Anno XIII - Numero 71 - 19 ottobre 2007 Le Interviste Parlano il direttore Gelmetti Ed il regista Del Monaco A Pag 2 Storia dell’Opera Un lavoro nato di getto dopo averlo visto in teatro A Pag 4 Due generi a confronto Arte di Regime ed Arte Degenerata A Pag 6e7 Analisi Musicale Un Unicum nel teatro musicale A Pag 8e9 WOZZECK di Alban Berg Wozzeck 2 Il Per il direttore Gianluigi Gelmetti ed il regista Giancarlo Del Monaco a Roma. Senza nessun riferimento politico, questo fatto evidenzia come anche tra le dittature vi siano differenze. Per la scenografia ho concepito un palcoscenico molto inclinato, con una pendenza del 30%. Diverse botole sostituiranno le quinte per gli ingressi in scena; gli interludi orchestrali saranno illuminati da una linea rossa luminosa realizzata in fibra ottica da Wolfgang von Zoubek, che cura le luci. L'impianto, decisamente espressionistico, vuol essere simbolo di un viaggio verso l'inferno di gente semplice, su cui viene esercitata ogni tipo di violenza.». A. Ci. «Wozzeck è ormai un grande classico» T orna dopo un'assenza ultra-trentennale il capolavoro di Alban Berg, Wozzeck, da alcuni definito la Cavalleria Rusticana del Nord Europa, per l'ambientazione e i personaggi popolari, carichi di cupa disperazione. L'opera in tre atti, è ispirata al dramma Woyzeck di George Buechner e racchiude tutta la sofferenza dell'uomo contemporaneo, distaccandosi tuttavia dal modello postwagneriano. Ciascun atto è formato da cinque scene alle quali corrispondono altrettante forme musicali barocche o classiche, 16 in tutto, con l'aggiunta di un interludio nel terzo atto. Il libretto è sconvolgente e profetico, in quanto è stato scritto nel primo Ottocento, ma riporta una trama che è assolutamente novecentesca e che conserva ancora intatta una sorprendente modernità. Una vicenda noir di miseria e disperazione. La composizione dell'opera fu portata a termine nel 1922 e la partitura è dedicata ad Alma Gianluigi Gelmetti Mahler, la compositrice e pittrice moglie di Gustav Mahler. La prima rappresentazione assoluta ebbe luogo nel 1925 alla Staatsoper di Berlino e riscosse notevole successo, fin quando, con l'avvento del regime nazista, l'opera fu messa al bando, in quanto ritenuta espressione di musica degenerata. Fu il Reale Teatro dell'Opera di Roma nel 1942, a mettere in scena la prima italiana di Wozzeck, con Tito Gobbi nel ruolo del titolo e Gabriella Gatti nel ruolo di Marie, diretti da Tullio Serafin. Nella produzione del '64 il direttore era Fernando Previtali e il regista Aurel Milloss, mentre, l'ultima mise en ~ ~ La Copertina ~ ~ Marc Chagall - Il soldato che beve (Le Soldat boit), 1911-12 Olio su tela, 94,6 x 109,2 cm. Solomon R. Guggenheim Museum, New York Il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa Tipografica Renzo Palozzi Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Le fotografie sono realizzate in digitale con fotocamera Kodak Easyshare V705 Visitate il nostro sito internet www.giornalegrandieventi.it dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale scène risale alla stagione 1973-74, con Nino Sonzogno e Virginio Puecher. Per dirigere questo gradito ritorno, sale sul podio il maestro Gianluigi Gelmetti, mentre scene e costumi sono firmati da Giancarlo Del Monaco. Il ruolo del protagonista è affidato a due baritoni, il francese Jean-Philippe Lafont e l'inglese Jacek Jan Strauch. «Nella mia carriera - spiega il M° Gelmetti - mi sono dedicato spesso alla musica contemporanea, ho diretto molte prime assolute. Per la mia generazione Wozzeck è sempre stato un simbolo della modernità, di un modo nuovo di affrontare la musica. L'ho diretto diverse volte, ma oggi confrontandomi con la giovane orchestra del Teatro dell'Opera, (sono tutti tra i 35 e i 40 anni), mi sono reso conto che è ormai divenuto un classico del nostro tempo. L'orchestra “canta”, infatti, con naturalezza la difficile partitura del Wozzeck, senza avvertire nessuna astruseria melodica e senza stupirsi delle innovazioni introdotte da Berg. Riesco a capire Berg quando scrisse di come non fosse nelle sue intenzioni riformare la struttura artistica dell'opera. Di fatto questo è avvenuto, ma la sua volontà era soprattutto quella di inventare bella musica per un grande teatro». «Pur non avendo mai fatto Giornale dei Grandi Eventi Wozzeck - racconta il regista Giancarlo Del Monaco - è un'opera che conosco bene, anche per aver vissuto e lavorato quasi sempre in Germania. A detta di molti sono un regista latino troppo tedesco e un regista tedesco troppo latino, ma questo «meticciato» mi piace. Credo che le due scuole, benché molto diverse, abbiano degli importanti punti di contatto. E' interessante notare come Wozzeck, censurato in Germania dal regime, in pieno 1942 si sia potuto rappresentare con successo I prossimi titoli della Stagione 2007 al Teatro Costanzi 27 Novembre - 2 Dicembre MOSÈ IN EGITTO Direttore Interpreti di Gioachino Rossini Antonino Fogliani Michele Pertusi, Giorgio Surian, Anna Rita Taliento, Stefano Secco 21 - 30 Dicembre LA VEDOVA ALLEGRA di Franz Lehàr Daniel Oren Fiorenza Cedolins, Vittorio Grigolo, Markus Werba Direttore Interpreti ~~ La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 19 - 24 ottobre 2007 WOZZECK opera in tre atti tratta dal dramma Woyzeck di Georg Büchner Libretto e Musica di Alban Berg Maestro concertatore Gianluigi Gelmetti e Direttore Maestro del Coro Andrea Giorgi Regia, Scene e Costumi Giancarlo Del Monaco Disegno Luci Wolfgang von Zoubeck Personaggi / Interpreti Wozzeck (Bar) Jean-Philippe Lafont (19, 21, 24)/ Jacek Jan Strauch (20, 23) Marie (S) Janice Baird (19, 21, 24)/ Eilana Lappalainen (20, 23) Tamburmaggiore (T) Richard Decker (19, 21)/ Kristjan Johannsson (20, 23, 24) Andres (T) Alexander Kaimbacher Capitano (T) Pierre Lefebvre (19, 20, 21, 24)/ Patrizio Saudelli (23) Dottore (B) Francesco Facini Primo artigiano (B) Nikolay Bykov Secondo artigiano (Bar) Cesare Ruta Il pazzo / Un soldato (T) Federico Lepre Margret (C) Natascha Petrinsky Il figlio di Marie Carlo Maria Zanetti Mimo Andrea Muscas ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Coro di Voci Bianche dell’ARCUM diretto da Paolo Lucci Nuovo Allestimento Il Wozzeck Giornale dei Grandi Eventi T ratto dal Woyzeck che George Büchner scrisse nel 1836, il capolavoro di Alban Berg, che ne modificò leggermente il