Il tema del Giudizio universale
Il premio e la pena
«Negli ultimi giorni verranno
tempi difficili, perché gli uomini
saranno egoisti, amanti del
denaro, vanagloriosi, superbi,
bestemmiatori, ribelli ai genitori,
ingrati, irreligiosi, insensibili, sleali,
calunniatori, intemperanti, spietati,
senza amore per il bene, traditori,
sconsiderati, orgogliosi, amanti
del piacere anziché di Dio, aventi
l’apparenza della pietà, mentre ne
hanno rinnegato la potenza» (San
Paolo, II Timoteo 3:1-5).
«Il Signore Gesù apparirà dal cielo
con gli angeli della sua potenza,
in un fuoco fiammeggiante, per
far vendetta di coloro che non
conoscono Dio, e di coloro che non
ubbidiscono al vangelo del nostro
Signore Gesù. Essi saranno puniti
di eterna rovina, respinti dalla
presenza del Signore e dalla gloria
della sua potenza» (San Paolo, II
Tess. 1:7-9).
Il tema del giudizio universale
risponde a un’attesa di giustizia
che nel cristianesimo deriva dal
concetto di come Dio, primo
motore ed essere perfetto, sia
giudice di ogni azione compiuta
nel bene e nel male. L’attesa di
vera giustizia, impossibile da
ottenere nel mondo della finitezza,
è rimandata quindi all’aldilà dove
il premio o il castigo sarà stabilito
dalla valutazione divina soltanto al
termine della vita.
Questo assioma origina da culture
lontane nel tempo che transitano
per la Persia, la Mesopotamia
e l’Egitto per radicarsi
sostanzialmente nell’ebraismo
dell’antico testamento. Da
quelle scritture bibliche, riprese
e amplificate nel messaggio
evangelico di Gesù Cristo, che
trova completezza nell’Apocalisse
di Giovanni, si sviluppa la
concezione messianica della
“parusia“, la seconda venuta del
Redentore che siederà alla fine dei
tempi a giudicare i vivi e morti.
Le rappresentazioni dell’evento,
dapprima illustrate nei codici
miniati bizantini e poi nella pittura
Pagina a lato, Cristo
risorto, con ancora i
segni della passione,
troneggia nella mandorla
di luce circondato
da serafini e figure
angeliche, presiede
al Giudizio finale.
Particolare del Giudizio
universale di Saltara.
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Pagina a lato, sopra,
Giotto, scena del
Giudizio universale,
1304/6, Cappella degli
Scrovegni, Padova.
Sotto, veduta parziale
dell’affresco del Giudizio
universale di autore
ignoto, (cosiddetto
Maestro di Loreto
Aprutino, 1424?), nella
chiesa di S. Maria in
Piano, Loreto Aprutino.
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di tavole e pareti – il dipinto murale
veniva eseguito quasi sempre sopra
l’ingresso del tempio in modo che
i fedeli uscendo dalla funzione per
rientrare nel mondo profano ne
traessero debita ammonizione – ,
pur con varianti comunque non
essenziali, vedono Cristo risorto in
trono, nella iridescente mandorla
mistica, luogo d’intersezione tra la
sfera del mondo materiale e quella
dello spirituale, con il contorno di
angeli, santi, anime elette e simboli
della passione, separare alla fine
dei tempi in due gruppi il gregge
umano ponendo, sotto ai suoi piedi,
i buoni alla sua destra e i cattivi
alla sinistra. Talora, come nel caso
dell’affresco di Saltara, la selezione
viene operata dall’arcangelo
Michele attraverso la pesatura
delle anime. Quelle che hanno ben
operato ascendono al Paradiso
mentre le malvagie sono precipitate
nelle fiamme e nel gelo dell’Inferno
dove schiere di diavoli mostruosi,
sotto il comando di un orrifico
Lucifero zoomorfo, le attendono
per infliggere loro le pene meritate.
Si veda, uno per tutti nella pittura
trecentesca, il Giudizio di Giotto,
nella Cappella Padovana degli
Scrovegni. Più tardi, nel XV secolo,
la composizione si arricchisce
di particolari dividendosi in
riquadri esplicativi che mostrano
i castighi per quanti incorrono
nei peccati capitali (ira, invidia,
accidia, avarizia, gola, lussuria)
e per non aver rispettato i
dieci comandamenti (omicidi,
bestemmiatori, falsari, traditori,
adulteri, sodomiti, usurai...). Ne
rendono testimonianza l’Angelico,
col suo lirismo ancora fedele alla
tradizione, nel Giudizio del Museo
di San Marco a Firenze e nel
trittico della Gemäldegalerie di
Berlino, il piemontese Canavesio,
ancora arcaiccizzante e vicino al
gusto d’oltralpe, nel Santuario di
Notre Dame des Fontaines a Briga
Marittima e il già rinascimentale
Signorelli, più sofferto e articolato
nella vasta impaginazione degli
affreschi della Cappella di San
Brizio del Duomo di Orvieto, che
anticipa il dinamismo eroico del
Michelangelo della Sistina.
Per quanto riguarda il quadro di più
vicino riferimento, sono da contarsi
sulle dita i “Giudizi” tuttora
sopravvissuti nel territorio delle
Marche: al ritrovato recentissimo
affresco della chiesa del Gonfalone
di Saltara, si aggiungono, tra altre
testimonianze frammentarie,
quello precedente di Castignano,
(assegnato alla prima metà del
‘400) e i successivi di Monteleone
di Fermo, attribuito al fanese Orfeo
Persiutti (o Presiutti, 1548) e la
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A fianco, sopra, Beato
Angelico, scena del
Giudizio universale,
tempera su tavola, 1431
circa, Museo di San
Marco, Firenze.
