Percorsi - Guida alla redazione del parere civile
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CAPITOLO I
METODOLOGIA DELLA SCRITTURA FORENSE E DELL’ARGOMENTAZIONE
GUIDA 1. L’importanza di motivare 2. Le buone regole del saper scrivere 2.1. Grafia 2.2.
Ortografia 2.3. Precisione lessicale e coerenza semantica 2.4. Congruenza sintattica 2.5.
Equilibrio strutturale 2.6. Approfondimento critico 3. Le tecniche argomentative 3.1. Premessa 3.2. Canoni per la redazione della parte motiva o argomentativa 3.2.1. L’argomentazione letterale 3.2.2. L’argomentazione letterale-storica 3.2.3. L’argomentazione letteraleevolutiva 3.2.4. L’argomentazione letterale-estensiva 3.2.5. L’argomentazione letterale-restrittiva 3.3. L’argomentazione sistematica-sedes materiae 3.4. L’argomentazione legata alla
ratio della norma e all’intenzione del legislatore 3.5. L’argomentazione analogica 3.5.1. L’argomentazione analogica secondo legge 3.5.2. L’argomentazione analogica secondo i principi
generali del diritto 3.6. Argomentazioni di pura logica 3.6.1. L’argomentazione ‘‘a contrario’’ 3.6.2. L’argomentazione ‘‘ab absurdo’’ 3.6.3. L’argomentazione ‘‘a fortiori’’ 3.6.4. L’argomentazione ‘‘secondo il combinato disposto’’ 3.6.5. L’argomentazione della coerenza della disciplina giuridica 3.6.6. L’argomentazione della ‘‘non ridondanza’’ della disciplina giuridica 3.6.7. L’argomentazione della ‘‘natura delle cose’’ 3.6.8. L’argomentazione equitativa 3.6.9. L’argomentazione adeguatrice della Costituzione
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GUIDA ALLA REDAZIONE DEL PARERE CIVILE
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CAPITOLO I ^ METODOLOGIA DELLA SCRITTURA FORENSE
‘‘Guardate quanti rovesci ha questa medaglia’’
M. Montaigne
z 1. L’importanza di motivare
Nella società di oggi ed in particolare nella professione legale sta lentamente
scomparendo l’abitudine all’argomentazione ed alla dimostrazione. Prevale una
forma di pensiero fatta di osservazioni parziali, di conclusioni affrettate e di
massime sintetiche prese dalle numerose banche dati ormai presenti in ogni
studio legale. Invero, un pensiero debole e frantumato.
La nostra esperienza didattica rileva che la parte più difficile nella spiegazione
di come si redige un parere motivato è quella che riguarda la motivazione appunto, l’analisi del ragionamento argomentativo, ossia come estrarre e riportare
i fondamenti logico-giuridici di una decisione o di un orientamento profilato
come linea difensiva.
La legge n. 242 del 27 giugno 1988 ha introdotto, per la prova scritta degli
esami di avvocato (allora di procuratore legale), la redazione di pareri motivati
su questioni regolate dal codice civile e dal codice penale, nonché di atti giudiziari in materia civile, penale ed amministrativa.
Bisogna chiedersi perché alla base dell’esame di abilitazione vi sia la redazione di un elaborato giuridico che difficilmente un praticante avvocato scrive
nel periodo di tirocinio. Normalmente, in uno studio legale si scriveranno atti
giudiziari.
Eppure, il legislatore del 1988 ha acutamente introdotto tale modifica: il parere
motivato è l’elaborato che consente maggiormente al commissario d’esame di
accertare la capacità del candidato di risolvere casi pratici attraverso un procedimento. Più di ogni altro elaborato. Infatti, svolgere un tema molte volte si riduce
ad una mera compilazione di teorie frutto più di memoria che di logica.
D’altronde, l’esame di abilitazione non può essere basato soltanto sulla redazione di atti giudiziari nei quali si espone una realtà necessariamente di parte.
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Attraverso la redazione e la motivazione del parere pro veritate, invece, il candidato ben potrà analizzare tutte le problematiche che possono essere rilevanti
nel caso concreto e dimostrare cosı̀ la propria capacità di ragionamento critico.
