…UN TEATRO TUTTO PER VOI…
VOI…
Stagione 2012/2013
LA PRESENTAZIONE
Vecchie favole che vengono da Paesi lontani, storie del nostro passato recente, ironiche rivisitazioni dei vizi e
delle virtù che, da sempre, caratterizzano l’uomo, racconti di fantasia che fanno ritornare, magicamente,
fanciulli: è un programma in bilico tra finzione e realtà, tra sogno e riflessione quello che il teatro Sociale di
Busto Arsizio propone con la sua nuova stagione.
Dall’opera lirica al balletto, dal concerto alla favola per bambini (ma anche per adulti), dalla prosa al
teatro-documento: è ancora una volta, secondo una tradizione ormai consolidata da qualche anno, un
percorso tra generi scenici differenti a caratterizzare la programmazione serale della sala di piazza
Plebiscito.
Cinque produzioni interne e quattro spettacoli ospiti, per un totale di nove appuntamenti e dieci
repliche, che si snoderanno nell’arco di otto mesi (da ottobre 2012 a maggio 2013), compongono il
cartellone della nuova stagione, intitolata «Un teatro tutto per voi», a indicare che le scelte di pianificazione
del calendario sono state fatte seguendo i gusti e le indicazioni del pubblico.
Sono così molti gli artisti ospiti nel passato recente che, accolti con entusiasmo dagli spettatori, ritorneranno a
calcare le assi del palcoscenico di piazza Plebiscito. Mutuando un’espressione usata e abusata nel mondo
dello sport, il teatro Sociale di Busto Arsizio può, dunque, dichiarare anche per quest’anno: «squadra
vincente, non si cambia».
Dopo aver incantato il pubblico con le atmosfere fatate de «Il lago dei cigni», il «Balletto russo» di Anna
Ivanova, già solista al teatro Bolshoi di Mosca, sarà, per esempio, in scena con un classico delle feste di fine
anno: «Lo Schiacchianoci» (sabato 22 dicembre 2012, ore 18 e ore 21), per le musiche di Pëtr Il'ič
Čajkovskij e con le coreografie di Marius Petipa, «uno dei più bei doni della danza, -ha scritto George
Balanchine- non soltanto per i bambini, ma per chiunque ami l’elemento magico del teatro».
Ritornerà sul palcoscenico più vecchio di Busto Arsizio, dopo la partecipazione alla festa per i centoventi anni
dalla fondazione della sala, anche Angelo Pinciroli, prima tromba e solista nell'orchestra della
Fondazione «Arena di Verona», con il concerto «Angelo Pinciroli & Friends» (lunedì 6 maggio 2013, ore
21): una serata all’insegna della buona musica e dell’amicizia artistica.
Sarà ancora ospite, per il quarto anno consecutivo, il Teatro dell’Opera di Milano, «prima compagnia
itinerante di produzione di allestimenti completi di opera lirica in Italia», che ha tra i propri obiettivi la
rilettura in chiave moderna dei grandi titoli del repertorio e il «decentramento della cultura lirica» in
realtà provinciali. Due gli spettacoli proposti in inedite e originali riletture sceniche, entrambe
firmate da Mario Riccardo Migliara.
«Pagliacci» di Ruggero Leoncavallo (giovedì 21 febbraio 2013, ore 21), tra i manifesti del teatro musicale
verista, verrà trasportato all’interno di uno studio televisivo e racconterà il triangolo d’amore e di sangue tra il
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saltimbanco Tonio, sua moglie Nedda e il contadino Silvio come una performance in bilico tra varietà e realityshow. «L’illusione del cinema» è il sottotitolo scelto per la rivisitazione di quest’«opera possente, di una rara
intensità espressiva, degna di occupare un posto d’onore tra i grandi capolavori dell’arte lirica», secondo la
felice espressione del direttore e compositore René Leibowitz.
Sarà, poi, la volta di «Turandot» (giovedì 18 aprile 2013, ore 21), la storia dell’algida e sanguinaria
principessa orientale, «bianca al pari della giada, fredda come quella spada», con la quale Giacomo Puccini
salutò, per sempre, il mondo del melodramma. L’allestimento del Teatro dell’Opera di Milano, intitolato «I
colori delle favole», si avvarrà della collaborazione dell’Istituto italiano del colore e rileggerà il noto
capolavoro del compositore lucchese, del quale rimane punta sublime la conosciuta romanza «Nessun
dorma», attraverso un suggestivo e scenografico gioco di luci e cromie.
Un affascinante viaggio in musica e a passo di danza, sulle ali della fantasia e del sogno, attende,
dunque, il pubblico del teatro Sociale di Busto Arsizio, ma non mancheranno, come è ormai tradizione
nella filosofia programmatica della sala di piazza Plebiscito e di «Educarte», l’associazione che si
occupa delle produzioni interne, appuntamenti per riflettere su pagine significative della nostra storia
passata e recente, ma anche sull’uomo di ieri e oggi, sui suoi vizi e sulle sue virtù.
E’ possibile praticare la bontà e seguire, tenacemente, il senso del dovere quando tutto intorno a noi parla il
linguaggio dell’odio, della sopraffazione e della diseguaglianza? Ci domanda, per esempio, Bertolt Brecht
con il suo dramma in versi e in prosa «Il cerchio di gesso del Caucaso» (martedì 23 ottobre 2012, ore 21),
una bella e antica leggenda cinese del XIII secolo, che ‘parla’ di amore, guerra, giustizia, potere e sentimento
materno.
Punta, invece, i riflettori sulla civetteria femminile la commedia «La locandiera» di Carlo Goldoni (giovedì
29 novembre 2012, ore 21), piacevole e ben congeniato affresco di una donna divertita dal gioco della
seduzione e, nello stesso tempo, pratica e calcolatrice nella gestione del suo lavoro, una sorta di
femminista ante litteram, che piacque anche a Luchino Visconti e Giorgio Strehler.
Non mancheranno, poi, due appuntamenti ormai consueti nella programmazione della sala di piazza
Plebiscito: quello per la Giornata della memoria, con la rilettura scenica del libro «Se questo è un uomo» di
Primo Levi (lunedì 28 gennaio 2013, ore 21), e quello con la produzione di Luigi Pirandello, del quale
verranno proposti due atti unici, «La giara» e «La patente» (giovedì 21 marzo 2013, ore 21), l’uno affresco,
di gusto campestre e giocoso, della civiltà contadina siciliana di inizio Novecento, l’altro ritratto di uno dei più
originali e grotteschi atti di ribellione di un personaggio pirandelliano contro le ingiustizie della società.
Le produzioni di «Educarte» prevedono, infine, la rappresentazione dello spettacolo «Le avventure di
Alice nel paese delle meraviglie» (giovedì 11 aprile 2013, ore 20.30), riduzione scenica dell’omonimo
racconto di Lewis Carroll, che porterà il pubblico in una terra colma di mistero e meraviglia, dove
l’immaginazione e il paradosso regnano sovrani e dove si possono incontrare, per la gioia dei più piccoli o di
chi è rimasto bambino nel cuore, un Coniglio bianco con panciotto e orologio da taschino, un grande Bruco
azzurro che fuma il narghilè, un’irosa Duchessa che culla un maialino, un Cappellaio tutto matto e una Regina
di cuori, con la mania di ordinare la decapitazione dei suoi sudditi. Magia delle favole e del palcoscenico!
