sotto il tiglio 15.
Tomás̆ S̆pidlík
La vocazione
Riflessioni utili
“È il tempo quando fiorisce il tiglio”
Lipa
Indice
© 2010 Lipa Srl, Roma
prima edizione: ottobre 2010
Lipa Edizioni
via Paolina, 25
00184 Roma
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fax 06 485876
e-mail: [email protected]
In copertina: particolare di un dipinto di Marko I. Rupnik
Introduzione ................................................................
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Stampato a Roma nell’ottobre 2010
da Graficapuntoprint, Roma
I. La ricerca e la scelta..................................................
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II. Le vocazioni nella Chiesa .......................................
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Proprietà letteraria riservata
Printed in Italy
codice ISBN 987-88-89667-16-3
A questo libretto il card. Špidlík stava lavorando
poco prima della morte. Dato il carattere dello scritto e
il momento della sua stesura, non è un testo sistematico sulla vocazione che ne svisceri tutti gli aspetti e li
presenti con ordine, ma, proprio come dice il sottotitolo, si tratta piuttosto di “riflessioni utili” per la lettura e
la meditazione. Se la vocazione è la strada attraverso
cui assorbiamo la nostra vita terrena e mortale nella
nostra vita nascosta con Cristo in Dio, le riflessioni di
un anziano saggio alla vigilia del suo incontro definitivo con Dio e con questa sua identità nata dalle acque
battesimali sono particolarmente efficaci. Hanno inoltre il vantaggio di essere scritte nello stile fresco e immediato tipico dell’Autore. Il modo è quello delle domande, del dialogo, che ha caratterizzato altri libri divulgativi di p. Špidlík, come “Pregare nel cuore” o
“L’arte di purificare il cuore”. Domande che ci possiamo immaginare rivolte da un giovane ad un anziano,
facendo eco alle obiezioni, alle resistenze, alle comprensioni ridotte della vita di fede tipiche di un mondo
come il nostro che non è piú religioso. Succede cosí che
la domanda, anche ingenua, impostata male, dia l’occasione di ricondurre alla prospettiva di fede con cui
guardare alla propria vita, impostando una pedagogia
che introduce, con un linguaggio semplice e sapiente,
ai contenuti essenziali del mistero cristiano e della
LA VOCAZIONE
grande tradizione.
In queste poche pagine possiamo anche cogliere
l’atteggiamento che aveva p. Špidlík nei confronti della
vita, un atteggiamento che nasceva in lui dalla fede in
un Dio vivo e personale. Un Dio quindi non afferrabile per mezzo di categorie razionali, ma che, in quanto
persona, è un mistero di libertà e di amore che si rivela
nella relazione. Ogni essere creato, ogni fatto non è allora semplicemente qualcosa che Dio fa esistere, ma
contiene il mistero della relazione personale che Dio
vuole instaurare con noi. Per questo per p. Špidlík era
cosí importante la vita e il suo primato per capire Dio e
il compito che Lui ci affida e per il quale ci dà il tempo,
lo spazio, ci fa incontrare le persone, ci offre i doni, i
talenti, ci prepara lo scenario in cui portarlo avanti.
Cosí, agli occhi di chi la sa contemplare, è la vita
stessa a rivelare le sue ragioni profonde.
Maria Campatelli
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Introduzione
“Se si getta un pizzico di sale nell’oceano, dove
è? Inutile domanda”. Questo detto proviene dai
buddisti giapponesi. Sembra che sia pronunciato
alla morte di un uomo, per indicare che il suo io si
dissolve. Ma si potrebbe pronunciare anche nel
momento della sua nascita, e anche in questo caso
la domanda sarebbe inutile. Invece, quando nasce
un bambino, le persone presenti si chiedono: “Che
sarà mai questo bambino? Che la mano del Signore sia con lui!” (cf Lc 1,66). Dal punto di vista filosofico e religioso, già la saggezza prebuddista indiana si poneva la domanda sul senso della vita individuale, vista nella storia globale, con il flusso delle
generazioni che si susseguono. In questa prospettiva, l’esistenza dell’individuo sembra solo essere l’anello di una catena. Ciò che importa e che rimane
è la specie, non la vita del singolo. Eppure l’uomo
nasce con il desiderio di realizzare pienamente se
stesso (atman). Ma poiché l’“io” non è individuale,
autonomo, bisogna sforzarsi di armonizzarlo con
l’“io universale” (brahman), e dunque con tutto il
cosmo. L’uomo troverà dunque il proprio io in comunione con lo Spirito universale: la vita si vive
soltanto nella relazione con ciò che la produce e la
nutre.
