere (perché può provocare, anzi provoca sofferenza), ma come necessità del mio essere (perché può donare, anzi dona benevolenza): meglio dunque soffrire che non amare ed essere amati. Questa è l idea di fondo del volume che prende spunto dall'episodio biblico della lotta tra Giacobbe e l'Angelo (Genesi 32, 23-30). E' assodato che ogni persona si costituisce nella relazione e ciò implica il mutuo riconoscimento. Il problema nasce però nel considerare il rapporto tra due (o più) soggetti come di reciproca disponibilità (cioè di reciproco riconoscimento della singolarità personale) o, al contrario, come di reciproca sfida, minaccia, fonte di dolore. Il libro aiuta a capire quali conseguenze si vanno a produrre quando a prevalere è l uno o l altro modello di relazione interpersonale e la sua originalità è il trasferire il paradigma sofferenzabenedizione all ambito propriamente economico, documentando che il progetto di un economia civile - di un economia cioè fondata su un'impostazione ternaria (scambio di equivalenti, redistribuzione, reciprocità asimmetrica) - è concretamente possibile. Un esempio, profetico da quasi vent'anni, ne è l'esperienza dell'Economia di comunione nella libertà. Ecco brevemente alcuni spunti di riflessione, incardinati su tre concetti: economia, reciprocità, relazioni interpersonali. Economia. La scienza economica moderna nasce con Adam Smith, al quale si potrebbero per così dire ricondurre due errori : - le relazioni di mercato ci permettono di soddisfare i nostri bisogni senza dover dipendere dall'amore degli altri. L'altro mi ferisce perché è potente, perché è un padrone; il mercato invece consente di evitare la relazione immediata ( incivile ), per nuova relazione mediata (dal mercato stesso appunto) dove l'incontro è anonimo . Solo nella vita privata trova spazio la relazionalità immediata; - la società civile può esistere tra persone diverse sulla base della considerazione dell'utilità individuale, senza alcuna forma di amore reciproco o di affetto (il contratto come unico modo di rapportarsi senza forme di beneficenza ). Del resto è ancora opinione diffusa che il dono vada bene per la sfera privata, mentre nella vita civile si può, anzi è meglio, farne a meno A dire il vero, oggi non si insegna più il pensiero di Adam Smith ma di sicuro c'è ancora l'idea che: - lo scambio economico è il luogo della reciproca indifferenza, - il mercato è il luogo di virtuose relazioni anonime e impersonali. In realtà, sintetizzando, la ferita che si dovrebbe evitare non è quella che mi procura l'amicizia e la relazionalità orizzontale tra pari ma solo quella che mi procura la asimmetria del potere. L' errore di Smith è stato considerare la relazione interpersonale sempre incivile e asimmetrica. Infatti si dovrebbe vedere il mercato come positivo qualora individuato per ambiti limitati e distinti e non come la forma principale per organizzare ogni aspetto della vita comune. Legato a questa visione del mercato vi è il tema del ruolo dell'impresa, da rileggere quale comunità , e della sua responsabilità nei confronti della società (corporate social responsability/responsabilità civile d'impresa). Il secondo aspetto su cui soffermarsi è la reciprocità. Negli ultimi anni si è assistito a un importante dibattito nelle scienze economiche che ha portato a un nuovo interesse per la reciprocità. Si va sempre più nella direzione di un recupero serio della dimensione della relazionalità personale, rischiosa e pericolosa. Con la nascita e la crescita dell'economia sperimentale e dell'economia cognitiva (behavioral economics) è emerso come esistano e siano importanti comportamenti che si discostano da quelli previsti dall' economia di Adam Smith ). Nuovi modelli come la teoria dei giochi e la teoria delle decisioni consentono di spiegare alcune scelte cooperative (al posto di scelte attese opportuniste): gli essere 13 umani non sono generosi o no in assoluto ma in rapporto a ciò che l'altro ha fatto oppure non ha fatto ma avrebbe potuto fare; soggetti sono disposti a ottenere guadagni monetari minori pur di premiare/ punire gli altri sulla base di norme di reciprocità; la