Un pizzico di danza, una manciata di musica e di opera lirica, un pugno di appuntamenti per riflettere e una
spolverata di divertimento: ecco, dunque, la ricetta del teatro Sociale di Busto Arsizio per la nuova stagione.
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IL CARTELLONE
martedì 23 ottobre 2012 – ore 21.00
IL CERCHIO DI GESSO DEL CAUCASO
di Bertolt Brecht
regia di Delia Cajelli
con gli allievi del corso «Chi è di scena? Il pubblico»
produzione: associazione culturale «Educarte» - teatro Sociale di Busto Arsizio
spettacolo di prosa
E’ possibile praticare la bontà e seguire, tenacemente, il senso del dovere quando tutto intorno a noi parla il
linguaggio dell’odio, della sopraffazione e della diseguaglianza? E’ questa la domanda che sottende a «Il
cerchio di gesso del Caucaso» («Der kaukasische Kreidekreis»), dramma in versi e in prosa composto da
Bertolt Brecht tra il 1944 e il 1945, durante il suo esilio americano, e rappresentato, per la prima volta, il 4
maggio 1948 al Carlston College di Northfield, in Minnesota, nella traduzione inglese di Eric Bentley. L’opera il cui debutto in lingua originale (e con le musiche di Paul Dessau) si ebbe il 15 giugno 1954, al Theater am
Schiffbauerdamm di Berlino, con la compagnia del «Berliner Ensemble»- è ispirata a un’antica leggenda
cinese del XIII secolo: la favola «Hui Lan Chi» di Li Hing-Tao, che lo scrittore tedesco ebbe modo di
conoscere attraverso la libera traduzione che ne fece il letterato Klabund (marito di una delle sue attrici
preferite, Carola Neher), per uno spettacolo di Max Reinhardt, andato in scena nel 1925.
Amore, guerra, giustizia, potere e sentimento materno sono gli argomenti che tessono la trama di questo
dramma brechtiano, articolato nella forma del «teatro epico», con i vari passaggi dell’azione introdotti da un
cantore-narratore e dai suoi musici.
Al centro della storia, il cui sapore melanconico ed educativo ricorda quello di una vecchia fiaba raccontata
davanti al tepore del focolare domestico, vi è la vicenda di Michele Abašvili, figlio neonato del governatore
di un villaggio della Georgia, che, nel corso di una rivolta di palazzo, durante la quale il padre viene
decapitato, è abbandonato da una madre fin troppo distratta, interessata più al superfluo, agli «stivaletti color
zafferano» e al «vestito d’argento», che al bene del suo piccolo. Il bambino, su cui pende una cospicua taglia,
viene messo in salvo da Gruša Vachnadze, una sguattera di cucina, incolta e cocciuta, che, dopo qualche
esitazione, sente nascere il lei la vocazione materna e che affronta mille rinunce e peripezie, rischiando
persino la propria vita e accettando anche di sposare uno sconosciuto, pur di proteggere colui che ha deciso
di porre sotto la propria tutela. Anni dopo, quando la situazione politica è ormai stabile, la moglie del
governatore, Natella Abašvili, torna nella «città dannata» e reclama il bambino, poiché solo grazie a lui,
legittimo erede al trono, può riappropriarsi dei propri beni e privilegi. La balia si oppone, esigendo il piccolo
Michele come proprio, in quanto l'ha cresciuto donandogli l'amore: «l’ho allevato –afferma la donna- secondo
la miglior scienza e conoscenza, gli ho sempre trovato qualcosa da mangiare. Ha quasi sempre avuto un tetto
sulla testa, e io ho passato ogni sorta di guaio a causa sua, e ho anche dovuto fare molte spese. Non ho
badato ai miei comodi. Ho insegnato al bambino ad essere gentile con tutti e fin da principio gli ho insegnato
a lavorare meglio che poteva».
L’intricata vicenda sarà risolta da Azdak, scrivano di villaggio ai margini della legge, che, nominato giudice a
causa degli sconvolgimenti politici, amministra ogni processo con spirito anarchico, praticando una giustizia
più attenta ai sentimenti e alle sofferenze dell’individuo che ai codici e alle loro cristallizzate formule. Per
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decidere chi è la vera madre del piccolo Michele, viene praticata la prova salomonica del cerchio di gesso,
una sorta di tiro alla fune col corpo del bambino, alla quale Gruša decide, per ben due volte, di non
partecipare, dimostrando così la propria vera maternità, quella dell'affetto e non del sangue. Il giudice Azdak
decide anche di sciogliere il matrimonio della donna con il furbo contadino Yusúp, l’uomo sposato per dare
un nome al bambino e che ha ingannato i suoi vicini facendosi credere moribondo per non andare alla guerra,
permettendo così alla ragazza di trascorrere il resto della vita con l’amato Simone Shashava, il giovane
soldato al quale aveva promesso il suo cuore prima della rivolta di palazzo. La storia termina con una morale:
le cose appartengono non a chi ne rivendica la proprietà per legge o per sangue, ma a colui che ne ha avuto
cura e ha permesso loro di crescere. «Ogni cosa –scrive Bertolt Brecht- deve appartenere a chi le si
conviene, i bambini ai cuori materni, perché prosperino, i carri al buon guidatore, perché siano ben guidati, la
valle a chi la irriga, perché dia buoni frutti».
Con quest’opera, riflessione sul senso di umanità in tempo di guerra e satira sociale sulla corruzione e
sulla violenza dei potenti, l’autore spiega ancora una volta che i nemici del crescere civile sono l’ignoranza
e la facile credulità, ma si riconcilia anche con la poesia ed esprime una fiducia negli uomini e nelle loro virtù
collettive, assente in opere pressoché coeve come «Madre Courage e i suoi figli» (1939), «Vita di Galileo»
(1938-1956) e «La resistibile ascesa di Arturo Ui» (1941).
L’allestimento del teatro Sociale di Busto Arsizio, che vede in scena gli allievi del corso triennale «Chi è di
scena? Il pubblico», promosso dall’associazione culturale «Educarte» e realizzato con il contributo
economico della Fondazione Cariplo di Milano, prende spunto dal diario che Hans-Joachim Bunge
redasse, tra il novembre 1953 e l’ottobre 1954, in occasione della prima rappresentazione berlinese. In
questo testo, si parla, tra l’altro, dell’uso della maschere sceniche, della musica, che deve avere carattere
folkloristico e volume alto, e dell’obiettivo brechtiano di fare «un teatro che sia spaccato della realtà», un
«teatro epico», che con i suoi «drammi didattici», interpretati dagli attori secondo la tecnica dello
straniamento (contraria a quella, stanislawskijana, dell’immedesimazione), deve invitare il pubblico a tenere
una distanza critica e a riflettere su quanto avviene sulla scena, deve provocare non emozioni, ma
riflessioni.
