COOPERATIVA SOCIALE CAT COMUNE DI FIRENZE QUARTIERE 1 LUDOCEMEA UN TUFFO NEL GIOCO Ludografie di un centro estivo Cristina Bertocci • Antonio Di Pietro Postfazione di Gianfranco Staccioli A cura di: Cooperativa Sociale CAT (FI) Quartiere 1 – Comune di Firenze LudoCemea – Gruppo di Ricerca e Azione della Federazione Italiana dei CEMEA Vice-Presidente Coop. Soc. CAT: Sandro Meli Presidente Quartiere 1: Anna Laura Abbamondi Coordinatrici del ‘Centro Estivo CAT-Vittorio Veneto’: Francesca Mugnai e Serena Conti Fotografie: Natalia Bavar Un sentito ringraziamento a Cristina Bertocci, Barbara Carracini, Paolo Cattaneo, Antonio Di Pietro, Lucia Domenichelli, Sofien Douik, Luciano Franceschi, Matteo Frasca, Carlo Giabbanelli, Barbara Hoffmann, Luca Perrotta e Vittoria Piattelli, docenti LudoCemea che hanno progettato la formazione per educatori di centri estivi. Un grazie anche agli educatori e agli ausiliari che hanno operato al ‘Centro Estivo CATVittorio Veneto’ di Firenze, i quali, con la loro collaborazione e complicità, hanno reso possibile questo progetto di ricerca: Paola Baldassi, Natalia Bavar, Caterina Bencini, Ilenia Bini, Ilaria Calonaci, Aldo Cambi, Annunziata Carosone, Donatella Chiaramonti, Cecilia Chiarantini, Lorenzo Cinti, Antonella Curradi, Tiziana Fantini, Raffaella Fedi, Debora Ferrari, Vincenza Garzo, Alessandra Genuini, Eleonora Giuntini, Elena Manni, Rossella Masi, Muriel Mendez, Barbara Morozzo, Simona Norrito, Claudia Novelli, Guendalina Paccini, Gianluca Palmieri, Gianna Parrino, John Percival, Katia Pezzatini, Beatrice Raugei, Michela Sarti, Enrico Testi, Lapo Vannini, Carolina Zipolo. Un abbraccio a Gioia Bertolini, alle Coop. Soc. Cepiss e Barberi, alla cucina V. Veneto, agli autisti dell’Autoparco comunale e a tutte le strutture del Comune di Firenze e del Q.1 coinvolte nel centro estivo. Stampa: Tiratura: Tipografia Coppini, Firenze 2003 600 copie In copertina: disegno fatto da un bambino con l’indicazione di creare una cartolina che riporti come immagine il ricordo più bello del Centro Estivo Cooperativa Sociale CAT: www.coopcat.it; [email protected]; tel. 055 4222390; fax 055 4369384 Cristina Bertocci • Antonio Di Pietro UN TUFFO NEL GIOCO Ludografie di un centro estivo Postfazione di Gianfranco Staccioli a Marta COOPERATIVA SOCIALE CAT COMUNE DI FIRENZE QUARTIERE 1 LUDOCEMEA PER UN CENTRO ESTIVO Sandro Meli Vice Presidente Cooperativa Sociale CAT I soggiorni estivi in città sono un’esperienza che impegna il comune e il privato sociale per offrire momenti di crescita educativo-ricreativa ai bambini delle fasce d’età 3-14 anni (infanzia, elementari, media inferiore). Quando finisce la scuola si presenta l’opportunità di dare una risposta all’esigenza di svago che i ragazzi avanzano e alle necessità organizzative delle famiglie. Con questo servizio ci proponiamo di rispondere a una domanda sociale complessa, offrendo una situazione di vacanza organizzata secondo obiettivi pedagogici che permettano, in un clima comunitario, di esprimere se stessi nel rapporto con gli altri, siano essi adulti o ragazzi. All’interno di un’esperienza ludica ci si propone di riuscire ad attivare la comunicazione e la conseguente socializzazione dei ragazzi, fra loro e l’ambiente sociale che li circonda. Tramite progetti sull’ educazione ambientale, il rispetto degli altri e della natura, di giochi collaborativi, l’attività fisica e i laboratori d’espressione e di costruzione creativa, le gite, le escursioni e i bagni in piscina e al mare – in un contesto non valutativo e non competitivo – viene offerto uno sviluppo pratico complessivo agli apprendimenti quotidiani fatti di sensazioni, relazioni, scambi e confronto. Attraverso una metodologia applicata al gioco si tende a favorire la socializzazione, potenziare l’autonomia del ragazzo e facilitare l’inserimento dei giovani disabili in un clima accettante e collaborativo, dove le esigenze e le possibilità di ciascuno contribuiscono a creare un ambiente favorevole all’apprendimento (mediato dal divertimento) e alla socializzazione. Per questi motivi, soprattutto di carattere metodologico, la Cooperativa Sociale CAT ha offerto due weeck-end di formazione a tutti gli educatori dei propri centri estivi: uno specifico per i bambini dai tre ai sei anni ed uno dai sei anni in poi. Questa formazione, affidata ad un équipe LudoCemea (ente accreditato alla formazione dal Ministero dell’Istruzione, Università, Ricerca e dal Ministero della Salute), ha affrontato la tematica “Ritmi di vita e ritmi di gioco in un centro estivo”. Una formazione pratico-riflessiva (metodologia caratteristica dell’educazione attiva) che ha fortemente motivato, poi, le linee di programmazione dei centri estivi CAT e le pagine di questo libretto. 2 VACANZE IN LIBERTÀ Abbamondi Annalaura Presidente del Q1 di Firenze “Un tuffo nel gioco. Ludografie di un centro estivo” è un libretto che racconta e cerca di spiegare attraverso le immagini del gioco i percorsi educativi e le modalità di svolgimento dell’esperienza dei centri estivi in città. È superfluo dire quale importanza abbia questo servizio per le famiglie. Ed è per questo che il nostro quartiere, come per altro tutti i quartieri della città, impegnano risorse economiche significative per il loro svolgimento. Ma l’impegno economico sarebbe insufficiente se ad esso non si accompagnasse una qualità del servizio in grado di ottenere buoni risultati. Ogni anno un maggior numero di bambini frequentano i centri, segno questo certamente di un aumento della necessità, ma anche, altrettanto certamente, di un gradimento del servizio. La Cooperativa Sociale CAT (per proprio conto e in ATI con le Coop. sociali Cepiss