NUMERO SPECIALE DEDICATO AL FESTIVAL DI CANNES ESTATE 2010 NOTIZIARIO PERIODICO DEL CIRCOLO DEL CINEMA / ASSOCIAZIONE DI CULTURA CINEMATOGRAFICA NON PROFIT FONDATA A VERONA NEL 1947 FONDATORE E ADERENTE ALL’UNIONE ITALIANA CIRCOLI DEL CINEMA - SEDE SOCIALE: VIA DELLA VALVERDE N. 32 - 37122 VERONA tel: 045 8006778 - fax: 045 590624 - [email protected] - www.circolodelcinema.it / pubblicazione non in vendita e riservata ai soci Testi a cura di Lorenzo Reggiani Più Cannes di così........ C annes è il Festival. Anche se qualcuno vorrebbe suonare le campane a morto, anche se la manifestazione non nasconde più le proprie rughe, l’appuntamento sulla Croisette resta il più importante del mondo per il cinema. E nell’anno della grande crisi, il Festival, che ha celebrato la sua 63° edizione, ha cercato di cogliere lo spirito dei tempi, offrendo una competizione attenta ai valori umani, alla promozione di principi fondamentali come l’irrinunciabile dignità dell’essere umano, come il peso del tempo che passa, degli affetti che cambiano e si rinnovano. Con un programma che più Cannes di così non si poteva. Quegli Autori maiuscoli che avevano un film pronto c’erano tutti: da Beat Takeshi a de Oliveira (che ci stupisce non tanto perché riesce a girare a 102 anni, quanto perché ancora non si è stufato dei festival), fino ad un redivivo Godard, ottantenne, che in nome della coerenza è tornato con un novecentesco Film Socialisme, dandoci il meglio ed il peggio di sé, orchestrando una sinfonia in tre movimenti, una nave nel Mediterraneo, conversazioni in lingue diverse, un filosofo francese, una cantante americana, un ambasciatore palestinese, verità e falsi miti. E un lancio affidato in anticipo alle parole di Cohn-Bendit. Più Cannes di così... E poi parterre des rois: Michalkov, Kiarostami, Iñárritu (tutti un po’ deludenti), Mike Leigh (convincente, ma non per la giuria), l’impronunciabile e geniale tailandese Apichatpong Weerasethakul, che se n’è andato con la Palma d’oro. Più (fuori concorso) l’ennesimo immancabile Woody Allen, Stephen Frears, Iosseliani, Assayas. A sorpresa è arrivato Ken Loach, in gara, subito scortato da fauste previsioni, e invece rimasto a bocca asciutta, giustamente. Come sempre i pronostici della vigilia si rivelano fallaci, perché un festival, come il budino, si può dire buono solo il giorno dopo. Fare pronostici era quest’anno ancora più difficile 2 con una giuria dove a dirigere le danze era quel cappellaio matto di Tim Burton, al quale non poteva non piacere il visionario e fantastico Zio Boonmee (Uncle Boonmee Who Can Recall His Past Lives) del regista tailandese, che non cede al facile spettacolo per regalare cinema mistico, che racconta della vita e della morte, che strappa i confini tra l’essere umano, i suoi fantasmi e la natura. Noi avremmo preferito che trionfasse Des hommes et des dieux di Xavier Beauvois, intensa storia del martirio di una piccola comunità di monaci francesi assediati dai fondamentalisti islamici in Algeria, che contiene tutto il necessario: terrorismo e trappismo, tolleranza e violenza, fede cristiana e pacifica convivenza con i musulmani, fragore di elicotteri e cori angelici, ricordando una tragedia vera e non ancora del tutto chiarita di una quindicina d’anni fa. Il film s’è preso il Grand Prix della giuria, che è poi come una Palma d’argento, e non è poco. Come non è poco - anzi è fin troppo - il premio per la miglior interpretazione assegnato (ex aequo con Bardem) a Elio Germano, protagonista dell’unico film italiano in concorso, La nostra vita di Daniele Luchetti. Non ci ha convinto questa pellicola così “romanesca” del regista del Portaborse, anche se i temi che