18/05/2011
L’opera italiana nel Settecento
L’OPERA SERIA
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La diffusione dell’opera in Italia fra Sei e Settecento fu talmente capillare al punto che
non esisteva città priva di un proprio teatro e di una pur piccola stagione operistica.
Nell’Italia centro settentrionale il fenomeno è straordinariamente diffuso mentre nel
sud Italia non esiste un vero e proprio circuito teatrale ad esclusione delle due
capitali: Palermo e Napoli.
Il recarsi a teatro nel Settecento divenne ben presto un’irrinunciabile abitudine. I
nobili affittavano i palchi e praticamente vi si recavano ogni sera, invitando amici e
organizzando dei veri e proprio rinfreschi.
Sono attive anche delle sale da gioco e delle bottiglierie. Luoghi importanti perché
garantivano al teatro quegli introiti che non sempre lo spettacolo teatrale era in grado
di offrire da solo.
Tradotto in altri termini il teatro d’opera è il luogo deputato al divertimento dei nobili
ma anche della piccola borghesia: in definitiva di tutti coloro che potevano
permettersi il lusso di pagare il biglietto d’ingresso.
Le stagioni nei piccoli centri si concentravano prevalentemente nel periodo di
carnevale, ossia dal 26 dicembre a martedì grasso, oppure in coincidenza di fiere,
mercati ecc.
Assistere agli spettacoli
Molto diverso da oggi era il modo in cui gli spettatori assistevano allo spettacolo.
Oltre al fatto che chi poteva andava a teatro ogni sera, e che il livello di distrazione
era molto alto, dato che nei palchi si mangiava, si beveva, si conversava, si giocava a
carte o a scacchi, il pubblico settecentesco non cercava sul palcoscenico uno
spaccato della realtà, ma qualcosa di profondamente diverso dalla vita di tutti i
giorni.
Il teatro era il regno della fantasia e i suoi spettatori erano lì per sognare.
Impresari, compositori e cantanti, ben consci del fatto che la loro sopravvivenza era
legata al gusto degli spettatori, facevano di tutto per accontentarli
I libretti
I libretti sono sempre rigorosamente in poesia e mai in prosa. Gli intrecci si
concludevano quasi immancabilmente con un lieto fine, anche se non era escluso
che nel corso dell’intreccio i personaggi potessero vivere anche situazioni
profondamente tragiche.
I soggetti erano per lo più storici (storia greco-romana) o mitologici (con particolare
riguardo all’epica rinascimentale dell’Ariosto o del Tasso).
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L’intreccio
Rispetto all’opera seicentesca , che spesso era assai intricata (“il bello scompiglio”
come si diceva allora), l’opera del Settecento mostra una maggiore coerenza
drammaturgica.
I librettisti e gli arcadi (ossia i teorici della letteratura riunitisi attorno ai circoli
dell’Arcadia, la più importante delle quali era a Roma) tolsero dagli intrecci…
a. le vicende parallele
b. i personaggi comici e le loro scene buffe (Zeno e i suoi contemporanei
non li abolirono del tutto ma li utilizzarono molto meno rispetto al passato)
c. il deux ex machina
d. gli argomenti mitologici e gli elementi soprannaturali.
Uno dei primi librettisti a orientarsi verso simili scelte che poi saranno caratteristiche
di tutto il Settecento è Apostolo Zeno (1668– 1750); ma attorno a lui anche Silvio
Stampiglia, Girolamo Frigimelica Roberti, Pietro Pariati, condividevano i medesimi
orientamenti estetici di Zeno.
Anche il romano Pietro Metastasio (1698–
1782) va inserito appieno nel processo di
semplificazione delle trame e di
razionalizzazione dello spettacolo. La trama
standard dei suoi drammi consiste in due
coppie di amanti (a cui si aggiungono pochi
altri comprimari, per un totale di 6 o 7
personaggi) a cui circostanze esteriori, spesso
politiche o amorose, impediscono la
desiderata unione.
Solo al termine della vicenda tutto si
ricompone nel migliore dei modi, quasi
sempre grazie alla magnanimità del sovrano di
turno e alla risolutiva agnizione
(riconoscimento dell’identità di un
personaggio) di uno o più personaggi.
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Schema libretti opera del Settecento
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A
B
C
D
y
Schema libretti opera del
Settecento
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Schema libretti opera del
Settecento
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A
B
C
D
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Schema libretti opera nel Settecento
Adriano in Siria Metastasio – Pergolesi
(Napoli 1734)
Aquilio
Sabina
Adriano
Farnaspe
Emirena
Osroe
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Schema libretti opera nel Settecento
Aquilio
Adriano
Sabina
Farnaspe
Emirena
Osroe
Schema libretti opera nel Settecento
Aquilio
Sabina
Adriano
Farnaspe
Emirena
Osroe
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La funzione degli atti
Gli atti sono generalmente tre.
Il primo atto ha la funzione di presentare i fatti e i personaggi
principali;
il secondo svolge la funzione di complicare l’intreccio sospingendolo
a un punto che, apparentemente, sembrerebbe di non ritorno;
il terzo è caratterizzato dallo scioglimento
Timbri
Altra scelta innaturale era quella dei timbri vocali, i quali rispondevano più ad
esigenze artistiche che a un criterio di verosimiglianza: la voce del protagonista
maschile doveva svettare su tutte le altre. La principale parte maschile era
affidata a un ‘musico’, ossia a un evirato cantore, mentre la prima donna
poteva essere un altro soprano o un contralto.
Anche le parti maschili secondarie, comunque, sfruttavano poco il registro
grave: vi si impiegavano altri castrati (soprani e contralti) o tenori, mentre la
voce di basso non appariva di frequente (la tipologia vocale del baritono non
esisteva).
A Roma, città papale, vigeva per di più una particolare tradizione: non si
considerava morale far calcare le scene teatrali alle donne, ragion per cui anche
i ruoli femminili venivano ricoperti da castrati travestiti da donna.
Un fatto che non era ritenuto come strano ma che anzi eccitava la morbosità di
molti spettatori.
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Carlo Broschi, detto Farinelli (Andria, 24
gennaio 1705 – Bologna, 16 settembre 1782),
Carlo Broschi
detto Farinelli
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Luigi Marchesi detto il Marchesini
Le folli richieste di Luigi Marchesi
Le sue sue richieste più folli (e più celebri) riguardavano l'entrata in scena.
