Appunti di vita (“qua nessuno c’ha il libretto di istruzioni”) Che se amore o dolori, gioie o rimpianti, non lasciassero un graffio sul cuore, saremmo solo uomini… 2 Sommario Introduzione di Pina Varriale pag. 5 Frammenti d’autore - Una parola data, cento parole per incastonarla pag. 9 Poesie? pag. 67 Storie e altri brevi racconti pag. 135 Personale pag. 205 Cenni biografici pag. 255 3 4 Introduzione (di Pina Varriale) L’amore, la rabbia, l’illusione, i sentimenti, tutta la variegata e composita gamma dei sentimenti umani trovano la forma e l’apparente leggerezza del componimento poetico in questi “frammenti di vita” di Roberto Mazzuia. Non a caso parliamo di leggerezza apparente poiché quasi mai, se non nella forma lirica, si può cogliere il senso profondo del sentire umano. Lo spirito, il pensiero, l’affanno che dura un momento o, come talvolta ci sembra, tutta una vita, non hanno migliore e più efficace espressione di quella poetica. Abile narratore da tratti stilistici nervosi ma precisi, Roberto Mazzuia offre, in questa sorta di diario dello spirito, un'immagine di sé diversa dall’uomo impegnato nel sociale, attento alle problematiche più scottanti che lo hanno visto, nel tempo, promotore e autore di spettacoli-denuncia, cantautore, convinto sostenitore della legalità e dei diritti umani. In questa raccolta, pur senza rinunciare all’attenzione per gli “ultimi” emerge l’io più riservato e la visione, prendendo spunto dal contesto sociale (L'affamato non 5 fa differenza. Del tipo di grano o della qualità dell'acqua. Incurante della quantità di sale. E del pizzico di zucchero a dorar la crosta non chiederei conto) si fa intima (Il tribunale assolverebbe il mio furto/Ché non si negano briciole di pane al moribondo. Così al cuore agonizzante schegge d'amore, frammenti di affetto, scaglie di bene) e profondamente sofferta. Difficile non lasciarsi catturare dalla malia di questi versi, dalla suggestione di parole che hanno la forza di un grido e la levità di una carezza. Bene ha compreso Roberto Mazzuia il potere e la responsabilità che da ciò ne deriva: Le parole scorrono veloci come tela di ragno tessuta senza sforzo apparente. Fluiscono libere e leggere mascherando la loro vera forza. A noi, suoi lettori, resta il compito, peraltro piacevole, di coglierne il senso, il fine e, non da ultimo, l’indiscutibile bravura del Poeta. Pina Varriale 6 Note su Pina Varriale Pina Varriale è nata a Napoli nel 1957. Giornalista per diversi quotidiani e periodici tra cui “Napolisera”, la”Voce”, il “Notiziario”, “Arte più Arte”, il “Tergo”, “Lievito”, ha curato e condotto servizi di attualità e culturali per emittenti radiofoniche e televisive. Si è occupata dei “ragazzi a rischio” progettando e realizzando un laboratorio artistico e teatrale. Ha scritto e messo in scena lavori teatrali originali per i bambini delle scuole elementari e per i ragazzi delle Scuole Medie. Ha tradotto testi letterari dal francese, dallo spagnolo e dall’inglese. Ha partecipato come pittrice a numerose mostre regionali e nazionali. Ha pubblicato diversi libri per adulti: “Il viaggio di Elsa” (ed. Il Borghetto,1992), “L’uomo blu” (ed. Kairòs, 2005), “Stazione centrale” (Homo Scrivens, 2006), “Il vicino” (Scheletri.com 2006), “La caccia” (Magnetica Ed., 2006), “Il capolavoro” (Magnetica Ed., 2006), “La catena spezzata” (Magnetica Ed. 2006), “Evento casuale” (Nuovi Autori Fantascienza, 2006), “Schegge di buio” (Magnetica, 2007). Fra i suoi numerosi libri per ragazzi: “I bambini invisibili” (Piemme, 2008), “Ragazzi di camorra” (Piemme, 7 2007; vincitore del “Premio Bancarellino” 2008), “Leo punto e a capo” (Mondadori, 2006), “Quando la luna divenne saracena” (A. Mondadori Scuola, 2006), “Non ditelo a Cialí. Dal Volturno a Cassino, 1943” (Mondadori, 2004) e “La banda dei Cherubini” (Mondadori, 2003). Nel catalogo di “Orecchio acerbo”, “Al solito posto” illustrato da Francesca Ghermandi (2006). 8 Frammenti d’autore Un gioco. Un termine assegnato, cento parole per incorniciarlo. 9 10 Frammenti d'autore – Discinto (15.04.08) Non ti offendere davanti al mio sguardo discinto. Non ti posso spogliare con gli occhi se non è quel che vorresti. Se sono le mie mani quali lame per i tuoi poveri vestiti e le mie labbra quale acqua per la tua pelle arsa, non da me dipende, fanciulla cara. Son forse io ad averti lasciata divorare dalle fiamme della passione e a non intervenire in tuo soccorso? Riconoscilo! Io non c'ero. Ma, ecco, son idrante se vai cercando acqua. Son petrolio se alimentar le fiamme. Son... incerto, ora, mia cara... paradiso o inferno quel che il tuo sguardo sottintende? 11 Frammenti d'autore – Raffreddore (17.04.08) Maledetta e persistente come il peggior raffreddore. Togli il fiato e scuoti come starnuti in serie che svuotano e lasciano spossati. Maledetta e vigliacca come chi colpisce alle spalle e senza preavviso scombina piani, sogni e progetti, a domani o fra dieci anni destinati. Marciti i miei sorrisi, patetico e inutile nel pregarti di ricordare le promesse e i tuoi “ti amo come sei”. Eccomi come sono! Esattamente come mi sono presentato, esattamente come sapevi fossi. I tremori non si placano e nulla può scaldare. Per ora... Il tempo di recuperare un fazzoletto e spazzarti via prima che diventi polmonite... 12 Frammenti d'autore – Operaio (18.04.08) E ancora... Ti seguo all'inseguimento dell'ultimo capriccio e osservo le tue risate plateali, il tuo essere disinteressata a tutto ciò che non sia tu fingendo di provare interesse per altri. Senti occhi puntati, che brami, e l'occhio di bue ti illumina: in scena! Ogni tanto mi cerchi, quasi avessi bisogno del mio assenso. Fedele al mio ruolo, operaio specializzato in ruffianeria, annuisco: sei tu la più bella del reame. Alla prova di un ultimo capo, attendo, muso a terra, la tua uscita. Scodinzolo alla gioia delle tue forme in fiera evidenza. Una ciotola di carne in cambio del mio onore... 13 Frammenti d'autore – Precario (18.04.08) Mi basto. Conobbi la mia sete di indipendenza al primo vagito che, certamente, emisi prima che la levatrice mi sculacciasse. So per certo che le avrei pisciato in testa se mi avesse sfiorato. Posso dormire a terra o nel miglior hotel. Indossare indistintamente un abito di sartoria come un'alpaca peruviana. Amare una donna o indurne cento a sentirsi lei. Posso stare con mille persone ed essere amabile con tutte, ma perseguirò attimo per attimo la necessità di stare con me. Preparato al passo finale, quando, da solo, varcherò la soglia che mi spoglierà del ruolo precario, passeggero, di essere vivo... 14 Frammenti d'autore – Nebbia (24.04.08) Fidati. Se non dei miei occhi della mia intelligenza. E se non d'essa del mio amore per te. Lo saprai se fermarti o no. Tieni la mia mano e attenta ai tuoi passi. Conosco il bosco della vita passo per passo e non ci accadrà nulla. Serpi non ci sorprenderanno né radici ci faranno inciampare. Se fosse, ho tendini tesi a soccorrerti e come una madre sbranerei chiunque ti minacciasse. Questa nebbia non avrà ragione di noi né del nostro amarci senza condizioni. Oltre la collina, il sole sorprenderà il tuo sorriso e il mio, mai spento, per averti accanto… 15 Frammenti d'autore – Nemico (24.04.08) Allungo il bastone che regge l'elmetto. Scoccherai un altro dardo, lo so. Colpisce e rimbalza, ma ho capito dove sei. Non mi avrai, capisci? Mai più. Scatto dal mio rifugio e finto la direzione. L'ennesimo tentativo di colpirmi va a vuoto mentre accelero dalla parte opposta. Cento metri! Solo cento metri che un uomo terrorizzato può compiere competendo coi campioni. Non puoi avere il tempo di ricaricare anche se procedo zigzagando. Non puoi! Il nemico mi centra tra le scapole. Cupido non ha perso tempo e la sua mira non conosce incertezze. Stramazzo ai tuoi piedi. Perdutamente innamorato di te... 16 Frammenti d'autore – Impassibile (04.05.08) Conosco la strada. La porta è quella che fu di casa mia. Nostra. Rimani impassibile, ma ci penserai. Gli altri uomini ci sperano, vorrebbero, si illudono. Io lo so. I nostri giochi hanno impregnato le mura. L'odore del caffè e delle sigarette, come ogni angolo su cui ci siamo amati, ti parleranno di me e di noi. Conosco la tua smania di libertà e il bisogno di spazi e fughe. Li provavo prima che tu ti rendessi conto di questi bisogni. Ma non pensare di poter semplicemente usare i miei numeri come paracadute. Prima che per te, esisto per me... 17 Frammenti d'autore – Pane (03.06.08) Distinguere, dici? L'affamato non fa differenza. Del tipo di grano o della qualità dell'acqua. Incurante della quantità di sale. E del pizzico di zucchero a dorar la crosta non chiederei conto. Se le mani che l'han lavorato son possenti o delicate. Se avezze o novizie. Affamato mi avvicino al desco e furtivo allungo la mano prima che il padrone mi colga. Il tribunale assolverebbe il mio furto. Ché non si negano briciole di pane al moribondo. Così al cuore agonizzante schegge d'amore, frammenti di affetto, scaglie di bene. Se avvelenata è questa pagnotta, possa tu essere il mio ultimo pasto... 18 Frammenti d'autore – Bocca (03.06.08) Uscirono parole d'amore accompagnate da occhi sinceri. Schegge di emozioni puntinarono messaggi al mio cuore. Non vidi le mani agitarsi a rafforzare i concetti. Non diedi importanza alle lacrime e alle espressioni facciali. Quasi non feci caso al suo lento avvicinarsi. Seguii rapito l'incedere di movimenti, le increspature della rosea bellezza. Assaporai la dolcezza dei suoni, la ricercatezza dei termini, l'effetto di ogni movimento della tua bocca mentre spargevi incanto e meraviglia su quest'anima che non credeva possibile accogliere tanto, non in una sola vita, non nella mia. Labbra incandescenti incisero indelebilmente il tutto sulla mia pelle. 19 Frammenti d'autore – Tradimento (03.06.08) Gli uomini, al sicuro, giocavano a carte e bevevano acquavite. Lanciò la carta vincente sbattendola sul tavolo di fortuna prima di ingollare una lunga sorsata dell'inebriante nettare. Sorrise. Di donne parlavano confusi dall'alcool. Di donne altrui e dei loro giacigli compiacenti. “E se la tua donna lo facesse a te?”, gli chiesero. “Il tradimento non esiste finché non ride con un altro come ride con me!”, rispose ubriaco. Non vide il cenno di assenso del compagno di gioco agli occhi furtivi alle sue spalle. “Il tradimento non esiste”, ripetè prima di accorgersi che uno solo di loro sarebbe sopravvissuto. 20 Frammenti d'autore – Straniero (03.06.08) Guadagno centimetri nel tuo territorio. Passi sicuri e calcolati riducono le distanze. Il terreno non è il mio, ancora. Una lingua sconosciuta vorrebbe essere minacciosa, ma suona suadente. Straniero sul tuo suolo ho sete di conquista. Le mie armi saranno deposte ai tuoi piedi, ma sarai tu a chiedermi di armarmi ancora. Il tempo, le strategie e azioni a sorpresa renderanno certo il risultato. Riconoscimi “Re, il mio Re”. Incorona il mio capo. Riconosci che nessuna sconfitta ha avuto mai lo stesso sapore di vittoria. Sentiti ora principessa nel castello che fu tuo e che ora è la nostra dimora. 21 Frammenti d'autore – Ombra (03.06.08) Abbaiano i cani ai passi pesanti sull'acciottolato. Esco per calmarli, ma il richiamo si spenge in gola realizzata l'assenza di una ragione per quei passi. Che si avvicinano, sicuri, incuranti dei latrati minacciosi. “Chi è là?”, grido. “Sono io”, la risposta con la mia stessa voce. Si zittiscono i cani. Si appiattisce la mia anima. Il momento della conta è arrivato, puntuale come la morte e come la morte incapace di accettare pagamenti posticipati. Nella ricerca di una risposta, cedo. Quando ho perso la miglior parte di me, fedele ombra? La lasciai per un rimorso? O, peggio, per un rimpianto? 22 Frammenti d'autore – Arno (10.06.08) La spiaggetta ospita forme quasi nude in stagioni meno cariche di malinconia. Sopporta il mio peso mentre sfilo e ripiego il cappotto, cui poggio i maglioni tolti assieme. Il gelo mi assale mentre combatto con le scarpe. Ma è altro il gelo che mi ha già ucciso illudendomi che il sonno fosse ragione di ristoro e non di morte. La città sonnecchia intorno a me e indugia nel tepore delle coperte ancora un attimo. Non sente lo sciabordio dei miei piedi all'ingresso nelle tue acque. Poco importa, che tu sia l'Arno antico. Contano le tue fauci pronte ad accogliermi, vinto... 23 Frammenti d'autore – Briciole (10.06.08) So accontentarmi, sai? Mai chiesi di ubriacarmi ad ampie sorsate. O di staccar bocconi. Briciole. Solo briciole di te. Sorrisi non miei, sì poco stimati, e frettolosamente scossi come frammenti di pane su cui avventarmi. Echi di voce donata ad altri che lasciano scie su cui becchettare come piccione nella piazza. Sguardi ammirati dalle bellezze ch'io so cogliere, ma che, mute, non possono ricambiare. Minuscole briciole per noi abitanti del nulla, mai visti, mai desiderati, spesso minacciati da passi incauti. Briciole da portare nella mia tana, ma, le tue, da non dividere con nessuno ché nessuno le saprebbe sì apprezzare. 24 Frammenti d'autore – Nodo (12.06.08) Un filo sottile. Le parole scorrono veloci come tela di ragno tessuta senza sforzo apparente. Fluiscono libere e leggere mascherando la loro vera forza. Ogni parola un nodo, ogni frase un'opera d'arte imperlata di rugiada. Chi sei tu, capace di attrarmi e farmi dimenticare che il sonno non è lieve ma foriero di morte? Ho smesso di dibattermi e mi abbandono all'oblio. “Lei lo baciò con l'anima sulle labbra”, cantava il poeta. Se morte dev'essere, questa sia. Un cappio, un bacio ammaliante, il lungo sonno a impedire di poter desiderare un'altra vita per morire di nuovo. Così. 25 Frammenti d'autore – Carezza (14.06.08) Il timore di un rimorso diverrà l'eterno dolore di un rimpianto. Ci saranno occhi, mani e labbra. In ognuno di questi cercherai quanto ti ha sfiorato e hai perso. Ci saranno musiche e soli e gocce di pioggia. Ci saranno odori, parole e giochi. Ognun d'essi sarà bruciante ricordo di ciò che poteva e non fu mai. Ombrelli proveranno a riparare; aggetti a ombreggiare. Voci getteranno acqua a spegnere bruciature sull'anima. Lui sarà lì, inconsolabile promessa disattesa. Una carezza e una schiena lontana gli ultimi atti di ciò che fu tuo, ma svendesti al mercato delle utopie... 26 Frammenti d'autore – Babbo (14.06.08) Una piccola manina nella mia. Un gigantesco scalino da superare. Una strada da attraversare. C'è la costruzione da finire, nata solo perché tu la possa distruggere. C'è la pala di plastica che ci attende e terra smossa da scavare. Ci aspettano voci insulse da fare, risate sguaiate da assaporare. Animali da scarabocchiare, parole da correggere dopo averne sorriso. La cavalletta da cercare e la coccinella da guardare senza spaventarla, perché, sai, è preziosa. “Babbo, vieni?” C'è un cuore che si potrebbe fermare ogni volta che lo fai sentire importante. Che d'importante, qui, c'è solo il tuo futuro da lasciarti disegnare... 27 Frammenti d'autore – Chiasso (14.06.08) Mi sei malattia incurabile. Bronchite che spezza i polmoni. Cancrena che divora le membra. Ti urlo che mi sei asma soffocante. Cancro divoratore. Rompo il silenzio rompendo suppellettili, brandendo una sedia a sfasciar vetrine e bicchieri esposti. Sfogo rabbia e gelosia rovesciando mobilia, sbattendo a terra ritratti. Strappo vestiti per arrivare al cuore e strappar lui stesso, insopportabile batteria che ritma musiche assordanti. Scalcio i vetri, a pugni la porta. Rumori di libri, elettrodomestici sfasciati, echi di sogni e promesse e speranze. Bestemmio urlando al sangue dalle mani e dall'anima. Il chiasso della tua assenza sovrasta ogni inutile azione. 28 Frammenti d'autore – Cielo (20.06.08) Sospeso. Mi fissi e gli occhi mi si bagnano. Il contatto è già un abbraccio, un intreccio di lingue, di corpi assatanati. Da quassù scopro quanto sia piccolo il mondo e i suoi abitanti come formiche impazzite. Case come Lego, umane discordie a far sorridere gli dei. Ampi spazi deridono il caos di vite sovrapposte in scatole inquinanti. Invidia, rabbia, delusioni per ragioni che, da qui, appaiono ignobilmente stupide. In questa purezza, non voglio condannare, forse, incoraggiarli ad alzare gli occhi. La vita è altrove. È nel cielo terso della tua anima, dove mi sento unico e privilegiato nuotatore... 29 Frammenti d'autore – Prato (20.06.08) C'è magia. C'è vita. Piccole gocce irrorano e insetti zompettano alla ricerca di cibo. Forse, a esser cibo loro stessi. C'è pace. C'è poesia. Il silenzio si inchina al frinire e al mio stendermi sul morbido e umido materasso. Uccelli si abituano alla mia presenza e, vigili, ricominciano la loro danza. Mi scuoto e la mia folle corsa spazza via ali in uno scappar di mondi invisibili. Allargo le braccia e urlo ridendo la gioia di essere uomo, folle ed ebbro di te. Un prato, un cielo, uno spicchio di mare il mio posto, uno qualunque dentro di te. 30 Frammenti d'autore – Ingenuità (28.06.08) Lui non saprà mai che le tue labbra furono create per me. Né che quando le bacia distrattamente o non le bacia affatto commette sacrilegio maggiore di quando vi preme le sue con ardore. Nella sua ingenuità non realizzerà che i tuoi seni furono scolpiti a misura delle mie mani e la tua pelle vellutata per le mie labbra. Godrà delle fonti dei tuoi lombi senza chiedersi per chi furono preparati, solo per addormentarsi al lato opposto del tuo possente amore, soddisfatto e ingrato per il dono ricevuto. Da quassù, io, angelo maledetto, medito di farmi uomo ed esserti ricompensa. 31 Frammenti d'autore – Vela (29.06.08) Dieci passi. Mi volto di scatto a fintar di offendere e rimango così, il braccio teso, l'arma scarica puntata. Aspetto il colpo dell'avversario mio. La pallottola viaggia veloce a cercarmi, come cavallo lanciato al galoppo, come piroga dalla vela spiegata. Mi vuole come l'amante l'altrui donna, come il killer il sangue a fiotti. Nello spazio eterno che ci separa rivedo la ragione per cui son qui all'albeggiar del giorno, a spazzar via una notte insonne. Ho il tempo per una lacrima, l'ultima, a sancir non già la fine mia, già occorsa, ma quella dell'unica cosa io abbia potuto chiamare “amore”. 