agita sono di scottante attualità, tantomeno ci ha convinto Germano, vedovo inconsolabile (mica tanto) che urla piangendo la canzone che lo legava all’amata moglie morta di parto, Anima fragile di Vasco Rossi (e Vasco ha chiamato il suo bimbo). Le disperazioni e le lacrime per un attore sono una manna, anche per Javier Bardem, che ha diviso il premio con l’italiano, ma con più merito, calandosi nei panni del protagonista di Biutiful di Iñárritu: un padre che sta per morire e deve sistemare gli amatissimi figli, mentre non gli viene risparmiata nessuna disgrazia. Sul fronte femminile, premio “singolo”, senza condivisioni, a Juliette Binoche, già protagonista dell’im- Il regista Kiarostami con Juliette Binoche, icona del Festival. Sul red carpet la gioia festosa dell’équipe di Tournée. La stretta di mano fra Javier Bardem ed Elio Germano. magine ufficiale del Festival su manifesti e cataloghi. La sua interpretazione in Copia conforme di Kiarostami non è magari la migliore della sua carriera, ma è la cosa migliore del film dell’iraniano, non a suo agio in una vicenda “alla Antonioni” ambientata in Toscana. Niente fiction ma autentica commozione per il pianto dell’attrice durante la conferenza stampa del film, all’annuncio dello sciopero della fame iniziato dal regista iraniano Jafar Panahi detenuto nelle carceri di Teheran. Grazie alla Binoche, un momento irrituale nello stanco rito degli incontri con la stampa, ed un altro durante la premiazione, quando ha ricordato Panahi con un cartello in mano. La cerimonia di premiazione ha visto altre, magari in parte non previste, emozioni. Come quelle del francese Mathieu Amalric, vincitore della Palma quale miglior regia per Tournée, attorniato dalle sue meravigliose attrici, tutte “vere” interpreti di burlesque, che è anche il tema del film. Mahamat-Saleh Haroun, regista del Ciad, ha ritirato il Premio della giuria per Un homme qui crie dichiarando felice: «Per me è un sogno. Vengo da un paese dove non abbiamo niente. In quel deserto un film lo si prepara con lo stesso impegno con cui si cucinano delle tenere verdure per le persone più care». Momento politico, questo premio. Altri momenti politici con Hors la loi, il film in concorso di Rachid Bouchareb sul Fronte di liberazione algerina e l’indipendenza della nazione africana del ’62, che ha scatenato le polemiche dei nazionalisti e dell’estrema destra. Per il suo arrivo a Cannes, “gendarmerie” schierata in assetto antisommossa sulla Croisette, controlli di sicurezza raddoppiati all’ingresso del Palais, ed un migliaio di dimostranti, anziani reduci della guerra d’Algeria con vecchie divise d’epoca e bandiere francesi, intenzionati a contestare il regista e gli interpreti. Poi tutto è filato liscio, la manifestazione si è svolta pacificamente, col solo risultato di bloccare il traffico nella cittadina. L’Algeria è un nervo scoperto per la Francia, ancora oggi, ed il film non poteva ovviamente ambire ad alcun premio, anche se è fatto bene, con tre attori all’altezza, che si ricordano. Chi poteva, e giustamente, ottenere un riconoscimento era l’inglese Another Year di Mike Leigh, per la stragrande maggioranza della stampa accreditata il più bel film visto in concorso. L’averlo ignorato nel Palmarès è uno di quegli errori che Cannes si porterà dietro. Ma non è certo il primo né sarà sicuramente l’ultimo. «La giuria ha sempre ragione», ha detto Asia Argento in apertura delle premiazioni. Parole certamente approvate dalla direzione della manifestazione, e che vogliono semplicemente dire, senza polemiche né obiezioni: «È il Festival, bellezza». 