Como Cultura 24 Sabato, 25 ottobre 2014 ■ L’incontro della scorsa settimana all’Hotel Palace sulla crisi del ceto medio “I disarmati”. Un libro di Franz Foti C Franz Foti eti medi ridimensionati, messi all’angolo, in una parola “disarmati”. È questo il tema centrale del nuovo libro di Franz Foti, “I disarmati”, appunto, “Ceti medi al crepuscolo, quarta via sfida per il futuro”, con prefazione del presidente del Censis Giuseppe De Rita e la postfazione di Santo Versace, pubblicato da Editori Internazionali Riuniti. Foti, nato a Reggio Calabria, dal 1967 vive a Milano, è giornalista, docente universitario e autore di diversi libri. “I disarmati” è stato presentato sabato 18 ottobre al Palace Hotel a Como su iniziativa dell’U.N.M.S. (Unione Nazionale Mutilati per Servizio) Lombardia. Al tavolo dei relatori, oltre all’autore, il presidente dell’U.N.M.S. lombarda, Santo Meduri, Angela Pagano, dirigente della Prefettura di Como, Maurizio Cafagno, docente dell’Università dell’Insubria, Luigi Cavadini, assessore alla Cultura del comune di Como, e Luca Gaffuri, consigliere regionale del PD. «Il ceto medio oggi – ha esordito Foti – è disarmato in tutte le sue sfaccettature: da quella economica a quella della cultura professionale, dal ruolo sociale al sistema di valori. In passato il ceto medio è stato il luogo propulsivo della nostra società, della creatività, della progettazione e della trasformazione. Una società che perde tutto ciò, volge al declino. Oggi l’Italia è una polveriera con la sicura– ha proseguito l’autore – se dovessero ridursi ancora produzione e lavoro, la sicura scatta per tutti». Una situazione limite, quella disegnata da Foti, che parte in primo luogo dal declino della cultura. «Secondo un’indagine Istat – ha illustrato Maurizio Cafagno – il 52,5% degli italiani (tra cui molti laureati) nel 2013 non ha letto neanche un libro. Un’indagine dell’OCSE sulle competenze Un libro di Maria Orsola Castelnuovo La canzone del bambino fabbro U na storia vera vissuta a cavallo di due paesi. “La canzone del bambino fabbro”, di Maria Orsola Castelnuovo, Alessandro Dominioni Editore, racconta dell’infanzia lariana del piccolo Benedetto Battistessa, nato alla fine dell’Ottocento in un borgo montano e partito a nove anni per diventare il garzone di un fabbro in un paese sul lago, e poi apprendista muratore in Francia, terra dove avrebbe fatto fortuna. La storia di Benedetto è la stessa che accompagna tanti altri piccoli lavoratori, avviati al lavoro in tenera età, non di rado tra privazioni e stenti, e successivamente tutelati in Francia da una normativa apposita. “Ora fu constatato assai frequente – recita una nota del Bollettino del Ministero degli affari esteri datato giugno – luglio 1899 relativo alla presenza di minorenni in Francia -, specie negli ultimi tempi, che fanciulli stranieri, d’età non superiore a otto, nove, o dieci anni, hanno ottenuto il libretto (per ricevere il quale, in caso di minore età, dovevano ottenere dal sindaco una deroga speciale, ndr), mediante presentazione di atti di nascita falsificati o non riguardanti essi presentatori. Poterono così farsi assumere illegalmente al lavoro, soprattutto nelle vetrerie di quella regione. Il prefetto di polizia, ben sapendo che tali frodi sono dovute a quegli ignobili speculatori che arruolano minorenni all’estero (prima l’Italia e prima in Italia la provincia di Caserta) e volendo fare atto di protezione nell’interesse di quelle povere vittime d’un lavoro eccessivo ed inumano, ha deciso ed ordinato che i sindaci non dovranno d’ora in poi rilasciare ai fanciulli stranieri il libretto prescritto dalla legge, se non nel caso in cui questi provino in modo irrefutabile la loro età e la loro identità, mediante l’esibizione di documenti ufficiali emanati dalle cancellerie dei consolati rispettivi…”. Agli inizi del secolo il numero complessivo di emigranti italiani all’estero si attestò su una media non inferiore ai 700 mila l’anno. “… sono migliaia e migliaia di persone – recitava all’epoca una nota della Società Umanitaria (Fondazione P.M. Loria) Ufficio centrale immigrazione dei