Anno XIII - Numero 71 - 19 ottobre 2007
Le Interviste
Parlano il direttore Gelmetti
Ed il regista Del Monaco
A Pag
2
Storia dell’Opera
Un lavoro nato di getto
dopo averlo visto in teatro
A Pag
4
Due generi a confronto
Arte di Regime
ed Arte Degenerata
A Pag
6e7
Analisi Musicale
Un Unicum
nel teatro musicale
A Pag
8e9
WOZZECK
di Alban Berg
Wozzeck
2
Il
Per il direttore Gianluigi Gelmetti ed il regista Giancarlo Del Monaco
a Roma. Senza nessun riferimento politico, questo
fatto evidenzia come anche
tra le dittature vi siano differenze.
Per la scenografia ho concepito un palcoscenico molto
inclinato, con una pendenza del 30%. Diverse botole
sostituiranno le quinte per
gli ingressi in scena; gli
interludi orchestrali saranno illuminati da una linea
rossa luminosa realizzata
in fibra ottica da Wolfgang
von Zoubek, che cura le
luci. L'impianto, decisamente
espressionistico,
vuol essere simbolo di un
viaggio verso l'inferno di
gente semplice, su cui
viene esercitata ogni tipo di
violenza.».
A. Ci.
«Wozzeck è ormai un grande classico»
T
orna dopo un'assenza ultra-trentennale il capolavoro di Alban Berg,
Wozzeck, da alcuni definito
la
Cavalleria
Rusticana del Nord
Europa, per l'ambientazione e i personaggi
popolari, carichi di cupa
disperazione. L'opera in
tre atti, è ispirata al
dramma Woyzeck di
George Buechner e racchiude tutta la sofferenza dell'uomo contemporaneo, distaccandosi tuttavia dal modello postwagneriano.
Ciascun
atto è formato da cinque
scene alle quali corrispondono
altrettante
forme musicali barocche
o classiche, 16 in tutto,
con l'aggiunta di un
interludio nel terzo atto.
Il libretto è sconvolgente
e profetico, in quanto è
stato scritto nel primo
Ottocento, ma riporta
una trama che è assolutamente novecentesca e
che conserva ancora
intatta una sorprendente
modernità.
Una vicenda noir di
miseria e disperazione.
La composizione dell'opera fu portata a termine
nel 1922 e la partitura è
dedicata
ad
Alma
Gianluigi Gelmetti
Mahler, la compositrice e
pittrice moglie di Gustav
Mahler. La prima rappresentazione assoluta
ebbe luogo nel 1925 alla
Staatsoper di Berlino e
riscosse notevole successo, fin quando, con l'avvento del regime nazista,
l'opera fu messa al
bando, in quanto ritenuta espressione di musica
degenerata.
Fu il Reale Teatro
dell'Opera di Roma nel
1942, a mettere in scena
la prima italiana di
Wozzeck, con Tito Gobbi
nel ruolo del titolo e
Gabriella Gatti nel ruolo
di Marie, diretti da
Tullio Serafin. Nella produzione del '64 il direttore era Fernando Previtali
e il regista Aurel Milloss,
mentre, l'ultima mise en
~ ~ La Copertina ~ ~
Marc Chagall - Il soldato che beve
(Le Soldat boit), 1911-12
Olio su tela, 94,6 x 109,2 cm.
Solomon R. Guggenheim Museum, New York
Il G iornale dei G randi Eventi
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scène risale alla stagione
1973-74,
con
Nino
Sonzogno e Virginio
Puecher.
Per dirigere questo gradito ritorno, sale sul
podio
il
maestro
Gianluigi Gelmetti, mentre scene e costumi sono
firmati da Giancarlo Del
Monaco.
Il ruolo del protagonista
è affidato a due baritoni,
il francese Jean-Philippe
Lafont e l'inglese Jacek
Jan Strauch.
«Nella mia carriera - spiega il M° Gelmetti - mi
sono dedicato spesso alla
musica contemporanea, ho
diretto molte prime assolute. Per la mia generazione
Wozzeck è sempre stato un
simbolo della modernità, di
un modo nuovo di affrontare la musica. L'ho diretto
diverse volte, ma oggi confrontandomi con la giovane
orchestra
del
Teatro
dell'Opera, (sono tutti tra i
35 e i 40 anni), mi sono
reso conto che è ormai divenuto un classico del
nostro tempo. L'orchestra
“canta”, infatti, con naturalezza la difficile partitura del Wozzeck, senza
avvertire nessuna astruseria melodica e senza stupirsi delle innovazioni introdotte da Berg. Riesco a
capire Berg quando scrisse
di come non fosse nelle sue
intenzioni riformare la
struttura artistica dell'opera. Di fatto questo è avvenuto, ma la sua volontà era
soprattutto quella di inventare bella musica per un
grande teatro».
«Pur non avendo mai fatto
Giornale dei Grandi Eventi
Wozzeck - racconta il
regista Giancarlo Del
Monaco - è un'opera che
conosco bene, anche per
aver vissuto e lavorato
quasi sempre in Germania.
A detta di molti sono un
regista latino troppo tedesco e un regista tedesco
troppo latino, ma questo
«meticciato» mi piace.
Credo che le due scuole,
benché molto diverse,
abbiano degli importanti
punti di contatto.
E' interessante notare come
Wozzeck, censurato in
Germania dal regime, in
pieno 1942 si sia potuto
rappresentare con successo
I prossimi titoli della
Stagione 2007 al Teatro Costanzi
27 Novembre - 2 Dicembre
MOSÈ IN EGITTO
Direttore
Interpreti
di Gioachino Rossini
Antonino Fogliani
Michele Pertusi, Giorgio Surian,
Anna Rita Taliento, Stefano Secco
21 - 30 Dicembre
LA VEDOVA ALLEGRA
di Franz Lehàr
Daniel Oren
Fiorenza Cedolins, Vittorio Grigolo, Markus Werba
Direttore
Interpreti
~~
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi, 19 - 24 ottobre 2007
WOZZECK
opera in tre atti
tratta dal dramma Woyzeck di Georg Büchner
Libretto e Musica di Alban Berg
Maestro concertatore Gianluigi Gelmetti
e Direttore
Maestro del Coro Andrea Giorgi
Regia, Scene e Costumi Giancarlo Del Monaco
Disegno Luci Wolfgang von Zoubeck
Personaggi / Interpreti
Wozzeck (Bar)
Jean-Philippe Lafont (19, 21, 24)/
Jacek Jan Strauch (20, 23)
Marie (S)
Janice Baird (19, 21, 24)/
Eilana Lappalainen (20, 23)
Tamburmaggiore (T)
Richard Decker (19, 21)/
Kristjan Johannsson (20, 23, 24)
Andres (T)
Alexander Kaimbacher
Capitano (T)
Pierre Lefebvre (19, 20, 21, 24)/
Patrizio Saudelli (23)
Dottore (B)
Francesco Facini
Primo artigiano (B)
Nikolay Bykov
Secondo artigiano (Bar)
Cesare Ruta
Il pazzo / Un soldato (T)
Federico Lepre
Margret (C)
Natascha Petrinsky
Il figlio di Marie
Carlo Maria Zanetti
Mimo
Andrea Muscas
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Coro di Voci Bianche dell’ARCUM diretto da Paolo Lucci
Nuovo Allestimento
Il
Wozzeck
Giornale dei Grandi Eventi
T
ratto dal Woyzeck che
George Büchner scrisse nel 1836, il capolavoro di Alban Berg, che ne
modificò leggermente il titolo in Wozzeck, torna al Teatro
dell'Opera dopo più di trent'anni, dove ebbe la sua
prima rappresentazione italiana nel 1942. Il successo
riportato fece ventilare la
possibilità di rappresentarlo
anche l'anno successivo, ma
poi non si replicò. Wozzeck
ritornò a Roma nel 1963-64
diretto
da
Fernando
Previtali, poi nella stagione
1973-74 con Nino Sonzogno
e Virginio Puecher.