3 CINEMA ITALIANO Arrivano i nostri sulla Croisette B en articolata la presenza italiana sulla Croisette. fare una bella figura. È stato Le quattro volte di Michelangelo Frammartino, presentato alla Quinzaine des Eravamo pochi, ma dappertutto. Un film in conRéalisateurs, film girato in Calabria che tra l’altro segue corso, un documentario in proiezione speciale, una pelle fatiche quotidiane di un allevatore di capre che cura licola alla Semaine de la Critique e due alla Quinzaine, i suoi malanni secondo antiche credenze popolari. nonché ben due compatrioti in giuria, Giovanna MezUn’affascinante e magica riflessione sul ciclo della Nazogiorno e Alberto Barbera. tura frutto di un lavoro di regia che ha entusiasmato il L’opera en compétition, La nostra vita di Luchetti, si pubblico di Cannes. Certo, un cinema così chiede allo è portata a casa la palma per la migliore interpretazione spettatore uno sforzo di attenzione e di purificazione assegnata (ex aequo) a Elio Germano. Il regista romano (dalle sceneggiature che spiegano troppo) non facilisera stato ospite altre due volte al Festival con Il portasimo, a cui troppi film (e fiction) hanno disabituato. Ma borse e con Domani accadrà, due film - a nostro avviso la sua visione può essere una salutare rigenerazione - migliori di quest’ultimo, che però gli ha valso un ricovisiva per chi non s’acnoscimento indiretto. contenta di un cinema «L’incontro con Gerche pretende di momano - afferma Lustrare tutto e poi non chetti - ha cambiato il dice niente. Invece, mio modo di dirigere senza pronunciare una gli attori. È stato come parola, Le quattro volte trovare uno strumento ci dice davvero molto. nuovo che ha camAlla Quinzaine c’ebiato il colore della ra anche Annarita mia musica. Credo Zambrano con Tre ore, che tra noi ci sia un’inuna storia ambientata tesa molto forte che nella Roma d’oggi che scatena una libertà vede un padre conche si ripercuote suldannato per omicidio l’intero cast». ed una figlia molto L’attore, premiato, franca. Il Tevere separa saluta con parole non Riccardo Scamarcio, Daniele Luchetti ed Elio Germano. la città e unisce le loro di circostanza: «Visto vite... nello spazio di un pomeriggio. che i nostri governanti hanno rimproverato il cinema di parlar male del nostro Paese, voglio dedicare questo Fabio Grassadonia e Antonio Piazza sono gli autori premio all’Italia e agli italiani che fanno di tutto per rendi Rita, un corto proiettato alla Semaine. Rita è una dere migliore il nostro Paese nonostante questa classe bambina di dieci anni, cieca dalla nascita, che vive in dirigente». Grande applauso della sala. Qualche proun quartiere costiero di Palermo. Testarda e curiosa, si blema per le edizioni del Tg1 e del Tg5 che non riporsente respinta dalla madre protettrice e dittatoriale. tano le sue parole. E per il ministro Bondi che le giudica La presenza italiana, insomma, s’è avvertita, ma a legittime ma inopportune. Berlino quest’anno non c’era nessun film italiano in conBondi è stato in un certo senso un protagonista del corso, e a Cannes solo uno. Cosa significa? Secondo Festival, fin dall’inizio, con il rifiuto ad intervenire motiLuchetti, l’unico appunto in gara, significa «che in Italia vato dalla presentazione di Draquila di Sabina Guzsi producono troppi pochi film». zanti, il tosto docu-film sul terremoto dell’Aquila, «Oggi - dice - produciamo tra 40 e 80 film. Negli altri applaudito calorosamente dal pubblico, benché passato Paesi lo Stato interviene a sostegno del cinema in come scéance spéciale. La polemica naturalmente ha modo molto più serio. E alla fine andiamo ai festival a feingigantito il peso del lavoro della Guzzanti e ha fatto steggiare le politiche culturali dei paesi più avveduti del fare una ennesima piccola brutta figura all’Italia. Fortuna che un piccolo-grande film invece ha fatto nostro». 