titolo in Wozzeck, torna al Teatro dell'Opera dopo più di trent'anni, dove ebbe la sua prima rappresentazione italiana nel 1942. Il successo riportato fece ventilare la possibilità di rappresentarlo anche l'anno successivo, ma poi non si replicò. Wozzeck ritornò a Roma nel 1963-64 diretto da Fernando Previtali, poi nella stagione 1973-74 con Nino Sonzogno e Virginio Puecher. L'opera è considerata uno dei capolavori del Novecento. Vi sono state riconosciute le radici della musica moderna e, insieme a l'Histoire du soldat di Igor Strawinskij e ad alcuni lieder di Gustav Mahler, è considerato il punto di partenza di un filone antimilitarista che si svilupperà nel corso del Novecento anche nella musica leggera. La cupa vicenda guarda ad un emarginato, un miserabile soldato schiacciato dalle angherie della società, che corre verso la propria autodistruzione divenendo prima un assassino e poi un suicida. L'allucinata vicenda esprime una tensione continua grazie alla sospensione della musica fra tonalità e atonalità, che utilizza la dodecafonia schoenberghiana, senza irrigidirla in una fredda serialità. Si colgono nella musica echi di Richard Strauss, Gustav 3 Mahler e perfino della musica di Giacomo Puccini. Dopo aver diretto La Traviata di Verdi, a maggio, torna protagonista sul podio il maestro Gianluigi Gelmetti. Il noto regista Giancarlo Del Monaco, figlio del grande tenore Mario, firma la regia, le scene ed i costumi. Il disegno luci è stato curato da Wolfgang von Zoubek. La cupa vicenda che anticipò i drammi del Novecento ATTO PRIMO - Primo quadro - Il Capitano, come ogni mattina, si fa radere dall’attendente Wozzeck, dissertando sul tempo e l’eternità: «non è morale – dice avere un figlio senza la benedizione della Chiesa, com’è successo a te». Il povero soldato risponde che Gesù ha detto: «Lasciate che i pargoli vengano a me» e che sarebbe bello esser virtuosi, ma la virtù non è per i poveri: «per noi va male in questo mondo e nell’altro; credo che se andassimo in cielo ci toccherebbe lavorare a fare i tuoni». Secondo quadro – Wozzeck ed il suo amico Andreas raccolgono legna in campagna per il Capitano. Wozzeck è colto da allucinazioni ed è convinto della presenza di un maligno. Invano Andres cerca di distrarlo, mentre tamburi lontani danno il segnale del rientro in caserma. Terzo quadro – Dalla finestra della sua stanza Marie, la compagna dalla quale Wozzeck ha avuto un figlio, guarda con entusiasmo la banda militare che sfila e soprattutto è colpita dal Tamburmaggiore, provocando il sarcasmo della sua amica Margreth. Arriva Wozzeck, ancora in preda alle sue visioni. Si fa aprire la finestra da Marie e quindi corre via senza neppure guardare il bambino. Quarto quadro – Nello studio del Dottore Wozzeck risponde al medico - per il quale, dietro compenso, fa da cavia nutrendosi solo di fagioli - cercando di convincerlo della sua latente follia. Il Dottore lo sorprende ad orinare e lo rimprovera: l’uomo, sentenzia, è dotato di libero arbitrio e dunque deve riuscire a dominare lo stimolo. Ma poi riscontra in Wozzeck i turbamenti della recente allucinazione e se ne rallegra: la scienza se ne gioverà. Quinto quadro - Sulla strada, Marie incontra il Tamburmaggiore, il quale accortosi dell’interesse della donna, si fa avanti. Marie dopo i primi approcci, ai quali tenta di resistere, cede. Wozzeck ed i due si alleano contro il nuovo obiettivo. Sanno del tradimento di Marie e fanno pesanti ironie. Wozzeck fugge, adirato. Terzo quadro - Wozzeck affronta la donna e sta per picchiarla, ma lei lo ferma dicendo: «Meglio un coltello nelle carni che le tue mani su di me!». «Meglio un coltello?», ripete lui. Quarto quadro - Davanti ad una osteria si balla. Wozzeck vi sorprende Maria e il Tamburmaggiore abbracciati ed ha l’impulso di ucciderli. Wozzeck pronuncia fra se frasi minacciose ed ad un tratto gli si avvicina un pazzo dicendo: «Sento odore di sangue». Wozzeck risponde con un grido allucinato: «Sangue ! Sangue!». Quinto quadro – Nella camerata dopo che Wozzeck ha confidato ad Andreas il ricordo torturante di Marie con l’amante, entra il Tamburmaggiore, che oltre a vantare la sua conquista, invita Wozzeck a bere con lui per festeggiare. Scoppia una rissa e Wozzeck ha la peggio. La Trama ATTO SECONDO - Primo quadro - Marie si guarda in uno specchio rotto: ha un paio d’orecchini, dono del Tamburmaggiore e pensa che potrebbe esser bella come una gran dama, se non fosse per la miseria. Wozzeck entra ed alla vista degli orecchini, che Marie dice di aver trovato, si insospettisce. Non è convinto, ma si intenerisce alla vista del bambino addormentato. Nell’uscire lascia a Maria i pochi soldi della paga. Secondo quadro – In strada s’incontrano il Dottore e il Capitano. Il medico, ostinato nel considerare gli uomini come pretesti alla sua scienza, perseguita l’altro con macabri scherzi, pronosticandogli a breve un’apoplessia. Passa ATTO TERZO - Primo quadro – Nella sua stanza Marie sfoglia pensierosa la Bibbia. La sua attenzione cade su un brano dedicato a Maria Maddalena peccatrice e chiede al cielo pietà. Guarda con tenerezza il bambino e pensa a Wozzeck, che da due giorni non si fa vedere. Secondo quadro – Giorni dopo, Wozzeck conduce Marie fuori città, sulla riva di un canale. Rievoca il loro passato con amare ironie che Maria non comprende. Wozzeck all’improvviso le affonda il coltello in gola e se ne va. Terzo quadro – In una osteria, dove giovani e prostitute ballano la polka, Wozzeck beve, canta ed invita Margreth a sedersi sulle sue ginocchia. Le macchie di sangue sui vestiti richiamano l’attenzione della gente. Il suo viso stravolto impaurisce tutti e così egli può fuggire indisturbato. Quarto quadro - Wozzeck torna sulla riva del canale per cercare il coltello che ha lasciato cadere, inciampando nel cadavere di Marie. Finalmente trova l’arma del delitto e la getta nel canale. Ma il lancio è corto e temendo che qualcuno possa trovarlo, entra in acqua per lavare anche le macchie di sangue sul vestito, ma annega. Il Dottore e il Capitano passando odono un gemito, si fermano, ma non sentendo altro s’allontanano. Quinto quadro - Il figlio di Marie gioca in strada con altri bambini. Uno di questi gli dice: «Tua madre è morta!». Ma il bambino non capisce la tragedia e continua a giocare col suo cavalluccio di legno. 