L'opera è considerata uno
dei
capolavori
del
Novecento. Vi sono state
riconosciute le radici della
musica moderna e, insieme
a l'Histoire du soldat di Igor
Strawinskij e ad alcuni lieder
di Gustav Mahler, è considerato il punto di partenza di
un filone antimilitarista che
si svilupperà nel corso del
Novecento anche nella
musica leggera.
La cupa vicenda guarda ad
un emarginato, un miserabile soldato schiacciato dalle
angherie della società, che
corre verso la propria autodistruzione divenendo prima
un assassino e poi un suicida.
L'allucinata vicenda esprime
una tensione continua grazie
alla sospensione della musica
fra tonalità e atonalità, che
utilizza la dodecafonia
schoenberghiana, senza irrigidirla in una fredda serialità.
Si colgono nella musica echi
di Richard Strauss, Gustav
3
Mahler e perfino della musica di Giacomo Puccini.
Dopo aver diretto La Traviata
di Verdi, a maggio, torna
protagonista sul podio il
maestro Gianluigi Gelmetti.
Il noto regista Giancarlo Del
Monaco, figlio del grande
tenore Mario, firma la regia,
le scene ed i costumi. Il disegno luci è stato curato da
Wolfgang von Zoubek.
La cupa vicenda che anticipò i drammi del Novecento
ATTO PRIMO
- Primo quadro - Il Capitano, come
ogni mattina, si fa radere dall’attendente Wozzeck, dissertando sul tempo e l’eternità: «non è morale – dice avere un figlio senza la benedizione della Chiesa, com’è successo a te». Il povero soldato risponde che Gesù ha detto: «Lasciate che i pargoli vengano a me» e che
sarebbe bello esser virtuosi, ma la virtù non è per i poveri: «per noi va male in
questo mondo e nell’altro; credo che se andassimo in cielo ci toccherebbe lavorare a fare
i tuoni».
Secondo quadro – Wozzeck ed il suo amico Andreas raccolgono legna in campagna per il Capitano. Wozzeck è colto da allucinazioni ed è convinto della presenza di un maligno. Invano Andres cerca di distrarlo, mentre tamburi lontani
danno il segnale del rientro in caserma.
Terzo quadro – Dalla finestra della sua stanza Marie, la compagna dalla quale
Wozzeck ha avuto un figlio, guarda con entusiasmo la banda militare che sfila
e soprattutto è colpita dal Tamburmaggiore, provocando il sarcasmo della sua
amica Margreth. Arriva Wozzeck, ancora in preda alle sue visioni. Si fa aprire
la finestra da Marie e quindi corre via senza neppure guardare il bambino.
Quarto quadro – Nello studio del Dottore Wozzeck risponde al medico - per il
quale, dietro compenso, fa da cavia nutrendosi solo di fagioli - cercando di convincerlo della sua latente follia. Il Dottore lo sorprende ad orinare e lo rimprovera: l’uomo, sentenzia, è dotato di libero arbitrio e dunque deve riuscire a
dominare lo stimolo. Ma poi riscontra in Wozzeck i turbamenti della recente
allucinazione e se ne rallegra: la scienza se ne gioverà.
Quinto quadro - Sulla strada, Marie incontra il Tamburmaggiore, il quale accortosi dell’interesse della donna, si fa avanti. Marie dopo i primi approcci, ai
quali tenta di resistere, cede.
Wozzeck ed i due si alleano contro il nuovo obiettivo.
Sanno del tradimento di Marie e fanno pesanti ironie.
Wozzeck fugge, adirato.
Terzo quadro - Wozzeck affronta la donna e sta per picchiarla, ma lei lo ferma dicendo: «Meglio un coltello nelle carni che le tue mani su
di me!». «Meglio un coltello?», ripete lui.
Quarto quadro - Davanti ad una osteria si balla. Wozzeck vi sorprende Maria
e il Tamburmaggiore abbracciati ed ha l’impulso di ucciderli. Wozzeck pronuncia fra se frasi minacciose ed ad un tratto gli si avvicina un pazzo dicendo: «Sento odore di sangue». Wozzeck risponde con un grido allucinato:
«Sangue ! Sangue!».
Quinto quadro – Nella camerata dopo che Wozzeck ha confidato ad Andreas
il ricordo torturante di Marie con l’amante, entra il Tamburmaggiore, che
oltre a vantare la sua conquista, invita Wozzeck a bere con lui per festeggiare. Scoppia una rissa e Wozzeck ha la peggio.
La Trama
ATTO SECONDO - Primo quadro - Marie si guarda in uno specchio rotto:
ha un paio d’orecchini, dono del Tamburmaggiore e pensa che potrebbe esser
bella come una gran dama, se non fosse per la miseria. Wozzeck entra ed alla
vista degli orecchini, che Marie dice di aver trovato, si insospettisce. Non è convinto, ma si intenerisce alla vista del bambino addormentato. Nell’uscire lascia
a Maria i pochi soldi della paga.
Secondo quadro – In strada s’incontrano il Dottore e il Capitano. Il medico, ostinato nel considerare gli uomini come pretesti alla sua scienza, perseguita l’altro con macabri scherzi, pronosticandogli a breve un’apoplessia. Passa
ATTO TERZO - Primo quadro – Nella sua stanza Marie sfoglia pensierosa la
Bibbia. La sua attenzione cade su un brano dedicato a Maria Maddalena peccatrice e chiede al cielo pietà. Guarda con tenerezza il bambino e pensa a
Wozzeck, che da due giorni non si fa vedere.
Secondo quadro – Giorni dopo, Wozzeck conduce Marie fuori città, sulla riva di
un canale. Rievoca il loro passato con amare ironie che Maria non comprende.
Wozzeck all’improvviso le affonda il coltello in gola e se ne va.
Terzo quadro – In una osteria, dove giovani e prostitute ballano la polka,
Wozzeck beve, canta ed invita Margreth a sedersi sulle sue ginocchia. Le macchie di sangue sui vestiti richiamano l’attenzione della gente. Il suo viso stravolto impaurisce tutti e così egli può fuggire indisturbato.
Quarto quadro - Wozzeck torna sulla riva del canale per cercare il coltello che ha
lasciato cadere, inciampando nel cadavere di Marie. Finalmente trova l’arma
del delitto e la getta nel canale. Ma il lancio è corto e temendo che qualcuno
possa trovarlo, entra in acqua per lavare anche le macchie di sangue sul vestito, ma annega. Il Dottore e il Capitano passando odono un gemito, si fermano,
ma non sentendo altro s’allontanano.