4 NUOVI AUTORI Novità e talenti nelle sezioni minori È nelle sezioni minori che mai come quest’anno a Cannes si sono viste novità e talenti. A fronte di una selezione ufficiale a detta dei più piuttosto depressa, i veri, grandi successi della 63° edizione li hanno mietuti alcuni film a margine dei riflettori: presi d’assalto da interminabili code di giovani spettatori entusiasti, gonfiati dal passaparola; al punto da obbligare l’organizzazione a proiezioni supplementari. Il caso più clamoroso è quello di Kaboom di Gregg Araki (Palma Gay), presentato fuori concorso come scéance di mezzanotte: un film molto “acido” con un cast di giovani attori che mescola thriller, fantascienza, sesso in un inno al godimento diametralmente opposto alla mestizia della categoria “concorso”. Gli si può accostare Chatroom di Iodeo Nakata, presentato a Un certain regard e realizzato in Inghilterra dal regista di Ring. Utilizzando anche lui interpreti giovanissimi, il cineasta giapponese racconta la storia di un diciassettenne perturbato, che manipola i coetanei spingendo via Internet uno di essi al suicidio. La giuria di Un certain regard, presieduta da Claire Denis, ha premiato la Corea del Sud con Hahaha (Estate) di Hong Sang-soo. Ma se Araki e Nakata sono già noti al pubblico giovane, che ne ha fatto oggetti di culto per i film precedenti, era presente un numero molto alto di debuttanti: più della metà dei ventidue film di cui era composta la Quinzaine, tutti e sette quelli della Semaine, da sempre ansiosa di scoperte. È un “primo film” anche Benda Bilili! documentario intorno a un gruppo musicale congolese nella degradata realtà sociale della megalopoli Kinshasa. Diretto a due mani da Renaud Barret e Florent de la Tullaye, il film conferma la crescente importanza assunta dal documentario, tendenza che Cannes ha registrato puntualmente. Rientra nei confini del “cinema di realtà” anche Armadillo del danese Janus Metz, una delle opere più interessanti nel programma della Semaine (che non accoglieva più documentari dal 1990). Girato in Afghanistan, il film esplora le psicologie di due militari impegnati in una “missione di pace”: con il crescere dell’adrenalina e del cinismo. A sinistra: Il manifesto del film di Hong Sang-soo Hahaha. Qui sopra: lo Staff Benda Bilili dell’omonimo documentario. 5 COSTUME Festivalieri, divi, ragazze e presenzialisti I l popolo del Festival invade Cannes per una decina di giorni, occupando ogni camera disponibile, dalla più spartana e in coabitazione alla più lussuosa.Tutto esaurito, dovunque: appartamenti, pensioni, residence, hotel. E così bar, pizzerie, chioschi, trattorie, ristoranti. È un’invasione pacifica, e largamente positiva per la cittadina della Costa Azzurra che beneficia del massiccio indotto del Festival. Mondi diversi, e solo in minima parte comunicanti, convivono qui. C’è il mondo dei festivalieri veri e propri, migliaia di persone accreditate per le testate più varie (dalla free press al periodico specializzato, dalla piccola radio all’emittente internazionale) che si nutrono di cinema, in senso letterale, perché mangiano solo frettolosamente panini tra una proiezione e l’altra; scrivono (dovunque, anche al bar o seduti per terra) e guardano film, senza soluzione di continuità. E dormono pochissimo: prima proiezione alle 8,30, ultima a mezzanotte. C’è poi il mondo di quelli che «il cinema non gliene può fregare di meno»; non entrano mai in sala; vivono all’esterno, tutti presi dall’apparire, dal farsi vedere e dal vedere; vivono del “contorno” del festival, si mettono in mostra, anche inconsciamente, preoccupati