Vita diocesana 14 Sabato, 15 dicembre 2012 che traccino la strada per i prossimi anni. Il Convegno di settembre sarà il culmine di un lavoro che si svilupperà nei prossimi mesi in diversi momenti. Gli Uffici di pastorale stanno dedicando una parte significativa del loro lavoro ad impostare questo “percorso sinodale”. Il primo momento è il censimento delle comunità pastorali della Diocesi, che si concluderà entro il 31 dicembre. Grazie alla collaborazione dei Vicari Foranei, punti di riferimento sul territorio, saranno raccolti o aggiornati alcuni primi dati delle comunità: Denominazione, Elenco delle parrocchie incluse, Data di nascita della comunità pastorale, Tipologia (in riferimento alle tre identificate nel Piano pastorale), Presbiteri che hanno ne accompagnato l’iter di formazione e Presbiteri che ad oggi vi risiedono e se ne prendono cura. Questo permetterà, a gennaio 2013, di avviare un secondo momento: ad ogni comunità pastorale sarà chiesto di condividere la propria esperienza con la modalità della narrazione. Non una semplice raccolta di dati, né solo la fotografia della situazione attuale, ma il racconto di una storia, o meglio di come le storie di parrocchie diverse hanno cominciato ad intrecciarsi in una storia condivisa. Solo il racconto può restituire il vissuto delle persone, può indicare nomi, frasi, gesti che sono stati capaci di segnare un cambiamento. Solo il racconto può far capire quello che da una foto non si vede: se dentro una scelta c’è un inizio promettente o un tentativo che si sta esaurendo; se c’è più entusiasmo o sofferenza; se c’è una richiesta di aiuto da ascoltare. Solo il racconto può consegnare anche i dubbi, può tenere insieme convinzioni diverse perché di ciascuna sa cogliere il valore da non perdere. È una modalità impegnativa, non solo per chi dovrà scrivere questa narrazione, ma anche per chi, nel terzo momento di questo percorso, dovrà analizzare scritti prevedibilmente molto diversi per trarne aspetti qualificanti, nodi problematici e proposte che diventino materiale per i lavori del Convegno. Ma sarà una fatica bella, perché permetterà di andare al cuore delle cose. Quando si parla di modalità organizzative e di strutture pastorali quello che è in gioco è la vita delle persone e il modo in cui possiamo insieme annunciare, celebrare e testimoniare la vita buona del Vangelo. ANTONELLO SIRACUSA comunità pastorali Il 21 settembre 2013 si celebrerà un convegno su queste realtà cruciali per la nostra diocesi. I passi di un percorso sinodale. T ra i primi frutti del Piano pastorale 2013, Il Maestro è qui e spezza il pane per noi, c’è una rinnovata attenzione al tema delle comunità pastorali: il Vescovo Diego ne approfondisce il significato e il valore nel capitolo conclusivo, dove spiega come l’Eucaristia sia la sorgente di una vita di comunione ecclesiale che deve prendere corpo in diverse forme di azione e organizzazione pastorale. La riflessione del Vescovo si conclude con l’annuncio del Convegno delle comunità pastorali per il 21 settembre 2013. Su questo tema il Vescovo stesso ci presenta un tratto di storia della nostra Diocesi, interessante anche come modello per capire come “funziona” lo sviluppo della pastorale pure in altri ambiti. Il punto di partenza è il momento in cui si coglie un bisogno che emerge, che la realtà ci mette di fronte; si cerca di spingere lo sguardo un po’ più in là, verso il futuro, per immaginare le conseguenze a lungo termine; e si ipotizzano delle soluzioni, degli orientamenti su cui lavorare, sperando di non arrivare troppo in ritardo. In questo caso risaliamo agli anni Settanta, con i primi accorpamenti di piccole comunità affidate ad un solo parroco, e poi al 1998, al termine della Visita pastorale di Mons. Alessandro Maggiolini: i problemi emergenti erano il numero decrescente dei preti ma anche la realtà di alcune parrocchie così piccole da essere in difficoltà nel mettere in atto gli aspetti essenziali della vita di una comunità cristiana; il Vescovo Alessandro Maggiolini indicava già allora la direzione di una progressiva integrazione tra parrocchie. La fase attuale, in corso ormai da un decennio, riguarda le collaborazioni progettate anche tra comunità più grandi. Si tratta di camminare su