Una mamma dà le sue raccomandazioni giornaliere alla propria figlia: «Quante volte ti ho detto
che prima di aprire la porta devi chiedere chi è? Non
si apre al primo che bussa: chiedi sempre chi è».
E la figlia risponde: «Mamma, a forza di non aprire,
sto morendo di claustrofobia (non so cosa vuol dire
di preciso, ma a scuola mi hanno detto che è la
Se bussa
paura di rimanere chiusi in un qualsiasi posto!)».
la speranza,
Da quando si mette il piede giù dal letto sino alla
sera
che si torna a dormire, la collana di “perlechiedi
preoccupazioni” quotidiane è davvero fitta e
di che “tipo” ricca:
figli da accompagnare a scuola, bollette da
pagare prima della scadenza, fare la spesa nel supermercato più conveniente, provvedere al proprio genitore
anziano e tante altre beghe quotidiane. Si arriva alla sera
stanchi, con un milione di cose ancora non fatte (e che ricadono sul giorno dopo), bisogna preparare la cena e i figli
ti chiedono di guardare i compiti (quando va bene!). La nostra giovane figlia che deve chiedere sempre «chi bussi alla
porta» ha una voglia matta di aprire le porte della propria
mente e del proprio cuore per iniziare a vedere il mondo, gli
avvenimenti e tanti perché della propria vita con occhi
nuovi. Ma con quali? Ecco qua.
Nell’ottobre del 2006 nella città di Verona (anche la teHanno detto levisione e i giornali ne hanno parlato per una settimana, circa) si è tenuta una grande riunione con
a Verona
cardinali, vescovi, preti, mamme e papà di famiglia,
insegnanti, operai, giovani. Anche il Papa Benedetto,
in un solo giorno toccata e fuga, ha voluto essere presente e dare un messaggio. E di cosa hanno parlato?
Hanno ri-detto, dopo 2000 anni, che c’è un uomo di
nome Gesù di Nazareth, meglio conosciuto come Gesù
Cristo, risorto dai morti. Di lui si è sempre detto che è
il Figlio di Dio, colui che dona la vita al mondo e all’incontro di Verona è stato scritto a caratteri cubitali che
è la speranza del mondo.
Ma la nostra giovane figlia, di tutte queste belle frasi,
cose ne sa? Le avrà sentite a catechismo, dal proprio sacerdote in parrocchia, le ha lette in un libro.
Una cosa è certa: quel signore di nome Gesù di Nazareth,
detto Gesù Cristo, sarà sempre anonimo finché la nostra ragazza non gli aprirà la porta della sua mente e del suo
cuore. E per fare tutto ciò è necessario iniziare a guardare la vita da una prospettiva precisa e particolare: la
speranza del Vangelo. Quelle pagine della Bibbia
come delle mani che prendono altre mani (le tue) e ti
accompagnano nella tua vita, giorno dopo giorno.
Se andrai avanti nel leggere queste pagine “in un sol
boccone o tutte d’un sorso”, vedrai che i piedi sono ben
aderenti al terreno, ma il cuore e la testa puntano in alto
e in profondità.
Ecco, allora, perché ha ragione la mamma quando dice:
«Devi chiedere chi è», come a dire «La speranza di un
mondo migliore è per tanti, un desiderio futuro; la speranza in Gesù Cristo è già presente».
In questo piccolo libretto non c’è una sola parola di
ciò che è stato detto a Verona (testi ufficiali, documenti, ecc), ma è un rileggere tra i fornelli di casa,
i figli da accompagnare a scuola, le bollette da pagare, il genitore anziano da accudire, gli innamoramenti dei figli (e i loro problemi!!), che ciò che è
stato detto al convegno della Chiesa italiana a Verona (anche se, forse, non ne conosci nulla o poco)
ha a che fare con la vostra famiglia e la tua vita. In
poche parole: riguarda te, il passato, specie il presente
e in modo particolare il futuro. Non vi sono delle ricette
(meglio in cucina, per quelle!), ma delle lenti un po’ particolari che possono aiutarti a dare un senso (forse da oggi?
