n.1
- marzo 2010
IL PONTE - Anno XXXIX
Supplemento al n. 11 del 19 marzo 2010 de “IL NUOVO GIORNALE”
Autorizzazione Tribunale di Piacenza con decreto n. 4 del 4 giugno 1948
Exultet! Era morto ed è tornato in vita.
Bimestrale d’informazione e attualità
Fondato nel 1971: da don Dante Concari
Direttore responsabile: don Davide Maloberti
Direzione editoriale
don Renzo Corbelletta - don Gino Costantino
Redazione: Paolo Labati e Renato Passerini
Coordinatori: don Cesare Lugani, don Paolo Camminati, Sabrina Mazzocchi, Loris Caragnano, Ennio Torricella, suor Luisella, Annalisa Cristofoli, Lorenzo Migliorini, Federico Zanelli, Michela Migliorini, Gianmarco Zanelli, Alberto Burgazzi, Michele Malvicini, Michele Anselmi, Chiara Ratti, Elena
Fogliazza, Gianmarco Ratti, Gian Carlo Anselmi, Claudia Cigalla, Manuela Gentissi.
Per le fotografie: Renato Passerini, Foto Cavanna, Oreste Grana, Foto Gaudenzi.
Redazione, amministrazione e pubblicità: Pontedell’Olio - Tel. 0523 875803
Stampa: Grafiche Lama - Piacenza, Strada Dossi di Le Mose 5/7 Tel. 0523 592859
Le collaborazioni sono sempre gradite.
Articoli, suggerimenti, notizie, lettere.... possono essere inviate ai recapiti:
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Testi e fotografie non si restituiscono se non dietro espressa richiesta.
Celebrazioni PASQUALI
Vigolzone:
Domenica delle Palme:
ore 10,30: celebrazione del solenne ingresso
di Gesù a Gerusalemme e S. Messa
Giovedì Santo:
ore 20,30: solenne messa in Coena Domini
con lavanda dei piedi
Venerdì Santo:
ore 17: solenne adorazione della croce
ore 20,30: Via Crucis per le vie del paese
Sabato Santo:
ore 22,30: inizio solenne veglia pasquale
Domenica di Pasqua:
ore 8,30-11,00-18,00: messa parrocchiale
ore 15,30: messa di Pasqua a Spettine
Lunedì di Pasqua:
ore 8,30-11,00-18,00: messa parrocchiale
Pontedell’Olio:
Giovedì Santo:
ore 8,00: San Giacomo - Celebrazione lodi
ore 18,00: Riva
ore 20,30: San Giacomo - Messa in Coena Domini
ore 20,30: Villò
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Venerdì Santo:
- 15,00 - 16,00 - 18,00 - 20,30
ore 8,00: San Giacomo - Celebrazione lodi
ore 15,00: San Giacomo- adorazione croce
ore 16: Riva
ore 18,00: Folignano
ore 18,00: Villò, adorazione croce e ore 21
via Crucis
ore 20,30: Via Crucis per vie capoluogo
Sabato Santo:
ore 8,00: San Giacomo - Celebrazione lodi
ore 22,00: Veglia pasquale a Villò
ore 22,00: Veglia pasquale a Carmiano
ore 23,30: San Giacomo - Veglia pasquale
Domenica di Pasqua:
Sante Messe alle:
Riva ore 7,30
San Giacomo ore 8,00
Folignano ore 9,00
Albarola ore 9,30
Castione ore 9,30
San Giacomo ore 10,00
Villò ore 10,30
Riva ore 11,00
Veano ore 17,00
San Giacomo ore 18,00
Editoriale
“ … ed ecco una donna, una
peccatrice di quella città …
fermatasi dietro si rannicchiò
piangendo ai piedi di Lui e cominciò a bagnarli con le lacrime, poi li asciugava con i suoi
capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato.” ( Lc 7,
38-39)
Abbiamo perso le lacrime: abbiamo perso, quindi,
l’inizio, il nostro iniziare ad
essere, lo sguardo primordiale, quello con cui non solo abbiamo salutato il mondo per la
prima volta, ma attraverso il
quale ci siamo lasciati anche
guardare, raggiungere, nutrire, curare, al quale ci siamo
affidati e lasciati condurre. Ma
dov’è finita questa fiducia iniziale?
La donna con le sue lacrime bagnava i piedi
di Gesù, con i suoi capelli li asciugava, con le sue
mani li cospargeva di olio profumato. Commuove
questa donna, tocca il nostro cuore: tutto di lei è
affidato al Signore, non c’è parola che si frapponga
tra lei e Gesù in quel momento eppure tutto è dialogo, tutto vive in quel gesto, tutto vive nel calore
di quella relazione, di quel legame, di quell’affetto
intuito e incontrato, nella sorpresa di qualcuno che
ti accoglie per quello che sei, che non ti giudica, che
non fa domande, che non indaga sul tuo passato e
nemmeno sul tuo presente, ma che semplicemente ti
lascia essere.
Abbiamo perso le lacrime: quanti spazi di
tanta tenerezza accompagnano, infatti, i nostri
giorni? A volte non sappiamo nemmeno bene cosa
dobbiamo chiedere e a chi chiedere nella e alla nostra vita: ci fermiamo, ci ascoltiamo, smettiamo di
correre e un bisogno quasi fisico di lasciarci andare
e consegnarci a qualcuno ci assale. Poco hanno a
che fare le lacrime con quella isteria collettiva da
cui spesso, mediaticamente, siamo violentati: le lacrime si nutrono di pudore, sono silenziose, discrete,
solcano con calore il nostro volto, fermano le nostre
corse affidandoci sempre, nell’abbraccio di un amico, nell’intimità della nostra casa, nell’incanto del
mare, nell’infinito di un cielo stellato, nella nostalgia e nel ricordo
di chi abbiamo amato e accompagnato nei nostri giorni, al Mistero
di un Incontro.
Quest’anno Pasqua mi si prefigura nello sguardo di Pietro, nei
suoi occhi che da lontano non
riuscivano a staccarsi dal corpo
e dalla croce del suo amico, nella paura delle sue parole, nel suo
amore, nel suo tradimento, nello
strazio del suo cuore, nel dramma
di aver perso per sempre colui al
quale aveva promesso eterna fedeltà. Al momento Pietro, infatti,
accompagna la mia incertezza
nei confronti del tempo presente, è
uno sguardo attento e serio al mio
essere credente, uno sguardo che
interpella la mia paura di non vedere, all’interno della chiesa, sufficientemente accolto e amato l’uomo e la sua fragilità.
Mi fa terribilmente paura, infatti, quando
nelle nostre azioni pastorali non ascoltiamo e non
diamo abbastanza fiducia ai nostri giorni, quando
di fronte ad essi ci volgiamo indietro rivisitando semplicemente senza anima e senza passione il nostro
passato –qualunque esso sia!- riproponendo vecchi
schemi poco udibili per i nostri tempi. Mi fa paura
perché è esattamente l’opposto di quanto ha fatto Gesù
affidando il suo futuro e il futuro della sua Chiesa,
paradossalmente, proprio all’incoerenza e alla paura di Pietro, forse perché proprio lì, in quei tratti così
precariamente umani, gli occhi di Gesù andavano
oltre intuendo e lasciando parlare l’amore forte e sincero del suo amico.
E se Pietro in questa Pasqua è uno sguardo
a me, le lacrime della donna sono il “mio Signore”
innanzi al quale non voglio più pensare, ma con tenerezza lasciarmi abbracciare. A breve, nei riti della
Settimana Santa, ripercorreremo come ogni anno le
antiche strade di Gerusalemme: che il nostro cuore possa in quei giorni sostare un attimo, calmarsi,
ascoltarsi, donarsi e lasciarsi avvolgere dalle lacrime
di un Dio che nel nostro respiro chiede di vivere e nel
nostro cuore chiede di pulsare.
Buona Pasqua, don Gino
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Il Cielo è d’oro: Exultet!
La discesa agli Inferi
Dal Polittico di Serafino dei Serafini
- Cattedrale di Piacenza, sec. XIV -
O
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ro: cielo regale, cielo celestiale, sopra la terra,
oltre la terra; il cielo di Dio, la sua dimora,
senza spazio e senza tempo. Il cielo etereo, il cielo
che abbraccia lo spazio e il tempo: li scalda, dà loro
il calore della vita, il colore del senso, la leggiadra
pesantezza della materia.
Ma quando la forza d’essere tramonta, e lo spazio e
il tempo inghiottiscono la vita di un uomo, ogni volta è la fine del mondo. Si chiude la terra: un masso
è rotolato, la pietra pesante fa precipitare tutto. La
materia perde la sua forma e con essa il suo senso.
Che delusione: tutto finito. E noi che ci speravamo
in questa vita. E noi che amavamo quel calore, che
ci lasciavamo rallegrare da quel colore, che ci agitavamo trasformando la pesantezza della materia
nella spensieratezza della danza. Pare di sentirle
quelle parole: quelle dei discepoli che, vista la pietra
rotolare, han chiuso gli occhi e con essi la speranza. Hanno passi pesanti: i loro piedi non danzano
più su quella via verso Emmaus. Ma quando Lui
c’era, camminare era leggero. E sperare bello.
La notte però divenne d’oro; come il fondo di un’immagine custodita nel nostro Duomo di Piacenza.
Divenne proprio d’oro. E quel cielo che abbraccia la
terra, non lasciò sola la terra. La convocò. Con lei
il cosmo intero. Quella pietra non poté più restare a
vegliare un morto: quel morto ora vive! Lo spazio e
il tempo vennero convocati a testimoni del grande
evento: “Esulti il coro degli angeli, esulti l’assemblea celeste … Gioisca la terra … Gioisca la madre
Chiesa” E con lei voi, fratelli. Gesù è lì, ed è il Cristo:
su di lui non veglia una pietra, ma con lui il cielo
diventa oro, la terra fecondata si schiude. E come
ha germogliato il Redentore, ora consente al popolo dei redenti di uscire, di germogliare di nuovo a
eterna vita. E’ in piedi il Cristo, leggermente piegato
e con la mano sinistra porta il vessillo del vincitore. Prodigioso duello: si scontrarono la durezza
della morte e la vertiginosa forza della vita, della
fonte della vita; duellarono il Redentore e l’ultimo
Nemico. Vinse il Redentore: ed eccolo ergersi nella feconda bellezza che ha attraversato le asperità
della vita. Quelle asperità sono lì: sono quelle rocce
aride, senz’acqua e senza vita che rinchiudono i
morti da gran tempo. Una schiera intera: pallidi,
ormai immemori della leggerezza della vita e del
danzare della speranza. Pallidi, scavati, provati,
consumati. Con lo sguardo che si rianima alla vista
di quello sguardo.
Che sapiente artista quel Serafino dei Serafini: quegli
sguardi così piccoli da rappresentare, così grandi nel
comunicare.
Si incontrano: quanto si sono cercati! Quante volte
Dio ha cercato l’uomo nel riecheggiare di quella domanda piena di apprensione “Dove sei?” E quante
volte l’uomo si è nascosto: tu, io, noi ci siamo nascosti, non ci siamo lasciati trovare da quello sguardo.
Ma eccolo, quello sguardo: ora incontra la sua creatura. Anche Dio fatto uomo ha condiviso la sorte della sua creatura: fin lì, fin negli inferi. Quegli sguardi
si cercarono fin dall’origine del mondo, fin da quel
giorno in cui l’antico Nemico tentò Adamo ed Eva
e la morte annodò i suoi vincoli più nefasti. Fu il
giorno in cui l’uomo cercò lo sguardo di Dio, ma per
fuggirlo. Ora, in questa notte lucente, lo cerca per
essere redento:
“Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli
della morte, risorge vincitore dal sepolcro”. E’ risorto
dal sepolcro, il cosmo, lo spazio e il tempo sono convocati a testimoni: la morte è vinta. Così il Cristo non
si dimentica di coloro per i quali combatté il prodigioso duello: in quella tenzone duellò a fianco di
ciascuno di noi. Ci prese per mano e non ci lascia.
Quella mano: è la mano che, tesa ad Adamo, lo trae
di nuovo dalla terra, come fosse una nuova creazione. E ancora una volta il pallore del primo uomo è il
pallore di una terra arsa, consumata, ma che amata diviene feconda. La mano non lascerà più Adamo, non lascerà più Eva. Riconoscibile accanto a
quell’uomo scarno, a lui si appoggia. Fu tratta dalla
sua costola: è questa l’immagine che dice dell’umanità che ogni vivente condivide nell’intimo. Anch’ella
è lì, col seno ormai consumato, con il volto irriconoscibile, vinto in duello: duello per l’uomo invincibile,
ma per Dio e per il suo Figlio possibile. Dietro, quella
schiera: la schiera di coloro che seguono Adamo, la
schiera degli uomini che si perdono nei mille rivoli
dello spazio e del tempo di un cosmo che lì è abbracciato dal giorno che non tramonta. Avevano peccato. Sono morti. Erano prigionieri di quell’arco di
pietra rappresentato tra Cristo e Adamo. Geniale nel
suo rappresentare l’artista!
Sì, perché l’arco è spezzato, l’ostacolo, la chiusura, il
confine è attraversato dalla mano del Cristo. E Dio,
in Cristo, salva. “Davvero era necessario il peccato
di Adamo , che è stato distrutto con la morte del Cristo. Felice colpa, che meritò di avere un così grande
redentore.”
Oro di una notte che splende come il giorno: “Di
questa notte è stato scritto: la notte splenderà come il
giorno, e sarà fonte di luce per la mia delizia.” E’ la
notte in cui è il possibile: è la notte del calore della
vita, del colore del senso, della leggerezza della materia che danza.
Quei poveri volti si accalcano dietro ad Adamo, vogliono vedere, potranno danzare un tempo nuovo.