Quinto quadro - Il figlio di Marie gioca in strada con altri bambini. Uno di questi gli dice: «Tua madre è morta!». Ma il bambino non capisce la tragedia e continua a giocare col suo cavalluccio di legno.
4
Wozzeck
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Storia dell’Opera
Un lavoro nato di getto, dopo la folgorazione
di quel testo teatrale di Büchner, così straordinario
«H
o visto il Woyzeck
prima della guerra e
ne ho riportato
un’impressione così straordinaria
che subito (anche dopo averlo rivisto) ho preso la decisione di porlo
in musica. Non è solo il destino di
quest’uomo sfruttato e perseguitato da tutti che mi tocca tanto da
vicino, ma anche l’inaudito clima
espressivo delle singole scene». In
questa affermazione dell’agosto del 1918, Alban Berg torna
con la mente al maggio del
1914, alla Residenzbühe di
Vienna
(futura
Wiener
Kammerspiele), dove aveva
appena assistito alla messa in
scena del Woyzeck di Georg
Büchner, scritto nel 1836 e rappresentato, postumo, per la
prima volta a Monaco l’8
novembre 1913. Lo scrittore
tedesco aveva lavorato agli
incompiuti frammenti della
sua opera tra l’autunno e l’inverno del 1836, fino alla sua
morte improvvisa, avvenuta il
19 febbraio del 1837.
La storia riprende un fatto di
cronaca nera, un caso medicogiudiziario, di cui fu protagonista
Johann
Christian
Wozzeck, barbiere di Lipsia,
condannato a morte per l’omicidio della sua amante, la vedo-
va Woost, il 21 giugno 1821.
Dopo la rappresentazione a
Vienna dell’opera di Büchner,
con l’interpretazione di Albert
Steinrück, Berg rinunciò senza
esitazione ad alcuni, vaghi, progetti che aveva in mente (aveva
pensato
soprattutto
a
Strindberg) e mise subito mano
al nuovo lavoro. L’inizio del
primo conflitto mondiale, però,
rallentò la stesura, poiché il
compositore fu arruolato, nell’agosto del 1915, in un reggimento di stanza a Vienna, per
poi essere trasferito al campo di
addestramento di Bruck an der
Leitha, dove la sua salute non
resse al trattamento troppo (e
inutilmente)
duro.
Ricoverato in un ospedale
militare e rimandato a
Vienna, fu impiegato
presso il Ministero della
guerra fino alla fine del
conflitto. Non ebbe
modo di dedicarsi alla
sua
composizione,
anche per la profonda
prostrazione morale in
cui si trovava. In una lettera del 7 agosto 1918
scrisse alla moglie Helene
Nahowski: «Nel personaggio
di Wozzeck c’è qualcosa che
ricorda me in questi anni di guerra, dipendente come lui da gente
odiosa, vincolato, malato, prigioniero, rassegnato e umiliato».
Nell’immediato dopoguerra,
Berg fu coinvolto nelle attività
dell’”Associazione per le esecuzioni musicali private”, fondata
da Schönberg alla fine del 1918,
che
tolse
altro
tempo alla stesura
del Wozzeck. Per
questo motivo, nel
1921, chiese di essere esonerato dai
suoi incarichi, per
dedicarsi esclusivamente a concludere
l’opera, idea con la
quale si trovò d’accordo anche il suo
maestro, che affermò di essere rimasto
«grandemente
sorpreso quando questo giovane timido e
dolce ebbe il coraggio
di impegnarsi in una avventura
che mi sembrava destinata all’insuccesso: comporre Wozzeck, un
dramma di così straordinaria tragicità che mi sembrava proibitivo per
la musica». Berg sosteneva che il
lavoro al libretto e alla musica
non potevano essere separati,
poiché doveva adeguare di
volta in volta il testo alle sue
invenzioni formali e drammaturgiche, che potevano portare
a trasposizioni e modifiche
anche consistenti.
Georg Büchner anziano
Per la stesura egli seguì l’edizione che dei frammenti dell’opera
di Büchner fece, per la prima
volta nel 1879, l’editore Emil
Franzos, (il quale lesse male il
nome del protagonista, rimasto
Woyzeck fino all’edizione di
Georg Witkowski del 1920), e
che fu utilizzata anche da Paul
Landau per la sua edizione del
1909, conosciuta anche da Berg
con il lavoro su un volumetto
della Insel Verlag di Lipsia,
stampato nel 1913. E’ vero che i
primi schizzi del Wozzeck erano
pronti già nei primi mesi del
1915 e che il compositore non vi
mise più mano fino al 1917 ma,
secondo la cronologia ricostruita da Ernst Hilmar, il libretto,
nel 1918, non era ancora pronto.
Tra 1919 e 1920 furono scritti il I
e gran parte del II atto, che
aveva nella quarta scena la sua
parte più difficile, mentre la
strumentazione si protrasse fino
all’aprile del 1922.
Il problema divenne, poi, individuare un finanziatore per la
messa in scena. In questo Berg
trovò un grande aiuto in Alma
Mahler, la vedova di Gustav,
alla quale l’opera è dedicata. Nel
giugno del 1924 furono eseguiti
alcuni brani del Wozzeck in
forma di concerto e fu un grande trionfo, che convinse il direttore musicale della Staatoper di
Berlino, Erich Kleiber, a portarla
in scena integralmente. Scrive
Berg alla moglie il 12 novembre
del 1925, poco prima del
debutto: «La distribuzione dei
ruoli è splendida. Schützendorf,
il migliore di Berlino, la
Johanson, una bravissima e
giovanissima danese, la
Koettrik (Margret), Soot, un
vero tenore eroico, il medico, a
vederlo, non sembra tanto
bravo come caratterista, ma ha
una voce bellissima. Posso
essere contento. Non avrei mai
creduto di essere compreso
tanto bene, sia come musicista
che come scrittore drammatico,
come è successo con Kleiber. Le
scene sono magnifiche».
Il 1925 fu un anno turbolento
per il teatro berlinese, che vide
le dimissioni del suo amministratore generale, Max von
Schillings ed il conseguente
schierarsi di stampa ed opinione pubblica, anche a scapito di
Kleiber. Il direttore, però, ebbe
l’appoggio di orchestra e artisti
e la prima del Wozzeck, il 14
dicembre, fu un grande successo di critica e di pubblico, già
previsto dal compositore ai
primi del mese, sempre in una
lettera alla moglie: «Tra il personale e l’orchestra non si nota
avversione. Al contrario! Tutti
sentono molto la forza della sua
personalità. Voler rinunciare per
paura ad una rappresentazione di
Kleiber, Schützendorf, di quest’orchestra, con questa regia, sarebbe
una pazzia». Dopo il trionfo berlinese, Wozzeck venne rappresentato in altri teatri tedeschi
nel 1927 e 1928, a Praga (1926),
Leningrado (1927), Oldenburg
(1929), prima di essere vietato
in Germania, dal regime nazionalsocialista, nel 1933, per arrivare al Teatro dell’Opera di
Roma solo nel 1942.