Marchesi imponeva agli impresari e ai compositori di farlo comparire, a
prescindere dall'opera, in cima a una collina, con una spada, uno scudo,
una lancia lucente e sulla testa un elmo di piume bianche e rosse «di
almeno sei piedi di altezza », come precisa Stendhal. Pretendeva anche di
cominciare con le parole Dove son io? e poi, dopo l'inevitabile frastuono di
trombe, esclamava: Odi lo squillo della tromba guerriera! A quel punto
invariabilmente cantava la sua aria di baule preferita, Mia speranza pur
vorrei, scritta da Sarti e collocata in seguito nell'Achille in Sciro. Marchesi
scendeva lentamente i gradini del palcoscenico tra l'ondeggiare delle
piume e il clangore delle armi, per andare ad accogliere vicino alla
balaustra le ovazioni degli spettatori in delirio, inebriati dallo sfarzo e dalla
bellezza dell'apparizione.
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Girolamo Crescentini (Urbania, 2 febbraio 1766
– Napoli, 24 aprile 1846)
Vedrò con mio diletto
l'alma dell'alma mia
Il core del mio cor pien di contento.
E se dal caro oggetto lungi convien che sia
Sospirerò penando ogni momento...
da Giustino di A. Vivaldi
Philippe Jaroussky - Vedro con mio diletto - Vivaldi - Giustino
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Cara sposa, amante cara, dove sei?
Deh! Ritorna a’ pianti miei.
Del vostro Erebo sull’ara
Colla face del mio sdegno
Io vi sfido o spirti rei!
Handel, Rinaldo
David Daniels (video)
Irrealtà
Questo bisogno di irrealtà era acuito inoltre dal fatto che
spesso, nei momenti più tragici, i protagonisti delle opere
reagivano non sempre con una musica coerente con la
situazione, ma al contrario con una musica di grande
bellezza e dal carattere sereno.
In altre parole, anziché piangere o vederli piangere, spesso
gli spettatori del teatro settecentesco preferivano sentirsi
offrire dai protagonisti delle opere cui assistevano, arie di
grande dolcezza: alla tragedia i protagonisti di un’opera
dovevano reagire donando al pubblico momenti di grande
bellezza. La musica doveva svolgere una funzione
consolatoria. In fondo, il pubblico andava a teatro per
assistere a un evento artistico musicale, e quindi, in altre
parole, a una deliberata finzione.
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Adriano in Siria (libretto di Metastasio – musica di Giovanni Battista Pergolesi)
La 1a rappresentazione avvenne il 25.10.1734. E' questo uno dei libretti più in voga di Metastasio: fu
musicato almeno 40 volte. Interprete principale fu il castrato Gaetano Majorano piú noto come
Caffarelli. Proprio per aderire alle sue straordinarie doti vocali, Pergolesi inserì delle arie altrimenti
non presenti nell'originale metastasiano. Circa la metà delle arie e degli episodi d'insieme hanno
testi sostitutivi. Caffarelli non mantenne nessun testo metastasiano (in forza del suo gusto
personale e della sua voce). Sia Osroa che Sabina hanno ciascuna un'aria sostitutiva (per es. Osroa
Atto I, scena 12). Anche i recitativi sono spesso modificati (per es atto II scena 11).
Le arie furono ridotte di numero rispetto all'originale metastasiano.Passarono da 27 a 20.
Conseguentemente alcuni personaggi (tra cui anche Farnaspe [Caffarelli]) escono di scena senza
cantare: vedi atto I scena 2. La distribuzione delle arie è abbastanza omogenea fra i vari personaggi
ed è ancora una volta diversa da quella originariamente voluta da Metastasio che dava ben 6 arie ad
Emirena contro le 3 di Osroa.
Osroa e Sabina: 4 arie
Farnaspe (Caffarelli) e Emirena: 3 arie e un duetto
Aquilio e Adriano: 3 arie
Diverse parti dell'Adriano furono riutilizzate in seguito nell'Olimpiade. Addirittura un'aria scritta per
Caffarelli (Atto II scena 11 "Torbido in volto e nero" divenne così famosa che lo stesso Pergolesi la
riprese in toto nell'Olimpiade, testo compreso.
Libertà nell’uso delle fonti letterarie e rapporto musica– dramma
Testo originale di Metastasio
Testo musicato da Pergolesi
Esempio Adriano in Siria di Pergolesi (1734)
recitativo e aria (manoscritto)
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Anche la realizzazione musicale del libretto è dominata da un criterio
non realistico. Ogni opera si compone di una catena di recitativi e
arie.
Ai recitativi spetta il compito di portare avanti l’azione esteriore. E’ il
luogo deputato alla realizzazione dei dialoghi. Il tempo del recitativo
è il tempo della realtà: se un dialogo cantato nel recitativo dura
nell’opera due minuti, non diversa durata avrebbe nella realtà. I versi
del recitativo sono per lo più sciolti.
L’aria porta avanti l’azione interiore, è il luogo deputato
all’esternazione dei sentimenti prodotti dall’azione. Il tempo è come
sospeso, dilatato dai virtuosismi vocali che rendono incomprensibili le
parole del testo, la forma è chiusa e simmetrica. I versi sono regolari
e organizzati in strofe regolari.
Esistono due tipi di recitativo:
Il recitativo secco: accompagnato dal solo basso
continuo
il recitativo accompagnato: retto cioè dagli archi.
Quest’ultimo recitativo, più elaborato del precedente,
veniva usato solitamente con molta parsimonia. In
ciascuna opera del Settecento appare al massimo una o
due volte, per non rovinarne l’effetto, ed è collocato nei
momenti più drammatici dell’opera stessa.
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L’aria
Si afferma l’aria col da capo, anch’essa perfettamente connaturata al
bisogno di inverosimiglianza che è proprio del periodo storico.
Da un punto di vista musicale essa è tripartita. I primi 4 versi, intercalati da
un ritornello (R) strumentale sono intonati (due volte, ma con musica
sovente diversa) nella prima sezione (A); i 4 versi successivi, basati su di una
musica ritmicamente e tonalmente contrastante con la sezione A, nella
seconda sezione (B).
Ma l’aria col da capo, soddisfaceva anche il bisogno di
varietà imposto da un pubblico che a teatro andava tutte
le sere, anche a rivedere più volte la medesima opera o
per riascoltare lo stesso libretto messo in musica da un
altro compositore.
Perché nel ripetere la prima strofa (da capo) i cantanti
potevano abbellire la melodia, volutamente semplice,
come meglio erano in grado di fare: più il cantante era
bravo e più elevato sarebbe stato il numero delle fioriture
liberamente improvvisate. Per questa ragione le arie
rappresentavano il momento di maggior godimento per il
pubblico.