Ingresso: posto unico € 10,00
giovedì 29 novembre 2012 – ore 21.00
LA LOCANDIERA
di Carlo Goldoni
regia di Delia Cajelli
con gli attori del teatro Sociale
produzione: associazione culturale «Educarte» - teatro Sociale di Busto Arsizio
spettacolo di prosa
Una donna autonoma, non più giovanissima e, per questo, esperta della vita e padrona di sé. Una donna
economicamente indipendente e divertita dal gioco della seduzione. Ecco il ritratto di Mirandolina, la
protagonista della commedia «La locandiera», scritta da Carlo Goldoni, tra l’ottobre e il novembre 1752, per
l’attrice Maddalena Raffi Marliani, nome d'arte Corallina, la «servetta» della compagnia di Gerolamo
Medebach. Il testo teatrale -pubblicato nel 1753 per i tipi dell’editore Paperini di Firenze, all’interno del
secondo tomo delle opere goldoniane (insieme con «Il tutore», «L’adulatore», «Il Molière» e «Il cavaliere e la
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dama»)- venne rappresentato per la prima volta il giorno di Santo Stefano del 1752, al teatro Sant’Angelo di
Venezia (lo ricorda lo stesso autore nei suoi «Mémoires»), e venne, poi, replicato più volte, e con successo,
in occasione dei festeggiamenti per il carnevale dell’anno successivo.
«La locandiera», che lo stesso Carlo Goldoni definì, nella prefazione, «la più morale, la più utile e la più
istruttiva» di tutta la sua produzione, dà vita a un nuovo modello di teatro: la commedia di carattere e di
ambiente, un genere che soppianta gli schemi, ormai obsoleti e stereotipati, della Commedia dell’arte.
Saggia e spiritosa, civetta e accorta, la protagonista di quest’opera, oggetto in Italia di eccellenti edizioni
firmate da importanti registi quali, per esempio, Luchino Visconti e Giorgio Strehler, rappresenta -per usare
le parole di Nicola Mangini- «la più mirabile espressione della femminilità trionfante e certo uno dei
personaggi più vivi che sia mai apparso alla ribalta».
La trama è costruita con grande abilità, sia nella caratterizzazione dei personaggi e nell’illustrazione
dell’ambiente che nel ritmo dei dialoghi e nel taglio delle scene. Mirandolina, avvenente e vivace padrona di
una locanda a Firenze, è oggetto di galanti attenzioni da parte di due suoi clienti: il ricco conte di Albafiorita,
che spera di veder ricambiati i doni di cui la ricopre, e lo spiantato marchese di Forlipopoli, che ne pretende
l’affetto come dovuto alla sua nobiltà. Il cavaliere di Ripafratta fa, invece, professione di misoginia. Per
questo motivo la locandiera, ferita nell’orgoglio e decisa a vedersi «servita, vagheggiata, adorata» anche da
chi pone resistenze al fascino femminile, decide di farlo innamorare, usando tutta l’arte della seduzione per
«vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa
che abbia prodotto al mondo la bella madre natura».
Ad assecondare il suo piano contribuisce l’arrivo alla locanda di Ortensia e Dejanira, due attrici in bolletta,
che, abituate a ricoprire parti di donne nobili, si spacciano per aristocratiche. Mirandolina capisce subito la
finzione, ma l’asseconda, facendo in modo che il conte e il marchese si dedichino alle nuove arrivate, per
concentrare tutte le sue energie sul burbero cavaliere, che, dopo lacrime e un finto svenimento, cade nella
trappola e confessa alla donna di amarla.
La locandiera svelerà, infine, il suo gioco di seduzione e ai tre uomini spiegherà di preferire un matrimonio
sicuro con il valido Fabrizio, uomo del suo ceto, che può aiutarla nella conduzione degli affari. «Mi piace
l'arrosto, e del fumo non so che farne», dichiara, a motivazione della sua scelta, la saggia Mirandolina,
incarnazione dell'eterno femminino, ma anche personificazione della donna d’affari pratica e calcolatrice,
sorta di femminista ante litteram.
Ingresso: intero € 16,00, ridotto* € 12,00
sabato 22 dicembre 2012 – ore 18.00 e ore 21.00 (2 turni)
LO SCHIACCIANOCI
dal racconto «Schiaccianoci e il re dei topi» di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann
musiche di Pëtr Il'ič Čajkovskij; coreografie di Marius Petipa
con il «Balletto russo» di Anna Ivanova
ballerini solisti: Anna Ivanova e Aleksander Alikin
balletto
«Uno dei più bei doni della danza, non soltanto per i bambini, ma per chiunque ami l’elemento magico del
teatro: ha un incanto perenne, che non dura soltanto i giorni di Natale, ma tutto l’anno». Sta tutto in queste
parole del coreografo e danzatore russo George Balanchine il fascino de «Lo schiaccianoci», balletto in due
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atti e tre scene, con prologo ed epilogo, su musiche di Pëtr Il'ic Cajkovskij e per le coreografie del «maitre de
ballet» Marius Petipa (e del suo collaboratore Lev Ivanov), che ebbe la sua prima rappresentazione scenica il
18 dicembre 1892, al teatro Marijnskij di San Pietroburgo, insieme con l’opera in un atto «Jolanta».
Fonte letteraria del libretto, scritto dietro commissione del direttore dei Teatri imperiali russi, il principe Ivan
Aleksandrovič Vsevoložskij, è la favola borghese ottocentesca «Nüssknaker und Mäusekönig» («Lo
schiaccianoci e il re dei topi») di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, nella versione liberamente rivisitata e
privata dai suoi elementi drammatici e horror da Alexandre Dumas padre.
Al centro della vicenda c'è una bambina di Norimberga, la dolce e romantica Clara (o, secondo le versioni
predominanti di Masha, diminutivo russo di Maria), che si prepara a festeggiare il Natale con i propri parenti
ed amici. Fra i tanti invitati al sontuoso ricevimento, si distingue uno strano personaggio di nome
Drosselmeyer, un po' prestigiatore e un po' giocattolaio, che regala alla protagonista alcuni pupazzi
meccanici, ma soprattutto uno Schiaccianoci di legno a forma di soldatino. A mezzanotte, quando gli ospiti si
congedano, la piccola si addormenta su una poltrona del divano e precipita in un sogno/incubo fantastico, nel
quale il nuovo giocattolo si trasforma in un bellissimo e coraggioso principe azzurro, con cui combattere
contro l'esercito dei topi e, una volta vinta la battaglia, partire in viaggio per il paese delle delizie. Qui vivono
la Fata Confetto e altri personaggi di fantasia, come il Cioccolato, il Caffè, il Bastoncino di zucchero candito e
i Cannoncini alla crema. La bambina trascorre con loro una notte da favola. Ma tutti i sogni, si sa, durano
poco: al risveglio balli e suoni sono svaniti; accanto alla piccola, felice di questo sogno di Natale, c'è solo il
suo amato schiaccianoci di legno.