Non condivisibile, sotto tale aspetto, sarebbe dunque una selezione dei candidati sulla base di questionari a risposta multipla.
Entrando nel vivo, può definirsi ‘‘parere legale’’ il giudizio su una questione di
diritto espressa da un soggetto portatore di sapienza giuridica.
In prima battuta, risolvere un parere vuol dire analizzare un caso pratico. Bisogna considerare con buona immaginazione che dall’altra parte di una ideale
scrivania vi sia un cliente che pone una o più domande e desidera risposte pratiche, precise e sintetiche. Il parere, infatti, non è un tema con le sue elucubrazioni concettuali o dottrinali. Il cliente vuole conoscere al più presto quale potrà
essere, in sede giudiziaria, l’esito della sua vicenda civile. Pertanto, se il candidato riuscirà a scrivere il parere, in modo chiaro e sintetico, con puntuali riferimenti giurisprudenziali e soprattutto evidenziando il proprio ragionamento logico giuridico, allora potrà ritenersi idoneo all’esercizio della professione forense.
Il modo legale di ‘‘corrompere’’ un giudice, infatti, è convincerlo ad accogliere
le tesi prospettate utilizzando argomenti ragionevoli e persuasivi.
Di regola, dopo avere avvisato i partecipanti dei corsi forensi circa la necessità
di imbastire una parte motiva che può anche presentare un notevole coefficiente
di difficoltà e sulla insufficienza di una mera trascrizione delle massime contenute nei codici, si nota un certo sconforto.
Ma scrivere e motivare un parere non è difficile: si tratta di esercitare quotidianamente la propria capacità di ragionamento, utilizzando le tecniche argomentative che di seguito si esporranno.
‘‘Viviamo tutti sotto il medesimo cielo, ma non tutti abbiamo lo stesso orizzonte’’
z 2. Le buone regole del saper scrivere
Queste pagine vogliono essere un invito alla scrittura come avventura intellettuale.
Per la corretta stesura di un parere motivato è necessario che il candidato
possieda una serie di conoscenze e abilità: conoscenze, acquisite attraverso lo
studio di manuali istituzionali e l’approfondimento dei singoli argomenti dottrinali e giurisprudenziali; abilità, che gli derivano dal sapiente utilizzo degli strumenti ammessi agli esami (testi normativi e codici annotati con la giurisprudenza).
L’obiettivo che questa guida si propone è proprio quello di fornire un metodo
che consenta al candidato di mettere a frutto le sue conoscenze ed abilità al fine
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CAPITOLO I ^ METODOLOGIA DELLA SCRITTURA FORENSE
di redigere uno scritto che risulti valido, sia da un punto di vista formale che
contenutistico. Una metodologia è certamente necessaria anche per la scrittura
forense.
Il metodo, dal greco mèthodos, via (hodòs), che conduce oltre (metà), sta ad indicare una via o un modo diretto e breve, cioè agevole e spedito, col quale si insegni o si esponga arte e scienza.
Il primo aspetto da affrontare nell’esposizione del metodo è quello della cura
della scrittura. Chi scrive un parere motivato deve, infatti, utilizzare un linguaggio che sarà compreso da colui che lo leggerà, in questo caso commissario-correttore, pensando in anticipo all’impegno di lettura che il suo scritto porrà. È
sempre apprezzabile una scrittura semplice, chiara, lineare e corretta nell’utilizzo dei termini giuridici.
Le prove scritte per l’esame di abilitazione vengono valutate sotto diversi
aspetti, ma il primo è sicuramente quello della forma, che non può essere trascurata potendo influire sulla prima impressione che riceve la commissione esaminatrice dall’elaborato. Talvolta, quando i contenuti del parere sono mediocri,
diventa addirittura determinante per un giudizio di sufficienza.
I principali canoni formali da rispettare nella stesura del parere motivato di
diritto civile sono:
1. Grafia;
2. Ortografia;
3. Precisione lessicale e coerenza semantica;
4. Congruenza sintattica;
5. Equilibrio strutturale;
6. Approfondimento critico.
2.1. Grafia
Una grafia chiara e lineare si acquista con l’esercizio costante. Spesso si scrive
in maniera poco leggibile proprio a causa della disabitudine all’uso della penna
dovuto soprattutto alla mancanza di prove scritte durante il percorso universitario e all’utilizzo del computer nella pratica forense e nella vita quotidiana.