Ora possono sperare. Sono quei volti che conobbero
la misteriosa ora in cui Cristo è risorto dagli inferi. E promettono a noi di conoscere quel giorno e
quell’ora.
Si vede anche un’aureola tra la piccola folla. Anche
per la vita santa nessun vantaggio essere nata, aver
danzato la propria esistenza, aver percorso il proprio
tempo, se in quella gloriosa notte che divenne giorno Cristo non ci avesse redenti. Chiusa nella terra,
ora si schiude al tempo divenuto eterno movimento
mai stanco di vita, benché sempre di essa sazio. O
notte beata, in cui Cristo discese agli inferi, prese per
mano Adamo e con lui Eva. Li strappò dall’abbraccio
mortale della terra e li restituì al correre sereno del
vivere. Promise anche a noi. Promette anche a te.
Immagine rara dalle nostre parti quella di Serafino
dei Serafini. E’ La Discesa agli inferi: una tradizione
antica è andata per noi occidentali perduta dal XIV
secolo in avanti. Ma conservata nella nostra Cattedrale, epilogo di un tempo in cui il cielo di Dio era
sempre caldo oro. Unica testimonianza nella nostra
Diocesi. Testimonianza che attende che il nostro cuore arda quando, ascoltando parole antiche e sempre
nuove, riconosceremo in quel volto, in quella croce
descritta dall’arco di terra incrociata dallo stringersi
delle mano di Gesù e Adamo, la notte gloriosa che fu
come giorno e rese per sempre la notte come il giorno.
O notte beata, nella quale rimane ad ardere una
promessa già realtà. E quei poveri volti, quei toraci
scavati, quelle mani esangui; il tuo povero volto, il
tuo torace scavato, la tua mano esangue, sentirà il
calore vitale di Cristo, si tingerà del colore della sua
vita: uomo con te, Dio per te. E il camminare torna
di nuovo il danzare leggero della materia redenta. E
lo sperare torna di nuovo un sorriso.
Da quella morte, la vita.
Don Giuseppe Lusignani
LA BEFANA ALLA CASA DI RIPOSO BALDERACCHI
P
untuale come tutti gli anni anche quest’anno la
Caritas di Vigolzone capitanata dall’infaticabile
Giovanna è approdata alla casa di riposo Balderacchi di Riva.
Nel pomeriggio del giorno 6 Gennaio s’è fatto festa:
i numerosi ospiti della casa hanno gustato le torte
offerte dalle volontarie della Caritas, quelli più arzilli hanno ballato con le fisarmoniche di Oliviero,
Gianni e Luigi che hanno allietato il pomeriggio, gli
altri hanno cantato allegramente in compagnia di
Carlo e Giovanna.
Tra i tanti ospiti che hanno partecipato abbiamo ritrovato molti volti conosciuti di compaesani, amici e
parenti ora ospiti della casa di riposo.
Numeroso anche il gruppo Caritas che tutti gli anni
conta qualche nuovo addetto, e che si prodiga a
portare un sorriso a chi soffre; naturalmente, chiunque voglia partecipare è sempre ben accetto.
Tra le tante iniziative promosse dal gruppo di carità
parrocchiale, questa è tra quelle più belle e più sentite, per questo viene ripetuta anche il giorno della
festa della mamma. Trovarsi a portare un po’ di gioia
a tante persone, alcune sole, altre con gravi
problemi di salute, altre semplicemente sulla
via del tramonto, fa sentire bene, fa ritrovare parte di quella fede che il sistema di vita
moderno tende ad affievolire dando più valore alle cose materiali ed a quelle superflue,
mentre il Vangelo ci dice “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei
fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” ed una
volta a casa ci offre lo spunto per meditare
sul compito di noi cristiani.
In attesa di ritrovarci nel prossimo incontro
un arrivederci e un ciao.
Il gruppo Caritas.
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spazio giovani
I nostri bimbi
Riflessioni sul cammino quaresimale
Caterina Caragnano
Credere nella capacità di potere creare e donare una
possibilità, una nuova occasione permette ad ogni
singolo individuo di non chiudersi in se stesso, isolando in tal modo non solo gli altri che lo circondano
ma creando attorno a sé una barriera invisibile, che
è forse più difficile da abbattere. Poiché incapaci di
vederla, forse perché non è sufficiente osservare con
gli occhi, alle volte è possibile che non si trovino
soluzioni e risposte.
Questo isolarsi fa sì che diventi problematico relazionarsi con il resto del mondo e delle persone che
stanno intorno: un comportamento che può risultare
sia da parte di chi è da solo, sia da parte di coloro
che stanno al di fuori. È, perciò, necessario essere in
grado di capire quando non lasciare distante qualcuno: che abbia più o meno bisogno di assistenza,
avere al proprio fianco qualcuno su cui potere fare
affidamento è sempre importante e può portare anche un sorriso.
Dare una nuova possibilità significa potere iniziare o
ricominciare a sperare e ad agire, costruire ciò che
non è mai stato possibile edificare o riportare alla
luce ciò che era caduto e distrutto. L’oscurità dell’essere soli, del non sapere come muoversi intorno può
arrivare o ritornare con l’aiuto di chi è accanto ad
ogni persona.
Non è facile fidarsi dell’altro, non è semplice dare la
possibilità di entrare a fare parte della propria vita,
ma alle volte la necessità di potere avere qualcuno
vicino è più forte e fa rinascere la speranza di potere di nuovo agire e portare fuori quello che si era
nascosto, perché lo si era voluto proteggere. Que-
sta chiusura è come l’inverno, che porta la natura a
chiudersi, ad isolare ogni singola gemma in una barriera protettiva, affinché non venga sferzata dal gelo
e dal maltempo. Ciascun germoglio, però, è pronto
a riprendersi il proprio spazio, a sbocciare per dare
la possibilità ad ogni nuovo fiore e ad ogni nuovo
frutto di potere apprezzare l’istante del vento che lo
accarezza, la rugiada che lo accoglie di primo mattino, la pioggia che lo bagna.
Le persone sono come questi boccioli: hanno bisogno di proteggersi e di essere protette ma devono
anche avere l’occasione per potere dimostrare quanto di bello può uscire da ognuno, di potere dimostrare di sapere continuare.
La tragedia che in questi giorni ha colpito le città di
Santiago e Concepcion in Cile, prima il terremoto ad
Haiiti e in Italia il terremoto in Abruzzo, porta a considerare quanto importante sia potere dare aiuto alle
persone e dare la possibilità a queste persone di avere ancora speranza e l’occasione per ricominciare.
Gli occhi di un bambino salvato da un militare che
guardavano fissi, lo shock fortissimo che lo ha provato ha reso il suo sguardo e il suo volto immobile, la
speranza ad un primo impatto era quasi impossibile
da trovare. Il pianto disperato di tre fratelli che cercavano il padre, ma pronti a cercarlo e a trovarlo.
La possibilità di credere in una nuova occasione deve
trovare spazio in ogni persona, in ogni gesto, in ogni
sguardo , in ogni relazione per potere crescere e germogliare dando opportunità ad ogni singolo frutto di
potere essere apprezzato.
con i cuginetti
Nicolò ed Emma Baldini
Davide Coronati
Manuela
Battesimo
di
Maria Sole
Piazza
Giulio e Giorgio Giumini
La sorelline Maggi
7
Vita cristiana
Nel giorno del
Battesimo di
Gesù, hanno
ricevuto il sacramento i
bambini Roselli
Raffaele, Argellati Martina,
Assirati Alice
Pima di partire per un lungo viaggio
“Prima di partire per un lungo viaggio porta con te
la voglia di non tornare più...” è così che inizia una
famosa canzone di Irene Grandi, ma di quale lungo
viaggio si parla? Facciamo un passo indietro: domenica 31 gennaio si è tenuta, a Vigolzone, la presentazione dei ragazzi di prima media che il prossimo
anno riceveranno il sacramento della Cresima. Questi
ragazzi stanno per partire per un lungo viaggio dal
quale si preparano, grazie al cammino del catecumenato, a non voler tornare più.
Li abbiamo chiamati ad uno a uno
Alessia, Andrèe, Asia, Chiara, Daniele,
Fabio, Federico, Giulia, Yuri, Lorena,
Luca, Lucia, Martina, Riccardo, Roberta,
Roman, Salvatore, Stefania,
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perché a uno a uno saranno chiamati nella responsabilità del loro Sì al cammino che Gesù ha preparato
per loro.
È importante soffermarci sul cartellone presentato durante la processione offertoriale: esso recava al centro la parola “ECCOMI” al singolare, che ci fa pensare
a come ognuno di loro, e anche ognuno di noi ogni
giorno, sia chiamato a rispondere personalmente delle
proprie scelte. La scritta tutto intorno aveva i sette doni
dello spirito con le varie interpretazioni pittografiche
che i ragazzi hanno voluto metterci. È bello notare
come ad ogni dono possano corrispondere immagini e
colori completamente diversi che però alla fine arrivano a completarsi vicendevolmente arrivando a costruire un cartellone armonioso.
È un po' come vedere la nostra comunità: al suo interno
possiamo trovare personalità anche opposte che però, insieme a tutte le altre, arrivano a formare il corpo intero
e pulsante della nostra Chiesa. Insomma questi ragazzi
sanno che le loro differenze sono e saranno la loro forza
all'interno della comunità cristiana, sanno che questa firma, che domenica hanno apposto, non significa l'inizio
della fine di un percorso, anzi a partire da questo segno
su un foglio inizierà per loro un lungo viaggio, per il quale
occorre la voglia di non tornare più!
Allora come catechiste, ma soprattutto, come due che il
viaggio lo hanno iniziato da più tempo, coraggio ragazzi,
perché soprattutto serve quello, il viaggio sarà difficile, ma
la vicinanza di Gesù lo renderà molto piacevole!
Chiara e Simona
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Finalmente non sono più giovane
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“Tra i venti e i trent’anni, a volte, accade di ricevere straordinari doni di grazia: ciò che seguirà, nella
maturità incipiente dei trent’anni, così esposta a eccessi di fiducia, o nella solidità dei quaranta, segnata
spesso da trattenuta amarezza, difficilmente riuscirà a
eguagliare l’intuizione bruciante di quei primi pensieri, né saprà conservarne la sorprendente freschezza –
avrà altre virtù, se solo potrà esistere. Così fu per Etty
Hillesum e per il suo straordinario Diario – al quale,
purtroppo, nulla poté seguire: la lucidità generosa
delle riflessioni che vi furono raccolte sbalordisce chi
le legge; gli slanci e le molteplici incertezze, dalle
quali spiccano all’improvviso le sempre più frequenti
accelerazioni della visione interiore, possono sembrare miracoli di ingenuità o di giovinezza, e indurci
a scuotere la testa – colmi d’ammirazione. Oppure,
possiamo renderci conto di essere al cospetto di prodigi di profezia: oracoli ineguagliati, dei quali nulla
può rendere ragione; doni di grazia, appunto, che
ci riempiono di gratitudine – tanto più se li sappiamo nati di getto, d’istinto, in condizioni disagevoli e
in tempi rapidissimi; frutto di concreta esperienza di
vita, senza pose né menzogne; costellati di ingenuità che non ci urtano, perché le riconosciamo parte
di un’autenticità senza finzioni”. (R.M. Rilke, Il libro
d’ore, dalla prefazione di L. Gobbi, pp. 7-8)
Finalmente non sono più giovane. Lo so che qualcuno, tra un po’ di anni, quando magari mi scapperà
qualche lamentela per il peso degli anni o dei ricordi,
potrebbe rinfacciarmi questa ardita affermazione, ma
adesso, pensando a quello di cui vorrei parlare, voglio ribadirlo: finalmente non sono più giovane.
Perché finalmente? Perché così posso parlare del rapporto tra giovani e adulti senza il rischio di sentimi
dire: “Tu parli così perché sei giovane”, sentendomi
così immediatamente inascoltato.
La mia tesi è molto semplice: i giovani sono sempre una novità e per questo mettono, e metteranno,
sempre in discussione il mondo adulto, che a fatica
sembra aver raggiunto una sua stabilità.
Certo i giovani non sono l’inizio del mondo, della
cultura, della società; sono figli di padri e madri che
li hanno messi al mondo e li hanno educati, o almeno
ci hanno provato; essendo un segmento della storia
dell’umanità, possono godere delle scoperte e delle
conquiste – ahimè, anche degli errori – di chi li ha
preceduti. Nessuna pretesa di attribuire ai giovani alcuna autonomia o anarchia, solo il tentativo di ricordare che il cucciolo d’uomo che si affaccia al mondo
e comincia a perlustrarlo con le sue mani e il suo
fiuto, nonostante tutte le eredità di cui può disporre,
ha, in fondo, il desiderio di rifarlo, questo mondo nel
quale è chiamato ad abitare, soffrire e gioire. E niente
e nessuno potrà impedirglielo, se non pagandone un
prezzo altissimo.
Con questo desiderio e con niente di meno di questo
desiderio, il mondo degli adulti deve fare i conti. Se
si nega questo desiderio, se ci si gira attorno, considerandolo solamente un prurito adolescenziale che
presto passerà, non solo gli adulti sono poco rispettosi, ma impediscono all’umanità di godere di quelle
idee, passioni, intuizioni, scoperte, che solo l’età giovanile può produrre. E tutto questo vale anche per
la Chiesa.
Anche sulla nostra nave sballottata dai marosi di questo nostro tempo, né più facile né più difficile di altri,
a volte si ha l’impressione che le mete e le certezze
raggiunte dai credenti adulti, invece che delle eredità
da rielaborare e migliorare per il benessere di tutti,
siano dei vincoli dai quali non ci si può distaccare, se
non al costo enorme di perdere “la nostra identità”.
