Una mamma dà le sue raccomandazioni giornaliere alla propria figlia: «Quante volte ti ho detto che prima di aprire la porta devi chiedere chi è? Non si apre al primo che bussa: chiedi sempre chi è». E la figlia risponde: «Mamma, a forza di non aprire, sto morendo di claustrofobia (non so cosa vuol dire di preciso, ma a scuola mi hanno detto che è la Se bussa paura di rimanere chiusi in un qualsiasi posto!)». la speranza, Da quando si mette il piede giù dal letto sino alla sera che si torna a dormire, la collana di “perlechiedi preoccupazioni” quotidiane è davvero fitta e di che “tipo” ricca: figli da accompagnare a scuola, bollette da pagare prima della scadenza, fare la spesa nel supermercato più conveniente, provvedere al proprio genitore anziano e tante altre beghe quotidiane. Si arriva alla sera stanchi, con un milione di cose ancora non fatte (e che ricadono sul giorno dopo), bisogna preparare la cena e i figli ti chiedono di guardare i compiti (quando va bene!). La nostra giovane figlia che deve chiedere sempre «chi bussi alla porta» ha una voglia matta di aprire le porte della propria mente e del proprio cuore per iniziare a vedere il mondo, gli avvenimenti e tanti perché della propria vita con occhi nuovi. Ma con quali? Ecco qua. Nell’ottobre del 2006 nella città di Verona (anche la teHanno detto levisione e i giornali ne hanno parlato per una settimana, circa) si è tenuta una grande riunione con a Verona cardinali, vescovi, preti, mamme e papà di famiglia, insegnanti, operai, giovani. Anche il Papa Benedetto, in un solo giorno toccata e fuga, ha voluto essere presente e dare un messaggio. E di cosa hanno parlato? Hanno ri-detto, dopo 2000 anni, che c’è un uomo di nome Gesù di Nazareth, meglio conosciuto come Gesù Cristo, risorto dai morti. Di lui si è sempre detto che è il Figlio di Dio, colui che dona la vita al mondo e all’incontro di Verona è stato scritto a caratteri cubitali che è la speranza del mondo. Ma la nostra giovane figlia, di tutte queste belle frasi, cose ne sa? Le avrà sentite a catechismo, dal proprio sacerdote in parrocchia, le ha lette in un libro. Una cosa è certa: quel signore di nome Gesù di Nazareth, detto Gesù Cristo, sarà sempre anonimo finché la nostra ragazza non gli aprirà la porta della sua mente e del suo cuore. E per fare tutto ciò è necessario iniziare a guardare la vita da una prospettiva precisa e particolare: la speranza del Vangelo. Quelle pagine della Bibbia come delle mani che prendono altre mani (le tue) e ti accompagnano nella tua vita, giorno dopo giorno. Se andrai avanti nel leggere queste pagine “in un sol boccone o tutte d’un sorso”, vedrai che i piedi sono ben aderenti al terreno, ma il cuore e la testa puntano in alto e in profondità. Ecco, allora, perché ha ragione la mamma quando dice: «Devi chiedere chi è», come a dire «La speranza di un mondo migliore è per tanti, un desiderio futuro; la speranza in Gesù Cristo è già presente». In questo piccolo libretto non c’è una sola parola di ciò che è stato detto a Verona (testi ufficiali, documenti, ecc), ma è un rileggere tra i fornelli di casa, i figli da accompagnare a scuola, le bollette da pagare, il genitore anziano da accudire, gli innamoramenti dei figli (e i loro problemi!!), che ciò che è stato detto al convegno della Chiesa italiana a Verona (anche se, forse, non ne conosci nulla o poco) ha a che fare con la vostra famiglia e la tua vita. In poche parole: riguarda te, il passato, specie il presente e in modo particolare il futuro. Non vi sono delle ricette (meglio in cucina, per quelle!), ma delle lenti un po’ particolari che possono aiutarti a dare un senso (forse da oggi? Perché no!) diverso alla propria vita. E la sorpresa più grande potrebbe essere anche quella di arrivare a dire con le parole di S. Agostino: “Io Signore ti cercavo fuori di me e tu eri dentro di me”. La speranza del Vangelo Parliamo di te 3 Guardando la nostra società la Chiesa italiana si è chiesta: ma l’uomo sa amare? Se dobbiamo dar ascolto alle notizie di cronaca (violenze sessuali, pedofilia, giochi erotici in diversi luoghi, ecc) verrebbe da dire forse di