32 Frammenti d'autore – Morte (29.06.08) Sgranerai gli occhi, stupito. Allungherai le mani alla grossa bocca che la mia lama ti avrà aperto sul collo. Proverai un'ultima invocazione d'aiuto, ma l'ultimo stantuffare dei tuoi polmoni genererà solo un gorgoglio di sangue. Asciugherò la mia arma dal tuo ignobile liquido rosso, lentamente, affettatamente. Il tempo che il tuo capo crolli definitivamente sulla maglia inzuppata. Ti dissi: “Io sono la morte, non tentare di fottermi”. Rispondesti: “Non mi fai paura”. Sbagliato. Ho letto il terrore nei tuoi occhi quando realizzasti di avermi provocato a odio mortale. Scanso il plasma uscendo. Uno sputo di disprezzo parte dai miei occhi. 33 Frammenti d'autore – Sorriso (29.06.08) Odio queste eterne ore di attesa. Il lanciarti messaggi senza sapere se arriveranno a destino. Ore che dovrebbero avermi visto rincorrerti giocoso sulla sabbia per raggiungerti in mare. Inarcare le sopracciglia davanti alla tua ennesima, affascinante, presa in giro. Brandire il mio miglior sorriso e caricarlo di malizia nel momento in cui impedire al mio corpo di avvinghiare il tuo non mi sarebbe stato più possibile. Conto i minuti che mancano alla prossima volta in cui sentirò la tua voce. La brezza che alimenta la brace della mia sigaretta conduce un “Mi manchi” affidato al vento. Sto bene. Ora sì. 34 Frammenti d'autore – Cuore (29.06.08) Tentarmi, dici? Resistere alle tentazioni non è affar mio. Anche se non considero virtù eccelsa visitare letti e dissolvere questi pochi anni in piaceri vuoti. Vorresti essermi sigaretta da consumare in fretta dopo un caffè; o concubina che rinfresca questa estate spalmandomi d'oli profumati e agitando ventagli? Se mi conoscesti come dici sapresti che ho il pisello attaccato al cuore e i due non viaggiano mai soli. Non mi sei tentazione perché non mi interessa un'altra tacca sull'uccello. Non arrivi alla mia patta perché in nessun modo passi per il petto e nulla hai perché questi accessi possano esserti schiusi. 35 Frammenti d'autore – Cambiamenti costanti (02.07.08) Hai preso la mia sicurezza e ne hai fatto zerbino. Hai trovato l'accesso secretato pure a me stesso e hai messo a soqquadro un'intera esistenza cesellata perché i cambiamenti costanti, necessari, fossero minimi e indolori. Dipendo da te come dal sole. Fossero capricci o principi severi non vi sarebbe differenza alcuna. Cammino tra la gente nudo ed esposto, in balia dei venti, incapace di stabilità nel mio incedere. Amare ed essere ebbri appaiono due diverse vie per approdare alla stessa mancanza di equilibrio. Rido di me stesso davanti allo specchio dell'umanità che riflette l'ipocrisia del mio sguardo fiero. 36 Frammenti d'autore – Lucida follia (02.07.08) Siedo su vecchi gradini che immagino antichi a guardare alberi immobili che immagino agitati. Il fumo che espiro sale pigro, ma voglio disegni forme conosciute, che infatti vedo. Applico al quadro un leprotto curioso, svolazzare di farfalle e i colori dell'autunno. Bacio la mia pelle cotta dal sole con le labbra fresche lasciate dal gelato non gustato. Tossendo non tossisco, guardando non guardo, pensando non penso. Sedendo corro e piangendo rido e ne ho ben donde. Che il tuo non esserci ed esser qui mi sta portando a violare ogni legge naturale, rendendo questa lucida follia, offuscata sanità di mente. 37 Frammenti d'autore – Guerra civile (02.07.08) Non vedo la telecamera riprendermi mentre non fuggo, allungo un passo all'altro, senza meta, senza voglia. Nel TG parlerai di guerra civile che null'altro vuol dire se non che uomini, fino a ieri vicini che si scambiavano, a bisogno, zucchero e favori, estraggono dal cilindro la loro parte peggiore. Puoi documentare le mie lacrime, ma che dire delle loro mani, dei loro sessi, delle loro risa su di me? I corpi straziati di chi fu mio e a cui appartenni, ma che dire dello squarcio nel cuore? Lasciami la dignità. Non usare le mie silenti lacrime per introdurre la pubblicità. (dedicato alla fuggitiva dal Kossovo le cui lacrime non posso scordare) 38 Frammenti d'autore – Silenzio assordante (03.07.08) Era una mano, la sua carezza. Ed era una voce consolante che cercavo da bambino. Nel silenzio assordante che regna nel vuoto della mia anima dispenso affetti e carezze e voce indiscriminatamente. Dissipandoli. Dissipandomi. È dalle tue tette che vorrei fossero asciugate le lacrime. Dalla tua lingua leccate le ferite. Un giaciglio qualunque su cui abbandonarmi e lasciarti succhiare tutto il male. Scossi brividi e singhiozzi prenderei a renderti quanto ho ricevuto riversando su di te tutto il bene di cui, sai, sono capace. Coriandoli di buono, petali di affetto a rendere gloriosa, trionfale, la marcia verso una nuova vita. 39 Frammenti d'autore – Sollievo (12.07.08) Lascia scrosciare l'acqua. Non sono le tue dita a sfiorare la tua pelle, ma le mie, avide dei tuoi brividi. Né sono milioni di gocce d'acqua a picchiettare e dare ristoro, ma le mie labbra dissetanti per la tua sete. Non è acqua che cola, né la tua mano premuta a far sussultare il tuo intimo e prezioso scrigno, ma una lingua, la mia, che di te ora dispone, vita o morte. Tua è la gamba piegata e che preme, tuo il capo rovesciato, tuoi tutti i sensi tesi a succhiare il meglio di questo temporaneo, precario, instabile, sollievo. 40 Frammenti d'autore – Sublime (12.07.08) Fosti innocente e gioioso scartando regali di Natale. Stupito e ammirato alla finestra del microscopio che spalancava un mondo invisibile. Fosti tu ad esultare per un gol, la sfera tra le mani di un maldestro portiere e una porta di cartelle, nella strada dimenticata da Dio appena fuori di scuola. E chi era il primo a soccorrere la più bella, a tessere poesie e improbabili rime? O il più bravo a centrare l'altrui tappo e a ingrossare il proprio bottino? Tu che hai tutta la mia rabbia mentre tra gli uomini rendesti sublime la capacità d'esser ministro di morte. 41 Frammenti d'autore – Temporale (12.07.08) Destami di tuoni e di lampi illuminami! Sbattimi di vento, quale foglia lasciata dall'albero e da te accolta nei tuoi vortici! Subissami d'acqua, trascinami dove non voglio andare, forse perché ignoro il destino che mi riservi. Violentami l'anima con fulmini terrificanti e colpiscimi di grandine il cuore, ché, ora tuoi, lo puoi fare. Ma lasciami un fresco respiro, il dormire coperto da un lenzuolo, la purezza dell'aria e il suo esser cristallina, mentre riempio i polmoni del profumo della pioggia, quali premi per essermi concesso a te, Divino Temporale, devastante anomalia, che ha saccheggiato per sempre la mia quotidianità. 42 Frammenti d'autore – Collera (12.07.08) Rovescia il cielo la sua furia fatta d'acqua e squarci di luce. Dal buio avvolto allunghi la mano e la porta cede, unico rumore innaturale. Un passo. Un altro. Guardingo strizzi gli occhi a indovinar figure. O movimenti. Cocci segnalano il tuo incedere. Ragnatele ti avvolgono quali lenzuola. Sudari, direi. Inciampi in una sedia rovesciata e soffochi la maledizione a mezz'aria massaggiando il punto dolente. Sorrido. Non sai che questo è l'unico male, tra tutti i dolori del mondo che ti aspettano, che non avevo previsto. Gratuito. Che a incitar a collera la morte porta a pregare che sopraggiunga spedita. 43 Frammenti d'autore – Lilla (12.07.08) Non ci crederesti ma ti vedo e ti sento. Parli di me, braccia incrociate al petto, come ancora fossi e non credi che stia assistendo alla tua trita farsa. Nomini un dio che non conosci, Sue parole che disconosci con una vita tutt'altro che sobria e dedicata. Giro attorno al tuo alzar di mani, nella tua tunica bianca. La stola lilla si presta al mio gioco mentre la stringo al tuo collo cadente. La folla si alza, sbigottita, e accorre. Due morti nello stesso, dicono, sacro luogo. Apri gli occhi e mi scruti, attonito, mentre annuisco col capo. Ora sai. 44 Frammenti d'autore – Pianto (25.07.08) Di gocce a milioni ho seppellito d'acqua potenziale cibo e corpi straziati. Di pianto ho bagnato fronde e panni stesi quando nuvole rabbiose si fondevano, nere, con venti adirati. Ombrelli alzati e subito strappati ché il dolore mio ti colpisse e rendesse vana la tua difesa. Torrenti incalzavano, lasciando il percorso tracciato, a dispensar rabbia o disperati appelli di soccorso. Vani. Ombre scure, pesanti, dipinte da pittore iroso, calavano stille come schiaffi, brucianti in origine, infuocate a destino, a rovesciar teste, a scuotere schiene, a scaricar bestemmie quali fulmini e tempeste. Pioggia versai pur non essendo mai io cielo. 45 Frammenti d'autore – Interruttore (25.07.08) Un ordine come un altro. Quante vite hai già falciato? Acquattato aspetti il segnale convenuto. Sirene lontane annunciano che il momento è prossimo. I calcoli destinati al successo opere di menti perversamente abili. Di te, non basta che un dito. Fosse una bolla d'aria nella siringa o il gas di scarico di un'automobile. Un colpo di pistola o una lametta a squarciar polsi... no, tu non vali, tu non servi, che per un dito. L'interruttore dà vita a un boato. Anime zittite come sirene mute. L'uomo più inutile del mondo a lanciare uomini veri nel mito. (al maledetto coglione e al suo interruttore che generarono la strage di Capaci) 46 Frammenti d'autore – Spalle (27.07.08) Un bicchiere di latte tra le mani. Immagino i baffi tracciati a contornar la bocca. Capelli incoronano. Tessuti non coprono. Risaltano. Di passi silenziosi avanzo, di sorrisi assaporo il momento. La mente pesca nella memoria e trova l'odore esatto della tua pelle. E il suo sapore che la bocca brama. Il capo si piega, il braccio si alza, la gola riceve le ultime gocce. Il mondo si ferma in quell'istante, nel tuo succhiare, ingorda. Labbra assetate muoiono sulle tue spalle, che le mani circondano. Godo del tuo abbandonarti sorridente, tu, a tua volta bicchiere di latte per me. 47 Frammenti d'autore – Casa (27.07.08) Un pavimento d'erba il letto. Stelle e una pallida luna a coronare il soffitto. Una falda per dissetarmi e un torrente per lavar la stanchezza. E foglie a milioni a mascherare il ronzare, il frinire e il cinguettare. Non ho cassetti se non nella memoria dove frugare se serve. Dove spesso non mi accosto nemmeno. Nessuna anta da aprire. E piatti e bicchieri, eran così necessari? Tu dell'arcobaleno vestita, di rugiada imperlata, di raggi di sole dispensatrice. Tu ossigeno, tu acqua, tu cibo. Tu certezza, sicurezza, fonte di ristoro. Tu che ovunque io sia sento e chiamo casa. 48 Frammenti d'autore – Scogli (27.07.08) Ti conosco ormai. Per tua natura maledetta, giochi con me un gioco mortale. Ho accettato l'idea, del resto è inevitabile, di perdere tutto un giorno. Ma fino ad allora i tuoi tranelli, i tuoi trucchi, gli scogli sommersi, saranno sfide cui offrirmi e di cui ridere una volta superate. Ho rispetto di te, sleale combattente. Quanto basta, o vita, per non rischiare più del necessario. I tuoi colpi bassi mi priveranno, forse, momentaneamente del sorriso. Giocare una partita già persa, per godere di mille battaglie vinte, sapendo che perderò comunque la guerra, mi sta divertendo assai. Dimmi, e tu? 49 Frammenti d'autore – Girasoli (27.07.08) Il percorso è noto. Ponti e larghe strade. Auto da superare. Natura da costeggiare. Un pianoforte dispensa magia e strappa sorrisi. Ora espressioni malinconiche. È di te che parla, a te si ispira. Orde marcianti in file ordinate dalle gialle criniere si estendono a perdita d'occhio, pacifica invasione, messaggeri d'amore. Disarmati e disarmanti, mi accompagnano, mi guidano. Il percorso lo sai, paiono dire. Il percorso lo so, annuisco. Mi chiamano fratello, i girasoli del mondo, il cui destino li porta a seguire i capricci del sole, sorridendo del mio volto perennemente rivolto alla luce che emana da te. 50 Frammenti d'autore – Motivazione (30.09.08) Datemi un porto. Il gelo attanaglia gli uomini e li induce a dormire e qui, dormire è morte. Quanti ne ho persi? Sveglia! Svegliati, stupido! Non mi frega un cazzo se non ce la fai più, se abbandonarsi è dolce e resistere sofferenza. Cammina, idiota! Anche tu! Sbatti quelle mani, pigliamoci a schiaffi! Che mi siete insopportabili ormai nella vostra rassegnazione, ma ho bisogno di voi per arrivare a destino. O potrei governare mai da solo questa nave? Senza midollo, venduti alla morte per un po' di torpore. Senza sogni. Senza fini. I suoi occhi nei miei, la mia motivazione. 51 Frammenti d'autore – Avanza (01.10.08) Non sono passi incerti quelli che odo. C'è un fondo di assoluta sicurezza nei piedi che scuotono il selciato. E nelle braccia che non ciondolano, danno equilibrio e ispirano l'incedere. I tuoi occhi non lasciano dubbi. È me che vuoi. Schivi con lo sguardo il mondo che formicola attorno. Non ti curi dello sbatter di spalle contro altre spalle. Della folla hai scelto. Me. Arreso mi arresto anche se il flusso rende precaria la mia stabilità. Immoto, se non immobile, come un addio. Quando Lei avanza nulla puoi se non obbedire al suo sguardo. Chinare il tuo. Ringraziare. Salutare. Morire. 52 Frammenti d’autore – Cielo (12.10.08) Se questa fosse una vita normale, al mio risveglio, stamani, avrei trovato il tuo corpo abbandonato al mio fianco. Avrei evitato di respirare, alzandomi, per non turbare il tuo riposo. Avrei aspettato, silenzioso, il momento di servirti un sorriso e una mano tra i capelli lasciandoti coccolare dal lenzuolo. Bacio di quaggiù il sole, unico punto di contatto. Con un raggio, so che non ti tratterrà dal riceverlo. Combatto col bisogno di non intrappolarmi ancora nel pensiero di te. Erigo argini che, come acqua, scientificamente aggira, erode, straripa. Attendo la luna, stanotte, per sentirmi di nuovo sotto lo stesso cielo. 53 Frammenti d'autore - Tenerezza L'uomo si dimenava legato alla sedia. Il bavaglio non gli impediva di emettere suoni strozzati. Lei gli girava intorno godendo del terrore e degli inutili tentativi di liberarsi della sua nuova vittima. Il carnefice prescelto teneva la canna della pistola puntata alla nuca del malcapitato. Il pretesto per questa ulteriore anima sacrificale erano i soldi. Tanti soldi. La ragione vera, il fatto che lei è predatrice di vite, poco importa di chi e chi gliele fornisce. Ancora agonia... lascialo a chiedersi perché e come potrebbe uscirne. Passò la mano sul viso del killer con tenerezza. “Spara”, sussurrò melliflua. Lui sparò. 54 Frammenti d'autore - Sabbia Una manciata. Trattengo a stento il suo inesorabile fuoriuscire. L'amore come sabbia: si riducono i termini, le dimensioni. Mi duole la mano e voglio uscire. Sono io, sei tu, non so. Forse, noi. Granello dopo granello scivola via e cominci a vedere quanta sabbia non è stata mai nella tua mano. E ti attrae. Granelli di risa. Di complicità. Di passione. Semplicemente spariscono. Quando te ne sarai andata e poche perle di sabbia saranno rimaste nella mia mano sudata, le tratterrò, muse di alcuni dei ricordi più dolci, insegnamenti nei percorsi che mi hanno portato ad essere quello che sono. 55 Frammenti d'autore - Vetri Carta smerigliata graffia sgraziatamente questo cuore. Asciuga le mie lacrime miste al sangue che sgorgano dagli occhi. Cammino sui vetri di un'esistenza che non è la mia, che non ho scelto, che non ho voluto. Non sento più il dolore. L'uscita è là. Anche se non riesco a vederla troverò la maniglia. Le catene nella carne non mi tratterranno, non più. Fuori di qui, la vita che ho scelto. Nudo, povero, claudicante, sanguinolento mi affaccerò. Il sole avrà pietà di me e non infierirà sui miei occhi e le mie ferite. Essere un uomo libero non è mai stato semplice... 56 Frammenti d'autore - Arancione Dormi, Amore, dormi. Veglio su di te ammirando ogni movimento, ogni curva, ogni onda del tuo corpo abbandonato. Sei bella, Amore mio, sei bella. Mi sazio di te, ma è solo un attimo. Le dita bramano ancora i brividi della tua schiena al loro delicato passaggio. Le labbra si seccano desiderando il tuo sapore, saliva, sudore o umore che sia. Il mio membro vuole ancora perdersi in te, violando l'inviolabile tempio, profano nel sacro, aspettando l'assoluzione del tuo orgasmo. Sazio gli occhi in questa notte insonne nel rispetto del tuo riposo. Fra di noi, il tuo striminzito pizzo arancione... 57 Frammenti d'autore - Tela Tessi la tua tela e incatena questo cuore. Quando sentirai la bava vibrare non sarà per un tentativo di fuga, per la paura di essere risucchiato, ma perché un cuore nasce per pulsare e darsi quando non ha motivi per opporsi. Tessi la tua tela e ingabbiami a vita. Ché la mia sorte sia vivere e morire tra le tue spire abbandonandomi tra le tue abili braccia non opponendomi affatto a che tu possa succhiare ogni mio pregio. Tessi la tua tela e stringimi. Che il poco che ho brama unicamente d'esser tuo, di gioire per un tuo solo sorriso. 58 Frammenti d'autore - Buio C'è di più di questa solitudine profonda nonostante te e centinaia d'altri volti intorno. Di più dell'esser solo nonostante sorrisi e strette di mano. C'è di peggio del sentirsi in un deserto a girare su sé stesso e non scorgere altro che dune e sabbia. O di arrancare in un bosco minaccioso e senza fine. Di trovarsi in balia delle onde nello sterminato mare, imprigionato nella tela di un ragno o perso tra le note malinconiche di una canzone. C'è il fatto di amare all'infinito questo buio e non aver voglia alcuna di rivedere la vostra, inutile, parvenza di luce. 59 Frammenti d'autore – Sussurro (6 aprile 2008) La voce proveniva da lontano, ovattata come un sussurro. Impossibile per me resistere a quella sottintesa promessa di libertà. “Portami via”, ripetevo mentalmente come un mantra. Mi prendesti per mano e senza una parola mi conducesti per sentieri scevri da macchie umane: niente lamenti, niente dolore, nessuna paura. Poi capii. La mia natura è lottare per conquistare i miei spazi, vincere le mie sfide, combattere per i miei ideali. Anche quando la morte si fa bella, ma hai ancora un singolo sogno da perseguire, vuoi rituffarti nella mischia degli uomini e lasciarla attendere. Proseguisti, ma io tornai sui miei passi... 