La grafia costituisce il ‘‘biglietto da visita’’ del candidato e può predisporre, in
positivo o in negativo, il commissario-correttore che sarà certamente più invogliato alla lettura di un elaborato scorrevole e propenso a valutarlo favorevolmente; al contrario, una grafia poco comprensibile rallenta e a volte impedisce
la comunicazione.
Ecco, di seguito, alcuni consigli su errori ed imprecisioni che si rinvengono
frequentemente negli elaborati.
È necessario, innanzitutto, distinguere nettamente la vocale ‘‘a’’ dalla ‘‘o’’, le
consonanti ‘‘m’’ ed ‘‘n’’ dalle ‘‘u’’; sulle ‘‘i’’ vanno messi i puntini (e non i pallini!). Sono da evitare, inoltre, le grafie troppo minute o quelle troppo ampie.
Scrivere in stampatello o utilizzare penne di tonalità diverse, infine, è una cattiva abitudine che agli esami può comportare anche la massima censura.
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Esiste un modo ‘‘classico’’ di scrivere le lettere dell’alfabeto. Spesso, soprattutto le ‘‘z’’, le ‘‘h’’, le ‘‘f’’ e le ‘‘g’’, sia maiuscole che minuscole, vengono personalizzate e non risultano comprensibili per tutti i lettori.
La grafia limpida rivela un’educazione grafica e l’educazione grafica è un segno di rispetto per il lettore.
2.2. Ortografia
La parola ‘‘ortografia’’ etimologicamente deriva da ‘‘orto’’ (un prefissoide con
il significato di ‘‘diritto, giusto, corretto’’) e ‘‘grafia’’ (scrittura) e, dunque, è il
modo corretto di scrivere le parole, che non sempre si acquisisce sui banchi di
scuola ma che può comunque essere perfezionato anche in seguito con lo studio
e la disciplina.
Al riguardo, può essere utile, durante la redazione degli elaborati, consultare
un vocabolario di italiano o compulsare, all’occorrenza, una buon testo di grammatica, per risolvere eventuali dubbi.
Fondamentale è poi il corretto utilizzo della punteggiatura per evitare di scrivere come Totò e Peppino nel famoso film ‘‘Totò, Peppino e la malafemmina’’.
Il significato di una frase può, infatti, cambiare completamente se solo si sposta la punteggiatura. Si potrebbe ricordare che il leggendario Martin ‘‘perse la
cappa’’, cioè non fece carriera nella sua abbazia, proprio ‘‘per un punto’’: dovendo dipingere sul portale l’iscrizione ‘‘Porta patens esto. Nulli claudatur honesto’’ (‘‘questa porta sia sempre aperta. Non la si chiuda a nessun uomo onesto’’),
sbagliò la posizione del punto conferendo alla frase un senso minaccioso: ‘‘Porta
patens esto nulli. Claudatur honesto’’ (‘‘Questa porta non sia aperta a nessuno. All’uomo onesto la si chiuda in faccia’’).
Tra i segni di punteggiatura un ruolo cardine è rivestito dal punto che impone
una pausa decisa e prolungata. Occorre poi tenere distinto il punto fermo dal
punto a capo. Il primo è collocato alla fine di un periodo sintatticamente e logicamente compiuto, anche se esso è formato da una sola proposizione o da una
parola. Il secondo, invece, si usa quando si vuole passare con decisione da un
argomento ad un altro.
Un abuso del punto fermo strangola la fluidità dei periodi impedendo alla pagina di respirare. Un suo scarso utilizzo, invece, rischia di rendere asmatico il
lettore.
Altro fondamentale segno di interpunzione è la virgola che può creare notevoli imbarazzi anche allo scrittore esperto.