E così, tralasciando il fatto che se davvero le cose
“una volta” andavano meglio non si capisce perché
ci abbiano portato a questi risultati, mi piacerebbe
porre alcune domande, solo per suscitare un dialogo
e un confronto, senza la pretesa di fissare qualcosa
di definitivo.
La fede si trasmette, non è una fotocopia
L’incontro con il Signore e l’abbandono in Lui è
un’origine, un punto di partenza, una novità assoluta che mai una volta si è ripetuta uguale per due
persone differenti. “Puoi dirmi come, perché, quando
hai iniziato a credere tu, ma non puoi aspettarti che
succeda così anche per me. Dimmi cosa e chi ti ha
donato la scoperta di te stesso, cosa o chi ha acceso
in te il desiderio di assoluto e di una vita piena, cosa
o chi ti ha fatto capire che affidarsi non è una debolezza ma una ricchezza… insomma fammi venire voglia di innamorami della bellezza che hai incontrato,
ma concedimi di farlo in modo differente dal tuo”.
Perché noi adulti pensiamo che se i giovani non vivono la fede come l’abbiamo vissuta noi, quella non
è fede?
Attese o pretese?
A volte si ha l’impressione che, anche nella Chiesa, come nel mondo, noi adulti non abbiamo attese
verso i giovani – cosa assolutamente naturale –, ma
pretese. I giovani dovrebbero pregare di più, i giovani dovrebbero andare di più a messa, i giovani dovrebbero nutrirsi di più della Parola di Dio, i giovani
dovrebbero imparare ad assumersi le responsabilità,
i giovani dovrebbero… Ma perché chiediamo a loro
ciò che noi adulti, lentamente ma inesorabilmente,
stiamo perdendo? Desiderio di cura o senso di colpa?
Ad un certo punto…ci ingessiamo
Venerdì 5 marzo – ma questo pensiero confesso che
mi è venuto altre volte, durante le veglie di avvento
o i Tour de Vie, ecc.- mentre partecipavo alla preghiera dei giovani del nostro Vicariato a Podenzano,
pensavo: ma perché noi adulti non possiamo vivere
un momento di preghiera così?
Gesti, immagini, movimenti, canti, tutti più o meno
armoniosamente orchestrati attorno alla Parola di
Dio, che deve rimanere il centro, mi sembravano improponibili ad una assemblea di adulti. Di solito si
dice che, con i giovani, si fa così altrimenti non parteciperebbero. Ma chi pensa queste preghiere per i
giovani non sono dei responsabili di marketing che
cercano di piazzare un prodotto; il fatto è che con i
giovani “si può”, perché, tra le loro mille oscillazioni, sono comunque disponibili ad accettare che l’Assoluto possa darsi anche in un gesto, un’immagine,
un canto che un qualunque adulto considererebbe
solamente coreografia! Perché ad un certo punto ci
ingessiamo, ingessando così ogni stimolo dello Spirito in noi? Se il grande re Davide non si vergognò di
danzare nudo per la gioia di fronte al ritorno dell’arca dell’Alleanza, perché io adulto dovrei vergognarmi di celebrare in momenti e con gesti inconsueti?
E infine, la gioia!
E sì, qui voglio toccare un punto nevralgico della
testimonianza e quindi della grande questione della
Missione Popolare Diocesana che stiamo vivendo.
Perché è facile incontrare facce gioiose durante le celebrazioni e gli incontri dei giovani, mentre nei raduni
di noi adulti il colore dominante è il grigio? Delle due,
una: o abbiamo il coraggio di dire che la gioia dei
giovani è falsa, cioè è superficiale e passeggera – e io
questo coraggio non ce l’ho!-, o noi adulti abbiamo
perso la scintilla e arranchiamo, tirando avanti una
tradizione che non potrà contagiare nessuno. Certo,
noi adulti possiamo avere più problemi e forse più
seri – a parte che anche questo sarebbe tutto da dimostrare –, ma qui non si tratta di una festa o di un
momento di divertimento, qui si sta parlando di celebrazione, di preghiera, cioè di quei momenti della
nostra vita dove, non a causa delle nostre capacità,
si aprono le porte sull’orizzonte impensabile e impensato dell’amore di Dio. E quindi, perché questa
tristezza?
“Forse più radicalmente bisogna sentire meglio. Sì,
sentire meglio il grido che i giovani stanno lanciando al mondo degli adulti[…]Questo grido, bisogna
raccogliere,per ripartire, per la fondazione di una
nuova solidarietà e giustizia tra i giovani e gli adulti[…]Raccogliendo un tale grido, esse (la società e la
Chiesa, ndr) possono raccogliersi, recuperando terreno rispetto alle frantumazioni, rispetto alla dispersione di energie, rispetto alle lotte tra laici furiosi e clericali impenitenti” (A. Matteo, La prima generazione
incredula, ed. Rubbettino).
Ripeto, per non essere frainteso: nessun giudizio, nessun rimprovero – l’ho detto all’inizio, non sono più
giovane –, ma solo il tentativo di provocare un confronto che troppo spesso si arena nelle secche del già
detto e delle ovvietà.
Don Paolo Camminati
CARITAS PER LA VITA.
Come ogni anno, la Caritas ha allestito un banchetto per la vendita delle torte ed il cui ricavato va a migliorare una vita: attraverso le suore del Buon Pastore
infatti sono stati adottati dalla parrocchia due bambini
che possono frequentare la scuola con le offerte raccolte in questa occasione; un enorme tavolo ha accolto un’ottantina di torte, preparate dalle massaie del paese, che l’inossidabile Giovanna ed il suo staff hanno
provveduto a confezionare e a vendere.
E’ stata un’occasione di grande festa sia per i piccoli, ma anche per i tanti genitori e nonni presenti alla
messa che hanno potuto toccare con mano la voglia di
fare e la tenacia dei bambini, anche piccoli, che hanno
fatto tutto quello che ogni domenica fanno gli adulti:
animare tutta la messa.
Sabrina Mazzocchi
11
Modi di abitare la vita
Don Domenico Pozzi con Remo e Pietro Celaschi)
di voler vedere tutto, ma di percepire il fascino della
stessa Luce.
Fitto riaccendersi di ricordi, quasi una convocazione
di memorie, che non significa tuttavia guardare indietro malinconicamente, ma vuole essere impegno
nel presente perché questa saggezza di vita non vada
persa.
Il Mistero conduce la storia e gioca, sceglie gli ultimi
per confondere i forti, ama che tutti siano salvi, svela
la Passione, Morte e Resurrezione di Gesù perché
ogni cultura resti immersa nel Suo amore e contempli
i tempi, le ore ed i modi in cui il disegno sarà pienamente realizzato.
Il Mistero chiama alla sequela, “vieni e vedi”. Il Mistero va oltre, cammina nel presente, attua il definitivo
che ancora non è, che è promessa, speranza, passio-
P
ossiamo trovare in questo cammino quaresimale, una spiritualità serena, non drammatica, non
penitenziale, nella quale “conversione” significa fare
delle scelte, cioè rimetterci dentro la vita per vedere
come possiamo abitare la storia.
Non si tratta di fare dei sacrifici. Dove sta scritto? Il
sacrificio più grande è quello di un’attenzione profonda al presente.
Come imparare a stare nella vita e con la
vita?
Raccogliendo frammenti di sapienza che la vita stessa lascia intravedere o custodisce in sé: la sapienza
che altri uomini, donne, culture, popoli, religioni,
riflettono nel tempo.
Sapienze posate nel tempo, non le uniche, né quelle
definitive, che però stanno lì, misteriosamente feconde e presenti, pronte a lasciarsi evocare tutte le
volte che qualcuno le chiama, le cerca con molta
sete o si siede in atteggiamento di ascolto alla loro
ombra.
L’invito è a non dimenticare.
Per questo, ho scelto la storia di Don Domenico
Pozzi e di due fratelli, Remo e Pietro Celaschi, la
storia della loro amicizia e del loro impegno di tutta
un’esistenza, a non tradire il sogno di Dio, sogno
di giustizia nelle profonde ingiustizie che la storia
conosce.
Vite lunghissime, pronte -anche nei giorni della sofferenza- a giocare con Dio il gioco di andare avanti,
di non invecchiare mai nell’anima, di essere sempre
aperti al nuovo e al dono. Fino alla fine.
Don Domenico, al capolinea del suo servizio pasto-
12
rale in parrocchia, fa una scelta coraggiosa e a settant’anni parte missionario per uno dei tanti inferni
di una squallida periferia africana.
Energico e risoluto nelle sue battaglie, fragile e sereno nei giorni della sua malattia, inginocchiato per
ore, da mattina a sera, di fronte al Mistero, o ritto
sulla soglia ad accogliere la parte più fragile e spesso sconosciuta di questa umanità: non per volontarismo.
Il suo è stato mettersi in sintonia con la passione di
ricreare storia e legami che Dio ha messo nell’umanità e nella creazione con quell’affidamento che
non ha nulla a che vedere con la passività ma che è
attitudine che consente l’attesa..
Remo e Pietro, esempio di sobrietà che ha permesso a chi li ha conosciuti, di imparare a cogliere il
gusto profondo delle cose, persone per le quali la
quotidianità è stata il luogo della fedeltà e lo spazio
quotidiano di una fabbrica è divenuto luogo dove
dimostrare il proprio amore, la propria passione
profonda per gli altri.
In questi spazi quotidiani che diventano solenni,
dove l’orizzonte si allarga, dove tutto si fa più
grande, nasce la collaborazione con Don Pozzi: il dono di macchinari per avviare una scuola
professionale di falegnameria e di meccanica,
non sarà mai semplicemente una questione economica, ma una logica differente nei confronti
della vita, delle cose, e dei momenti della vita.
Ho assaporato la bellezza di condividere con
questi uomini un tratto del loro cammino, di accompagnarli in alcuni passi difficili della malattia, di tessere con loro legami profondi, di guardare nello stesso orizzonte, non con la pretesa
ne.
In molti rimaniamo ancorati alle nostre dimore stabili e fisse.
Il Pastore, da Abramo in poi, ci chiede di seguire, di
andare, ma non indica in anticipo la terra.
La peregrinazione non è girovagare ma seguire il
passo, anche quando non è tutto chiaro e limpido
nel nostro seguire.
I frutti non precedono mai la semina, se non nel
desiderio. Per averli occorre seminare il seme e lasciarlo crescere.
Non a tutti è chiesta la stessa cosa, ma ogni chiamata esprime sempre un invito perché il tutto cresca.
Buona Pasqua …!
Paola
Dalla Missione
chi - cosa - come - dove - quando
Veano, 6 Marzo 2010
“Scrivo a caldo, appena rientrata a casa dopo la giornata di spiritualità. La sensazione prevalente è di
aver vissuto una bella esperienza, ripensando a tutti
i momenti vissuti insieme una parola si ripresenta:
comunione. E' stata proprio un'esperienza di unità
e comunità. Quando mi è stata chiesta la disponibilità per preparare il "ritiro di Unità Pastorale per la
Missione Popolare Diocesana" ho accettato aspettandomi una serie di riunioni tecniche in cui decidere
chi - cosa - come - dove-quando, niente di più sbagliato. Con don Gino e gli altri collaboratori inviati
dalla mia e dalle altre parrocchie è stato invece un
vero cammino, in cui insieme abbiamo costruito un
clima di ascolto e
condivisione, in cui
ognuno di noi ha lavorato su se stesso.
Ho vissuto le fasi di
preparazione con
gioia, condividendo
esperienze, pensieri
ed emozioni in un
clima di grande rispetto e collaborazione.
Abbiamo cercato di
estendere questo
clima a tutti quelli
che poi hanno partecipato, non so se
ci è riuscito, ma i volti di chi è stato presente mi sono
sembrati sereni e distesi. Mi auguro che questo momento e questo modo di lavorare non rimangano un
caso isolato, ma siano solo l'inizio.”
La suggestiva Villa Alberoni di Veano ha fatto da
cornice al momento di spiritualità che noi dell’Unità
Pastorale 1 di Valnure insieme agli amici di Bettola
abbiamo vissuto sabato 6 marzo.
Anche il sole ha contribuito alla buona riuscita della
giornata, partecipata e sentita da una cinquantina di
persone che hanno avuto un’opportunità unica in
questo mondo sempre di corsa: fermarsi per un’intera giornata per riscoprire se stessi alla luce del vangelo di Luca.
Dopo il caffè di benvenuto che ha creato un clima
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Speciale Natale
rilassato e familiare, ci siamo trovati in cappella per
pregare, per introdurre il passo di Vangelo che ci
avrebbe guidati: la predicazione di Gesù a Nazareth
tra la sua gente e la sua cacciata dalla sinagoga. Al
momento di preghiera ha fatto seguito un percorso
d’interventi fatti da noi laici, di vita vissuta, di testimonianze che hanno messo in luce come tutti noi
siamo nel cuore di Dio, di come noi crediamo di far
funzionare la nostra vita, quando invece è lo Spirito
di Dio che giuda i nostri passi e di come noi cristiani “custodi” della Parola diventiamo “custoditi” dalla
Parola stessa.
La giornata è proseguita poi con il momento di ricerca personale che ciascuno ha vissuto in totale libertà, aiutati anche dagli spazi aperti e chiusi che Villa
Alberoni ci offre: la chiesetta, il viale lunghissimo
come i nostri tormenti interiori, il parco che si sta
risvegliando alla nuova vita primaverile, ma che reca
ancora qualche candida traccia dell’inverno appena
trascorso, le tante sale, finanche al lieto vociare dei
bimbi presenti che si sono divertiti custoditi dalle
cure di Silvia.