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Razionalizzazione degli affetti
Ogni aria rappresenta dunque uno stato d’animo
indotto dall’azione esterna. Questi stati d’animo,
ossia questi affetti, non possono mescolarsi l’un
l’altro: ogni aria, in altre parole, esprime uno o al
massimo due soli affetti (sentimenti, stati
d’animo) alla volta.
Sicché la personalità del personaggio si compone
di macro frammenti affettivi isolati l’uno dall’altro,
essa è un mosaico che solo al termine dell’opera
l’ascoltatore può ricomporre.
Il carattere mono-passionale dell'aria permise ai teorici
successivi di catalogare con estrema semplicità la
situazione espressiva di ogni singola aria.
La classificazione più comune e diffusa (assai ibrida però,
in quanto costruita di volta in volta impiegando criteri
diversi quali lo stile vocale, quello dell'accompagnamento,
la situazione drammatica ecc.), nel corso del Settecento, è
quella che segue:
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- di sortita: annuncia l'ingresso in scena del cantante protagonista; si configura come un brano in cui
l'attore (è questa la denominazione corretta che si dà ai cantanti) mette in luce tutte le proprie risorse
tecniche e stilistiche, il "tipo" di vocalità che gli è più congeniale.
- di bravura (o di agilità): virtuosistica per eccellenza, in tempo allegro, dotata di tutto il campionario
degli abbellimenti (trilli, arpeggi ecc.)
- di portamento: dall'andamento pacato, ma ritmicamente ben determinato, impiega il principio del
portamento, consistente nel "portare" la voce da un suono ad un altro gradatamente, quasi sfiorando le
note di passaggio con diverse sfumature nell'intensità e qualità dell'emissione vocale.
- cantabile: non virtuosistica, dotata di accompagnamento molto semplice, espressiva di sentimenti
teneri ed affettuosi.
- di mezzo carattere: con accompagnamento abbastanza elaborato, di natura appassionata
- parlante: con accompagnamento elaborato e di natura appassionata
- di sdegno o di ira (detta anche infuriata): variante della precedente, in tempo allegro, con disegno
ritmico marcato, con vistosi salti d'intervallo nella condotta melodica.
- senza accompagnamento: il cantante agisce da solo
- di caccia: con impiego del corno come strumento concertante
- di guerra: con impiego della tromba come strumento concertante
- del sonno: ad andamento lento e cullante
- con catene: relativa ad un personaggio incatenato
- di confronto (o di paragone): il personaggio si confronta con una scena di natura (mare, vento, onde,
tempesta, usignolo ecc.)
-di sorbetto: affidata a personaggi secondari e dunque trascurabile da parte del pubblico che in quella
circostanza poteva dedicarsi alla degustazione di sorbetti, bevande ecc.
-di baule: cavallo di battaglia di cantanti, che la eseguivano anche all'interno di altre opere.
Un’ultima annotazione riguarda i testi.
I testi delle arie sono di solito molto generici. Spesso non vi compaiono
mai i nomi degli altri protagonisti.
Se un personaggio è adirato, la metafora più ricorrente è quella di un
mare in tempesta, di una barca fra le onde, di una pianta fra i venti e così
via; se è innamorato allora spesso il paragone va all’usignolo innamorato
e simili.
Questa genericità permetteva ai cantanti di sostituire un’aria con
un’altra, solitamente traendola da altra opera di altro autore.
Proprio per questo si fa strada la cosiddetta aria di baule
- aria di baule: prediletta da un determinato cantante (che se la portava
dappresso come un capo di vestiario) ed inserita nelle opere più
disparate, come pezzo di sicuro successo.
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Semiramide riconosciuta
musica Niccolò Porpora
libretto Metastasio Audio
Ascolti: Arie d’ira (C. Bartoli – video) (SubTitles)
Vivaldi: Tra le follie diverse… siam navi (5)
Vivaldi: Agitata da due venti (3)
Vivaldi: Sventurata navicella
I compositori
Abbiamo lasciato il mondo musicale seicentesco dominato dalla città di Venezia.
A partire dalla metà del Seicento, però, il baricentro iniziò a spostarsi su Napoli
che divenne grande fucina di operisti.
Fin dalla metà del Seicento, dietro impulso del viceré spagnolo, era giunta a
Napoli la troupe dei Febiarmonici, allestendovi opere veneziane di Cavalli e
Monteverdi. Ma fu soprattutto per iniziativa e i finanziamenti di un altro viceré, il
duca di Medinaceli, che alla fine del secolo Napoli iniziò a imporsi come una
delle principali piazze teatrali del momento.
A Napoli operavano fino al tardo secolo XVIII ben quattro Conservatori: I Poveri
di Gesù Cristo, La Pietà dei Turchini, Sant'Onofrio a Porta Capuana e Santa Maria
di Loreto, più uno femminile denominato dell'Annunziata.
Qui studiano e si formano quasi tutti i principali operisti della cosiddetta Scuola
Napoletana, termine tuttavia rifiutato da molti musicologi che preferiscono
l’espressione di “opera metastasiana” o opera neoclassica.
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opera nel Settecento
OPERA COMICA
A differenza del Seicento, secolo in cui non esiste l'opera
comica ma esistono scene comiche inserite all'interno dello
spettacolo serio, il Settecento dà vita ad uno spettacolo
leggero, divertente, veloce, ambientato nella
contemporaneità, che fu, a seconda delle epoche e delle
città, così definito:
1. Intermezzo (Venezia, Napoli)
2. Commedia per musica (Napoli) (commedeja pe’
mueseca)
3. Dramma giocoso (Venezia)
4. Dramma eroicomico
5. Farsa (spesso in un atto e con alternanza di parti cantate
e parti recitate, sovente in forme dialettali)
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L’INTERMEZZO
L’Intermezzo
Lo spettacolo comico più antico è limitato a una o due
scene buffe inserite fra un atto e l’altro dell’opera seria, e
proprio per questo fatto è chiamato Intermezzo.
In pratica lo spettatore assisteva a due spettacoli: uno
serio (quello principale) e uno comico (quello secondario).
Queste scene comiche indipendenti dall’intreccio serio
che le ospita, erano già presenti nell’opera seria del
Seicento. Ma mentre nel Seicento esse erano inglobate
all’interno dello spettacolo, nel Settecento diventano
indipendenti e trovano una collocazione autonoma, fra un
atto e l’altro dell’opera seria.
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Come nascono gli Intermezzi?
Come abbiamo già detto, durante il Seicento era uso
inserire, all'interno delle opere serie, delle scene
comiche: tali sono, ad esempio, la scena del valletto
nell'Incoronazione di Poppea, la scena del fioraio (Elviro
travestito, Clito ecc.) dello Xerse. Verso la fine del secolo
tali scene comiche tendono a configurarsi sempre di più
come delle piccole piéce di teatro indipendenti dalla
vicenda seria, in altre parole le scene comiche acquistano
sempre di più una loro autonomia.