strade nuove, che devono tener conto della varietà di contesti che caratterizza il nostro territorio diocesano; non ci sono soluzioni preconfezionate buone per tutti, ma cammini seri di comunità generose, che crescono individuando nel tempo gli aspetti più promettenti e quelli che a poco a poco occorre correggere. Fatica e speranza si intrecciano per mettere in atto nuove forme di vita ecclesiale: hanno il volto di preti, laici, consacrati che con coraggio e disponibilità al servizio sono diventati “pionieri” su questa strada. Oggi sul territorio riconosciamo di fatto tre tipologie di comunità pastorali, che il Vescovo così descrive: «La prima coincide con l’affidamento a un solo parroco di più Parrocchie chiamate a coordinarsi nelle attività e negli orari; questa prima forma unisce anche comunità geograficamente lontane, soprattutto nelle valli laterali del Lago e della Valtellina. Una seconda forma è data da una Parrocchia grande che estende alcuni servizi alle più piccole intorno, in particolare per celebrazioni e itinerari di catechesi, soprattutto per bambini e ragazzi. La terza forma prevede l’interazione di più Parrocchie con la presenza anche di vari sacerdoti, di cui uno è nominato parroco coordinatore». Intanto gli anni trascorsi hanno visto gettare nel terreno della Chiesa nuovi semi, che hanno aperto un nuovo orizzonte per il cammino intrapreso: il rinnovamento ecclesiale nella direzione dell’evangelizzazione e della corresponsabilità tra le vocazioni ha permesso di cogliere la scelta delle comunità pastorali non solamente come risposta a un’emergenza, ma come opportunità di far crescere un modo nuovo di essere Chiesa. Le comunità pastorali, allora, hanno potuto assumere il senso di laboratori di comunione, di nuove forme di collaborazione dei laici, di una presenza “al plurale” dei preti nella comunità, di ministerialità diffusa, di rapporto flessibile con il territorio. Una comunione vera, intesa non come livellamento e uniformità, ma come integrazione e condivisione tra Parrocchie che mantengono la loro identità e originalità. Sono germogli di futuro preziosi per tutta la Chiesa. Per questo ora il Vescovo ha avviato un tempo di verifica e di discernimento, per mettere a disposizione di tutti la ricchezza di queste esperienze e identificare attraverso la riflessione e il dialogo alcune scelte stabili e condivise Corso residenziale. Progetto “Educazione sessuale 0-25”. ✎ Voci e impressioni A Bormio il primo laboratorio E I l progetto di Educazione sessuale 0-25, pubblicato e distribuito nel libretto che il Vescovo ha consegnato alla Diocesi nella data del 1 novembre 2012, ha mosso i suoi primi passi il primo week-end di dicembre: nel Vicariato di Bormio (a San Nicolò Valfurva presso Ain Karim) si è svolto infatti il primo Corso residenziale. Si tratta di una delle iniziative formative previste dal Progetto: 12 ore di lezioni e laboratori distribuiti su due giorni (dalle 15.00 del sabato alle 17.00 della domenica) per supportare gli adulti che sono già figure di riferimento per i ragazzi – genitori, educatori, insegnanti – affinchè siano in grado di accompagnarli anche nel cammino di maturazione nella dimensione sessuale. La richiesta di operatori per fare educazione alla sessualità in Alta Valtellina era giunta durante l’estate, e si è concretizzata nella proposta di una “duegiorni 0-25”: l’Equipe, che si sta strutturando in questi mesi, ha messo in campo 7 operatori, tutti formati nell’ambito dei Corsi di Teoria e Metodologia dell’Educazione Sessuale tenuti dal professor Fabio Veglia, e abilitati a “formare formatori”. Al corso hanno partecipato 43 persone, di cui una metà circa gruppi parrocchiali provenienti da Livigno, Bormio e Valli, l’altra metà insegnanti ed educatori. Particolarmente nutrito il numero di Livigno, dove si sta attuando un progetto articolato i cui attori sono la parrocchia, la scuola e il centro di aggregazione giovanile con il coinvolgimento di genitori, catechisti, insegnanti ed educatori. “Non c’è vita senza amore. Non c’è amore senza educazione. Non c’è amore senza sessualità e senza corpo: l’anima non potrebbe cantare senza la voce, e lo spirito non potrebbe incontrare un altro spirito senza gli occhi, le orecchie, il tatto, l’olfatto