e Barberi) che ha gestito i centri estivi del Quartiere 1 (Comune di Firenze), e il LudoCemea, gruppo di ricerca e azione della Federazione Italiana dei CEMEA, “mettono in mostra” una ricerca sul significato e il ruolo del gioco, anzi dei giochi, nello svolgimento dell’esperienza quotidiana dei bambini che frequentano i centri estivi. Partendo dal presupposto, che ne è il fondamento, che il centro estivo non è la scuola, né una prosecuzione di essa, ma una esperienza diversa, un modo di trascorrere il tempo in spazi definiti, con una cadenza dei tempi altrettanto definiti, in altre parole in una cornice nella quale però il soggetto da rappresentare è libero e vario. Giocare in libertà, avere la possibilità di esprimersi con fantasia sono caratteristiche di un buon ricordo di un centro estivo per un bambino. Raccogliere dunque in un testo alcuni giochi che vengono proposti e che via via si creano anche spontaneamente a partire dagli spunti offerti dagli educatori, appare dunque da un lato una significativa testimonianza, dall’altro un utile strumento di lavoro per quanti si apprestano a prestare la loro opera di educatori in un centro estivo. 3 UNA FINESTRA SULLA QUOTIDIANITÀ LUDICA Antonio Di Pietro Un progetto educativo che vuole lasciare un segno e un segnale, non prescinde da una documentazione. Una documentazione è un’importante canale di comunicazione, perché ha il pregio di creare una finestra su di un quotidiano anche per chi non ha potuto viverlo, permette di ricordare e rielaborare le esperienze vissute. Infatti, una documentazione dà all’esperienza educativa quel valore aggiunto e duraturo che possiamo individuare come ulteriori possibilità di confronto e di divulgazione, come un punto di partenza per avviare nuove progettazioni. Una documentazione, quindi, è uno spunto per continuare a riflettere e fare un approfondimento critico sulla propria azione educativa, per creare un filo diretto con il lettore (genitore, educatore …), per lasciare un album di ricordi (ai bambini ed educatori partecipanti), per sviluppare un particolare sguardo su di una quotidianità vissuta. Molteplici possono essere gli strumenti documentari: relazioni, foto, diari, video, interviste, mostre, ecc. La modalità che abbiamo scelto per caratterizzare i ritmi di vita e i ritmi di gioco del centro estivo della Cooperativa CAT presso la ‘Scuola Vittorio Veneto’ di Firenze, possiamo definirla ‘ludografica’. Una documentazione ludografica intende mettere in luce ‘istantanee di gioco’, ovvero ‘fotogrammi ludici’ relativi al soggettivo sguardo di chi osserva e prende spunto dalle tracce lasciate dal/nel giocatore. E se giocare significa rapportarsi con l’altro, con l’ambiente circostante, oltre che con il gioco stesso, attraverso la ludografia s’intende comprendere una visione globale di questo rapporto. La ‘grafia ludica’ riguarda il narrare, il narrarsi e, in un certo modo, riguarda anche varie forme di scrittura per riportare le osservazioni intorno ad accadimenti ludici. E una scrittura non è detto che possa essere fatta soltanto con una penna. La grafia è tutto ciò che lascia una traccia. ‘Grafia’, infatti, significa più cose: può essere ‘scrittura’ e ‘descrizione’, comprende la riproduzione e il disegno; come secondo elemento di un termine, la ‘grafia’ rimanda a parole come fotografia, radiografia, geografia … E la ludografia è ciò che possiamo riconoscere come traccia lasciata nell’esperienza di una persona, ma anche come un segno, una documentazione (non solo scritta) che prende spunto dall’azione ludica. Con questa documentazione ludografica si vuole, perciò, descrivere un sintetico quadro organico sul significato del giocare nella quotidianità della vita di un bambino. Le presenti ‘Ludografie di un centro estivo’ sono brevi flash per soffermarsi a riflettere sulle condizioni del gioco, cioè sul come, oggigiorno, il giocare si inserisce, e si può inserire, nella vita quotidiana di un bambino. Una ricerca in azione che vuole descrivere una sorta di ‘ecologia della ludicità’ da attivare e scatenare con le modalità di un’animazione a carattere educativo. Una metodologia, che si rifà ai principi dell’educazione attiva, attraverso la quale valorizzare l’ordinaria ludicità e, perché 4 no, in-segnare giochi di un certo tipo, con la convinzione che anche il gioco può essere una grafia, perché può lasciare tracce e produrre cambiamento. E quel lento processo di cambiamento è relativo alla crescita globale (motoria, affettiva e cognitiva) della persona. Quale contesto migliore, per iniziare a disegnare una mappa (in continua traformazione) del quotidiano senso del gioco – attività principale (naturale) nella vita di un bambino – se non a partire da un centro di vacanza? ‘Essere in vacanza’, del resto, significa ‘essere liberi e disponibili’, un concetto filosofico e un atteggiamento che ci riporta ad una delle più significative definizioni del gioco: “il gioco è un’azione libera: conscia di non essere presa sul «serio» e situata al di fuori della vita consueta” (Huizinga J., in: Homo Ludens). In altre parole, se nel gioco esiste questa conditio sine qua non, ciascun giocatore deve sentirsi libero sia di mettersi in gioco come crede sia di cessare il proprio coinvolgimento ludico appena lo desideri. Caratteristica predominante che un adulto dovrà tenere sempre ben presente nel fare animazione, senza andare verso la deriva (spesso inconsapevole) della strumentalizzazione del gioco e/o del giocatore. Per questo può sembrare paradossale che il gioco (qualcosa che per definizione è ‘un atto libero e inutile, cioè senza finalità’) si possa anche insegnare. E un educatore deve sapere bene che ci sono