Marta Musso
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Wozzeck
5
Janice Baird e Eilana Lappalainen
Jean-Philippe Lafont e Jacek Jan Strauchh
Marie,
moglie di Wozzeck
Wozzeck,
povero soldato
P
resteranno la voce a Marie le cantanti Janice Baird (19, 21, 24
ottobre) e Eilana Lappalainen (20, 23 ottobre). Janice Baird è
uno dei principali soprano drammatici di oggi, soprattutto
per quanto riguarda l’interpretazione delle grandi eroine di Wagner
e di Strauss. Tra i suoi ruoli più importanti: Brunhilde, Elektra,
Salome, Arianna a Nasso, Ortrud nel Lohengrin, Isolde, Leonora nel
Fidelio,
Turandot,
Minnie ne La Fanciulla
del
West
e
Lady
Macbeth.
Eilana Lappalainen, di
origine finnico-canadese, canterà all’Opera di
Roma per la prima
volta, interpretando un
ruolo che ha già consolidato presso la New
Israeli Opera e la Opera
Bellas Artes. Il soprano
è una delle migliori
interpreti della Salome
di Strauss. Il suo repertorio include, oltre a ciò,
Janice Baird
Minnie in La fanciulla del
West, Rosalinda in Die Fledermaus, Maddalena in Andrea Chenier,
Elsa in Lohengrin, the Marschallin in Der Rosenkavalier, Santuzza in
Cavalleria rusticana, Nedda in Pagliacci, e i ruoli-titolo Lulu, Jenufa,
Madama Butterfly e Tosca. Il suo vasto repertorio verdiano comprende ruoli quali Violetta ne La traviata, Giovanna D’Arco, Amelia in Un
ballo in maschera.
Richard Decker e Kristjan Johannsson
Il Tamburmaggiore,
amante di Marie
L
a voce del Tamburmaggiore sarà quella di Richard Decker
(19, 21 ottobre) e Kristjan Johannsson (20, 23, 24 ottobre).
Richard Decker è nato in Pennsylvania e ha studiato alla
Manhatten School of Music. Ha debuttato come Tamino ne Il flauto magico alla Bronx Opera. Si è perfezionato poi all’Opera Studio
di Zurigo, e da qui è
stato ingaggiato come
Ferrando in Cosi fan
tutte a St. Gallen e
Macerata. Dopo il
debutto come Max in
Freischütz
a
Saarbrucken, ha iniziato la carriera di tenore
eroico, che lo ha visto
debuttare in Tristano,
Die Soldaten, Parsifal,
Otello, Alwa in Lulu.
Kristjan Johannsson, è
nato nella città di
Akureyri
(Islanda),
dove ha iniziato i suoi
studi musicali. È venuto poi in Italia per perRichard Decker
I
l ruolo di Wozzeck sarà interpretato da Jean-Philippe Lafont (19,
20, 24 ottobre) e da Jacek Jan Strauch (20, 23 ottobre). Il baritono
francese Jean-Philippe Lafont è nato a Toulouse nel 1951, dove
ha svolto i suoi studi musicali con Denise Dupleix. Dopo il debutto
nel 1973, è entrato all'Opéra-Studio partecipando a numerose produzioni che lo hanno
condotto sulle più
importanti scene parigine, l'Opéra Bastille e
il Teatro Châtelet, oltre
in importanti teatri
francesi
quali
Le
Capitole di Toulouse,
l’Opera
di
Nizza,
Marsiglia,
Lione,
Montpellier, il festival
d'Aix en Provence e i
Chorégies d'Orange.
Nello stesso tempo il
cantante ha intrapreso
Jean-Philippe Lafont e Janice Baird
una brillante carriera
internazionale. Il suo vasto repertorio comprende grandi titoli
come: Wozzeck, Falstaff, Macbeth, Rigoletto, Gianni Schicchi, Guillaume
Tell, Nabucco,Cristoforo Colombo, oltre che ruoli importanti come
Barak in La Donna senza ombra, Leporello nel Don Giovanni,
Mephistophele ne La Damnation de Faust, Golaud in Pelléas et
Mélisande, Grand Prêtre in Alceste, Thoas in Iphigénie en Tauride,
Tonio in Pagliacci, Hérode in Hérodiade, Sancho-Pança nel Don
Chisciotte, Jack Rance ne La Fanciulla del West, Baron Scarpia in Tosca,
Grand Prêtre in Samson et Dalila, Iokanaan in Salomé, Oreste in
Elektra, Amonasro in Aida, Iago in Otello, Il direttore del teatro in Les
Mamelles de Tirésias, Barnaba ne La Gioconda. In un seondo momento, il cantante ha affrontato inoltre ruoli più drammatici del repertorio francese e italiano, che aderiscono perfettamente alla potenza e
alla flessibilità della sua voce. Con la partecipazione al Festival di
Bayreuth si è imposto anche nei ruoli del repertorio tedesco.
Jacek Jan Strauch è nato a Londra e ha iniziato lo studio del canto,
presso il Queens College di Cambrige, durante gli studi in medicina. Ha debuttato all’Opera Tour di Glydebourne ne La fedeltà premiata. Dopo questo primo ingaggio si è esibito nei teatri di Aachen,
Braunschweig, Klagenfurt, Nürnberg, Dessau, Linz, Saarbrücken in
ruoli classici del repertorio tedesco quali Amfortas, Barak, Wozzeck,
Olandese volante, come pure in ruoli del repertorio italiano come
Jago, Ford, Rigoletto, Conte di Luna. Dal 2001 è ingaggiato
dall’Opera di Graz per i principali ruoli di baritono, nei quali si esibisce nei principali teatri europei.
fezionare la propria tecnica, frequentando il Conservatorio
“Nicolini” di Piacenza. Nel 1988 ha debuttato al Teatro alla Scala
ne I due Foscari, per poi ritornarvi con Adriana Lecouvreur e
L’Olandese Volante, diretto da Riccardo Muti, e con Manon Lescaut.
Nel 1989 ha fatto il suo debutto a Chicago in Tosca, opera in cui ha
cantato, tre anni dopo, anche alla Staatsoper di Vienna; nel 1993,
nel ruolo di Manrico in Trovatore, si è esibito per la prima volta
alla Metropolitan Opera, mentre nel 1994, in Aida, al Covent
Garden di Londra.Tra le opere principali del suo repertorio ci
sono, oltre a quelle già citate, Cavalleria rusticana, Pagliacci,
Gioconda, Otello, Simon Boccanegra, Sansone e Dalila, Norma.
Pagina a cura di Diana Sirianni - Foto Corrado M. Falsini
Wozzeck
6
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il capolavoro di Berg messo
Arte di regime e arte degenerata, du
C
ontrariamente con
quanto avveniva
solitamente per le
opere dei compositori
della Scuola di Vienna (in
un concerto del 1913 la
polizia dovette sedare
la furibonda reazione
del
pubblico)
il
Wozzeck di Alban Berg
riscosse un grande
successo fin dalla
prima del 1925 alla
Staats
Oper
di
Berlino. Replicata in
numerose altre parti
della Germania e all'estero, assicurò al suo
autore una discreta
fama e guadagni
sostanziosi.
Fu con l'avvento del
Nazionalsocialismo, a
partire dal 1935, (lo
stesso anno in cui
morì Alban Berg) che
il Wozzeck ed in generale tutta la musica
della scuola viennese,
venne relegato nel dimenticatoio.
Si trattava infatti per il
regime hitleriano di musica degenerata, per giunta,
nel caso di Berg, scritta
dalla mano di un ebreo.