no. Se da un lato non dobbiamo vedere nero ovunque è anche vero che dall’altro lato non I nostri figli possiamo spalmare la parola amore su tutto e tutti. Vuoi un esempio: quando tuo figlio si sta innasi sono morando, tu genitore lo vedi lontano un chilometro: da come si veste, in che modo risponde al innamorati! telefono (mai quello di casa! Sempre e solo al cellulare), ha la testa per aria e via di questo passo. Ovviamente anche quando iniziano i primi cocci e l’incantesimo si rompe: pianti, digiuni, voti scolastici che vanno in picchiata discendente perché il problema-cuore è andato in tilt. Pongo ora una domanda a voi genitori: cosa vuol dire, per voi, educare i figli ad una affettività matura e responsabile? Alt. Già questa frase fa fumare il cervello! Proviamo a riscriverla: in che modo, con quali parole e gesti insegno ai miei figli ad amare il proprio corpo, ad Cosa vuol dire aver rispetto del corpo altrui, ad amare secondo l’amore del Vangelo? Se la prima risposta che state per educare i figli? cristiano, darvi è la seguente, ovvero, “per queste cose c’è il catechismo”, forse è il caso di pensarci su. L’amore cristiano non potrà mai essere solo un insieme di cose da dire e non dire, fare e non fare; anche perché vi sarà capitato (mi auguro di no) di dire a vostro figlio: “Se a scuola ti danno un calcio, non fare il fesso, tu danne un altro e più forte. Così fai vedere chi sei!”. Cosa c’entra con l’amore? C’entra e come. Alla parola amore abbiamo appiccicato tante etichette: sessualità, affettività, sessualità, sentimenti, genitalità. Ma ogni parola è un mondo a sé e la pubblicità ed alcune trasmissioni televisive di certo non aiutano a fare chiarezza. Qual è, allora, la speranza cristiana che pulsa nel Vangelo e che fa dire all’uomo: «E’ bello amare e donarsi» e non «stai attento perché l’amore è una fregatura»? Quando come genitori vi state accorgendo che i vostri figli si stanno innamorando o sono nel pieno innamoramento, siate presenti e non assenti. Non vuol dire essere ficcanasi, ma nemmeno superficiali e liquidare il tutto con un “anche noi ci siamo passati”. Oggi i ragazzi scoprono prima la genitalità e poi l’affettività, parlano di amore come un ingegnere nucleare con il dito sul pulsante della messa in orbita. Hanno in mano qualcosa di grandissimo e prezioso, ma non sanno come viverlo e consumano la cosa più bella, innamorarsi ed amare (già due cose ben diverse) come se si mangiasse un gelato! In una società dei consumi, anche l’amore è stato trascinato nel carrello della spesa. Nella società dei consumi anche l’amore è stato trascinato nel carrello della spesa Come genitori raccontatevi ai vostri figli nelle vostre belle scelte e passi falsi che avete vissuto nel vostro fidanzamento. Gettare la frasi del tipo: «È giusto che tu faccia tutte le esperienze, perché sei giovane» è come chiedere al figlio di camminare su di un sentiero di montagna con le ciabatte infradito: prima o poi si farà male. Educare ad una affettività matura non vuol dire fare educazione sessuale, ma saper testimoniare come genitori e famiglia tutta, che amare è sapersi relazionare con gli altri in modo serio; quello che dice Gesù nel Vangelo: «Gli si fece vicino e gli fasciò le ferite» per il moribondo ferito, è la stessa indicazione per un genitore che si fa vicino al figlio testimoniandogli la fede con scelte d’amore più che con parole da manuale. 5 Voi, figli, amate tanto la famiglia! L’ennesima indagine effettuata su di voi testimonia che all’essere e fare famiglia ci tenete e come. L’uomo è fatto per la relazione e il rimanere soli può essere una scelta ovviamente da rispettare, ma che non va nel fine per cui l’uomo è stato creato. Ma non è di questo che volevo parlare, bensì dell’importanza I nostri dei figli in un rapporto famigliare e nelle relagenitori zioni tra i genitori.Voi figli avete salvato più di una volta il matrimonio dei vostri genitori e, in si stanno altre situazioni invece, vi siete trovati con le ri-amando spalle al muro. Quante volte avete visto darsi un bacio ed un abbraccio tra papà e mamma dopo giorni di silenzio glaciale. Come