A fare da colonna sonora a questo spettacolo, considerato, insieme con il «Lago dei Cigni» (1895) e «La
Bella addormentata nel bosco» (1890), uno dei balletti fondamentali dell’Ottocento e uno dei più affascinanti
di tutti i tempi, saranno, come già ricordato, alcune delle musiche più allegre, sognanti e divertenti nate dal
genio di Pëtr Il'ic Cajkovskij tra il 1891 e il 1892: dal «Galop» iniziale al «Trepak» (o «Danza russa»), dalla
«Danza della fata Confetto» sino allo squisito «Valzer dei fiori», che segna la fine dello spettacolo, uno dei più
rappresentati nel periodo natalizio.
Il mondo di dolciumi, soldatini, alberi di natale, fiocchi di neve e fiori che danzano, topi cattivi, prodigi, principe
azzurro e fatina che tesse la trama di questo fiaba a lieto fine ne fa, infatti, uno dei balletti più amati dai
bambini e non solo.
A portare in scena il balletto «Lo schiaccianoci», con la sua atmosfera fatata di festa, sarà il «Balletto russo»
di Anna Ivanova, compagnia fondata a Mosca, che si basa sulla tradizione della scuola del balletto classico
russo. Il repertorio comprende i titoli più noti del repertorio: «Il lago dei cigni», «La bella addormentata», «Lo
schiaccianoci», «Giselle», «Romeo e Giulietta» e «Don Chisciotte». Gli artisti della compagnia sono vincitori
di prestigiosi concorsi internazionali, in Russia e all'estero, e si distinguono per l'elevata professionalità, il
genio artistico e l'espressività. Il «Balletto russo» di Anna Ivanova ha partecipato, principalmente, a tournèe in
Italia, Francia, Svizzera, Spagna e Africa, nonché a a vari festival di danza in tutta Europa, ottenendo un
grande successo di pubblico e di critica.
I costumi e le scene degli spettacoli in programma nel nostro Paese sono state creati appositamente per il
tour italiano, sulla base dei canoni artistici del Grande teatro imperiale russo. Le coreografie e le scenografie
rispettano le regole tecniche e grafiche della classica produzioni di M. Petipa. I coreografia e gli artisti si
ispirano ai migliori maestri russi: M.T. Semenova, M.L. Jacobson, L.I. Semenyaka.
Ingresso: poltronissima (dalla fila A alla fila H) € 40,00; poltrona (dalla fila I alla fila O) € 33,00; galleria €
26,00, ridotto** € 22,00
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lunedì 28 gennaio 2013 – ore 21.00
SE QUESTO È UN UOMO
(Giornata della memoria 2013)
dall’omonimo romanzo di Primo Levi
riduzione scenica e regia di Delia Cajelli
con gli attori del teatro Sociale
e con gli allievi del progetto «Officina della creatività» (corsi «Attori in erba» e «Chi è di scena? Il pubblico»)
produzione: associazione culturale «Educarte» - teatro Sociale di Busto Arsizio
spettacolo di prosa
Sul palco per non dimenticare. Sul palco per ricordare i milioni di vittime, ebrei e prigionieri politici, che
morirono nei campi di concentramento nazisti.
In occasione della Giornata della memoria (momento di riflessione istituito -come recita la legge 211 del 20
luglio 2000- «per ricordare le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, i cittadini italiani che
hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che -anche in campi e schieramenti
diversi- si sono opposti al progetto di sterminio, ed anche a costo della propria vita hanno salvato altre vite e
protetto i perseguitati»), uno spettacolo per conoscere o riscoprire una delle testimonianze più alte sullo
sterminio ebraico.
Il recital, in repertorio dal 1997, è tratto dall’omonimo racconto che Primo Levi compose, tra il dicembre del
1945 e il gennaio del 1947, per documentare la drammatica condizione degli ebrei (e non solo) nei campi di
concentramento e per raccontare la sua stessa vicenda di deportato ad Auschwitz. Un testo, questo,
pubblicato nel 1947 per i tipi dell’editore De Silva e ristampato nel 1958 da Einaudi, che la critica ha definito
testimonianza alta del dramma della Shoah e del sistema di disumanizzazione e di morte in vigore nei lager
nazisti, insieme ad altri due lavori dell’autore torinese, di religione ebraica: «La tregua» (1963) e «I sommersi
e i salvati» (1986).
Lo spettacolo, che documenta anche la drammatica «marcia della morte» vissuta dal bustocco Angioletto
Castiglioni (prigioniero politico nel campo di concentramento di Flossenbürg e «angelo custode» del Tempo
civico di Sant'Anna, «casa della Memoria» della città di Busto Arsizio, fino alla sua scomparsa, avvenuta nel
maggio 2011), si configura come un documento-reportage dal lager. Un documento-reportage in cui
attraverso parole, rumori come lo sferragliare del treno, musiche del tempo e non, quali «Auschwitz (Canzone
del bambino nel vento)» di Francesco Guccini e l’aria «Lili Marlene» di Hans Leip (resa famosa
dall’interpretazione di Marlene Dietrich), si viene condotti alla scoperta dei ritmi di vita e delle storie di chi è
stato prigioniero nelle fabbriche della morte del regime nazista, di chi è sopravvissuto e ha potuto raccontare
l’orrore del folle «piano hitleriano di epurazione della razza ebraica», ma anche dei tanti che non hanno fatto
più ritorno alle proprie case.
Per il sedicesimo anno consecutivo, gli attori del teatro Sociale faranno rivivere, dunque, le parole scritte da
Primo Levi quale invito ai contemporanei e agli uomini di domani a mantenere viva la memoria dell’Olocausto:
«Voi che vivete sicuri / Nelle vostre tiepide case, / Voi che trovate tornando a casa / Il cibo caldo e visi amici /
Considerate se questo è un uomo / Che lavora nel fango / Che non conosce pace / Che lotta per mezzo pane
/ Che muore per un sì e per un no. / Considerate se questa è una donna, / Senza capelli e senza nome /
Senza più forza di ricordare. Vuoti gli occhi e freddo il grembo. Come una rana d’inverno. […] Meditate che
questo è stato: / Vi comando queste parole. / Scolpitele nel vostro cuore / Stando in casa / andando per via, /
Coricandovi alzandovi; / Ripetetele ai vostri figli […]».
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[email protected]. Sito web: www.teatrosociale.it. P.IVA 02230520120, C.F. 10805250155.
Il recital sarà in tournèe nel mese di gennaio 2013. La sola replica dello spettacolo, in programma a Busto
Arsizio in occasione della Giornata della memoria 2013, sarà arricchita da «scene di massa», che vedranno
la partecipazione degli allievi di del progetto «Officina della creatività» (corsi «Attori in erba» e «Chi è di
scena? Il pubblico»).
Ingresso: libero e gratuito
giovedì 21 febbraio 2013 – ore 21.00
PAGLIACCI
(L’illusione del cinema)
dramma in un prologo e due atti ispirato a una storia vera
libretto e musica di Ruggero Leoncavallo
regia di Mario Riccardo Migliara
con il Teatro dell’Opera di Milano
opera lirica completa
«Opera possente, di una rara intensità espressiva, degna di occupare un posto d’onore tra i grandi capolavori
dell’arte lirica». Così il direttore e compositore franco-polacco René Leibowitz, primo storico della
dodecafonia, descrisse «Pagliacci», dramma in un prologo e due atti del quale Ruggero Leoncavallo
compose libretto e spartito, in soli cinque mesi, sulla scia del successo di «Cavalleria rusticana» di Pietro
Mascagni, opera del maggio 1890 che segnò il debutto del genere verista, con i suoi soggetti desunti dalla
quotidianità e i suoi personaggi di estrazione umile, nel teatro musicale italiano.