E' tuttavia paradossale che
il concetto di Entartete
Kunst, Arte Degenerata,
fosse stato teorizzato per
la prima volta alla fine
dell'800 da un ebreo, Max
Nordau, ungherese, co-fondatore dell'Organizzazione
Sionista Mondiale.
Nordau,
seguace
di
Cesare Lombroso, (medi-
co italiano e teorico dell'appartenenza dei criminali a un gruppo ereditariamente degenerato, riconoscibile dai tipici caratteri somatici), sosteneva di
aver riscontrato i segni di
tale degenerazione atavica
nelle opere e nelle figure
di molti artisti a lui contemporanei, soprattutto
simbolisti e impressionisti,
(l'espressionismo non era
ancora nato).
Un'anti-mostra
Il concetto di “arte degenerata” divenne poi di
dominio pubblico con la
grande mostra itinerante
allestita - inizialmente - a
Monaco nel 1937 e inaugurata dal Führer in persona, in cui vennero
esposte 650 opere
cubiste, espressioniste, dadaiste, astrattiste e primitiviste.
Entartete
Kunst,
questo appunto il
titolo, seguiva a
ruota la prima grande esposizione di
arte tedesca, una
mostra
dedicata
all'arte germanica,
certamente funzionale alla propaganda di regime, tuttavia non priva di un
certo vigore formale e
di alcuni eccezionali
talenti, come gli scultori Arno Breker e
Josef Torak.
Entartete Kunst fu
comunque
la
mostra più visitata di quegli anni e
superò di gran
lunga il numero
di visitatori della
mostra sull'arte
germanica, perché un'iniziativa
talmente originale e sconvolgente
come quella di
un'anti-mostra,
richiamava ovviamente una quantità di persone di
gran lunga superiore.
Immaginiamo
oggi un'esposizione - vietata ai
minori - in cui le
opere sono accostate, a titolo di confronto, con le pitture
di pazzi ricoverati in Un'opera di Arno Breker : Die Berufung, la chiamata all'appello
manicomio, oppure
razione e decadenza».
opinione, si può comprenaccompagnate da scritte
Questo era il passo fondadere grazie all'iniziale
sarcastiche del genere
mentale
del
discorso
procomunanza di presuppo«ecco come gli espressionisti
nunciato da Adolf Hitler
sti ideologici e culturali,
vedono i contadini tedeschi».
nel
1935
al
congresso
sulla
figli di una matrice di
Per la storia della museocultura.
stampo borghese e vagalogia si tratta pressoché di
Dopo un primo apprezzamente populista, che iniun unicum, anche perché
mento
delle
avanguardie,
zialmente potevano avvicifu la prima mostra itineanche il ministro della
nare l'Espressionismo al
rante e richiamò oltre due
propaganda
Joseph
Nazionalsocialismo.
milioni di visitatori.
Göbbels si omologò all'iSeppure in nuce, erano
dea hitleriana, intervenencomuni ai due movimenti
La concezione
do
non
solo
sull'arte
ma
la rottura con la tradiziohitleriana dell'arte
anche sulla critica d'arte.
ne, il richiamo all'interioriL'iniziale
simpatia
di
tà più profonda e irrazio«L'arte deve proclamare
Göbbels
verso
nale dell'uomo, la ribellioimponenza e bellezza e quinl'Espressionismo
e
il
suo
ne al peso del passato, la
di rappresentare purezza e
successivo ribaltamento di
ricerca dei responsabili
benessere. Se questa è tale,
allora nessuna
offerta è per essa
troppo grande. E
se essa tale non è,
allora è peccato
sprecarvi un solo
marco. Perché
allora essa non è
un elemento di
benessere, e quindi del progetto del
futuro, ma un
segno di degene- Adolf Ziegler Ritratto di donna 1942
Il
Wozzeck
Giornale dei Grandi Eventi
7
all'indice dal regime Nazista
ue modelli a confronto
Manifesto di Entertete Kunst
della disperata situazione
presente.
Molti artisti “degenerati”
come Emil Nolte, Otto
Dix, Kandiskij, Kokoschka
erano considerati sostenitori del Regime e avevano
firmato il documento pubblico del '34 con cui si
chiedeva il passaggio di
potere
dal
defunto
Hindenburg al cancelliere
Hitler.
Dalla presa del potere, il
Nazionalsocialismo
avrebbe dovuto incarnare
per la Germania la speranza di un radioso futuro,
mentre l'espressionismo
continuava a individuare
angosciosamente, tra i
mostri acquattati all'interno dell'animo umano e tra
quelli latenti nella società,
lo stesso Nazismo.
Un grido angoscioso che
non poteva essere accettato dal Terzo Reich. I pittori astratti contemporanei e
gli espressionisti trasmettevano valori e dis-valori
che avrebbero ostacolato il
ritorno della Germania
alla
supremazia
in
Europa, inquinavano con
le loro rivoluzionarie soluzioni tecniche, la bellezza
fisica e spirituale del vero
tedesco. Secondo Hitler,
che si considerava egli
stesso un artista, l'uso
ardito del colore e di
immagini surreali da
parte di questi pittori era
una distorsione della
natura.
Musica degenerata
Ecco quindi, come naturale corollario, apparire
nel 1938, la mostra «
Entartete Musik », Musica
Degenerata, aperta a
Düsseldorf nel '38 durante le Reichsmusiktage,
(Giornate musicali del
Reich). La manifestazione si scagliava contro il
jazz, (musica negroide) e
contro la Scuola Viennese
e i suoi epigoni.
La dodecafonia non
era la sola forma di
musica sovversiva:
basterebbero i nomi
di
Strawinskij,
Scriabin, Prokofiev,
Bartok, Kodally, ma
senza dubbio essa fu
la forma più elaborata
di rottura con i rassicuranti binari della
tonalità.
Completamente disfunzionale all'esaltazione delle masse, alla
celebrazione del mito
germanico o al semplice e puro divertimento, la musica di
Schöberg, Webern e
Berg, fu definitivamente
bandita.
L'aspra serialità dodeArnold Schoeneberg Autroritratto
cafonica non comunicava armonia, elegandi musica inoffensiva, ad
za ed anche l'ideale di
esempio la musica popopotente classicità prolare, la musica d'uso (o
pugnato in quegli
Gebrauchsmusik), le opeanni. La dissonanza
rette, la musica da ballo e
usata da sempre, per
le marce militari che
esprimere tensione,
favorivano la propaganveniva
utilizzata
da.
sistematicamente dalla
Sembra tuttavia che tra le
dodecafonia per
comunicare
quello
stesso
Urschrein (grido
originario) che i
pittori espressionisti materializzavano sulla tela
con i colori violenti e acidi, le
forme distorte e
grottesche,
la
demolizione
della prospettiva.
La mostra comprendeva, tra le
altre, opere di
Paul Hindemith,
Kurt
Weill,
Hanns Eisler, e
costrinse molti
degli artisti all'emigrazione
o
all'esilio.
Allo
stesso
tempo, la politica culturale del
regime promuoveva la produzione e l'ascolto Georg Grosz: Le colonne della società
forme di musica degenerata un sorta migliore sia
toccata al jazz, la
Affenmusik, musica scimmiesca, come Hitler era
solito definirla.
Un volume di Mike
Zwerin, noto jazzista
americano classe 1930,
documenta, dati alla
mano
come
nell'Europa occupata
dai tedeschi, il jazz
venisse, tutto sommato, ascoltato ovunque:
lo swing era la musica
popolare più diffusa.