figli sappiate essere quel sano pungolo che ricorda a voi stessi d’essere stati creati e generati per amore; ai vostri genitori la vostra presenza riFatevi sentire! corda che ogni giorno si riparte per amare e lasciarsi amare. Quando avvertite che nell’aria c’è qualcosa che non va, non attendete che passi sotto silenzio. Fatevi sentire, rompete quelle trame che non portano a nulla di buono. È la famiglia che salva se stessa, grazie all’aiuto e al coinvolgimento di ognuno. Non credo che sia giusto dire: «Questa faccenda riguarda solo loro»; a volte la si dice per non crearsi ulteriori problemi (vero?). Credo prezioso, invece, un rimotivare nei vostri genitori un amore che forse nel tempo ha perso quello smalto iniziale. È stupendo quando Gesù guarisce un uomo e questo desidera seguirlo. La risposta di Gesù è tutto un programma: «Va’ dai tuoi, di casa, e annuncia la misericordia che Dio ti ha usato». Come a dire: prima di telefonare allo psicologo o al proprio amico prete per chiedere un consiglio e parere sul da farsi della propria famiglia, siate voi figli a chiedere ai genitori di rigenerarsi nuovamente. Fa bene a loro a voi per primi. E in quelle famiglie dove la separazione è già in atto o addirittura vi sono seconde nozze? Non sono solo i figli a rimetterci per primo, ma è tutta la famiglia che ne risente. Spesso mi capita di incontrare dei giovani che hanno avuto alle spalle la separazione dei loro genitori e si chiedono: «Riuscirò a farmi una famiglia?». La mia risposta è sempre positiva perché la caduta di altri non arresta chi sta camminando. Dio è amore, dice san Giovanni: è la speranza che dà speranza a chi accoglie questo messaggio, perché è un amore che ti chiede di uscire dai propri circuiti personali per aprirsi a quelli di Dio caratterizzati da stupore, fedeltà, coraggio. Va’ dai tuoi, di casa, e annuncia la misericordia che Dio ti ha usato 7 Lavorare per vivere o vivere per lavorare! La realtà del lavoro è come un barca al largo, in mare aperto: sempre in continua balia delle onde dell’incertezza. Parole ed espressioni come precario, a tempo determinato, a contratto breve, sono familiari per coloro che hanno a che fare con il lavoro, specie se ai suoi primi passi. Una cosa è certa: il lavoro è importante, ma se ti mette le catene Ho spedito della paura di perderlo o di non trovarlo mai, il curriculum tutto questo è rischioso. Se il lavoro viene prima di tutto, vuol dire che è divenuto l’idolo da adorare. Ma la retta della scuola, i libri scolastici che aumentano sempre più, i vestiti per i figli e altre domande di questo tipo, a queste cose chi ci pensa se non si hanno due lavori e quindi due stipendi? Nel frattempo i figli sin da piccoli crescono con le nonne, le zie, le colf straniere. Ripensare La risposta ufficiale è: non si può fare diversamente! Ripenil lavoro sare il lavoro a partire dal bene primario che è la famiglia e a partire la sua salvaguardia è quanto mai importante. Fare un lavoro che piace è il massimo della realizzazione, ma spesso e mal dal bene volentieri ci si trova a fare un lavoro per necessità di stipendio da riportare a casa. Anche il lavoro deve avere un’anima, ovvero, che ti deve poter far dire: sono contento di essere una persona che contribuisce al progresso comune. Perché il lavoro abbia sempre un’anima bisogna stare attenti a non cadere nel laccio del denaro fine a se stesso. A causa di esso molte famiglie si sono separate perché il doppio lavoro e gli straordinari «che bisognava fare e non si poteva diversamente», hanno prevalso. Qual è, pertanto, la speranza possibile perché il lavoro non si trasformi in una schiavitù o in un incubo permanente? La parabola dei talenti, che Gesù racconta nel Vangelo, offre una indicazione chiara: se hai ricevuto dei talenti mettili a frutto, ovvero, fai con passione e dignità ciò che ti viene chiesto. Il lavoro deve saper ridare un volto vero alla tua persona e non abbruttirti o farti perdere la voglia di vivere. Quando alla sera si ritorna a casa, pur con tutte le difficoltà che vi sono, e vedere che il “lavoro nascosto più prezioso” è quello di dare una testimonianza di fedeltà e serietà, credo che valga molto di più di stipendi triplicato o portafogli zeppi di euro. E se la festa la ripensassimo così? È ancora vera l’espressione: “Ci si diverte con poco?”