Perché no!) diverso alla propria vita. E la sorpresa più
grande potrebbe essere anche quella di arrivare a dire con
le parole di S. Agostino:
“Io Signore ti cercavo fuori di me e tu eri dentro di me”.
La speranza
del Vangelo
Parliamo
di te
3
Guardando
la nostra società la Chiesa italiana
si è chiesta: ma l’uomo sa amare? Se dobbiamo dar
ascolto alle notizie di cronaca (violenze sessuali, pedofilia, giochi erotici in diversi luoghi, ecc) verrebbe
da dire forse di no. Se da un lato non dobbiamo vedere
nero ovunque è anche vero che dall’altro lato non
I nostri figli possiamo spalmare la parola amore su tutto e tutti.
Vuoi un esempio: quando tuo figlio si sta innasi sono
morando, tu genitore lo vedi lontano un chilometro:
da come si veste, in che modo risponde al
innamorati!
telefono (mai quello di casa! Sempre e solo al cellulare), ha la testa per aria e via di questo passo.
Ovviamente anche quando iniziano i primi cocci e
l’incantesimo si rompe: pianti, digiuni, voti scolastici che
vanno in picchiata discendente perché il problema-cuore è
andato in tilt. Pongo ora una domanda a voi genitori: cosa
vuol dire, per voi, educare i figli ad una affettività matura e responsabile? Alt. Già questa frase fa fumare il cervello! Proviamo a riscriverla: in che modo, con quali parole
e gesti insegno ai miei figli ad amare il proprio corpo, ad
Cosa vuol dire aver rispetto del corpo altrui, ad amare secondo l’amore
del Vangelo? Se la prima risposta che state per
educare i figli? cristiano,
darvi è la seguente, ovvero, “per queste cose c’è il catechismo”, forse è il caso di pensarci su. L’amore cristiano non
potrà mai essere solo un insieme di cose da dire e non
dire, fare e non fare; anche perché vi sarà capitato (mi
auguro di no) di dire a vostro figlio: “Se a scuola ti
danno un calcio, non fare il fesso, tu danne un altro e
più forte. Così fai vedere chi sei!”. Cosa c’entra con
l’amore? C’entra e come. Alla parola amore abbiamo
appiccicato tante etichette: sessualità, affettività, sessualità, sentimenti, genitalità. Ma ogni parola è un
mondo a sé e la pubblicità ed alcune trasmissioni televisive di certo non aiutano a fare chiarezza.
Qual è, allora, la speranza cristiana che pulsa nel Vangelo e che fa dire all’uomo: «E’ bello amare e donarsi»
e non «stai attento perché l’amore è una fregatura»?
Quando come genitori vi state accorgendo che i vostri figli
si stanno innamorando o sono nel pieno innamoramento,
siate presenti e non assenti. Non vuol dire essere ficcanasi,
ma nemmeno superficiali e liquidare il tutto con un “anche
noi ci siamo passati”. Oggi i ragazzi scoprono prima la
genitalità e poi l’affettività, parlano di amore come un
ingegnere nucleare con il dito sul pulsante della messa
in orbita. Hanno in mano qualcosa di grandissimo e prezioso, ma non sanno come viverlo e consumano la cosa
più bella, innamorarsi ed amare (già due cose ben diverse) come se si mangiasse un gelato! In una società
dei consumi, anche l’amore è stato trascinato nel carrello della spesa.