60 Frammenti d'autore – Cera (06 aprile 2008) Tensione cieca. Una candela rubata illumina quel buio tombale e rischiara i miei passi. La sensazione di non essere solo mi opprime e lascia i miei sensi acuiti come fossi un pesciolino in attesa del balzo del predatore. Che arriva! Un salto all'indietro e mi ritrovo seduto per terra, urlante. Raccoglie la mia candela e illumina il suo volto terrificante. La sua possanza mi ridicolizza. “Chi sei?”, oso. “Lo sai bene”, risponde sorridendo perverso mentre la cera cola sulla sua mano senza che faccia una piega. Una zaffata di zolfo lasciò per un attimo il ricordo di quest'anima destinata all'oblio. 61 Frammenti d'autore – Mare (08 aprile 2008) Di ricordi guizzanti come pesci. Di pregi affascinanti quali coralli o difetti urticanti come anemoni. Stento a rivelare le parti scabrose e le relego sul fondo, mortali come punture di razza, da non indispettire. La sensibilità del delfino e la maestosità della balena, cozzano con lo squallore dello scorfano o la volgarità di chi si ciba delle sue stesse uova. Ma tant'è, contraddizioni immense ci vogliono ora placidi e rassicuranti, ora impetuosi e minacciosi. Passionali e appassionati, amiamo difendere ciò che è nostro o ci è stato dato in affido. Mi immergo in te, o mare, per sentirmi ancora uomo... 62 Frammenti d'autore – Argento (08 aprile 2008) Sentieri a me nuovi. Strade battute unicamente da chi evitava accuratamente le vie principali. Vi han solcato carovane di fuggiaschi, contrabbandieri d'alcool e argento. Vi hanno scorto da lontano gli inseguitori, ma non hanno osato percorrervi. Donne col burka portavano acqua agli uomini, abbeverando i cammelli, preziosi compagni. Lunghe vesti di lana a riparare dal caldo cocente. Chiudo l'acqua e fisso ancora i miei occhi allo specchio. Fuggiasco o inseguitore, ladro o guardia, ancora con timore o perfetta padronanza solco quei sentieri. Sempre nuovi, non avendo ancora interamente compreso i polverosi percorsi della mia anima né alcuna delle sue contraddizioni. 63 Frammenti d'autore – Rosso (09 aprile 2008) Godo del tuo capo rovesciato all'indietro al passaggio della mia lingua sulla coscia bianca. La mano ora afferra, ora accarezza l'altra parte schiusa pronta a ricevermi. Ma non è il momento, non adesso. È tempo di risalire verso i seni generosi e lasciare la mano sfiorare quel filo rosso che protegge il bottino più ambito. Affondo. Il viso sul tuo petto, la bocca sul capezzolo, la mano fra le gambe. Ascolto. Il tuo vibrare appaga e stimola, il tuo stringermi e graffiarmi la schiena invita. Schiudimi le tue ostriche, lingua con lingua, sesso con sesso. Voglio le tue perle, adesso... 64 Frammenti d'autore – Timore (09 aprile 2008) Guardingo. Quello che scorgo in fondo a quegli occhi è pericoloso assai. Le conferme arrivano dalle parole, dal tono della tua voce, dalle piccole rughe ai lati della bocca. Potrei innamorarmi, sai? Rimanere stregato e avvinghiato dalla tua anima che senza timore si mostra attraverso le tue iridi. Rapito dai tuoi gesti, dalle tue labbra che sfiorano le mie guance, dal profumo crudo della tua pelle rubato nel fugace contatto. Avevo giurato mai più. Affetto, amicizia. Sesso e complicità, forse. Avevo giurato... E mi ritrovo spergiuro, felice di esserlo, a rivelarti il meglio e il peggio di me, senza timore... 65 Frammenti d'autore – Brivido (09 aprile 2008) Possenti braccia ti cinsero e mani forti ti offrirono ori e preziosi. Fosti la principessa di ricchi signori, la regina di imperatori e sultani. Popoli ti amarono e onorarono quale indiscussa Signora delle loro vite. Che ho da offrire, ora, io, uomo mortale e fallace, padrone solo dei vestiti che indosso? Quale brivido cerchi, mia Signora, quale promessa? Di fedeltà eterna non sono capace, ho solo sogni da perseguire ostinatamente con o senza di te. Ma se è un'anima inquieta che cerchi e la semplicità di una vita senza certezze, prostrati e chiamami Signore, che quel castello è il mio... 66 Poesie? Prosa, forse? Appunti di vita, mia o di qualcuno che, prestandomi gli occhi, mi ha permesso di rubare schegge delle sua. 67 68 Albero morto (16.08.08) Il dolore è quello di un addio. Il suono è quello di qualcosa che si rompe. E che nessuna colla può ricomporre. In piedi come un albero morto in attesa che la vita ne faccia legna da ardere. Il sole non abbaglia. Il vento non scuote. Ombra desolata nella notte, rifugio di animali nefasti. L'anima gronda sangue in lacrime, le mani come rami aggrappati al nulla. E nessun fulmine ad aver pietà e a squarciare in due il cuore che un dio malvagio mantiene in vita. Cambierà il mondo intorno. Si vestirà di colori e suoni. Si ovatterà del bianco di una sposa. L'essermi ridato alla vita, l'ennesima ragione per detestarla. 69 Immoto e immutabile, subisco il suo essermi attorno. E il suo deridermi per l'ingenuità di credere che avesse davvero avuto qualcosa per me. 70 Amami (12.08.08) Sarò sigaretta se vorrai farti del male. E temporale se è rabbia che devi sfogare. Incrocerò fulmini e tesserò lampi nei giorni bui. Spirerò venti a cacciar malinconie. E bassa marea per sfamarti di telline. Corrente di fiume non reggerà il confronto se è fretta ad animarti. Indosserò ali potenti perché tu possa toccare il sole e baciar le stelle. Mani come piume disseteranno la tua pelle, labbra come rugiada la rinfrescheranno. Sarò vapore se vorrai star sola, giullare per strapparti un sorriso. Padre per le tue confessioni di bambina, uomo per trascinarti al di là degli ostacoli. Brezza di mare per allietare il sonno, profumo di lavanda a distendere l'anima. 71 Soffocherò il prigioniero ribelle e i suoi tentativi di fuga. Annegato è già, il dispensator d'affetti. Ma tu amami, stella del mattino, linfa vitale. Amami, arcobaleno lunare, aurora boreale, sole notturno cui devo la mia insonnia. Che del tuo amore mi possa nutrire e che per esso mi possa felicemente consumare. 72 Arrenditi (13.09.08) Arrenditi. Accerchiato il castello. Presa per fame e per sete. C'è pane. E c'è acqua. Arrenditi. La parole non fluiscono. I ragionamenti si spengono. La vita porta i suoi doni. Per far proseguire la vita. Posa le armi. Il nemico non è nemico. E' il regalo di Dio al tuo bisogno d'amare. E di essere amata. Arrenditi. La resa è onore, talvolta. Il cibo è forza per continuare a onorare gli impegni. Il tuo divincolarti strema. 73 Arrenditi. Abbandonati a me. Io, nemico. Io, forza. Io, cibo. 74 Assenza (16.12.09) Se i venti avversi della vita ti avessero portato a divenire zoppa il mio braccio non si sarebbe allontanato da te, per accompagnarti, e ti avrei amata allo stesso modo. Forse, con maggiore tenerezza. Se tuoni e fulmini maligni ti avessero costretta su una sedia, le ruote a mò di gambe, ne sarei stato il motore, felice di poter rombare alle tue spalle, gli occhi a versar affetto alla tua nuca, le parole alla tua anima. Se su un letto, supina, a rimirar il soffitto, invidie e sortilegi ti avessero relegata, sarei stato infermiere non permettendo ad 75 alcuno di aver cura di te. Mani guantate di dolcezza, voce amabile nel raccontarti fiabe, lacrime trattenute fino al tuo riposo. Ma se la vita ha deciso di rendermi zoppo, o su una sedia a ciondolare, o su un letto ad aspettar la morte, come chi ha visto la tua schiena andar via e trovato il tuo numero costantemente muto, mai rassegnato al nulla, amerò all'infinito ciò che rimane di te, la tua assenza. 76 Bambina (13.09.09) Se non sei la cosa più bella del mondo, allora è il mondo a essere più brutto. e se la carta d'identità dice che non sei una bambina, non guardarla. io non la aprirò. Mi limiterò a seguire il tuo sguardo capace di meravigliarsi ancora di ciò che il mondo non vede. A volte disprezza. E a meravigliarmi con te. Mi limiterò a invocare il tuo sorriso, denti da latte, e ad adorarlo al suo apparire. sincero, vero. Puro. Sfonderò il muro che erigi a protezione ed entrerò in quell'anima bianca indossando maschera e pinne per schivare ferite come scogli, accarezzando pensieri guizzanti come pesci, sogni dai colori dei coralli. E più giù, attratto da fenditure mai esplorate e dagli affascinanti segreti che ti rendono ciò che sei. Vinto, libererò l'ultimo soffio senza accorgermi che è morte. 77 Che se morte dev'essere, sia così. Perso in te, bambina. 78 Dentro di te (17.07.08) Sono dentro di te. Passeggio di stanza in stanza, le mani alla bocca contorta in un “ohh!” di meraviglia. Fascinosi dipinti, magistrali mobilie. Ogni angolo finemente cesellato, di ori amabilmente lavorato. Sono dentro di te. Intuivo le meraviglie. Ero certo fossi il meglio del meglio tra il meglio. Così come quando arrivo all'ala diroccata nessuna sorpresa mi coglie. Sapevo di ferite, di squarci, di pianti inconsolabili. Cado sulle ginocchia davanti a quello scempio. Soffro di un male che adesso è anche il mio. 79 Chi poté, crudele e immondo, sarebbe distrutto solo dal mio sguardo. Che le mani no, non lo toccherebbero affatto. Quelle sono per te, io, abile artigiano che, riscosso, estrae strumenti di valente restauratore, pomate e unguenti per le ferite a consolare. Colori pastello per la tua anima e fiori ovunque, quelli gialli, di campo. Carezze come sui capelli alla stanza della tua autostima così che possa, per un attimo soltanto, vederti coi miei occhi e seppellirti della mia stessa meraviglia. Sono dentro di te. Fra te e la tua guarigione il tuo fidarti e affidarti, per l'ultima volta. Del resto, vedi, sono già qua. Dentro di te. 80 Devo fare a meno di te (03.12.08) Dimmi... Davvero credi che il tempo abbia visto mai l'amore con questo volto? Che due anime siano riuscite ad azzerare spazi dopo aver capito che erano figlie dello stesso dio? “Devo fare a meno di te...” Guardami... Che questi occhi possano posarsi su un'altra donna e sentirsi di nuovo a casa? O queste orecchie ascoltare un'altra voce e riconoscere l'altra mezza mela? Dio! “Devo fare a meno di te...” Che altri passi generino la stessa gioia? Che altre mani lo stesso desiderio? Che altre labbra possano ricevere il battito di questo stesso cuore? Lasciami la rabbia, la sete di 81 autodistruzione che parole e promesse ardite generano mentre rimbalzano nella mia testa. Non biasimare il bisogno di stordirmi, che questo barcollare non sia dato solo dalla tua assenza quale punto di appoggio. Nave senza più un porto, aquilone senza cielo, corallo senza mare, ho bisogno di altro male per affievolire quello che mi lasci. “Devo fare a meno di te...” Il giorno in cui non considererò un errore aver amato è lontano. Ferite di coltello infuocato su cui il sale frigge sciogliendosi e mi costringe a urlare mio malgrado sono il presente. Presente che non volevo, non ho chiesto, non sono ancora disposto ad accettare. Mai, sarò disposto ad accettare. Perdono il tuo bisogno di trovare ragioni per disprezzarmi. Ma non pensare farò lo stesso. 82 Perdono il tuo bisogno di fare a meno di me. Meno, il fatto che mi sia concesso di non poter fare a meno di te. Come non posso perdonare questa pioggia e questo cielo nero che non è di malinconia aggiunta che ho necessità, né che la mia voce urlante sia coperta dal tuono. “DEVO... fare a meno di te...” Che il mio egoismo non ti sfiori, che il tuo cammino sia privo di intralci. Che il mio dolore si trasformi in gioie per te, in questo assurdo karma. Che tutti gli dei dell'universo rovescino su di te affetti tante quante sono le gocce che adesso han riservato a me. “Devo fare a meno di te...” Che possa anch'io imparare a fare a meno di me. Che di te, nessuna lezione saprà erudirmi. 83 84 L’amore conta (28.10.08) Puoi chiamarlo come cazzo ti pare. Nasconderlo nelle pieghe dell'amicizia. Mimetizzarlo in sguardi pietosi. Si legge nel suo sguardo di sbieco e nel sorriso appena accennato. Soffoca nel voltarti dall'altra parte quando era in tuo potere tendere una mano. Eccolo, è là! Nel capo appena inclinato, le pupille leggermente all'in su. Erompe davanti alle lacrime di una donna di cui non saprai mai nulla se non che, adesso, è là, sola, e avrebbe bisogno che lo tirassi fuori. Ma forse ti vergogni... Lo chiamo col suo nome, io che non so la differenza tra la liceità di una lingua in bocca o di una tra le cosce. Puoi chiamarlo come cazzo ti pare. Si piegano gli angoli della bocca davanti al pancione di una donna. 85 Eruttano i pori se mi parli di popoli schiacciati, di bimbi violati, di uomini disperati. Chiamalo empatia, amicizia, sensibilità. Chiamalo affetto, volontariato, disponibilità. Dagli un solo nome, il suo. Quello che li racchiude tutti. Quello che fa arrossire. Chiamalo pure come cazzo ti pare. Magari ti risponderà. O avrai il coraggio di dire “io amo” e di ammettere che, senza questo dono, saremmo fango amalgamato dallo sputo di un Dio povero. L'amore conta... O conosci un altro modo per ingannar la morte? 86 Laute mance (30.09.08) Come un cameriere al Palombini, bardato a servirti per le briciole di quanto incassi. Nessun sollievo dalle laute mance. Affettati gesti di superiorità vestiti da gratitudine. Via la cravatta! E questo bianco e nero. Ti afferro e rido di te, dispensatrice di vita mediocre. Fuori il mondo, che esiste per me e che per me si fa bello. Padrone di stracci, dice. Del mio sorriso, rispondo. E di te, vita, che hai perso un servitore acquistando un alleato, nel farti bella, mio malgrado. 87 88 Mani (11.11.08) Si affaccenderanno intorno a queste mani uomini ben intenzionati, le bocche contorte in una smorfia di pietoso disgusto. Sciogliendole dalle tasche noteranno, non primi, la lunga linea della vita e si chiederanno quale fato ironico l'abbia concessa e poi spezzata. Si sorprenderanno a realizzarvi la forma intatta del tuo cuore, il solco pulsante, e annuiranno. Che il concessionario temporaneo di tal divino manufatto si sia arreso alla miglior vita possibile, nascondendo le membra che l'ospitarono nel disperato tentativo di proteggere gli occhi dall'ultimo rimpianto, 89 sarà cosa accettabile anche dall'umile, funesto, portantino. 90 Genitori, primi insegnanti Il papà sfreccia con la sua auto obbligando l'autista con la precedenza a una frenata brusca. Non solo non chiede scusa, ma lo manda sonoramente a quel paese... La mamma col carrello al supermercato si intrufola come niente fosse e ruba il posto a due persone anziane più lente nei riflessi... La mamma lascia l'auto con i lampeggianti d'emergenza in una zona riservata agli handicappati. “Torno subito. Devo solo prendere il pane”, pensa... La cena non è pronta. Gli imprevisti hanno fatto tardare la mamma e tutto viaggia con 15 minuti di ritardo. Tanto basta al papà per inveire contro di lei a voce alta, sempre più alta... La partita fra ragazzi è finita. Papà sostenitori delle opposte fazioni si spintonano sugli spalti: il rigore c'era o non c'era? In visita ai nonni, mamma apostrofa la nonna con un “sei vecchia e non capisci 91 niente”... I bambini vedono. I bambini sentono. I bambini assorbono. I bambini imparano. Se tuo figlio sa chiedere “per favore” o scusarsi l'avrà sicuramente imparato da te... 92 Figli del mare Che fossero onde infrante sugli scogli i tuoi capelli, perle d'ostrica i tuoi occhi o la voce della risacca le tue gote; che parlasse la lingua delle correnti la tua bocca e che i gesti sian figli degli anemoni, dimmi, qual uomo mortale non sa? Ma delle profondità abissali e delle sventure che han conosciuto o degli abitanti non censiti nascosti in rocce profonde; degli spettri sepolti sotto le sabbie eterne o degli scrigni preziosi solo sognati; del bene che fai mitigando climi, scoprendo terre durante le maree, lasciando andare stille preziose a dissetar terre, 93 sol io parlarne posso. Perché, noi, siamo figli dello stesso mare. E la rena che ci accolse ci baciò entrambi. 94 Apriti O credi che non abbia mai visto colate di lacrime come piogge di Monsone? O sentito in petto cocci di cuore scontrarsi come batacchi? Che le mie mani non siano mai gelate, doloranti e immobili, in attesa di cadere infrante? O che notti e giorni non mi abbiano mai sorpassato mentre attendevo solo il buio assoluto? Dimmi! Quale vento pensi non attraverso questo corpo? sia passato O quale tempesta abbia virato prima di provare la sua forza? 95 Quale schiaffo il male avrà risparmiato mentre urlavo "colpisci! colpisci ancora"? Chi ha fermato fulmini di invidia quand'era in suo potere scagliarli? O agitato mari, a fatica placati, per affondare la mia libertà? Nulla di ciò che ti coglie è sconosciuto nella misura in cui un'isola non mappata è dissimile dalle altre... 96 Tuo Mi permettesti di posare gli occhi sul tuo sguardo. Mi cavai i miei e ti dissi, “Prendili. Sono tuoi”. Abbozzasti un sorriso stupito. Mi strappai le labbra e ti dissi, “Sono per te”. Corremmo insieme e ti cedetti le mie gambe. Ci abbracciammo e ti regalai il mio torace. Mi prendesti le mani e anch'esse divennero tue. Capisti che nella mia mente esistevi solo tu e ti impossessasti, col mio permesso, del mio capo. Ogni cosa di me da te toccata rimaneva indegna d'esser mia ancora. Non ti disdegnai di alcunchè di mio. Non potei. Te ne andasti portandomi con te per 97 sempre. (Alla sola donna cui mi diedi senza sognare mai di ritornare in possesso di me) 98 Di questo si vive Per questo si vive. Per l’innocente imbarazzo di un bambino Che piega i tuoi tratti alla tenerezza. Per la buffa e goffa fuga di un fagiano Apparentemente disperso in disperse campagne. Del muovere una gentilezza E dell’incasso di un sorriso grato, si vive. Esistenza obliterata nel momento in cui, un rigagnolo d’acqua, si sveglia di vita nella meraviglia di girini e salamandre e tritoni. E quale ricchezza maggiore Della soddisfazione dipinta negli occhi di un figlio Per una nuova conquista, A cambiarne colore? Di questo si vive. Di aria e di raggi di sole, di due dita inaspettate che ti sfiorano il 99 viso. Di mani che si legano E si accompagnano nello stesso sterrato. Dello slancio di un uccello, della tela imperlata di un ragno. Di me, capace ancora di meravigliarmi, e di te, pur padrona del mio tempo, che di potermi meravigliare ancora mi concedi. 