. Sì, è ancora attuale e viva. Provate a porvi questa domanda: che cosa è per me la festa? Provate a vedere a quali risposte arrivate. Alla parola festa si associano tante cose, realtà, luoghi, persone, gesti, ecc. Ma non va dimenticato che il primo luogo dove inizia a prendere vita la festa è l’interiorità di ogni persona. Vi sarà capitato di partecipare ad una festa perché gli amici vi ci hanno costretto, ma in fondo in fondo non vi siete divertiti perché interiormente c’è qualcosa che non và. Nessuna pasticca o qualcosa di simile potrà mai dare felicità, anzi, la toglie per sostituirla con l’insoddisfazione. E allora che fare? Se l’alternativa tra l’andare in un centro commerciale di domenica per “dare una occhiata” per poi uscire con due carrelli pieni e lo stare con il gruppo di amici e raccontare di sé condividendo esperienze, comuni timori e altrettante speranze, beh, preferisco la seconda. Perché nella prima ipotesi riempio la mia pancia che ha sempre fame di cose, oggetti inutili, pseudo bisogni; nella seconda via nutro il mio cuore, la mente e le relazioni. “Fare festa” come sinonimo di trovare il gusto nello stare assieme è tanto povera, come espressione, quanto vera, ricca e assai poco praticata. Gli esempi che Gesù riporta nel Vangelo di cosa voglia dire fare festa non sono mai al singolare e non riguardano il riempire la pancia con desideri superficiali. La festa, per Gesù, è sempre il ritrovarsi (sia personalmente che nelle relazioni) per il gusto e la gioia dell’incontro. Sì, la festa è quel bello e buono che c’è in noi ma che si compie realmente e completamente quando ci si relaziona e si dona. Il frutto della festa, allora, è il dono, il gratuito, il non pensato e studiato, l’inatteso. Quando vi chiedete: «Che cosa facciamo questa sera o il prossimo fine settimana», prima di rispondervi, chiedetevi sempre che cosa volete e cercate. Perché la voglia di fare festa vera nasce da un desiderio autentico. La festa inizia dentro di noi Nutrire la pancia o nutrire il cuore? Per Gesù, la festa è ritrovarsi e relazionarsi 9 Al convegno della Chiesa Italiana a Verona è stata chiamata come fragilità; ma è più conosciuta come dolore, malattia, anzianità, sofferenza. Anche a casa vostra, sono convinto, che la sofferenza ha già bussato e forse anche più di una volta. Si spera sempre che appuntamenti di questo tipo non vengano mai; poi ci si accorge che fanno parte proprio dell’uomo No, questa e del suo vivere. Su come si accoglie, si vive e si malattia reagisce ad un dolore si potrebbe scrivere tanto, ma non so nemmeno se sia il caso (e queste panon ci voleva... gine volanti, di certo non lo permettono). Una cosa bella che il mondo della sofferenza e della malattia “regala” è questa: che se riesci a viverlo con l’ottica profondamente umana e intensamente evangelica, diviene un dono. Questa espressione forte nasce dall’esperienza vissuta e credo che per ogni persona arrivi il momento di «tornare a scuola»: ovvero, di imparare sui banchi delle giornate vissute e da vivere, una nuova grammatica ed un nuovo vocabolario che prima non conoscevamo. Apparentemente sembra che lo schiaffo della malattia e del dolore cancelli d’un tratto tutto un passato e le parole si azzerino all’improvviso. Ma non è così. Man mano che si avanza (e la presenza di persone accanto, anche silenti ma significative, è un bel dono) ci si accorge che è giunto il momento del «secondo parto», di ricominciare a vivere perché qualcosa e qual- cuno è morto con te, ma non definitivamente. A nessuno piace soffrire, ovviamente, ma non credo ad una vita che sia davvero tale senza la presenza della fragilità umana. All’espressione “questa malattia non ci voleva”, con il tempo si arriva a dire e ad affiancarne un’altra: “grazie a questo dolore ho capito…”. Dalla maledizione al ringraziamento. Quel dire “non ci voleva” è come se celasse una volontà nascosta di decidere della propria vita (e anche su quella degli altri). La fragilità di una malattia, la fragilità di un carattere e di una personalità che non sempre ci piacciono, ci riportano con i piedi per terra e ci ricordano che anche ciò che si considera “non dono” ha in sé una preziosità che fa bene ad essere accolta. Sì, come l’acqua per la terra. Gesù di Nazareth nel guarire le malattie fisiche ha sempre cercato di guarire la malattia della paura e dell’onnipotenza. Quando in casa bussa la sofferenza, non chiudetele la porta in faccia (anche perché entrerà ugualmente!), ma sappiate aprire perché da lì altre porte si apriranno e sentieri inattesi saranno tracciati. ma grazie a questo dolore ho capito... Se provate ad osservare una persona che sfoglia il giornale è quanto mai probabile che sulle pagine della politica l’occhio corra assai velocemente. Così nell’ascoltare le notizie al Tg, quelle di politica appaiono le più “noiose” a meno che non parlino di qualche baruffa o lite durante le assemblee. Insomma, dalla politica siamo invasi ma ai più gioCari cittadini! vani (e forse non solo loro) non piace poi così tanto. Perché? Perché al termine originario di poCosa litica (la città, il bene e la cosa di tutti) si sta vuol dire? dando una immagine di poltrona da difendere, potere da tenere e prestigio da sfoggiare. Ma la politica è tutt’altro. Giorgio La Pira, grande politico e uomo credente, diceva che la politica «è la forma di carità più alta». Ed è vero, se viene vissuta bene. Ma non si deve nemmeno racchiudere il senso della città e La politica cittadinanza solo nella politica. Anche le aule scolastiche, è la forma i giardini pubblici, le cabine telefoniche (quelle poche rimadi carità ste, visto l’ondata del cellulare!) e altri luoghi comuni ci parlano di ciò che è bene di tutti, quindi bene comune. Il più alta gioco “siccome non è mio, quindi lo rompo o lo imbratto”, prima o poi ci ritorna contro. Volete un esempio? Eccolo: diversi presidi di alcune scuole superiori hanno fatto un patto con gli alunni, dove vi sarà rispetto maggiore degli ambienti scolastici vi sarà una attivazione maggiore di corsi di specializzazione e approfondimento accanto alle ore scolastiche. I risultati? Se ne sono avuti, perché è nell’interesse dello studente apprendere meglio, di più e specializzarsi in vista del lavoro. Perché i giovani imparino ad amare la propria città ed impegnarsi, semmai, anche nella politica è bene partire dall’amore della propria famiglia. Saper servire e amare chi mi è vicino per allargare poi gli occhi ad orizzonti più ampi. Anche la parrocchia stessa può e deve essere una occasione preziosa per imparare ad amare quello che è il bene comune, proprio come il la- voro di tante api operaie nella costruzione dell’alveare e la produzione del miele. È per tutti. Passare dall’io al noi è un cammino necessario e non facile, ma nemmeno impossibile. Perché un giovane, al momento del suo primo voto e contributo alla società come privato cittadino, compia il suo dovere in modo autentico, vero e credibile, va aiutato a farlo negli anni precedenti ad esso. Come le cose e le relazioni non s’improvvisano, così la passione per il servizio agli altri nasce giorno dopo giorno, guardando sempre con occhi che desiderano il bene, facendolo bene. Di tutti. Passare dall’Io al Noi Volete che il telecomando del vostro televisore non vi si rompa più? Ecco qua la custodia che lo protegge e lo fa rimbalzare! Ecco l’annuncio della pubblicità. Ma andiamo subito al nocciolo: è il caso che il telecomando sappia stare bene in mano perché da ciò che scelgo di vedere ne va della mia salute? Esagerato (qualcuno potrà dire)! Proviamo a riflettere, a piccoli flash, sul tema della comunicazione, di come Dal tele-comando arriva in casa nostra e cosa, di conseguenza, scegliamo o meno di vedere. al tele-educando Se c’è una cosa che si subisce, questa è proprio la televisione. Il libro, diversamente, ti costringe a pensare, a riflettere, ad attivare una riflessione perché vuol sapere il tuo parere. Davanti alla tv tutto questo discorso non lo facciamo, anzi: si subisce, ben sapendo di farlo. La televisione