Nella società
dei consumi
anche l’amore
è stato trascinato
nel carrello
della spesa
Come genitori raccontatevi ai vostri figli nelle vostre
belle scelte e passi falsi che avete vissuto nel vostro fidanzamento. Gettare la frasi del tipo: «È giusto che tu
faccia tutte le esperienze, perché sei giovane» è come
chiedere al figlio di camminare su di un sentiero di
montagna con le ciabatte infradito: prima o poi si farà
male. Educare ad una affettività matura non vuol dire
fare educazione sessuale, ma saper testimoniare come
genitori e famiglia tutta, che amare è sapersi relazionare con gli altri in modo serio; quello che dice Gesù
nel Vangelo: «Gli si fece vicino e gli fasciò le ferite»
per il moribondo ferito, è la stessa indicazione per un
genitore che si fa vicino al figlio testimoniandogli la
fede con scelte d’amore più che con parole da manuale.
5
Voi, figli, amate tanto la famiglia!
L’ennesima indagine effettuata su di voi testimonia
che all’essere e fare famiglia ci tenete e come.
L’uomo è fatto per la relazione e il rimanere soli può
essere una scelta ovviamente da rispettare, ma che non
va nel fine per cui l’uomo è stato creato. Ma non è di
questo che volevo parlare, bensì dell’importanza
I nostri
dei figli in un rapporto famigliare e nelle relagenitori
zioni tra i genitori.Voi figli avete salvato più di
una volta il matrimonio dei vostri genitori e, in
si stanno
altre situazioni invece, vi siete trovati con le
ri-amando
spalle al muro. Quante volte avete visto darsi un
bacio ed un abbraccio tra papà e mamma dopo giorni
di silenzio glaciale. Come figli sappiate essere quel sano
pungolo che ricorda a voi stessi d’essere stati creati e generati per amore; ai vostri genitori la vostra presenza riFatevi sentire! corda che ogni giorno si riparte per amare e lasciarsi
amare. Quando avvertite che nell’aria c’è qualcosa che
non va, non attendete che passi sotto silenzio. Fatevi
sentire, rompete quelle trame che non portano a nulla di buono. È la famiglia che
salva se stessa, grazie all’aiuto e al coinvolgimento di ognuno. Non credo che sia giusto dire: «Questa faccenda riguarda solo
loro»; a volte la si dice per non crearsi ulteriori problemi (vero?). Credo prezioso, invece, un rimotivare nei vostri genitori un
amore che forse nel tempo ha perso
quello smalto iniziale. È stupendo quando
Gesù guarisce un uomo e questo desidera seguirlo. La
risposta di Gesù è tutto un programma: «Va’ dai tuoi,
di casa, e annuncia la misericordia che Dio ti ha
usato». Come a dire: prima di telefonare allo psicologo o al proprio amico prete per chiedere un consiglio e parere sul da farsi della propria famiglia,
siate voi figli a chiedere ai genitori di rigenerarsi
nuovamente. Fa bene a loro a voi per primi.
E in quelle famiglie dove la separazione è già in atto o addirittura vi sono seconde nozze? Non sono solo i figli a rimetterci per primo, ma è tutta la famiglia che ne risente.
Spesso mi capita di incontrare dei giovani che hanno avuto
alle spalle la separazione dei loro genitori e si chiedono:
«Riuscirò a farmi una famiglia?». La mia risposta è sempre
positiva perché la caduta di altri non arresta chi sta camminando. Dio è amore, dice san Giovanni: è la speranza
che dà speranza a chi accoglie questo messaggio, perché è
un amore che ti chiede di uscire dai propri circuiti personali per aprirsi a quelli di Dio caratterizzati da stupore, fedeltà, coraggio.
Va’ dai tuoi,
di casa,
e annuncia
la misericordia
che Dio
ti ha usato
7
Lavorare per vivere o vivere per
lavorare! La realtà del lavoro è come un barca al
largo, in mare aperto: sempre in continua balia delle
onde dell’incertezza. Parole ed espressioni come precario, a tempo determinato, a contratto breve, sono familiari per coloro che hanno a che fare con il lavoro,
specie se ai suoi primi passi. Una cosa è certa: il
lavoro è importante, ma se ti mette le catene
Ho spedito
della paura di perderlo o di non trovarlo mai,
il curriculum tutto questo è rischioso. Se il lavoro viene prima
di tutto, vuol dire che è divenuto l’idolo da adorare. Ma la retta della scuola, i libri scolastici che
aumentano sempre più, i vestiti per i figli e altre domande di questo tipo, a queste cose chi ci pensa se non si
hanno due lavori e quindi due stipendi? Nel frattempo i figli
sin da piccoli crescono con le nonne, le zie, le colf straniere.