Concisamente, deve ricordarsi che la virgola sta ad indicare una breve, brevissima pausa, e non si usa mai tra soggetto e predicato, davanti al complemento
oggetto, al complemento di specificazione e al complemento di termine. Non si
usa prima o dopo la congiunzione e nelle proposizioni interrogative indirette e
dubitative dipendenti.
La virgola si mette, invece, prima e dopo il vocativo, per separare e rafforzare
le ripetizioni, nelle enumerazioni e, soprattutto, per separare le proposizioni subordinate.
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Diversa funzione ha il punto e virgola che va usato per indicare una pausa di
arresto, meno forte del punto fermo, più forte della virgola. Serve a distinguere
e tenere separati vari membri di una enumerazione, a passare da una proposizione con un soggetto ad un’altra con un diverso soggetto.
Si ricordi, infine, l’importanza dei due punti i quali si usano per introdurre
un’enumerazione, per chiarire, spiegare, precisare o concludere ciò che è stato
detto nella proposizione precedente.
Altro aspetto formale che merita alcune riflessioni è quello relativo alla corretta scrittura delle parole.
Nell’esperienza professionale di docenti nei corsi forensi è stata riscontrata,
infatti, in sede di correzione degli elaborati, la tendenza alla commissione di errori di ortografia di cui, di seguito, se ne indicheranno alcuni.
Anzitutto, di frequente si sbagliano gli accenti sui monosillabi. Si ricorda, al riguardo, che non va accentato il ‘‘ne’’ in funzione di particella pronominale, mentre va accentato (con l’accento acuto) il ‘‘né’’ in funzione di negazione. Deve poi
distinguersi il ‘‘se’’ congiunzione — che non va accentato — dal ‘‘sé’’ pronome
con funzione riflessiva che va accentato (con l’accento acuto). L’accento può essere omesso solo nelle espressioni ‘‘se stesso’’ e ‘‘se medesimo’’.
Un errore molto frequente è, poi, quello di confondere il ‘‘dà’’, presente indicativo del verbo dare (che vuole l’accento) dal ‘‘da’’ preposizione semplice che
non lo vuole.
Non vanno infine accentati ‘‘fa’’ e ‘‘va’’, terza persona del presente indicativo,
rispettivamente, del verbo fare e del verbo andare. Come non va accentato ‘‘fa’’,
quando è utilizzato come avverbio di tempo. Infine, non vanno accentati gli avverbi di luogo ‘‘qui’’, e ‘‘qua’’.
Altri frequenti (ed esiziali) errori possono poi cadere sulle doppie o sui plurali
delle parole: non lascia scampo un ‘‘leggittimo’’ o un ‘‘colleggio’’ al posto di ‘‘legittimo’’ e ‘‘collegio’’. Come un ‘‘pronuncie’’ giurisprudenziali al posto di ‘‘pronunce’’ o ‘‘pronunzie’’.
Da ultimo, si ricorda che l’articolo indeterminativo ‘‘un’’ seguito dal maschile
non si apostrofa (ad esempio, è errato ‘‘un’orientamento’’).
2.3. Precisione lessicale e coerenza semantica
Essere precisi vuol dire essere pertinenti. Nella scrittura giuridica, come nella
vita, occorre scegliere le parole ‘‘giuste’’: se una parola — e una sola — esprime
esattamente quel significato, quella parola dovrà essere usata.
L’errore di genericità o di imprecisione terminologica in un elaborato di diritto, dove ogni parola indica una realtà normativa determinata, può risultare fatale. Nel linguaggio comune, ad esempio, almeno per una buona parte dei cittadini, il termine ‘‘possesso’’ è un sinonimo di ‘‘proprietà’’. Il giurista non può, invece, confondere questi due istituti.
Le ripetizioni frequenti di una stessa parola possono poi appesantire il testo; è
preferibile, allora, evitarle, costruendo la frase in modo diverso. A tale scopo, il
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candidato potrà portare con sé agli esami un dizionario dei sinonimi e dei contrari. La lingua italiana infatti è fra le più ricche del mondo.