Il momento della meditazione personale ci ha portato a guardare nel nostro profondo, ci ha fatto fermare per respirare l’aria nuova, per ammirare l’immenso spazio che ci circonda, ciò che Dio ha pensato e
creato per noi.
In men che non si dica è arrivata l’ora del pranzo che
abbiamo condiviso nell’ampio refettorio della villa,
preparato con cura dalle cuoche di Castagnola.
E’ stato un momento importante che ci ha portato
a condividere non solo il cibo, ma anche le prime
impressioni sulla giornata.
Il pomeriggio lo abbiamo dedicato ai lavori di gruppo: qui, in tutta libertà abbiamo dato voce ai nostri
pensieri più reconditi, alle nostre riflessioni, a ciò
che la Parola ha suscitato in noi.
Ben presto si è fatta l’ora dei Vespri e quindi della
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conclusione della nostra esperienza. La giornata di
meditazione è finita, ma non il nostro viaggio, perché, come dice una poesia di Saramago,
Il viaggio non finisce mai,
solo i viaggiatori finiscono.
E anche loro possono prolungarsi
in memoria,
ricordo,
narrazione.
Quando il viaggiatore
si è seduto sulla sabbia
della spiaggia, e ha detto “ non c’è
altro da vedere”,
sapeva che non era vero.
Bisogna vedere di nuovo
quel che si è già visto,
vedere in primavera quel che si era già
visto in estate,
vedere di giorno quel che si è visto di notte,
con il sole dove la prima volta pioveva
vedere le messi verdi, il frutto maturato,
la pietra che ha cambiato posto
l’ombra che non c’era.
Bisogna ricominciare il viaggio.
Sempre
Insieme….
“Nell’atteggiamento degli Ebrei di Nazareth è facile
riconoscere quello di molti cristiani: spesso il pregiudizio ci impedisce di ascoltare le persone che incontriamo e, a nostra volta, subiamo la freddezza ed il
giudizio degli altri, anche molto vicini a noi, come
Gesù nella sua città.
La convinzione di essere “giusti” e nella “verità” spesso ci impedisce di amare il prossimo e quindi l’incontro con Gesù, presente in ognuno: pretendiamo
di cambiare gli altri, invece di fare il “vuoto” in noi
per accogliere il fratello.
Il clima di libertà che si respirava nei
diversi gruppi, ha reso possibile la
condivisione di esperienze di vita e
di fede: da questo abbiamo capito
che bisogna costruire dei rapporti
veri, puntando sulla qualità delle relazioni, indipendentemente dal numero delle persone.
In questa giornata abbiamo vissuto
una profonda comunione fraterna
che ha lasciato nel cuore di tutti, laici e sacerdoti, una gioia vera.“
Elena, Giovanna, Luigi, Sabrina
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Speciale Natale
Speciale Natale
Pontedell’Olio: Festa di Natale per i bambini della materna
Alla scuola “Giovanni Rossi” celebrati anche i vent’anni di collaborazione con la coordinatrice
“C’era una volta – tanti anni fa – un
genitore che, guardando fuori dalla
finestra prima di addormentarsi, vide
apparire improvvisamente la stella dei
desideri. Aveva dei bimbi piccoli e per
questa ragione la sua richiesta fu di
avere nel suo paese una scuola materna ben amministrata, dove i bambini
potessero crescere serenamente imparando tante cose da maestre qualificate e dove vi fosse qualcuno che potesse condurre
questa struttura al meglio…..”
Queste alcune delle parole che l’Associazione dei
Genitori di Ponte dell’Olio (a nome di tutti i genitori
della scuola materna) ha dedicato alla scuola materna “Giovanni Rossi”.
Forse più che il desiderio di una stella si può - in
maniera più realistica - riassumere quello che è oggi
la scuola Giovanni Rossi con due parole che ne sintetizzano la storia: lungimiranza e costanza.
Lungimiranza di un imprenditore, Giovanni Rossi,
che dagli anni 30 ha sostenuto la scuola nata nel
1895 a favore delle famiglie dei suoi dipendenti e
più in generale alla famiglie pontolliesi.
La costanza ha poi caratterizzato negli anni l’apporto fornito dall’impresa Cementirossi che, in memoria del suo fondatore, sostiene fattivamente ancora
oggi l’asilo fornendo un significativo contributo, cui
si aggiunge quello derivante dalla convenzione che
attiene al centro sportivo: la Cementirossi ha infatti
destinato alla Scuola anche la quota di 15.000 euro
annui che il Comune è tenuto a versare ancora per
22 anni per l’acquisto del centro sportivo.
La stessa costanza ha caratterizzato e caratterizza
16
tuttora l’operato del presidente: l’Ing Paganini guida con
competenza la struttura da 37
anni, affiancato da 25 anni dal
Geom. Claudio Lisetti.
Oggi la scuola si può avvalere di professionalità qualificate
ed ha recentemente ottenuto
una attestazione di eccellenza
dalla coordinatrice pedagogica
della struttura. Le insegnanti Claudia, Alessia, Katia,
Lara, Anna Maria, Sara, Marina e Erika si occupano delle 5 classi, 3 omogenee – ossia composte di
bambini della stessa età - e 2 eterogenee, in cui si
ritrovano bimbi di età diverse, per un totale di 140
bambini. La cuoca Guglielmina prepara ogni giorno
ricette che i bambini definiscono “ eccezionali” e
“più buone di quelle della mamma”. La recita del
Natale è stata l’occasione per apprezzare il lavoro che viene svolto sui piccoli frequentatori della
scuola. Esibizioni curate nel dettaglio, coreografie,
scenografie, risultati di grande effetto ottenuti con
l’impegno delle insegnanti, di tanti collaboratori volontari e, ovviamente, degli artisti “in erba” che hanno salutato il numerosissimo e caloroso pubblico.
Durante la recita è stato attribuito pubblico plauso
a colei ha condotto la scuola negli ultimi 20 anni:
Tiziana Milza.
Tra le motivazioni del pubblico riconoscimento
conferitole dai genitori sono state lette anche queste parole: “è paziente, decisa, ama educare: ne ha
fatto la sua vita a vantaggio dei bambini e di tutta la
comunità”. L’immagine che esce da questa giornata
che ha voluto celebrare oltre ai bambini e le imminenti festività anche la
Scuola Giovanni Rossi,
non è quella edulcorata
e buonista che qualche
volta il clima natalizio
può ispirare.
Emerge invece – con
chiarezza – la riconoscenza per la volontà,
la serietà e la costanza
delle persone che hanno
fatto nascere e crescere
questa struttura.
Elena Fogliazza e Sara
Brugnoni
Foto Stefano Maggi
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Solidarietà
Vive
Felicitazioni
Il giorno 22 febbraio 2010 presso la
Facoltà di Architettura ambientale del
Politecnico di Milano, Sede di Piacenza, si è brillantemente laureato con il
massimo dei voti 110/110 Simone Bosi.
Il giorno 24 febbraio presso la Facoltà
di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza si è
brillantemente laureata con il massimo
dei voti 110/110 Camilla Guarnieri.
Ai neo dottori le congratulazioni di
mamma, papà, nonne, parenti ed amici.
Daniele Apollinaro (foto sotto) ha
conseguito la laurea in Finanza e Risk
Management con il “modesto” voto di
110 e lode. Complimenti secchione da
mamma, papà e tutti gli amici del Bar
Stazione.
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Spazio lettori
Banco di beneficenza
Contrappunti
per scaldare la chiesa di San Giacomo
- Repubblica Italiana – Elezioni regionali 2010
e cioè “Il pallone è il mio: si comincia a giocare
quando lo dico io e si gioca finché non vinco io”.
- Nel film “Spartacus” gli schiavi ribelli sconfitti dalle legioni romane, vengono crocifissi lungo la via
Appia.
Oggi, sull’Appia Antica, di croci non ce ne sono
più; abbondano invece i cartelloni pubblicitari, ai
quali potrebbero essere utilmente appesi gli schiavi
di oggi che a Rosarno, un paio di mesi fa, hanno
osato ribellarsi alla condizione di sub-umani (ce
ne siamo già dimenticati, vero ?).
- Ho letto un resoconto sulle atrocità commesse da
religiosi pedofili in Irlanda (e so bene che sono diffuse in tanti altri Paesi), coperte per anni dall’omertà
di vescovi ed alte autorità ecclesiastiche.
E se questa nostra Chiesa così sempre pronta a giudicare e reprimere le coscienze, provasse a guardarsi un po’ dentro e a darsi essa stessa, per prima, un po’ di libertà e di serenità, ripensando, ad
esempio, all’assurdità della regola che obbliga al celibato i preti e nega l’ordinazione sacerdotale alle
donne, non respirerebbe un po’ meglio lo spirito del
cristianesimo ?
- Ero ancora un ragazzo, quando mia madre mi
raccontava di una sua compagna di classe, arrivata a Padova nel 1947, dopo essere scappata da
Parenzo (Istria), dove suo padre era stato ucciso e
gettato nelle foibe. Conosco dunque questa storia
drammatica da molti anni prima che l’Italia facesse uno sforzo di memoria e ricordasse quelle 11mila vittime innocenti.
Trovo però singolare che questo sforzo sia stato im-
provvisamente compiuto qualche anno dopo la
proclamazione della giornata della memoria, voluta per ricordare i 4 milioni di ebrei morti nei
campi di sterminio nazisti.
Ancor più singolare è il fatto che tuttora, l’estrema
destra italiana connoti l’eccidio delle foibe quasi in contrapposizione a quello della shoah; forse
qualcuno fa ancora fatica a metabolizzare certi
periodi storici.
Bisognerebbe poi osservare che sulla sorte degli 11
mila uomini e donne italiane assassinati nelle foibe, ha pesato soprattutto il disegno politico di Tito
di deitalianizzare l’Istria, ma anche l’ambigua distrazione del nostro paese.
Ha pesato altresì un forte sentimento antitaliano,
maturato negli oltre due anni di occupazione italiana (1941-1943) in Yugoslavia e nei Balcani,
caratterizzata da una repressione feroce, con violenze, distruzioni, rastrellamenti, esecuzioni sommarie di civili, ad opera del nostro esercito e delle
milizie fasciste.
Ma, di tutto questo, nell’Italia revisionista del 2010,
non si parla.
Sono queste le ragioni per cui trovo strumentale e
faccio fatica ad accettare la proposta di intitolare
una via di Ponte “ai martiri delle foibe”.
Osservo infine che a Ponte non c’è una via dedicata ai martiri della resistenza, alle vittime dell’olocausto, alle decine di migliaia di donne e uomini
etiopi fucilati, bruciati, gassati, dai nostri bravi
soldati durante la guerra di occupazione dell’Etiopia (1935-36).
Forse allora non sarebbe più giusto dedicare una
strada “alle vittime di tutti gli olocausti” ?
gianmarco ratti
Direzione, Redazione e coordinatori
del “Ponte”
Augurano a tutti
Buona Pasqua!
22
Solidarietà
I
n primavera il riscaldamento della chiesa di san
Giacomo ha avuto alcuni malfunzionamenti, dovuti all'età della caldaia. Io mi sono chiesta che cosa
avrei potuto fare per contribuire a risolvere questo problema. Ho pensato che avrei potuto elargire
un'offerta, magari 50 euro, per sistemare la mia coscienza. Ma sentivo che non poteva bastare: il sentirmi parte della comunità, e dunque corresponsabile
di tutto quello che poteva riguardare la sua vita, mi
spingeva ad una partecipazione che fosse più personale, più coinvolgente. Un'intuizione si fece largo
nelle mie riflessioni: perché non proporre un "banco
di beneficenza", in modo che la comunità si sentisse
maggiormente protagonista ed io, fra l'altro, potessi
donare anche tante di quelle piante grasse che riempivano la mia abitazione? Ne ho parlato con conoscenti e amici e così è nato il gruppo dei volontari che
si sono resi disponibili ad occuparsi del riscaldamento della chiesa. Esposta l'idea a don Renzo e a Claudio Anselmi, esperto di quell'attività che chiamiamo
"banco di beneficenza", ed ottenuti la
loro approvazione ed il loro sostegno,
ho trovato dapprima una condivisione
titubante e poi un'adesione sempre più
convinta in alcune signore che con me
preparano i pazienti, in clinica, per la
Santa Messa del sabato. Così Valenti
Anna, Imelde Sala, Ghittoni Luigina
e Ferrari Teresa hanno accettato di
condividere questa avventura. Ferrari
Teresa e Valenti Anna con grande generosità si sono impegnate a contattare
i commercianti, visitando tutti i negozi
del paese. Ed è stato bello constatare che
nessuno ha fatto mancare il suo apportuttito. Anche privati cittadini o nostri
conoscenti hanno arricchito, donando
tanti oggetti e materiali di ogni genere,
l'offerta del "banco di beneficenza". Il
ricavato della nostra attività è stato di
1.700 euro, che abbiamo depositato
su un libretto postale. Questi soldi serviranno per pagare le bollette del gas
della chiesa ed eventuali riparazioni
della caldaia. Veniamo ora ai ringraziamenti. Uno, caloroso, va a tutti coloro, commercianti e cittadini, che generosamente hanno donato gli oggetti,
ma anche a tutti coloro che altrettanto
generosamente hanno partecipato al
"banco", "pescando" tanti biglietti. Un altro deve essere rivolto alla signora Ghittoni, che ci ha messo a
disposizione il suo negozio, locale nel quale ha avuto sede il "banco di beneficenza". Infine un grazie
particolare va alla Coop che ci ha donato 50 euro
in panini, coppa e salame, per la tombola. L'esperienza, infine, si è rivelata significativa e talmente
coinvolgente che abbiamo pensato di ripeterla nelle
fiere di maggio e di agosto. Pertanto se voi, gentili lettori, possedete oggetti che non vi servono e che volete
donare, potreste portarli in parrocchia, alla signora Liliana, oppure consegnarli ad un membro del
gruppo che coordina l'iniziativa. Certamente, oltre
al nostro piccolo grazie, riceverete un grande grazie
dal Signore, che vi riempirà il cuore di gioia, perché
avete permesso ai suoi fedeli di ascoltare la S. Messa
al caldo: del resto Lui i doni li sa fare bene.