Ripensare
La risposta ufficiale è: non si può fare diversamente! Ripenil lavoro
sare il lavoro a partire dal bene primario che è la famiglia e
a partire
la sua salvaguardia è quanto mai importante. Fare un lavoro
che piace è il massimo della realizzazione, ma spesso e mal
dal bene
volentieri ci si trova a fare un lavoro per necessità di stipendio da riportare a casa. Anche il lavoro deve avere un’anima,
ovvero, che ti deve poter far dire: sono contento di essere
una persona che contribuisce al progresso comune. Perché
il lavoro abbia sempre un’anima bisogna stare attenti
a non cadere nel laccio del denaro fine a se stesso. A
causa di esso molte famiglie si sono separate perché il
doppio lavoro e gli straordinari «che bisognava fare e non
si poteva diversamente», hanno prevalso. Qual è, pertanto, la speranza possibile perché il lavoro non si trasformi in una schiavitù o in un incubo permanente? La
parabola dei talenti, che Gesù racconta nel Vangelo, offre
una indicazione chiara: se hai ricevuto dei talenti mettili
a frutto, ovvero, fai con passione e dignità ciò che ti viene
chiesto. Il lavoro deve saper ridare un volto vero alla
tua persona e non abbruttirti o farti perdere la voglia
di vivere. Quando alla sera si ritorna a casa, pur con tutte
le difficoltà che vi sono, e vedere che il “lavoro nascosto
più prezioso” è quello di dare una testimonianza di fedeltà
e serietà, credo che valga molto di più di stipendi triplicato
o portafogli zeppi di euro.
E se la festa la ripensassimo così?
È ancora vera l’espressione: “Ci si diverte con poco?”.
Sì, è ancora attuale e viva. Provate a porvi questa domanda: che cosa è per me la festa? Provate a vedere a
quali risposte arrivate. Alla parola festa si associano tante
cose, realtà, luoghi, persone, gesti, ecc. Ma non va dimenticato che il primo luogo dove inizia a prendere
vita la festa è l’interiorità di ogni persona. Vi sarà capitato di partecipare ad una festa perché gli amici vi ci
hanno costretto, ma in fondo in fondo non vi siete divertiti
perché interiormente c’è qualcosa che non và. Nessuna
pasticca o qualcosa di simile potrà mai dare felicità,
anzi, la toglie per sostituirla con l’insoddisfazione. E
allora che fare? Se l’alternativa tra l’andare in un centro
commerciale di domenica per “dare una occhiata” per poi
uscire con due carrelli pieni e lo stare con il gruppo di
amici e raccontare di sé condividendo esperienze, comuni timori e altrettante speranze, beh, preferisco la seconda. Perché nella prima ipotesi riempio la mia pancia che ha sempre
fame di cose, oggetti inutili, pseudo bisogni; nella seconda
via nutro il mio cuore, la mente e le relazioni. “Fare festa”
come sinonimo di trovare il gusto nello stare assieme è
tanto povera, come espressione, quanto vera, ricca e
assai poco praticata. Gli esempi che Gesù riporta nel Vangelo di cosa voglia dire fare festa non sono mai al singolare
e non riguardano il riempire la pancia con desideri superficiali. La festa, per Gesù, è sempre il ritrovarsi (sia personalmente che nelle relazioni) per il gusto e la gioia
dell’incontro. Sì, la festa è quel bello e buono che c’è in
noi ma che si compie realmente e completamente quando
ci si relaziona e si dona. Il frutto della festa, allora, è il
dono, il gratuito, il non pensato e studiato, l’inatteso.