Camilla regina de’ Volsci
A mo' di esempio valgano le scene comiche dell'opera seria Il trionfo
di Camilla regina de' volsci: Linco, servo di Camilla, è corteggiato dalla
vecchia laida Tullia, cameriera di Lavinia. Ciascuno di questi
personaggi ha una parte nell'azione principale, ma vi sono anche
diverse scene tutte per loro, nelle quali Linco, dopo vari tentativi da
parte di Tullia, acconsente a sposarla per amore del denaro.
Ovviamente questa breve narrazione comica non ha nulla a che
vedere col soggetto serio de La regina de volsci.
Proprio questa autonomia doveva favorire lo sganciamento delle
scene comiche dall'impianto serio. Sempre più spesso, infatti, i
cantanti destinati a ruoli buffi, imparavano a memoria queste scene e
le inserivano in altre opere serie nelle quali erano scritturati.
E' presumibilmente che proprio in seguito a questa pratica, nascano i
primi Intermezzi.
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Gli elementi che favorirono la nascita degli Intermezzi sono
sostanzialmente due:
la fervida attività dei cantanti specializzati in ruoli buffi
Per quanto riguarda i cantanti è ampiamente testimoniata l'attività di
due "buffonisti" nel Nord Italia. Si tratta della coppia Rosa Ungarelli e
Antonio Ristorini che vivevano grazie alle rappresentazioni di
Intermezzi che portavano in giro per l'Italia e anche all'estero.
la "riforma" librettistica operata da Zeno e da Metastasio
Per quanto riguarda la riforma di Zeno e Metastasio essa agì
attraverso il divieto d’inserire all'interno delle opere serie, scene e
personaggi comici: è dal rispetto verso questa imposizione che si
diffonde la pratica di eseguire questi Intermezzi comici (indipendenti
dall'opera seria) fra un atto e l'altro dell'opera seria rappresentata.
La pratica di rappresentare Intermezzi non si diffuse contemporaneamente
in tutte le città di Italia.
Il primato spetta, come al solito, a Venezia dove i primi Intermezzi autonomi
compaiono fin dal 1707 con Francesco Gasparini e Tommaso Albinoni.
A Napoli, invece, si rimase a lungo fedeli alle scene comiche inserite
all'interno dell'opera seria, alla maniera de La Camilla, e soltanto nel 1715
compare il primo Intermezzo autonomo, ma ancora nel 1725-30 i massimi
esponenti della cosiddetta scuola napoletana, quali Leonardo Vinci e
Leonardo Leo, erano fedeli alle scene buffe tradizionali (inserite cioè
nell'intreccio serio). Le ragioni del ritardo di Napoli, rispetto a Venezia o a
Firenze, si devono alla mancanza in questa città di una coppia di buffi di
poche pretese economiche come la coppia Ungarelli–Ristorini. C'erano – è
vero – due cantanti esperti nel nuovo genere buffo, Giocacchino Corrado e
Santa Marchesini, ma entrambi svolgevano attività fissa anche a corte e
dunque, per l'alta carica che ricoprivano, volevano essere ingaggiati a
somme molto alte. E ciò era in contraddizione con la natura semplice ed
economica dello spettacolo comico.
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I personaggi: sono generalmente due; a volte ne compare un terzo
ma solitamente è una comparsa che non canta (a volte perché è
muto). Lo scarso numero di personaggi è una conseguenza della
pratica iniziale di cantare le scene comiche delle opere serie.
Gli atti: sono tre o due. Il loro nome corretto è quello di Intermezzi
(non è affatto sbagliato dire gli Intermezzi di Pimpinone)
L'ambientazione: è realistico-borghese. I personaggi sono sempre
ambientati nella contemporaneità.
L'intreccio
E’ semplicissimo. Il più diffuso ruota attorno al desiderio delle classi
subalterne di occupare posizioni più elevate. Un esempio è quello
della serva che vuole sposare il proprio padrone; oppure quello del
borghese che desidera diventare gentiluomo e che per ottenere ciò
si sforza di imparare tutto l'armamentario delle buone maniere.
Come è caratteristico anche della commedia dell'arte l'uomo è
generalmente sciocco, avaro e ingenuo, mentre la donna è
intelligente, spendacciona e furba. Uno dei luoghi più comuni
riguarda il travestimento. Un personaggio travestito (una donna
travestita da uomo, o viceversa, oppure un personaggio del popolo
da nobile) gode di privilegi di cui non ha diritto, dando così vita
all'equivoco. Ed è proprio attorno all'equivoco che vediamo snodarsi
numerosi intrecci.
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I cantanti
I cantanti, come i librettisti, sono di solito figure di secondo piano. Non
era pensabile infatti che i protagonisti dell'opera seria si accollassero la
fatica di interpretare anche gli Intermezzi. Inoltre, proprio perché
spettacolo minore, che non doveva gravare oltre una certa misura sui
costi complessivi dello spettacolo, i protagonisti dell'intermezzo non
erano mai i castrati, ma cantanti scelti, più che per le loro doti vocali,
per la loro capacità di caratterizzare, mediante la mimica e la vocalità, i
"tipi", ovvero i personaggi della farsa ben più variegati degli stereotipi
eroi ed eroine dello spettacolo serio.
I personaggi maschili erano interpretati da voci baritonali o di basso,
così inusuali da apparire grottesche e divertenti, mentre i personaggi
femminili, se di giovane età, erano affidati ai soprani, ai mezzo-soprani
invece se donne mature.
La musica e l’azione
I recitativi secchi sono numerosissimi al contrario delle arie che spesso
non sono più di tre per intermezzo (ma vi sono intermezzi anche con
una sola aria per parte). La conseguenza di ciò è che l’azione scorre
rapidissimamente.
Inoltre, il fatto che interpreti degli intermezzi non fossero i castrati ma
cantanti dalle spiccate doti di attori, fece perdere all'aria quel suo ruolo
di supporto delle doti dei cantanti. Per questo, a livello letterario, non
v'è la drastica differenza fra recitativo ed aria così frequente nei libretti
delle opere serie né è rispettata la sua collocazione al termine della
scena. Ma fatto ancor più nuovo è che, svuotatesi di gran parte
dell'esteriorità loro propria, le arie finirono col muoversi in una misura
prevalentemente sillabica e ad escludere la coloratura (a meno che non
vi sia l'intento deliberato di canzonare, parodiandolo, lo spettacolo
serio).