segretariati laici di assistenza agli emigranti – nella miglior età della vita che abbandonano la famiglia, la casa, la patria, nella speranza di trovare all’estero un pane più abbondante. Si tratta quasi sempre della parte più povera e più incolta della popolazione campagnola che, senza preparazione alcuna, viene lanciata nell’ingranaggio dei metodi moderni di produzione, e all’estero, appunto per la sua ignoranza, è abbandonata indifesa a tutti i soprusi e a tutti gli sfruttamenti, anche i più iniqui. Non di rado vengono truffati dai padroni e capi disonesti della mercede faticosamente guadagnata, e, nei casi di malattia, d’infortunio, delle indennità degli adulti ha indicato che l’Italia è all’ultimo posto nel mondo per le capacità alfabetiche minime. Il 70% degli italiani è sotto la sufficienza e solo gli occupati e gli studenti raggiungono livelli superiori. Inoltre l’80% dei nostri connazionali non ha fiducia nella possibilità di partecipare alla vita politica. Insomma – ha concluso Cafagno – siamo disarmati e dobbiamo riarmarci a partire da qui». Per restituire le armi all’attuale ceto medio, Foti individua una “quarta via”: quella dei principi etici, dell’intelligenza propositiva che porti a un recupero del rapporto tra politica e cittadini, della supremazia dell’interesse collettivo. «Penso che la quarta via – ha concluso Foti– possa rigenerare un rinascimento culturale dentro cui le nuove generazioni siano l’obiettivo». Manuela Brancatisano stabilite per loro da leggi di cui molte volte ignorano persino la esistenza, come ignorano quella degli Istituti creati negli ultimi anni dallo Stato e da organizzazioni benefiche, come la Società Umanitaria, a loro tutela”. “Ora – continua la nota della Società Umanitaria -, fra tutte le province italiane, la provincia di Como è una di quelle che danno relativamente e assolutamente un maggior contingente all’emigrazione, specialmente per la Svizzera, la Germania, la Francia e l’Austria. È quindi necessario istituire un segretariato di emigrazione”. Pur consapevole dei rischi, timoroso per il grande salto, il passaggio dalla fucina di paese alla Francia fu per Benedetto e per la sua famiglia un atto di coraggio. Un viaggio in cerca di fortuna, senza rinnegare il pur breve passato, vista la tenera età, e lasciando un pezzetto di cuore nella terra dov’era nato, la frazione valliva Barchi di Dentro. Bendetto fu forse più fortunato di molti suoi coetanei, alcuni dei quali non sopravvissero alla fatica ed agli stenti di un lavoro troppo pesante per i loro esili corpi. Il suo impiego gli portò infatti bene. Il benessere ottenuto non gli fece però dimenticare la terra d’origine, cui decise di lasciare in eredità una cospicua parte delle risorse accumulate. “Stabilisco – si legge nel suo testamento – che nel caso la mia discendenza qui in terra di Francia dovesse estinguersi, alla morte del mio ultimo erede si proceda come segue: si entrerà in contatto colla Chiesa parrocchiale del comune italiano in cui la famiglia di mio padre Augusto e io stesso abbiamo avuto origine, sito in Alto Lario, provincia di Como… alla quale parrocchia stabilisco che si lasci a titolo di prelegato, per una volta tanto, quella parte delle sostanze consistenti in denaro contante, frutto del mio lavoro e di quello dei miei discendenti”. (m.ga.) “La canzone del bambino fabbro. L’infanzia lariana di un impresario di Francia”, Maria Orsola Castelnuovo, Alessandro Dominioni Editore, pp. 148, 14 euro. Gian Pietro Lucini, poeta e scrittore U na personalità controversa, le cui sfumature umane e poetiche si sono fuse nell’intero percorso produttivo letterario. Con questi termini è possibile sintetizzare la figura poetica e letteraria di Gian Pietro Lucini, poeta e scrittore molto attivo nel territorio comasco. E proprio in occasione dei festeggiamenti del centenario della sua morte, lo scorso 16 ottobre, presso gli spazi della Biblioteca Comunale di Como, è stato presentato in anteprima nazionale il libro “La Penna d’oca e lo Stocco d’acciaio- Gian Pietro Lucini, Arcangelo Ghisleri e i periodici repubblicani nella crisi di fine