4 Wozzeck Il Giornale dei Grandi Eventi Storia dell’Opera Un lavoro nato di getto, dopo la folgorazione di quel testo teatrale di Büchner, così straordinario «H o visto il Woyzeck prima della guerra e ne ho riportato un’impressione così straordinaria che subito (anche dopo averlo rivisto) ho preso la decisione di porlo in musica. Non è solo il destino di quest’uomo sfruttato e perseguitato da tutti che mi tocca tanto da vicino, ma anche l’inaudito clima espressivo delle singole scene». In questa affermazione dell’agosto del 1918, Alban Berg torna con la mente al maggio del 1914, alla Residenzbühe di Vienna (futura Wiener Kammerspiele), dove aveva appena assistito alla messa in scena del Woyzeck di Georg Büchner, scritto nel 1836 e rappresentato, postumo, per la prima volta a Monaco l’8 novembre 1913. Lo scrittore tedesco aveva lavorato agli incompiuti frammenti della sua opera tra l’autunno e l’inverno del 1836, fino alla sua morte improvvisa, avvenuta il 19 febbraio del 1837. La storia riprende un fatto di cronaca nera, un caso medicogiudiziario, di cui fu protagonista Johann Christian Wozzeck, barbiere di Lipsia, condannato a morte per l’omicidio della sua amante, la vedo- va Woost, il 21 giugno 1821. Dopo la rappresentazione a Vienna dell’opera di Büchner, con l’interpretazione di Albert Steinrück, Berg rinunciò senza esitazione ad alcuni, vaghi, progetti che aveva in mente (aveva pensato soprattutto a Strindberg) e mise subito mano al nuovo lavoro. L’inizio del primo conflitto mondiale, però, rallentò la stesura, poiché il compositore fu arruolato, nell’agosto del 1915, in un reggimento di stanza a Vienna, per poi essere trasferito al campo di addestramento di Bruck an der Leitha, dove la sua salute non resse al trattamento troppo (e inutilmente) duro. Ricoverato in un ospedale militare e rimandato a Vienna, fu impiegato presso il Ministero della guerra fino alla fine del conflitto. Non ebbe modo di dedicarsi alla sua composizione, anche per la profonda prostrazione morale in cui si trovava. In una lettera del 7 agosto 1918 scrisse alla moglie Helene Nahowski: «Nel personaggio di Wozzeck c’è qualcosa che ricorda me in questi anni di guerra, dipendente come lui da gente odiosa, vincolato, malato, prigioniero, rassegnato e umiliato». Nell’immediato dopoguerra, Berg fu coinvolto nelle attività dell’”Associazione per le esecuzioni musicali private”, fondata da Schönberg alla fine del 1918, che tolse altro tempo alla stesura del Wozzeck. Per questo motivo, nel 1921, chiese di essere esonerato dai suoi incarichi, per dedicarsi esclusivamente a concludere l’opera, idea con la quale si trovò d’accordo anche il suo maestro, che affermò di essere rimasto «grandemente sorpreso quando questo giovane timido e dolce ebbe il coraggio di impegnarsi in una avventura che mi sembrava destinata all’insuccesso: comporre Wozzeck, un dramma di così straordinaria tragicità che mi sembrava proibitivo per la musica». Berg sosteneva che il lavoro al libretto e alla musica non potevano essere separati, poiché doveva adeguare di volta in volta il testo alle sue invenzioni formali e drammaturgiche, che potevano portare a trasposizioni e modifiche anche consistenti. Georg Büchner anziano Per la stesura egli seguì l’edizione che dei frammenti dell’opera di Büchner fece, per la prima volta nel 1879, l’editore Emil Franzos, (il quale lesse male il nome del protagonista, rimasto Woyzeck fino all’edizione di Georg Witkowski del 1920), e che fu utilizzata anche da Paul Landau per la sua edizione del 1909, conosciuta anche da Berg con il lavoro su un volumetto della Insel Verlag di Lipsia, stampato nel 1913. E’ vero che i primi schizzi del Wozzeck erano pronti già nei primi mesi del 1915 e che il compositore non vi mise più mano fino al 1917 ma, secondo la cronologia ricostruita da Ernst Hilmar, il libretto, nel 1918, non era ancora pronto. Tra 1919 e 1920 furono scritti il I e gran parte del II atto, che aveva nella quarta scena la sua parte più difficile, mentre la strumentazione si protrasse fino all’aprile del 1922. Il problema divenne, poi, individuare un finanziatore per la messa in scena. In questo Berg trovò un grande aiuto in Alma Mahler, la vedova di Gustav, alla quale l’opera è dedicata. Nel giugno del 1924 furono eseguiti alcuni brani del Wozzeck in forma di concerto e fu un grande trionfo, che convinse il direttore musicale della Staatoper di Berlino, Erich Kleiber, a portarla in scena integralmente. Scrive Berg alla moglie il 12 novembre del 1925, poco prima del debutto: «La distribuzione dei ruoli è splendida. Schützendorf, il migliore di Berlino, la Johanson, una bravissima e giovanissima danese, la Koettrik (Margret), Soot, un vero tenore eroico, il medico, a vederlo, non sembra tanto bravo come caratterista, ma ha una voce bellissima. Posso essere contento. Non avrei mai creduto di essere compreso tanto bene, sia come musicista che come scrittore drammatico, come è successo con Kleiber. Le scene sono magnifiche». Il 1925 fu un anno turbolento per il teatro berlinese, che vide le dimissioni del suo amministratore generale, Max von Schillings ed il conseguente schierarsi di stampa ed opinione pubblica, anche a scapito di Kleiber. Il direttore, però, ebbe l’appoggio di orchestra e artisti e la prima del Wozzeck, il 14 dicembre, fu un grande successo di critica e di pubblico, già previsto dal compositore ai primi del mese, sempre in una lettera alla moglie: «Tra il personale e l’orchestra non si nota avversione. Al contrario! Tutti sentono molto la forza della sua personalità. Voler rinunciare per paura ad una rappresentazione di Kleiber, Schützendorf, di quest’orchestra, con questa regia, sarebbe una pazzia». Dopo il trionfo berlinese, Wozzeck venne rappresentato in altri teatri tedeschi nel 1927 e 1928, a Praga (1926), Leningrado (1927), Oldenburg (1929), prima di essere vietato in Germania, dal regime nazionalsocialista, nel 1933, per arrivare al Teatro dell’Opera di Roma solo nel 1942. Marta Musso Il Giornale dei Grandi Eventi Wozzeck 5 Janice Baird e Eilana Lappalainen Jean-Philippe Lafont e Jacek Jan Strauchh Marie, moglie di Wozzeck Wozzeck, povero soldato P resteranno la voce a Marie le cantanti Janice Baird (19, 21, 24 ottobre) e Eilana Lappalainen (20, 23 ottobre). Janice Baird è uno dei principali soprano drammatici di oggi, soprattutto per quanto riguarda l’interpretazione