100 Persone Ci sono persone, lo dico e lo so, che si sono sempre appartenute. Granelli di sabbia, figli della stessa rena, che onde capricciose avvicinavano. O allontanavano. Incroci in brevi scorci temporali, il tempo di una lacrima di essere spazzata via, inghiottita da una gioia altra. Persone, lo dico e lo so, che, maledetta timidezza, dannato orgoglio, davanti alla confessione han trovato il fiato monco. Occhi negli occhi In rubati frammenti E la confessione di essere figli degli stessi padri Era già sottoscritta. Persone, 101 lo dico e lo so, che né tempi, né spazi, né mondi o onde capricciose, possono separare o, peggio, privare per sempre il fiato dell’arto che a dire “Ti ho sempre amato” è stato deputato. 102 Il volo Disadorni pensieri libero. Mani danno insospettabile equilibrio e l'andatura certa appare. Occhi sfocano confondendo il certo e l'immaginato. Gambe ingannate e ingenue li seguono. Il volo li riunisce in sé spegnendoli lì, dove esso stesso finisce. 103 104 Ora il passato si dissolve. Sparisce perché non merita di vivere nel presente. Inutile esercizio tentare di tenerlo in vita. Come un vecchio padre sepolto, Lascia di sé parole buone. Forse, duri insegnamenti. Ciò che poteva dare, l'ha dato. Falsa utopia abbia qualcosa per te, ora. L'ombra dell'oblio cancella sapori malati. Al palato, dolci richiami. retrogusti sorprendenti. Talvolta, Il tuo cercarlo non lo riporterà in vita e, non fosse per altro, 105 per questo dovresti ringraziare un dio. Mentre vivi nel remoto, non vivi. Condizione dei morti restare immoti in ciò che fu. Ogni passo è un addio, Un'orma che non ha presente. Dietro, il nulla. Davanti, il mistero. Ora, tu. (a chi vive nella terra dei morti pur potendo calcare il suolo dei vivi) 106 Se t’amo Spruzzi di mare e colate di spuma da scogli compiacenti. Foglie a intonacare arcobaleni. cieli e mischiar Se t'amo, gioisco del mio amore. Il tuo difenderti a vita non mi confonderà. Le mura erette non m'impediranno di godere del castello benché non veduto. Conosco ogni ala, ogni mattone, feritoia e l'amerò come casa perché casa è del cuore mio. ogni Sorreggerò edere e le colorerò dei colori dell'autunno. Renderò le barricate casa di uccelli 107 e rettili vi troveranno riparo. Guizzanti pesci s'impadroniranno fossato cui animali si abbevereranno. del Posso vedere cavalli alati saltare tutto in un balzo e donne a raccoglier fieno di sgargianti canti vestite. Posso udire urla di bimbi festanti E la parata passare a disegnare suoni melodiosi. Se t'amo è del mio amore che sono innamorato e né tempo né vita né morte mi possono privare di ciò che ho amato. E se di destarmi, 108 per un attimo, necessità sentissi, dipingerò le tue mura dei colori del deserto e di beduini assorti in compiti frugali. O di navi di pirati festanti dopo il bottino. O chi m'impedirà di tracciare mari dorate? inesplorati e sabbie Ché se t'amo, è dell'amore per te che sono innamorato, gioia che non può essere offuscata. 109 110 Angelo di dolore È strano. Nel giorno in cui il cuore gonfio sarebbe esploso in note d'affetto e descrizioni di bellezza; lo spazio e il tempo si sarebbero fermati per ascoltare romantiche effusioni; le gambe avrebbero facilmente azzerato distanze; le mani diffuso passioni; gli occhi commozione. È il destino... Nel giorno in cui potevi regalare primavera e fiori e colori, oscuri il cielo e lo scolpisci di fulmini, batti di male quale grandine, inondi di fetido marciume un cuore ferito. 111 È strano... È facile trovarsi a piangere per dolori subiti. Scoprirsi indegno dispensator di mali, insopportabile... 112 Profumo di menta Non c'è speranza, piantina. Come hai potuto pensare che l'inverno avrebbe avuto pietà di te? Per le tue belle foglioline? Per il profumo di menta? Sciocca, piantina inutile! Guardati attorno! Si spengono alberi ben più forti che pure regalano colori forieri di morte a campi e città totalmente indifferenti al loro soffrire. Dimmi, stupida piantina, davvero credevi che una mano ti avrebbe colta e trasferita, magari in una serra termoriscaldata? Oh, certo, con il giusto grado d'umidità, certo... 113 Rido, sì, rido. Stupida, stupida, stupida piantina! Mi beffeggio della tua ingenuità, rido della tua buona fede. Dipingo il viso di rabbia pura mentre ti strappo dal cuore, le radici sanguinanti, e ti sbatto a terra scalciandoti e pestandoti! A te che, incurante, dispensi, esalando l'ultimo respiro, il tuo stupido profumo. A me, stupido terriccio. 114 Tre volte (26.09.08 ore 00.32) Nella prima occasione in cui ti concederai io ti avrò tre volte. Non ci saranno risatine imbarazzate, nè vergogna alcuna. La prima sarà per te, per dissetarti di me. Noi, avremo modo di saziarci di noi. Infine, io avrò tutto di te per placare il bisogno di saperti mia. Solo mia. Un alone di sguardi oltre gli sguardi, di sesso oltre al sesso, del più puro tra gli amori sublimi avvolgerà i corpi, piegherà le anime, solcherà i cuori. Tempeste di tenerezza e mareggiate di passione s'incroceranno sulle labbra e sulle pieghe più intime a rovesciar occhi di scoglio e capelli di anemoni. Non ti sarà concessa replica. Avrai anni per paragonarmi ad altri amori, altri occhi, altre mani. 115 Una vita per elaborare i ricordi e abbellirli, per far assungere a mito l'occasione in cui fosti dea e conoscesti che mai donna poté esser sì amata. Nel giorno in cui saprai di esser chiamata a rendere il tuo spirito sorriderai sul molo della vita in partenza consapevole del Paradiso. E non avrai paura alcuna ad affidarti al Generatore massimo dell'Amore che a te, sola, rese già possibile. Né capelli d'argento, né rughe volgari ti incroceranno in viso e anche allora lo specchio ti renderà giustizia nella tua bellezza. Da par mio, nell'istante dell'addio mi feci cenere. O, forse, quale Araba Fenice, risorsi a dispensare ancora ciò che tra voi, alcune, sanno chiamare Amore. 116 Uccello nella voliera Prigioniero. Il risveglio è già dolore. Cambiano gli scenari in questo viaggio da fermo, cambiano le proiezioni d'ombra per gli itinerari quotidiani del sole. Cambiano le stagioni e il cielo decide se sarà di pioggia o di sole il giorno concessomi. Il mio guardare è dato dagli scacchi della recinzione. Nulla mi appare com'è, blindato lo sguardo dalle sbarre del mio amore per te. Tutto mi appare come può, dall’esatto punto da cui lieto, ho scelto di guardare. 117 118 Vittoria Non puoi capire, mamma. Fossi mai riuscita a vedere davvero in fondo ai miei occhi, capiresti anche adesso. Non accetteresti, forse. Ma capiresti. Se il sole ti chiama, tu rispondi. Sai perfettamente che sarà l'ultima follia che ti concederai, ma ti lascerai prendere per mano e lo vorrai abbracciare. Che la vita ha un senso solo se riesci a fare cose impensate. Se accetti le sfide per arrivare a dire “l'ho fatto mio”. Non puoi capire tu che hai accettato amori a metà, lavori odiosi e lunghi, solitari silenzi. Lei è bellissima oltre ogni dire. Ha occhi di cerbiatta e mari profondi nell'anima. Ha la semplicità dei bambini e la saggezza dei vecchi. 119 Splende di luce propria che si rinnova in una catena di esplosioni nucleari. Avrei dovuto rinunciare perché, mamma? Per un futuro sicuro? Per le sfide di un cruciverba? Che senso hanno le tue lacrime, adesso? Guardami. Ho vinto! Ho avuto la vita che volevo, l'unica che mi avrebbe reso ricco. Non ci fossero queste cannucce che dal naso mi raschiano la gola ti urlerei che “sono stato amato! Io ho amato!” Se non senti la mia voce. Se non vedi la luce nei miei occhi. Se non stacchi i tuoi da quella stupida linea quasi piatta, come puoi capire il senso di questa lacrima? Che è di gioia? Io al tuo posto interrogherei le tue pupille e mi sforzerei di vedere cosa c'è dietro. Che quel monitor ti dirà solo che il cuore si inaridisce, raggrinzisce come terra bruciata 120 dal sole. Ma non ti dirà né ora né mai “perché”. E anche la terra brulla può essere felice. Che vittoria è esalare l'ultimo respiro attraverso labbra piegate in un sorriso. 121 122 Vivo Vivo. Me lo dice la polvere, impalpabile come un'assenza, che danza sull'unico filo di luce. Il suono di acqua che scorre, a un passo da me, nel suo letto che fatica a contenerla dopo gli sfoghi del cielo. Vivo. Le nuvole corrono a chiudere squarci attraverso i quali il sole proietta ricordi di sé. L'umidità dell'erba infastidita dal mio peso che mi gela le gambe. Vivo. Ancora. Il rumore attutito di passi e di sassi calciati, il debole vento che indispettisce i capelli. Il fumo che scende nei polmoni e mi abbandona in volute spazzate dalla brezza. 123 Sono vivo. Le mani frugano tasche, scostano capelli, ruotano anelli. I pensieri si addomesticano alla grandezza di ciò che è dato da vedere, terre, cieli, spazi. Si sopravvive all'insensatezza di circoscrivere la vita all'oggetto dell'amore. Al relegare occhi e mente a una particella del tutto. Si rivive nel momento in cui il paraocchi cade, il mondo si rischiude. Il germe rimane, la guarigione lenta. Ridi, mondo, sfottimi. Ci sono cascato ancora a scordare maestosità e grandezze preda della maniacale attrazione per una briciola di te. Sfottimi, ma abbracciami, ti prego. Fammi sentire, fatti sentire. Tuo figlio è tornato. 124 Vivo. Ancora. 125 126 Danza Lei danza. Sul fumo di una sigaretta. Sul nulla intorno. Occhi bramosi incapaci di amare, padroni del suo corpo, suggono nettare da brandelli di pelle in fiore senza poter scalfire, neppure per un attimo, l'anima che è altrove. Danza. Fili di luce sulle unghie torturate, rivelano a chi non punta altre destinazioni del suo corpo, l'ansia, l'attesa. La disperazione. Esorcizza la vita e il suo piattume con movenze ingenuamente sensuali, dolce martirio per chi sta sotto l'improbabile palco. Lei danza. 127 Fuggita l'anima assieme alla musica, scaccia mani come fossero zanzare. Occhi secernono perle di male, stillando un intimo ferito. L'anima protesa a disinfettarla esclusa dal suo spazio. Il dolore disegna aculei che feriscono chi non ha colpe, forse, soluzioni. Lei danza. Consapevole che le gambe cederanno, che altre mani approfitteranno della sua debolezza, dalla fatica di cercare, fra milioni di occhi, occhi con un'anima, vinta. Il coraggio di vivere svenduto a una pasticca. La gioia di toccare, all'altrui svergognato tatto. La bellezza di un sorriso, all'inutilità della malizia. Passi lenti, perdenti, l'abbandonano a sé. 128 A spallate tra la folla che la vuole a terra, esce l'angelo, vinto, che non la vede mentre smette di danzare. 129 130 Due cuori So cosa stai pensando. “Eccolo qua. La voglia di tuffare la faccia sul mio culo come un bimbo sulla torta alla panna”. Per tua fortuna ho scelto di essere sincero. Non nego e rilancio. Ti parlerò se vuoi delle lingue a mischiar saliva e delle loro tracce come di lumache sulla schiena. Di mani avventuriere a scoprir anfratti e fenditure tra i quali il tuo piacere si nasconde come granchio sulla rena. Ma c'è di più. C'è l'istinto a fidarsi di quegli occhi di cerbiatta. E il bisogno di tuffarmici quando li disponi a sorriso, il capo appena chino, e mi guardi rivolgendoli all'in su. C'è che quello che intuisco mi induce a voler dirti tutto affondando il viso tra i tuoi seni, lacrime a bagnar la camicia. C'è che voglio ascoltare le ragioni di quella 131 malinconia velata, ma non coperta, non per me. C'è che le barriere che hai eretto al mondo che di te vorrebbe solo assaggi fugaci le potresti deporre perché, vedi? queste mani sapranno cullare quel cuore senza spargere una sola goccia del suo sangue. C'è che una mano tra i capelli ti farà sentire meno sola e occhi diranno ai tuoi “sei preziosa”. La schiusura di finestre su scenari in cui le parole rispetto, fiducia e attenzione hanno un senso, preparerà la strada a un nuovo mondo nel quale trovare rifugio quando la vita estrae gli artigli a graffiare, ancora. So cosa stai pensando. Hai dato fiducia e te l'hanno rubata. Hai aperto l'anima e vi hanno inciso frasi oscene. Hai offerto tutta te e ti sei ritrovata a brandelli sparsi dal vento impigliata fra i rovi. Lo so perché ero sul cespuglio a fianco, le stesse ferite. 132 E due cuori trattati con carta smerigliata non tireranno fuori gli aculei al loro simile. Forse, si leniranno l'un l'altro le ferite e troveranno pace e ragioni di perdono. Forse, stagioni di ristoro. 133 134 Storie e altri brevi racconti La vita ti scorre attorno. Ti affianca, ti sorpassa. Ti circonda. E tu non puoi fare altro che scattare fotografie di parole. 135 136 Strano posto la stazione È un posto strano la stazione... Ti rendi conto di quanti stranieri partano e solo col biglietto e un panino sostengano l'economia. Gente che non si avvicinerà mai al tuo treno, veloce, esclusivo, perché inaccessibile. Milioni di passi anonimi, alcuni vocianti, altri col cellulare all'orecchio, tutti ugualmente insignificanti. Scarabocchi di vita su un foglio presto cestinato, seppellito in fretta come le lacrime che li piangeranno per un po'. È uno posto strano la stazione... Decine di culi, alcuni ignari, altri ostentati, che potresti passare le ore a saltare dall'uno all'altro. Leccarli con gli occhi. Pizzicarli con la mente. Immaginando bei visi laddove vedi solo 137 baveri e capelli. E invece ti soffermi sul barbone dall'accento strano che ti chiede una sigaretta e ricordando la tua amica dal cuore grande, gliene offri due strappandogli un sorriso, una benedizione in cui non credi e due occhi arrossati. E se qualcosa vuoi chiedere a Dio di proteggere non saranno quei bei culi pieni, ma i suoi occhi. Che posto strano la stazione... Dove la malinconia davanti a tutto questo inutile incedere prende il sopravvento, nonostante i senzatetto ti offrano ragione per sorridere mentre, unici, dividono avanzi degli avanzi recuperati coi piccioni che poi guardano litigare. Dove la tristezza ti prende la mano e ti conduce ancora da te, immensa e grande, assunta a mito perché 138 scomparsa troppo presto. Prima che l'abitudine spazzasse via la tua bellezza autentica. Mani si posassero stanche. L'anima lasciasse le labbra che ti baciarono. A te che induci riflessioni inutili, ma tanto vere, e raccogli l'inevitabile, ennesimo, vaffanculo per avermi privato della possibilità di una scelta, lasciandomi qui, solo, a riempirmi della tua assenza. 139 140 L’amante mortale L'attesa è finita. Sono io la prescelta! Chiusa nella mia corazza, non posso nemmeno sgranchirmi, ma mi emoziona la mano guantata che mi sfiora, mi rigira a controllare la sinuosità delle mie forme. Sono nata per fendere l'aria ed esplodere in un trionfo mortale. Mi fido del mio liberatore. Riposta in una gabbia di cartone inneggiante al mio Paese, sarei potuta essere stata concessa a un qualsiasi uomo nato sotto questa bandiera. O, peggio, sotto un'altra. Ma lui mi ha promessa in sposa a un uomo importante, si dice, Presidente. Ci pensi? Io, umile serva, destinata ad amore eterno con Lui! Nella camera aspetto. L'attesa è snervante, ma cerimonie di così alto rango richiedono ufficialità e precisione, anche nei tempi. Mi rilasso nell'impercettibile dondolio che il mio tutore pratica per non farmi mancare all'incontro del secolo. Sento le folle festanti, le bande suonare marce in nostro onore. Anche qui al buio non mi è difficile immaginare bimbi a sventolar bandierine, teste che si protendono verso il cielo a rubar un'immagine di Lui. Di Lui, fra poco mio, per sempre. 141 Se esiste una giustizia a questo mondo, nulla andrà storto e la semplice figlia di un artigiano stupirà il mondo nei secoli avvenire rapendo un tal partito ed entrando con Lui nella leggenda. L'agitazione delle folle cresce! Dio! È giunta infine l'ora? Le moto che precedono il nostro corteo! E ora, il rombo dell'auto! I bimbi Lo invocano eccitati, la gente preme sulle transenne, scatta foto, scandisce il nome dell'uomo mio! Percepisco la tensione del mio liberatore. Ti bacerei per la cura con cui hai pianificato e ora cerchi di rendere certo il nostro incontro! Oddio! Devo stare calma! Non sia mai che la mia agitazione vanifichi il momento, m'impedisca di realizzare questo sogno per il quale, a dire il vero, ho ben poco contribuito. Dio! Come vorrei che, nel momento in cui mi vedesse arrivare, mi trovasse perfetta e custodisse eternamente la mia immagine gelosamente! Il botto soffocato segna che il momento è arrivato. Volo da te, Amore mio! Mi getto fra le tue braccia sorvolando le teste dei nostri invitati, a migliaia, uomini e donne che ti hanno amato per le tue parole 142 innovativamente rivolte a loro, al loro bene, ai loro interessi. Li ammiro da quassù e il mio amore per te cresce perché sei un uomo fiero, leale, che parla e agisce per spezzare regole, infrangere egemonie storte, correggere sistemi perversi usando la sua intelligenza e la sua audacia per rovesciar tavoli da cambiamonete corrotti. Non sono gelosa dell'affetto che ti viene riconosciuto, ne sono, anzi, orgogliosa e fiera. Ma ora, Amor mio, abbi occhi solo per me, solo per oggi, solo per questo che è il nostro giorno col mondo spettatore privilegiato del nostro evento. Sfila l'abito del Grande e indossa quello dell'uomo con le sue passioni, i suoi desideri, le sue segrete perversioni. Allarga le braccia e attendimi quale sposa desiderata, quale amante sognata, confidente preziosa. Mostra a queste folle il tuo lato più prezioso, la tenerezza di cui sei capace. Che sei disposto per l'Amore eterno ad accantonare ogni cosa, per un po' almeno, come un padre fa se il figlio è malato o l'amante che fugge da un tavolo importante se l'amata chiama. Sia quel tuo sorriso per me sola nel tempo di un battito d'ali che dura la mia vita 143 libera dal bozzolo. Tendi le tue mani al cielo da cui provengo ed esprimi lo stesso silenzioso ringraziamento che è stato il mio dal momento in cui ho capito che le nostre vite sarebbero state legate da un patto immortale. Si aprano le danze, scorra il vino a fiumi, s'imbellettino le dame e si vestano di galanteria i cavalieri! Si immortalino i volti degli sposi destinati a non invecchiare e si tacciano i suoni di dolore nel mondo per questo momento di Amore puro. Alzino al cielo le bandiere i pennoni e spieghino le vele le navi nei porti. Suoni ogni strumento all'unisono la melodia degli