è distrazione e svago, non mi fa pensare e riflettere, non chiede il mio parere ma chiede di aprire la mia bocca e orecchie per essere riempiti. Ecco spiegato, per Saper esempio, il grande successo di trasmissioni chiamate «spazzatura». Domanda: ma la spazzatura a casa vostra non si butta scegliere via? O rimane per giorni e giorni sotto il lavello o nel terrazzo! è importante Credo proprio di no. Sono trasmissioni che io chiamo «narcotiche», ovvero, che addormentano, che distolgono dai problemi quotidiani della vita sociale e personale dando l’illusione di stare meglio e divertirsi. Tutt’altro. Quando poi ci si deve confrontare con i reali problemi, queste trasmissioni non sono capaci di dare risposte. Ma la tv non è tutta così, per fortuna. Ed è per questo che propongo di cambiare nome al telecomando, chiamando tele-educando. È importante scegliere in famiglia quali programmi vedere al pari del cibo da mettere nel proprio stomaco. Non tutto va visto perché non tutto fa bene al corpo. Negare ad un figlio di vedere quel programma può dare l’effetto contrario: la voglia di vederlo a tutti costi, anche di nascosto o chiedendo ad un amico di registrarlo. Piuttosto può essere positivo, come prima volta, vedere assieme quel tipo di programma considerato non positivo e coglierne assieme (genitore – figlio) tutti gli elementi. Saper offrire ai propri figli criteri validi, fondati e costruttivi perché imparino a scegliere davanti alla programmazione televisiva è assai più impegnativo rispetto all’immediato negare il programma. Ma nel lungo tempo un servizio di questo tipo aiuta il figlio ad essere cosciente e responsabile, rendendolo attrezzato nello scegliere anche il tipo stesso di comunicazione. Dio non fa notizia, ma è sempre sulla bocca di tutti (a proposito e a sproposito!). In televisione viene relegato spesso e volentieri dentro dei programmi, ma il più delle volte ne parlano anche quando non è in scaletta (come punti da trattare). Perché tutto ciò, vi state chiedendo? Perché Dio non ha bisogno dei media (televisione, radio, stampa, internet, cinema) per farsi conoscere e arrivare al cuore dell’uomo. Di certo, è pur vero, che gli uomini si servono dei media per testimoniare Dio e Dio stesso, credo, non disdegna. La speranza di un Padre Dio che si è fatto carne in Gesù di Nazareth non sarà mai oscurato nemmeno della comunicazione di notizie più negative e atroci. Se il Vangelo è Buona Notizia, esso continua ad esserlo anche dentro le notizie non buone. La sfida da accogliere è proprio questa: nelle notizie che gridano la cattiveria e la barbarie, impariamo ad ascoltare l’infelicità degli uomini e il loro desiderio di bene. Negli avvenimenti che sfigurano il volto dell’uomo, il suo corpo e il suo abuso sino ai gesti che nemmeno gli animali osano fare, cerchiamo di scorgere un volto di uomo che cerca disperatamente la sua vera identità. La speranza cristiana andrà sempre «in onda» perché finché ci sarà l’uomo, ci sarà Dio. La speranza è sempre «in diretta» Due parole sull’autore... Giacomo Ruggeri, sacerdote della diocesi di Fano Fossombrone Cagli Pergola. È direttore del Centro Diocesano Vocazioni. Scrittore e giornalista, scrive per Avvenire, su riviste e periodici a livello nazionale. Impegnato ad approfondire il tema della Comunicazione presso l'Istituto Pastorale Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense in Roma. Tra le diverse pubblicazioni dell'autore, segnaliamo: Il profumo del pane. L'eucaristia che sa di vita, Queriniana; Parrocchia ci sei ancora?, Queriniana; Volti svelati. Lo splendido paradosso della clausura, Rogate; Servire a chi serve? Sulla pastorale vocazionale, Paoline. Immagini: © Pascale Wowak - FOTOLIA (copertina), Francesca Carnevalini (pp. 2,3a,13c), Lamberto Manni (pp. 3bc,4,6,8, 11bc, 13ab), © andresr - FOTOLIA (p. 7), © forca - FOTOLIA (p. 10), © Stephen Mcsweeny - FOTOLIA (p. 15), Giorgio Valdisserri (p. 5,9) € 0,80 Pian di Porto I voc. Bodoglie, 148 - 06059 TODI (PG) Tel. +39 075 8980433 - Fax +39 075 8987110 - [email protected] Finito di stampare nel mese di dicembre 2006 da Litograf S.r.l. - Todi (PG)