«Pagliacci», che deve la propria ampia popolarità anche alla prima incisione discografica, quella del 1904 con
l’indimenticabile tenore Enrico Caruso, trae spunto da un fatto d’amore e di sangue realmente avvenuto a
Montalto Uffugo, in Calabria, nel 1865 (gli atti del relativo processo penale sono conservati presso l’Archivio
di Stato di Cosenza). Si tratta, per la precisione, di un delitto di gelosia, accaduto tra la folla, che il padre
del compositore, l’avvocato Vincenzo Leoncavallo, seguì, in una prima fase, come giudice.
Lo stesso autore ricordò in una sua inedita autobiografia, recentemente riportata alla luce dal giornalista
Mauro Lubrani e dal musicologo Giuseppe Tavanti, l’avvenimento all’origine della sua opera più celebre,
rappresentata per la prima volta, con successo di pubblico (la stampa, soprattutto il «Corriere della Sera», ne
rimase poco entusiasta), il 21 maggio 1892 al Teatro Dal Verme di Milano, sotto la direzione di un giovane
Arturo Toscanini e con il baritono Victor Maurel. «Il giorno della festa [...] facevano bella mostra di sé […]
dei carri di saltimbanchi. Questi -ebbe a scrivere Ruggero Leoncavallo- tenevano le loro rappresentazioni
all’aperto alle 23 ore, cioè dopo il tramonto [...]. Accorrevano così a centinaia gli spettatori, fra i quali eravamo
assidui io e mio fratello. Lo spettacolo ci divertiva un mondo, naturalmente, ed allo stesso Gaetano [un
servitore di famiglia, nell’opera il contadino Silvio, ndr] non pareva vero di condurvici, perché si era
innamorato, e non senza fortuna, di una bella donnetta della truppa di saltimbanchi. Ma il marito, il pagliaccio
della compagnia, aveva concepito dei sospetti […]; finché la sera della festa di mezz’agosto, durante una
delle solite rappresentazioni a base di Arlecchino e Colombina, mentre la moglie era in scena, andò a frugare
nei suoi vestiti e vi trovò un bigliettino […]. Il pagliaccio […] non seppe frenarsi e, appena calata la tela,
piombò sulla moglie con un coltellaccio e le tagliò quasi netto la gola, senza che l’infelice avesse il tempo di
emettere un sol grido. [...] Si accostò, poi, a Gaetano con un riso gelido che non dimenticherò mai […]
Gaetano stramazzò al suolo colpito dal medesimo coltellaccio di cui poco prima era caduta vittima la sua
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amante». Mario Morini, il più celebre studioso di Ruggero Leoncavallo e dei suoi tempi, ricorda, però, che il
libretto dei «Pagliacci» trova le proprie radici anche ne «La femme de Tabarin» di Catulle Mendès e in «Un
drama nuevo» di Maurel Tamayo Baus. Lo studioso precisa, inoltre, che la storia del tragico clown, con il
cuore a pezzi e il sorriso sulle labbra, era una narrazione entrata nell’immaginario collettivo e che la vera
innovazione del compositore napoletano fu quella di portare questo tòpos sulla scena lirica e di illustrarlo con
vigore truculento, facendo respirare un’aria di esistenza reale, vissuta. Nel prologo del dramma, quasi un
manifesto programmatico del teatro musicale verista, uno dei suoi personaggi, Tonio, annuncia, infatti,
che «l’autore ha cercato di pingervi uno squarcio di vita» e per questo «al vero ispiravasi» e «con vere
lagrime scrisse» questa storia con «uomini in carne ed ossa», nella quale «vedrete amar sì come s'amano gli
esseri umani; vedrete de l'odio i tristi frutti. Del dolor gli spasimi, urli di rabbia, udrete, e risa ciniche».
L’opera, la cui dimensione meta-teatrale del secondo atto e il cui scambio «tra finzione e verità» anticipano
esiti pirandelliani, «si contraddistingue -scrive la musicologa Maria Giovanna Miggiani- per la vocalità
accesa e convulsa, con rapide escursioni verso l’acuto per rendere l’andamento di un discorso agitato, di
sentimenti scoperti e privi di controllo. La scaltrita scrittura di Leoncavallo si avvale di elementi di modernità,
come la continuità orchestra-palcoscenico di matrice wagneriana, ma recupera anche l’uso dei pezzi chiusi
come romanze e duetti d’amore, dalle melodie cantabili di forte suggestione (con il conio di frasi memorabili
come «Un nido di memorie», «E voi, piuttosto», «Ridi pagliaccio»)». Tuttavia, quest’opera rimane, per usare
la felice espressione del musicologo Michele Girardi, «uno degli ultimi souvenir del museo del melodramma
italiano ottocentesco», con i suoi prestiti melodici colti, in particolare da Mendelssohn, e con le sue citazioni
dalla «Carmen» di Bizet (1875), dall’«Otello» (1887) di Verdi, storie entrambe incentrate sul tema della
gelosia e della morte per amore.
L’allestimento del Teatro dell’Opera di Milano, firmato dal regista Mario Riccardo Migliara e sottotitolato
«L’illusione del cinema», porta la vicenda all’interno di uno studio televisivo, alla mercé delle telecamere.
La struttura della scenografia mette in evidenza tre luoghi deputati: il set, dove avvengono tutte le situazioni
legate alla venuta della compagnia di pagliacci, i gradoni di un anfiteatro, sul quale il pubblico commenta e si
muove secondo le istanze di un coro greco, e il retropalco, con la sedia del regista e dei suoi assistenti. Tutto
viene reso performance, in un equilibrio in bilico tra varietà e reality-show, tra realtà e finzione.
Ingresso: intero € 32,00, ridotto* € 25,00; abbonamento «Ma che musica, maestro!» (due opere liriche,
«Pagliacci» di Ruggero Leoncavallo e «Turandot» di Giacomo Puccini, e il concerto «Angelo Pinciroli &
Friends») € 50,00
giovedì 21 marzo 2013 – ore 21.00
LA PATENTE e LA GIARA
due atti unici di Luigi Pirandello
regia di Delia Cajelli
con gli attori del teatro Sociale
produzione: associazione culturale «Educarte»-teatro Sociale di Busto Arsizio
spettacolo di prosa
E' un Pirandello caricaturale, comico e grottesco quello emerge dagli atti unici «La giara» e «La patente»,
l’uno affresco, di gusto campestre e giocoso, della civiltà contadina siciliana di inizio Novecento, l’altro ritratto
di uno dei più originali e grotteschi atti di ribellione di un personaggio pirandelliano contro le ingiustizie della
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società. «La giara», mutuata da una novella del 1909 apparsa sul «Corriere della Sera» del 20 ottobre di
quell’anno e raccolta in volume nel 1912 dall’editore Treves di Milano, fu redatta in agrigentino nell’ottobre
1916 e in italiano nei primi mesi del 1925; la prima rappresentazione scenica, tenutasi il 9 luglio 1917 presso
il teatro Nazionale di Roma, vide in scena la compagnia di Angelo Musco. «La patente», tratta dall’omonima
novella del 1911 apparsa sul «Corriere della Sera» del 9 agosto di quell’anno e raccolta in volume nel 1915,
sempre per i tipi dell’editore Treves di Milano, fu scritta in dialetto siciliano nel 1917 e in lingua italiana tra il
dicembre 1917 e il gennaio 1918. La prima messa in scena, il cui testo fu edito sulla «Rivista d’Italia», si
tenne, dopo una prima in dialetto all’Alfieri di Torino, il 19 febbraio 1919 all’Argentina di Roma, con la
compagnia di Nino Martoglio e nell'interpretazione di Angelo Musco.