innamorati e cori innalzino preghiere cantate di ringraziamento. Uomini di questa terra si fondano in un unico colore e le anime alzino nel timore gli occhi a Dio che ha concesso il dono della felicità eterna al loro amato Signore. Cui vado incontro raggiante di gioia, certa di rimanere nella sua testa e nel suo cuore per sempre, compagna umile e devota cui in questo giorno di letizia ha con un “Sì” concesso la sua vita. (al Presidente che tutti vorremmo, J. F. Kennedy, e alla pallottola che lo consegnò alla storia) 144 Le ragioni del male La scatola l'aveva ottenuta liberando una piccola bomboniera. Di quelle di cartoncino fino, facili da aprire. Anche dall'interno. Era stata voluta per proteggere una di quelle tazze lavorate a mano che facilmente finiscono in qualche vetrina di credenza, quando non direttamente fra le cianfrusaglie di casa. Svolse il cordino colorato che la legava, il quale sarcasticamente ricordava i nastri dei pacchi regalo, e che era stato scelto apposta per impedirne un'accidentale apertura pur lasciando filtrare un minimo d'aria. La depositò con cura sul corpo della donna, che nuda e legata, emetteva suoni indistinti attraverso il bavaglio sgranando gli occhi grondanti lacrime. Disegnò un segno della croce fra il capo e il cuore e attese che i primi ospiti della scatola facessero capolino prima di sfilarsi i guanti a protezione delle mani e allontanarsi. Il cheiracanzio, o ragno dal sacco giallo, è una specie comune in Italia. Il morso può causare effetti rilevanti sull'uomo. Nausea, vomito, finanche un senso di oppressione 145 toracica e collasso. Centinaia d'essi, impauriti e affamati, facilmente la morte. Ma quand'anche la colonia appena liberata non avesse fatto il suo dovere, nella bara in cui la stava richiudendo, la donna non avrebbe avuto scampo. Non una volta sigillata. Non in quel rudere dimenticato da Dio e dagli uomini. Era stato un semplice tocco di classe. L'ultima delle atrocità tra quelle che la donna aveva provato mentre era rimasta in sua balìa per tre lunghissimi giorni. Si voltò nuovamente verso la dimora ultima della donna e uscendo immaginò il rudere quale catacomba. Amen. Con la scusa della visita a una cascata scoperta qualche tempo prima, durante uno di quegli improbabili giri a vuoto fra ragazzotti in cerca di stupidi divertimenti, Marco era arrivato al limitare del bosco, laddove si faceva difficile da attraversare a piedi, impossibile su uno scooter. Sara, sedici anni come lui, la più bella ragazza del quartiere e che, si vociferava, si era concessa solo una volta a uno di quei teppistelli affascinanti che ottenuto il premio, ti sputtanano per l'intera città, era davvero rimasta incantata a guardare il salto nel nulla dell'acqua imbiancata di 146 spuma che spuntava dal nulla dal verde acceso della vegetazione. Marco aveva estratto da sotto la sella una sorta di plaid e lo aveva steso sull'erba, così i due vi si erano seduti e ammiravano il panorama, spettacolare, a qualche centinaio di metri in linea d'aria da loro. Marco veva ottenuto a fatica la sua fiducia, ma Sara continuava a essere restia a concedere i suoi favori. Ma lui sapeva dove voleva arrivare. Sara non gli aveva permesso, nei due mesi di frequentazione, che baci e qualche palpatina, ma senza mai bypassare i vestiti. Fantasticava, lungo il percorso, che la solitudine in cui si sarebbero trovati l'avrebbe rilassata un po' e avrebbe trovato la via per arrivare, se non a un rapporto completo, a un minimo di soddisfazione. Gli amici, quella sera, avrebbero avuto un racconto che li avrebbe fatti rodere dall'invidia, altro che i soliti sberleffi per essere andato ancora in bianco con l'inarrivabile bellezza! Quando le si inginocchiò dietro, tastò la tasca posteriore dei jeans per accertarsi che il preservativo fosse lì. Cercava di dominare l'eccitazione alimentata dalla sua fantasia per trasformarsi nel più tenero amante. Iniziò a baciarle dolcemente il collo e non 147 fece caso al tentativo di Sara di liberarsi dal suo abbraccio. Sara cedette temporaneamente e si lasciò adagiare sul plaid mentre la lingua di Marco scivolava sulla sua e una mano saliva, dolce, ma decisa, sotto la sua maglietta. Il vulcano che si stava sprigionando in Marco fu bruscamente interrotto quando si udì distinto il suono di un ramo spezzato e Sara, allarmata, scattò in piedi guardandosi intorno mentre abbassava la maglietta. Ci fosse stato un esercito invasore, nulla avrebbe indotto Marco a desistere dal perseguire il suo obiettivo. “Non c'è nessuno, Sara. Guardati intorno!”, disse. “Ma l'hai sentito anche tu, no? Adesso mi dirai che era un cervo, vero?”, rispose. “Siamo in un bosco, tesoro”, fece con fare falsamente consolante avvicinandosi e cingendola alla vita. “Cadono rami, passano animali. Cadono sassi. È normale, non credi? Chi vuoi che ci sia qui, Cristo?”, fece lasciando trasparire un pizzico di frustrazione. “Non so, Marco. Non mi sento tranquilla. Per favore, andiamo via.” “Ma che cazzo dici, eh?! Cazzo! Una volta che siamo tranquilli, nessuno nel raggio di chilometri... Sara, cazzo! Siamo solo io e 148 te!” e urlando queste frasi la riprese con forza stendendola a terra. “Marco! Ma sei impazzito?”, esclamò mentre cercava di baciarla con foga e di slacciare il cordone che faceva da cintura ai suoi pantaloni leggeri. “Marco! Ma cosa...” Marco non parlava. La teneva bloccata e cercava di riempire la sua bocca della sua lingua. Solo sporadicamente, mentre come una furia le leccava il viso e il collo e con la mano lottava con le sue mutandine, biascicava un “Ti amo, Sara” poco convincente. Sara urlava e si dimenava. Nel farlo, si ritrovò girata a pancia sotto, i pantaloni a mezza coscia, e un ragazzo che non riconosceva più steso su di lei. Non poteva far caso al sesso di lui che nella lotta premeva sulle sue natiche, eretto e sensibile ai suoi movimenti e libero da indumenti. Sara non seppe mai che fu il suo divincolarsi disperato a portare Marco al veloce orgasmo che le inzaccherò le mutandine. Capì solo dopo che fu questo a spegnere parte della foga e dell'ardore violento di Marco dal quale, un po' alla volta, riuscì a liberarsi. Scattò in piedi urlando e piangendo, rivestendosi. Marco la guardava ancora mezzo nudo e la sentiva strillare le peggiori 149 oscenità gli avessero mai riversato. Singhiozzando, cominciò a schiaffeggiarlo e a prenderlo a calci, ma l'unica cosa che faceva davvero male era la minaccia di rivelare l'accaduto una volta rientrati. A nulla parevano servire le scuse, le promesse, le giustificazioni. Forse per questo in Marco sorse la consapevolezza che Sara non doveva rientrare. Senza tentare di calmarne la furia, Marco si rialzò vestendosi. Accettò passivamente altri due colpi e le invettive di lei mentre raccoglieva un grosso sasso e, voltandosi di scatto, la colpì violentemente al capo. Investita da una fiammata cui seguì il buio più totale avesse mai visto, Sara crollò a terra. “Devo farla sparire”, pensò Marco in preda a una lucida follia. “Devi finirla prima”, disse una voce proveniente dal muro verde, apparentemente invalicabile, che gli si ergeva davanti. “Chi cazzo c'è?!”, urlò istericamente il ragazzo impaurito brandendo ancora il sasso. L'uomo uscì da un varco invisibile e con calma olimpica proseguì. “Respira ancora, non vedi? La devi finire prima”, fece 150 avanzando e indicando la ragazza. “Non ti avvicinare! Non ti avvicinare o, giuro che ti faccio secco!”, minacciò Marco. “Sto parlando per il tuo bene. Lo capisci o sei scemo del tutto?”, disse lo sconosciuto alzando il tono e con estrema autorità. “O adesso che sei in questo casino pensi di premere il rewind e di far tornare tutto come prima?” Un attimo di silenzio attraversò lo spazio fra i due. L'uomo riaddolcì il tono e con fare paterno invitò il ragazzo ad avvicinarsi. “Ti aiuto io, ok? Potresti essere mio figlio. E non lascerei mio figlio nei casini, non credi? Ti aiuto io. Non la troverà nessuno, fidati. In cambio, prima di finirla, mi ci lascerai giocare un po', ok?” Marco accusava lo shock di quanto era successo. 'Ho quasi violentato una ragazza. Cui volevo bene tutto sommato. L'ho quasi uccisa, anzi, sto per ucciderla davvero. E questo demonio... da dove arriva?' Erano questi i pensieri che rimbalzavano tra la paura e la colpa, tra il desiderio di una vita normale in futuro e la voglia che tutto si potesse cancellare come con un colpo di spugna. “Sì, non è facile”, riprese l'uomo come se gli avesse letto nel pensiero. “Credimi, lo so. Ma tu hai diritto a una vita normale. 151 L'alternativa è pagare per sempre per l'errore di un attimo. Pensaci e vedi se non ho ragione.” Il ragazzo tentennava e l'uomo, avvicinatosi, lo prese per un braccio. “Aiutami a portarla un poco più avanti”, ordinò indicando il nulla che presagiva quell'intreccio verde. “Me ne occupo io, ok? Rifletti, non hai altra possibilità se non di finire quanto hai iniziato”, concluse. Sospinto, prese la ragazza per le gambe mentre l'uomo l'afferrò sotto le ascelle avviandosi camminando all'indietro. Vedeva indistintamente che il sangue dalla tempia di Sara usciva ancora, ma lentamente, sotto un grumo ormai coagulato. Il respiro, notò, pareva stabilizzato. “Io... io non volevo... non volevo, lo giuro”, biascicò Marco. “Il male spesso sgorga da solo”, disse con fare rassicurante lo sconosciuto, girandosi per un attimo verso di lui. “Ma richiede sempre e in ogni caso di essere espiato”, proseguì senza che Marco gli prestasse attenzione. Arrivarono non senza sforzo al casolare abbandonato che l'uomo aveva lasciato pochi minuti prima. Il freddo e l'umidità attanagliarono il ragazzo e parvero non 152 disturbare l'uomo. Sara fu adagiata a terra, sull'acciottolato consumato stranamente pulito. Marco era troppo scosso per notare i particolari, ma non gli sfuggì la bara al centro della stanza sostenuta da due cavalletti di ferro con piccole rotelle. “Quella è qui da chissà quanto tempo”, fece l'uomo con fare rassicurante. “Se c'è qualcuno lì dentro non darà disturbo alcuno”, scherzò. “Ora... che facciamo?”, chiese il ragazzo. “Puoi stare con me. Se vuoi puoi finire quello che hai iniziato”, fece l'uomo. “O puoi andartene e scordarti di questa giornata. Sparisci qualche giorno. Datti malato e stattene a letto per un po'. Non dare a nessuno modo di sospettare che qualcosa di grave ti abbia turbato. Piano piano ritroverai un po' di lucidità e la vita ti aiuterà a dimenticare.” “E... Sara?” “E' in buone mani, credimi”. Il ragazzo parve esitare. Voleva con tutte le sue forze che la vita continuasse come sempre. Ma non poteva tollerare di sentirsi tra l'incudine e il martello, no, e non di dover decidere subito a quel bivio, senza essere sicuro di aver valutato tutte le possibilità, quale strada intraprendere. 153 “Ok, me ne vado”, esclamò infine. Nella mano dell'uomo era balenato un alare arrugginito che alzò sopra la testa della ragazza. “Il male va sempre espiato”, disse mentre vibrò il colpo mortale. Marco sgranò gli occhi e si sentì mancare. Padrone di sé, l'uomo posò con cura lo strumento di morte e sorrise davanti allo spettacolo che gli si parava dinnanzi. Una bara e due giovani corpi immobili. Si diresse in un'altra stanza del rudere, quella il cui tetto era crollato del tutto e a cui ora i fitti rami facevano da copertura non impedendo del tutto a una pallida luce di guidare i suoi passi. Da uno stipetto miracolosamente salvatosi dal crollo prese sicuro una bottiglia di cloroformio, uno straccio che ancora odorava della sostanza e una boccetta di sali. Mise quest'ultima in tasca e imbevette il tampone di cloroformio per poi posarlo sul naso e la bocca del corpo svenuto. “Meglio essere sicuri”, pensò. Con straordinaria sicurezza si caricò il giovane corpo sulle spalle e si diresse in direzione opposta a quella da cui era venuto. Lo aspettava una camminata di almeno mezz'ora con quel peso sulle spalle per raggiungere la prima strada frequentata della zona, ma la cosa parve 154 non spaventarlo affatto. A dispetto dell'età apparente, circa sessant'anni e del fisico minuto, l'uomo raggiunse il suo obiettivo. Assicuratosi di non essere visto depose il corpo di traverso sul centro della carreggiata, confidando nell'assoluta visibilità dello stesso su quel rettilineo e nel buon cuore di qualche autista di passaggio. Calcolò che in ogni caso non sarebbe trascorso molto tempo prima che si ridestasse autonomamente. Valutando i rischi di quella soluzione, decise che 'in ogni caso, non tutte le ciambelle riescono col buco'. Percorse più velocemente la strada del rientro. Il pomeriggio estivo volgeva al termine e la fitta vegetazione oscurava più che altrove l'atmosfera. L'uomo ci mise un secondo per abituare gli occhi alla semi oscurità e si mosse nel suo ambiente sicuro. Gli parve di udire tonfi sommessi provenire dalla bara al centro della stanza che un tempo fungeva da salotto. Cadde una prima volta in ginocchio e ringraziò. Di scatto come si era concesso di disporsi in umile preghiera, si rialzò e si diresse verso il corpo del ragazzo che aveva conservato gli occhi sbarrati, sgranati dalla sorpresa esplosa nel momento in cui 155 realizzò di essere il destinatario della furia dell'uomo. Con l'agilità e la destrezza di chi si muove nel suo territorio lo caricò sulle spalle e lo portò nel grande salone che un tempo ospitava i pranzi e le cene della numerosa, allora, famiglia. Scaricò come un sacco il corpo del giovane in una bara zincata e lo compose solo quel tanto che ne permettesse la chiusura. Cosa che fece con maestria. Indietreggiò di qualche passo e si concesse di sedere sull'uscio della stanza, avviando come in un vecchio film le scene della famiglia riunita intorno al tavolo. Rivedeva la stanza arredata di mobili semplici, ma di buona fattura. L'arazzo sulla parete grande. I centrini di pizzo lavorati dalla nonna sotto ogni suppellettile. I ritratti dei bisnonni alle pareti e le ampie tende a ovattare leggermente l'allegro vociare di loro, bambini, che sotto lo sguardo fintamente severo del nonno continuavano i giochi lasciati nell'allora giardino. La soddisfazione della mamma quando i complimenti per il cibo fioccavano e turbavano la vecchia nonna cui veniva paragonata e che oramai non poteva più svolgere le mansioni a lei care. Spense la pellicola e realizzò per l'ennesima volta che quel mondo se n'era 156 andato per sempre. Unico superstite, era sopravvissuto anche alla propria moglie dalla quale aveva avuto in dono quell'unica figlia adorata. Sara, ironia della sorte, il suo nome. Gliel'aveva portata via un sedicente innamorato, più grande di qualche anno, che non si era limitato a tentare di sedurla. L'aveva segregata per giorni, abusando di lei sessualmente e riservandole ogni sorta di crudeltà. La bara numero due, stranamente nella diagonale opposta rispetto alla numero uno, costituiva ora parte dell'arredo del salone. Ospitava il sedicente innamorato e ogni sorta di immonda creatura fosse riuscito a chiudere all'interno con lui. Gli parve di sentire ancora le grida dell'uomo filtrare nonostante la chiusura ermetica, ma fu solo un attimo. La bara numero uno, quella, l'unica, bianca, ospitava la sua ragazza, pura come acqua di fonte, insozzata da mani mosse da un'anima perversa. Vi depose un bacio, prima di voltarsi verso la bara numero tre, lì di fianco, che ospitava un orco che una giustizia ingiusta e malvagia aveva lasciato libero nonostante una bimba di tre anni gridasse vendetta dal mondo dei puri e che, come Marco, aveva casualmente 157 trovato sul suo cammino mentre compiva l'opera che il Signore gli aveva affidato, svelandogli il destino che aveva in serbo per lui dopo la morte della figlia. Compito dal quale non si sottrasse affatto. Fu su quel corpo animato dalle peggiori bramosie che sperimentò il potere del sale sulle ferite aperte. Un uomo di un metro e novanta per centodieci chili piangere come un bambino implorando la morte di liberarlo non è uno spettacolo che si dimentica facilmente. La bara numero quattro, incidentalmente, non sarebbe stata quella donna ancora viva nell'altra stanza; del resto, qui, in cimitero, sarebbero stati deposti solo i morti; ma quella di, come si chiamava? Marco, già. Malato di sesso come tutta la sua generazione, disposto a uccidere per mantenere intatta la sua vita, poco importa se a scapito di quella di chi la vita la meritava ancora. Si inginocchiò nuovamente a pochi passi dal macabro contenitore del corpo della donna. Madre dell'assassino della figlia, sapeva e aveva goduto col figlio delle torture subite dalla ragazza. “E, si sa, il male va espiato”, disse gettando un'occhiata di traverso al feretro. Abbassò il capo e congiunse le mani. Il 158 silenzio gelido che lo investì non lo scosse che all'esterno di sé. “Signore, a te devo il mio essere ancora in vita. A te l'onore di esserti braccio per le tue condanne. In questo stesso giorno mi hai permesso di essere carnefice e salvatore. Non so quali parole usare per esprimerti la mia gratitudine per questi privilegi che hanno reso questo giorno il più felice da molto tempo in qua. Guardo con attenzione ai tuoi disegni e scopro che l'aver cercato di aiutare la ragazza ha reso il mio compito esaurito in quanto, a breve, questo luogo non sarà più sicuro e io stesso sarò braccato dall'assurda giustizia degli uomini che perdona i malvagi e perseguita i tuoi umili servitori. Sono lieto di essere stato tuo strumento di giustizia, privilegiato fra gli uomini e indegno del tuo sguardo. Accogli, ti prego, la mia anima e perdona le mie colpe. Tu sai, mai volontarie”. All'”Amen” si rialzò e iniziò a spingere la bara contenente la donna in “cimitero” dopo aver posato l'orecchio in più parti vicino alla fessura tra il coperchio e la cassa ed essersi reso persuaso che la donna non fosse più. Guardò le altre bare, cinque, aperte e che 159 non sarebbero state usate malgrado le sue stime di successo. Si diresse verso quella della figlia, la sfiorò passando oltre, e si diresse allo stipetto dei medicinali da cui estrasse una boccetta. Tornò dalla sua piccola e si stese sulla bara bianca ingollando il contenuto della bottiglietta. Quando un ultimo rantolo lo fece cadere a terra, lui non se ne accorse. Lui, la ragione del male, scosse il capo. Spettatore non più divertito dal ripetersi apparentemente eterno delle azioni e delle reazioni che il male reclamava, si alzò visibilmente annoiato. “Uomini. Lo stesso bisogno di potere. Di disporre della vita altrui. Di esserne padroni, per soddisfazione, per bramosia. Per giustizia... Ah! La giustizia! Uomini, fiamme dell'inferno! Solo uomini...” Quando uscì alla ricerca di altri carnefici, cui mancava solo un motivo per trasformarsi in omicidi e con lo scopo di fornirglielo, un nugolo di insetti si alzò infastidito dall'odore di zolfo... 