di vedere gente, soprattutto i protagonisti, maggiori o minori, ma anche le comparse, della kermesse. Ma a Cannes esistono i divi, quelli veri in carne e ossa, o ci sono soltanto i loro cloni e la loro sola immagine televisiva? Dove sono finiti i protagonisti della cineindustria, produttori, finanziatori, distributori, un tempo in giro tutta la notte tra principesche ville in affitto e favolose barche, a contrattare e a intrecciare autentiche passioni con le donne più belle del mondo, ed ora fantasmi che si aggirano scravattati e sudati nei sotterranei del Palais, a cercar fortuna al mercato dei film, ormai pericoloso come la borsa? Il Festival di Cannes, al di là del valore dei suoi film, ha perso l’antica magia che ne faceva un momento e un luogo d’incanto mondano. Per quanto si accavallino feste promozionali frequentate dai soliti presenzialisti girovaghi ormai sdruciti, pochissime notti richiamano quelle dei tempi belli, quando c’erano e si divertivano Grace Kelly o Brigitte Bardot, Marcello Mastroianni o Alain Delon. Nei grandi alberghi dove un tempo sostava splendente la gente del cinema, e si potevano incontrare star cinesi di meravigliosa perlacea eleganza e signore di classe, profumate di antica ricchezza, oggi sosta un mondo alieno anche per il cinema, una moltitudine itinerante che si sposta in cerca di sopravvivenza e fortuna, la stessa che si incontra nei nuovi ambigui luoghi di divertimento di Roma o di Shangai. Nei bar un tempo silenziosi e raffinati sostano a mucchi ragazze impressionanti per altezza ed esotismo, anche con minigonne inguinali, gambe lunghissime e seni debordanti, più o meno tutte uguali, in attesa di provvisori amici, sorvegliate da omoni baffuti e scuri; i menu sono scritti anche in russo, le risate sono fracassone, ogni tanto arriva una famiglia mediorientale piena di figli bambini e figlie velate. Nella baia rosata non c’è ressa di grandi barche di emiri. Gli appassionati di cinema (qualche migliaio) che disdegnano il tappeto rosso, coi loro badge (guai chiamarli cartellini) di diverso colore al collo, controllati centinaia di volte, corrono tra le sei sale del Palais più tutte le altre, alzandosi all’alba e facendo code lunghissime. Sarà per questo che a metà Festival, con tanti film già visti, molti hanno il muso. Brontolano, quel che a uno sembra un capolavoro, all’altro sembra orribile. Purtroppo anche i cinefili più appassionati non sono indomiti come un tempo, e tendono a non resistere oltre un certo livello di noia. LA STORIA Sessantatré anni fra le palme Sessantatré e non li dimostra. Tanti sono gli anni del Festival di Cannes (come quelli del Circolo del Cinema di Verona, singolare e beneaugurante coincidenza), anche se la sua idea è stata partorita ben prima. Fu infatti alla fine degli Anni ’30 che il ministro francese Jean Zay propose la creazione di un festival nella cittadina della Costa Azzurra, perché indignato per le ingerenze del governo fascista e di quello nazista alla Mostra del cinema di Venezia. Nel giugno 1939, Louis Lumière accettò di presiedere la prima edizione che avrebbe dovuto svolgersi in settembre, ma venne troncata dallo scoppio della II Guerra Mondiale. La prima vera edizione si svolse quindi solo nel 1946. Da allora il Festival si è tenuto con cadenza annuale se si eccettuano gli anni 1948 e 1950, in cui non si svolse per problemi di bilancio. La manifestazione riflette la doppia natura del cinema, arte e industria: infatti accanto al concorso ed alle altre sezioni, fin dal 1959 è stato creato il Mercato del Film, che lo contraddistingue da tutti gli altri Festival del mondo. Altra sua caratteristica è la Montée des Marches, quella