verdetà Numero 44 Badare al proprio orticello di GENNARO SPORTIELLO l signor Mario aveva accettato di buon grado di fare la spesa al posto della moglie. Da poco in pensione non aveva ancora trovato un hobby o un passatempo e si trascinava dalla sedia alla poltrona, con la tv sempre accesa, sbuffando di continuo come una locomotiva. Prima di uscire diede un ultimo sguardo al giornale che alle 10 del mattino già conosceva a memoria, necrologi compresi. Passò davanti a un parco. La natura era in letargo. Era inverno e tutto pareva cupo e smorto. Fiori e frutti scarseggiavano e l’impressione era di abbandono. Tra orti e verdure I Arrivato al supermercato non poté fare a meno di provare un senso di meraviglia. Negli ultimi 40 anni aveva pensato solo a lavorare e non entrava in un supermercato da tempo. Dove c’erano frutta e verdura era un tripudio di odori e colori. Non solo il verde di cavoli e broccoli, ma anche il rosso dei pomodori, il quasi viola delle melanzane e perfino diverse varietà di uva, costosa ma invitante. In pieno inverno aveva comprato proprio pomodori, melanzane e un assaggio di uva, spendendo più di quello che avrebbe dovuto. A casa la moglie era rimasta interdetta e gli aveva fatto notare che la pensione era quello che era e bisognava risparmiare. Eppure Mario era rimasto colpito dall’ingegno e dall’inventiva dell’uomo. Mentre fuori la natura era sbiadita, nel supermercato gli era tornato il buonumore. Aveva comprato ortaggi e frutta fuori stagione e gli era sembrata una bella idea, nonostante i mugugni della moglie. Ripensandoci gli era venuta in mente una commedia del grande Eduardo de Filippo chiamata “bene mio, core mio”.Filuccio, commesso di un negozio di frutta e verdura, fresco di nozze, voleva lasciare il posto di lavoro. Il cognato per nulla d’accordo aveva ribadito: “E perdi pure le 60 mila lire al me- 36 se”? La moglie di Filuccio intervenne: “vuole impiantare lui un negozio moderno, dignitoso. Uno di quei negozi dove si vende uno di tutto. E Filuccio: ”Un negozio di primizie. L’uva fuori stagione, ortaggi pure. Per esempio io a Natale entro e trovo i cetrioli.” Quel giorno Mario fece caso a quello che mangiava. Quei pomodori e quelle melanzane cresciuti “a dispetto dei santi” sapevano di poco, anzi non avevano quasi sapore. La tecnologia aveva permesso all’uomo di forzare la natura e produrre frutta e verdura in serra, fuori stagione, ma era come se quello che si era ottenuto fosse senza anima, quasi senza vita. Il giorno dopo di buon mattino era andato alla biblioteca comunale per la prima volta in vita sua. Non era stato facile trovare quello che cercava. C’erano tanti libri che parlavano di agricoltura. Molti erano scritti con un linguaggio tecnico e erano pieni di formule chimiche. Già questo gli pareva strano. E poi cercò di scartare tutti quelli che gli davano l’impressione di essere scritti da ambientalisti. Evocavano sempre future tragedie, catastrofi, sciagure, tanto che ogni volta che sentiva parlare uno di loro finiva per fare gli scongiuri. Alla fine trovò un libretto che spiegava in modo semplice cosa significava coltivare in serra. Mario apprese che in questi casi si consumano in modo particolare elettricità, illuminazione e riscaldamento per far sviluppare e maturare le piante. Si usano spesso fertilizzanti e pesticidi per dare una spinta alla loro crescita. Mario capì che tutto questo non riusciva a sostituire la vitalità della luce del sole alternata alla forza del vento e all’azione della pioggia che al momento opportuno spingono la pianta a compiere il proprio destino e maturare in modo sano e naturale. Salute Alcuni giorni dopo tornò alla biblioteca comunale. Questa volta cercava materiale riguardante gli orti. Quali piante