Nel redigere il contenuto del parere inoltre è preferibile non utilizzare parole
o espressioni latine o di lingue straniere; tra l’altro, il parere nella realtà professionale può avere quale destinatario un assistito che potrebbe non conoscere tali
lingue. Né deve essere trascurato il rischio di commettere grossolani errori in citazioni o latinismi per eccesso di sicurezza (mai scrivere, come è capitato di leggere in sede di correzione: responsabilità acquiliana, ictus oculo, nemo tenetur
contra se detergere).
Da ultimo, occorre evitare di essere ridondanti; l’uso di troppe parole per
esprimere un concetto nuoce infatti alla comunicazione. È nota la frase che alcuni attribuiscono a Cicerone: — ‘‘Scusami se ti scrivo una lettera cosı̀ lunga, ma
non ho il tempo di scrivertela breve’’.
2.4. Congruenza sintattica
Sintassi è, etimologicamente, coordinamento; coordinamento di parole nelle
proposizioni e di proposizioni nel periodo.
La sintassi deve essere scorrevole, duttile, incisiva ed armoniosa; quindi deve
rispecchiare senza ombre il pensiero. La sintassi è pensiero in geometrie di parole.
La prima regola per evitare il caos sintattico è quella di organizzare e chiarirsi
mentalmente il concetto e soltanto dopo iniziare a scriverlo. La seconda regola è
quella di costruire periodi brevi, facendo tesoro della punteggiatura.
Il periodo, nella sua struttura più lineare, è composto da un soggetto, un predicato verbale ed un complemento oggetto. È bene prediligere la forma attiva
del discorso, diretta ed immediata, rifuggendo da periodi astrusi ed involuti. Va
evitato, inoltre, di appesantire il periodo con più di una proposizione subordinata o abusare di incidentali.
Nel riportare, infine, le massime delle sentenze, talvolta scritte con periodi assai complessi, è opportuno scomporle in frasi semplici, rendendole cosı̀ meglio
leggibili e favorendone la comprensione.
2.5. Equilibrio strutturale
Il testo deve avere un’architettura che permetta l’interrelazione dei significati
nell’insieme del messaggio. Perché ci sia equilibrio, occorre proporzione tra le
varie parti dell’elaborato, ossia tra la premessa, il corpo e le soluzioni cui si perviene.
L’esordio e la conclusione del parere meritano poi la massima cura. L’incipit,
infatti, è importante come le fondamenta per un edificio, mentre un finale buttato giù sbrigativamente equivale a dimenticare il tetto.
I piani dell’edificio sono indicati poi dagli ‘‘a capo’’, la cui equilibrata distribuzione è in diretto rapporto con la leggibilità. Come indicazione di massima, gli
‘‘a capo’’ non devono essere né troppo ravvicinati né troppo distanziati. Servono
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CAPITOLO I ^ METODOLOGIA DELLA SCRITTURA FORENSE
soprattutto per evidenziare il passaggio tra le varie parti di cui il parere si struttura.
Naturalmente, la ricerca della concisione non deve compromettere la completezza del testo. Si consiglia, comunque, di non superare le sei o sette pagine di
fogli ‘‘uso bollo’’, o le quattro pagine di fogli ‘‘protocollo’’.
2.6. Approfondimento critico
La regola aurea in qualunque concorso è comprendere la traccia: leggerla e rileggerla più volte, per cogliere gli aspetti problematici sottesi alla vicenda storica
narrata. Spesso infatti il testo è strutturato in modo da consentire al candidato
di dimostrare le sue capacità logico-deduttive e non soltanto quelle mnemoniche.
Un metodo per approfondire l’analisi (e dunque il grado di comprensione) di
un testo è quello di trasformarlo in una serie di problemi che generano domande a cui si dovrà rispondere in sequenza progressiva.
Per diventare buoni avvocati è, infine, importante cogliere le interrelazioni tra
i vari istituti, le discipline giuridiche e gli altri campi della conoscenza.
Shakespeare ha espresso molto bene l’atteggiamento dell’uomo di fronte alla
realtà con le parole di Amleto: ‘‘Vi sono più cose in cielo e in terra di quanto ne
sogna la tua filosofia’’.
z 3. Le tecniche argomentative
3.1. Premessa
L’argomentazione è il ragionamento retorico, ossia il procedimento logico che
non si limita a descrivere o interpretare, ma cerca di giustificare, motivare, dimostrare.