delle grandi eroine di Wagner e di Strauss. Tra i suoi ruoli più importanti: Brunhilde, Elektra, Salome, Arianna a Nasso, Ortrud nel Lohengrin, Isolde, Leonora nel Fidelio, Turandot, Minnie ne La Fanciulla del West e Lady Macbeth. Eilana Lappalainen, di origine finnico-canadese, canterà all’Opera di Roma per la prima volta, interpretando un ruolo che ha già consolidato presso la New Israeli Opera e la Opera Bellas Artes. Il soprano è una delle migliori interpreti della Salome di Strauss. Il suo repertorio include, oltre a ciò, Janice Baird Minnie in La fanciulla del West, Rosalinda in Die Fledermaus, Maddalena in Andrea Chenier, Elsa in Lohengrin, the Marschallin in Der Rosenkavalier, Santuzza in Cavalleria rusticana, Nedda in Pagliacci, e i ruoli-titolo Lulu, Jenufa, Madama Butterfly e Tosca. Il suo vasto repertorio verdiano comprende ruoli quali Violetta ne La traviata, Giovanna D’Arco, Amelia in Un ballo in maschera. Richard Decker e Kristjan Johannsson Il Tamburmaggiore, amante di Marie L a voce del Tamburmaggiore sarà quella di Richard Decker (19, 21 ottobre) e Kristjan Johannsson (20, 23, 24 ottobre). Richard Decker è nato in Pennsylvania e ha studiato alla Manhatten School of Music. Ha debuttato come Tamino ne Il flauto magico alla Bronx Opera. Si è perfezionato poi all’Opera Studio di Zurigo, e da qui è stato ingaggiato come Ferrando in Cosi fan tutte a St. Gallen e Macerata. Dopo il debutto come Max in Freischütz a Saarbrucken, ha iniziato la carriera di tenore eroico, che lo ha visto debuttare in Tristano, Die Soldaten, Parsifal, Otello, Alwa in Lulu. Kristjan Johannsson, è nato nella città di Akureyri (Islanda), dove ha iniziato i suoi studi musicali. È venuto poi in Italia per perRichard Decker I l ruolo di Wozzeck sarà interpretato da Jean-Philippe Lafont (19, 20, 24 ottobre) e da Jacek Jan Strauch (20, 23 ottobre). Il baritono francese Jean-Philippe Lafont è nato a Toulouse nel 1951, dove ha svolto i suoi studi musicali con Denise Dupleix. Dopo il debutto nel 1973, è entrato all'Opéra-Studio partecipando a numerose produzioni che lo hanno condotto sulle più importanti scene parigine, l'Opéra Bastille e il Teatro Châtelet, oltre in importanti teatri francesi quali Le Capitole di Toulouse, l’Opera di Nizza, Marsiglia, Lione, Montpellier, il festival d'Aix en Provence e i Chorégies d'Orange. Nello stesso tempo il cantante ha intrapreso Jean-Philippe Lafont e Janice Baird una brillante carriera internazionale. Il suo vasto repertorio comprende grandi titoli come: Wozzeck, Falstaff, Macbeth, Rigoletto, Gianni Schicchi, Guillaume Tell, Nabucco,Cristoforo Colombo, oltre che ruoli importanti come Barak in La Donna senza ombra, Leporello nel Don Giovanni, Mephistophele ne La Damnation de Faust, Golaud in Pelléas et Mélisande, Grand Prêtre in Alceste, Thoas in Iphigénie en Tauride, Tonio in Pagliacci, Hérode in Hérodiade, Sancho-Pança nel Don Chisciotte, Jack Rance ne La Fanciulla del West, Baron Scarpia in Tosca, Grand Prêtre in Samson et Dalila, Iokanaan in Salomé, Oreste in Elektra, Amonasro in Aida, Iago in Otello, Il direttore del teatro in Les Mamelles de Tirésias, Barnaba ne La Gioconda. In un seondo momento, il cantante ha affrontato inoltre ruoli più drammatici del repertorio francese e italiano, che aderiscono perfettamente alla potenza e alla flessibilità della sua voce. Con la partecipazione al Festival di Bayreuth si è imposto anche nei ruoli del repertorio tedesco. Jacek Jan Strauch è nato a Londra e ha iniziato lo studio del canto, presso il Queens College di Cambrige, durante gli studi in medicina. Ha debuttato all’Opera Tour di Glydebourne ne La fedeltà premiata. Dopo questo primo ingaggio si è esibito nei teatri di Aachen, Braunschweig, Klagenfurt, Nürnberg, Dessau, Linz, Saarbrücken in ruoli classici del repertorio tedesco quali Amfortas, Barak, Wozzeck, Olandese volante, come pure in ruoli del repertorio italiano come Jago, Ford, Rigoletto, Conte di Luna. Dal 2001 è ingaggiato dall’Opera di Graz per i principali ruoli di baritono, nei quali si esibisce nei principali teatri europei. fezionare la propria tecnica, frequentando il Conservatorio “Nicolini” di Piacenza. Nel 1988 ha debuttato al Teatro alla Scala ne I due Foscari, per poi ritornarvi con Adriana Lecouvreur e L’Olandese Volante, diretto da Riccardo Muti, e con Manon Lescaut. Nel 1989 ha fatto il suo debutto a Chicago in Tosca, opera in cui ha cantato, tre anni dopo, anche alla Staatsoper di Vienna; nel 1993, nel ruolo di Manrico in Trovatore, si è esibito per la prima volta alla Metropolitan Opera, mentre nel 1994, in Aida, al Covent Garden di Londra.Tra le opere principali del suo repertorio ci sono, oltre a quelle già citate, Cavalleria rusticana, Pagliacci, Gioconda, Otello, Simon Boccanegra, Sansone e Dalila, Norma. Pagina a cura di Diana Sirianni - Foto Corrado M. Falsini Wozzeck 6 Il Giornale dei Grandi Eventi Il capolavoro di Berg messo Arte di regime e arte degenerata, du C ontrariamente con quanto avveniva solitamente per le opere dei compositori della Scuola di Vienna (in un concerto del 1913 la polizia dovette sedare la furibonda reazione del pubblico) il Wozzeck di Alban Berg riscosse un grande successo fin dalla prima del 1925 alla Staats Oper di Berlino. Replicata in numerose altre parti della Germania e all'estero, assicurò al suo autore una discreta fama e guadagni sostanziosi. Fu con l'avvento del Nazionalsocialismo, a partire dal 1935, (lo stesso anno in cui morì Alban Berg) che il Wozzeck ed in generale tutta la musica della scuola viennese, venne relegato nel dimenticatoio. Si trattava infatti per il regime hitleriano di musica degenerata, per giunta, nel caso di Berg, scritta dalla mano di un ebreo. E' tuttavia paradossale che il concetto di Entartete Kunst, Arte Degenerata, fosse stato teorizzato per la prima volta alla fine dell'800 da un ebreo, Max Nordau, ungherese, co-fondatore dell'Organizzazione Sionista Mondiale. Nordau, seguace di Cesare Lombroso, (medi- co italiano e teorico dell'appartenenza dei criminali a un gruppo ereditariamente degenerato, riconoscibile dai tipici caratteri somatici), sosteneva di aver riscontrato i segni di tale degenerazione atavica nelle opere e nelle figure di molti artisti a lui contemporanei, soprattutto simbolisti e impressionisti, (l'espressionismo non era ancora nato). Un'anti-mostra