giochi che esasperano soltanto alcuni aspetti della comunicazione ludica (per fare solo qualche esempio: l’agonismo, come in quei giochi da villaggio turistico; l’individualismo, come in quei giochi creati dall’industria del divertimento) e ci sono giochi (detti ‘tradizionali’) che muovono con leggerezza una gamma di relazioni ed emozioni che aiutano a crescere. La motivazione ad ‘in-segnare’ (dal latino insignare ‘imprimere – nella mente e nella memoria – dei segni’) il gioco e il giocare, non si distacca da quella di educare. Insegnare è fare in modo che nelle persone con le quali l’educatore viene a contatto rimanga un qualcosa di stabile, di permanente e che, al tempo stesso, crei un cambiamento nella direzione della crescita personale. E la grafia di questo cambiamento, come si è soliti dire, varia al variare dell’ambiente di gioco, dalle dinamiche che innesca il giocare, dalle storie di vita di un giocatore, ma anche – nel caso in cui il gioco viene insegnato/animato – dalle scelte (quale gioco, in quale momento e in che contesto) e dallo stile di un educatore. Un mestiere difficile e assai complesso è quello di un educatore che vuole porre attenzione alle proprie modalità, che sa di dover essere conduttore, osservatore e partecipante al tempo stesso, che muove cambiamenti a partire dalla propria messa in gioco. 5 SPAZI PER L’AUTONOMIA Cristina Bertocci I bambini sono persone ricche di potenzialità originali e di capacità creative, sono ideatori di progetti, riescono ad inventare giochi sempre differenti, hanno una potenziale ricchezza che ha bisogno di essere valorizzata e ascoltata per essere realizzata. Nel periodo che va dai tre ai sei anni vivono un progressivo sviluppo delle competenze relazionali, emotive, intellettive, motorie. Sono persone che hanno una loro peculiare concezione del mondo, diversa dagli adulti, una loro autonomia e un loro tempo individuale. Incontrare l’altro, fare i conti con le inevitabili differenze di abitudini, di competenze sociali e di ritmi di vita, adeguarsi alle diverse situazioni, può significare accedere ad un terreno di esperienze assai varie, importanti e per certi aspetti faticose. I servizi educativi per l’infanzia dovrebbero essere luoghi in cui ogni bambino può esprimere, in prima persona e al proprio livello, ciò che è, ciò che predilige. Questo lo può fare in un clima di accoglienza, di ascolto e di fiducia, in cui il bambino è sostenuto e incoraggiato. Anche un centro estivo che vuole integrarsi in un progetto educativo finalizzato al benessere del bambino non può prescindere da queste prerogative. Il lavoro di un educatore, in un ambiente che vuole essere accogliente, è molto delicato. Un educatore ha il compito di allestire gli ambienti, di osservare, di prevedere e di programmare le attività che ritiene possano sollecitare le curiosità dei bambini. Al tempo stesso egli ha il compito di dar valore alle esperienze del bambino, aspettando che la curiosità si traduca in iniziative. Per stimolare ed offrire esperienze significative un ambiente dovrebbe essere a misura del bambino, in funzione della sua autonomia. Questo richiede attenzione nell’arredo, cura nei luoghi di vita, vuol dire offrire la possibilità al bambino di ‘abitare’ uno spazio, ossia fargli conoscere dove ‘riporre l’abito’. L’ambiente è un luogo per agire, creare, giocare, anche da soli, è uno spazio da esplorare che consente sicurezza, affettività e stimolo. È un luogo che rispetta l’identità delle persone che lo vivono, favorendone l’autonomia. Abitare significa accogliere le diversità, ascoltare l’altro e i diversi tempi individuali. Mangiare, fare la merenda, andare in bagno sono delle scansioni temporali di una giornata che per i bambini rappresentano delle vere e proprie esperienze di vita, così come giocare con l’acqua o giocare con il cibo sono occasioni d’apprendimento per conoscere e comprendere la realtà. La dilatazione dei tempi, la lunghezza dell’attenzione permette al bambino la costruzione del pensiero. Per garantire questa lunghezza è necessario un ‘habitat’ protetto, organizzato e rassicurante dove i tempi individuali e gli spazi ‘abitabili’ vengono organizzati dagli educatori che rappresentano la liason fra mondo del bambino e realtà, in un centro estivo che voglia definirsi educativo. 6 I primi giorni dei centri estivi sono carichi di emozioni dovute alla separazione dall’adulto. Ogni bambino ha una propria reazione di ansia, di felicità, di paura: ci sono quelli che si ambientano subito, altri, invece, che hanno bisogno di rassicurazioni e di coccole per sentirsi più tranquilli. L’educatore, in un momento così delicato, può ascoltare, consolare, dialogare e magari, giocare con il bambino e i suoi oggetti (affettivi) portati da casa, che rappresentano un legame fra il bambino, la propria quotidianità e il nuovo ambiente. Al mattino «Vieni tu a prendermi?» «A che ora vieni?» «Vieni tu o il babbo?» Quando il genitore accompagna il figlio al Centro Estivo e se ne va, l’educatore è pronto ad accogliere il bambino con un abbraccio rassicurante, oppure… a iniziare un gioco… «Si fa che te eri la mamma, e lui era il nostro bambino?» 