e il gusto, senza la dimensione di un luogo e di un tempo”. A partire da questa premessa, il Corso si è dato degli obiettivi: uno educativo, cioè prendersi cura dell’identità di bambini e ragazzi e accompagnarli nella ricerca del senso della sessualità umana; un obiettivo progettuale, in altre parole imparare a collaborare in un lavoro coordinato e in un atteggiamento di dialogo con tutti; infine, ma non ultimo, evangelizzare, perché è Cristo che rivela l’uomo all’uomo, e aprire alla dimensione vocazionale. Fondamentali anche le regole: la sensibilità reciproca, la tutela dell’altro, la disponibilità a mettersi in gioco nella logica non tanto di “ricevere una ricetta” da eseguire, quanto piuttosto di “imparare un’arte” da condividere. Il sabato è stato dedicato alla visione positiva ed alle dimensioni della sessualità umana, e ci si è soffermati sulle caratteristiche di una educazione sessuale autentica, cioè non demandata a specialisti, ma assunta responsabilmente da adulti significativi e nell’ambito di relazioni umane profonde con i ragazzi. La domenica il Corso si è concentrato sul metodo narrativo, sui suoi punti di forza e sulle possibili critiche; si è parlato poi di fisiologia e psicofisiologia sessuale usando le parole di casa, nell’ottica di riappropriarsi - proprio attraverso la scelta del linguaggio - di un vissuto che si può condividere con serenità perché appartiene a ciascuno. Nel pomeriggio sono stati affrontati alcuni aspetti morali, perché è importantissimo imparare ad accompagnare i ragazzi nella crescita morale, condividendone dubbi e domande, alla ricerca di strade per vivere una sessualità positiva, sintonizzata sul Vangelo come buona notizia di una vita felice. Infine alcune dritte per costruire un percorso di educazione sessuale. Si sono alternate lezioni frontali a lavori di gruppo, in cui si è colto un clima di condivisione e di approfondimento. L’esperienza della “duegiorni 0-25” è stata positiva sia per i partecipanti che per l’equipe. Nota dolente il fattore tempo: troppo poco per tutti. Condivisa anche la consapevolezza di aver parlato bene di sessualità: che di questi tempi è proprio una bella notizia. ELENA CLERICI cco alcune opinioni sull’esperienza formativa tratte dalle schede di “customer satisfaction” dei partecipanti alla “duegiorni 0-25”. Promosse la qualità educativa delle due giornate e la rilevanza degli argomenti. è mancato soprattutto il tempo: per scaricare le emozioni; per diluire i contenuti; per rielaborare; per approfondire; per il confronto, la condivisione e i lavori di gruppo. Simpatica e significativa una risposta alla domanda “cosa ti è mancato”: mio marito! Per condividere l’esperienza! Si coglie forte poi il bisogno di indicazioni concrete per attuare il Progetto, di simulazioni di possibili interventi educativi con gli adolescenti, di interazione, di essere messi alla prova nel costruire narrazioni da sperimentare. La sorpresa maggiore? Il parlare serenamente di tutto da parte di tutti; il linguaggio semplice ed efficace nell’affrontare l’argomento-tabù sesso; la chiarezza; la pacatezza e l’equilibrio con cui si sono affrontati argomenti di grande complessità; lo sforzo della Chiesa di fare dei passi di avvicinamento al mondo degli adolescenti. Un desiderio appagato: fare sintesi sul punto centrale, cioè su come il Vangelo e Gesù illuminano la meraviglia della sessualità; la conoscenza; emozionarmi; ragionare di sessualità fra persone con ruoli diversi. Quale è il giudizio dell’Equipe 0-25? “Dobbiamo riconsiderare il fattore tempo, che è stato anche per noi motivo di ansia. Avevamo già previsto di tenere i contatti con i partecipanti al Corso, e di seguirli poi nella realizzazione del Progetto; ma stiamo anche ipotizzando di incontrarli di nuovo, con modalità che metteremo a punto nelle prossime settimane, valutando la loro disponibilità e le nostre risorse anche umane”. Quanto alla richiesta di poter spendere la “duegiorni 0-25” in progetti concreti, “abbiamo spesso ricordato ai partecipanti che “stare interi” dentro l’esperienza formativa, cioè farsi coinvolgere personalmente e profondamente sia dal punto di vista emotivo che cognitivo, è la priorità assoluta. Il progettare viene dopo e di conseguenza”. E.C.