L’allestimento dell’associazione culturale «Educarte» - teatro Sociale di Busto Arsizio porta sul palco la
versione in lingua italiana dei due testi. Rimane, comunque, viva nella «traduzione» dall’agrigentino una
certa freschezza popolare, ben espressa dalla comicità dei personaggi principali, vere e proprie macchiette comiche e grottesche- di chiara derivazione contadina. Basti pensare al «conciabrocche» Zi’ Dima Licasi, «un
vecchio sbilenco, dalle giunture storte e nodose, come un ceppo antico d’olivo saraceno», che, per aggiustare
(con il suo mastice portentoso) la giara del ricco e taccagno don Lolò Zirafa, vi rimane intrappolato dentro, ma
anche al povero Rosario Chiàrchiaro, che costretto nella forma dello jettatore dalla stupidità e dalla cattiveria
dei suoi concittadini, decide di risolvere il problema chiedendo al regio tribunale una «patente» che comprovi
la propria «attività» di menagramo. La situazione appare comica, ma il giudice D’Andrea, a cui l'uomo si
rivolge, naturalmente non ride e, compresa la dolorosa condizione di Chiàrchiaro, gli esprime con un forte,
lungo abbraccio il proprio sentimento di rispetto e solidarietà.
In entrambi gli atti unici sono presenti tematiche care all’autore di ‘Girgenti. Ne «La giara», la cui atmosfera
verista ha suggestionato anche la fantasia di cineasti quali Giorgio Pastina e i fratelli Taviani, Pirandello ci
lascia con il suo sorriso amaro, con la «gaiezza mala dei tristi», che sanno ridere anche delle proprie
disgrazie: Zi’ Dima e don Lolò rimangono entrambi beffati dal destino, ma l’artigiano-artista ha la meglio sul
ricco possidente perché, grazie alla scusa di una chiassosa festa per «i jurnatari», riesce a farsi liberare dalla
giara, senza doverla ripagare al proprio proprietario. Ne «La patente», portata sul grande schermo da Totò,
l’autore presenta, invece, il tema della maschera forzatamente imposta, una maschera che rende impossibile
porsi agli altri per ciò che si è realmente e che alterna così gli intrecci relazionali fra gli individui, inquinandoli
di pregiudizi e preconcetti.
Ingresso: intero € 16,00, ridotto* € 12,00
giovedì 11 aprile 2013 – ore 20.30
LE AVVENTURE DI ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE
dall’omonimo romanzo di Lewis Carroll
regia di Delia Cajelli
con gli allievi del corso «Attori in erba»
produzione: associazione culturale «Educarte»-teatro Sociale di Busto Arsizio
favola per bambini
E’ una terra colma di mistero e meraviglia quella che fa da scenario al libro «Le avventure di Alice nel
paese delle meraviglie», pubblicato a Londra, nel 1865, dal matematico e reverendo Charles Lutwidge
Dodgson, sotto lo pseudonimo di Lewis Carroll.
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Il teatro Sociale Srl, piazza Plebiscito 8 – 21052 Busto Arsizio (Varese), tel. 0331679000, fax. 0331 637289,
[email protected]. Sito web: www.teatrosociale.it. P.IVA 02230520120, C.F. 10805250155.
Nato in abbozzo il 4 luglio 1862, durante una gita in barca sul Tamigi, con la piccola Alice Liddell e le sue
due sorelle, Edith e Lorina (le tre figlie di Henry George Liddell, decano del Christ Church College di Oxford),
questo racconto, accolto da un immediato successo di pubblico in tutto il mondo (la prima traduzione italiana
data al 1872), continua ad affascinare la fantasia dei più piccoli, ai quali offre -scrive il traduttore e letterato
Piero Pignata- «l’opportunità di vedersi ricreato davanti il mondo quale essi, più o meno consciamente, se lo
raffigurano, libero da ogni legame logico».
Il «paese delle meraviglie» è, infatti, un luogo nel quale l’immaginazione e il paradosso regnano sovrani, dove
le percezioni spaziali e temporali vengono stravolte e dove tutte le leggi del buon senso e dell’educazione non
trovano casa.
Al centro del racconto, che vanta numerose riletture teatrali e cinematografiche (tra le quali quella disneyana
del 1951 e quella firmata da Tim Burton nel 2010), ma che ha anche suggestionato la fantasia di molti artisti
e illustratori, da John Tenniel e Dante Gabriel Rossetti a Salvador Dalí e Joseph Kossuth (come ha ben
documentato una recente mostra al Mart di Rovereto), vi sono una serie di situazioni e personaggi
assolutamente improbabili, surreali e, talvolta, addirittura inquietanti.
E’ un sogno quello che porta Alice, una bambina di sette anni dalla curiosità vivace e dallo spirito
intraprendente, a inseguire un Coniglio bianco dagli occhi rosa e dal passo svelto, con tanto di panciotto e
orologio da taschino, in un luogo solo all’apparenza normale, con aiuole tutte fiorite e fontane zampillanti,
dove è possibile cambiare la propria altezza con una facilità sorprendente, solo assaggiando pasticcini
speciali, funghi magici e sciroppi dal sapore di «torta alle ciliegie, crema, ananas, tacchino arrosto, caramello
e perfino toast col burro».
Dopo aver fatto conoscenza con alcuni strani personaggi quali un grande Bruco azzurro che fuma il narghilè,
un’irosa Duchessa che culla un maialino credendolo un bambino, il Gatto del Cheshire, che ha la facoltà di
apparire e scomparire improvvisamente, iniziando o terminando con un grande sorriso, la bambina si imbatte
nel Cappellaio matto e nella Lepre marzolina, che la invitano a una bizzarra merenda a base di complicati e
sconclusionati indovinelli. Alice giunge, poi, alla corte della Regina di cuori, bellicosa governante che ha la
mania di ordinare la decapitazione dei suoi sudditi per ogni minima mancanza (l’ordine non viene, però, mai
eseguito per volontà del bonario marito). Qui, dopo una buffa partita a croquet in cui le racchette sono
sostituite da fenicotteri e le palle da porcospini, incontra la triste e solitaria Falsa Tartaruga, che le mostra, in
compagnia di un grifone, uno strano ballo: la Quadriglia delle Aragoste.