Quando vi chiedete: «Che cosa facciamo questa sera o il
prossimo fine settimana», prima di rispondervi, chiedetevi
sempre che cosa volete e cercate. Perché la voglia di fare
festa vera nasce da un desiderio autentico.
La festa inizia
dentro di noi
Nutrire
la pancia
o nutrire
il cuore?
Per Gesù,
la festa è
ritrovarsi
e relazionarsi
9
Al convegno della Chiesa Italiana a Verona è
stata chiamata come fragilità; ma è più conosciuta
come dolore, malattia, anzianità, sofferenza. Anche a
casa vostra, sono convinto, che la sofferenza ha già
bussato e forse anche più di una volta. Si spera sempre
che appuntamenti di questo tipo non vengano mai;
poi ci si accorge che fanno parte proprio dell’uomo
No, questa
e del suo vivere. Su come si accoglie, si vive e si
malattia
reagisce ad un dolore si potrebbe scrivere tanto,
ma
non so nemmeno se sia il caso (e queste panon ci voleva...
gine volanti, di certo non lo permettono). Una
cosa bella che il mondo della sofferenza e della malattia “regala” è questa: che se riesci a viverlo con
l’ottica profondamente umana e intensamente evangelica,
diviene un dono.
Questa espressione forte nasce dall’esperienza vissuta e
credo che per ogni persona arrivi il momento di «tornare a
scuola»: ovvero, di imparare sui banchi delle giornate vissute e da vivere, una nuova grammatica ed un nuovo vocabolario che prima non conoscevamo. Apparentemente sembra che lo schiaffo della malattia e del dolore cancelli d’un
tratto tutto un passato e le parole si
azzerino all’improvviso. Ma non
è così. Man mano
che si avanza (e la
presenza di persone accanto, anche silenti ma significative, è un
bel dono) ci si accorge che è giunto
il momento del
«secondo parto»,
di ricominciare a
vivere
perché
qualcosa e qual-
cuno è morto con te, ma non definitivamente. A nessuno
piace soffrire, ovviamente, ma non credo ad una vita che sia
davvero tale senza la presenza della fragilità umana. All’espressione “questa malattia non ci voleva”, con il
tempo si arriva a dire e ad affiancarne un’altra: “grazie
a questo dolore ho capito…”. Dalla maledizione al ringraziamento. Quel dire “non ci voleva” è come se celasse una
volontà nascosta di decidere della propria vita (e anche su
quella degli altri). La fragilità di una malattia, la fragilità
di un carattere e di una personalità che non sempre ci
piacciono, ci riportano con i piedi per terra e ci ricordano che anche ciò che si considera “non dono” ha in
sé una preziosità che fa bene ad essere accolta. Sì,
come l’acqua per la terra. Gesù di Nazareth nel guarire
le malattie fisiche ha sempre cercato di guarire la malattia della paura e dell’onnipotenza.
Quando in casa bussa la sofferenza, non chiudetele
la porta in faccia (anche perché entrerà ugualmente!), ma sappiate aprire perché da lì altre porte
si apriranno e sentieri inattesi saranno tracciati.
ma grazie
a questo
dolore
ho capito...
Se provate ad osservare una persona che
sfoglia il giornale è quanto mai probabile che sulle pagine della politica l’occhio corra assai velocemente.
Così nell’ascoltare le notizie al Tg, quelle di politica
appaiono le più “noiose” a meno che non parlino di
qualche baruffa o lite durante le assemblee.