Sotto, particolare del
Cristo del Giudizio
universale nella chiesa
dei SS. Pietro e Paolo, di
Maestro Antonuccio (?),
affresco primi decenni
del 1400, Castignano.
Beato Angelico, Trittico
del Giudizio, 1450
circa, tempera su
tavola, Gemäldegalerie,
Berlino.
Sotto, Beato Angelico,
particolare del luogo
infernale dei vizi
capitali nel Giudizio di
Firenze.
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A fianco, sopra,
Giovanni Canavesio,
Giudizio universale,
1491/2, nel Santuario
di Notre Dame des
Fontaines, Briga
Marittima.
Sotto, Luca Signorelli,
ciclo di affreschi
del Giudizio
universale,1499/1502,
scena dei dannati,
Cappella di San Brizio,
Duomo di Orvieto.
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A fianco, sopra, Orfeo
Persiutti, Giudizio
universale, affresco,
1548, nella chiesa
della Madonna
della Misericordia a
Monteleone di Fermo.
Sotto, Ercole
Ramazzani, Giudizio
universale,olio su
tela,1597, Collegiata di
San Medardo, Arcevia.
Pagina a lato, dettaglio
del graffito presente nel
“Giudizio” di Saltara.
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grande tela del manierista Ercole
Ramazzani nella Collegiata di San
Medardo in Arcevia (1597).
Nel pensiero cristiano, il “giudizio”
verterà principalmente sul
concetto di carità offerta o negata
ai sofferenti in quanto simulacri
dello stesso Gesù. Giocoforza egli
stesso si presenterà a presiedere
come vaticinò di fronte al Sinedrio
“che avrebbero visto un giorno il
Figlio dell’uomo... venire sulle nubi
del cielo” (Matt., XXVI, 64; cfr.
Daniele, VII, 13).
Quando questo avverrà squillerà
la tromba angelica a chiamare in
vita i morti, per essere giudicati e
divisi in pecore e capri. L’evento
sarà drammatico e grandioso ma
il suo tempo non può conoscersi
perché è un segreto del Padre.
Nei periodi di calamità, come
quelli all’inizio della Chiesa, si
riteneva che il giudizio divino
fosse vicino. L’Apocalisse riporta
il termine di “mille” anni per cui,
avvicinandosi la fine del primo
millennio dopo Cristo, l’attesa della
fine del mondo era vivissima dando
luogo a particolari manifestazioni
di penitenza. Da quel momento
il tema del giudizio universale
assume sempre più corpo nelle
rappresentazioni artistiche. Al pari
della musica, in cui il “Dies Irae”
darà luogo a composizioni di
grande potenza emotiva. Tuttavia
l’interesse per l’illustrazione
escatologica del giudizio finale,
nei templi della cristianità
occidentale, stimolato anche
da eventi catastrofici e dalle
epidemie – il terrore della peste
sempre presente – resterà vivo
fino al Rinascimento, toccando
la vetta nello svolgimento
michelangiolesco della Sistina,
per poi declinare lentamente e
svanire con l’avvento dei secoli
del barocco e rococò.
Molti “giudizi”, retaggio di un
passato ormai fuori sintonia
dei tempi in essere, verranno
distrutti o nascosti sotto
l’intonaco di nuovi allestimenti
ecclesiali. Così come può essere
avvenuto per l’affresco di Saltara
che, oltre alle diciture canoniche
dipinte e intellegibili proprie del
tema, ospita, a destare curiosità,
una scritta incisa con un ferro
appuntito: “1544 ..... porta ...
Saltara”. Chissà a cosa potesse
riferirsi. Singolare però è il fatto
che anche nel “Giudizio” di
Castignano si ritrovino graffiti
cinquecenteschi attinenti
a eclissi di sole e di luna,
astronomicamente verificate.
Cosa successe di diverso a
Saltara, nel 1544, da aver a che
fare col tema dipinto?
Viene da pensare al
“Pronostico”, un libretto
di Girolamo Cardano
pubblicato a Venezia
nel 1534, molto diffuso
all’epoca, in cui il celebre
medico milanese si
avventura a pronosticare
l’immediato futuro
su base astrologica e
indica le congiunzioni
astrali Giove/Saturno del
1524, 1544 e 1564 come
apportatrici di sventura.
Soprattutto quella del
1544 porterà «danno
grande alla Chiesa»
e «rinovasi le calamitade
e abondaranno
le sceleraggine, e
perderasse
in tutto la caritade».
Certo una profezia
sinistra per i confratelli
di Saltara se l’avessero
conosciuta. E magari
appuntata sull’affresco
per non farsela passare di
mente...
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Portfolio del “Giudizio
universale” di Saltara
A lato, particolare del
volto del Redentore e,
nelle pagine a seguire,
una scelta di dettagli
dal Cristo assiso, alla
Gloria di angeli che
lo circonda, ai beati
accolti alla porta del
Paradiso e i dannati
a quella dell’Inferno,
dall’arcangelo Michele
che pesa le anime
dei risorti, alla
disperazione degli
empi, alle pene da
scontare per i vizi
capitali e per i violenti.
La scena finale nel
regno ctonio dell’irsuto
Lucifero, seduto e con
il drago tricefalo che
lo protegge, è quella
più compromessa ma
aderisce, per quel che
lascia ancora vedere, al
repertorio classico per
la natura zoomorfa e
orrifica dei demoni che
straziano i peccatori.
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Dante Piermattei Il tema del Giudizio Universale. Il premio e la pena