La bambina presenzia, infine, al processo contro il Fante di cuori, accusato del furto di «un grande piatto di
crostatine». Al banco dei testimoni si susseguono bizzarri personaggi e, quando la seduta si fa più accesa, la
regina si altera per un intervento di Alice, che viene assalita dall’esercito di carte e che, nel tentativo di
difendersi, si risveglia improvvisamente. Il «paese delle meraviglie», luogo che ha il suo senso nel nonsense,
si è magicamente dissolto, lasciando il posto alla realtà di tutti i giorni. La piccola dovrà continuare a
confrontarsi con il conformismo e il convenzionalismo di una società, quella vittoriana, dove le stravaganze e
le fantasticherie sono messe al bando, confinate negli spazi più reconditi dell'anima.
La favola di Lewis Carroll, ricca di spiritosi giochi di parole e di canzoncine divenute popolarissime in
area anglosassone (la filastrocca «The Queen of Hearts» è, per esempio, citata anche in «Mary Poppins»),
si può, infatti, leggere anche come una parabola che svela le assurdità e le incoerenze della vita adulta,
dimentica del «cuore semplice e affettuoso della passata infanzia», del diritto all’immaginazione e al
sogno.
A portare in scena l’allestimento saranno gli allievi del corso «Attori in erba», un progetto di «Officina della
creatività», curato dall'associazione culturale «Educarte» e previsto dalla convenzione tra il Comune di
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Busto Arsizio e la società «Il teatro Sociale» Srl, che si propone di insegnare a bambini dai 6 agli 11 anni
i primi rudimenti di recitazione, canto ed espressività corporea.
Ingresso: posto unico € 5,00
giovedì 18 aprile 2013 – ore 21.00
TURANDOT
(I colori delle favole)
dramma lirico in tre atti e cinque quadri
dalla favola teatrale «Turandotte» di Carlo Gozzi
musica di Giacomo Puccini
libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
con il Teatro dell’Opera di Milano
opera lirica completa
«Bianca al pari della giada, fredda come quella spada»: così Giacomo Puccini tratteggiò la figura di
Turandot, algida e sanguinaria principessa orientale, dall’orgoglio smisurato, che ha giurato la propria guerra
al maschio sotto forma di insolubili enigmi e che soffoca in sé ogni sentimento umano.
Per il soggetto di questa storia fantastica, dalla quale nacque un dramma lirico in tre atti e cinque quadri
tra i più apprezzati della storia del teatro musicale, il compositore lucchese si ispirò, dietro consiglio del
giornalista Renato Simoni (esperto sinologo e finissimo critico, nonché autore di testi drammaturgici), alla
fiaba «Turandotte» (1762) di Carlo Gozzi, a sua volta mutuata dall’«Histoire du prince Calaf et de la
Princesse de la Chine» (1712) dell’orientalista Pétit de la Croix.
Il musicista, che si avvalse della collaborazione dello stesso Renato Simoni per l’ideazione della trama e di
Giuseppe Adami per la versificazione del libretto, non ebbe, però, a disposizione il testo originale del
drammaturgo veneziano, ma una traduzione di Andrea Maffei dell’adattamento teatrale in tedesco curato da
Friedrich Schiller (1802), versione, questa, più ricca di sfumature patetiche e privata delle differenze di
registro tra personaggi «nobili», che si esprimevano in versi, e maschere, che recitavano all’improvviso.
La stesura dell’opera, ambientata a Pechino, «al tempo delle favole», si avviò nella primavera del 1920, con
fasi alterne di entusiasmo e di scoraggiamento e con anche la tentazione di abbandonare, nel 1922,
l’impresa. Dopo quattro anni di intenso lavoro, Giacomo Puccini portò quasi a termine la storia musicata del
principe Calaf, uomo affascinante e coraggioso, innamorato della crudele e vendicativa principessa cinese
Turandot e capace di risolvere i tre enigmi che la donna sottopone agli incauti aspiranti alla sua mano, tutti
decapitati per non aver superato la prova, con la quale ella tenta di levare l’onta della principessa Lou-ling,
sua «ava dolce e serena», rapita da uno straniero e uccisa per difendere la propria purezza.
La morte colse l’autore a Bruxelles, il 29 novembre 1924, quando stava completando il terzo atto e aveva
ultimato tutta la scena del suicidio della schiava Liù, figura fragile e commovente, parente stretta di Mimì e
Butterfly, che introduce nell’opera il tema, familiare al teatro pucciniano, del sacrificio per amore. La ragazza
si toglie, infatti, la vita per non smascherare a Turandot il nome del principe Calaf, consapevole così di
consegnare il suo amato alla rivale, che, perdendo la sfida, sarà costretta a sposarsi.
A portare a termine la partitura, sulla base degli abbozzi pucciniani (trentasei pagine di appunti e idee
frammentarie con il duetto finale, nel quale la principessa si dichiara vinta dall’amore), fu Franco Alfano,
musicista che due anni prima si era distinto nella composizione di un’opera di ispirazione esotizzante: «La
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leggenda di Sakùntala». Il suo finale, privo della tensione emotiva che caratterizza il resto del dramma, lascia
un senso di insoddisfazione, tanto che il musicologo Gustavo Marchesi parlò di «poca musica che nulla
aggiunge alla struttura, alla magnificenza e al significato dell’opera, anzi semmai vi toglie qualcosa».
Fu anche per questo motivo che il 25 aprile 1926, al teatro alla Scala di Milano, in occasione della prima
rappresentazione di «Turandot», il direttore Arturo Toscanini preferì non portare a termine l’esecuzione,
interrompendola con l’aria «Tu che di gel sei cinta» e giustificando così la sua scelta: «qui finisce l’opera
perché, a questo punto, il maestro è morto».
Per realizzare l’atmosfera esotica che permea la storia, della quale rimane punta sublime la romanza
«Nessun dorma», Giacomo Puccini fece ricorso a raccolte di melodie cinesi autentiche, come l’incantatoria
«Fior di gelsomino», contenuta nel carillon che un amico, il barone Edoardo Fassini Camossi, aveva
acquistato in Cina come souvenir. Da questo strumento è tratta anche la musica che accompagna la
comparsa, nel primo atto, dei tre dignitari Ping, Pong e Pang, rilettura pucciniana delle maschere
gozziniane di Pantalone, Tartaglia, Brighella e Truffaldino, ai cui commenti disincantati e cinici è affidato il
compito di stemperare la tensione emotiva del dramma.
L’allestimento del Teatro dell’Opera di Milano, intitolato «I colori delle favole», si avvale della
collaborazione dell’Istituto italiano del colore e rilegge la favola di Giacomo Puccini attraverso giochi di
luci e di cromie. «La fredda determinazione di Turandot –spiega il regista Mario Riccardo Migliara- viene
resa da un ambiente diafano, dove gli altri personaggi si aggirano, come alla ricerca della centralità del
proprio io, in un verde naturale di un bosco indomito. Liù troverà la morte nel rosso della sua passione. La
principessa sfumerà, grazie alla spinta amorosa di Calaf, da un bianco vetroso verso un blu profondo, veicolo
delle forze umane, segno di una sensazione».