7 Uno dei compiti principali dell’educatore è quello di predisporre con cura l’ambiente, mettendo a disposizione materiali semplici e sicuri, ricercando il materiale più adatto al gioco in rapporto all’età dei bambini. Questo tipo di occasione ludica si definisce ‘gioco euristico’. Per ‘gioco euristico’ (dal greco heurìskein “trovare”), si intende un’attività di esplorazione spontanea che i bambini compiono con semplici oggetti, come per esempio: tappi, tubi, mollette per i panni … Il tubo può diventare il canocchiale o un mezzo per comunicare con gli altri. «Hei, guardami! No, da dentro il canocchiale» Lo spruzzino diventa uno strumento di misurazione. «Ce ne entra molta di più nel mio, invece che nel tuo» 8 In questi casi la presenza dell’adulto è interessata ad osservare i comportamenti dei bambini costruendo con loro una relazione empatica. A differenza dei bambini di due o tre anni, i bambini un po’ più grandi riscoprono le ‘cose’ di uso quotidiano con una nuova funzionalità, infatti, con un oggetto si può avere una rappresentazione della realtà. Il progetto di crescita si costruisce in un contesto collettivo e permette di condividere l’atto di esplorare per conoscere, che è un’emozione e un piacere che stimola la creatività e l’intelligenza dei bambini. Il pennello è la bacchetta magica, l’acqua una pozione misteriosa. «Vieni a vedere!» «Oh, non c’è più, ma l’avevo fatto qui?» «Allora lo rifaccio» Con degli oggetti e con l’acqua si possono fare infinite sperimentazioni. Con il pennello e l’acqua i bambini possono ‘colorare’ d’invisibile ciò che li circonda. 9 Nei giochi di gruppo l’educatore accompagna il bambino nel gioco, predisponendo e sistemando il materiale. Proporre a bambini dai tre ai sei anni attività di gruppo significa accogliere i loro tempi individuali e le loro capacità cognitive, adottando modalità educative che siano da stimolo all’apprendimento di nuovi comportamenti. Lo sviluppo non è uguale per tutti e l’educatore deve, quindi, sostenerlo valorizzando le capacità individuali in atto. Alcuni giochi cantati «È morto Sansone chi lo seppellirà la compagnia di Giove farà la carità. Tocchiamogli … (ogni volta si indica una parte del corpo) Vediam che effetto avrà» «Come è bella la lungatella, la lungatella così sottile, se si scioglie faremo un nodo, e poi dopo passiam di sotto, otto, otto...» 10 È importante che l’adulto sia consapevole dei giochi da proporre ai bambini nelle diverse fasce d’età. I giochi di gruppo aiutano la crescita e le regole costituiscono un forte incentivo per lo sviluppo, ma sta agli adulti usare le modalità adatte, senza forzature, senza aspettative e senza adottare i tempi mentali degli adulti. L’educatore dovrebbe offrire strumenti ludici che favoriscano l’autonomia individuale e collettiva, per far sì che questi giochi possono essere giocati anche spontaneamente fra soli bambini. Alcuni giochi espressivi Passando sotto il lenzuolo i bambini si trasformano in? 11 Il gioco spontaneo, spesso, richiama alla mente un’attività caotica, un riempitivo tra momenti programmati, un momento in cui il bambino possa sfogarsi. Sembra paradossale, ma un adulto può progettare anche momenti di gioco spontaneo. Può creare occasioni stimolanti, agire indirettamente, proporre un’opportunità di gioco già conosciuta dai bambini. «Un formicaio, ma dove vivono le formiche? Cosa mangiano? L’erba, le foglie? Facciamogli una piscina» «Attenzione!! Le formiche non sanno nuotare. Salvataggio! Facciamogli un ponte» «Guarda io qui ho fatto il ponte per le formiche» «Te vai a prendere le bricioline di pane così gli si fa anche la mensa!» 12 Le relazioni di gioco spontaneo sono interessanti per l’adulto: osservare come i bambini giocano, cosa si dicono, sono elementi importanti per instaurare una relazione d’ascolto. Gli adulti possono sostenere, valorizzare le fatiche intellettuali dei bambini. Si ha in questo modo, la possibilità di godersi, di stupirsi dei bambini e delle loro trovate, di divertirsi nell’osservarli, nell’ascoltarli, nell’assecondarli. «Questo è un misto magico, ci si è messo terra, acqua e delle erbe del bosco … lo possono mangiare degli animali, però fa un po’ schifo» «Noi siamo dei cavalieri» «Noi siamo degli animali» Dopo aver insegnato un gioco, i bambini lo rifanno senza l’educatore: «Lupo che fai?» 13 Per un bambino ascoltare una storia, una fiaba o un racconto significa vivere in prima persona i drammi e le gioie dei personaggi. Gustarla, comprenderla e goderne comporta un’operazione di decontestualizzazione. Per i bambini, infatti, il racconto è un mondo reale nel quale cercano di intervenirvi per modificare il corso degli eventi. Quando la narrazione significa anche interazione il clima è carico di magia, un momento di grande intensità e complicità emozionale fra il bambino e l’adulto. Una semplice scatola da scarpe con dentro la storia. Arredi semplici, recuperati e inventati che evocano nella fantasia del bambino le reali ambientazioni della storia. Non può mancare la farina, il miele e il lupo cattivo. Una scatola narrativa che ricrea la magia del bosco. «Grr! Fa paura» «Ci rifai vedere il lupo?» «Non è cattivo il miele del lupo» «Dove è andato il capretto?» «Si è messo dentro un armadio, il lupo non l’ha mangiato» 14 Quando i bambini chiedono di ascoltare ancora una volta la stessa storia è importante soddisfare questo loro bisogno perché li aiuta alla comprensione di un concetto, a rafforzare le proprie sicurezze e a ricavare dalla storia un significato personale. E quando l’adulto diventa ascoltatore delle storie dei bambini, suscitando e sostenendo la narrazione, possono emergere elementi interessanti, sulla interpretazione e rielaborazione della storia. “Il Lupo e i sette capretti” … così un bambino di quattro anni l’ha ri-raccontata: «La mamma capra era andata a comprare la spesa nel bosco, perché lì non c’erano i supermercati. Il lupo poi mangia i tre capretti, ma ne rimane uno perché se ne è dimenticato. La mamma apre con lo spago la pancia e lui se ne accorge perché non li ha ingoiati, ma la sua pancia è piena di sassi perché non sa bere» 15 GIOCARE IL TEMPO Antonio Di Pietro Ci sono ormai molti studi sulla condizione dell’infanzia