Da un punto di vista linguistico, il ragionamento argomentativo si articola in
un discorso, orale o scritto, composto da una serie di proposizioni concatenate
tra loro.
Il ragionamento argomentativo, pur presentando una struttura sostanzialmente analoga a quella di un comune ragionamento (usato per esprimere giudizi, formulare previsioni o risolvere problemi), si differenzia da esso in funzione dello scopo cui è diretto, che è quello di dimostrare una determinata tesi
nel modo più chiaro e convincente. In altre parole, argomentare significa sostenere le proprie opinioni tramite ragionamenti che siano persuasivi per chi
ascolta o per chi legge, portare qualcuno a condividere la nostra opinione su un
determinato tema.
Con il termine ‘‘argomento’’, Cicerone definiva ‘‘la ragione che rende certo un
elemento dubbio’’. Ed è proprio la ragione addotta a sostegno di una tesi in una
discussione o in uno scritto difensivo che conferisce valore al discorso dell’avvocato. Quindi, l’impegno del giurista consiste nel trovare, attraverso una tecnica
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logica, argomenti persuasivi a favore della propria tesi da contrapporre alle posizioni altrui.
Si tratta, certamente, di una attività assai delicata e complessa, che richiede
una profonda riflessione ed un’analisi attenta di tutte le problematiche connesse
alla questione.
L’argomentazione, in sostanza, è la parte più importante del parere ed è
quella che deve ‘‘brillare’’.
‘‘Argomentare’’, ‘‘arguire’’, ‘‘arguto’’, ‘‘argentino’’ sono infatti termini che
hanno tutti a che fare etimologicamente con l’argento. I filologi ci spiegano che
il significato di ‘‘argento’’ è ‘‘chiaro’’, ‘‘lucente’’. Un argomento degno di questo
nome, pertanto, deve brillare fino a potercisi riflettere, fino a rendere ciò che si
vuole dimostrare ‘‘chiaro e splendente come l’argento tirato a lustro’’.
Anche in sede d’esame, per l’aspirante avvocato, le difficoltà non sono minori:
si tratta di trovare gli argomenti, selezionarli, ordinarli ed esporli in modo chiaro
nella stesura del parere, individuando i fondamenti degli indirizzi giurisprudenziali contenuti nei codici annotati, compresi quelli sfavorevoli al proprio assistito.
In alcuni casi, la difficoltà si spinge fino a dover delineare una strategia difensiva motivata, anche in assenza di un supporto giurisprudenziale utile alla soluzione del caso.
3.2. Canoni per la redazione della parte motiva o argomentativa
L’argomentazione presuppone un’attività interpretativa che consiste in un
procedimento finalizzato ad attribuire un significato giuridico a fenomeni, processi e testi.
Allo scopo di pervenire a soluzioni dotate di validità scientifica si può far ricorso ad alcune tecniche argomentative che di seguito si riportano, iniziando da
quelle che si ricavano dall’art. 12 delle Disposizioni Preliminari al Codice Civile,
e proseguendo con quelle che si possono desumere dalla pura logica.
3.2.1. L’argomentazione letterale
Il principale e primario metodo argomentativo si ottiene utilizzando l’interpretazione letterale, la quale consiste nella determinazione del significato della disposizione in base al suo valore semantico (Cass. n. 11359/1993; Cass. n. 7239/
1991; Cass., Sez. Un., n. 4000 del 1992).
Tale argomentazione, detta anche filologica (dal greco ‘‘amore della parola’’),
si basa sulla esatta individuazione del significato proprio delle singole parole e
di quello che esse assumono nella loro connessione grammaticale o sintattica,
considerando anche la valenza dei segni di interpunzione.
La giurisprudenza ha affermato il primato dell’interpretazione letterale sugli
altri criteri ermeneutici, il cui impiego assume carattere sussidiario a causa della
loro funzione ausiliaria e secondaria, riflettendo l’ordine con cui i diversi criteri
interpretativi sono disciplinati dall’art. 12 delle Preleggi in una gerarchia di valori non alterabili (Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 maggio 2003, n. 845).
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