Le arie sillabiche, perciò, non interrompono l’azione come quelle
ipervirtuosistiche dell’opera seria, ma contribuiscono a loro volta a
portarla avanti.
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L'orchestra: è di dimensioni modeste. L'organico di solito non va oltre i
violini primi e secondi, le viole, i violoncelli e il clavicembalo per il
basso continuo. Gli strumenti a fiato e le percussioni non sono usati.
Negli intermezzi, non vi sono brani strumentali. Persino la consueta
Sinfonia avanti l'opera, così caratteristica dell’opera napoletana, è
assente.
Il pubblico: più volte, infatti, gli storici hanno affermato che con
l'affermarsi dell'opera comica, anche la borghesia poté finalmente
godere di uno spettacolo proprio attraverso il quale divulgare i valori
che la contraddistinguono. In realtà agli inizi l'opera fu finanziata
dall'aristocrazia che trovava diletto nei soggetti leggeri degli intermezzi
anche quando (ossia il più delle volte) ne deridevano i vizi o lo scarso
acume. Fu soltanto in seguito, a partire dalla seconda metà del
Settecento, e poi negli anni di riscatto della borghesia illuminata, che
l'opera comica finì col diventare uno spettacolo borghese se non
addirittura popolare.
L'operista
Per tutta la prima metà del Settecento non vi sono operisti specializzati
unicamente nella composizione di opere comiche. I compositori si dedicano
prevalentemente nella composizione di opere serie, lo spettacolo più
impegnativo, quello cioè che poteva dare al suo autore il maggior lustro, e solo
saltuariamente si dedicava alla composizione di opere comiche. Gli intermezzi
destinati a essere eseguiti fra gli atti delle opere serie sono, nella maggior parte
dei casi, composti dall'autore dell'opera seria.
Il caso forse più emblematico è quello della "Serva Padrona" di Pergolesi, il più
celebre intermezzo comico che mai sia stato composto: Pergolesi, allora appena
ventitreenne, lo compose in occasione della rappresentazione de "Il Prigioniero
superbo" sua terza opera seria e che attendeva di andare in scena nel più
importante teatro napoletano, il San Bartolomeo, in occasione delle celebrazioni
per il compleanno dell'Imperatrice Cristina.
Il "Prigioniero Superbo" ebbe scarso successo; tutto il contrario invece
l'intermezzo che nelle sere successive la prima rappresentazione, fu replicato e
in seguito rappresentato senza l'involucro serio che lo racchiudeva. In questa
veste ottenne fama Europea.
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Il librettista - I libretti
In quanto spettacolo minore, subordinato cioè all'opera
seria, ebbe l'apporto di mediocri versificatori. Non è
infrequente imbattersi in errori di grammatica, o in lunghi
passi carichi di sfumature dialettali, se non addirittura in
dialetto da capo a fondo (anche se si deve ricordare che
nel Settecento i dialetti hanno, nei diversi luoghi in cui si
parlano, piena dignità linguistica).
E la situazione rimarrà tale fino a quando, dopo la metà del
secolo, non succederà che poeti di valore, come il Goldoni,
non decideranno di impiegarsi anche in questo tipo di
spettacolo.
La serva padrona e gli intermezzi napoletani
La grande stagione degli Intermezzi a Napoli ebbe inizio più
o meno intorno al 1724. Il grande merito spetta a Johann
Adolf Hasse e ai suoi intermezzisti (interpreti) Celeste
Resse e Gioacchino Corrado: tra il 1726 e il 1730 produsse
non meno di otto intermezzi.
Gli intermezzi di Hasse, Larinda e Vanesio (l'artigiano
gentiluomo) dati a Napoli nel 1726 rivelano la loro
discendenza letteraria da Molière. Il librettista era Antonio
Salvi.
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La serva padrona
di Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736)
libretto di Gennarantonio Federico
Intermezzi in due parti
Prima:
Napoli, Teatro San Bartolomeo, 28 agosto 1733
Personaggi:
Uberto, ricco scapolo (B); Serpina, sua serva (S);
Vespone, servo di Uberto (m)
La serva padrona di Pergolesi è l’intermezzo più conosciuto nel suo genere.
Composta su libretto di Gennaro Antonio Federico, fu rappresenta la prima
volta al Teatro San Bartolomeo di Napoli il 28 agosto 1733, quale intermezzo
all'opera seria Il prigionier superbo, dello stesso Pergolesi.
All'epoca della sua prima rappresentazione sia Pergolesi che il librettista
dell’Intermezzo, Gennarantonio Federico, si occupavano di drammi seri per
musica.
L'intreccio della serva è classico: Serpina vuole diventare padrona e per far
questo si serve di alcuni trucchi per conquistare il suo padrone, Uberto. Nel
suo intento Serpina è aiutata da Vespone, servo di casa. Vespone non parla
perché è muto. Nel secondo intermezzo, Vespone si traveste da Capitan
Tempesta, promesso sposo di Serpina, rendendo così, ancora una volta
centrale, il tema del travestimento.
L'unità di luogo, tempo e azione è rispettata rigorosamente.
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Serva padrona (libretto)
Spartito
UN RIASSUNTO: L’OPERA COMICA E
SERIA FRA SEI E SETTECENTO
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Il Seicento
tragedia
commedia
Fine Seicento
tragedia
commedia
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Il Settecento
opera comica nel Settecento
LA COMMEDIA PER MUSICA
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Parallelamente all'intermezzo buffo veneziano nasce a Napoli –
agli inizi del Settecento – uno spettacolo comico di dimensioni
appena inferiori a quelle dell'opera seria rappresentato
indipendentemente da questa.
Dal 1709 la commedia per musica (questo il nome dello
spettacolo), che soddisfaceva le esigenze di chi desiderava
trovare nell'opera un'occasione per divertirsi, ebbe un proprio
palcoscenico, il Teatro dei Fiorentini a Napoli, e anche propri
poeti, compositori e impresari.
A quanto si sa, le prime commedie per musica napoletane
dovettero venir allestite privatamente in palazzi nobiliari. Abbiamo
notizia soltanto di una di queste, La Cilla (1707), ma può darsi che
altre siano state rappresentate prima di allora. Ma l'innovazione
determinante fu l'uscita in pubblico, al Teatro dei Fiorentini nel
1709, con Patrò Calienno de la Costa di un certo Agasippo
Mercotellis. Si tratta certamente di uno pseudonimo fino ad oggi
non decifrato: considerata uno spettacolo minore, i compositori e i
librettisti che scrivevano commedie per musica preferivano non
comparire direttamente col proprio nome di battesimo sui libretti.