di oggigiorno e gran parte di questi prendono spunto dal continuo mutare della vita quotidiana, dal ridimensionamento delle responsabilità familiari, dalla frammentazione delle relazioni umane, dalle ridotte possibilità di fare esperienze socializzanti. Si è solito dire, infatti, che sempre più i bambini sono irrequieti, instabili, distratti, bulli e fanno vita da adulti, si preoccupano di cose da adulti e ‘lavorano’ quanto gli adulti. Certo, nella nostra società i bambini non lavorano in fabbrica a cucire palloni da calcio, ma c’è chi già alle sette del mattino è a fare un’attività (come pre-scuola) prima di affrontare le otto ore di vita scolastica, per poi andare (se non c’è un post-scuola) al corso di nuoto, di karate, di basket ... Senza entrare nei motivi, cause e conseguenze, è accertato che lo stile di vita dei bambini è profondamente cambiato da quello dell’infanzia dei propri genitori. Ma almeno due osservazioni conviene comunque fare: il ritmo di vita degli adulti di oggigiorno influenza quello di crescita del bambino; il tempo extra-familiare tende verso il dominio della scuola, dei corsi di ogni tipo, della televisione, i quali sono investiti di un carico educativo e socio-affettivo che fino a una generazione fa era impensabile. E ciò che vogliamo offrire con il presente contributo sono spunti di riflessione che prendono avvio dal modo dei bambini di giocare il proprio tempo. Giocare è un modo attraverso il quale si esprime una cultura, il relazionarsi con gli altri, la gestione degli spazi e l’uso del tempo (anche interiore). Il gioco, infatti, è un’azione che richiede un particolare habitat ludicus, condizione che ci piace considerare come propria e caratterizzante di un centro estivo. In un centro estivo, particolare luogo di vacanza per i bambini, è possibile far emergere – con una certa calma e lentezza – i bisogni di esperienza personale (favorendo l’esplorazione del nuovo, del non conosciuto e del non praticato), di socializzazione (con proposte che consentono diverse dinamiche relazionali), d’intimità (del resto è faticoso trascorrere un’intera giornata in gruppo), di responsabilizzazione (facendo intervenire i bambini nella gestione delle cose che possono essere fatte), d’espressione, di creatività … Il tutto cercando di seguire il ritmo individuale dei bambini, per far vivere una vacanza su misura, senza le rigidità degli orari e delle norme che solitamente s’incontrano durante tutto l’anno, e valorizzando il piacere del ‘giusto per fare’ (senza, cioè, una finalizzazione mirata al rendimento e alla performance) e del ‘divertimento’ (nel senso di divertere, che – dal latino – significa ‘volgere altrove’, ‘andare in una direzione altra’). Interrogarsi sulla quotidianità, differenziare i momenti di una giornata, agire in modo che il bambino possa ri-appropriarsi di un proprio ritmo di vita, sono alcune delle maggiori, e più impegnative, sfide che un educatore può mettere in campo per l’or16 ganizzazione di un centro estivo. Riporteremo, infatti, nelle prossime pagine alcuni ‘attimi ludenti’ dove si evidenziano situazioni che emergono da un certo fare dell’educatore, basato sul disporre e attivare, proporre e accogliere, condurre e lasciar andare. Tutto questo senza preoccuparsi di ‘perdere tempo’ nell’affidare l’iniziativa al bambino o di fare un qualcosa che può sembrare un ‘niente di speciale’. Troppo spesso, infatti, presi dalla voracità del fare, consumare e produrre, si tende a pensare che una proposta riuscita sia quella che rapidamente raggiunga un buon prodotto. Invece, porre l’attenzione alle cose più semplici e quotidiane presuppone che un educatore abbia già riflettuto sul proprio gruppo di riferimento, sul senso di proporre un’attività anziché un’altra, sulle condizioni necessarie per far sì che i bambini si possano attivare in azioni autonome e spontanee. E quest’ultime, inoltre, nulla tolgono alle proposte ed alla conduzione di un educatore, anzi confermano quanto sia fondamentale osservare un gruppo per comprenderlo e offrirgli proposte mirate attraverso giochi dove s’innescano diversi modi di relazionarsi e attraverso laboratori che affinano la manualità e l’espressività di ciascuno. Promuovere uno stile attivo nel fare educazione (informale) non può prescindere dal continuo confronto con i bisogni reali del bambino. L’educatore, come possiamo vedere dagli spunti delle pagine seguenti, oltre a mettere in pratica il proprio repertorio di cose da fare, può organizzare un ambiente accogliente, disporre i materiali per garantire un’autonomia d’iniziativa, prevedere momenti occasionali di gioco per offrire diversi modi di stare insieme, progettare un ‘non-momento’ per osservare il proprio gruppo di riferimento, programmare un’avventura, creare le condizioni per far sì che i bambini possano appropriarsi del proprio spazio. E pensare in tale modo un centro estivo, può far assumere a un periodo di vita collettiva un sapore di leggerezza, di forti emozioni, di invenzione collettiva e individuale, sapori che fanno provare il gusto della lentezza. A tal proposito Kundera scrive: “Prendiamo una delle situazioni più banali: un uomo cammina per la strada. A un tratto cerca di ricordare qualcosa che però gli sfugge. Allora, istintivamente, rallenta il passo. Chi invece vuole dimenticare un evento penoso appena vissuto accelera inconsapevolmente la sua andatura, come per allontanarsi da un qualcosa che sente ancora troppo vicino a sé nel tempo” (Kundera M., in: La lentezza). Una particolare qualità di vita attraverso la quale è possibile far emergere una ‘poetica del tempo’ che si sviluppa con un ‘andamento ludico’ proporzionale ai ritmi individuali, può far vivere al bambino esperienze da ricordare, da custodire e da portare con sé anche senza un educatore, anche quando finiscono le vacanze. 