Luigina Calandroni
Gli Alpini di Ponte e di Vigolzone sempre in prima
linea.
23
Solidarietà
Il Filo della solidarietà
Alla “Casa del Sorriso” di Braila in Romania
sono giunte le babbucce di nonna Mariuccia insieme alla generosa offerta raccolta in occasione dell’iniziativa “Adotta la babbuccia” proposta ai pontolliesi domenica 6 dicembre lungo la
borgata. Nel ringraziare tutti coloro che hanno
sostenuto l’iniziativa abbiamo chiesto ospitalità
sulle pagine de Il Ponte per pubblicare parte
della lettera inviata dalle Suore Clarisse Francescane del SS. Sacramento, che da anni accolgono minori in difficoltà, a tutti coloro che hanno
prolungato il filo della solidarietà.
Gli amici della “Casa del Sorriso”
24
Carissimi Amici,
desideriamo ringraziarvi di cuore per l’attenzione che avete avuto per noi, grazie anche
alla generosità e all’impegno instancabile della nostra Marialidia che da anni ormai accompagna con
la sua Amicizia e creatività noi e i nostri bambini! La
prima cosa per cui desideriamo ringraziare ciascuno
è l’offerta di una nuova amicizia: questo è il primo
passo e anche quello che resta veramente quando le
strade di diverse esperienze s’incontrano e nascono
storie di solidarietà e di aiuto reciproco, nel sostegno
umano ed esistenziale … e anche nel concreto! Per
questo desideriamo presentarci a tutti voi, riassumendo brevemente i dodici anni di storia che ci hanno
accompagnato fino ad oggi. La nostra casa di Accoglienza nasce nel 1998 a Braila in Romania, una città
della regione del Sud-Est, per venire in aiuto ai molti
bambini collocati negli orfanotrofi di Stato, bisognosi
di moltissime cure e soprattutto di un ambiente più
familiare. Inizialmente abbiamo avuto la possibilità
di accogliere 8 bambine, alcune delle quali ancora
oggi sono con noi, vivevamo in una casina piccola
in cui ogni spazio era calcolato al millimetro ma era
comunque ricolmo di profondo affetto e di cura per
le nostre bimbe e per i tanti amici che sempre hanno
trascorso un po’ del loro tempo con noi. Nel giro di
qualche anno, grazie alla Provvidenza di Dio che ci
ha sempre sostenute, ci fu fatta la proposta di ampliare la nostra Casa d’Accoglienza; infatti la redazione dello Zecchino d’Oro del 2000 decise di devolvere
a noi il ricavato di quell’anno e così costruimmo la
casa in cui viviamo oggi, nella quale ospitiamo 24
bambini, dai 3 ai 17 anni. I bambini accolti oggi non
sono più orfani, ma hanno genitori migrati in altri
Paesi europei oppure sono stati abbandonati dunque
non hanno alcun riferimento familiare vicino. Noi ci
occupiamo di ogni aspetto della loro vita, cercando
di riproporre un clima di vita familiare, consapevoli
che in questo gruppo numeroso ognuno ha le proprie esigenze e che le loro difficoltà sono molte e
molto delicate. I bambini e le ragazze vanno a scuola nelle strutture educative del territorio dalla scuola
materna al liceo, nel pomeriggio ci occupiamo del
loro sostegno scolastico e svolgiamo attività di rinforzo allo studio con l’aiuto di un’educatrice e di
una volontaria, soprattutto i più piccoli infatti hanno
difficoltà nell’apprendimento e nell’attenzione, mentre il gruppo dei bimbi della materna nel frattempo
partecipa ad altre attività ricreative insieme a un’altra
educatrice. Come sostegno ulteriore, anche in conformità alle leggi della Romania, la nostra equipe
educativa comprende inoltre una logopedista, una
psicologa e un’assistente sociale che ci affiancano
nel lavoro quotidiano di aiuto e sostegno ai nostri
bambini. La nostra Casa è meta di molti Amici che in
questi anni, ciascuno con il proprio particolare dono,
hanno contribuito a rendere più bella e colorata la
nostra vita e ad ampliare il campo di esperienza dei
nostri bambini e delle ragazze. Periodicamente un
gruppo di clown Italiani trascorre alcuni giorni presso di noi organizzando momenti di gioco, attività,
laboratori di clowneria e sono una bellissima risorsa ed un’occasione preziosa per aiutare a crescere i
nostri bimbi nella stima di se’ e anche nella capacità
di esprimersi davanti agli altri, oltre ad essere chiaramente una simpaticissima e sconvolgente presenza
nella casa anche per noi “grandi”!
Dallo scorso anno abbiamo iniziato anche l’esperienza di un campo missionario estivo, destinato ad una
quindicina di giovani italiani, che per due settimane
possono venire a condividere l’esperienza del ser-
vizio e di preghiera con la nostra comunità, conoscendo anche le realtà più significative presenti sul
nostro territorio (monasteri ortodossi, lebbrosario,
casa per anziani ecc,).
Noi suore siamo sei e ci occupiamo direttamente
di tutte queste attività, oltre che della cucina, lavanderia e tutto ciò che può servire in una grande
casa con tanti bambini. Da questo appena trascorso
gennaio 2010 abbiamo avviato un nuovo progetto:
un Centro Diurno che accoglierà altri 12 ragazzini
della fascia d’età della scuola elementare, con
situazioni di difficoltà in famiglia e disagio sociale. Dalle 12 alle 18, ogni giorno dal lunedì
al venerdì, questo ulteriore gruppo di bambini
segnalati dall’Assistenza Sociale di Braila, ha la
possibilità di mangiare, lavarsi, fare i compiti,
se necessario riposare e usufruire di un programma educativo vario e ricco di attività ricreative, questo importante progetto ha richiesto
l’assunzione di altri 2 educatori. Tutto quello
che raccontiamo è sostenuto essenzialmente
dalla Provvidenza: non abbiamo sovvenzioni dallo Stato, se non un minimo contributo
mensile pari a € 30,00 per persona che non ci
consente di mantenerci. Tutto ciò di cui viviamo viene dalle adozioni a distanza inviateci da
famiglie e amici italiani o famiglie americane
che ci conoscono da molti anni.
Fino ad oggi non ci è mancato nulla e continuiamo a confidare con certezza nel Signore e
nella sua bontà, vi ringraziamo anticipatamente per
la vostra Amicizia che è vitale per i nostri piccoli
ospiti e chissà che questo nuovo inizio non possa
svilupparsi in futuro magari anche in un incontro,
conoscendoci di persona, con qualcuno di voi, com’è
successo con Marialidia!
Auguriamo a ciascuno ogni Bene e tutta la Pace che
viene dal Signore!
Le suore e i bambini della Fondazione
“Il Sorriso di Mariele” di Braila
Congratulazioni
Nel corso di una cerimonia
tenutasi presso Palazzo Gotico, il vigolzonese Roberto
Palisto, contitolare assieme al figlio di un’impresa
edile, è stato premiato dal
prefetto di Piacenza Luigi
Viana con una targa-ricordo per aver raggiunto il
traguardo del 40° anno di
iscrizione alla Confederazione Nazionale Artigiani
(C.N.A).
25
La Pubblica Assistenza Valnure da lezioni di primo soccorso ai genitori.*
Sinergia tra la neonata Associazione Genitori e la Pubblica Assistenza Valnure
26
altri, da parte di Dio ed in vista di Dio.”
I genitori ed i bimbi della Scuola Materna
P
bella iniziativa possa continuare e diventare un appuntamento ciclico negli anni, per i nuovi genitori
pontolliesi e non solo, infatti recentemente alcuni
genitori di Vigolzone si sono avvicinati alla nostra
associazione semplicemente per la comunanza di
obiettivi ed esigenze, al di là del comune di residenza.
Sara Brugnoni
(Benedetto XVI)
B
asterebbero, forse, le parole pronunciate dal Santo
Padre per sintetizzare la “missione” svolta in questi anni da
Suor Luisella e da Suor Francesca nella nostra comunità.
Non sarebbero però sufficienti le pagine di un giornale per
ringraziarle di tutto quanto ci
hanno donato. Sappiamo che
la loro profonda umiltà le porterebbe a sminuire il prezioso
lavoro svolto ( come direbbe
Suor Luisella: “Era nostro dovere!”) eppure oggi che è arrivato
il momento della loro partenza,
è profonda in noi la sensazione
del distacco….
Sappiamo che in questo viaggio
saranno accompagnate dal sorriso dei nostri bimbi e dall’immensa nostra gratitudine per
tutto l’amore che ci hanno donato!!
S
i è concluso nei giorni scorsi
l'ultimo dei 4 incontri della
2^ EDIZIONE DEL CORSO DI
PRONTO SOCCORSO PEDIATRICO dedicato ai genitori.
L'idea è nata dalla diffusa e manifestata esigenza raccolta da
alcuni componenti dell'Associazione Genitori di Ponte dell'Olio
di avere informazioni basilari su
come comportarsi nell'emergenza pediatrica. Da qui la richiesta
subito accettata con entusiasmo
dal Gruppo Formazione della Pubblica Assistenza Valnure
che ha accettato di buon grado
di tenere un corso che ha poi
strutturato in 4 incontri serali sui
temi di primo intervento in caso
di avvelenamento, shock, trauma, ostruzione da corpo estraneo.
A questo proposito - riferisce
Michela Tagliaferri, responsabile dell'iniziativa che milita tra i
volontari della PAV ed è componente del gruppo di supporto dell'Associazione Genitori - è
stato creato un breve
percorso formativo individuando le basi che possono servire
in caso di emergenza, al fine di
offrire ai genitori quella tranquillità che può essere utile in
caso di imprevisto. Quello che
si è appena concluso è il 2° ciclo di incontri, ed ho già prenotazioni per un 3° Corso di
Pronto Soccorso Pediatrico, che
è previsto nel mese di maggio
2010, posso dire che questa iniziativa sta riscuotendo un grande successo. Il corso
è strutturato in modo da permettere la comprensione teorica, con proiezioni di video, poi applicata ai
manichini che anche noi volontari utilizziamo nelle
nostre esercitazioni.
Il Presidente dell'AGP - Gianni Trioli - che ha frequentato anche lui questo corso, auspica che questa
“Servire, ed in ciò donare se stessi, essere non per se stessi, ma per gli
urtroppo è accaduto ciò che pian piano succede inevitabilmente in quasi ogni asilo dove sono
presenti le suore: Suor Luisella e Suor Francesca ci
devono lasciare.
Ma purtroppo nel nostro caso non sono state sostituite con altre religiose, l’asilo è rimasto bensì privo
della loro preziosa presenza.
Possiamo ricondurre questa situazione al calo delle
vocazioni, alla sfortuna, od a ciò che si preferisce,
ma la questione che maggiormente conta per noi insegnanti è la mancanza che proveremo ogni giorno
nei riguardi di persone che non erano solo nostre
“colleghe”, ma persone con cui condividere opinioni,
problemi, battute, insomma erano per noi non solo
un aiuto ma anche e specialmente un appoggio. Anche solo l’atmosfera, con la loro presenza rendevano
tutto più familiare, un rimprovero o un osservazione
poste da loro non era motivo di offesa, ma di crescita, erano sempre le “nostre” Suor Luisella e Suor
Francesca!!.
Mancava la cuoca, “c’è Suor Luisella”, un’ insegnante si ammalava “non ti preoccupare, finché ci siamo
noi…”, quando nevicava “ho aperto arrivate pure,
Suor Francesca ha già spalato il vialetto”,erano dei
veri e propri infaticabili jolly.
Tanti erano i bambini che le ricordano affettuosamente e che nei primi tempi le chiamavano le “nonnine dell’ asilo”, magari non si ricordavano i nostri
nomi, cioè quello delle insegnanti, ma il loro si, ciò
ad indicare la familiarità e la sicurezza che sapevano trasmettere. I genitori stessi erano consapevoli di
lasciare i loro figli in un ambiente accudito amorevolmente, è nostra speranza continuare nella direzione da loro intrapresa, consapevoli dell’impegno che
comporta. Nostro impegno sarà inoltre quello di non
far perdere quel carattere religioso che contraddistingueva il nostro istituto. Talvolta qualcuno, insegnante
o genitore che sia, si scordava qualcosa, bastava tornare e suonare il campanello, magari ci scappava un
sorriso ed una chiacchiera. Erano inoltre ottime dispensatrici di consigli e fidate confidenti, nei momenti di bisogno sapevano starti vicino in modo discreto,
ma sempre presente, anche solo con una parola o
una pacca sulle spalle. E ciò non lo pensiamo soltanto noi insegnanti, ma anche tanti e tanti genitori che
le rimpiangeranno. Un bacio ed un grande e sentito
GRAZIE da tutte noi insegnanti, bambini e genitori,
consapevoli che non si tratta di un addio, ma che ci
saranno occasioni per incontrarci e sorridere ancora
insieme. Vi ricordiamo con affetto.
Le Insegnanti ed il Personale della Scuola
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Ponte in cammino
Ricerca su luoghi, strade e vie di interesse storico
a cura di Giovanni Pilla e Chiara Ratti
Via Pippo Panni
P
roseguiamo la serie di approfondimenti relativi
alle vie dedicate ai partigiani, occupandoci in
questa sede della via dedicata a Pippo Panni, arteria stradale che si diparte da Via A.Boggiani, situata
nella lotizzazione adiacente al Centro Sportivo Giovanni Rossi.