Ancora nel 1718 Francesco Antonio Tullio, il librettista del Trionfo
dell'onore di Alessandro Scarlatti, firmò il libretto con lo
pseudonimo di Colantuono Feralintisco, l'anagramma del suo
nome.
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Lo stesso Alessandro Scarlatti deve, probabilmente,
aver impiegato uno pseudonimo per alcune
commedie per musica di sua composizione. Unica
importante eccezione è costituita proprio da il
Trionfo dell'onore che firmò col proprio nome solo
perché, nell'anno della sua rappresentazione (17181719), al Teatro dei Fiorentini si rappresentarono
commedie per musica in toscano anziché, com'era
caratteristico del genere, in lingua napoletana.
Questo esperimento di nobilitazione linguistica
doveva tuttavia risultare prematuro: il dialetto
napoletano fu infatti impiegato nelle commedie per
musica fino alla fine del Settecento.
Il messaggio specifico della commedia per musica può
essere così definito: la vita quotidiana di strati sociali
relativamente più bassi (barbieri, pescatori ecc.).
Col passare degli anni, la commedia coinvolse anche
personaggi di rango più elevato facendone alla fine
oggetto di ilarità al pari degli altri.
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Il dialetto locale non era soltanto l'unico contrassegno della napoletanità del
genere. Le commedie per musica, infatti, impiegano stabilmente anche melodie
tratte dal folklore napoletano e campano in genere. La lingua e le melodie
popolari, accompagnate spesso da strumenti popolari (come il colascione, una
sorta di mandolino basso, che compare ne Li zite'n galera di Leonardo Vinci o
nell’Osteria di Marechiaro di Paisiello), finivano con connotare i personaggi più
semplici, più umili delle commedie. I nobili, al contrario, parlavano in toscano.
Ciò non toglie, tuttavia, che non esistessero libretti in napoletano da capo a
fondo.
colascione
L’Osteria di Marechiaro
Giovanni Paisiello, musica
Giuseppe Cerlone, libretto
Napoli Teatro dei Fiorentini 1768
CHIARELLA
Me faccio forte, e intanto
pur'io so' nnamorata!
Stu Conte aggrazziato che da Romma
aspetta la sua sposa stamattina
ah! mme fa suspirà!
(Il Conte appare con il calascione, che
va strimpellando)
Ah! Eccolo che viene!
Porta lo calascione, e io a tiempo a
tiempo
tengo vicino cà lo mandulino.
All'aria de’ lo mare,
fingimmo non vederlo e de cantare!
Priesto, ammore, portamillo,
nun me fa cchiù spasemà!
Ninno bello,
aggrazziatiello,
viene mo’ ca nenna toia
se volesse consolà!
CONTE
(cantando sul calascione)
Quanno vene nenna bella, che ha li mosse
de na fata? Chella bella romanella ca me
face suspirà? Moglierella accunciulella,
viene viene al Conte tuo ca se vole
consolà!
Audio (selezione)
(Va a prendere lo strumento e canta)
quanno vene lo nennillo,
che stu core m'ha feruto?
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Lo Frate ’nnamorato, di Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736)
libretto di Gennarantonio Federico
Commedia per musica in tre atti
Prima:
Napoli, Teatro dei Fiorentini, 27 settembre 1732
(seconda versione: ivi, carnevale 1734)
Personaggi:
Marcaniello, vecchio, padre di Luggrezia e di Don Pietro (B); Ascanio,
giovane innamorato di Nena e di Nina, che si scopre in seguito essere il
loro fratello Lucio (S); Nena, innamorata di Ascanio (S); Nina, sorella di
Nena, innamorata di Ascanio (A); Luggrezia, figlia di Marcaniello,
innamorata di Ascanio (A); Carlo, zio di Nena e Nina, innamorato di
Luggrezia (T); Vannella, serva di Carlo (S); Cardella, serva di Marcaniello
(S); Don Pietro, giovane strambo, figlio di Marcaniello (B)
Nel 1732, col Frate ’nnamorato (e l’opera seria La Salustia ) il giovane
Pergolesi faceva il suo ingresso nell’agone del teatro musicale,
cimentandosi nel genere della commedia per musica ‘in lingua
napoletana’ ospitato al Teatro dei Fiorentini. Il successo di questi primi
passi fu straordinario, degno esordio di una carriera operistica folgorante
e destinata, nonostante la sua brevità (appena quattro anni), a fortuna
duratura. Lo frate ’nnamorato riuscì di «somma soddisfazione», venne
ripreso nel carnevale del 1734 con modifiche alla partitura per mano di
Pergolesi stesso e nuovamente nel 1748, un evento di carattere
eccezionale, motivato dall’inesausta popolarità dell’opera nel corso di
due decenni: tanto circondato da un’aura, anch’essa straordinaria, di
massimo rispetto per il compositore scomparso, che per la ripresa del ’48
«religiosamente si è pensato di non toccare in parte alcuna la musica del
presente Dramma» (così nel libretto).
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Per questo lavoro di vaste dimensioni e grande impegno
compositivo (l’edizione critica conta 35 numeri musicali
oltre alla sinfonia; si consideri inoltre che l’esecuzione
prevedeva la presenza di intermezzi autonomi tra gli atti),
Pergolesi inaugurò la collaborazione col librettista
Gennarantonio Federico, drammaturgo di talento, autore
affermato di testi comici, come Amor vuol sofferenza per
Leo e responsabile di due importanti futuri lavori di
Pergolesi (la celeberrima Serva padrona e una seconda
commedia musicale, Il Flaminio).
opera nel Settecento
IL DRAMMA GIOCOSO
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E’ a partire dalle seconda metà del Settecento che lo
spettacolo comico, indipendente dallo spettacolo serio,
diventa spettacolo diffuso a livello europeo, accolto con pari
dignità dell'opera seria e addirittura assai più
frequentemente rappresentato (anche grazie ai costi minori
per il suo allestimento). E' infatti nella seconda metà del
Settecento che, grandi compositori (quali Mozart, Salieri,
Paisiello e Cimarosa - per non parlare di Rossini) e grandi
librettisti (quali Goldoni, Da Ponte, Petrosellini, Mazzolà ecc.)
si dedicano allo spettacolo comico. In questo suo fiorire lo
spettacolo comico conobbe una identità nuova: oggi lo
definiamo opera buffa, ma all'epoca della sua piena
realizzazione, esso era definito "dramma giocoso per
musica", "dramma comico per musica", "opera bernesca"
(sinonimo settentrionale di ‘buffa’), "commedia per musica"
ed altro ancora.
L'opera buffa è nata a Venezia e forse rappresenta, insieme col teatro
comico di Goldoni, l'ultimo contributo veneziano alla cultura europea.