Ingresso: intero € 32,00, ridotto* € 25,00; abbonamento «Ma che musica, maestro!» (due opere liriche,
«Pagliacci» di Ruggero Leoncavallo e «Turandot» di Giacomo Puccini, e il concerto «Angelo Pinciroli &
Friends») € 50,00
lunedì 6 maggio 2013 – ore 21.00
ANGELO PINCIROLI & FRIENDS
con Angelo Pinciroli, prima tromba e tromba solista della Fondazione Arena di Verona
e con la partecipazione di artisti ospiti
concerto
Una serata tutta da scoprire, all’insegna della buona musica e dell’amicizia artistica. Angelo Pinciroli,
prima tromba e solista nell'orchestra della Fondazione «Arena di Verona», torna a calcare le assi del
palcoscenico del teatro Sociale di Busto Arsizio. Dopo la partecipazione alla festa per i centoventi anni della
sala di piazza Plebiscito, tenutasi il 27 settembre 2011, il musicista lombardo presenta «Angelo Pinciroli &
Friends», un concerto in compagnia di tanti amici artisti.
Angelo Pinciroli, originario di Busto Garolfo (Milano), si è diplomato in tromba al conservatorio «Giuseppe
Verdi» di Milano. Al suo attivo vanta collaborazioni con alcuni dei più importanti complessi musicali
italiani: le orchestre del teatro alla Scala, della Rai di Milano, della Fenice di Venezia, dei Pomeriggi musicali,
della Rtsi di Lugano, l'«Arturo Toscanini» di Parma e l’Orchestra da Camera di Bologna, tanto per limitarsi ai
nomi più famosi. Questo impegno, che negli anni si è progressivamente intensificato, non lo ha comunque
distolto da un'altra attività canonica per un musicista, quella didattica.
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Il teatro Sociale Srl, piazza Plebiscito 8 – 21052 Busto Arsizio (Varese), tel. 0331679000, fax. 0331 637289,
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In concerto, Angelo Pinciroli ha calcato i più prestigiosi palcoscenici d'Europa: Vienna, Francoforte,
Berlino, Zurigo, Parigi e Londra, diretto da bacchette del calibro di Lorin Maazel, George Pretre, Alain
Lombard, Claudio Scimone e Julian Kovatchev.
Nel suo curriculum annovera, anche, incisioni discografiche sia di musica classica che leggera, oltre alla
partecipazione a concerti live con autori come Franco Battiato, Fabrizio De Andrè e Luciano Ligabue. È
del 1993 il ruolo di prima tromba e tromba solista nell'orchestra della Fondazione «Arena di Verona», con cui
ha preso parte a numerose tournée all'estero.
Ha sostenuto un corso di direzione d’ orchestra e lettura della partitura con il maestro Julian Kovatchev.
Queste le dediche di alcuni direttori d’orchestra: «dotato di grande sensibilità musicale e di tecnica
straordinaria. La sua disponibilità, senso di responsabilità e simpatia rendono felicissimo il rapporto
con tutti coloro che hanno la fortuna di lavorare con lui».
Ingresso: intero € 16,00, ridotto* € 12,00; abbonamento «Ma che musica, maestro!» (due opere liriche,
«Pagliacci» di Ruggero Leoncavallo e «Turandot» di Giacomo Puccini, e il concerto «Angelo Pinciroli &
Friends») € 50,00
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[email protected]. Sito web: www.teatrosociale.it. P.IVA 02230520120, C.F. 10805250155.
DATI TECNICI
POSTI IN SALA
658 (platea: 425, galleria: 233)
BIGLIETTI SINGOLI
Opere liriche: «Pagliacci» di Ruggero Leoncavallo (giovedì 21 febbraio 2013) e «Turandot» di Giacomo
Puccini (giovedì 18 aprile 2013): intero € 32,00, ridotto* € 25,00; ;
Musica: «Angelo Pinciroli & Friends» (lunedì 6 maggio 2013): intero € 16,00, ridotto* € 12.00;
Danza: «Schiaccianoci», con il «Balletto russo» di Anna Ivanova (sabato 22 dicembre 2012 - I spettacolo, ore
18.00 / II spettacolo, ore 21.00): poltronissima (dalla fila A alla fila H) € 40,00; poltrona (dalla fila I alla fila O) €
33,00; galleria (dalla fila A alla fila M) € 26,00, ridotto** € 22,00;
Produzione interne con gli allievi di «Officina della creatività»: «Il cerchio di gesso del Caucaso» di
Bertolt Brecht, con gli allievi di «Chi è di scena? Il pubblico» (martedì 23 ottobre 2013) € 10,00; «Le avventure
di Alice nel paese delle meraviglie», con gli «Attori in erba» (giovedì 11 aprile 2013) € 5,00
Produzioni interne con gli attori del teatro Sociale di Busto Arsizio: «La locandiera» di Carlo Goldoni
(giovedì 29 novembre 2012), «La patente» e «La giara» di Luigi Pirandello (giovedì 21 marzo 2013): : intero €
16,00, ridotto € 12,00*;
Giornata della memoria: «Se questo è un uomo» da Primo Levi (Giornata della memoria 2013 - lunedì 28
gennaio 2013)- ingresso libero e gratuito
RIDUZIONI
•
*giovani fino ai 21 anni, ultra 65enni, militari, soci TCI, Cral, biblioteche, dopolavoro e associazioni con
minimo dieci persone
•
** «Schiaccianoci»: riduzioni valide solo per i bambini fino ai 12 anni e per gli iscritti alle scuole di
danza (i posti con biglietto a costo ridotto sono collocati esclusivamente in galleria)
FORMULA ABBONAMENTO
«Ma che musica, maestro!» (due opere liriche, «Pagliacci» di Ruggero Leoncavallo e «Turandot» di Giacomo
Puccini, e il concerto «Angelo Pinciroli & Friends») € 50,00
PREVENDITA
Il botteghino del teatro Sociale, ubicato presso gli uffici del primo piano (ingresso da piazza Plebiscito, 8), è
aperto nelle giornate di mercoledì e venerdì, dalle 16.00 alle 18.00, e il sabato, dalle 10.00 alle 12.00.
E’ possibile riservare i propri posti, chiamando il numero 0331.679000. Il servizio di prenotazione telefonica
sarà attivo tutti i giorni feriali, secondo il seguente orario: lunedì-martedì e giovedì, dalle 10.00 alle 12.00 e
dalle 15.00 alle 17.30; mercoledì e venerdì, dalle 15.00 alle 17.30; sabato, dalle 10.00 alle 12.00.
Il botteghino e il servizio di prenotazione telefonica saranno attivi a partire dalla giornata di mercoledì 19
settembre 2012.
INFORMAZIONI
Informazioni al pubblico: Teatro Sociale, piazza Plebiscito 8, 21052 Busto Arsizio (Varese), tel.
0331.679000, fax. 0331 637289, [email protected], www.teatrosociale.it
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Il teatro Sociale Srl, piazza Plebiscito 8 – 21052 Busto Arsizio (Varese), tel. 0331679000, fax. 0331 637289,
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