Il concetto di “arte degenerata” divenne poi di dominio pubblico con la grande mostra itinerante allestita - inizialmente - a Monaco nel 1937 e inaugurata dal Führer in persona, in cui vennero esposte 650 opere cubiste, espressioniste, dadaiste, astrattiste e primitiviste. Entartete Kunst, questo appunto il titolo, seguiva a ruota la prima grande esposizione di arte tedesca, una mostra dedicata all'arte germanica, certamente funzionale alla propaganda di regime, tuttavia non priva di un certo vigore formale e di alcuni eccezionali talenti, come gli scultori Arno Breker e Josef Torak. Entartete Kunst fu comunque la mostra più visitata di quegli anni e superò di gran lunga il numero di visitatori della mostra sull'arte germanica, perché un'iniziativa talmente originale e sconvolgente come quella di un'anti-mostra, richiamava ovviamente una quantità di persone di gran lunga superiore. Immaginiamo oggi un'esposizione - vietata ai minori - in cui le opere sono accostate, a titolo di confronto, con le pitture di pazzi ricoverati in Un'opera di Arno Breker : Die Berufung, la chiamata all'appello manicomio, oppure razione e decadenza». opinione, si può comprenaccompagnate da scritte Questo era il passo fondadere grazie all'iniziale sarcastiche del genere mentale del discorso procomunanza di presuppo«ecco come gli espressionisti nunciato da Adolf Hitler sti ideologici e culturali, vedono i contadini tedeschi». nel 1935 al congresso sulla figli di una matrice di Per la storia della museocultura. stampo borghese e vagalogia si tratta pressoché di Dopo un primo apprezzamente populista, che iniun unicum, anche perché mento delle avanguardie, zialmente potevano avvicifu la prima mostra itineanche il ministro della nare l'Espressionismo al rante e richiamò oltre due propaganda Joseph Nazionalsocialismo. milioni di visitatori. Göbbels si omologò all'iSeppure in nuce, erano dea hitleriana, intervenencomuni ai due movimenti La concezione do non solo sull'arte ma la rottura con la tradiziohitleriana dell'arte anche sulla critica d'arte. ne, il richiamo all'interioriL'iniziale simpatia di tà più profonda e irrazio«L'arte deve proclamare Göbbels verso nale dell'uomo, la ribellioimponenza e bellezza e quinl'Espressionismo e il suo ne al peso del passato, la di rappresentare purezza e successivo ribaltamento di ricerca dei responsabili benessere. Se questa è tale, allora nessuna offerta è per essa troppo grande. E se essa tale non è, allora è peccato sprecarvi un solo marco. Perché allora essa non è un elemento di benessere, e quindi del progetto del futuro, ma un segno di degene- Adolf Ziegler Ritratto di donna 1942 Il Wozzeck Giornale dei Grandi Eventi 7 all'indice dal regime Nazista ue modelli a confronto Manifesto di Entertete Kunst della disperata situazione presente. Molti artisti “degenerati” come Emil Nolte, Otto Dix, Kandiskij, Kokoschka erano considerati sostenitori del Regime e avevano firmato il documento pubblico del '34 con cui si chiedeva il passaggio di potere dal defunto Hindenburg al cancelliere Hitler. Dalla presa del potere, il Nazionalsocialismo avrebbe dovuto incarnare per la Germania la speranza di un radioso futuro, mentre l'espressionismo continuava a individuare angosciosamente, tra i mostri acquattati all'interno dell'animo umano e tra quelli latenti nella società, lo stesso Nazismo. Un grido angoscioso che non poteva essere accettato dal Terzo Reich. I pittori astratti contemporanei e gli espressionisti trasmettevano valori e dis-valori che avrebbero ostacolato il ritorno della Germania alla supremazia in Europa, inquinavano con le loro rivoluzionarie soluzioni tecniche, la bellezza fisica e spirituale del vero tedesco. Secondo Hitler, che si considerava egli stesso un artista, l'uso ardito del colore e di immagini surreali da parte di questi pittori era una distorsione della natura. Musica degenerata Ecco quindi, come naturale corollario, apparire nel 1938, la mostra « Entartete Musik », Musica Degenerata, aperta a Düsseldorf nel '38 durante le Reichsmusiktage, (Giornate musicali del Reich). La manifestazione si scagliava contro il jazz, (musica negroide) e contro la Scuola Viennese e i suoi epigoni. La dodecafonia non era la sola forma di musica sovversiva: basterebbero i nomi di Strawinskij, Scriabin, Prokofiev, Bartok, Kodally, ma senza dubbio essa fu la forma più elaborata di rottura con i rassicuranti binari della tonalità. Completamente disfunzionale all'esaltazione delle masse, alla celebrazione del mito germanico o al semplice e puro divertimento, la musica di Schöberg, Webern e Berg, fu definitivamente bandita. L'aspra serialità dodeArnold Schoeneberg Autroritratto cafonica non comunicava armonia, elegandi musica inoffensiva, ad za ed anche l'ideale di esempio la musica popopotente classicità prolare, la musica d'uso (o pugnato in quegli Gebrauchsmusik), le opeanni. La dissonanza rette, la musica da ballo e usata da sempre, per le marce militari che esprimere tensione, favorivano la propaganveniva utilizzata da. sistematicamente dalla Sembra tuttavia che tra le dodecafonia per comunicare quello stesso Urschrein (grido originario) che i pittori espressionisti materializzavano sulla tela con i colori violenti e acidi, le forme distorte e grottesche, la demolizione della prospettiva. La mostra comprendeva, tra le altre, opere di Paul Hindemith, Kurt Weill, Hanns Eisler, e costrinse molti degli artisti all'emigrazione o all'esilio. Allo stesso tempo, la politica culturale del regime promuoveva la produzione e l'ascolto Georg Grosz: Le colonne della società forme di musica degenerata un sorta migliore sia toccata al jazz, la Affenmusik, musica scimmiesca, come Hitler era solito definirla. Un volume di Mike Zwerin, noto jazzista americano classe 1930, documenta, dati alla mano come nell'Europa occupata dai tedeschi, il jazz venisse, tutto sommato, ascoltato ovunque: lo swing era la musica popolare più diffusa. Le radio dei Paesi occupati trasmettevano swing e un gruppo come i Ghetto Swingers suonava per i carcerieri nei campi di concentramento di Auschwitz e Theresienstadt. Anche nella Varsavia germanizzata si esibiva uno strano musicista di colore, George Scott, e Django Reinhardt, uno zingaro, furoreggiava in Francia. Sembra che persino Eva Braun, negli ultimi giorni di vita, seppellita nel Fhürerbunker di Berlino, ballasse