Le radio dei Paesi
occupati trasmettevano swing e un gruppo
come i Ghetto Swingers
suonava per i carcerieri nei campi di concentramento di Auschwitz
e Theresienstadt.
Anche nella Varsavia
germanizzata si esibiva uno strano musicista di colore, George
Scott,
e
Django
Reinhardt, uno zingaro, furoreggiava in
Francia. Sembra che
persino Eva Braun,
negli ultimi giorni di
vita, seppellita nel
Fhürerbunker di Berlino,
ballasse al ritmo di
swing.
Andrea Cionci
Wozzeck
8
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Analisi musicale di
Un unicum nel teatro musicale, con una
N
el 1928, rispondendo ad alcune
domande
sul
teatro poste dalla rivista
“Neue Musik-Zeitung”,
Alban Berg affermò che
nel momento in cui decise di scrivere un’opera
non aveva «altro intento
(anche dal punto di vista
tecnico della composizione)
che di dare al teatro quello
che appartiene al teatro, cioè
di articolare la musica in
modo da renderla cosciente,
in ogni istante, del suo
dovere di servire il
dramma». L’affermazione
è importante per capire il
Wozzeck, capolavoro non
solo di Berg, ma punto di
riferimento fondamenta-
le nel teatro musicale del
primo Novecento. Opera
nella quale, non solo la
musica serve il dramma
rifacendosi alle teorie che
erano state addirittura
della Camerata Bardi alle
origini del teatro musicale, ma la partitura si
struttura secondo canoni
particolari che ne fanno
un unicum oltremodo
interessante.
Georg Büchner (1813 –
1837) aveva abbozzato il
suo Woyzeck nel 1836
poco prima della morte.
Un dramma fosco, intenso che rappresentò una
violenta presa di coscienza dell’esistenza, la lucida analisi del proletario
Woyzeck
dominato,
sfruttato, alienato. E’ il
filone espressionista dell’esperienza romantica
ed individuale sviluppato da Büchner in anticipo
sulle
riflessioni
di
Kierkegaard o sulle teorie marxiste.
Berg assistette ad una
rappresentazione
dei
“frammenti drammatici”
del Woyzeck nel 1914 e ne
rimase affascinato, tanto
da decidere di metterli in
scena.
Delle ventisei scene del
testo originale, concepite
da Büchner in una forma
sintetica, Berg ricavò
quindici scene articolate
in tre atti.
La struttura musicale
Alban Berg
L’aspetto decisamente
interessante e originale è
legato alla realizzazione
musicale operata concependo ogni scena come
una forma musicale rigorosamente
definita.
L’architettura generale
dell’opera è riconducibile allo schema A – B – A:
ovvero il I e il III atto, fra
loro corrispondenti per
una sorta “di simmetria
temporale” inquadrano il
II che è il più articolato e
complesso. Il primo atto
comprende cinque scene
che musicalmente sono
una “Suite” (Preludio,
Pavana, Giga, Gavotta e
Aria), una Rapsodia, una
Marcia militare con
Berceuse,
una
Passacaglia (21 variazioni) e un Rondò (Andante
affettuoso). Il secondo
atto propone la struttura
di un’ampia sinfonia in
cinque parti (scene):
Tempo
di
sonata,
Fantasia e fuga (a 3 soggetti), Largo, Scherzo
(Landler-walzer), Rondò
marziale. Infine il terzo
atto si articola in sei
invenzioni, rispettivamente su un tema, sopra
una nota (si), sopra un
ritmo, sopra un accordo,
con un intermezzo in
forma di “invenzione su
una tonalità” e, in chiusura, sopra un movimento regolare di crome
(Perpetuum mobile). Le
forme si configurano
naturalmente come contenitori da riempire con
materiale sonoro nuovo,
che le rilegge da un’angolazione del tutto diversa rispetto al passato.
Così Berg può accostare
materiali popolari (deformati e resi grotteschi) e
frasi più colte in un contesto armonico aggressivo e ispido.
Ad una tale organizzazione strutturale fa
riscontro una vocalità
libera, non strettamente
racchiusa in “formule”,
ma oscillante dalla recitazione
pura,
allo
Sprechgesang al canto
vero e proprio.
A proposito della “declamazione
ritmica”
schoenberghiana
sul
modello del Pierrot lunaire
(significativamente
anche questo strutturato
secondo una successione
di forme storicizzate),
Alban Berg in una caricatura
Berg annotò: «… questo
modo di trattare la voce
(pur conservando inalterate
tutte le possibilità della
forma musicale assoluta che
invece nel “recitativo”, per
esempio, vengono meno)
non solo rappresenta uno
dei migliori mezzi per la
chiarezza della comprensione (anche nell’opera il linguaggio deve avere qua e là
questa funzione), ma arricchisce… la musica operistica di un mezzo espressivo di
grande valore, attinto alle
sorgenti più pure della
musica. In unione con la
parola cantata… esso può
applicarsi a tutte le forme
della musica drammatica…
Per queste possibilità l’opera, più di ogni altra forma
musicale, appare predestinata a mettersi anzitutto al
servizio della voce umana e
ad aiutarla a far valere il
suo buon diritto; diritto che,
negli ultimi decenni di produzione drammatico-musicale era quasi andato perduto…».
La vicenda oscilla, sul
piano emotivo, fra l’angoscia e il grottesco, in
una visione lacerante
della società, attraverso
Il
Wozzeck
Giornale dei Grandi Eventi
9
un capolavoro
sorprendente struttura
l’evidenziazione di caratteri rigorosamente definiti e colti da Berg
mediante una vocalità
particolare.
La molteplicità
linguistica
Così il Capitano con i
suoi acuti aciduli appare
sin dalla prima scena
subdolo e sadico. Merita
un’annotazione il tema
con cui viene presentato
nella prima scena, tema
che mostra un’evidente
somiglianza con il primo
tema della Sesta di
Beethoven.
Wozzeck è inizialmente
obbligato a chinare esclusivamente il capo e pronunciare quasi inespressivamente la formula
“Jawohl,
Herr
Hauptmann” (Certamente,
signor capitano). Altrove
Wozzeck può dare sfogo
alle sue pene con frasi
violente e più articolate,
imponendosi come il
personaggio più soggetto
a metamorfosi nell’arco
dei tre atti. A Maria, la
sua prediletta, Berg riserva slanci melodici più
intensi che rimangono
nell’economia della tragedia autentiche oasi di
teso lirismo.
Nel primo atto appare di
particolare interesse la
quarta scena la passacaglia il cui tema è costruito su una serie dodecafonica che appare all’inizio
come pedale armonico
sulle parole del dottore e
poi ispira le 21 variazioni. Nell’ultima, brevissima, torna armonizzata a
corale in maniera imponente e maestosa ancora
sulle parole del dottore.