fiducia, rischiosa e costosa, spinge chi la riceve a comportarsi in modo degno, riduce di molto l'opportunismo e favorisce lo sviluppo. Infine, qualche accenno sulle relazioni interpersonali. Recentemente si è assistito a un ritorno di interesse filosofico e teologico per la tripartizione dell'amore umano (amore come uno e molti): amore-eros (il desiderio ), amore-philia (l'amicizia: amo se contraccambiato ), amore-agape (il dono incondizionato : il dare la vita per i non amici ). Analogamente nell'ambito economico è possibile individuare la coesistenza di: - contratto come (amore-)eros: il contratto nasce da povertà, da bisogno da soddisfare; il centro della relazione è l'io, non il tu; il contratto è uno scambio immune (non si è mossi dal bene dell'altro; ciascuno si incontra con se stesso); - relazioni di tipo (amore-)philia: esperienze mutualistiche-cooperative, ma anche momenti particolari nella vita delle aziende tradizionali. L'amicizia inoltre crea sempre oasi di partecipazione e solidarietà che poi contaminano l'intera vita civile (chi sperimenta successivamente diffonde...); - relazioni di tipo (amore-)agape. In effetti però questo tipo di rapporti sembrerebbe ancora assente: è relegato a sfera privata; oppure in Paesi come quelli europei è affidato a Stato (Welfare State) e negli USA a filantropia. Come ridare allora posto all'agape nella dinamica civile? 1) mostrare con esperienze concrete, credibili e significative che esiste la dimensione economica dell'agape (es. i monti di pietà, una cooperativa che nasce per includere disabili, le aziende dell'Economia di comunione, il commercio equo e solidale...); 2) denunciare gli approcci del predominio assoluto del contratto (il contratto come unico modo per regolare tutto) o all'opposto della philia (il comunitarismo); 3) approfondire il principio di sussidiarietà finora solo verticale (in Italia per esempio: Stato, regioni, enti territoriali), valorizzando quello orizzontale (tra società civile, mercato, PA...). Per così dire: non faccia il contratto ciò che può fare l'amicizia, non faccia l'amicizia ciò che può fare l'agape (amore questo che non è un bene che si deteriora nell'uso, ma è un valore che non utilizzato si impoverisce); 4) agape non può essere incentivata ma può e deve essere premiata con il riconoscimento. Oggi studi psicologici ci offrono molti dati che confermano l'importanza della relazionalità (nesso tra qualità delle relazioni umane e benessere soggettivo) e che scardinano il concetto: se hai più reddito o consumo il tuo benessere deve aumentare . E' stato possibile individuare infatti dei veri e propri paradossi. Al crescere del reddito la felicità diminuisce (paradosso della felicità: una volta che il reddito ha superato certa soglia - vita decente - esso non è più fattore importante nella felicità soggettiva poiché diminuiscono le relazioni, peggiora la salute, ecc.). Occorre inserire allora la dimensione relazionale all'interno dell'analisi economica (che andrebbe letta sempre come analisi della felicità ). Per questo ci vogliono nuove chiavi di lettura. Bisogna far spazio a concetti come quello dei beni relazionali - beni non materiali, che non sono quindi dei servizi che si consumano individualmente, ma sono legati alle relazioni interpersonali (Benedetto Gui) - che si affianchino ai tradizionali beni privati e beni pubblici. Come identificarli però? I beni relazionali prevedono che: a) l'identità delle persone sia importante, b) vadano goduti nella reciprocità, c) vi sia simultaneità nella produzione e nel consumo, d) l'elemento determinante siano le motivazioni, e) emergano nella relazione stessa, f) siano in rapporto a gratuità (la relazione nasce da motivazioni intrinseche), g) non abbiano prezzo di mercato (sono beni, ma non sono una merce; hanno un valore perché soddisfano un bisogno, ma non hanno un prezzo di mercato). E proprio sul concetto così importante di gratuità appena citato, un ultimo richiamo dal volume di Luigino Bruni: Per gratuità qui intendo quell'atteggiamento interiore che porta ad accostarsi a ogni persona, a ogni essere, a se stessi [come] realtà da rispettare e da amare in sé . 14