Allo stesso tempo essa ha qualcosa di universale giacché riunisce in sé
tradizioni di diversa provenienza. Tra queste c'é naturalmente
l'intermezzo, che intorno al 1735 era già diventato un affare europeo e
aveva cominciato a distaccarsi anche organizzativamente dal dramma
per musica. C'è soprattutto la commedia per musica napoletana, che a
quell'epoca, abbandonato il dialetto napoletano (fuorché talvolta nelle
parti secondarie) aveva trovato pronta accoglienza anche in altri centri:
dapprima a Roma e poi nelle città del settentrione, dove le pièces vi
arrivarono grazie alle compagnie di giro.
Una delle prime commedie per musica a trovare la via di Roma e
Venezia fu Amor vuol sofferenza di Leonardo Leo, dove fu
rappresentata, rispettivamente nel 1744 e 1748 col titolo di La finta
frascatana, lavoro importante per il modo in cui enfatizza gli aspetti più
sentimentali e piccolo-borghesi della vicenda. In effetti gli anni '40
vedono concentrarsi a Venezia tutte le forme di teatro che sono alla
base dell'opera buffa.
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La progressiva fioritura dell'opera buffa
non lasciò insensibile il grande
commediografo veneziano Carlo Goldoni
(1707-1793). Proprio l'apporto di Goldoni
fu determinante per dare un assetto
"definitivo" all'opera comica.
Carlo Goldoni (Venezia, 25 febbraio
1707 – Parigi, 6 febbraio 1793)
Con Goldoni la commedia conobbe una straordinaria rivalutazione grazie
alla inedita qualità linguistica dei suoi libretti, alla perfezione degli intrecci,
alla chiara definizione dei personaggi (in senso psicologico, caratteriale
ecc), alla qualità dei dialoghi.
Passando continuamente dall'italiano al veneziano e viceversa, Goldoni dà
spazio a diversi usi sociali del linguaggio, in base alle varie situazioni in cui
vengono a trovarsi i personaggi delle sue opere. Il suo italiano, influenzato
dal veneziano e caratterizzato da elementi settentrionali, è quello del
mondo borghese, lontano dalla purezza della tradizione classicistica
toscana. Il dialetto veneziano non è per Goldoni uno strumento di gioco, ma
un linguaggio concreto e autonomo, diversificato dagli strati sociali dei
personaggi che lo utilizzano.
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Il concertato
Con Goldoni, e con l'operista che per primo musicò i suoi libretti –
Baldassarre Galuppi che tra il 1749-55 collaborò stabilmente con Goldoni
realizzando capolavori del genere quali Il Conte Caramella e Il Filosofo di
Campagna – l'opera comica è sempre in 2 o tre atti, ognuno dei quali è
concluso da un concertato ossia da un pezzo d'insieme, già praticato nella
commedia per musica napoletana, la cui peculiarità principale è la
brillantezza virtuosisitca. Nel concertato i personaggi si rivolgono ora fra di
loro, ora fra sé e sé, ora al pubblico. La eccitazione che caratterizza la
psiche dei personaggi durante questi concertati è tale che, a partire da
Paisiello in poi, si introdusse la stretta finale, ossia una progressiva
accelerazione ritmica sviluppata in un altrettanto progressivo "crescendo"
dinamico.
Nel concertato confluisce tutta l'azione e l'eccitazione dei protagonisti
della vicenda (il recitativo vi è escluso), come dimostra la definizione che
ne ha dato un altro grande librettista "veneziano", Lorenzo Da Ponte:
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Proprio l’abbondanza di concertati (i più lunghi si trovano di
solito alla fine del secondo atto o alla fine dell’opera stessa)
e di pezzi d’insieme, rese particolarmente gradita al
pubblico l’opera buffa che infatti si diffuse rapidamente,
tanto da superare per numero di rappresentazioni, l’opera
seria.
E se quest’ultima continuava a essere considerata lo
spettacolo di prestigio, quello con cui s’inauguravano le
stagioni d’opera dei teatri più grandi e importanti, l’opera
buffa si diffondeva in ogni dove, specie nelle città più
piccole dove andava via via rafforzando la presenza di teatri
specializzati proprio nel loro allestimento.
La diffusione del genere dramma giocoso nel Settecento
1764
1770
1774
1777
1781
1784
1787
1790
opere serie
21
21
20
23
18
20
25
18
opere buffe
30,6
30
30
30
55
56
55
79
fonte: Indice de’ teatrali spettacoli per le sole stagioni di Carnevale (che normalmente
privilegiano il repertorio serio)
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La diffusione del genere dramma giocoso nel Settecento
80
70
60
50
40
30
20
10
0
1764 1770 1774 1777 1781 1784 1787 1790
opere serie
opere buffe
La diffusione del genere dramma giocoso nel Settecento
opera buffa: 269 titoli
opera seria:
104 titoli
1078 allestimenti
199 allestimenti
fonte: Indice de’ teatrali spettacoli per le stagioni comprese fra la Primavera del
1790 e il Carnevale del 1795
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La Cecchina
Oltre ad aver impiegato stabilmente i concertati, Goldoni ha
enfatizzato nell'opera comica l'elemento tenero, patetico,
commovente, specchio della contemporanea produzione
romanzesca francese (Chaussée) e inglese (Richardson).
Tutta sentimentale e lacrimevole, ad esempio, è la trama de La
Cecchina, ossia La buona figliuola, una delle opere goldoniane
più popolari del Settecento basata su un romanzo epistolare di
Richardson, Pamela, posta in musica da Niccolò Piccinni. Data
nel 1760 al Teatro delle Dame di Roma, la Cecchina ottenne un
successo clamoroso; lo stesso Piccinni cercò di ripetere il
successo con una specie di "seconda puntata": La buona
figliuola maritata (Bologna 1761).
La storia narra la commovente vicenda di Cecchina, una
fanciulla figlia di genitori ignoti, che a dispetto delle
convenzioni sociali, ama ed è riamata dal nobile Conchiglia.
Ma il matrimonio fra i due - ostacolato da altri due nobili,
Lucinda e Armidoro - si farà solo quando un soldato
riconoscerà le nobili origini della trovatella. I personaggi
sono suddivisi in base a 3 diversi livelli espressivi:
2 personaggi nobili (Armidoro e Lucinda);
2 coppie di personaggi buffi ;
2 mezzi caratteri (Conchiglia e Cecchina) ossia né
totalmente seri, né totalmente comici.
Tali piani espressivi si contrappongono nei pezzi solistici e
si sovrappongono nei concertati.