al ritmo di swing. Andrea Cionci Wozzeck 8 Il Giornale dei Grandi Eventi Analisi musicale di Un unicum nel teatro musicale, con una N el 1928, rispondendo ad alcune domande sul teatro poste dalla rivista “Neue Musik-Zeitung”, Alban Berg affermò che nel momento in cui decise di scrivere un’opera non aveva «altro intento (anche dal punto di vista tecnico della composizione) che di dare al teatro quello che appartiene al teatro, cioè di articolare la musica in modo da renderla cosciente, in ogni istante, del suo dovere di servire il dramma». L’affermazione è importante per capire il Wozzeck, capolavoro non solo di Berg, ma punto di riferimento fondamenta- le nel teatro musicale del primo Novecento. Opera nella quale, non solo la musica serve il dramma rifacendosi alle teorie che erano state addirittura della Camerata Bardi alle origini del teatro musicale, ma la partitura si struttura secondo canoni particolari che ne fanno un unicum oltremodo interessante. Georg Büchner (1813 – 1837) aveva abbozzato il suo Woyzeck nel 1836 poco prima della morte. Un dramma fosco, intenso che rappresentò una violenta presa di coscienza dell’esistenza, la lucida analisi del proletario Woyzeck dominato, sfruttato, alienato. E’ il filone espressionista dell’esperienza romantica ed individuale sviluppato da Büchner in anticipo sulle riflessioni di Kierkegaard o sulle teorie marxiste. Berg assistette ad una rappresentazione dei “frammenti drammatici” del Woyzeck nel 1914 e ne rimase affascinato, tanto da decidere di metterli in scena. Delle ventisei scene del testo originale, concepite da Büchner in una forma sintetica, Berg ricavò quindici scene articolate in tre atti. La struttura musicale Alban Berg L’aspetto decisamente interessante e originale è legato alla realizzazione musicale operata concependo ogni scena come una forma musicale rigorosamente definita. L’architettura generale dell’opera è riconducibile allo schema A – B – A: ovvero il I e il III atto, fra loro corrispondenti per una sorta “di simmetria temporale” inquadrano il II che è il più articolato e complesso. Il primo atto comprende cinque scene che musicalmente sono una “Suite” (Preludio, Pavana, Giga, Gavotta e Aria), una Rapsodia, una Marcia militare con Berceuse, una Passacaglia (21 variazioni) e un Rondò (Andante affettuoso). Il secondo atto propone la struttura di un’ampia sinfonia in cinque parti (scene): Tempo di sonata, Fantasia e fuga (a 3 soggetti), Largo, Scherzo (Landler-walzer), Rondò marziale. Infine il terzo atto si articola in sei invenzioni, rispettivamente su un tema, sopra una nota (si), sopra un ritmo, sopra un accordo, con un intermezzo in forma di “invenzione su una tonalità” e, in chiusura, sopra un movimento regolare di crome (Perpetuum mobile). Le forme si configurano naturalmente come contenitori da riempire con materiale sonoro nuovo, che le rilegge da un’angolazione del tutto diversa rispetto al passato. Così Berg può accostare materiali popolari (deformati e resi grotteschi) e frasi più colte in un contesto armonico aggressivo e ispido. Ad una tale organizzazione strutturale fa riscontro una vocalità libera, non strettamente racchiusa in “formule”, ma oscillante dalla recitazione pura, allo Sprechgesang al canto vero e proprio. A proposito della “declamazione ritmica” schoenberghiana sul modello del Pierrot lunaire (significativamente anche questo strutturato secondo una successione di forme storicizzate), Alban Berg in una caricatura Berg annotò: «… questo modo di trattare la voce (pur conservando inalterate tutte le possibilità della forma musicale assoluta che invece nel “recitativo”, per esempio, vengono meno) non solo rappresenta uno dei migliori mezzi per la chiarezza della comprensione (anche nell’opera il linguaggio deve avere qua e là questa funzione), ma arricchisce… la musica operistica di un mezzo espressivo di grande valore, attinto alle sorgenti più pure della musica. In unione con la parola cantata… esso può applicarsi a tutte le forme della musica drammatica… Per queste possibilità l’opera, più di ogni altra forma musicale, appare predestinata a mettersi anzitutto al servizio della voce umana e ad aiutarla a far valere il suo buon diritto; diritto che, negli ultimi decenni di produzione drammatico-musicale era quasi andato perduto…». La vicenda oscilla, sul piano emotivo, fra l’angoscia e il grottesco, in una visione lacerante della società, attraverso Il Wozzeck Giornale dei Grandi Eventi 9 un capolavoro sorprendente struttura l’evidenziazione di caratteri rigorosamente definiti e colti da Berg mediante una vocalità particolare. La molteplicità linguistica Così il Capitano con i suoi acuti aciduli appare sin dalla prima scena subdolo e sadico. Merita un’annotazione il tema con cui viene presentato nella prima scena, tema che mostra un’evidente somiglianza con il primo tema della Sesta di Beethoven. Wozzeck è inizialmente obbligato a chinare esclusivamente il capo e pronunciare quasi inespressivamente la formula “Jawohl, Herr Hauptmann” (Certamente, signor capitano). Altrove Wozzeck può dare sfogo alle sue pene con frasi violente e più articolate, imponendosi come il personaggio più soggetto a metamorfosi nell’arco dei tre atti. A Maria, la sua prediletta, Berg riserva slanci melodici più intensi che rimangono nell’economia della tragedia autentiche oasi di teso lirismo. Nel primo atto appare di particolare interesse la quarta scena la passacaglia il cui tema è costruito su una serie dodecafonica che appare all’inizio come pedale armonico sulle parole del dottore e poi ispira le 21 variazioni. Nell’ultima, brevissima, torna armonizzata a corale in maniera imponente e maestosa ancora sulle parole del dottore. Nel secondo atto vale la pena ricordare la seconda scena in cui una fantasia (e tripla fuga) è costruita sui tre temi che avevano caratterizzato il capitano, il dottore e Wozzeck già nel primo tempo. Da notare, nella scena successiva, l’utilizzo di una formazione strumentale analoga a quella della Kammersymphonie op. 9 di Schoenberg, mentre per la scena IV, nell’osteria, Berg prevede oltre all’orchestra in buca un gruppo sul palcoscenico che compone l’orchestra da ballo: «E’ molto importante – ha annotato – che si cominci a studiare per tempo la musica dell’osteria e non soltanto nella sala di prova ma anche sul palcoscenico e ciò per il