secolo” curato dal prof. Pier Luigi Ferro. Presenti all’evento oltre al curatore del libro il prof. Ferro, l’assessore alla Cultura del Comune di Como Luigi Cavadini, la studiosa Manuela Manfredini e Chiara Milani, direttore scientifico della Biblioteca di Como. La dott.ssa Milani, nell’introduzione dei lavori ha sottolineato proprio l’importanza degli eventi posti in essere per il centenario di Lucini, «attraverso i quali è possibile trasmettere il valore degli stessi alla città intera ed a chi frequenta la Biblioteca ricordando - anche l’incontro che il prof. Ferro e la dott.ssa Manfredini terranno con gli studenti di alcune istituzioni scolastiche il prossimo 21 novembre sempre presso gli spazi della Biblioteca comunale». La presentazione del libro si è svolta grazie all’interazione tra la dott.ssa Manfredini, che ha posto alcune domande, ed il prof. Ferro quale interlocutore di riferimento. «Lucini è un autore che viene percepito come secondario, ma la sua vicenda intellettuale e biografica mostra che è una figura che ha incrociato personalità letterarie e storiche di importanza notevole - ha esordito la dott.ssa Manfredini -. Nel 1898 per alcune vicende storiche e personali si allontana da Milano, ed intraprende anche un’attività di pubblicistica». Difatti molto produttiva è stata l’esperienza editoriale luciniana. «Da sempre molto sensibile nei confronti delle innovazioni ed al simbolismo, che ha declinato in versione nostrana per poi approdare al Futurismo – ha aggiunto la Manfredini -, il libro del prof. Ferro segna una svolta negli studi dell’autore, perché oggi gli studiosi possono accedere alle carte, e la rete di relazioni dal punto di vista della narrazione è inedita. Ferro fa un saggio in cui la narrazione storico letteraria induce il lettore in vicende, scontri, incontri. Il volume si occupa dei rapporti di Lucini con i periodici militanti di area repubblicana, che gli permette di essere presente sull’attualità. Da questo volume emerge che l’attività pubblicistica di Lucini si sviluppa fortemente dal 1901-1914. Le ragioni del titolo derivano da uno scritto in cui Lucini utilizzava uno pseudonimo». Una delle domande rivolte al prof. Ferro è stata proprio in riferimento al legame tra attività poetica e pubblicistica che Lucini ha costantemente portato avanti. Ferro ha esplicato alcune vicende anche imprenditoriali dell’autore. «Con Lucini abbiamo il primo letterato che si impegna direttamente nella produzione dell’industria editoriale; in vita Lucini ha conosciuto un discreto successo, le sue poesie per esempio occupavano la pagina del quotidiano “La Ragione” che si stampava a Roma. Poi su “Italia del Popolo” pubblica un articolo a settimana, le sue posizioni sono sempre state polemiche, critiche. Dopo la sua morte si è continuato ad occuparsi di lui. È seguita una fase di silenzio fino agli anni ’60-’70, durante i quali si è arrivati ad una sua progressiva rivalutazione». Il prof. Ferro ha tracciato poi un excursus itinerante nelle vicissitudini economiche del poeta riguardo proprio un forte investimento in campo editoriale e di come l’imprenditore Lucini sia inscindibile dal Lucini poeta, letterato e dunque fortemente orientato su posizioni antisistemiche. «Lucini ha sempre denunciato lo stato di fatto della realtà, del degrado anche economico e sociale del tempo, talvolta firmandosi con uno pseudonimo per non rischiare eventuali procedimenti penali. Lucini si fece anche mediatore tra la letteratura italiana e quella straniera, quella francese in particolare, e l’educazione politica gli aprì la collaborazione con i periodici di Ghisleri. Anche Pascoli e D’Annunzio pubblicavano su periodici, ma l’operazione che fece Lucini fu quella di muovere il pubblico al suo livello piuttosto che blandirlo. Fece un’operazione complessa mediando dal linguaggio ordinario e innovandolo». A conclusione dei lavori il prof. Ferro ha aggiunto: «l’autore Lucini non sarà mai monumentalizzato come Dante o altri autori, ma è un autore importante ed interessante perché ha morso le carni vive del suo tempo e ce lo ha trasmesso». Stefania Ferro