17 Il primo incontro, le prime parole, le prime sensazioni, insomma, tutte le prime volte rivestono un’importanza fondamentale nella vita di una persona. Si provi a pensare, solamente, a quali emozioni c’investono quando arriviamo per la prima volta in una casa che non conosciamo. Ecco, allora, che un primo pensiero, un oggetto, una certa predispozione dell’ambiente può far sentire al nuovo arrivato già un senso di appartenenza e testimonia che qualcuno si è dedicato alla sua presenza. «Dov’ è il mio gruppo?», chiedono alcuni bambini appena arrivati, tenendosi forte alle mani del genitore. Mani che vengono accompagnate a prendere un filo da seguire. Anche così può iniziare una giornata di vacanza … mentre i genitori cominciano ad andare via. 18 Questo predisporre un qualcosa per chi deve arrivare, trasforma l’arrivo in accoglienza. La pre-occupazione di accogliere ciò che viene dall’esterno è un po’ come accogliere il mondo interno della persona che si avvicina per la prima volta a qualcuno o qualcosa. Questo tentativo di pre-vedere alcune aspettative e desideri ci portano a progettare percorsi educativi a partire dalla vita reale, dal quotidiano, dal ‘qui e ora’ e ad adottare un atteggiamento basato sulla fiducia e l’ascolto reciproco. Un filo del colore del proprio gruppo … … per iniziare a giocare … per incontrare e conoscere il gruppo di appartenenza … per cominciare a fare. 19 Durante una giornata ci sono diversi momenti che creano quel giusto clima di serenità dove poter raccontare qualcosa di sé. Un particolare momento lo possiamo riconoscere durante un laboratorio di attività manuali ed espressive. In un laboratorio con condizioni particolari e favorevoli per far sì che ogni partecipante trovi uno spazio adeguato con materiali pronti all’uso, con strumenti di lavoro da utilizzare autonomamente, dove le indicazioni di un adulto diventano una possibilità per acquisire nuove «Lo sai che ti chiami come mio papà? «Qualcuno mi può dare il verde, il verde?» «Gigio, Gigetto, cade dal letto …» «I miei nonni hanno una casa in campagna» «Vieni con me, che mi devo lavare le mani?» 20 abilità, l’oggetto ‘prodotto’ acquista una profonda valenza affettiva. Risulta difficile distaccarsi da un oggetto creato in un contesto dove si vengono a innescare un’alternanza di silenzi e confessioni, di introspezione e complicità. Valori aggiunti che vanno al di là della riuscita di un prodotto, infatti, non è fondamentale ciò che si fa (cioè, un modello standard), ma la modalità con la quale si è condotti a un ‘certo’ fare. Un modo per esprimersi con le mani, i silenzi e le parole, un po’ sul serio e un po’ per gioco. «E tu quanto pesi?» «Ora ho capito perché ho il mal di testa: non ti sei chetata un minuto». «La mia mamma massimo stà zitta trentasei secondi» «Ma lo sai che lui, tutte le volte che giochiamo a Lupo Ghiaccia, vuole sempre acchiapparmi … e, poi, m’abbraccia?» «Secondo me, gli piaci» «Posso giocare con il tuo aquilone?» «No!» 21 Un ‘non momento’, ovvero un frangente della giornata dove non c’è una conduzione diretta da parte di un adulto, è un momento in cui i bambini mettono in azione – e mostrano indirettamente – ciò che per loro è importante, ciò che li può rappresentare. Un ‘niente di particolare’ che ha un significato speciale: quello di mostrarci uno spaccato sulla cultura infantile. Una cultura che rispecchia la vita di tutti i giorni, dalla quale iniziare a riflettere sul pensiero, sulle azioni e sulle relazioni dominanti nel «Perché vi piace così tanto giocare …» «… a pallone?» «Perché mi piace calciare la palla» «Perché voglio essere il capitano e battere tutti i rigori» «Mi piace fare gol ed essere il più bravo» «Per andare in televisione anche se ci sono già stato a fare una partita» «Da grande voglio fare il calciatore … ti danno soldi a quintalate» «… e ai video giochi?» «Perché vinco sempre … e si sale di livello» «Ci posso giocare quando sono solo … con amici … con il papà» 22 mondo dell’infanzia. Un modo (‘etnoludografico’) di osservare la quotidianità del bambino. All’osservazione (una pratica fondamentale per chi vuol fare animazione educativa), può essere affiancata – in alcuni casi – il gioco dell’intervista. La registrazione di un’intervista, infatti, può essere considerata una particolare forma di ascolto, e di-ri-ascolto, per individuare alcuni temi cruciali e per ponderare, poi, le proposte d’animazione rispetto al proprio gruppo di riferimento. C’è anche chi inventa il proprio gioco unendo le sue conoscenze sui video-games, i cartoni animati, i giochi di carte dei Pokemon e il gioco di acchiappino. [«Ogni bambino è un Pokemon ed ha un nome (inventato o ripreso dal cartone animato): Peter Parker di Yoto, Miu, Lughia … Poi c’è l’Allenatore che deve lanciare una delle sue palle per catturare tutti i Pokemon del mondo: la Poke-Ball (palla gialla) serve a immobilizzare per cinque secondi i Pokemon, la Master-Ball (blu) per dieci secondi, mentre con la Ultra-Ball (rossa) si viene catturati. Chi viene catturato perde i propri poteri (da zero a cento) e comincia a seguire l’Allenatore. Quando i Pokemon vengono presi, l’Allenatore li porta tutti in palestra ad allenarli per una nuova partita e, se vuole, cede il suo posto al Pokemon più forte»] E c’è chi gioca a un qualcosa … la cui origine si perde nella notte dei tempi. 