Come si legge nella biografia riportata nel retrocopertina del suo libro “La Brigata Mazzini e la Brigata
Inzani in Val Nure e Val D’Arda”, Giuseppe (Pippo)
Panni, avvocato, medaglia d’argento al Valor Militare, è stato uomo della resistenza
armata piacentina dall’iniziale
cospirazione sino alla liberazione.
28
Nato a Carpaneto nel marzo
1922, da famiglia di artigiani,
studiò a Piacenza, prima presso
il collegio S. Vincenzo, poi alle
scuole medie superiori cittadine,
conseguendo l’abilitazione magistrale presso l’Istituto “G. Colombini”. Prestò servizio militare
presso il 5° Reggimento Alpini
(Divisione Tridentina) e seguì il
corso allievi ufficiali al LXII Battaglione d’Istruzione Alpini di
stanza a Merano.
L’8 settembre 1943 era a Tarquinia (Viterbo), al sopravvenire dello sbandamento generale,
con il suo battaglione, che si era
aggregato compatto alla Divisione Ariete, comandata dal Generale Raffaele Cadorna, combatté
sull’Aurelia in difesa di Roma.
Cessata la resistenza organizzata e scioltisi i reparti,
tornò a casa. Salì subito ai monti, a Sperongia di
Morfasso, presso la famiglia dell’amico Italo Croci,
col quale, unendosi a Pietro Inzani, Giuseppe Prati
e ad altri giovani della zona renitenti alle chiamate
e ai bandi della Repubblica di Salò, promosse l’organizzazione della Resistenza in Val d’Arda e fu sul
monte Lama con i primi gruppi armati. In detta valle
agì fino alla fine del rastrellamento estivo del luglio
1944, quindi passò in Val Nure, chiamato, con Pietro
Inzani, a far parte del Comando Unico della XIII
Zona, che si costituiva intorno al Colonnello Emilio
Canzi, antifascista nel ’19, combattete in Spagna con
gli anarchici libertari, internato dai tedeschi nel ’41 a
Dachau, poi a Treviri, Hingert, Vipiteno e infine trasferito a Piacenza come prigioniero politico nel 1942,
confinato a Vipiteno e fondatore del primo C.L.N.
Piacentino. Compito di Panni e Inzani fu studiare la
dislocazione delle formazioni sul territorio al fine di
proporre il miglior impiego dei reparti secondo la
necessità e i fini del momento, l’esperienza al Comando Unico, con sede nel paese di Bettola, da poco
liberato, è però breve, nell’agosto del 1944, infatti,
inseguito all’esodo dalla
val Nure di “Istriano” - e
con lui buona parte dei
componenti della 59° Brigata garibaldina “CAIO”
da lui comandata (esodo di cui si è già scritto con maggiori dettagli
nel numero precedente)
- Panni divenne comandante della 61° Brigata
Autonoma d’Assalto “G.
Mazzini”, accettando la
proposta degli esponenti dei distaccamenti della “CAIO” rimasti in Val
Nure, coprendo così il
settore rimasto sguarnito e schierandosi nel
territorio compreso tra
la sinistra del Nure e la
destra del Trebbia, sulla
linea Zazzera – Mansano
– Mandrola – Aguzzafame – Chiulano – Felino,
seguendo il dorsale sud
del Denavolo, tenendo
presente che Ponte dell’Olio e Rivergaro erano presidiati dai nazifascisti per tenere aperte le vie di fondovalle del Nure e del Trebbia.
L’attività di maggior rilievo era quella di pattugliamento, con colpi di mano su reparti nemici di transito e azioni di disturbo ai presidi, specie quello di
Ponte dell’Olio.
Dopo l’avvio, la formazione Mazzini ebbe una crescita subitanea e sorprendente per l’afflusso di molti
giovani che decisero di arruolarsi, così che, secondo
quanto scrive Panni stesso nel suo libro, l’organico
della Brigata Mazzini alla fine dell’agosto del 1944
arrivò a contare circa 630 uomini, distribuiti in tre
battaglioni, considerando anche le forze impiegate
in servizi carcerari, logistici e di staffetta.
Durante l’estate l’attività partigiana nel piacentino
era esplosa in una miriade di azioni che disturbavano ed ostacolavano la libertà di movimento dei
tedeschi i quali, per tenersi aperte le grandi arterie
del retrofronte, erano costretti ad impiegare truppe
che avrebbero altrimenti impegnate al fronte.
Il crescente fermento del movimento partigiano,
unitamente alle ottimistiche notizie provenienti dal
fronte convinsero le formazioni operanti sul nostro
territorio che era giunta l’ora di attaccare il presidio fascista con sede a Ponte dell’Olio. La Brigata
comandata da Panni era infatti posta a controllo
dell’intervalliva Rivergaro – Veano – Bagnolo – Ponte dell’Olio, del fondo Val Nure e della Statale 45;
tale schieramento era dunque pericoloso poiché Rivergaro era costantemente battuto dai tedeschi, necessitati a mantenere aperta la Statale per Genova,
mentre Ponte dell’Olio era presidiato dai fascisti, al
fine di bloccare l’imbocco della valle e contenere
la pressione partigiana sulla pianura sottostante. In
questa situazione, incuneata fra due punti chiave degli obiettivi nemici e chiamata ad operare sulla Statale 45 e sulla pianura a sud della città, oltre a non
avere sfogo per il tipo di azioni che invece le altre
formazioni conducevano sulla via Emilia, la Brigata
Mazzini era più spesso esposta agli attacchi dei nemici che, appunto per tenere aperta la Statale e per
alleggerirne la pressione, la impegnavano frequentemente con puntate sulle postazioni di attestamento.
La presenza del presidio fascista era dunque un spina nel fianco per lo schieramento e fonte di costante
preoccupazione per il pericolo di attacchi contemporanei su due fronti.
Fu così che il Comando Unico preparò con cura il
piano d’azione insieme a Pippo Panni per la Brigata
Mazzini e a Gianmaria Molinari per la Brigata della Stella Rossa, altra formazione partigiana operante nella zona; di comune accordo si decise dunque
l’attacco per l’alba di domenica 1/10/‘44,data in cui
cominciarono a sparare le mitraglie sulla caserma
e sulle scuole in cui i fascisti erano asserragliati e
rispondevano al fuoco, tenendosi al coperto.
Non abbiamo la pretesa di rievocare dettagliatamente i particolari e le modalità del combattimento, basterà ricordare che, attraversando fasi alterne, l’azione si prolungò per quattro giorni, le condizioni di
lotta furono notevolmente peggiorate dalla pioggia e
dalla nebbia, senza contare che i rinforzi provenienti
dalla città tentarono ripetutamente di rompere l’accerchiamento partigiano e liberare il presidio, fino a
quando, giovedì mattina, i fascisti si arresero. Caduto
Ponte dell’Olio la Brigata Mazzini si assestò ancor
meglio sullo schieramento da Ponte a Rivergaro continuando le azioni di disturbo alle truppe nemiche
in transito sulla statale 45, al campo di aviazione di
S. Damiano e alle polveriere di Gossolengo e di S.
Bonico fino al rastrellamento invernale del ’44-’45.
Dopo la prima fase del rastrellamento da parte delle
truppe tedesche con carattere offensivo le due Brigate, Stella Rossa e Mazzini si erano, di fatto, disciolte e
i distaccamenti superstiti delle due brigate frammisti.
Sotto la spinta del commissario del CUM-XIII zona si
tentò di formare una nuova unità priva di ogni colorazione politica, nacque così il “Settore Val Nure”, il
cui comando era così strutturato: comandante Pietro
Inzani “Aquila Nera”, vice Pippo Panni e capo di
S.M. Gianmaria Molinari. Aderirono subito al "Settore
Valnure" quasi tutti i distaccamenti superstiti o nel
frattempo costituitisi. All'inizio della seconda fase del
rastrellamento (6/01/'45), con la morte di Gianmaria
Molinari e di "Aquila Nera", il settore cessò di esistere e i distaccamenti ritornarono autonomi. Dopo il
ripiego sui monti nel tentativo di salvarsi dalle forze
di rastrellamento, alla ripresa della lotta Pippo Panni
formò la Brigata “Pietro Inzani”, con la quale, tornato
in Val d’Arda, combatté fino alla liberazione della
città dopo essere stato designato comandante di una
nuova formazione.
Alla fine della guerra riprese l’insegnamento e gli studi. Conseguita la maturità presso il Liceo “M. Gioia”
di Piacenza e successivamente la laurea di giurisprudenza presso l’Università di Milano, iniziò a Piacenza
la professione d’avvocato, continuando per il resto
della sua vita a testimoniare i valori d’ispirazione democratica che erano stati la base della sua adesione
al movimento partigiano.
Le informazioni riportate sono state desunte dal libro
di Giuseppe Panni “La Brigata Mazzini e la Brigata
Inzani in Val Nure e Val D’Arda”
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Culture per lo sviluppo locale:
L
LA COOPERATIVA DELLA MEMORIA
I
n questi giorni a Vigolzone sta nascendo un’associazione dal nome decisamente impegnativo:
Culture per lo sviluppo locale che ha lo scopo di
evitare la perdita della memoria locale per meglio
comprendere e valorizzare i segni del nostro tempo,
per capire chi siamo e da dove veniamo.
La nuova associazione, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, ha già le idee chiare su
come muoversi: a tal scopo ha ideato il progetto
“Cooperativa della memoria”, intendendo con esso
promuovere la raccolta, la digitalizzazione, l’archiviazione e la valorizzazione di ricordi che riguardano Vigolzone, il suo territorio e le persone che lo
hanno abitato.
Per riuscire a creare un “Botteghino di storia e geografia locale di Vigolzone”, l’associazione Culture si
rivolge ai vigolzonesi di ieri e di oggi perché mettano
a disposizione di tutti i loro “RICORDI” (fotografie,
disegni, mappe geografiche, documenti, ma anche
testimonianze verbali ed oggetti che, opportunamente schedati al momento della consegna, verranno digitalizzati e quindi restituiti ai proprietari, fatta
salva la volontà di una loro eventuale donazione.
A partire dal 1 marzo verrà istituito un punto di raccolta presso il Municipio che sarà operativo il giovedì ed il sabato dalle 9,30 alle 12,30; sarà altresì possibile avere maggiori delucidazioni rivolgendosi a
Ferruccio Pizzamiglio (tel. 0523 870342), Andrea
Rossi (tel. 0523 870766)
Negozio Sì Scarpa (via Roma, 73 tel. 0523 87022
Per questo primo anno il tema dei ricordi sarà “Il
lavoro dell’uomo trasforma il territorio” ed in particolare
1) il lavoro delle donne: il prezioso contributo attivo
delle donne alla costruzione della nostra storia
2)
il lavoro industriale: il territorio di Vigolzone che sembra essere tradizionalmente agricolo,
in realtà è stato nel passato luogo di cave, fornaci,
miniere, officine, opifici, cementifici, mulini, opere
idrauliche
3) il lavoro per nutrirsi: la nutrizione è l’azione che
genera il lavoro, dal taglio della legna da ardere e da
scaldare fino all’importazione dell’olio, tutto ruota
attorno a questo problema ed il territorio di Vigolzone è la forma di questo processo quotidiano, saltuario, periodico, annuale o stagionale che si ripete.
Tematiche coinvolgenti che i “donatori di memoria”
contribuiranno a riportare alla luce con le donazioni
e che permetterà loro, facendone espressa richiesta,
di essere gratificati con una copia del materiale raccolto in formato digitale; inoltre, tra tutti i membri
della Cooperativa della memoria saranno sorteggiati
premi in buoni acquisto di prodotti tipici locali.
’Amministrazione comunale di Vigolzone e la Banca di Piacenza hanno recentemente siglato un
accordo contenente misure anticrisi per famiglie ed aziende in difficoltà.
«Come banca locale – ha evidenziato Tansini – intendiamo dimostrare la nostra sensibilità verso il
problema della crisi economica generalizzata, offrendo una gamma di nostri prodotti che permettano
ai privati e alle ditte di affrontare questo momento di difficoltà».
Chi fosse interessato a saperne di più si potrà rivolgere alla filiale locale della
Banca di Piacenza, oppure
agli uffici comunali
(Nella foto il sindaco Francesco Rolleri, l’assessore
alle Attività produttive Loris
Caragnano, Renzo Tansini
dell’ufficio Rapporti con associazioni ed enti della Banca di Piacenza ed Elisabetta
Molinari, capo della filiale
del paese)
Un ricordo del nostro inverno
Sabrina Mazzocchi
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Il Sacello in onore della Madonna a Zaffignano
In occasione della Festa di San Francesco di Sales
Missione, imbarbarimento e alibi dell’informazione
L
‘Ufficio comunicazioni della diocesi e il settimanale “Il Nuovo Giornale” hanno proposto
nello scorso gennaio l’edizione 2009 del concorso
per i bollettini parrocchiali. Dopo l’edizione 2008
dedicata a mons. Gianfranco Ciatti, che ha guidato
il giornale negli ultimi decenni del secolo scorso,
la nuova edizione del concorso è dedicata a mons.
Francesco Gregori, fondatore e uno dei primi direttori del giornale.
L
a festa dedicata a San Giovanni di Sales, patrono
dei giornalisti, è stata occasione di un incontro
coordinato da don Davide Maloberti, responsabile
dell’Ufficio comunicazioni della Diocesi nel corso del
quale il vescovo mons. Gianni Ambrosio ha richiamato i giornalisti alla necessità di raccontare i fatti della
vita senza forzarli, all’insegna del rispetto di ogni persona, instaurando un rapporto vero tra parole e fatti,
fuggendo dagli stereotipi, vincendo la deriva della
volgarità, dello stile gridato, della cattiveria, della diffamazione.