Quando nasce un bambino, i circostanti e tutto
l’ambiente cercano allora di inserire il neonato nel
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LA VOCAZIONE
suo contesto, di assegnargli un posto determinato.
Questo valeva soprattutto nelle società pre-industriali, dove quando uno nasceva era introdotto in
un ruolo che gli preesisteva e gli sarebbe sopravvissuto: eri figlio e nipote di un calzolaio? Anche tu
saresti stato un calzolaio e i tuoi figli dopo di te lo
sarebbero stati ugualmente. Ma ben presto ogni
bambino vuole far valere l’indipendenza del suo
“io”. Lo faceva nelle società tradizionali, figuriamoci ora, nel nostro mondo caratterizzato da una estrema mobilità e dalla sottolineatura dell’importanza
dell’individuo. Cosí ci troviamo di fronte alla necessità di conciliare il nostro senso di essere unici,
irripetibili e il fatto che dipendiamo dagli altri e in
un certo modo ci identifichiamo con le nostre relazioni. Come arrivare all’unione di queste due esigenze contrarie? Già nei tempi antichi incontriamo
la forte tendenza a trovare una soluzione religiosa.
Essa vuole convincere ciascuno di noi che gli uomini comuni non ci capiscono, non afferrano la nostra specificità. Bisogna dunque separarsi dagli altri
uomini e, con l’ascesi, la preghiera e la meditazione, arrivare ad una conoscenza superiore. Solo in
questo modo l’uomo riuscirà a trovare la sua vera
vocazione nel mondo.
Il buddismo continua questa stessa tradizione,
ma scivola in una conclusione assai negativa: unirsi con lo Spirito universale comporta l’annientamento della propria persona individuale (nirvana),
come abbiamo visto nel detto giapponese. Con
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T . S̆ P I D L Í K
ciò è abolita anche ogni causa di dolore. Ma l’uomo non aspira a sopprimere l’io, piuttosto a realizzarlo.
E il cristianesimo? Insegna in modo esplicito
che l’unione con Dio perfeziona l’uomo in quanto
tale e comporta una sua missione speciale, particolarissima, propria a lui solo. Il Dio della Bibbia è
personale e intrattiene delle relazioni dialogali
con gli uomini creati a sua immagine. In questo
dialogo reciproco cresce e si sviluppa la vocazione
di ogni persona che è individualmente irripetibile
e nello stesso tempo armonizzata con l’universo
creato. La scelta della propria vocazione appartiene quindi al fondamentale problema umano e religioso di ciascuno.
E come affrontano questo problema gli atei?
Escludendo l’influsso divino, credono di rafforzare
l’io umano. Ma scoprono ben presto la propria debolezza nella lotta contro gli ostacoli della natura
cosmica e contro la prepotenza degli altri uomini.
D’altra parte, non vogliono affermare l’impotenza
dell’uomo nei confronti di un destino che determinerebbe la sua vita. In tale situazione, cercare la
propria vocazione significa combattere. Questo
principio di vita è coerentemente professato dall’evoluzionismo darwinistico, secondo il quale i piú
forti sopravvivono, mentre i deboli soccombono.
Per incorraggiare questi ultimi, un poeta ceco scrisse: “Debole è solo colui che ha perso la fiducia in se
stesso e piccolo è solo chi mira ad un piccolo fine”.
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