23 Rousseau scriveva: “Tanto più siamo stati bambini” - e quindi quanto più si è giocato - “tanto meglio riusciremo come uomini”. È un dato di fatto che il gioco, per il bambino, sia una ‘palestra’ alla vita adulta. Con il giocare, infatti, ci si relaziona agli altri, si condividono particolari situazioni, si fanno delle scelte, si soffre, si gioisce, si è spontanei, si finge, si piange, si ride … Ma ci sono giochi che vale la pena di giocare, come quelli tradizionali. Questi sono portatori di valori, messagAdesso un gioco anche per il lettore: «A quali giochi stanno giocando questi bambini?» [Gioco di Battimano. ‘Reffo Riffo Riffo Rero’: al ritmo della filastrocca ‘Reffo Riffo Riffo Rero’ si batte la mano del compagno di sinistra. Allo ‘Splash’, il giocatore a cui viene colpita la mano viene eliminato] [Gioco della Cavallina. ‘La culata’: saltare sull’altro strisciando con i glutei la schiena della cavallina] 24 25 [Gioco della Mosca Cieca. ‘The Muffin Man’: un giocatore è bendato all’interno di un cerchio di giocatori che si tengono per mano. Questi cantano la canzone ‘The Muffin Man’. Al termine, il giocatore bendato dovrà riconoscere (con il solo tatto) uno dei partecipanti. Quest’ultimo, una volta riconosciuto, sarà il prossimo ‘Maffin Man’] [Gioco di Acchiappino. ‘Abbracciarella’: in un campo delimitato, un giocatore deve acchiappare uno dei partecipanti. Non si può essere presi se si è abbracciati a un/a compagno/a (l’abbraccio può durare per un massimo di cinque secondi). Chi viene preso diventa colui che deve acchiappare] gi e comportamenti con caratteristiche che rimandano alle culture di appartenenza. Oggi, come non mai, è un forte impegno educativo quello di ‘re-insegnare’ quei giochi che, tramandati di generazione in generazione, rischiamo di perdere. E ciò non per pensare che “si stava meglio prima”, ma perché la varietà dei giochi tradizionali consente di far vivere al giocatore un’ampia varietà di situazioni, pensieri, emozioni e relazioni che fanno crescere la persona. Una gita può essere, a tutti gli affetti, un’avventura fuori porta. Mettersi in viaggio, è un po’ come ‘giocare se stessi’. Infatti, prima di partire si attivano tutta una serie di preparativi, di rituali e ci si veste in un certo modo; quando si giunge a destinazione ci si abbandona a un senso di spaesamento, si stabiliscono nuove regole, si resta in attesa di un’occasione, si cercano possibili complicità; per poi, ricordare grandi sfide (avventure) ed esaltare quel piacere particolare di sentirsi liberi. Una borsa piena di affetti per affrontare nuove avventure e per mantenere un legame con il proprio quotidiano. Una borsa da riempire di nuove esperienze. Nuovi interessi e progettazioni (dove l’animatore può facilitare le contrattazioni) nascono dall’esplorazione di elementi naturali. 26 Liberi di re-inventare il proprio presente. Da un ambiente ricco di stimoli (come quello naturale) l’attività d’esplorazione (e di avventura) testimonia la volontà di costruire sempre nuove visioni del contesto circostante, pur facendo riferimento alle proprie abitudini quotidiane. L’attività del bambino, infatti, nasce spesso da un’esplorazione (un’avventura ludica) che si traduce con i compagni, e magari anche con l’adulto, in un progetto. Nuove ambientazioni danno un particolare gusto soprattutto a quei giochi spesso giocati in un ambiente domestico. Nuove sensazioni emergono nel ritrovare vecchi piaceri. 27 Cosa potrebbe succedere se mettiamo al centro di un cerchio di bambini un lungo tubo di cartone? E se gli si chiede di utilizzarlo in tutti i modi che vogliono, tranne che come tubo? Con un lungo tubo di cartone ci si può parlare, cantare e urlare come con un megafono, ci si può guardare attraverso come con un cannocchiale, ci si può andare a cavallo. Ma se, invece di uno, si mettono a disposizione più tubi? Si creano nuovi significati. Un tubo può scontrarsi con gli altri come se fossero armi medievali. “La Città dei Ragazzi” Ogni gruppo di bambini sceglie quale attività utile alla comunità gli interessa progettare. In molti hanno pensato di fare un Centro Commericiale «dove trovarci di tutto». Una volta approvato, con un timbro del ‘Piano Regolatore’ (costituito da educatori, per assicurare una varietà di proposte), a ciascun gruppo di bambini vengono consegnati alcuni materiali. Con un kit di materiali, il gruppo ricerca il luogo dove edificare il proprio progetto. Luoghi di anticipazioni utopiche: un bar, una boutique d’abbigliamento, un veterinario, un casinò, un’edicola (dove trovare le notizie della ‘Città dei Ragazzi’), una banca che propone una moneta di scambio (il ‘Solaris’). 28 Tanti tubi insieme creano sempre nuove geometrie, nuovi spazi: tane, rifugi, casine … E se, infine, mettiamo a disposizione alcuni materiali come, per esempio, 10 lunghi tubi di cartone, un rotolo di scotch, un gomitolo di spago, un seghetto, forbici e un grande telo … ecco la nascita di nuovi ‘luoghi di gioco’, che messi in relazione fra loro (con la facilitazione dell’educatore) acquistano un carattere di serietà e vanno a creare un gioco particolare. «Noi si voleva essere la cosa più importante, quindi, c’è venuto in mente la Banca … perché doveva fare i soldi e darli agli altri, a chi ancora non li aveva, ma non potevano riprodurli» «Si dava 105 Solaris» «Con 105 Solaris potresti comprarci un computer, una play-station, 105 albicocche …» «C’erano molte guardie, una cassaforte, il bancomat. E le persone entravano e dicevano quanti soldi volevano» «E noi gli si davano» «Dopo c’è venuto in mente che la Polizia doveva avere un Distretto, quindi proprio davanti alla Banca abbiamo messo il Distretto» «Poi il peso del Distretto e il vento hanno fatto cadere tutto» «Eppoi qualche bambino è venuto a distruggere» «Infatti, è stato fatto un processo» Una rete di relazioni all’interno della quale sperimentare la trasformabilità del reale. Un modo per vivere un’esperienza, fra realtà e finzione, dove tutto dipende da tutto. 