All’omelia della messa celebrata nella Cappella di Palazzo Vescovile, mons. Ambrosio è tornato ad analizzare il mestiere del giornalista: “Un lavoro bello, ma
delicato e sempre più sottoposto a spinte contrapposte: quella dello scoop o dell’audience a ogni costo e
quella del rispetto della verità e delle persone”.
Ha preso spunto dalle parole del vangelo di Matteo
in cui Gesù dice ai discepoli: “Voi siete il sale della
terra, la luce del mondo”. Impegni talmente elevati da
sembrare impossibile riuscire a realizzarli. Eppure si
tratta solo di accoglierli questi doni di Gesù, che sono
per tutti. “Se accolti, cambiano la vita, nel senso che
la rendono illuminata, significativa, costruttiva. Anche
il mestiere di giornalista cambia. Diventa una missione: cercare di leggere i segni di speranza pur nelle
pesanti oscurità che segnano la nostra storia; essere
sale e luce non vuol dire ignorare i tanti lati oscuri
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A Paolo Labati il premio giornalistico de “Il Nuovo Giornale”
del nostro cammino umano. Piuttosto far emergere i motivi per cui vale la pena di vivere, portare
alla luce ciò che promuove la dignità della persona,
scorgendo nei fatti i segni che aprono alla speranza, al dialogo, alla fiducia reciproca. Il sale conserva e dà gusto. L’invito è quindi di apprezzare gli
aspetti della vita cui dare sapore
perché siano pienamente gustati e stimati. Il simbolo della luce
evoca il desiderio di verità, conoscenza, speranza: è un desiderio
impresso nell’intimo del cuore di
ogni persona e di ogni popolo.
Per il giornalista, spesso prigioniero della “cultura del cronometro”,
è facile trincerarsi dietro l’alibi
“oggi il lettore o il pubblico vuole così..., oggi la società è così”. Il
comunicatore deve essere sempre
consapevole delle proprie responsabilità: non può rassegnarsi e poi
giustificarsi. Il sale che non dà sapore merita di essere gettato via.
La luce che è posta sotto il moggio, come dice il Vangelo, non riesce ad illuminare, è inutile.
Renato Passerini
Ai bollettini parrocchiali e ai loro collaboratori il
concorso chiedeva interventi giornalistici, non eccessivamente lunghi, in grado di documentare l’attività di educatori o della parrocchia o della diocesi, attivi nel secolo scorso e non più viventi, con
un linguaggio chiaro e semplice. Il riconoscimento
è stato assegnato a Palo Labati, dallo scorso anno
coordinatore della nostra testata, per un articolo
dedicato a don Pio Marchettini.
Oltre a congratularci con Paolo pensiamo fare cosa
gradita ai lettori riprendendo integralmente, nelle
pagine successive, l’articolo pubblicato nel dicembre 2009 da “Montagna nostra”, il periodico della
Parrocchia di Ferriere.
R. P.
In foto con il Vescovo Paolo e la sua famiglia.
Ricordando il direttore don Pio Marchettini
di Paolo Labati
Ogni anno, con l'arrivo dell'autunno
e la riapertura delle scuole, tornano
più incidenti i ricordi di un particolare periodo della mia vita.
Il mio pensiero va al lontano 30
settembre 1964, quando insieme a
Dino, Lucio e Angelo varcammo per
la prima volta il portone d’ingresso
del Collegio Morigi per iniziare in
città l’avventura scolastica degli studi superiori. Ragazzi abituati alla
vita di paese dove il campo da calcio
era la piazza e il muretto davanti
alla chiesa il luogo d'incontro serale.
Era lì che nascevano i nostri sogni,
lì che passavano le confidenze sui
progetti futuri, lo scambio dei commenti sull'esperienza della scuola
media frequentata in paese, lì dove
ci si sentiva forti e ancora non disturbava l'imprevisto delle scuole
superiori con l'inevitabile trasferimento in città.
Erano gli anni in cui anche la
gente di montagna voleva assicurare ai figli un'istruzione che
avrebbe inciso sul loro futuro e,
nel trasferimento dal proprio paese alla città, il collegio rimaneva
la sistemazione scelta da tanti.
Quel primo giorno ad attendere
noi “matricole” in Collegio c'erano gli amici: Lucio Scaramuzza,
Giuseppe Bocciarelli, Logli di Farini, Adriano Speroni di Bettola ed altri che, di qualche anno
più anziani, già conoscevano
l'esperienza della vita collegia-
37
I nostri anziani
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le. La nuova avventura, prima ancora che con la scuola,
incominciava con l'incontro di ambienti e di persone che
avrebbero in qualche modo segnato il nostro futuro di studenti collegiali.
Ricordo la guardarobiera Annunciata, le cuoche Anita,
Adele e Lucia, i camerieri Vincenzo e Severino, la dinamica Luisa addetta alle pulizie delle camerate: tutte persone
che hanno facilitato il passaggio dalla sicurezza dell'ambiente familiare alle novità della vita collegiale. Fra tutti
questi personaggi uno in particolare ha segnato la mia formazione: il direttore Don Pio Marchettini.
Un uomo di poche parole che già nel primo impatto con il
nuovo ambiente, senza sdolcinature, con lo sguardo severo, ma rassicurante e con essenziali informazioni ci indicava l’aula studio, la camerata, la cappella, il refettorio e il
cortile dove si disputavano le partite di calcio.
Nel nuovo ambiente, nell’angolo del porticato interno, appena dentro a destra, un calendario, scritto a mano, metteva in evidenza i mesi e i giorni compresi nel periodo dal
primo ottobre al mese di giugno.
Era per il direttore la pista delle sue attività di educatore
dall'inizio alla fine dell'anno scolastico. Alcune domeniche scritte in rosso mettevano in evidenza le festività in cui
si poteva chiedere di rientrare in famiglia ed erano le date
che noi studenti aspettavamo con ansia. E' difficile descrivere i sentimenti che prova un adolescente quando, lasciata la sicurezza della propria famiglia e del proprio paese,
si trova a dover confrontarsi con coetanei sconosciuti.
Ricordo di essermi subito affezionato a quei ragazzi che
provenivano da una cultura simile alla mia: Gian Domenico Antonioni di Pedina di Morfasso, Bartolomeo Guglielmetti di Pradovera, Mazzocchi di Aglio. Eravamo tutti ragazzi con la paura dell’acqua gettati in mare a nuotare
da soli ad affrontare una nuova vita con abitudini nuove,
con le regole di una comunità più ampia e diversa da quella familiare. Ricordo che molti abbiamo pianto soprattutto
la prima sera all’arrivo del buio fra quei cameroni dove
occorreva celare le lacrime per non sembrare deboli con i
compagni che combattevano la stessa fatica emotiva. Eppure ricordo quell'esperienza come una tappa importante
nella mia vita perchè mi ha insegnato a sperimentare il
valore dell'amicizia che si era stabilita fra noi, ad essere
autonomo. Un'autonomia promossa, ma anche vigilata,
dalla presenza autorevole del direttore Don Pio Marchettini; la persona che per me , e per tanti, è stato un vero
educatore.
Come in tutte le comunità di ragazzi, portati alla goliardia, anche per l'amato direttore erano stati coniati alcuni
soprannomi che mettevano in risalto le sue funzioni.
Era "l'uomo nero" quando nel buio dei lunghi corridoi,
con passo felpato, passava per assicurarsi che nessuno, con
scherzi pesanti, infierisse sui più deboli. Controllava la nostra applicazione nello studio, ma si fermava anche per
confortare, ascoltandolo, chi piangeva per la nostalgia di
casa o per gli insuccessi scolastici.
Rimaneva comunque l’indiscusso maestro, l'istitutore, l'
insegnante, a volte anche il medico pronto a intervenire in
ogni occasione vuoi con severità, o con gentilezza, comunque sempre con molta umanità.
La sua presenza era “rispettata”, a volte “temuta”, ma sempre proiettata verso una formazione e una educazione improntata allo studio, al rispetto reciproco, alla disciplina
intesa come ordine e dovere. Con lui non c’era tempo e
spazio per contestare o per barare.
Sempre presente nel suo studio a cui si poteva accedere
senza tante formalità, solo bussando, ci riceveva alla luce
fioca di una lampada a basso consumo per risparmiare.
Il “direttore”, era questo il titolo con cui voleva essere chiamato ci riceveva a tutte le ore, dal mattino alle sette sino
alla sera alle 11. Era disponibile per spiegazioni scolastiche, ci teneva a dimostrare la sua bravura soprattutto nelle
espressioni e nei problemi di matematica. Essenziale e diretto nelle spiegazioni, con lui non c’era tempo da perdere
e non e non ci era permesso non capire.
Profondo conoscitore delle strategie studentesche per evitare interrogazioni o compiti in classe non concedeva credito alle influenze o alle “false malattie”; era sufficiente
lo spauracchio di una iniezione del “Pio” perché passasse
ogni tentativo di baro.. Sono ormai passati tanti anni. Don
Pio, il Direttore con la lettera maiuscola, che viveva 24 ore
in Collegio rientrando in famiglia un paio di ore al sabato
sera o alla domenica pomeriggio, dopo una vita interamente spesa per generazioni e generazioni di giovani, ha
passato il testimone ad altri.
Sono cambiate le modalità di gestione, sono cambiati
anche i metodi educativi più improntati alla tolleranza,
all'elasticità nell'osservanza delle regole, al rallentamento
delle forme di rispetto verso i superiori e siamo entrati in
quella fase che oggi viene definita di emergenza educativa.
E allora è inevitabile il confronto fra i metodi educativi del
Direttore Don Pio che ci hanno preparato ad affrontare
la vita con responsabilità, con la capacità di affrontare le
difficoltà e le successive strategie educative che, in nome di
un falso rispetto del ragazzo, per evitargli i disagi emotivi,
oggi chiamati "traumi", diventano accondiscendenti e togliendogli il gusto della fatica per raggiungere un obiettivo,
lo condannano alla noia, alla mancanza di sogni e di
ideali.
Sorge un interrogativo "Quale giudizio per la pedagogia
di Don Pio, un Direttore che ha saputo davvero dirigerci
verso la vita insegnandoci il senso del dovere, del rispetto
reciproco, dell'osservanza delle regole, del ricorso alla volontà per operare scelte e la pedagogia odierna che non sa
più coltivare i sogni, l'impegno, la gratificazione di vincere
sulle tentazioni per godere poi delle conquiste personali?".
Forse è il caso di riflettere sulle due realtà.
Conosciamo un pontolliese doc: Mario Gazzola
“Sono una persona fortunata: sono nato a Pontedell’Olio 90 anni fa e sono ancora qua”. Con questo
pensiero Mario Gazzola ci accoglie nella sua stanza,
soddisfatto di vivere al Balderacchi, a due passi dalla
casa e dagli affetti che sono stati i motivi “trainanti”
della sua vita.
Classe 1920, Mario è il secondo di otto fratelli. Appartiene ad una storica famiglia di “sacrestani”, famiglia
che ha impegnato papà Aldo al servizio della chiesa
di Pontedell’Olio per ben 40 anni e per altri 40 anni
il fratello Giovanni. Una famiglia numerosa, dieci
persone a cui bisognava assicurare il necessario per
vivere. Ed è per questo stato di necessità, appesantito
dal particolare periodo storico, che Mario, dopo alcuni anni di scuole elementari, si avventura, con il fratello Dino nel mondo del lavoro. Entrambi scelgono
la professione del sarto, entrando come apprendisti
nelle affermate sartorie locali Tacchini e Piana.
Dopo alcuni anni i due fratelli compiono un “salto
di qualità” e si mettono in proprio. Si stabiliscono
in locali del Comune, sulla Circonvallazione, e compensano l’affitto della casa curando il peso pubblico
ubicato davanti all’abitazione.
Con il passare degli anni e soprattutto con l’avvento di una ventata di “industrializzazione”, il raffinato
e manuale lavoro di sarto non costiutiva più per il
futuro una certa fonte di reddito. Fu così che Mario
si “adattò” in una officina di carpenteria per il piegamento delle lamiere. Ricorda con piacere quegli
anni nella ditta Sbalbi alla Madonna della Neve, dove
rimase sino alla pensione. Negli anni successivi, ritenendosi ancora “efficiente”, Mario vuole essere utile
alla comunità e per otto anni è un “fidato” milite della
Pubblica Asistenza.
Purtroppo, rimasto solo e con gli acciacchi che avan-
zano, ha scelto la strada della “comunità assistita”.
“Non ho voluto pesare su nessuno e sono felice di
essere qui, considerato e curato come in famiglia”.
Ora trascorre le giornate leggendo e facendo frequenti “puntate” nel borgo, dove ritrova la soddisfazione e la gioia di sentirsi ancora pontolliese a
tutti gli effetti come lo è stato per tutta la vita.
P.L.
Rettifica
Con la presente vogliamo ratificare l’erronea affermazione pubblicata sullo scorso numero
nel nostro notiziario riportando un servizio sulla ditta I.A.P. Spa di Pontedell’Olio. I rappesentanti dell’azienda rilevano che la stessa non è stata “rilevata in concordato fallimentare
dalla Raffaele Caruso” come scritto erroneamente sull’articolo, ma la stessa ha effettuato
la cessione di un ramo d’azienda alla Raffaele Caruso Spa, operazione effettuata quando
l’azienda era nel pieno della sua attività produttiva e garantendo la salvaguardia di tutti i
posti di lavoro ai dipendenti. Diamo altresì atto dell’impegno sociale profuso dal legale rappresentante per la tutela dei posti di lavoro di una realtà che ha rappresentato per diversi
decenni una delle aziende produttive più importanti del paese.