Nel secondo atto vale la
pena ricordare la seconda scena in cui una fantasia (e tripla fuga) è
costruita sui tre temi che
avevano caratterizzato il
capitano, il dottore e
Wozzeck già nel primo
tempo. Da notare, nella
scena successiva, l’utilizzo di una formazione
strumentale analoga a
quella
della
Kammersymphonie op. 9
di Schoenberg, mentre
per la scena IV, nell’osteria, Berg prevede oltre
all’orchestra in buca un
gruppo sul palcoscenico
che compone l’orchestra
da ballo: «E’ molto importante – ha annotato – che
si cominci a studiare per
tempo la musica dell’osteria
e non soltanto nella sala di
prova ma anche sul palcoscenico e ciò per il seguente
motivo: bisogna poter prendere una decisione fintantoché non sia troppo tardi,
sull’ampiezza del complesso
strumentale, la quale dipende dal posto sul palcoscenico in cui questa piccola
orchestra verrà collocata e
dall’acustica della sala.
Risulterà chiaro allora
innanzi tutto quanti violini
e quante chitarre siano
necessari: si potranno
aumentare secondo il
bisogno. Una parte speciale spetta alla fisarmonica a manticino
(Akkordeon)…
».
Emerge, in avvio, un
landler, in cui si inserisce una citazione
ironica del tema del
Rosenkavalier walzer
di Richard Strauss.
Nel
terzo
atto,
costruito interamente come una successione di Invenzioni,
merita una segnalazione, nella quinta
(scena I), il ricorso
alla tonalità di fa
minore
in
un
momento in cui
Maria si volge al passato, ricordando.
Alban Berg e Franz Werfel a Venezia nel 1925
L’utilizzo di un episodio tonale dimoall’altro semplicemente
diversi (tonalità, serie
stra la duttilità con cui
sulla base delle proprie
dodecafoniche, momenti
Berg seppe mescolare linesigenze espressive.
puramente espressioniguaggi e climi espressivi
Roberto Iovino
stici), passando da uno
Il compositore ed il suo maestro
Berg e Schönberg: un rapporto difficile
I
l rapporto con Arnold Schönberg rimase centrale e problematico lungo tutta la vita di Alban
Berg. Schönberg divenne per lui una figura
paterna: egli ne desiderava l’approvazione
con la stessa intensità
con cui ne temeva le
critiche, anche molti
anni dopo la fine della
sua
formazione.
Particolarmente difficili in questo senso
furono per Berg gli
anni successivi alla
partenza di Schönberg
per Berlino, nel 1911.
Conscio della propria
inesperienza professionale, Berg era premuto tra la coscienza
del suo debito verso
Schönberg e il bisogno
di asserire la propria indipendenza personale e
artistica.
Il maestro, da parte sua, aveva nei confronti dell’allievo un tono autoritario, perentorio e gli impo-
neva una mole di lavoro amministrativo e musicale a volte così massiccia da impedirgli di dedicarsi
alla composizione delle proprie opere. Nel 1915, la
crescente tensione tra
i due determinò un’interruzione dei contatti, che ripresero solo
una quindicina d’anni
dopo, in modo più
paritario, dopo che
Berg aveva conseguito
una certa fama internazionale con il successo del Wozzeck e la
Lyrische Suite. La relazione continuò tuttavia a essere delicata,
come indica per esempio il fatto che, a differenza di un altro allievo di Schönberg come
Webern, Berg non fu
mai autorizzato a dare del “Tu” al maestro, né gli
fu da lui mai dedicato un lavoro (mentre, al contrario, Berg gliene dedicò quattro).
D. Si.
Wozzeck
10
Il
Giornale dei Grandi Eventi
L’autore del dramma
Il Compositore
Georg Büchner,
eclettico padre del Woyzeck
Alban Berg, una vita segnata
da un grande incontro
L
a vicenda biografica di
Georg Büchner, autore
dell’originario Woyzeck
(nome originale del lavoro), è
particolarmente singolare, a
cominciare dall’ecletticità degli
interessi che la dominarono:
laureato in medicina, Büchner
era animato da una grande passione politica che lo portò ad
avere problemi con le
autorità
tedesche ed
ad espatriare,
prima
verso
la
Francia, poi
in Svizzera.
Docente di
biologia,
portò nello
stesso tempo
avanti l’attività letteraria e nonostante il suo
isolamento
nei confronti
della
vita
letteraria tedesca
del
tempo (siamo Georg Büchner, stampa
tra il secondo
e il terzo decennio dell’Ottocento), giunse ad elaborare
delle opere drammatiche d’eccezionale originalità, che esulano da ogni modulo e convenzione letteraria tradizionale, la
cui modernità e affinità con la
poetica espressionista furono
riconosciute solo molti anni
dopo la morte dell’autore.
Sembra quasi impossibile pensare che tanta energia e tante
ricerche si consumarono nell’arco di appena ventiquattro
anni di vita: tale era l’età dello
scrittore quando, nel 1837, una
febbre tifoide ne troncò all’improvviso l’esistenza.
Ma cominciamo dall’inizio:
Büchner nacque il 17 ottobre
1813 a Goddelau, presso
Darmstad, nella regione tedesca dell’Assia. Nel 1831 iniziò
lo studio universitario in medicina a Strasburgo (il padre voleva per lui un’educazione francese), dove passò due anni felici, durante i quali iniziò una
relazione amorosa con Minna
Jaeglé ed entrò a far parte di
un’associazione per i diritti dell’uomo di matrice robespierriana. Tornato in Germania per
terminare gli studi, fondò a sua
volta un’associazione e nel 1836
redasse un violento libello clandestino, Il messaggero dell’Assia,
nel quale incoraggiava le masse
contadine alla sollevazione
a r m a t a
(«Pace
alle
capanne, guerra ai palazzi!»,
era il suo
grido di battaglia).
La
vicenda ebbe
però un esito
drammatico:
un suo collaboratore, il
pastore F.L.
Weidig,
fu
arrestato
e
dopo tre anni
di carcere preventivo si suicidò.
Per sottrarsi
all’arresto, a
Büchner non
rimase altra
scelta che l’esilio. Per procurarsi il denaro
necessario alla fuga, si accinse
alla scrittura di un dramma, e
mantenendo un ritmo di lavoro
forsennato, nascosto nella casa
paterna, produsse la sua prima
opera importante, intitolata
Dantons Tod, realizzata nel giro
di appena cinque settimane. Lo
stesso anno produsse un altro
scritto, la novella Lenz, mentre
nell’anno successivo la commedia satirica Leonce e Lena.
Una volta tornato a Strasburgo
dalla fidanzata, Büchner si
dedicò alla scienza e scrisse una
dissertazione sul sistema nervoso dei pesci che gli valse riconoscimenti significativi e l’offerta di una libera docenza a
Zurigo nell’ottobre 1836. Già
prima del trasferimento nella
città svizzera, lo scrittore aveva
iniziato la stesura del suo capolavoro Woyzeck, che rimase
incompiuto (pubblicato postumo nel 1879) a causa della sua
morte drammaticamente precoce, il 19 febbraio 1837.
N
essuno, conoscendo
nei suoi primi anni di
vita Alban (Maria
Johannes) Berg (Vienna 18851935), figlio di un commerciante di Norimberga trapiantatosi
nella
Capitale
dell’Impero, avrebbe immaginato di avere a che fare con
uno dei più grandi compositori del XX
secolo. Fu,
infatti, probabilmente
solo
l’incontro
di
Berg
con
A r n o l d
Schönberg,
avvenuto
quando egli
aveva diciannove anni, a
determinarne il destino di musicista.