160 Innamorato della vita Innamòrati di me. Non posso non amare i tuoi capelli lunghi e neri. O i tuoi, corti e spettinati. Non so rinunciare al tuo abbraccio di bimbo e alle corse nei prati. Innamòrati di me. Io sono quello che apprezza le fusa e il ciondolare sgraziato di una coda che chiede carezze. E non so non meravigliarmi dell'acqua cristallina di un torrente invernale. Sono quello che sugge, estasiato, qualsiasi concetto o idea sorprendente, come pure un semplice battito d'ali. E che sgrana gli occhi, ancora, davanti allo stesso cielo stellato. Innamòrati di me. So ancora piangere per una parola sgarbata o per una volpe investita per 161 strada. Sono quello che implora il tuo amore per i tuoi figli che sembri aver dimenticato. Sono io che ho difeso più volte il bene che ci dai e che sì spesso sembra non importare. Guardami! So perdermi ancora, ancora sorprendermi, ancora innamorarmi perdutamente di te, anche se a volte sembri dare in modo controllato. Perchè, lo sai, so dare. E ti darei tanto, tutto forse. Ma tu, ti prego, innamòrati di me. E di noi, così pieni d'amore, di rispetto, di apprezzamento per te, vita. 162 Cinico show Ahahahaha!!! Davvero credi mi importi se mi dimenticherai o no? Se mi odierai perfino? Credi che viva nella speranza di rimanere nello scrigno in cui conservi i tuoi più bei ricordi? Guardami. Mi importa di sopravviverti, di trovare un nuovo posto ora che ho perso il mio. Che finisca in fretta questo purgatorio nel quale mi dibatto come un idiota facendomi del male per disprezzare te. Essere stato un buon ricordo è davvero l’ultimo dei pensieri. È smettere di ferirmi e di ferire le crocerossine di turno, certe di salvarmi da me stesso e da te. È cessare di farmi coccolare illudendole che, chiusa la parentesi, sarò loro eternamente grato e aprirò il portagioie della mia anima e le ricompenserò. 163 Oddio, le risate… È finirla di stordirmi di alcol con la scusa di riuscire poi a dormire mentre si affaticano nell’ennesimo pompino, da cui mi sciacquo in fretta per fuggire con due baci discreti sul loro sorriso modello “Sono la più brava, vero? E non hai visto niente…” È l’attesa del giorno in cui non sfiderò più le leggi della natura con la mia auto, mentre aspetto che si ricarichi il fucile per sparare l’ennesima pallottola nella bocca o nel culo della prossima infermierina. Mi importa di riuscire a tagliare il cordone di speranza, che non voglio tagliare; di annullarti dai miei pensieri dove voglio tu rimanga Regina; di smaltire in fretta queste vagonate di cure, d’affetto, di attenzioni che ho ammucchiato per te e che ancora sogno di poter scaricare sul tuo uscio. Mi importa che Dio non ascolti le bestemmie, che le gomme tengano in curva, che le corde vocali non si spezzino, che le lacrime non m’impediscano di vedere il passeggino che scende dal 164 marciapiedi. M’importa che questo maledetto temporale cessi e il cielo si colori, di nuovo, di rosso acceso regalandomi una nuova alba, un nuovo giorno, una nuova vita. Che i pugni sul muro a sanguinar le mani, a dimenticare che hanno baciato i tuoi capelli, si plachino e possa trovarmi uomo fortunato per aver avuto i tuoi occhi addosso come nessuno ha avuto mai. E di finire di odiare questo respiro, questo battito, questo inutile incedere che, tuoi, mi rendesti come un anello che non ha ragione di essere ospitato da un dito. Ritrovandomi. Spezzando gli insulsi perché, che hanno, di nuovo, temporaneamente trasformato una vita incline al dare in un cinico show. 165 166 Confessione (15.08.08) Mi chiedo il perché di me e la risposta è in questa foto. 167 A quindici anni si guarda lontano. Oltre la laguna. Oltre il mare. Si hanno domande, tante, e risposte, poche, azzardate, in attesa di conferme. Si ha la rabbia di chi non ha avuto tempo di crescere e si è trovato grande prima del tempo. Si ha voglia di cambiare il mondo e raddrizzarlo a misura d'uomo. Di tutti gli uomini. Non si accettano i “non si può” e i “va così”. Si odiano i “non possiamo farci niente”. Mi chiedo perché nel giorno in cui mi ritorna tra le mani questa immagine mi prenda lo stesso nodo in gola. Mi chiedo perché piangevo per dolori non miei, cercando disperatamente di raccogliere ragazzi che buttavano la vita, solo per vedergliela sfuggire beati nella loro dose. Mi chiedo perché si avesse questo smisurato bisogno di amare e di essere 168 amati. Dove la parola amore aveva un senso che era tale solo per te. La risposta in una foto. Sono ancora là, con qualche risposta in più che ha generato nuove domande. Con la stessa rabbia per gli schiaffi sul viso altrui. Con lo stesso cuore che pompa più di quanto possa accogliere una persona sola. Ecco cos'è. Sono ancora là, a quindici anni, a guardare al largo di Cà Roman. Dispiaciuto di essere cresciuto in fretta. Felice di non essere cresciuto più. 169 170 Non si muove foglia… “La vostra condotta lasciva è stata disprezzata da coloro che vi hanno fin qui condotto e comincia ad esserlo anche per questa corte al pari della vostra insolenza!” “Ma Santità. Dire “pane al pane” e “vino al vino” mai è stato reato!” “Non si è trattato di semplice... “dire”, mi risulta. Pare lei sappia abilmente circuire le anime deboli e usare con abilità la sua... sciabola, Messere...” “Suvvia, Santità. Non crederete davvero alle voci che si rincorrono per strada! E poi: guardatemi! Cosa avrei più di qualsiasi altro uomo abbia calcato questa scena da potermi permettere l'amore e le grazie di cotante fanciulle?” “Non giocate con me... Messere! Vi ricordo di aver potere di vita o di morte su di voi, ammesso che la vostra possa esser considerata “vita”!” “Santità, non mi posso pentire. Il Vostro Signore mi ha donato dei talenti e io semplicemente li spendo con cura...” 171 “Non bestemmiate, figlio del Demonio! L'avete sentito tutti! Non bestemmiate davanti a questa corte ché, per l'Iddio che ho il privilegio di rappresentare, vi faccio tagliare la testa in questa stanza stessa!” “Voi! Non io, voi! Avete insegnato e continuate a farlo che non si muove foglia che Iddio non voglia. Ora... chi sta muovendo questa mia povera... foglia?” E' duro. E' duro e puzza di morte. Quest'ultimo cuscino non è di piume d'oca come quelli dei giacigli che ero solito frequentare. Ed è comica la posizione in cui mi trovo e che sì spesso era delle compagnie mie, imploranti di avere ancora, e ancora, e ancora del mio pube poggiato sui loro graziosi culetti agitati. Gridano, affamati del mio sangue. La maschera copre il volto del mio carnefice, braccia alzate a brandire l'arma che purificherà questa immonda terra dalla mia presenza. Solo alcune fanciulle piangono. Le vedo. Le sento. “Non piangete per me, mie care. Quello che vi ho donato nessun uomo potrà più portarvelo via!”, vorrei gridare. Ma taccio. 172 Il mio ultimo pensiero, il mio ultimo grido sia per voi... Giudici! “Io! Io muoio per la vostra invidia! Muoio perchè non potete tollerare io abbia avuto in dono, quanto voi potete solo rubare con la forza nelle stanze in cui trascinate giovani vergini o, pagando, averne un surrogato. Muoio perchè non c'è nulla di più detestabile di un uomo mediocre che ottiene senza costrizione quanto voi anelate e sottraete coattivamente. Muoio ché non potete comprendere i disegni del vostro stesso dio che dà a voi disprezzo e a me godimenti e amore. La mia morte non vi porterà la tenerezza, l'abbandono, le carezze e i sospiri, ma moltiplicherà gli insulti, le lacrime e gli sputi, di coloro su cui poggerete la vostra immonda bramosia. E un altro mediocre messere vi sottrarrà l'amore delle vostre figlie e delle vostre giovani mogli e godrà di doni che semplicemente voi non-avrete-mai!” La folla si disperde. L'ultima eco si spegne. Alcuni cuori tramano vendetta che si compirà, puntuale, a prezzo della vita. Del resto, “non si muove foglia...” e chi rimesta questa... voglia? 173 (Al gran dispensatore d’amore, Don Juan Tenorio) 174 Occhi negli occhi Espiro. La voluta si perde mentre i polmoni regalano nicotina al sangue che rallegra i muscoli. La città è mia, oggi. E lo sa. Catturo con la coda dell'occhio una ventata di capelli e mi giro mentre la mano si riavvicina alla bocca col suo veleno mortale. Ma è altro il veleno che uccide ogni movimento. Lo secernono i tuoi occhi che sorridono al mio stupore. Oh, io non cedo. Oh, neanche tu. Immagini rallentate di passi frettolosi e di una mano fumante su una bocca spalancata. Occhi che ridono negli occhi, si indagano, si sfiorano. Si toccano. Rigiri il capo dopo avermi sorpassato e avermi lasciato così, occhi lucidi di saliva 175 dopo un bacio, occhi tramortiti dopo un orgasmo, occhi padroni del mondo, velati da una sigaretta e dal suo fumo già consumata a metà. Siamo stati amanti, lo sai? Lo sai, e annuisci voltandoti e cercandomi ancora. Sorrido. Non ho più voglia di fumare... 176 Una manciata di parole La tela in un foglio. Una manciata di parole a dar forma e colore a un'immagine che la mente traccia come pennello di abile pittore. “Ferma, non muoverti”. Si sceglie un'espressione ispiratrice e la vita, tua musa, si blocca. La goccia non scivola. Lo sguardo non muore. I rumori si tacciono. Intingi ancora e colori capelli, sfavilli stelle o intristisci un cuore. Senti l'anima rispondere a ogni rilettura e ogni volta scorgi una pennellata che non ricordavi d'aver dato e una sfumatura che definisce, infine, l'emozione. Parole come tempere, congiunture che determinano sfumature cromatiche ardite. Non ti offendere, anima, se non sempre dipingo di te. Di certo, ogni volta, in mezzo a quel 177 mucchio di lettere scagliato sulla tela, c'è un pezzo di me. 178 Il sogno di Viola L'uomo che la accompagnava era alto e vestiva di scuro. Lo sguardo fiero e sicuro, puntato dritto davanti ai suoi passi, risultava al tempo stesso tenero e rassicurante per Viola. Alzando gli occhi, Viola allungò la mano e la strinse in quella dell'uomo che, senza parlare, la raccolse. Nel silenzio, il percorso aveva un che di fantastico, ma ricco di intensa malinconia. La piccola Viola ascoltava lo sciabordìo delle onde che baciavano la spiaggia appena illuminata dalla prima, fioca, luce del sole. Ma d'intorno, il film che vedeva era proiettato in bianco e nero. Fu al cambiare dello scenario che Viola ruppe il silenzio e disse: “Io quella spiaggia l'ho vista”. L'uomo annuì. “Sì, Piccola. L'hai vissuta.” Al sentire per la prima volta la voce 179 dell'uomo, Viola provò un senso di maggiore distensione. Stava bene con lui. E fu per questo che chiese: “Vista o vissuta, che cambia?” L'uomo, sorridendo, spiegò: “La natura non si vede con gli stessi occhi di un altro. Ognuno la 'vive' a modo suo. E tu vivesti quell'angolo di mondo in modo tale che non si scorderà mai di te.” La piccola Viola avrebbe avuto milioni di domande dettate da milioni di pensieri a loro volta partoriti dalle parole dell'uomo. Ma gli scenari si susseguivano e Viola, nel suo incedere, trovava di volta in volta ragioni di stupore. La casa dei nonni incastonata nella campagna. L'asilo frequentato da piccola. Il fuoco della casa in montagna delle ferie di qualche anno prima. Fu quando incontrò il vecchio gatto che l'aveva felicemente accolta nella casa dei genitori che riacquistò la parola per esclamare: “Ciuffo!”. Nel farlo lasciò la mano dell'uomo e si accucciò per riceverlo, ma Ciuffo, come non l'avesse vista, la attraversò. 180 La sorpresa si dipinse sul suo volto e dalla sua bocca un'espressione di stupore rimase imbrigliata. “Ma...” Si girò verso l'uomo che non aveva smesso di camminare e voltandosi verso Ciuffo che si allontanava cominciò a correre finché lo raggiunse e gli riprese la mano. Alzò gli occhi verso il suo sguardo che non si voltava mai verso di lei con fare indagatore, ma la domanda morì ancora in gola. “Ma...” Il rassicurante sorriso risplendè ancora sul volto dell'uomo che spiegò: “Ciuffo non è più con te. Quello che vedi adesso non è più con te. Lo puoi ricordare, ma non lo puoi toccare.” Essere cuccioli d'uomo permette di poter afferrare concetti non espressi, ma di non esprimerli, quasi che il dar loro voce imponesse la razionalizzazione definitiva. E tacque. Davanti all'uscio di casa, Viola lasciò la mano dell'uomo e si fermò, determinata. Per la prima volta l'uomo la guardò, fermandosi e voltandosi verso di lei. 181 Sorridendo espresse un “Bhè?” che aspettava una spiegazione. Viola cominciò a piangere, un pianto sempre più disperato. Colmo di tenerezza, come solo un uomo apparentemente rude può fare, l'uomo si avvicinò e senza toccarla si accovacciò di fronte a lei. Non disse nulla e attese che i singhiozzi si calmassero, paziente, gli occhi puntati su quelli di Viola, chiusi ma traboccanti di lacrime. “Ho capito, sai?”, lo attaccò Viola tra gli ultimi singhiozzi. “Capito cosa?”, fece l'uomo. La piccola ricominciò a piangere, ma questa volta abbracciò l'uomo che le offrì la spalla e la cinse con una mano. “Ho capito che non rivedrò mai più i miei genitori.”, disse alzando il tono rotto dal pianto. “Ho capito, che non rivedrò più niente. Che non abbraccerò più i nonni. Che io... io sono morta!” Il sorriso si allargò sulla bocca dell'uomo. Vide che la piccola Viola aspettava una conferma, ma le chiese: “Vorresti morire?” Stupita e arrabbiata Viola esclamò: “Certo 182 che no! Voglio la mamma, voglio mio papà!” L'uomo la cinse più forte e cominciò a spiegare. “Io sono Sogno. Il Sogno della Notte. Non sono l'Angelo della Morte. Ti riporto ciò che è stato tuo perché tu lo scolpisca nelle stanze più pregiate del cuore, a perenne ricordo, o monito, o lezione. Perché tu sappia che ciò che amiamo non muore e può accompagnarci, sostenerci, ma anche giudicarci, sempre e ovunque. Chi ti accoglierà al tuo risveglio; chi amerai nel tuo cammino; tutti loro passeranno e se non succederà sarà solo perché tu, prima di loro, sarai passata. Ma non c’è modo di chiamare vita la vita se non dandosi e accettando ciò che chi ama dona e di sentirsi felici per aver avuto il dono del loro amore. Loro… noi… passeremo. Le impronte dell’amore dato e ottenuto non saranno spazzate da nessun mare e le ritroveremo, o le ritroveranno altri, intatte nel ricordo di chi ha calpestato tal rena.” 183 Il risveglio fu lieve. Sorrisi saziarono più del latte. Il cuore gonfio delle tracce di ciò che amato c’era e di ciò che amato era stato, riprese a emanare primavere a rallegrare anime di nevi invernali perennemente ovattate. Che le stelle non chiedono nulla in cambio del loro bagliore se non di ricordarlo nelle notti in cui non sono. 184 Il vecchio e Marco In una sera come tante, in un paese come tanti, dei giovani (come tanti) sedevano sui loro scooter e ridevano. Marco, il bullo del gruppo, unico in piedi, teneva banco a voce alta, agitandosi e scuotendo i capelli, neri e spettinati. Alle loro spalle un boschetto. Di fronte la campagna. A destra e a sinistra si snodava la strada che univa la grande città e il primo paese dopo la periferia dove abitavano. In questa sera come tante, come sempre, a quell’ora non transitava quasi nessuno. Fu per quello che l’apparizione improvvisa di un vecchio, che pareva provenire dalla città, li colse di sorpresa. Marco, il più bullo, cominciò ad apostrofarlo tra le risa degli amici. Senza curarsene, il vecchio continuava nel suo lento incedere aiutato da un bastone, finchè si fermò e, lentamente, cominciò ad accovacciarsi guardando con interesse qualcosa. Stupore e meraviglia, dipinsero quel volto scavato dalla vita. 185 “Hei, vecchio”, esordì Marco. “Hai trovato qualche euro per la sbronza?” Gli amici risero rumorosamente, ma il vecchio, voltandosi solo un attimo verso di lui, replicò: “Una formica. A quest’ora. Non ha smarrito la strada. Continua infaticabile il suo lavoro. Guarda! Trascina la carcassa di un insetto!” Marco si avvicinò dondolandosi come solo i veri bulli sanno fare, certo di essere seguito dallo sguardo della banda che si aspettava un’altra ragione per ridere, fosse solo forzatamente. Spinse il vecchio sulla spalla, per girarlo verso di sé, ma questo cadde, seduto sul selciato. “Hei vecchio! Ma sei stordito?”, chiese con fare ironico con un tono sufficientemente alto perché dall’altra parte della strada lo udissero. Tra le risa, prevedibili, dei ragazzi, il vecchio sorrise. Puntò i suoi occhi scuri in quelli di Marco e senza traccia alcuna d’odio replicò: “Amare le piccole cose e custodirle. È la prima regola. Ricordatene stanotte, quando sognandomi, ti sveglierai.” 