Insomma, dalla politica siamo invasi ma ai più gioCari cittadini! vani (e forse non solo loro) non piace poi così
tanto. Perché? Perché al termine originario di poCosa
litica (la città, il bene e la cosa di tutti) si sta
vuol dire?
dando una immagine di poltrona da difendere, potere da tenere e prestigio da sfoggiare. Ma la politica è tutt’altro. Giorgio La Pira, grande politico e
uomo credente, diceva che la politica «è la forma di carità più alta». Ed è vero, se viene vissuta bene.
Ma non si deve nemmeno racchiudere il senso della città e
La politica
cittadinanza solo nella politica. Anche le aule scolastiche,
è la forma
i giardini pubblici, le cabine telefoniche (quelle poche rimadi carità
ste, visto l’ondata del cellulare!) e altri luoghi comuni ci
parlano di ciò che è bene di tutti, quindi bene comune. Il
più alta
gioco “siccome non è mio, quindi lo rompo o lo imbratto”,
prima o poi ci ritorna contro. Volete un esempio? Eccolo:
diversi presidi di alcune scuole superiori hanno fatto un
patto con gli alunni, dove vi sarà rispetto maggiore
degli ambienti scolastici vi sarà una attivazione maggiore di corsi di specializzazione e approfondimento
accanto alle ore scolastiche. I risultati? Se ne sono
avuti, perché è nell’interesse dello studente apprendere
meglio, di più e specializzarsi in vista del lavoro.
Perché i giovani imparino ad amare la propria città
ed impegnarsi, semmai, anche nella politica è bene
partire dall’amore della propria famiglia. Saper servire e amare chi mi è vicino per allargare poi gli occhi
ad orizzonti più ampi. Anche la parrocchia stessa può
e deve essere una occasione preziosa per imparare ad
amare quello che è il bene comune, proprio come il la-
voro di tante api operaie nella costruzione dell’alveare e la
produzione del miele. È per tutti. Passare dall’io al noi è
un cammino necessario e non facile, ma nemmeno impossibile. Perché un giovane, al momento del suo primo
voto e contributo alla società come privato cittadino, compia il suo dovere in modo autentico, vero e credibile, va
aiutato a farlo negli anni precedenti ad esso. Come le
cose e le relazioni non s’improvvisano, così la passione
per il servizio agli altri nasce giorno dopo giorno, guardando sempre con occhi che desiderano il bene, facendolo bene. Di tutti.
Passare
dall’Io
al Noi
Volete che il telecomando
del vostro
televisore non vi si rompa più? Ecco qua la custodia che
lo protegge e lo fa rimbalzare! Ecco l’annuncio della pubblicità. Ma andiamo subito al nocciolo: è il caso che il telecomando sappia stare bene in mano perché da ciò che
scelgo di vedere ne va della mia salute? Esagerato
(qualcuno potrà dire)! Proviamo a riflettere, a piccoli flash, sul tema della comunicazione, di come
Dal tele-comando arriva in casa nostra e cosa, di conseguenza, scegliamo o meno di vedere.
al tele-educando Se
c’è una cosa che si subisce, questa è proprio la televisione. Il libro, diversamente, ti costringe a pensare, a riflettere, ad attivare una riflessione perché vuol
sapere il tuo parere. Davanti alla tv tutto questo discorso
non lo facciamo, anzi: si subisce, ben sapendo di farlo. La televisione è distrazione e svago, non mi fa pensare e riflettere, non chiede il mio parere ma chiede di aprire la mia
bocca e orecchie per essere riempiti. Ecco spiegato, per
Saper
esempio, il grande successo di trasmissioni chiamate «spazzatura». Domanda: ma la spazzatura a casa vostra non si butta
scegliere
via? O rimane per giorni e giorni sotto il lavello o nel terrazzo!
è importante Credo proprio di no. Sono trasmissioni che io chiamo «narcotiche», ovvero, che addormentano, che distolgono dai problemi quotidiani della vita sociale e personale dando l’illusione
di stare meglio e divertirsi. Tutt’altro. Quando poi ci si deve
confrontare con i reali problemi, queste trasmissioni non sono
capaci di dare risposte. Ma la tv non è tutta così, per fortuna.