seguente motivo: bisogna poter prendere una decisione fintantoché non sia troppo tardi, sull’ampiezza del complesso strumentale, la quale dipende dal posto sul palcoscenico in cui questa piccola orchestra verrà collocata e dall’acustica della sala. Risulterà chiaro allora innanzi tutto quanti violini e quante chitarre siano necessari: si potranno aumentare secondo il bisogno. Una parte speciale spetta alla fisarmonica a manticino (Akkordeon)… ». Emerge, in avvio, un landler, in cui si inserisce una citazione ironica del tema del Rosenkavalier walzer di Richard Strauss. Nel terzo atto, costruito interamente come una successione di Invenzioni, merita una segnalazione, nella quinta (scena I), il ricorso alla tonalità di fa minore in un momento in cui Maria si volge al passato, ricordando. Alban Berg e Franz Werfel a Venezia nel 1925 L’utilizzo di un episodio tonale dimoall’altro semplicemente diversi (tonalità, serie stra la duttilità con cui sulla base delle proprie dodecafoniche, momenti Berg seppe mescolare linesigenze espressive. puramente espressioniguaggi e climi espressivi Roberto Iovino stici), passando da uno Il compositore ed il suo maestro Berg e Schönberg: un rapporto difficile I l rapporto con Arnold Schönberg rimase centrale e problematico lungo tutta la vita di Alban Berg. Schönberg divenne per lui una figura paterna: egli ne desiderava l’approvazione con la stessa intensità con cui ne temeva le critiche, anche molti anni dopo la fine della sua formazione. Particolarmente difficili in questo senso furono per Berg gli anni successivi alla partenza di Schönberg per Berlino, nel 1911. Conscio della propria inesperienza professionale, Berg era premuto tra la coscienza del suo debito verso Schönberg e il bisogno di asserire la propria indipendenza personale e artistica. Il maestro, da parte sua, aveva nei confronti dell’allievo un tono autoritario, perentorio e gli impo- neva una mole di lavoro amministrativo e musicale a volte così massiccia da impedirgli di dedicarsi alla composizione delle proprie opere. Nel 1915, la crescente tensione tra i due determinò un’interruzione dei contatti, che ripresero solo una quindicina d’anni dopo, in modo più paritario, dopo che Berg aveva conseguito una certa fama internazionale con il successo del Wozzeck e la Lyrische Suite. La relazione continuò tuttavia a essere delicata, come indica per esempio il fatto che, a differenza di un altro allievo di Schönberg come Webern, Berg non fu mai autorizzato a dare del “Tu” al maestro, né gli fu da lui mai dedicato un lavoro (mentre, al contrario, Berg gliene dedicò quattro). D. Si. Wozzeck 10 Il Giornale dei Grandi Eventi L’autore del dramma Il Compositore Georg Büchner, eclettico padre del Woyzeck Alban Berg, una vita segnata da un grande incontro L a vicenda biografica di Georg Büchner, autore dell’originario Woyzeck (nome originale del lavoro), è particolarmente singolare, a cominciare dall’ecletticità degli interessi che la dominarono: laureato in medicina, Büchner era animato da una grande passione politica che lo portò ad avere problemi con le autorità tedesche ed ad espatriare, prima verso la Francia, poi in Svizzera. Docente di biologia, portò nello stesso tempo avanti l’attività letteraria e nonostante il suo isolamento nei confronti della vita letteraria tedesca del tempo (siamo Georg Büchner, stampa tra il secondo e il terzo decennio dell’Ottocento), giunse ad elaborare delle opere drammatiche d’eccezionale originalità, che esulano da ogni modulo e convenzione letteraria tradizionale, la cui modernità e affinità con la poetica espressionista furono riconosciute solo molti anni dopo la morte dell’autore. Sembra quasi impossibile pensare che tanta energia e tante ricerche si consumarono nell’arco di appena ventiquattro anni di vita: tale era l’età dello scrittore quando, nel 1837, una febbre tifoide ne troncò all’improvviso l’esistenza. Ma cominciamo dall’inizio: Büchner nacque il 17 ottobre 1813 a Goddelau, presso Darmstad, nella regione tedesca dell’Assia. Nel 1831 iniziò lo studio universitario in medicina a Strasburgo (il padre voleva per lui un’educazione francese), dove passò due anni felici, durante i quali iniziò una relazione amorosa con Minna Jaeglé ed entrò a far parte di un’associazione per i diritti dell’uomo di matrice robespierriana. Tornato in Germania per terminare gli studi, fondò a sua volta un’associazione e nel 1836 redasse un violento libello clandestino, Il messaggero dell’Assia, nel quale incoraggiava le masse contadine alla sollevazione a r m a t a («Pace alle capanne, guerra ai palazzi!», era il suo grido di battaglia). La vicenda ebbe però un esito drammatico: un suo collaboratore, il pastore F.L. Weidig, fu arrestato e dopo tre anni di carcere preventivo si suicidò. Per sottrarsi all’arresto, a Büchner non rimase altra scelta che l’esilio. Per procurarsi il denaro necessario alla fuga, si accinse alla scrittura di un dramma, e mantenendo un ritmo di lavoro forsennato, nascosto nella casa paterna, produsse la sua prima opera importante, intitolata Dantons Tod, realizzata nel giro di appena cinque settimane. Lo stesso anno produsse un altro scritto, la novella Lenz, mentre nell’anno successivo la commedia satirica Leonce e Lena. Una volta tornato a Strasburgo dalla fidanzata, Büchner si dedicò alla scienza e scrisse una dissertazione sul sistema nervoso dei pesci che gli valse riconoscimenti significativi e l’offerta di una libera docenza a Zurigo nell’ottobre 1836. Già prima del trasferimento nella città svizzera, lo scrittore aveva iniziato la stesura del suo capolavoro Woyzeck, che rimase incompiuto (pubblicato postumo nel 1879) a causa della sua morte drammaticamente precoce, il 19 febbraio 1837. N essuno, conoscendo nei suoi primi anni di vita Alban (Maria Johannes) Berg (Vienna 18851935), figlio di un commerciante di Norimberga trapiantatosi nella Capitale dell’Impero, avrebbe immaginato di avere a che fare con uno dei più grandi compositori del XX secolo. Fu, infatti, probabilmente solo l’incontro di Berg con A r n o l d Schönberg, avvenuto quando egli aveva diciannove anni, a determinarne il destino di musicista. Prima di tale incontro, Berg si era dilettato di musica: dalle Alban Berg sue governanti aveva imparato a suonare il piano, amava scrivere canzoni da eseguire nel circolo familiare; tuttavia, pur