186 A Marco ci volle un attimo per realizzare e tornare a indossare i panni del bullo. Tanto bastò perché il vecchio si alzasse e sparisse nella notte inseguito dagli insulti di Marco e dal coro irrispettoso dei suoi amici. Ma quella notte, il sonno di Marco fu dolce. Quando si svegliò, forse intorno alle 3 del mattino, stava sognando di passeggiare col vecchio tra le meraviglie, mai apprezzate del creato. Inutile dire che non dormì più quella notte. Al mattino, al lavoro, era poco concentrato. I suoi titolari sapevano che un ragazzo di quindici anni può avere distrazioni e lo ripresero spesso. Ma non potevano immaginare che il suo sguardo non fosse perso dietro gli occhi di qualche ragazza. La sera seguente, Marco e i suoi compagni erano ancora là dove si ingannava la solitudine fingendo di essere amici inseparabili. Mentre Marco si avventurava in un racconto fantasioso della fantastica conquista estiva, ancora una volta il vecchio sbucò dal nulla. Gli amici incitavano Marco perché lo 187 aggredisse verbalmente ancora, ma Marco ci mise un po’ per calarsi nei panni del bullo forte coi deboli. Comunque lo fece. Questa volta, incurante degli affronti, il vecchio si paralizzò a contemplare una stella proprio alle spalle del gruppo. Marco lo affiancò e con fare sbruffone mimò un cannocchiale fra le sue mani. “Vecchio! Non vedo nulla! Sarà che è buio?” Tra le risa del mucchio, il vecchio replicò: “Quel puntino è in realtà più grande non solo del mondo che conosci, ma del mondo intero. Ricordatene stasera, quando ti cadrà il sapone.” Mentre il vecchio riprendeva il cammino, Marco lo seguì con lo sguardo. Vistolo silenzioso gli amici lo incitarono, ma tutto quello che riuscì a dire fu: “Stupido vecchio! Io uso il bagnoschiuma!” Avrebbe potuto giurare che appena prima che il buio lo inghiottisse il vecchio fosse sparito, quasi fosse un fantasma. Nel tornare dagli amici che reclamavano il suo show, Marco, turbato, inventò una scusa e rientrò. Scuro in volto, disse alla madre che 188 avrebbe fatto una doccia, ma... riuscite a immaginare cosa provò quando la madre gli disse che doveva ripiegare su una saponetta, giacché il bagnoschiuma era finito? E come rimase di stucco, quando, nonostante mille attenzioni, il sapone gli cadde? L'indomani al lavoro, a causa della disattenzione, si fece male. Cosa da niente, solo un graffio. Ma capì che gli incontri delle sere precedenti lo avevano turbato. E non solo perché il vecchio sembrava prevedere cose che sarebbero successe. Era la sua serenità, la sua pace interiore, cose da lui mai provate, a non lasciarlo indifferente. Così, la sera, stesso posto, stessa ora, stessi amici, stava seduto sul suo motorino. Niente spettacoli. Niente spacconate. Niente storie inventate. Lungi dal preoccuparsi di lui, gli amici protestavano per il mancato divertimento. E il vecchio arrivò. Vedendo Marco privo di parole, anche gli amici tacquero. 189 Esattamente di fronte a loro, dall'altra parte della strada, il vecchio tese l'orecchio come alla ricerca di un suono che udiva solo lui. Marco, questa volta pieno di riverenza, si avvicinò e gli chiese cosa stesse ascoltando. Gli amici quasi non credevano fosse lo stesso Marco che conoscevano! “Shh”, fece il vecchio. “Ascolta il silenzio. Respirane la pace. Assaporane la profondità e la bellezza.” Marco, abituato a musica martellante a tutto volume, agli schiamazzi con gli amici, al rumore della fabbrica dove il padre l'aveva costretto avendo saputo del suo bigiare la scuola, ascoltò. Per la prima volta sì stupì di quello che udiva. Pace. Ammirazione. Girò il capo verso la stella che attirava l'attenzione del vecchio la sera prima e in quel silenzio assordante si meravigliò. Sorridendo, il vecchio gli disse: “Stasera, all'ospedale, non avere paura. Ma impara. E se avrai capito, da domani... Azione!.” 190 Il vecchio gli diede una pacca sulla spalla e sparì dopo pochi passi. Sarà stato per il volto di Marco, o perché anche loro avrebbero giurato che il vecchio fosse scomparso ben prima che il buio lo ghermisse, ma solo a sé stessi per non rischiar figure, fatto sta che nessuno parlò. E il silenzio rimase l'unico suono. Almeno finché Marco accese il motorino e senza una parola di saluto, si diresse a casa. Mentre riponeva lo scooter nel magazzino udì il suono di un'ambulanza. Pensò, sì, a qualche vicino. Ma immediatamente ricordò le parole del vecchio e, mollato lo scooter a terra, corse a perdifiato arrivando giusto in tempo per vedere quelle persone che portavano via la madre. Spaventato dalle cannucce che spuntavano dal naso della mamma, Marco gridava di voler sapere, ma venne allontanato in modo sbrigativo. Guardò l'ambulanza sparire e ascoltò il suono della sirena finché non lo udì più. Di nuovo corse, questa volta al motorino, e 191 inseguì l'ambulanza fino all'ospedale. In corsia dovette attendere, senza notizie, assieme al padre. Gente andava e veniva. Barelle. Bende. Sangue. Pianti disperati. Preghiere. Il vecchio... Marco aveva capito l'ultima lezione. Aveva capito e non dubitava più. Quasi non si curò che un medico, in camice verde, venisse a rassicurarli che la mamma stava bene e che presto sarebbe tornata a casa. Lo sapeva già! Non dormì nemmeno quella notte. Quelle ore gli servirono per elaborare un piano, che puntualmente, mise in atto la sera seguente. Al ritrovo, unico in piedi, cominciò a cercare in terra finché trovò un piccolo scarafaggio. E descrisse agli amici quanto fossero utili alla terra menzionando nozioni apprese nelle ultime lezioni di scienze cui era stato attento, prima che qualcosa gli facesse credere che imparare fosse superfluo. Bhè, cari amici, Marco contagiò i suoi 192 compagni. Dopo qualche giorno erano tutti e sette a dispensare la saggezza legata alle piccole cose, alle piccole ma immense cose, al valore dell'amore per i familiari e al rispetto dei deboli. In breve, l'intero paese si spendeva per fare altrettanto e in qualche anno anche la grande città ne fu contagiata. Il bene fatto, il buon esempio, sono contagiosi. Me ne ricordo sempre, prima di uscire la sera. E adesso scusatemi. Ma ho un nuovo Marco, che in realtà si chiama Giulio, cui far vedere una formica. E devo partire presto. Sapete, sono vecchio e cammino lentamente... 193 194 Il sogno Non è così, diletta, che mi puoi catturare. Sono lo stropiccìo del cuscino, l’affondo del viso, l’ultima coccola e il mezzo sorriso che ti verga le labbra l’attimo prima del commiato. Sono il sogno, la parodia della vita, le mani e la voce di ciò che vorresti ma che tuo non può essere. Sono il sogno che si regala chi ancora crede ai doni che scendono dal camino, alle promesse di un uomo, allo scodinzolio di un cane. Sono poche ore di gioia, il mondo lontano, l’isola che non c’era, che c’è e non ci sarà più. 195 Risa vere, di incredulitudine, di “Mio Dio! Proprio a me!”, risate del cuore, gonfio e appagato, che non immagina, o non vuol sapere, che il risveglio è certo e vicino. Non è allungando una mano che mi puoi carpire. Immateriale come una bugia, non mi puoi legare. Mi puoi conservare solo lasciandomi libero e vivendomi per ciò che stato sono: un dono, un bacio del divino, uno schiaffo della vita che ti desta a dire “Son degna!”. Un sussurro d’angelo a ricordarti che preziosa nessuna. al par tuo, Un sorriso dipinto negli occhi, 196 la consapevolezza nuova, il destino di nuovo sul tuo palmo, il potere non già di sognare ancora, ma di essere sogno, tu stessa, a tua volta. 197 198 La mia Africa Non chiedermi di che Amore ti amo. È di quello che so. Di quello che posso. Chiediti se come ti amo è in armonia col tuo bisogno di essere amata. Che tu sia bella come il pezzo gospel di “Prelude to...” o fresca come un acquazzone estivo non ti permette di cambiarmi. Non di rinchiudermi fra quattro mura e chiamarla casa che, sai, il mio aereo è fuori e mi attende quale moderno Finch-Hatton. Chiediti se saprai aspettare i miei ritorni e godere del mio esserci quando potrò esserci, quando il richiamo di noi si farà insopportabile. Io non ti chiederò chi ha preso il mio posto quando non c'ero, tu non farlo mai. Che il mio sentirmi tuo proteggerà il mio cuore da insidie esterne, ma della bocca, chissà? Che il mio sentirmi vivo non può prescindere dalla terra e dal cielo, dai paesaggi che cambiano più o meno 199 velocemente a seconda di quanto pesa il piede sull'acceleratore. Dal prendere altri uomini per il collo e trascinarli nella più fantastica delle avventure, dimostrando che, passo dopo passo, il sentiero si svela e il successo è solo un nuovo punto di partenza. Ti amerò di ore al telefono ad ascoltare la tua voce, di passeggiate tra i fiori che diventeranno fieno per lasciare il posto al brullo inverno. Di mani avide di te perché sei mancata e mai stancate dal tuo esserci sempre. Ti amerò di posti nuovi che vorrò condividere con te e dei tuoi racconti a colmare le mie assenze. Ti amerò di un figlio o più che vorrei coi tuoi occhi e il tuo intelletto e a cui insegnare ad amare le cose per quello che sono e non per quello che vorremmo fossero. Ti amerò fino al giorno in cui qualcuno ti avviserà che il mio aereo è caduto e io non ci sono più perché non posso tollerare l'idea che la morte mi prenda quando non 200 so più tenere la cloche della mia vita. Ti amerò, sì, ti amerò... Io ti amo. Dimmi, tu ami me? 201 202 Morire Allora è questo morire... E' realizzare pienamente le ferite inferte e non avere il tempo per implorare il perdono. Comprendere la pienezza della portata degli sbagli evitati e infliggersi pene per non averli commessi. Eccola, la temuta morte... Colei che spezza sogni e progetti, che dona al fuoco dei posteri cassetti di scritti e appunti. Pupille di pietà e ultimi tocchi misericordiosi di lacrime, e un letto per i fortunati, occhi di solitudine nel cogliere tutti di sorpresa. Solitudini di un accidente, di un incidente, solitudine di chi non c'è mai stato quando altri allungavano una mano. Benvenuta Signora Misteriosa... 203 Nel momento in cui infrangi speranze e desideri, rapisci affetti e gioie; nel momento in cui spegni dolori, mali inventati o reali, invidie e rancori; proprio ora che colmi di vuoto il mio esistere, rendendomi bozzolo in balia di germi immondi; ora, nel momento in cui la copertina è richiusa e uno scaffale buio mi aspetta, quale libro di dimenticare, nemmeno la decenza avesti di presentarti nel tuo miglior intimo sexy. 204 Personale Di me. Di chi sento mio. Di chi mi ha avuto suo. 205 206 Sogni Non ci posso credere. “Cosa cazz... o ci fai qua?” “Ah, bhè... Buongiorno, eh?!” “Ma porc... scusami se sono appena appena sorpreso.” “Bhè, prego...” “Allora? Voglio dire, da dove sbuchi? Dove sei stato? Come stai?” “Dove sono stato... dove vuoi che sia stato? Adesso volevo solo fare due chiacchiere con te.” “Bhè, giusto... tutto normale...” Ignora e tira dritto. Si siede. “Insomma sei diventato un uomo...” “A quanto pare. Sto viaggiando verso la mezza età ormai, altro che...” “E hai sempre fatto quello che ti è parso. 207 Lunghe litigate e non hai fatto nemmeno militare.” “Avevi dubbi?” “Speravo ascoltassi qualche volta. E comunque alla fine mi assomigli proprio in tutto...” “Ehi, ehi, frena. Ho i tuoi stessi occhi, credo la somiglianza si fermi qui. E ormai, per quel che vale, sono più vecchio di te.” “Sarà, ma, per esempio, fumi anche tu trenta sigarette al giorno...” “Vero, però io me le posso permettere e non lascio mio figlio senza mangiare per questo.” “Guidi una macchina di cui non ti frega un cazzo. Sporca, segnata...” “Con la differenza che a me non frega davvero un cazzo ma a te dava fastidio. E...” “Scommetto che tra poco porterai tuo figlio a pescare con te come facevamo un tempo.” 208 “Se gli farà piacere senz'altro. Escludendo le visite alle tue troie prima di tornare a casa. Se mi somiglia poco, non gli piacerà aspettarmi in salotto mentre le ispeziono nella loro camera.” “Mi pare che anche tu agiti parecchio il pisello...” “Alt. Io do e prendo affetto e non frequento troie e spesso il pisello sa stare al suo posto. Inutile spiegarti certi sottili differenze, vero?” “Se lo dici tu...” “Non dico niente. Non so su che canale sia sintonizzato quando mi guardi...” Si alza e fa per uscire. Forse per sempre stavolta. “Speravo in un incontro diverso...” Anch'io. Speravo di avere il tempo di dirti che ti ho perdonato tutto. Che ho capito che essere uomini, compagni, padri è tutt'altro che semplice specie quando nessuno ti ha aiutato a diventare uomo, o compagno, o padre. Come per me. Come 209 per te. E che soffro a non poter far conoscere il nonno a mio figlio, che avrei combattuto tutta la vita con te, come è sempre stato nei pochi anni in cui ci siamo frequentati. E che prima o poi ti avrei fatto sputare il fatto che sei orgoglioso di me anche se non ho seguito i tuoi sogni, magari proprio per questo, perché ho seguito i miei. Ma la sveglia del telefonino manda “The carpet crowlers” ed è ora che i sogni tornino nel cassetto. Da cui estraggo quelli da fare da sveglio per una nuova giornata da sfidare. 210 Al bivio Mi raccontava, lui di una quindicina d'anni maggiore, di quando il Lombardia arrivavano i veneti e i "meridionali" e di come si formassero spontaneamente gruppi solidali fra loro finalizzati a dare una casa a ognuno. Tutti assieme lavoravano nei fine settimana e uno dopo l'altro otteneva il nido per sé e per la propria famiglia. Poco importava se io l'avevo per primo, per secondo o per ultimo: il bene comune, l'obiettivo, era che tutti, prima o poi, ne avremmo avuta una. Mentre ascoltavo il racconto e sognavo attorno a me un mondo altrettanto solidale intuivo il limite contro cui cozzò, la soglia contro la quale si infranse lo spirito solidale: avuto ciascuno la propria casa, tutto si fermò e ognuno cominciò a operare per il bene dei propri cari, sì, ma solo quello immediato: mangiare, coprirsi e, più 211 in là, per beni forse utili, ma sempre più personali, come avere un'auto, un televisore e così via. NESSUNA società in nessun tempo, tra quelle cosiddette "progredite" ha mai compreso che il bene comune va oltre l'avere un tetto. Le strade, l'illuminazione, un parco per i bambini... fino all'aria che si respira e al territorio ceduto al cemento e all'asfalto, non sono mai stati visti come un bene comune primario per il quale lottare, aggregandosi, e impedire soprusi. Ci si coalizza per impedire al vento e alla pioggia di farci soccombere, ma contro l'altro uomo, quello più forte, quello più scaltro, quello più assetato di potere, quello che ti può schiaffeggiare con ben altra forza rispetto a un acquazzone, ebbene, contro quello si brontola al bar davanti a un bicchiere di vino, ma non si combatte. Talvolta, lo si invidia. 212 Oggi non ci si può permettere di costruire casa per noi e altri "immigrati" e ben poche ragioni abbiamo per solidarizzare fintanto che non annetteremo alla nostra concezione di "bene comune" non soltanto ciò che dà un tetto nell'immediato, ma, con lungimiranza, ciò che dovrebbe restare ai nostri figli. i quali non mangeranno automobili né respireranno televisori o inutili figurine plastificate, ma che facciamo cibare, ogni giorno, della nostra vanagloria per un 72 pollici e una felpa firmata. E ora che è più che mai chiaro che non possiamo delegare in bianco a qualcuno ciò che è bene comune, dobbiamo ripartire da qua. Solidarizzare con la capacità di mettere da parte qualche nostro interesse o privilegio, allontanare tutti i "prima io" e la voglia di primeggiare, essere disposti a fare anche da gregari talvolta. 213 Riuscirci o lasciare carboni ardenti su cui camminare ai nostri figli, questo il bivio. 214 La mafia e noi “Papà,” chiederà un giorno mio figlio, “ma cos’è la mafia?” “E’ il male che si evolve e si fa bene. O si presenta come tale”, inizierò a rispondere. Poi, attento a non annoiarlo, riprenderò. “La visione romantica dice sia nata come forma di rivoluzione, un tentativo di portare a un popolo stremato un po’ di ricchezza. Vero o no, è cresciuta e come tutte le forme di potere, anche quelle benintenzionate, ha finito con l’alimentarsi del potere stesso. “Io sono il potere, perciò, se vuoi avere un negozio, devi pagarmi una sorta di ‘tassa’. E così via per qualsiasi attività uno svolgesse…” “Anche tu paghi questa ‘tassa’, papà?” “Direttamente no. Nessuno passa in ufficio 215 a chiedermi quello che in gergo si chiama ‘pizzo’. Ma indirettamente tutti paghiamo molti ‘pizzi’ perché oggi, la mafia, sottrae molte ricchezze allo Stato, a noi Cittadini, quindi, e lo Stato per questo impone nuove tasse.” “Ma perché lo Stato non si libera della mafia, papà?” “Perché, tesoro… la mafia è furba. È scaltra. Riesce a nascondersi nelle pieghe della società, a presentarsi come se fosse un’associazione di uomini incolti e barbari, ma oggi più che mai la mafia e lo Stato sono la stessa cosa. E se i sodali un tempo erano umili abitanti, per esempio, di un quartiere costruito dalla mafia; e che quindi le erano grati di poter avere una casa, oggi i sodali sono umonculi che bramano potere e posizioni dominanti. I quali, non avendo talenti propri, si inchinano alla mafia e la servono per tornaconto: giornalisti, politici, magistrati, 216 poliziotti… tutta gente che aspira a ottenere maggiore potere e denaro e che finiscono schiavi della mafia stessa.” “E… e noi? Perché non facciamo qualcosa? Non ci ribelliamo, non li prendiamo a cazzotti?” “Perché… di sicuro ce ne stiamo troppo facilmente a brontolare per le malefatte dei sodali mafiosi e agiamo poco. Ma il gioco del potere è così fatto che chi vorrebbe fare qualcosa è spesso soffocato dalla vita, dalle responsabilità. “Vedi, papà, per esempio, vorrebbe fare qualcosa. Ma deve lavorare, vero? E deve cercare di seguire te e tuo fratello meglio che può. Il potere fa sì che i soldi bastino sempre meno e tu devi lavorare di più e ti rimane meno tempo per altro…” “Sì, papà, ma… stai dicendo che quando tu non ci sarai più e io sarò grande, a mia 217 volta non potrò fare nulla e i miei figli a loro volta saranno costretti a vivere in un mondo mafioso?” Non so più cosa sto dicendo, vorrei dirgli, ma non posso. So che i nomi di ciò che la mafia è diventata, oggi è sui giornali tutti i giorni: cosa sono i Verdini, i Cosentino, i Carboni o i Lombardi? Sodali. Come chi dovrebbe opporsi in maniera clamorosa (i D’Alema, i Bersani, i Veltroni e i Franceschini) e invece attendono la prossima occasione di “dialogo”. Sodali. Perché chi tira davvero le fila non ha né la faccia di Berlusconi, né di Dell’Utri. Si serve di loro, ha in mano il Vaticano sempre più colluso (o ci siamo scordati cos’era già dai tempi dello IOR?) e io a quei nomi non ci so arrivare. So che ci danno in pasto i mafiosi e i camorristi vecchio stampo, quelli con la 218 lupara facile e venti termini nel loro vocabolario, a centinaia, ormai. Perché non servono più. Perché la mafia è altro: è quello che ha trasformato anche noi in, volontari o involontari, sodali. 