si possono coltivare, come si fa e di quale materiale c’è bisogno. Ci aveva pensato a lungo e aveva deciso di occuparsi di un orto. Impiegare il tempo libero, fare attività fisica all’aria aperta, seminare, annaffiare, curare le piante, raccogliere i frutti e in più risparmiare qualche soldo. Gli sembrava proprio una bella idea. Tanto più che possedeva un piccolo giardino, ma non aveva mai avuto il tempo di interessarsene. La moglie in un angolo aveva piantato delle rose che a tempo debito crescevano rallegrando l’ambiente. Consultò vari testi e la prima cosa che notò fu che fin dai secoli passati il confine fra orti e giardini è sempre stato labile. Apprese che nel 600 a.C. Nabucodonosor aveva conquistato Babilonia, più o meno l’odierna Baghdad. In onore della moglie fece costruire degli orti sviluppati in altezza, fino a oltre 20 metri. Al di sopra furono piantati sia alberi che erbe di ogni tipo. I romani, più pratici, avevano un vero e proprio culto degli “hortolus”, oasi di verde tra un edificio e l’altro, in cui si cercava di accostare piante commestibili e altre belle a vedersi. Nei monasteri medioevali si coltivavano “erbe sem- plici” sia per consumarle che per avere dei rimedi da usare come farmaci. Mario era convinto che prendersi cura di una piantina volesse dire farla crescere e basta. Invece si rese conto che esistono tanti modi e tutti diversi l’uno dall’altro. C’è l’orto sinergico, quello biologico, quello biodinamico e poi c’è l’agricoltura naturale, tanto per citarne alcuni. Dopo alcuni mesi, verso la fine dell’estate, Mario aveva seminato e raccolto un certo numero di piante. Molte erano riuscite bene, altre un po’ meno. Ma una cosa gli era chiara. Fare un orto non vuol dire solo avere ortaggi freschi e coltivati in modo sano. Pensandoci bene aiuta a essere previdenti e immaginare tutto quello che ci può mettere i bastoni fra le ruote, a cominciare dai parassiti, per esempio le lumache che provocano danni in primavera dopo le piogge, proseguendo con la siccità, la pioggia troppo intensa, la grandine. Fare un orto equivale a scambiare incoraggiamenti, pareri, suggerimenti, opinioni con i propri vicini. Prendere la zappa e spostarsi nel campo di un amico per aiutarlo a risolvere un problema. Vuol dire dare il proprio contributo a chi non vuole arrendersi, a chi non si rassegna a vedere il mondo intero saccheggiato, impoverito, disboscato, reso arido e sempre più inquinato. Se vogliamo è l’esatto contrario di chi, intendendo l’individualismo più sfrenato, dice “badare al proprio orticello”. 37 Tra orti e verdure Un’ altra cosa che Mario non aveva mai pensato fino a quel momento riguardava il luogo di produzione di quelle particolari piante. Se provenienti da paesi lontani erano messe in celle frigorifere, in attesa che qualcuno le scegliesse, per essere poi consumate. Ma più tempo restavano rinchiuse nelle celle e più si impoverivano di sostanze nutritive. Anche il trasporto non era esente da critiche, dato che camion, tir, navi e aerei diffondono nell’aria tonnellate di anidride carbonica. Finalmente gli furono chiare alcune frasi che si sentono spesso in giro. Espressioni come “ortaggi a chilometri 0” oppure “filiera corta” proprio a questo miravano. Frutta e verdura di stagione, prodotte nelle vicinanze, meglio se coltivate senza l’uso di fertilizzanti e pesticidi che sono veleni e che quasi sempre sono ricavati dal petrolio. Capì che chi diceva che usare pesticidi e fertilizzanti era come trasformare il cibo in petrolio non aveva poi tutti i torti. Tutto questo non aumenta la produzione ma altera gli alimenti mescolandoli con il petrolio. La testa gli doleva, troppe cose che aveva dato per scontate per tanti anni erano state rimesse in discussione.