29 POVERI E RICCHI Gianfranco Staccioli Docente di Metodologia del gioco all’Università di Firenze Una volta andare in vacanza era un lusso per famiglie ricche. Poi è diventata una attività di massa. I bambini sorridenti e compunti che apparivano nelle immagini dell’ottocento, al mare con il loro bel castello di sabbia, accanto alle tate che li accudivano, ed i bambini di oggi, fermati dalle immagini digitali in pose allegre e spensierate, rimandano l’idea che la vacanza è piacere, divertimento, situazione per persone che hanno raggiunto un certo benessere sociale ed economico. Chi non va in vacanza è povero, se non emarginato o disgraziato. Anche le attività dei bambini fiorentini nei centri estivi organizzati dagli amici del Ludocemea si richiamano all’idea di vacanza, vogliono essere vacanza. Da questo libretto si riesce a capire che gli adulti ce la mettono tutta. Con occhio attento, affettuoso e competente organizzano un ambiente accogliente, suggeriscono attività ‘semplici’, ma calibrate; coinvolgono i bambini in scoperte scientifiche e in narrazioni fantastiche. Offrono davvero una vacanza dove le emozioni del singolo si intrecciano con quelle del suo piccolo gruppo di riferimento, dove la vita del quotidiano (lavarsi, riposare…) è anch’essa presa in carico e valorizzata; dove ‘il senso di appartenenza’ alle cose e alle persone viene sviluppato in tutti. Cristina e Antonio hanno cura dei bambini ed hanno cura di se stessi, cercando dei collaboratori preparati (in corsi specifici che loro stessi hanno condotto), lavorando in équipe, discutendo su ciò che si può o non si può fare, su quello che sarà e su quello che è stato… Insomma una vacanza ricca nella sua ‘semplicità’. Eppure, dalle parole (belle) e dalle immagini (altrettanto belle) che appaiono in questo libretto emerge un paradosso. Sappiamo che i centri estivi cittadini sono rivolti soprattutto a chi le vacanze non può permettersele; sappiamo che coloro che hanno la funzione di ‘gestore’ non possono prescindere da certe limitazioni (numero dei bambini, formazione degli operatori, materiali per le attività…); sappiamo che in molti altri centri estivi ci si ‘arrangia’ ed i materiali ‘poveri’ e la semplicità (che è una grande ricchezza) diventano semplicemente sinonimo di povertà (di idee e di materiali). Sappiamo di centri dove prevale soprattutto ‘l’arte di arrangiarsi’. Saranno state ricche o povere queste vacanze raccontate dal libretto? Per i bambini che si sono tuffati nel gioco di questo centro estivo, la vacanza è stata sicuramente una ricchezza, forse ancora più entusiamante delle vacanze ‘ricche’. Per gli adulti, la vacanza raccontata dal libretto fa emergere delle indicazioni chiare: per realizzare una vacanza semplice, ‘povera’, ma ricca per tutti, occorre garantire una serie di condizioni amministrative e organizzative che vanno al di là della competenza e della disponibilità dei singoli operatori. 30 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AAVV, Giochi di movimento per bambini dai tre ai sei anni, Cemea Toscana, Firenze 2002 Arnold A., I giochi dei bambini, Mondadori, Milano 1980 (1972) Bertocci C., Tra terra e cielo. Tanti modi per saltare la corda, Ludocemea, Firenze 2003 Cotronea M, Vitale S., Lupo ci sei?, Il Capitello, Torino 1990 Di Pietro A., Ludografie. Riflessioni e pratiche per lasciare tracce con il gioco, La Meridiana, Bari 2003 Goldshmied E., Jackson S., Persone da zero a tre anni. Crescere e lavorare nell’ambiente del nido, Junior, Bergamo 2003 (1994) Huizinga J., Homo Ludens, Einaudi, Torino 1973 (1939) Jenks Wirth M., Mille giochi guida per una educazione percettivo motoria scientificamente coordinata, Armando, Roma 1990 (1976) Kundera M., La lentezza, Adelphi, Milano 1995 (1994) Loos S., Novantanove giochi cooperativi, EGA, Torino 1989 Manuzzi P., Pedagogia del gioco e dell’animazione. Riflessioni teoriche e tracce operative, Guerini Studio, Milano 2002 Marchal J-C, Jeux traditionnels et jeux sportifs. Bases symboliques et traitement didactique, Vigot, Paris 2000 Ritscher P., Cosa faremo da piccoli? Verso un’intercultura tra adulti e bambini, Junior, Bergamo 2000 Sheridan M., Il gioco spontaneo del bambino. Dalla nascita ai sei anni, Raffaello Cortina, Milano 1984 (1977) Sirota A., L’animatore al centro di vacanza, Il Capitello, Torino 1992 (1987) Staccioli G., Vuotto E., Giocare per … Cento giochi collettivi per ragazzi, Giunti & Lisciani, Teramo 1986 Staccioli G., Il gioco e il giocare, Carocci, Roma 2002 Staccioli G., Saltarsi addosso, Ludocemea, Firenze 2003 Trabona R., Cento strade per giocare, Cuen, Napoli 1996 SITI WEB www.cemea.it Federazione Italiana dei CEMEA www.comune.firenze.it Comune di Firenze www.coopcat.it Cooperativa Sociale CAT 31 Cristina Bertocci, laureata in Scienze dell’Educazione, specializzata in comunicazione di gruppo, svolge attività ludiche per l’infanzia. È membro dei LudoCemea (Gruppo di ricerca e azione della Federazione Italiana dei CEMEA). Ha pubblicato: Fra terra e cielo. Tanti modi per saltare la corda (LudoCemea, Firenze 2003). Antonio Di Pietro, pedagogista musicale, si occupa di animazione educativa e di formazione attraverso il gioco e attività ludico-artistiche. Coordina progetti di educazione interculturale, è referente nazionale dei LudoCemea (Gruppo di ricerca e azione della Federazione Italiana dei CEMEA) e componente del CIRG (Centro Interdipartimentale per la Ricerca sul Gioco dell’Università di Siena). Ha pubblicato: Ludografie. Riflessioni e pratiche per lasciare tracce con il gioco (La Meridiana, Bari 2003).