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Rubrica di cucina
a cura di Antonietta Spelta
Colomba alle mandorle
INGREDIENTI:
per la pasta:
250 gr. di farina 00;
120 gr di burro;
100 gr. di zucchero semolato;
N. 1 uovo;
N. 1 pizzico di sale
per l’impasto alle mandorle:
150 gr. di zucchero semolato
120 gr. di polvere di mandorle
40 gr. di farina 00
N. 3 uova
per la finitura:
N. 2 cucchiai di mandorle a lamelle
N. 2 cucchiai di zucchero granella
Zucchero a velo quanto basta
Attrezzi: uno stampo per colombe
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ESECUZIONE:
Per la pasta frolla: amalgamare il burro con la farina
e un pizzico di sale quindi aggiungere l’uovo precedentemente sbattuto con lo zucchero. Amalgamare il
composto lavorandolo brevemente, confezionare un
panetto schiacciato, avvolgerlo nella pellicola e farlo
raffreddare in frigorifero per 30 minuti circa; successivamente stendere la pasta, foderare uno stampo a
forma di colomba e bucherellare il fondo.
Per l’impasto alle mandorle: separare i tuorli dagli
albumi, quindi passare al mixer lo zucchero, i tuorli
e aggiungere la polvere di mandorle oltre alla farina
setacciata . Trasferire il composto in una ciotola e
incorporarvi gli albumi montati a neve.
Riempire lo stampo foderato di pasta frolla con il
composto di mandorle.
Cospargere la superficie con le mandorle a lamelle
e lo zucchero in granella. Cuocere in forno a 180 °C
per 60 minuti circa, sfornare, far raffreddare e spolverizzare di zucchero a velo.
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Ricordiamoli
Gandolfi Orlando
n.18.01.1938-m.11.12.2009
Botti Angela
n.30.01.1917-m.29.12.2009
Burzoni Giulio
n.24.06.1932-m.13.12.2009
Costa Giuseppina
n.04.03.1920-m.30.12.2009
Marzaroli Giovanni
n.22.03.1924-m.15.12.2009
Mazzocchi Giuseppa
n.18.01.1929-m.31.12.2009
Albertelli Francesco
n.08.02.1928-m.17.12.2009
Benvisi Maria ved.Foglia
n.24.03.1920-m.05.01.2010
Milza Pietro
n.15.03.1925-m.03.03.2010
Galli Andreina Trabucchi
n.31.01.1942-m.19.02.2010
Mazzocchi Pietro
n.08.07.1929-m.25.02.2010
Maggi Eugenio
n.05.11.1921-m.28.02.2010
Baldini Clementina
n.30.03.1926-m.22.02.2010
Marzaroli Giovanni
n.12.04.1931-m.31.01.2010
Predieri Claudio Michele
n.13.11.1946-m.29.01.2010
Zanangeli Ida ved. Perazzi
26.12.1924-m.07.03.2010
Grazie papà per il tuo sorriso,
Grazie per averci insegnato l’onestà,
l’umiltà e l’essere rispettosi con tutti,
Grazie per il tempo e la pazienza
che hai dedicato a noi e ai tuoi nipoti
Francesca, Laura, Chiara, Elia e Luca,
Grazie per aver sopportato con silenzio la malattia,
Grazie per essere stato un papà sempre presente,
Grazie per aver accolto con amore come tuoi figli
Antonio e Gilberto.
Ora riposa in pace con la mamma
e da lassù proteggici.
Ciao Papà.
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Grilli Primo
n.05.10.1921-m.07.01.2010
Barbieri Angiolina
n.24.03.1920-m.12.01.2010
Gobbi Fermina Anselmi
n.04.10.1919-m.31.01.2010
Lovati Adele
n.27.05.1931-m.04.02.2010
Ghezzi Franco
n.22.08.1933-m.30.12.2009
Torricella Armando n.19.04.1922-m.10.12.2009
Il papà di Ennio ha raggiunto il Regno dei Cieli: gli amici
della redazione di Vigolzone sono vicini all’amico Ennio.
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Piccoli Angela ved.Cordani - n.18.04.1920-m.11.02.2010
A mamma Angela - Hai deciso di lasciarci per sempre. Ti capisco. Dopo 60 anni con il papà lo hai raggiunto per l’eternità.
Gioie (poche), dolori (tanti), sacrifici (immensi).
Però una vita vissuta intensamente. Sempre serena, sorridente
con una gran voglia di vivere. Mamma di tre figli tuoi e di tanti
altri. “La Giuliana ad Savian” per tanti eri un riferimento. Grazie per tutto quello che ci hai dato con il cuore. Hai lasciato un
vuoto immenso in me e nella mia famiglia. Tre nipotini che ti
ricorderanno sempre come la “nonna vecchia”: un onore come
dicevi tu. Ti saluto con una frase che mi è stata detta nel giorno
del tuo ultimo viaggio terreno: “Giorgio hai perso una grande
mamma, unica ed indimenticabile”. Voglio ricordarti
così sorridente e allegra, pur
con tanti problemi. Ciao mà,
ciao vecia, salutami il veciu.
Tuo figlio Giorgio e famiglia.
Ricordiamo il comm. Gatti Luigi, scomparso a Piacenza in un tragico e assurdo incidente stradale.
Un lungo curriculum ha segnato la sua persona, presidente della Camera di commercio per decenni, amministratore delegato della Banca di Piacenza, industriale per professione, uomo buono e generoso
per vocazione. Possedeva un piccolo podere a Torrano, dove amava
trascorrere qualche ora di meritato riposo. Partecipiamo al dolore della famiglia.
Ricordando Marcello Chiesa
Ciao Cello, quest' anno è volato, sarà una frase fatta e scontata, ma è volato davvero. Sei stata la nostra
stella, quella più luminosa, quella che Noi guardiamo sempre, quella che ci fa scendere qualche lacrima
e che ci fa sorridere, quella che ci ha guidato e aiutato a stare sempre uno vicino all'altro nonostante le
tantissime difficoltà incontrate. Il tuo mondo è ancora in mezzo a noi, e ci resterà fino a quando porteremo anche solo una briciola dei tuoi insegnamenti e dei tuoi consigli e, fidati, lo faremo per sempre. Il
31 Gennaio non è un giorno diverso dagli altri, almeno non per noi, non cambierà proprio nulla. Perchè
non ti vedremo neanche questa Domenica a messa e tutti parleranno di te, di quanto eri bravo e perfetto.
Noi non lo faremo. Non crediamo che le parole siano utili in momenti come questo; sarebbe meglio, come
dicevi tu, tacere e fermarsi a riflettere, piuttosto che cadere nelle banalità. In questi giorni ho in mente
un'immagine di te, che mi riporta ai tuoi occhi, carichi sempre di fiducia per l'altro. L'altro è stato al
centro della tua vita, e anche adesso che non ci sei più, non siamo solo noi che manteniamo vivo il tuo
ricordo pensandoti, ma sei soprattutto tu che ci tieni attaccati alla vita con i tuoi occhi, quegli occhi che
non possono mentire mai. Gli amici che tu sai
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que, eri una presenza costante ma non di certo invadente perchè entravi sempre in punta di piedi e nello
stesso modo te ne sei andato. Ti scrivo tutto questo perchè è passato un anno ormai e la tua mancanza si
sente ancora molto forte. E credo che si sentirà per sempre. "La vita è un brivido che vola via, è tutto un
equilibrio sopra la follia". Ciao dolcissimo Angelo.
M.O.
I primi passi…ed i primi traguardi…
L’associazione Amici di Marcello è lieta
di ringraziare tutti i cittadini che nella
giornata del 13 dicembre acquistando
un trancio di pancetta oppure nei mesi
successivi attraverso il tesseramento
hanno contribuito a far muovere i primi passi ad una associazione il cui unico scopo è quello di dar vita a manifestazioni con
fini di beneficenza, promuovere iniziative culturali
e di interesse generale sempre con l’obiettivo di arricchire la vita pontolliese e pensare di volta in volta
a persone un po’ meno fortunate di noi.
Proprio in questi giorni una lettera inattesa ci è
giunta dalla Romania:sono i bambini e le suore
di Braila a cui sono andati i primi soldi raccolti
dall’associazione che attraverso sincere e preziose
parole ringraziano l’associazione e tutta la nostra
comunità e augurano di continuare a fare scelte di
bene e speranza. Proprio in questi mesi è iniziato
un nuovo corso in questo centro in cui si assistono
i ragazzi nello studio, nel gioco , durante la cena..
cose che appaiono normali nella vita di un ragazzo
eppure in quel territorio normali non sono.
“Grazie di cuore per la vostra generosa offerta che
abbiamo ricevuto, un sostegno importantissimo per
noi soprattutto ora che abbiamo finalmente iniziato con il centro Diurno, il Signore benedica tanta
vostra generosità che è goccia costante soprattutto
in questi tempi così difficili che tutti stiamo vivendo”..
“E dal paesaggio bianchissimo che ci circonda da
oltre un mese e dall’aria freddissima e gelida di
questo periodo vogliamo inviarvi un abbraccio caldo e profondo perché il nostro cuore è sempre abitato dalla gioia del dono della vostra amicizia”…
Sono parole importanti che ci spingono a continua-
re in questo progetto; quando si
prova a fare del bene non esiste
un ritorno,lo si fa perché ci si sente, perché lo vogliamo e quando
ci si rende conto di averlo fatto
bene questo è ancora più bello.
Ovviamente quello che si fa è una
goccia nel mare del bisogno però si lavora sempre
per aggiungere nuove gocce sempre più ricche e costruttive e che si vanno ad aggiungere al lavoro di
tutti!
Per questo vogliamo ricordare che è sempre aperto il
tesseramento all’organizzazione: per chi fosse interessato è sufficiente passare al bar Stazione di Pontedell’olio per richiedere il modulo da compilare.
Tutti, tesserati e non, possono contribuire al nostro
lavoro:al momento guardiamo già ai prossimi eventi. Stanno prendendo forma due manifestazioni:la
prima ad agosto nei pressi del bar Stazione di Pontedell’olio e sul viale Roma mentre la seconda nel
secondo weekend di settembre con la festa Amici
di Marcello che potrà essere un momento importante per ritrovarsi
tutti insieme dopo la
lunga estate. Non si
esclude però che si
possa lavorare anche per iniziative
in periodo primaverile o di altro tipo.
Vi
aggiorneremo
comunque sempre
del nostro lavoro e
aspettiamo la vostra
partecipazione.
Amici di Marcello
"Cosa centra quel tramonto inutile? Non ha l’aria di finire più, chi ci tiene a dare il suo spettacolo mentre qui manchi tu?". Ecco questa canzone sembra scritta per te, caro Marcello. Eri una persona speciale,
diverso dalla massa. Il tuo sorriso e i tuoi occhi erano semplicemente meravigliosi. Io ti ricordo in chiesa
dietro al leggio, quel leggio che per un soffio non crollò sui tuoi piedi, ti ricordo a passeggio sulla nostra
borgata sempre con qualche libro sotto il braccio, ti ricordo con la divisa della pubblica, ti ricordo divertito a fare le gare di briscola con la Patty, al Centro piuttosto che in Stazione, insomma ti ricordo ovun45
Orario delle S. Messe feriali, domenicali e prefestive
Messe feriali
Ore 8,30 Ricovero Balderacchi Riva
solo martedì Ore 9,30 Chiesa San Rocco Pontedell’Olio
altri giorni Ore 18,00 Chiesa San Rocco Pontedell’Olio
Ore 16,30 San Giovanni Evangelista Carmiano
Ore 17,00 SS. Mario e Giovanni Vigolzone
di CORDANI Marco BESSI Fabio e Dante Snc
Produzione e posa serramenti
Via Artigiani, 4 – LOC. Cabina – Vigolzone (Pc)
augura Buona Pasqua!
Messe prefestive del sabato
Ore 10,30 Clinica San Giacomo Pontedell’Olio
Ore 16,30 San Giovanni Evangelista Carmiano
Ore 17,00 SS. Mario e Giovanni Vigolzone
Ore 18,00 Chiesa San Rocco Pontedell’Olio
Ore 18,00 SS. Cosma e Damiano Grazzano Visconti
Messe domenicali
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
7,30 SS. Cosma e Damiano Grazzano Visconti
7,30 Madonna della Neve Riva
8,00 Chiesa di San Giacomo Pontedell’Olio
8,30 SS. Mario e Giovanni Vigolzone
8,30 S. Lorenzo Martire Veano / Albarola (**)
8,30 S. Maria Immacolata Bicchignano / Castione (***)
9,00 S. Pietro in Vincoli Folignano
9,30 S. Martino Vescovo Torrano
9,30 S. Antonino Martire Albarola / Veano (**)
9,30 S. Giovanni Battista Castione / Bicchignano (***)
9,30 Chiesa Parrocchiale Biana
10,00 Chiesa di San Giacomo Pontedell’Olio
10,00 S. Maria Assunta Recesio
10,30 S. Maria Assunta Villò
10,30 San Giovanni Evangelista Carmiano
10,30 SS. Cosma e Damiano Grazzano Visconti
11,00 SS. Mario e Giovanni Vigolzone
11,00 San Martino Riva
11,30 San Lorenzo Cassano
15,30 Oratorio Montesanto
17,00 SS. Mario e Giovanni Vigolzone
18,00 Chiesa San Rocco Pontedell’Olio
** prima e seconda domenica del mese a Veano e Albarola
*** terza e quarta domenica del mese a Bicchignano e Castione
Abbiamo cercato di tenere vive tutte le preziose realtà parrocchiali della nostra zona e di ripartire in modo
adeguato le messe sul territorio. Questo comporta spostamenti e cambiamenti di orari e non piccoli sacrifici.
I Vostri sacerdoti
La chiesa di Torrano
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Banca di Piacenza
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1 - Anspi PontedellOlio