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La Cecchina di Niccolò Piccinni (1728-1800)
libretto di Carlo Goldoni, dal romanzo Pamela, or Virtue
Rewarded di Samuel Richardson
ossia La buona figliuola Dramma giocoso in tre atti
Prima:
Roma, Teatro delle Dame, 6 febbraio 1760
Personaggi:
la marchesa Lucinda (S); il cavaliere Armidoro, suo amante (T);
il marchese della Conchiglia, fratello di Lucinda, amante di
Cecchina (T); Cecchina, giardiniera (S); Paoluccia, cameriera di
Lucinda (S); Sandrina, lavoratrice rustica (S); Mengotto,
contadino, amante di Cecchina (B); Tagliaferro, soldato tedesco
(B); cacciatori, uomini in armi, servi
Cecchina (sentimentale – Atto I)
Una povera ragazza,
Padre e madre che non ha,
Si maltratta, si strapazza...
Questa è troppa crudeltà.
Sì, signora, sì, padrone,
Che con vostra permissione
Voglio andarmene di qua.
Partir
... me ne andrò
A cercar la carità.
Poverina, la Cecchina.
Qualche cosa troverà.
Sì, signore, sì, padrona,
So che il Ciel non abbandona
L'innocenza e l'onestà.
(parte)
Partitura
Audio
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La Marchesa sola (seria)
No, non gli riuscirà, lo giuro al Cielo.
A costo di morire
No, non la vo' soffrire
Vanne, perfida, e aspetta
Che lontana non è la mia vendetta.
Furie di donna irata
In mio soccorso invoco.
Ah, che mi accresce il foco
Un disperato amor.
Resa per un'ingrata
Gioco d'avversa sorte
Stragi, vendetta e morte
Medita il mio furor.
(parte)
Audio
Partitura
Tagliaferro (buffo caricato) Atto II
O nix tu donne più pensar, paesan.
Fenir, fenir con me,
Che alla querra, contenti
Star tutte sorte de difertimenti.
Star trompette, star tampurri,
Star chitarre e ciuffoletti,
Star strumenti in quantità
Racazzine craziosine
Per ballare, hessassà.
Se nemiche star lontan
Trinche vain, paesan.
Se nemiche star vicin,
Zitte zitte nasconder.
Quando in campo star fenuto,
Je andate, tu restate,
E tu panze conservate
Per ballare, per trincar.
Sempre allegre fatte star.
(parte)
Partitura
Audio
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Concertato Atto I
Cecchina
Vo cercando, e non ritrovo
La mia pace, il mio conforto,
E per tutto meco porto
Una spina in mezzo al cor.
Sandrina - Paoluccia (a 2)
Che si fa per di qua?
Signorina, dove va?
Cecchina
Care amiche, addio per sempre:
Già vi lascio, e m'incammino
A cercar miglior destino,
A cercar sorte miglior.
(s'avvia verso la scena)
Sandrina - Paoluccia (a 2)
Vada pur, se se ne va,
Mille miglia via di qua.
Cecchina
D'una povera meschina
Sia Mengotto il difensor.
Sandrina - Paoluccia (a 2)
Sia Mengotto il conduttor
Dell'amante del padrone,
Ed il povero babbione
Sia mezzan del protettor.
Mengotto
Del padrone?
Sandrina - Paoluccia (a 2)
Il suo cor non è per te.
Mengotto (a Cecchina)
Resta pur, se d'altri sei.
Cecchina
Ah! congiura a' danni miei
Tutto il mondo traditor.
(sopraggiunge il Marchese)
Mengotto
(s'incontra in Cecchina, e la
trattiene)
Dove vai, Cecchina bella?
Dove vai, mio dolce amor?
Sandrina - Paoluccia (a 2)
Sì, signore, già si sa
Coll'amante se ne andrà.
Cecchina
Donne ingrate, m'insultate,
Non avete carità.
Sandrina - Paoluccia (a 2)
Mi condoni, mi perdoni
Della mia temerità.
(deridendola)
Mengotto
Vieni via, che mi contento
Dell'amor di sorellina.
Il Marchese
Vuol Cecchina abbandonarmi?
Ah, crudel, no, non lasciarmi!
Dove vai, mio bel tesor?
Sandrina - Paoluccia (a 2)
Con Mengotto se ne va,
Ch'è l'amato fortunato
Che il suo cor si goderà.
Il Marchese
Con Mengotto?
Sandrina - Paoluccia (a 2)
Sì, signore.
Il Marchese
Vanne pur, ingrato core:
Più di te non ho pietà.
Cecchina
Sventurata... sciagurata...
Ah, di me cosa sarà?
Il Marchese
Vanne pur col tuo amorino.
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Mengotto
Vanne pur col padroncino.
Sandrina - Paoluccia (a 2)
Bella... bella in verità!
Cecchina (al Marchese)
Ah, signor...
Il Marchese
Più non t'ascolto.
Cecchina (a Mengotto)
Senti tu...
Mengotto
Non son sì stolto.
Cecchina
Care amiche: in carità!...
Sandrina - Paoluccia (a 2)
Mi perdoni, mi condoni
Della mia temerità.
Sandrina - Paoluccia - Il
Marchese - Mengotto (a 4)
No, per te non v'è pietà.
Chi di un sol non si contenta
Si martelli, se ne penta:
A chi finge così va.
No, per te non v'è pietà.
Cecchina
Chi mi aiuta, per pietà?
FINE DELL'ATTO PRIMO
Audio – Partitura
Mozart – Le Nozze di Figaro
libretto di Lorenzo Da Ponte
dalla commedia Le Mariage de Figaro
di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
Commedia per musica in quattro atti
Prima: Vienna, Burgtheater, 1 maggio 1786
Personaggi:
il conte d’Almaviva, grande di Spagna (B);
la contessa d’Almaviva, sua moglie (S);
Susanna, cameriera della contessa (S);
Figaro, cameriere del conte (B);
Cherubino, paggio del conte (S);
Marcellina, governante (Ms);
Bartolo, medico di Siviglia (B); Basilio, maestro di musica (T);
Don Curzio, giudice (T); Antonio, giardiniere del conte e zio di Susanna (B);
Barbarina, sua figlia (S); paesani, contadinelle
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Contessa
Barbarina
Conte
?
Susanna
Cherubino
?
Figaro
Marcellina
?
Atto I – dal duetto al Terzetto
Susanna
Susanna –
Susanna –
Susanna –
Susanna –
Cherubino
(Cherubino)* – Conte
(Cherubino) – (Conte) – Basilio
Cherubino** – Conte – Basilio
* I personaggi fra parentesi si nascondono
** Cherubino viene sorpreso dal suo nascondiglio. E’ quindi sulla
scena ma tace.
libretto
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04 Opera seria nel Settecento