Ed è per questo che propongo di cambiare nome al telecomando, chiamando tele-educando. È importante scegliere in famiglia quali programmi vedere al pari del cibo da
mettere nel proprio stomaco. Non tutto va visto perché non
tutto fa bene al corpo. Negare ad un figlio di vedere quel
programma può dare l’effetto contrario: la voglia di vederlo a tutti costi, anche di nascosto o chiedendo ad un
amico di registrarlo. Piuttosto può essere positivo, come
prima volta, vedere assieme quel tipo di programma considerato non positivo e coglierne assieme (genitore – figlio)
tutti gli elementi. Saper offrire ai propri figli criteri validi,
fondati e costruttivi perché imparino a scegliere davanti
alla programmazione televisiva è assai più impegnativo
rispetto all’immediato negare il programma.
Ma nel lungo tempo un servizio di questo
tipo aiuta il figlio ad essere cosciente e
responsabile, rendendolo
attrezzato nello scegliere
anche il tipo stesso di comunicazione. Dio non fa
notizia, ma è sempre sulla
bocca di tutti (a proposito
e a sproposito!). In televisione viene relegato spesso e
volentieri dentro dei programmi, ma il più delle volte
ne parlano anche quando non è in
scaletta (come punti da trattare). Perché tutto ciò, vi state chiedendo? Perché
Dio non ha bisogno dei media (televisione,
radio, stampa, internet, cinema) per farsi conoscere e
arrivare al cuore dell’uomo. Di certo, è pur vero, che gli uomini si servono dei media per testimoniare Dio e Dio stesso,
credo, non disdegna. La speranza di un Padre Dio che si è
fatto carne in Gesù di Nazareth non sarà mai oscurato
nemmeno della comunicazione di notizie più negative e
atroci. Se il Vangelo è Buona Notizia, esso continua ad esserlo anche dentro le notizie non buone. La sfida da accogliere
è proprio questa: nelle notizie che gridano la cattiveria e la
barbarie, impariamo ad ascoltare l’infelicità degli uomini e il
loro desiderio di bene. Negli avvenimenti che sfigurano il
volto dell’uomo, il suo corpo e il suo abuso sino ai gesti che
nemmeno gli animali osano fare, cerchiamo di scorgere un
volto di uomo che cerca disperatamente la sua vera identità.
La speranza cristiana andrà sempre «in onda» perché finché ci sarà l’uomo, ci sarà Dio.
La speranza
è sempre
«in diretta»
Due parole sull’autore...
Giacomo Ruggeri, sacerdote della diocesi di Fano Fossombrone Cagli Pergola. È direttore del Centro
Diocesano Vocazioni. Scrittore e giornalista, scrive per Avvenire, su riviste e periodici a livello nazionale.
Impegnato ad approfondire il tema della Comunicazione presso l'Istituto Pastorale Redemptor Hominis della
Pontificia Università Lateranense in Roma. Tra le diverse pubblicazioni dell'autore, segnaliamo: Il profumo
del pane. L'eucaristia che sa di vita, Queriniana; Parrocchia ci sei ancora?, Queriniana; Volti svelati. Lo
splendido paradosso della clausura, Rogate; Servire a chi serve? Sulla pastorale vocazionale, Paoline.
Immagini: © Pascale Wowak - FOTOLIA (copertina), Francesca Carnevalini (pp. 2,3a,13c), Lamberto Manni (pp. 3bc,4,6,8, 11bc,
13ab), © andresr - FOTOLIA (p. 7), © forca - FOTOLIA (p. 10), © Stephen Mcsweeny - FOTOLIA (p. 15), Giorgio Valdisserri (p. 5,9)
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Tel. +39 075 8980433 - Fax +39 075 8987110 - [email protected]
Finito di stampare nel mese di dicembre 2006 da Litograf S.r.l. - Todi (PG)
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