219 220 Cose Ci dev'essere una ragione per cui la gente si attacca alle cose. La cura maniacale per l'auto... la domenica mattina all'autolavaggio e aspira, aspira... e lucida, lucida... La copertina che sennò il notebook prende freddo... La maglia firmata e, occazzo!, un filo tirato e non la posso usare più. e io ne andavo matto... Cose di nessuna utilità, oggetti esposizione e dei quali dire "è mio!" da Piccole, rassicuranti, cose. Che non tradiscono. non sbagliano. Accettano passivamente il culto dell'adoratore e ricambiano con scintille di luce se alla luce le esponi. Ma che puoi 221 riporre in anfratti bui se temi te le possano rapire. Come se a imbucarle e a nasconderle non te le fossi sottratte da solo... Lucidassimo affetti. Coprissimo cuori raggelati dalla vita. Avessimo stretto in quell'abbraccio non la foto consunta, ma il soggetto allora in vita. Ricoprissimo d'attenzioni non colei che ci scarrozza, ma colei che ha scelto di fare strada incerta con noi. O chi si è imbattutto in noi, per chissà quale volere, e ci è stato affidato per trasformare i di richiesta pianti notturni in autosufficienza... Meno gratitudine alla tele che ci ha tenuto compagnia un'ora e più a chi ci ha 222 accompagnati fino a quando abbiamo detto "posso andare da solo". Morissero tutte le cose e sapessimo far rivivere i medesimi sentimenti verso gli uomini... 223 224 Io Io sono ricco. Ho me. E non ho bisogno di vestiti, ma di avere caldo. Non di un'auto, ma di potermi spostare. Non ho necessità di cibi, ma di mangiare. Non di sorrisi, ma di sorridere. Non di plausi, ma di applaudirmi. Non di essere amato, ma di amarmi. E amare. Il sole ce l'ho, il cielo lo tocco. Non avere nulla di ciò che non ha valore, la vera ricchezza. 225 226 Amare Che se hai avuto la fortuna di capire, e i doni per farlo, che il segreto è AMARE... Poco importa se gli oggetti dell'amore hanno la fragilità di chi ha il cuore senza scudi o con danni potenzialmente mortali... Poco importa se uno nasce troppo grande e l'altro ha gli occhi a mandorla pur non essendo nato in Asia... Tu chiedi di poter AMARE e chissenefrega se le notti insonni saranno milioni, per vagiti inattesi o il terrore di un telefono che, "Dio! NO!", non deve suonare... Hai braccia forti e dedizione a sufficienza non per proteggerli da tutto, ma per prepararli per quando non esisterà protezione. un giorno, nemmeno la tua... Senti come mai è stato che, come te prima di loro, alzeranno gli occhi al cielo e ti 227 cercheranno un giorno in una stella a cui rivolgeranno un saluto, un bacio, una domanda. Che non avrà comunque risposta se non gliel'hai lasciata prima, in qualche angolo di sé... AMARE è in questo: accompagnare rispettando l'altrui vocazione, l'altrui aspirazione, l'altrui limite, senza imposizioni né presenza forzata. È guardare da lontano, gioendo per loro, scattando prima della caduta, leggendo nelle lacrime o nella rabbia il non detto... Il rafforzare pareti del cuore cercando l'occasione per scavarvi e capire come intonacare e irrobustire. È il capire dove sono i limiti imposti dalla natura, che non conosci, che non sai e per i quali non esiste scuola, e darti occasioni di gioia mentre impari e fai ciò che puoi traendone soddisfazione. 228 AMARE è questo. È sentire il cuore allargarsi ad ogni pensiero. È voler capire il perché di un gesto o di una parola fuori posto. È vivere ogni giorno come fosse l'ultimo e dedicarlo all'oggetto dell'amore. Non per te. Ma perché da qualche parte è scritto che questo è il tuo ruolo e se merito hai, può essere solo quello di non rifiutarlo... (a Jonathan, cuore senza scudi, e Daniel, cuore a mandorla...) 229 230 Padre Che poi ti basta bussare un attimo alla porta di un dolore altrui... Magari finto, come quello di un film, ma che chiede comunque "chi è?" con la tua voce... E... Forse perché il vecchio acido potrei essere io tra un po'... E l'ingratitudine di un figlio non ha confini fino a quando i peli della barba, quelli bianchi, non sovrastano talmente quelli originali da farli sentire fuori posto e indurli, essi stessi, a conformarsi... E' che... Quando te ne vai è sempre troppo tardi. 231 E uno ti ama, capisci, anche se mentre lo dice ti dimostra il contrario. E... bhè, ormai non può più fare a meno di te... Ma... deve. Deve ripartire da dove hai lasciato tu, come davanti a una tela incompleta da ultimare a tutti i costi... E' che... Forse se so amare è anche grazie a te, anche se avrei voluto un semplice abbraccio e non un furto per delle scarpe che non ho più e con cui, comunque, non potrei giocare ancora... E' che... 232 Di là c'è un mondo, il mio, fatto di occhi in cui specchiarsi e di cuori che battono anche per me... E tu sai, che anche se sono pochi i pensieri per te, tu ci sei sempre perché... Il pennello che ora ho in mano, per dare qualche tocco alla tela, la quale qualcuno continuerà dopo di me, è lo stesso che fu tuo e che cuccioli d'uomo che mi sopravvivranno useranno a loro volta... Il testimone di chi ha corso e di chi corre ora e di chi correrà poi... Solo allora, forse, cadrai nell'oblio. In attesa che ti raggiunga anche là... 233 234 Ripartire Non importa chi ci ha costretto e a che cosa; non contano le umiliazioni, le aspettative riversate su di noi e disilluse perché noi eravamo e siamo altro; non hanno valore gli sbagli, a milioni, il fango in cui ci siamo dibattuti e che ancora, secco, ci imbratta; svaniscono gli stordimenti, le ore di assenza cedute in cambio di una qualsiasi dose, alcool, droga o sesso che siano; non importa se il risveglio avvenga solo ora, dopo che ci siamo giocati mezza vita e accettato cmq ruoli per i quali non eravamo preparati. Conta che ora siamo svegli. Vivi. Conta la voglia di trovare dell'acqua pura 235 con cui lavarci. E che troveremo. Conta quello che saremo da ora in poi, noi, veri; noi con aspettative reali solo per noi. Noi coi nostri sogni e unghie in quantità per aggrapparci ad essi e perseguirli. Conta il nostro essere ancora bambini in questo modo di finti adulti. Contano la pazienza, la determinazione, le nuove alleanze. Conta il non vendersi più. di più, il non svendersi. Contano il sole sulla faccia quanto la pioggia a punzecchiare la pelle. Il vento tra i capelli e la luce degli occhi, faro ad attirare altri occhi nel porto della nostra, unica, anima. Conta il riconoscimento che noi stessi 236 diamo a noi stessi, il valore espresso, non in soldi, ma in disponibilità ad amare. La mano che attendavamo senza aspettarla è già tesa verso di noi... 237 238 Padre di tuo nipote Mi svegliasti scuotendomi piano. Scattai silenziosamente in piedi e mi vestii in cucina per non svegliare i miei fratelli. Era domenica e alzarmi alle 5 e mezza per andare a pescare il mio premio. Io, te e una sola canna da pesca... Uscendo dalla piccola 500, io, infinitamente più piccolo, incoccia la testa e bestemmiai. La prima volta davanti a te. Che mi dicesti ridendo che era roba per te. Non avresti condiviso la mia vergogna verso l'oggetto della bestemmia. E non te lo rivelai mai... L'enciclopedia era aperta sul tavolo. Ti smentiva clamorosamente, non fosse stato per la tua ultima, patetica, difesa: “E' sbagliata la definizione sull'enciclopedia”. Sperai in cuor mio fosse solo colpa dell'alcool ma sapevo che non era così. Dopo una corsa solitaria di 40 metri avevo infilato il portiere uscito al limite dell'area. 239 Il terzo fischio dell'arbitro arrivò mentre il pallone varcava la linea del gol. Ti vidi correre verso di lui mentre ero a terra e gli occhi gonfi di lacrime offuscavano il tuo cercarlo per colpirlo... Ora sono qua. Ti assomiglio più di quanto avrei voluto. Fuori come dentro. Ho un figlio che so ci somiglierà. Ha già occhi scuri e ricci ribelli. E, sempre, l'ultima parola. Saresti impazzito, lo so. Avrei faticato il giorno in cui è nato per averlo un secondo per me. Avremmo litigato per il tuo dargliele vinte. Per le battute a doppio senso di cui rido, da solo, senza dirle, ma che tu avresti riversato. Gli avresti parlato in un dialetto che, dove siamo, non avrebbe capito nessuno. Tranne lui. Ti saresti commosso ogni volta che avresti sentito la parola “nonno” riferita a te. Avresti pianto come un bambino la prima 240 volta che l'avresti sentita. Saresti stato disposto a rubare per un dono da fare. A uccidere per un'ingiustizia da correggere. A dare la vita per la vita da salvare. Ma non hai avuto abbastanza vita per tutto questo. Se non in me. Io, tuo figlio. Padre di tuo nipote. Io, il padrone del tuo esserci ancora, del tuo esserci sempre, del tuo condividere tutto quello che non avesti mai. 241 242 Piccolo mondo Della semplicità di quattro accordi e della molteplicità di melodie che ne traiamo. Di due occhi grandi eppure cuccioli rapiti ad ascoltare o eccitati a raccontare. Di contatti di mani, grandi e piccole, o di corpi stesi l'uno sull'altro o rotolarci a terra. Di voli funambolici, di “Papà non mi fa cadere” e del tuo volerne ancora. Del tuo strano modo di interpretare il “nascondino”, mentre aspetti dietro di me che finisca la conta e ridi alla finzione di cercarti altrove. Tu, vuoi essere subito trovato. Della bellezza del tuo riso cui non ho fatto l'abitudine e mi emoziona ancora, ogni volta, al punto di viverci. Del piacere derivante dal fare le cose insieme, sia tagliare l'erba, o scovare cavallette o il farci la barba col rasoio elettrico. 243 Della tua passione per i tuoi libri, di personaggi che conosci a memoria fin dalla prima lettura o del tuo trovare la “P” di papà dove io non l'ho scorta. Del bacio della buonanotte o della tua vocina al telefono quando non torno e del tuo fuggire un secondo prima ch'io chieda “hai fatto il bravo?”. Dei modi in cui ci coalizziamo a prendere in giro colei cui dobbiamo il nostro esserci incontrati, ma col rispetto che moltiplica per tre le risa. Di questo e altro ti amo. Per questo e oltre fuggo volentieri da me e dal mio mondo per arrivare da te. Che nessun mondo è grande quanto il tuo piccolo mondo. No, non per me. (al Piccolo Ribelle che mi ha liberato dal gioco del non essere padre) 244 Consapevolezza nuova (07.09.08 ore 3.00) Non ho colpa se il mondo dorme e io mi rigiro senza pace. Né di esser nato vecchio e trattenere, adesso, la follia dell'adolescenza. Non ho colpa se non ti ho saputo salvare. Al massimo, fosse stata una morte meno stupida, sarei potuto morire con te. Né delle venti vite spezzate da un buco sul braccio, i denti già marciti. Non ho colpa se amo come so, dove il mio tutto può esserti “tutto” o “niente”. Ringrazio di saper amare. Ancora. Non ho colpa se vedo oltre e se due più due fa sempre quattro. Né del fatto che so ascoltare, ma che ne ho due palle tante di ascoltare. Lamenti. Lamenti. Lamenti. Non ho colpa se ti aspettavi tanto da me e ho tradito le tue aspettative. Perché io, da te, non mi aspetto altro che sappia ricevere 245 quanto ho da offrire. E non ho colpa se pretendo altrettanto da te. Aggrappato a questa ringhiera sputo rabbia e dolori nascosti. Vomito alla luna il nero che mi lascia ogni volta che si fa piccola falce per poi scomparire. Urlo senza voce. Bestemmio senza maledire. Uccido senza lasciare vittime. Per riprendere il sorriso e la voglia di esserci e dare ciò che è giusto. Che non è maschera. È scelta. Che non ho colpa se ho capito di poter scegliere solo quando i graffi erano già stati lasciati e, più profondo di tutti, la convinzione che non vi fosse scelta. Ma condanna sia, d'ora in poi, se il prendere o il lasciare; il lamentarmi o l'agire; il piangere o il ridere, non nascano dal mio decidere. Perché ora sì. Ora sarei colpevole... 246 Io padre, tu figlio E arrivano le mie due ore per stare con te. Da spremere fino all'ultima goccia, perché preziose. I giochi sono i nostri: un Tarzan con la bronchite; un “ma quanto ti vuole bene papà?” e un sorriso e due minuscole braccia allargate a mimare l'immenso mentre una vocina esplode in un “taaaanto”! Accucciati a guardare gli alberelli i cui semi hanno attecchito. I cervi volanti e le coccinelle da rispettare. C'è la pappa da apprezzare e le tue cadute per insegnarti a rialzarti, da solo, che la vita non guarderà se hai qualcuno vicino quando vorrà metterti alla prova o tentare di fiaccarti. Storie che conosci a memoria e che divertono perché anticipi la mia lettura aspettando le mie espressioni falsamente stupite. La doccia nella vasca e il nero seppia che cola perché tu, la vita, la vivi appieno. 247 E le mie mani tra i tuoi riccioli perché è ora della nanna e le tue cucciole dita da infilare tra le mie... C'era una volta un uomo. Viveva e amava. Quell'uomo è morto per sempre e la sua fine ha coinciso col tuo essergli stato messo in braccio, come il tuo pianto morì al canto della canzone che cantavo quando eri tra noi non essendoci ancora. Al suo posto nacque un padre. Avido di sapere, come te. Capace di meravigliarsi, come te. Voglioso di risa e di corse e di “ciapalo! ciapalo!” e di cambi di stagione a veder cambiare i colori. Io padre, tu figlio. L'uomo che credeva di sapere cosa fosse l'amore è umiliato ogni sera perso nei miei occhi che ora sono i tuoi. 248 Quelli come me… Quelli come me si alzano in fretta per permettere a te di continuare a dormire. Quelli come me rincasano tardi per permettere a te di avere più tempo per te. Quelli come me ti preparano il caffè che sia dolce e aromatizzato il tuo risveglio. Non ti fanno soccombere sotto un peso, chiudono la finestra che non ti colga il freddo. Quelli come me ti scaldano le mani e se hanno le loro libere è per passarle sui tuoi capelli. Quelli come me non aspettano la cena, la preparano. E se indumenti son da sistemare li sistemano. Quelli come me potano le rose in attesa del sorriso che a suo tempo ti daranno. 249 Ti passano il telefono che squilla, zittiscono il mondo per favorire il tuo riposo. Quelli come me raccolgono in mazzi i fiori di campo mischiando raggi di sole ad abbellirli. Quelli come me raccontano storie a strappare note di dolcezza alle tue labbra. Quelli come me vivono ogni istante per quelle come te. Ma nulla è gratis. L'amore incondizionato e incondizionabile è quello per un figlio. Quelli come me non chiedono ringraziamenti o alcunché in cambio. Quelli come me non danno per avere. Quelli come me non misurano i gesti e non li pesano su bilancia di giustizia. 250 Chiedono una ragione, una sola, ogni tanto, per continuare ad essere, senza sentirsi stupidi, come quelli come me... 251 252 2030 A 65 anni non guardi più la vita come se il futuro fosse infinito. Prendi ogni cosa come un regalo, un dono in più, magari l'ultimo, da assaporare. Sul mio sdraio assaporo il tepore del sole, il verde di nuovo brillante dell'erba; l'acqua tornata cristallina e piena di vita. Abbiamo corso un rischio talmente grande che solo a pensarci mi vengono i brividi. Per avidità, incuria, disprezzo, la nostra terra ha rischiato di essere come noi: vecchi senza futuro. Amo questa nuova generazione. ragazzi di ogni provenienza che, presa in mano la situazione, hanno imposto drastici cambiamenti di rotta. Idealmente mano nella mano, hanno 253 marciato compatti strappando i cancri ad uno ad uno. Qualcuno di loro è caduto in battaglia: il regno del male non cede il passo senza fare vittime. Anche a loro dobbiamo il dono di aria da respirare e acqua da bere. Niente più mostri che vomitano merda non digeribile dal suolo, merda assassina di piante, di animali. Di uomini. Ringrazio Dio per il privilegio di aver visto tutto questo e poterlo raccontare. Fossi morto temendo il peggio, un futuro inesistente per i miei figli, sarebbe stata morte infame. Il giorno in cui mi spegnerò, immaginerò quella folla compatta, unita per un bene comune. E potrò sorridere, ricordandomi mano nella mano con loro, sapendo di non aver vissuto invano... 254 Cenni biografici Nasco a Mestre, il 21 ottobre 1965. Venezia è la casa che mi sono scelto. Ovunque sia, lo è ancora. Perché il mare; la storia; l’assenza di automobili; i milioni di facce diverse tra loro. Nasco con un pallone tra i piedi e una penna in mano. E quando non dribblo o cerco un gol, scrivo, scrivo, scrivo… La maestra mi mandava già alle elementari a leggere i miei temi alle altre classi di pari età. Già allora non capivano che scrivevo per me. “Perché pubblichi, allora?” Ho maturato la presunzione che sia un mezzo per incontrarci, capirci e diventare parte di un’unica, bella cosa. Non ricordo della prima poesia o racconto, ma perfettamente della prima canzone. Un compagno canticchiava tutto il giorno il ritornello orecchiabile di un pezzo che, non avendo mai avuto una radio, o un mangiadischi, non conoscevo. Presi quel ritornello e ne feci una canzone. L’aneddoto vuole che lasciai il foglio su cui l’avevo scritta sul tavolo per lavarmi le mani prima di cena, intenzionato a farla 255 sentire ai miei una volta finito di mangiare. Al mio ritorno dal bagno trovai mio padre col foglio in mano, il quale, comprendendo dovesse trattarsi di una canzone, provava a cantarla. Mi vergognai a morte, strappai il foglio, prima dalle sue mani, poi a brandelli. La serata si chiuse con le mie moine verso mio padre temendo che il giorno dopo non mi portasse a pesca con lui. Avevo circa undici anni, ma capii due lezioni: la prima che della propria creatività, nemmeno dovesse piacere a nessuno tranne che a te, non ti devi vergognare mai: è un dono e tu sei fortunato. La seconda, elaborata davvero solo molto tempo dopo, che se ti va di pescare con me prendimi esattamente come sono, paturnie incluse, o vai pure da solo. Adesso vivo in provincia di Varese, ma non è mai detto che un posto che non sento casa mi abbia per sempre. Ho pubblicato qualche scritto in forma di ebook e un CD musicale, “Volume 1”, che raccoglie un po’ di ciò che ho scritto nell’arco di, direi, venticinque anni. 256 Ho due bambini meravigliosi, un lavoro che amo, affetti a non finire, mani che digitano più che scrivere, ormai, orecchie che sentono e piedi per schiacciare le foglie secche in autunno. E ancora la voglia di godere di ogni singola gioia e di ogni singolo malanno, che essere vivi, al giorno d’oggi, è un gran bel privilegio. Specie se, almeno per me, sento di non aver ancora esaurito le ragioni per scrivere dell’altro, se un pallone, purtroppo, ancora non lo posso maltrattare. 257 258