Prima
di
tale incontro, Berg si
era dilettato di musica:
dalle Alban Berg
sue governanti aveva imparato a suonare il piano, amava scrivere
canzoni da eseguire nel circolo familiare; tuttavia, pur
essendo affascinato dalla
musica, non ne era poco più
che un entusiastico amatore.
Nella prima parte della sua
gioventù, Berg era assorto in
preoccupazioni diverse dalla
musica: dal pensiero della
scuola, per esempio, presso
cui ebbe una carriera disastrosa (tanto che dovette
ripetere due anni prima di
passare gli esami); oppure,
dai problemi nati dalla sua
relazione precoce con Maria
Scheuchl, l’aiuto-cuciniera
della famiglia, che ebbe come
risultato di farlo diventare,
diciassettenne, padre di un
figlio illegittimo.
Nel 1904, quando, lavorando
come contabile presso il
Comune, cominciò a prendere
lezioni
da
Arnold
Schönberg, la vita di Berg fu
improvvisamente rivoluzio-
nata. Iniziò per lui una fase di
studio intensissimo e di rapidi progressi, durante la quale
divenne il pupillo del grande
maestro viennese. E se in un
primo momento fu costretto a
lavorare per mantenersi, dal
1906 una cospicua eredità gli
permise di dedicarsi completamente alla musica.
Gli anni di
formazione
di
Berg
coincisero
con uno dei
periodi più
vitali della
vita culturale di Vienna.
C’era nell’aria una
vera e propria febbre
d’avventura: si cercavano
le
novità,
la
sperimentazione, anche
la più stravagante e
inusuale. E
Berg si calò
del tutto in
questo clima elettrizzante,
entrando a contatto con le
figure più importanti e innovatrici dei circoli artistici di
Vienna: da Zemlinsky e
Schreker, a Peter Altenberg,
Gustav Klimt, Karl Kraus,
Adolf Loos. Alla fine del 1906
conobbe
anche
Melene
Nahowski, che, dopo un difficile corteggiamento a causa
dell’opposizione della famiglia di lei, diventò sua
moglie.
Il legame con Vienna durò
per tutta la vita del musicista,
che non cambiò città né quando l’accademia di Berlino gli
offrì una cattedra di composizione, né quando, nel 1933,
l’ascesa al potere del nazionalsocialismo rese le sue condizioni economiche molto
precarie. Morì due anni dopo,
il 24 dicembre 1935, per una
infezione generata da un
ascesso mal curato
(Pagina a cura di Diana Sirianni)
Il
Cultura
Giornale dei Grandi Eventi
11
Fino al 17 febbraio
Il teatro dell’antica Roma in mostra al Colosseo
I
mpossibile trovare
una sede migliore per
allestire “In Scæna” la
nuova mostra promossa
dalla Soprintendenza
Archeologica di Roma,
- era quella di proporre delle
icone anche molto note,
spiegandole non come
reperti archeologici, bensì
come testimonianze parlanti della storia del teatro».
no ugualmente reperti di
grande interesse.
E' il caso di Lipari, da
cui proviene una collezione di piccole maschere, una sorta di «presepe» costituito da statuine di una stessa commedia. Il fatto che fossero
fabbricate industrialmente - con delle formelle - e che fossero
state ritrovate in una
tomba, dimostra come il
teatro
fosse
amato
appassionatamente dai
romani.
Divertimento popolare
Maschera romana di vecchia, proveniente dal Teatro di Marcello- I sec. A.C.
sulla storia del teatro
romano.
Ospitata nel Colosseo,
sotto gli archi del primo
ordine, la mostra, inaugurata il 3 ottobre,
resterà aperta fino
al 17 febbraio
2008. Una settantina di opere
importanti ripercorrono una storia
millenaria, dalla
comparsa a Roma
degli istrioni etruschi (364 a. C), fino
alla rovina degli
edifici
teatrali
durante le invasioni
barbariche del VI
secolo d.C.
Nove secoli di pratica teatrale: coloratissime
scenografie,
danze, musica e sensuale divertimento di
massa. Dalla mostra
viene fuori un mondo
ben lontano dalla sobria
e statica compostezza
tramandataci dall'idea
winkelmanniana della
classicità.
«La mia idea - spiega il
curatore, Nicola Savarese
I pezzi più prestigiosi
appartengono al Louvre,
ai Musei Vaticani, a
grandi musei italiani
come Napoli e Taranto,
ma anche a musei più
piccoli che offro-
Vaso attico a figure rosse di
Pronomos. V sec. A.C.
Il teatro era l'unica fonte
di divertimento pubblico disponibile, destinato
anche ai cittadini onesti,
ai giovani e alle donne.
Tuttavia gli attori, le
danzatrici, i mimi e
tutto il personale che
ruotava intorno al teatro, era ritenuto “infame”, nell'accezione giuridica che significava
“colui che non aveva parola”.
Agli attori era
impedito l'accesso
alla
carriera
militare e politica, tuttavia,
soprattutto nel
periodo imperiale, il pubblico li idolatrava
e gli imperatori
cercavano
di
carpire loro i
segreti
della
comunicazione
di massa.
Alle statuine di
Lipari si ispira la
ricostruzione
filologica delle
antiche maschere
degli attori, uno
dei pezzi più originali della mostra.
Coprivano tutta la
testa e riproducevano
caricature dai modelli
canonici: il servo scaltro, il vecchio sciocco, il
giovane innamorato, la
vecchia intrigante.
Alcune maschere pre-
Monumento funerario con danzatrici di Età imperiale
sentano due espressioni
diverse per ogni metà
della faccia, in tal modo
l'attore, girandosi a
destra o a sinistra poteva mettere in evidenza
una delle due espressioni.
La maschera combatteva se stessa, la propria
staticità. La tensione
dinamica promanata dal
teatro si ritrova anche in
un massiccio monumento funerario, pesante 5
tonnellate, introno a cui
volteggiano vere e proprie danzatrici, (non le
classiche Menadi) i cui
pepli leggeri si gonfiano
d'aria nel movimento.
Ancora una volta il teatro porta linfa vitale nei
luoghi della morte e dell'immobilità.
A teatro come
allo stadio
E poi ecco l'anfiteatro,
denso di spettatori
rumorosi, privo di servizi igienici, con un
atmosfera molto più
simile allo stadio di oggi
che non al silenzioso
golfo mistico dei teatri
moderni.
Dai grandi teleri di stof-
fe da cui filtrava la luce
scomposta in tutti i
colori dell'iride, piovevano spruzzi di acqua
di rose per mitigare il
lezzo della folla. La
musica accompagnava
le
rappresentazioni,
avvalendosi di strumenti dal suono penetrante
come le tibiae, o crepitante come le nacchere e
i cimbali. Affascinante il
modello esposto di un
organo a mantici rinvenuto ad Aquincum
(periferia di Budapest)
che riproduce lo strumento con cui il decurione Viatorino faceva
accompagnare gli spettacoli
nell'anfiteatro
della sua Città.
Mentre sulla letteratura
drammatica latina si
dispone di fonti abbondanti, sugli aspetti più
pratici e quotidiani dei
ludi scaenici vi è un fitto
velo a causa della carenza di documenti. La
mostra “In Scæna” riesce
a far comprendere l'importanza del patrimonio
culturale del teatro
romano e al tempo stesso la vastità delle conoscenze perdute.
Andrea Cionci
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