essendo affascinato dalla musica, non ne era poco più che un entusiastico amatore. Nella prima parte della sua gioventù, Berg era assorto in preoccupazioni diverse dalla musica: dal pensiero della scuola, per esempio, presso cui ebbe una carriera disastrosa (tanto che dovette ripetere due anni prima di passare gli esami); oppure, dai problemi nati dalla sua relazione precoce con Maria Scheuchl, l’aiuto-cuciniera della famiglia, che ebbe come risultato di farlo diventare, diciassettenne, padre di un figlio illegittimo. Nel 1904, quando, lavorando come contabile presso il Comune, cominciò a prendere lezioni da Arnold Schönberg, la vita di Berg fu improvvisamente rivoluzio- nata. Iniziò per lui una fase di studio intensissimo e di rapidi progressi, durante la quale divenne il pupillo del grande maestro viennese. E se in un primo momento fu costretto a lavorare per mantenersi, dal 1906 una cospicua eredità gli permise di dedicarsi completamente alla musica. Gli anni di formazione di Berg coincisero con uno dei periodi più vitali della vita culturale di Vienna. C’era nell’aria una vera e propria febbre d’avventura: si cercavano le novità, la sperimentazione, anche la più stravagante e inusuale. E Berg si calò del tutto in questo clima elettrizzante, entrando a contatto con le figure più importanti e innovatrici dei circoli artistici di Vienna: da Zemlinsky e Schreker, a Peter Altenberg, Gustav Klimt, Karl Kraus, Adolf Loos. Alla fine del 1906 conobbe anche Melene Nahowski, che, dopo un difficile corteggiamento a causa dell’opposizione della famiglia di lei, diventò sua moglie. Il legame con Vienna durò per tutta la vita del musicista, che non cambiò città né quando l’accademia di Berlino gli offrì una cattedra di composizione, né quando, nel 1933, l’ascesa al potere del nazionalsocialismo rese le sue condizioni economiche molto precarie. Morì due anni dopo, il 24 dicembre 1935, per una infezione generata da un ascesso mal curato (Pagina a cura di Diana Sirianni) Il Cultura Giornale dei Grandi Eventi 11 Fino al 17 febbraio Il teatro dell’antica Roma in mostra al Colosseo I mpossibile trovare una sede migliore per allestire “In Scæna” la nuova mostra promossa dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, - era quella di proporre delle icone anche molto note, spiegandole non come reperti archeologici, bensì come testimonianze parlanti della storia del teatro». no ugualmente reperti di grande interesse. E' il caso di Lipari, da cui proviene una collezione di piccole maschere, una sorta di «presepe» costituito da statuine di una stessa commedia. Il fatto che fossero fabbricate industrialmente - con delle formelle - e che fossero state ritrovate in una tomba, dimostra come il teatro fosse amato appassionatamente dai romani. Divertimento popolare Maschera romana di vecchia, proveniente dal Teatro di Marcello- I sec. A.C. sulla storia del teatro romano. Ospitata nel Colosseo, sotto gli archi del primo ordine, la mostra, inaugurata il 3 ottobre, resterà aperta fino al 17 febbraio 2008. Una settantina di opere importanti ripercorrono una storia millenaria, dalla comparsa a Roma degli istrioni etruschi (364 a. C), fino alla rovina degli edifici teatrali durante le invasioni barbariche del VI secolo d.C. Nove secoli di pratica teatrale: coloratissime scenografie, danze, musica e sensuale divertimento di massa. Dalla mostra viene fuori un mondo ben lontano dalla sobria e statica compostezza tramandataci dall'idea winkelmanniana della classicità. «La mia idea - spiega il curatore, Nicola Savarese I pezzi più prestigiosi appartengono al Louvre, ai Musei Vaticani, a grandi musei italiani come Napoli e Taranto, ma anche a musei più piccoli che offro- Vaso attico a figure rosse di Pronomos. V sec. A.C. Il teatro era l'unica fonte di divertimento pubblico disponibile, destinato anche ai cittadini onesti, ai giovani e alle donne. Tuttavia gli attori, le danzatrici, i mimi e tutto il personale che ruotava intorno al teatro, era ritenuto “infame”, nell'accezione giuridica che significava “colui che non aveva parola”. Agli attori era impedito l'accesso alla carriera militare e politica, tuttavia, soprattutto nel periodo imperiale, il pubblico li idolatrava e gli imperatori cercavano di carpire loro i segreti della comunicazione di massa. Alle statuine di Lipari si ispira la ricostruzione filologica delle antiche maschere degli attori, uno dei pezzi più originali della mostra. Coprivano tutta la testa e riproducevano caricature dai modelli canonici: il servo scaltro, il vecchio sciocco, il giovane innamorato, la vecchia intrigante. Alcune maschere pre- Monumento funerario con danzatrici di Età imperiale sentano due espressioni diverse per ogni metà della faccia, in tal modo l'attore, girandosi a destra o a sinistra poteva mettere in evidenza una delle due espressioni. La maschera combatteva se stessa, la propria staticità. La tensione dinamica promanata dal teatro si ritrova anche in un massiccio monumento funerario, pesante 5 tonnellate, introno a cui volteggiano vere e proprie danzatrici, (non le classiche Menadi) i cui pepli leggeri si gonfiano d'aria nel movimento. Ancora una volta il teatro porta linfa vitale nei luoghi della morte e dell'immobilità. A teatro come allo stadio E poi ecco l'anfiteatro, denso di spettatori rumorosi, privo di servizi igienici, con un atmosfera molto più simile allo stadio di oggi che non al silenzioso golfo mistico dei teatri moderni. Dai grandi teleri di stof- fe da cui filtrava la luce scomposta in tutti i colori dell'iride, piovevano spruzzi di acqua di rose per mitigare il lezzo della folla. La musica accompagnava le rappresentazioni, avvalendosi di strumenti dal suono penetrante come le tibiae, o crepitante come le nacchere e i cimbali. Affascinante il modello esposto di un organo a mantici rinvenuto ad Aquincum (periferia di Budapest) che riproduce lo strumento con cui il decurione Viatorino faceva accompagnare gli spettacoli nell'anfiteatro della sua Città. Mentre sulla letteratura drammatica latina si dispone di fonti abbondanti, sugli aspetti più pratici e quotidiani dei ludi scaenici vi è un fitto velo a causa della carenza di documenti. La mostra “In Scæna” riesce a far comprendere l'importanza del patrimonio culturale del teatro romano e al tempo stesso la vastità delle conoscenze perdute. Andrea Cionci