scalinata, rivestita dal tappeto rosso, che porta fino al Grand Theatre Lumière, la maggiore delle sale del Palais du Festival, altro simbolo di Cannes perché da qui passano tutte le stelle del cinema del momento. Non sono mancate le contestazioni. La più celebre fu quella del ’68, in pieno maggio francese. Louis Malle, membro dimissionario della giuria, Truffaut, Berri, Albicocco, Lelouch, Polanski e Godard, entrando nel salone del Palais, chiesero l’interruzione della proiezione in solidarietà con gli operai e gli studenti in sciopero. Il giorno successivo il Festival venne interrotto. Anche i premi sono stati contestati, molte volte. I due episodi più vivaci sono avvenuti nel 1987, quando Maurice Pialat vinse per Sous le soleil de Satan violentemente fischiato dalla platea, e nel 1994, quando invece venne fischiato Quentin Tarantino vincitore per Pulp fiction. Il premio più prestigioso - e simbolo del Festival - è senza dubbio la Palma d’oro per il miglior film, introdotta nel 1955. Gli italiani l’hanno vinta dodici volte, quasi tutte negli anni d’oro del nostro cinema. Il primo è stato Rossellini nel ’47 con Roma città aperta, poi nel ’51 De Sica con Miracolo a Milano; nel ’52 Renato Castellani con Due soldi di speranza; nel ’60 Fellini con La dolce vita; nel ’63 Visconti con Il gattopardo festeggiato quest’anno con l’edizione restaurata; nel ’66 Germi con Signore e signori; nel ’67 Antonioni con Blow up. L’anno trionfale è stato il 1972 per l’ex aequo tutto italiano con Il caso Mattei di Francesco Rosi e La classe operaia va in paradiso di Elio Petri. Nell’albo d’oro da segnalare ancora, nel ’77, Padre padrone di Paolo e Vittorio Taviani, nel ’78 L’albero degli zoc- coli di Ermanno Olmi e infine nel 2002 La stanza del figlio di Nanni Moretti. Due anni fa l’Italia mancò la Palma d’oro (andata e Entre les murs) ma Gomorra di Matteo Garrone ebbe il Grand Prix e Il divo di Paolo Sorrentino il premio della giuria. (Note tratte da “La Stampa - Rubrica Domande & Risposte” a cura di Raffaella Silipo, 24.5.2010) Una radiosa ed elegantissima Kate Blanchett, protagonista del film di apertura di Cannes 2010, Robin Hood, posa per i fotografi sul red carpet. 7 C I R C O L O D E L C I N E M A IL “RED CARPET” DELL’ASSOCIAZIONE UNA SCELTA VINCENTE PER CHI VUOLE INVESTIRE IN CULTURA GLI INCONTRI CON GLI AUTORI OSPITI DEL CIRCOLO DEL CINEMA Il regista teatrale e cinematografico Maurizio Scaparro, autore del film L’ultimo Pulcinella, Roberto Bechis, moderatore del dibattito, Carla Rezza Gianini, curatrice del patrimonio dei film di animazione di Gianini-Luzzati e Sergio Noberini, direttore del Museo Luzzati di Genova, nel corso di una serata speciale dedicata alla maschera di “Pulcinella” (17 dicembre 2009). Il regista teatrale e cinematografico Gianfranco De Bosio, affiancato da Magè Avanzini, commenta il film di Carlos Saura Io, Don Giovanni, tratteggiando la figura di Don Giovanni nella storia del teatro, nel passaggio dal libretto di Lorenzo Da Ponte all’opera di Mozart fino alle varie trasposizioni sullo schermo (sera del 25 febbraio 2010). La regista-scrittrice Silvana Maja (al centro), con Carlo Vita Fedeli e Magè Avanzini, presenta la sua opera prima Ossidiana, applaudita la sera del 13 maggio 2010. A destra, Marco Simon Puccioni, autore di Riparo, risponde alle domande dei soci nel dibattito moderato da Roberto Bechis il 5 marzo 2010. FILMESE-SCHERMI D’AUTORE Registrazione presso il Tribunale di Verona n. 68 del 4.10.1954 Responsabile: Pietro Barzisa - Editore: Circolo del Cinema Stampa: Tipografia Roma - Vicolo Calcirelli - Verona Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale 70% - CNS Verona con il sostegno d i